PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il...

86
anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 - www.rivistapaginauno.it anno VIII - numero 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - www.rivistapaginauno.it

Transcript of PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il...

Page 1: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

RESTITUZIONE PROSPETTICALa democrazia governabile di Giovanna Cracco

POLEMOSLa politica degli omologatidi Walter G. Pozzi

Stress da stress testdi Giovanna Baer

L’INTERVENTOStati, multinazionali,globalizzazione, crisistrutturale del capitalismodi Pedro Paez e Vittorio Agnoletto

INCHIESTACittà metropolitane:la democrazia non passa da quiLe elezioni a Milanodi Daniela Cuccu, Tania Righi,Chiara Vimercati

(DIS)ORIENTAMENTIIl battaglione Azov: la legione neradel neofascismo ucrainodi Matteo Luca Andriola

INTERVISTACollettivo San PrecarioOpposizione sociale alla precarietà di Domenico Corrado

A PROPOSITO DI...40 anni e... risentirli!Intervista a Fabio Trevesdi Giuseppe Ciarallo

FILO-LOGICOEgotismodi Felice Bonalumi

SOTTO I RI(F)LETTORILa scrittura e l’apparenzaRecensione de Il canto dell’esseree dell’apparire, Cees Nooteboomdi Sabrina Campolongo

LE INSOLITE NOTEBill FrisellGuitar in the space age!di Augusto Q. Bruni

8,00 euro

PAG

INA

UN

O - B

IME

STR

ALE

DI A

NA

LISI PO

LITIC

A, C

ULT

UR

A E

LET

TE

RA

TU

RA

- AN

NO

VIII - N

. 40

- DIC

EM

BR

E 2

01

4 / G

EN

NA

IO 2

01

5

anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 - www.rivistapaginauno.it

anno VIII - numero 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - www.rivistapaginauno.it

Page 2: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in
Page 3: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

DIRETTORE EDITORIALEGiovanna Cracco

GLI AUTORI DI QUESTO NUMEROVittorio AgnolettoMatteo Luca AndriolaGiovanna BaerFelice BonalumiAugusto Q. BruniSabrina CampolongoGiuseppe CiaralloAndrea CocciDomenico CorradoGiovanna CraccoAntonello CrestiDaniela CuccuClaudia MazzilliPedro PaezWalter G. PozziTania RighiMilton RogasGio SandriChiara Vimercati

Le collaborazioni a questa rivista sonoa titolo gratuito. Tutti i testi, salvodiversamente indicato, sono soggetti a licenza Creative Commons – Attribuzione, Non commerciale, Non opere derivate, 2.5 Italia. I testi proposti per un'eventuale pubblicazione non vengono restituiti e vanno inviati a:[email protected]

IN COPERTINAIllustrazione di Roberto Cracco

anno VIII – numero 40dicembre 2014 / gennaio 2015pubblicazione bimestrale (5 numeri annuali)prezzo di copertina 8,00 euroautorizzazione tribunale di Monza n. 1429registro periodici, del 13/12/1999

SOCIETÀ EDITRICEMcNelly s.r.l.Via A. Villa 44 - Vedano al Lambro (MB)

DIRETTORE RESPONSABILEValter Pozzi

SEGRETARIA DI REDAZIONEGiusy Mancinelli

PROGETTO GRAFICOPaginauno

ABBONAMENTO ANNUALEordinario 35,00 eurosostenitore 50,00 euroc/c postale n. 78810553 intestato Valter Pozzib/b IBAN: IT 41 V 07601 01600 [email protected]

NUMERI ARRETRATIPer ricevere i numeri arretrati scrivere a:[email protected]

STAMPAFinsol s.r.l.via Prenestina Nuova 301/C3, Palestrina (RM)www.finsol.it - [email protected]

Chiuso in redazione il 24 novembre 2014www.rivistapaginauno.it

Page 4: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

In questo numero

Crisi di governabilità: dalla Trilateral del 1975 al Corsera di oggi, i richiami a comprimere lo spazio democratico. Città metropolitane, democrazia abolita: i meccanismi elettorali e il Consiglio costituente di Milano: il voto diviene conces-sione di una classe politica che elegge se stessa. Governo Renzi, la generazione del dopo-muro: una classe dirigente cresciuta nel culto della merce e della tecnologia, dell’avve-nenza, dell’eterno infantilismo e dell’ignoranza. Collettivo San Precario: sportelli bio-sindacali e opposizione sociale alla precarietà. Stress da stress test: la bocciatura delle banche italiane, i quotidiani schierati a difesa e il circolo vizioso del ‘sistema Paese’. I conflitti del XXI secolo: multinazionali vs Stati, capitalismo finanziario vs capitalismo produttivo, eco-nomie avanzate vs industria semiperiferica: guerre in nome del profitto. Ucraina, il battaglione Azov: milizie di volontari neofascisti riconosciute dal governo ucraino, nel silenzio dell’Europa.

E ancora: i quarant’anni della Treves Blues Band, letteratura ed egotismo, intervista a Bill Frisell, recensioni di romanzi, saggi e film, e la copertina di Roberto Cracco.

4

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 5: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

SOMMARIO

_ RESTITUZIONE PROSPETTICA pag. 6 La democrazia governabile di Giovanna Cracco

_ POLEMOSpag. 12 La politica degli omologati di Walter G. Pozzi _ pag. 18 Stress da stress test di Giovanna Baer

_ L'INTERVENTOpag. 26 Stati, multinazionali, globalizzazione, crisi strutturale del capitalismo di Pedro Paez e Vittorio Agnoletto

_ INCHIESTApag. 38 Città metropolitane: la democrazia non passa da qui Le elezioni a Milano di Daniela Cuccu, Tania Righi, Chiara Vimercati

_ (DIS)ORIENTAMENTIpag. 42 Il battaglione Azov: la legione nera del neofascismo ucraino di Matteo Luca Andriola

_ INTERVISTApag. 50 Collettivo San Precario Opposizione sociale alla precarietà di Domenico Corrado

_ A PROPOSITO DI...pag. 56 40 anni e... risentirli! Intervista a Fabio Treves di Giuseppe Ciarallo

_ FILO-LOGICOpag. 62 Egotismo di Felice Bonalumi

_ SOTTO I RI(F)LETTORIpag. 68 La scrittura e l’apparenza Recensione de Il canto dell’essere e dell’apparire, Cees Nooteboom di Sabrina Campolongo

_ IN LIBRERIA – narrativapag. 74 Il liuto e le cicatrici Danilo Kis (Milton Rogas) Marta nella corrente Elena Rausa (Gio Sandri) Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta, Francesco Dezio (C. Mazzilli)

_ IN LIBRERIA – saggisticapag. 75 Cattivi pensieri Susanna Schimperna (A. Cresti) La sinistra assente Domenico Losurdo (A. Cresti) L’allucinazione della modernità Pier Paolo Dal Monte (A. Cresti) _ LE INSOLITE NOTEpag. 76 Bill Frisell Guitar in the space age! di Augusto Q. Bruni

_ ZONA FRANCApag. 84 In treatment, Saverio Costanzo Il lato grottesco della vita Federica Di Giacomo Me and you and everyone we know Miranda July di Andrea Cocci

5

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 6: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

RESTITUZIONE PROSPETTICA

Di governabilità e democrazia si è ini-ziato a parlare nei primi anni Settan-ta. Dopo quasi cinque lustri di cresci-ta economica e relativa pace sociale, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam e il movimento afroamerica-no negli Stati Uniti, il ‘68 studentesco, il ‘69 operaio e la successiva esplosio-ne del conflitto sociale soprattutto in Europa, pongono all’attenzione della classe dirigente politica ed economi-ca dei Paesi occidentali il tema della governabilità della democrazia. Nel ‘71 Nixon decreta la fine degli accor-di di Bretton Woods, e due anni dopo la prima crisi del dopoguerra del siste-

ma capitalistico viene accesa dalla miccia del conflitto dello Yom Kippur.

Nel maggio 1975 la Trilateral tie-ne la sua riunione plenaria annua-le a Kyoto: Michel Crozier, Samuel P. Huntington e Joji Watanuki pre-sentano il Rapporto sulla gover-nabilità delle democrazie, parten-do dal presupposto che si è evi-denziata una “crisi della democra-zia in termini di ‘governabilità’ del sistema democratico”, come scri-ve Giovanni Agnelli nella prefazio-ne all’edizione italiana della pub-blicazione (1). La riflessione più ar-ticolata sulle cause e le possibili so-luzioni è quella sviluppata da Hun-tington, che analizza la realtà degli

Stati Uniti.Il professore della Harward Univer-

sity – che ha ricoperto anche la cari-ca di consigliere del Dipartimento di Stato Usa – sottolinea come l’espan-sione della democrazia avvenuta ne-

gli anni Sessanta, attraverso un au-mento della partecipazione dei citta-dini alla vita pubblica, concretizzatasi con manifestazioni, movimenti di pro-testa, organizzazioni civili per promuo-vere una causa o portare avanti istan-ze collettive, maggiore sindacalizzazio-ne dei lavoratori e sviluppo di circoli intellettuali promotori di una cultura critica – spesso basata sulla richiesta di effettiva applicazione dei diritti san-citi nella Costituzione – abbia prodot-to uno squilibrio: una maggiore demo-crazia ha generato una minore gover-nabilità. Più democrazia porta infatti sulla scena politica nuovi attori socia-li, e un governo, legato a doppio filo alla logica del consenso elettorale, non può non tenerne conto. Accanto agli interessi dei gruppi di potere domi-nanti, quindi, da sempre presenti nel-lo spazio politico – industria, banche, finanza – compaiono anche le istan-ze dei dominati.

A questo punto dell’analisi, Hunting-ton afferma che alle richieste popolari il governo non può che dare risposte negative o, al più, parziali. Di conse-guenza, nasce nei cittadini un senti-mento di sfiducia nel sistema demo-cratico a danno della governabilità: crol-la il consenso, e l’autorità governati-va non solo non viene più riconosciu-ta, ma addirittura contestata, aumen-tando il rischio di esplosione di con-flitti sociali.

Huntington non si sofferma a spie-gare le ragioni per cui un governo de-mocraticamente eletto non possa dar corso alle richieste dei cittadini, ma non

6

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

di Giovanna Cracco

La democrazia governabile

Nella riunione del 1975 la

Trilateral discute il Rapporto sulla

governabilità delle democrazie

partendo dal presupposto che

si è evidenziata una “crisi della democrazia in

termini di ‘governabilità’

del sistema democratico”

__________________________________________________________________________________________________1) M. Crozier, S.P. Huntington, J. Watanuki, La crisi della democrazia, Franco Angeli Editore, 1977

Page 7: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

si tratta di un’omissione; probabile sia più un implicito del discorso, un aspet-to dato per scontato, considerata la platea a cui il professore si rivolge. In-dustriali, banchieri e politici sono in-fatti ben consapevoli del ruolo dello Stato nel processo di accumulazione capitalistica, quella relazione dialetti-ca che Marx ha identificato in strut-tura/sovrastruttura con conseguente definizione di ‘Stato borghese’, ossia portatore degli interessi della ristret-ta classe borghese del Capitale. Le ri-chieste dei cittadini – quelli che Oc-cupy Wall Street aveva sintetizzato nel-lo slogan We are the 99% – non pos-sono quindi essere accolte quando van-no a intaccare la dinamica capitalisti-ca di creazione del profitto (un minor sfruttamento del lavoro, per esempio, divieto di delocalizzazione all’estero del-la produzione, controllo della specu-lazione finanziaria ecc.) e possono ri-cevere risposte parziali solo quando sono in sintonia con le necessità del Capitale in quel dato periodo storico – come è stata la creazione della ‘clas-se media’ attraverso l’innalzamento dei salari nel momento del boom econo-mico, una massa di consumatori capa-ce di assorbire le merci prodotte. Ma la partecipazione democratica, in un sistema che da un parte legittima il ca-pitalismo e il libero mercato e dall’al-tra ha Costituzioni che sanciscono l’u-guaglianza di tutti i cittadini e il dirit-to a una vita dignitosa, alza il livello delle richieste, superando quello che può essere concesso. Da qui il pro-blema.

Huntington mette anche in guar-dia dai risvolti finanziari di un aumen-

to della democrazia. Analizzando i dati del bilancio federale statunitense, il professore evidenzia come sia avvenu-ta una “svolta assistenziale”: meno spe-se per armamenti e più uscite per as-sistenza pubblica e sanità. “Nell’anno finanziario 1960, la spesa globale per gli affari esteri incideva per il 53,7% del bilancio federale, mentre quella a sostegno dei redditi ammontava al 22,3%. Nell’anno finanziario 1974 […] in queste due direzioni furono impie-gate cifre quasi identiche: 33% agli af-fari esteri e 31% a sostegno dei red-diti”. L’equazione maggiore democra-zia uguale aumento delle spese so-ciali è indubbia per Huntington – “La base politica della ‘svolta assistenzia-le’ fu l’espandersi della partecipazio-ne politica e l’intensificarsi dell’impe-gno per modelli democratici ed egua-litari esistenti negli anni 1960” – e dà un risultato negativo: un aumento del-la spesa governativa “sotto forma di sovvenzioni assistenziali e previden-ziali anziché di contributi supplemen-tari governativi al prodotto nazionale lordo” ha infatti generato, secondo il professore, una crescita del deficit sta-tale e dell’inflazione.

Non bisogna però farsi prendere dal panico. Analizzando quanto acca-duto negli anni Sessanta, si può ipo-tizzare che il virus della democrazia con-tenga al proprio interno gli anticorpi utili a debellarlo. Il processo sembra in-fatti ciclico: una maggiore partecipa-zione dei cittadini porta a un’accresciu-ta polarizzazione delle richieste poli-tiche (non ci si accontenta di compro-messi al ribasso); una maggiore pola-rizzazione porta a una crescita di sfi-

7

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

L’espansione della democrazia avvenuta negli anni ’60 con un aumento della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica ha prodotto uno squilibrio: maggiore democrazia genera minore governabilità

Page 8: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

RESTITUZIONE PROSPETTICA

ducia nel sistema (perché le istanze ven-gono respinte); una maggiore sfiducia produce una minore partecipazione politica. Il cerchio si chiude. “Ciò fa pen-sare” conclude Huntington “che l’on-data democratica degli anni ‘60 ben

potrebbe generare le proprie forze di compensazione, che un improv-viso aumento di partecipazione po-litica produce le condizioni che ne favoriscono il calo”.

Non si deve tuttavia nemmeno sottovalutare il problema, rilancia il professore, perché non si può esclu-dere che in futuro le spinte demo-cratiche possano ripresentarsi. “La forza della democrazia pone un pro-blema alla sua stessa governabilità […]. La vulnerabilità del sistema de-mocratico, quindi, deriva principal-

mente, non da minacce esterne, per quanto esse siano reali, né dalla sov-versione interna da sinistra o da de-stra, per quanto entrambe queste eve-nienze possano darsi. Bensì dalla di-namica interna della stessa democra-zia in una società altamente istruita, mobilitata e partecipe”.

Occorre dunque porre un freno, quello che Huntington definisce “un grado maggiore di moderazione” del sistema democratico. Innanzitutto, “la democrazia non è che un modo di co-stituzione dell’autorità, e non è detto che possa essere applicato universal-mente” in tutti i campi, anzi: “Le sfe-re nelle quali i procedimenti democra-tici vanno bene sono limitate”. Il go-verno di un Paese, per esempio, deve avere la forza di distaccarsene: “I gran-di presidenti [degli Usa, n.d.a.] sono stati i presidenti forti, i quali forzava-no l’autorità legittima e i mezzi poli-tici per mobilitare i sostenitori dei loro orientamenti politici e attuare il loro programma legislativo”; i leader poli-tici non devono avere “dubbi sulla mo-ralità del loro dominio”, come è acca-

duto, secondo Huntington, a quelli de-gli anni Sessanta, che “condivisero l’e-thos democratico, partecipazionale e ugualitario dei tempi e si posero quin-di problemi circa la legittimità della ge-rarchia, della coercizione, della disci-plina, della segretezza e dell’inganno – tutti attributi, in una certa misura inevitabili, del processo di governo”. In secondo luogo, “il funzionamento efficace d’un sistema politico demo-cratico richiede, in genere, una certa dose di apatia e disimpegno da parte di certi individui e gruppi”. Hunting-ton riconosce che “in sé, questa mar-ginalità da parte di alcuni gruppi è in-trinsecamente antidemocratica”, ma è necessaria: apatia e disimpegno non producono partecipazione politica e dunque richieste, e l’equilibrio tra de-mocrazia e governabilità ne trae gio-vamento.

Esiste poi un altro aspetto che fa-vorisce la governabilità: la creazione di un obiettivo comune e condiviso, che produce coesione sociale. In un regime totalitario il fine può essere im-posto con la forza, in un sistema de-mocratico deve essere il prodotto di una narrazione, capace di generare, nei “gruppi importanti della società”, la percezione “di una seria minaccia alla loro prosperità e la comprensione che tale minaccia pesa su di tutti indi-stintamente. Quindi, in tempi di guer-ra o di catastrofe economica, i fini co-muni si identificano facilmente” e la governabilità ne risulta avvantaggiata.

Occorre infine riflettere sulle con-seguenze negative che un eccesso di democrazia produce sui partiti: mag-giore partecipazione genera più istan-ze, maggiori istanze producono più partiti, che si fanno carico di rappre-sentarle, e la frammentazione politi-ca che ne consegue pone problemi di maggioranze parlamentari e quindi di governabilità.

8

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Per Huntington le richieste dei

cittadini non possono essere accolte quando

vanno a intaccare la

dinamica capitalistica di creazione del

profitto

Page 9: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

La democrazia governabile

Sono passati quarant’anni eppure, come spesso accade, il rapporto della Trila-teral – oggi introvabile e non certo di dominio pubblico – si rivela non solo attuale ma fondamentale per compren-dere il presente. Succede perché buo-na parte della classe dirigente, soprat-tutto di quegli anni, era formata da per-sone estremamente competenti, con un pensiero forte e un buon bagaglio culturale, che usavano per analizzare la realtà e indirizzarla; e certo è attua-le anche perché realtà come la Trila-teral e il Bilderberg tracciano la rotta della società. In quei consessi elitari e a porte chiuse si sviluppa il pensiero della classe dominante, che viene poi diffuso attraverso la cultura accade-mica, i grandi media e la propaganda politica, divenendo il pensiero unico che anche la classe dei dominati fini-sce per fare proprio. Ovviamente sem-plificato, sotto forma di slogan, e de-contestualizzato, privato dell’analisi che vi sta dietro e dei reali interessi che serve.

Oggi sembra giunto anche per l’I-talia il momento di diventare una de-mocrazia ‘matura’, ossia governabile; a suon di ‘riforme’ l’architettura del Paese sta cambiando, dalle istituzio-ni al mondo del lavoro, e nulla sarà più come prima. Renzi ha tutte le carat-teristiche per portare a compimento questo processo storico: appartiene alla generazione post-ideologica, è ambizioso e spregiudicato, possiede la giusta dose di arroganza ed egocen-trismo, è riuscito a raggruppare intor-no a sé una squadra di fedelissimi, tra opportunisti e innamorati, e, so-prattutto, ha doti comunicative – le appropriate doti comunicative: non ar-ticola alcun pensiero ma fornisce ha-shtag, contribuendo ad abbassare ul-teriormente il livello culturale.

Era un po’ che il Capitale italiano

aspettava un personaggio simile (2), e la frenesia traspira dalle pagine del Cor-riere della Sera, tra i principali organi di diffusione del pensiero unico – pri-mo quotidiano nazionale che i citta-dini sorseggiano ogni mattina a cola-zione insieme al caffè, senza porsi do-mande sulla sua linea editoriale, det-tata da una proprietà industriale e fi-nanziaria. Da quando Renzi è andato a Palazzo Chigi, il giornale lo marca stret-to, lo pungola continuamente affinché non perda di vista gli obiettivi, ne cor-regge l’irruenza per evitare che il gio-vane puledro scalpitante, che ha già la vittoria in tasca perché corre senza avversari, non finisca per inciampare sulle proprie gambe cadendo rovino-samente a un metro dal traguardo. I continui richiami di Alesina, Giavazzi e Stella a ‘fare di più’ in direzione neo-liberista, l’editoriale di fuoco di Ferruc-cio de Bortoli del 24 settembre, scrit-to appena Renzi ha aperto lo scontro sull’articolo 18 – un gioiellino di se-mantica, una via di mezzo tra l’avver-timento in codice (il vago richiamo allo “stantio odore di massoneria” del Pat-to del Nazareno, gli auguri “di farcela e di correggere in corsa i propri erro-ri”) e un consiglio che non si può rifiu-tare (l’invito alla “saggezza negoziale”: la prepotenza va bene con i sindaca-ti, ma con la minoranza Pd occorre dia-logare, per non rischiare di andare a sbattere in Parlamento e vanificare l’in-tero progetto politico) – non sono af-fatto una critica a Renzi, ma una spin-ta e un sostegno alla sua azione.

C’è poi all’interno della redazione la categoria accademica, i professori che si fanno carico dei temi ‘alti’ e delle analisi di largo respiro, come lo stori-co Ernesto Galli della Loggia. Il suo edi-toriale del 20 novembre (3) è una sin-tetica riproposizione, con altre paro-

9

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Era un po’ che il Capitale italiano aspettava un personaggio come Renzi e la frenesia traspira dalle pagine del Corsera, tra i principali organi di diffusione del pensiero unico

__________________________________________________________________________________________________2) Cfr. Walter G. Pozzi, La politica degli omologati, pag. 123) Cfr. E. Galli della Loggia, Tante speranze (quasi) tradite. Una democrazia da rifondare, Cor-riere della Sera, 20 novembre 2014

Page 10: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

RESTITUZIONE PROSPETTICA

le – più velate, la platea non è certo la Trilateral – della relazione di Hun-tington. Il pezzo ha una duplice fun-zione, come tutti i commenti del Cor-sera: inviare un messaggio allo spa-valdo fiorentino, e arare il terreno del consenso sociale per i cambiamenti che verranno.

Scrive Galli della Loggia che in tut-ta Europa “si profila una crisi profon-da dai contorni ancora imprecisi ma di sicuro inquietanti. Improvvisamen-te la democrazia si è trovata davanti un ospite inatteso: la povertà in cre-scita. Mentre masse sempre più am-pie appaiono ideologicamente allo

sbando, mentre si afferma dovun-que e a ogni occasione un rabbio-so sentimento di rivolta contro le élite”. Un pericolo che non può es-sere sottovalutato, che non rientre-rà da solo, scrive il professore. Oc-corre dunque chiedersi se non sia giunta “una nuova fase storica che per la democrazia ha il valore di una sfida. Se non vorrà essere travolta, infatti, essa dovrà trovare la forza e la capacità di rinnovarsi profonda-mente”. È il momento di cambiare le regole della democrazia, di “met-tere in discussione i preconcetti dei quali si è fin qui nutrita e sottrarsi alla deriva esasperatamente ‘discu-tidora’ che l’insidia in permanenza […]

vale a dire mettere da parte una pras-si orientata alla ‘via di mezzo’, al ‘c’è sempre qualcosa per tutti’, e vicever-sa provare a pensare la realtà in modo inedito e radicale (che vada alla radice delle cose), organizzando in tal senso anche il meccanismo delle decisioni: senza vietarsi ad esempio di immagi-nare pure regole e istituti nuovi” e “ri-scoprire e riformulare il concetto di so-vranità”. A questo devono rispondere i “leader democratici”, incalza Galli del-la Loggia, “quando sono veri leader, ser-vono per l’appunto a una tale opera di

rifondazione”. Renzi è l’uomo, a pat-to riesca a compiere “lo scatto neces-sario per andare nella direzione au-spicata”. Finora gli è mancato, e il pro-fessore lo rimprovera come fosse uno scolaretto: ha l’impressione che il gio-vane premier “fatichi molto a metter-si al di sopra della baruffa quotidiana dei tweet, delle dichiarazioni, delle schermaglie […]. La sua eloquenza – scoppiettante quando si trattava di met-tere nell’angolo gli avversari da ‘rot-tamare’ – non si è mostrata finora ca-pace di trovare i toni di drammatica verità e di serietà che sarebbero ne-cessari a indicare davvero un nuovo cammino al Paese; e quindi di trasmet-tergli quella scossa anche emotiva sen-za la quale esso non potrà mai rimet-tersi in piedi. L’ispirazione che anima Renzi è volata finora troppo bassa, ha avuto una voce troppo tenue, per dare vita a una visione del destino del-la nazione e della società italiana che preluda davvero alla loro rinascita en-tro una rinnovata forma democrati-ca”. La chiusura del pezzo riprende la formula costante degli editoriali del Corsera, inaugurata da De Bortoli, il messaggio sibillino: “Almeno finora è andata così. Intanto però il tempo pas-sa. Pian piano le grandi speranze si con-sumano. E tra poco, inevitabilmente, esse si sentiranno tradite: per un uomo politico non c’è quasi nulla di peggio”.

Il pensiero politico di Galli della Log-gia è talmente sovrapponibile all’ana-lisi di Huntington, da rendere fin su-perfluo un commento a margine. La povertà prodotta dal sistema econo-mico capitalistico rischia di far esplo-dere un serio conflitto sociale dal bas-so verso l’alto, e le risposte parziali con cui fino a oggi il sistema democratico è riuscito a contenerlo non sono più sufficienti; è giunto il momento per l’Italia di porre un freno alla demo-crazia, renderla ‘governabile’. I tempi

10

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

I continui richiami di

Alesina, Giavazzi e Stella a ‘fare di più’ in direzione

neoliberista e l’editoriale di

fuoco di Ferruccio de

Bortoli non sono affatto una

critica a Renzi ma una spinta e un

sostegno alla sua azione

Page 11: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

La democrazia governabile

sono favorevoli. La crisi economica crea quella percezione di emergenza che compatta e genera consenso nei cit-tadini, ma Renzi, che può farlo perché ha le caratteristiche del ‘presidente forte’, deve trovare i giusti toni dram-matici per trasmettere la narrazione e trascinare con sé il Paese verso il cam-biamento.

Una riscrittura delle regole demo-cratiche che superi la restrizione del-lo spazio elettivo già avvenuta con le Province e le Città metropolitane (4), che vada oltre una legge elettorale che escluda dal Parlamento la frammen-tazione partitica, e una riforma costi-tuzionale che elimini le lungaggini del bicameralismo perfetto; cambiamen-ti che il pensiero unico ha già fatto as-similare al cittadino. In ballo c’è la ge-stione del conflitto sociale, quello che la Cgil sta portando nelle piazze e quel-lo, decisamente meno governabile, che i centri sociali stanno scatenando, par-tendo dal diritto alla casa. E c’è anche il Movimento 5 stelle, ancora poten-zialmente un problema, perché eso-geno al sistema, per quanto Grillo si stia dando un gran daffare per an-nientarlo dall’interno. Una situazione che se dovesse trovare referenti poli-tici – magari in un nuovo soggetto di sinistra, che al più sarà socialdemocra-tico e di certo favorevole all’Unione eu-ropea, ma già essere socialdemocra-tici oggi sarebbe percepito dai citta-dini come una rivoluzione – rendereb-be più difficoltoso il processo ciclico che porta automaticamente dall’au-mento della partecipazione alla sua di-minuzione. L’astensione elettorale poi, che ha segnato il suo apice alle regio-nali dell’Emilia Romagna con il 63%, non può essere automaticamente iden-tificata con quella quota di cittadini apa-tici indispensabile alla governabilità,

perché dato il fermento sociale nelle piazze, la dose diffusa di contestazio-ne all’autorità, nei posti di lavoro e nel-le periferie, non è affatto detto che il disimpegno verso il voto si traduca an-che in disimpegno verso altre forme di partecipazione. Renzi ha immedia-tamente liquidato l’astensione come un problema secondario, e avrebbe cer-tamente ragione se le piazze fossero vuote – nemmeno Huntington si sa-rebbe mai immaginato un dono di tale portata alla governabilità – ma non è così.

Ci aspettano tempi bui. Molto di-penderà dalla tenuta delle proteste sociali, e dalle forme di repressione che saranno messe in atto. Il problema, e la classe dirigente lo sa molto bene, è avere a che fare con una massa di persone che non ha più nulla da per-dere; solo allora il conflitto si accen-de e diventa davvero pericoloso. Ed è quanto sta accadendo, perché le po-litiche neoliberiste stanno impoveren-do una quantità sempre più grande di persone mentre arricchiscono una sem-pre più ristretta élite, e annientano la capacità di sognare, sottraggono qual-siasi idea di futuro a un’intera giova-ne generazione.

Il primo passo per trasformare una rabbiosa disperazione in un progetto politico è la consapevolezza che deri-va dalla cultura: il problema della go-vernabilità della democrazia non è dato dalla mancanza di efficienza, dal plu-ralismo, dalle lungaggini decisionali; na-sce dall’incompatibilità tra capitalismo e democrazia. Il primo muro da abbat-tere è quindi quello del pensiero uni-co, quel Truman show che ruota intor-no a ogni cittadino: finché non si sale sulla barca e non si prende il largo, il cielo sembra reale e non di cartone.

11

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Il commento con cui Galli della Loggia invita Renzi a riscrivere le regole democraticheè una riproposizione della relazione di Huntington: in ballo c’è la gestione del conflitto sociale

______________________________________________4) Cfr. Daniela Cuccu, Tania Righi, Chiara Vi-mercati, Città metropolitane: la democrazia non passa da qui, pag. 38

Page 12: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

POLEMOS

“Ferdydurke è esistenziale fino all’inverosimile. Lo è per-ché l’uomo che viene crea-to dagli uomini e gli uomi-ni che si formano a vicen-da, costituiscono appunto l’esistenza e non l’essenza.Ecco perché in questo libro suonano fortissimo quasi tutti gli argomenti esi-stenziali di primo piano, come: il di-venire, il formarsi, la libertà, la paura, l’assurdità, il nulla, l’angoscia… Con questa differenza però: qui si aggiun-ge una nuova sfera della vita umana a quelle tipiche dell’esistenzialismo – ossia la vita banale e autentica di Hei-degger, la vita estetica, etica e religio-sa di Kierkegaard o infine le ‘Sfere’ di Jaspers – la nuova sfera è la sfera del-l’immaturità”.

Con queste parole, Witold Gom-browicz presentava il suo primo ro-manzo uscito nel 1937; la storia grot-tesca di un signore tornato bambino, proprio perché gli altri lo considera-no bambino. Queste premesse fun-gono da pedana di salto per l’inten-zione dell’autore di smascherare l’im-maturità del genere umano. L’umani-tà che vi è descritta è opaca, amena, indefinita, costretta ad apparire dan-dosi una determinata forma. Ma sot-to questa maschera si nasconde una profonda immaturità, un inesauribile

infantilismo, inevitabile risultato del formarsi in mezzo ai propri infantiliz-zati contemporanei, all’altra gente che incamera e diffonde il proprio essere conformata a un sistema.

Chissà come sarebbe felice, Gom-browicz, nel verificare quanto la scuo-la in cui ha ambientato il suo roman-zo, assomigli all’attuale governo Ren-zi, che dell’immaturità, dell’infantili-smo, dell’ignoranza e dell’arroganza ca-pricciosa fa una modalità di azione po-litica; se potesse vedere quanto di so-ciale, di moderno, di hi-tech scorra nel sangue e nelle vene delle persone de-gli anni Duemila. Soprattutto in quel-le che oggi governano l’Italia.

Finora, l’unico ad aver notato questo fenomeno italiano è stato The Econo-mist. Infilando nelle mani del premier un cono gelato, mentre la barca del-l’euro s’inabissa insieme ai principali leader europei, il vignettista ha per-fettamente colto l’infantilismo che ca-ratterizza i ministri dell’attuale gover-no italiano.

Senza nulla togliere alla pericolo-sità di Renzi e delle sue intenzioni, e senza negare la pericolosità sociale delle sue alleanze con il mondo del-l’imprenditoria, il valore aggiunto del populismo renziano, rispetto ai prece-denti (il berlusconismo e l’antiberlu-sconismo), è proprio l’immaturità dei suoi attori. L’impressione è che non si

12

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

LA POLITICA DEGLIOMOLOGATIdi Walter G. Pozzi

Il valore aggiunto del

populismo renziano è

l’immaturità dei suoi attori:

l’impressione è che non si

tratti di una maschera ma che l’artificio

sia congenito a Renzi e alle

renzine: sono proprio così

come si mostrano

Page 13: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

tratti di una maschera indossata per l’occasione, bensì che l’artificio sia con-genito a Renzi e alle sue renzine. Sono proprio così come si mostrano. E la tragedia è che piacciono.

La stessa profonda, ingenua inno-cenza, illustrata da The Ecomist, pro-rompe come luce divina dall’estatico sguardo e dalla parole bambinesche di Alessandra Moretti nella dramma-tica intervista rilasciata a Corriere Tv, a metà novembre. Naturalmente il vi-deo ha divertito gli utenti dei vari so-cial network, ma il fatto che il diver-timento degli allegri frequentatori di facebook non abbia lasciato il posto a un briciolo di inquietudine, dimostra fino a che punto intervistata e spet-tatori dialoghino in sintonia nel me-desimo campo semantico.

L’ostentata e profonda fiducia nel-la propria intelligenza, nella propria bravura e nella propria bellezza, quel suo insistente rivendicare – anche a nome delle sue colleghe di partito – questa triplice virtù, lo stile Ladylike, il considerarsi una risorsa importante per l’Italia e il diritto alla ceretta (“Per-ché, io come devo venire, con i peli, i capelli bianchi? Tante donne io voglio rappresentarle al meglio”), contiene un che di patologico, non in specifico riferimento alla Moretti, imbarazzan-te nel suo candore, bensì alla politica e, di conseguenza, allo stato di salu-te della cosiddetta democrazia. Sen-tendola parlare – così come anche ascoltando le altre pasionarie Boschi, Mogherini… – quel che si percepisce con un certo imbarazzo e non poca tristezza, è il giogo dell’asservimento ideologico alla forma-merce e al do-minio maschile. Difficile, davanti al rac-conto della giornata tipo della vispa Alessandra, del suo accompagnare i propri figli a scuola facendo jogging, delle sue sedute dall’estetista, del suo

piacere di curare se stessa, non imma-ginarla da piccola, intenta a vestire e a pettinare le bambole, regalatele per-ché si preparasse al suo futuro di don-na, a sua volta confezionata in ade-guamento al gusto maschile.

Non esiste differenza tra quanto di tristemente conformato emerge dal-le sue parole, e la risposta di Renzi che espone il proprio infantilismo alle te-lecamere il giorno dopo l’uscita della vignetta di The Economist, sorriden-te, scherzoso, mostrando un cono ge-lato vero in mano. Dov’è la differenza con la gara di boccacce tra l’uomo di-ventato bambino e un suo compagno di classe immortalata da Gombrowicz nel suo romanzo?

Novello Ferdydurke, Renzi è il per-fetto prototipo di quell’infante senza tempo, creato dalla tecnologia telema-tica, abituato a protrarre la goliardia universitaria per l’intero arco della vita. Nati in un’epoca in cui non più l’uo-mo, ma il neotech creava socialmente l’uomo, Renzi e le sue discepole sono la prima generazione cresciuta e pla-smata dalla società ipertecnologica del-la televisione h24 e delle macchine; uomini e donne, incarnazione lumino-sa degli effetti dell’omologazione estre-ma, del conformismo, dell’immaturi-tà così come descritta da Gombrowicz, intesa come l’ultimo modello di ani-ma dell’uomo contemporaneo. Per quanto sia doloroso dirlo, sta proprio in questa loro attitudine naturale la ragione per cui oggi siedono al go-verno.

L’ascesa politica di questa nuova ge-nerazione legata al Pd, quindi, non è il frutto del caso. Se mai, è il capoli-nea di una tenace ricerca di governa-bilità da parte delle élite economiche, iniziata nel 1992 con la fine della pri-ma Repubblica.

13

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Sentendo parlare Alessandra Moretti Ladylike quel che si percepiscecon un certo imbarazzo e non poca tristezza èil giogo dell’asservi-mento ideologico alla forma-mercee al dominio maschile

Page 14: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

POLEMOS

Ma se oggi l’Autorità si spella le mani applauden-do Renzi alla Leopolda o al Salone delle Fontane del-l’Eur; se sorride, si dà di gomito con i compari di fi-nanziamento, occorre ricordare che per la classe diri-gente italiana, la ricerca è stata difficile, dura, priva di soddisfazione e a tratti umiliante. Prima di arrivare fin qui ha sudato le famigerate sette camicie, costate il sacrificio di non pochi governi, tra politici e tecnici, di mestieranti della politica, e della felicità quotidia-na di milioni di italiani. Danni collaterali, come si dice, errori attribuibili all’ansia della restaurazione, sorta nel momento in cui la fine dell’impero sovietico sug-geriva che si potesse chiudere definitivamente con l’epoca della difesa del conflitto da parte della sini-stra. Che se prima era giustificabile in senso strategi-co la presenza di un’opposizione, adesso che il mo-dello economico comunista spariva dalla mappa po-litica, salvare le apparenze non serviva più.

Il compito affidato oggi a Renzi, lo smantellamen-to dei residuali diritti dei lavoratori raccontato ai suoi simili, nel 1992, in mancanza di più credibili attori, era stato commissionato a chi doveva dimostrare che la sinistra post-comunista fosse degna di fiducia nei pan-ni di partito di governo. Ovvero, come garante del potere padronale. E benché, a onore di quest’ultimo, vada riconosciuto che la scelta di Renzi e la sua trup-pa di quote rosa è perfetta, poiché questi, per igno-ranza, cinismo e inconsapevolezza della loro funzione, rappresentano la quadratura del cerchio – una scelta che renderà cosa fatta nel giro di pochi anni il tanto ambito Unipolarismo politico – altresì va detto che chiedere a suo tempo a D’Alema e Bersani, a Rutelli e Veltroni, di ripudiare il loro passato e rimanere ugual-mente credibili di fronte al proprio elettorato, è stata un’enorme sciocchezza. Con quella soma ideologica che, pur negandola penosamente, reggevano sulla groppa, quei politici erano difficilmente smerciabili, costretti com’erano a comunicare sempre tra le righe, facendo intendere una cosa agli elettori di sinistra e il suo opposto ai moderati italiani casinberlusconian-leghisti. I loro limiti erano oggettivi. Prima di tutto per-ché la stagione comunista era ancora troppo prossi-ma, e poi perché nel 1992 si sentivano già i clamori di un nuovo mondo in arrivo. I telefonini non erano an-cora una protesi dell’individuo, il computer era lungi dall’essere quell’Io parassitario nei cervelli delle per-

sone che è oggi, la rete non c’era, né twitter né facebook, ma già imperava l’educazione sentimentale di bambi-ni e adolescenti sottoposti a televisio-ne e rimbastation. Tempo quattro, cin-que anni, e quel mondo antico avreb-be fatto i bagagli per lasciare posto alla fantascienza della microtecnologia in affiancamento ai programmi televisi-vi e radiofonici.

I Renzi, i renzini e le renzine dell’at-tuale governo sono i primi prodotti del-la generazione cresciuta in quegli anni. Incarnano politicamente il risultato del-la più pervasiva omologazione ambien-tale della storia. Per cui, quei politici di ‘vecchio’ conio di centrosinistra, co-stretti a interloquire con un elettora-to che dal proprio partito pretende-va ancora la difesa dei lavoratori, in-dipendentemente dal loro incarnato, erano fatalmente destinati alla scon-fitta.

I nuovi prodotti umani in forza al Pd non sono per loro natura sottopo-sti a questo tipo di rovelli. Proprio per il fatto di essere stati bambini e ado-lescenti in quell’epoca, possono agi-re senza conflitti psicologici e senza sentire il peso della responsabilità nei confronti del loro interlocutore elet-torale. Per buona parte parlano ai loro coetanei, a compagni di omologazio-ne, alcuni dei quali cresciuti sotto la ‘sindrome berlinese’ del dopo-muro, e tutti venuti grandi nel culto della

14

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Sono la prima generazione plasmata dalla società

ipertecnologica della televisioneh24 e delle macchine: incarnano

politicamente il risultato dellapiù pervasiva omologazione

ambientale della storia

Page 15: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

La politica degli omologati

merce, della tecnologia, dell’avvenenza, dell’eterno in-fantilismo, dell’ignoranza e della proprietà privata san-cita per legge divina. Da allora sono trascorsi ventitré anni, e la sintonia con il riflusso è ormai definitiva-mente terreno comune. Tutti omologati, attraverso prassi quotidiana, modelli di vita e abitudini, e (basta osservare la luce che sprizza dagli occhi della Moretti mentre, durante l’intervista, ostenta il proprio inscalfi-bile e contagioso conformismo) gioiosi di esserlo.

Le date di nascita della nuova generazione politi-ca (citando i suoi attori più spesso inquadrati dalle telecamere) rendono più chiaro quanto espresso so-pra. Ancor di più considerando l’alto censo sociale da cui tutti provengono (tra parentesi l’anno della mag-giore età e della prima passeggiata verso l’urna elet-torale): Matteo Renzi, Dario Nardella, 1975 (1988); Simona Bonafé, Federica Mogherini, Alessandra Mo-retti, 1973 (1986); Marianna Madia, 1980 (1998); Pina Picierno, Maria Elena Boschi, 1981 (1999); Anna Ascani, 1987 (2005).

La trasversalità politica di Renzi dimostra che l’uni-formità di gusto è ormai un fatto sociale acquisito. Rappresenta la merce politica che gli elettori acqui-stano con la moneta del voto, alla stessa maniera con cui acquisterebbero uno specchio per guardarvi den-tro la propria immagine. Di Renzi, infatti, a fare brec-cia non sono le idee (sempre le medesime: trito e ri-trito indottrinamento storicamente tipico diffuso della classe dominante) ma gli atteggiamenti manageriali (giovanilismo, iperattività, fermezza capricciosa, fin-to anticonformismo) che raccontano del culto dell’im-prenditore, del successo, della ricchezza e della cultu-ra televisiva. I suoi schemi mentali sono determinati dalle imposizioni della ‘modernità’ del multitasking: Renzi parla in pubblico usando il tablet, supporta il vuoto di contenuti con slide infantili e banali, scrive

tweet e pubblica commenti adolescen-ziali su facebook, evidenziando la sua natura di perfetto conformato, preso contemporaneamente da mille attivi-tà, e per questa ragione mai presen-te a se stesso, al grido di: “Voglio tut-to qui e adesso!”

È a quest’uomo, che il potere eco-nomico, con la mediazione dal presi-dente Napolitano, ha assegnato il com-pito di sanare il dislivello tra le nuove esigenze della realtà economica ai tem-pi della crisi, e la sovrastruttura poli-tica troppo vecchia. È a lui che è sta-to chiesto di chiudere definitivamen-te con la concertazione, di tagliare con la tutela sindacale dei lavoratori per consegnare questi ultimi nelle mani del padronato privi di qualunque di-fesa; di blandire l’elettorato cresciu-to nel benessere post-muro attraver-so un volto innocente, in quanto non compromesso con il passato prossi-mo e remoto di sinistra né con le ma-lefatte dei governi precedenti.

A tale scopo, D’Alema e la sua com-pagnia non erano idonei. Troppo legati alle logiche politiche del Novecento per organizzare un perfetto restyling del partito. Troppo prematuri i tempi (nel 1992), troppo ampio (per via del-la prossimità al Pci) il dislivello tra la morale umana di sinistra (che pone al centro l’individuo sfruttato sul la-voro e nel suo quotidiano) e la mora-le del sistema economico moderno, che pretende la totale rimozione dal discorso politico del concetto di sfrut-tamento. Assurdo con questi presup-posti pretendere da quei ‘vecchi’ di abbandonare di colpo gli antiquati po-stulati politici e spostare in maniera invisibile l’asse dei valori di sinistra, passando allegramente dalla difesa dei lavoratori all’assistenzialismo garan-tito al padronato.

15

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Parlano a compagni di omologazione cresciutisotto la sindrome berlinese del dopo-muro,

nel culto della merce, della tecnologia,dell’avvenenza, dell’eterno infantilismo, dell’ignoranza e della proprietà privata

sancita per legge divina

Page 16: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

POLEMOS

È stato penoso assistere agli ultimi venticinque anni di manovre finalizzate in tale direzione. E lo è ancor più oggi; vedere questi ‘vecchi’ presi tra la pau-ra di non essere all’altezza del compito, e quella di poter perdere un potere interno al partito che sem-brava acquisito in maniera stabile, appellarsi ai sor-passati strumenti della loro cultura e a quei valori a cui per primi hanno cercato di abdicare in maniera subdola e invisibile (l’antiberlusconismo ha giocato in questo un ruolo di copertura). Tutto inutile. A liqui-darli è stata la storia, nei panni di una generazione (curioso paradosso storico) che fa della falsa coscien-za un caposaldo del proprio operato. Ad Andreotti, l’immutabile condizione storica e ambientale ha con-cesso di governare per cent’anni; a questi ‘vecchi’, i rivolgimenti politici prima e la rivoluzione tecnologi-ca e di costume dopo, hanno interrotto il sogno di un longevo dominio sul modello democristiano proprio al suo sorgere.

Ci hanno provato, ma senza successo, pur predi-cando gli stessi assiomi che oggi Renzi, senza fatica, afferma nel tessuto sociale italiano. Per questo, oggi, Veltroni non ha torto quando rivendica di ritrovare nelle parole di Renzi e delle sue ragazze, la linea politi-ca da lui promossa ai tempi della sua candidatura, allorquando caldeggiava l’abbattimento dell’antitesi padrone/lavoratore. Oggi – simile al fantasma di Sir Simon creato da Oscar Wilde – passeggia per la Leo-polda con l’atteggiamento dell’incompreso precurso-re dei tempi, dimenticando, se non addirittura igno-rando, che già nel 1891, Papa Leone XIII si era auspi-cato la stessa ‘pace’ nella sua enciclica sociale scritta per porre un freno all’ascesa del pensiero socialista. Solo centoventitré anni prima!

Fatto è che la politica deideologizzata è diventata fatalmente merce e, si sa, la merce destinata al con-sumo, non ha né una storia né un futuro né un pre-sente. Il governo Renzi è perfetto per un’operazione di cancellazione della memoria. Niente storia, niente con-fronto. Quel che resta è solo l’esistente minuto per minuto in perfetta sintonia con il concetto di merce e di consumo. E nel giro di pochi mesi, questi ‘nuovi’ sono riusciti a consolidare il totem del post-moderno in ideologia totalitaria, così come lo descriveva il suo bardo Lyotard. Ottenendo il risultato di abbattere il tabù della politica, intesa come formulazione di ana-

lisi sociale, ovvero come uso degli stru-menti del pensiero e della cultura; e di abbattere il tabù del rispetto del-l’altro e del linguaggio articolato, ri-ducendo la politica a una merce da vendere nel mercatino del senso co-mune.

Già nel 1994 il bipolarismo elet-torale aveva comportato la divisione fittizia in due forze, riducendo la com-petizione a uno scontro tra due mer-ci simili i cui testimonial erano altret-tante individualità più o meno forti. Unica opposizione: la pubblicità com-parativa, secondo cui l’altro sarebbe meno competente nel gestire il mer-cato, anche se dove stia la differenza è sempre più difficile da capire. Sulla stessa linea si è sviluppato ultimamen-te lo scontro interno al Pd. Preso da entrambe le contese, il governo Ren-zi ha il vantaggio di presentarsi come il nuovo contrapposto al vecchio. Sa bene che in una società consumistica, il nuovo uccide sempre il prodotto di precedente generazione. E poiché nel mondo della merce conta la confezio-ne, ecco la giovinezza, e con essa, ecco l’abbattimento dell’ultimo tabù: l’e-rotizzazione della politica e il fascino femminile come attrattiva. Un fascino non conturbante, ma che fa della bel-lezza un’attrazione verso la merce neo-liberista.

Nell’immaginario umano, come in-segnano i cosiddetti creativi del mar-

16

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

La politica deideologizzata èdiventata fatalmente merce

e la merce destinata al consumonon ha né una storia né un

futuro né un presente: il governo Renzi è perfetto

per un’operazione di cancellazione della memoria

Page 17: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

La politica degli omologati

keting, immaturità, giovinezza ed erotismo vanno di pari passo. L’idealizzazione di questo periodo della vita, in grado di attrarre, con la sfrontatezza, sia il giovane che l’adulto entrato nella fase discendente, crea una fascinazione immediata.

Ciò che sgomenta, nello specifico delle renzine, è la loro inconsapevolezza. Essendo il prodotto di que-sto modello sociale, e per questo incapaci di sotto-porlo a critica, sono poco dotate di una visione d’in-sieme che restituisca loro il senso di sé e della fun-zione che svolgono nel governo.

A proposito della falsa coscienza, Alessandra Mo-retti, dopo avere affermato la triplice virtù sua e del-le sue ‘compagne’ di governo (belle intelligenti e bra-ve), dichiara con innocenza che, al contrario di loro, la berlusconiana Nicole Minetti è stata usata. Senza nutrire il sospetto che il suo governo abbia strumen-talizzato il concetto democratico di quote rosa, per sfruttare senza scrupoli il fascino del corpo femmini-le, giovane e bello, per lanciare il proprio prodotto. E ha ragione, la vispa Alessandra, quando allude alla propria necessità di andare due volte alla settimana dall’estetista per essere presentabile, che la politica sta cambiando. Ciò che sembra non comprendere è come venga utilizzata la figura femminile, e quanto sia strano notare che le donne meno conformi al-l’immaginario erotico maschile siano diventate tanto poco intelligenti da essere bandite dalle luci della ri-balta.

Di questo governo giovane, come si può vedere, è stupefacente l’innocenza. I suoi protagonisti non si mascherano più, come fa il protagonista di Ferdydur-ke, l’esistenza e l’essenza si sono fuse. Forse la politi-ca d’ora in avanti sarà priva di sentimenti (da non con-fondere con il sentimentalismo, maschera inossidabile di molta gente di sinistra), di doppia morale, e per questa ragione mai cinica. Schietta, se mai, sincera per-ché senza più infingimenti: i sindacati non sono d’ac-cordo? Ce ne faremo una ragione, vien detto, accet-tando con il sorriso l’implicito effetto di migliaia di per-sone che perdono il lavoro. Una sincerità autentica, che vale solamente nell’attimo in cui viene afferma-ta, ma che non varrà più domani quando altrettanto sinceramente la stessa bocca presenterà il Jobs act come una difesa dei lavoratori a coloro che il lavoro lo hanno appena perso.

È la medesima sincerità che pron-tamente interviene a insegnare, con il fascino tipico della fiction ben scrit-ta, il nuovo prodotto dell’industria cul-turale americana: House of cards. Una serie televisiva che mette al bando i vecchi registri narrativi, mirati a pro-teggere il sistema politico con storie di mele marce impegnate a mettere in crisi un dominio essenzialmente one-sto. Ma oggi che la politica ha subìto numerosi contraccolpi, tali da mani-festare la realtà corrotta dell’intero sistema, ecco l’inversione. House of cards attesta definitivamente che la politica è certamente un mondo pri-vo di scrupoli, senza zone buie, per-ché tutto è avvolto dalle tenebre. Tut-tavia, e in questo si annida la nuova propaganda, quanto affascinanti e quanto machiavellici sono i suoi at-tori, in una realtà politica immersa in un lieto infantilismo, nel quale, come accade tra bambini, la parola non im-pegna ad alcuna responsabilità, per-ché gli stessi contraccolpi sociali che ne derivano non hanno più un peso. Esattamente come non ha più un pe-so il pensiero.

17

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 18: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

POLEMOS

Il 26 ottobre scorso sono stati resi noti i risultati del-la ‘valutazione approfondi-ta’, composta da un esame della qualità dell’attivo pa-trimoniale (Aqr, Asset qua-lity review) (1) e da uno stresstest (con doppio scenario, di base e av-verso) (2), effettuata dalla Banca cen-trale europea sui bilanci dei maggiori istituti di credito dell’Eurozona (dati al 31 dicembre 2013). Undici banche, di cui due italiane (Cassa di Risparmio di Genova e Montepaschi), non hanno su-perato l’esame. In realtà sarebbero sta-te venticinque, di cui nove italiane, per una carenza di capitale complessiva di 25 miliardi di euro, ma nel corso del 2014 alcune di loro sono corse ai ri-pari, ripianando la situazione, fra cui sette italiane (Veneto Banca, Banco Po-polare, Credito Valtellinese, Popolare di Sondrio, Popolare dell’Emilia Roma-gna, Popolare di Milano e Popolare di

Vicenza, le ultime due sul filo di lana), con iniezioni di capitale per comples-sivi 15 miliardi. Le altre sono rimaste al palo, e la Bce ne ha assunto la vigi-lanza a partire dal 4 novembre.

Come risultato, Montepaschi do-vrà raccogliere nei prossimi nove mesi2,11 miliardi di euro, e Carige 810 mi-lioni. “Questa revisione senza prece-denti delle posizioni delle banche più grandi – ha detto il vicepresidente del-la Bce, Vitor Constancio, nel presen-tare i risultati alla stampa – aumente-rà la fiducia del pubblico nel settore bancario. Identificando problemi e ri-schi, contribuirà a riparare i bilanci e rendere le banche più robuste. Ciò do-vrebbe facilitare più credito in Euro-pa, il che aiuterà la crescita economi-ca” (3). La mancanza di credito, soprat-tutto alle imprese piccole e medie del sud Europa, viene infatti considerata una delle cause principali della stagna-zione.

A casa nostra la bocciatura non è stata affatto presa bene, nonostante

18

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

STRESS DA STRESS TESTdi Giovanna Baer

La bocciatura delle banche

italiane non è stata presa

bene e diversi commentatori

sono corsi a ripetere ai

microfoni il refrain secondo

il quale altri in Europa stanno

peggio

__________________________________________________________________________________________________1) Gli attivi di una banca sono i suoi crediti, denaro che l’istituto ha investito in titoli finan-ziari e prestiti (a famiglie, imprese e altre banche). L’Aqr aveva lo scopo di verificare se il ca -pitale di una banca fosse adeguato a fronteggiare il rischio insolvenza dei vari attivi; era consi-derato congruo un valore pari all’8% del capitale. ‘Capitalizzare’ significa versare nuova li -quidità per portare il capitale a un valore appropriato al rischio2) Uno stress test è una simulazione di quel che avverrebbe ai conti di una banca se peggio -rassero le condizione macroeconomiche di base (variazione del Pil, andamento dei tassi di in-teresse ecc.)3) A. Merli, Stress test: non passano 25 banche, 9 sono italiane. Più capitale per Mps e Cari-ge, Il Sole 24 ore, 26 ottobre 2014

Page 19: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

i problemi di Montepaschi e Carige fos-sero noti da tempo. E diversi commen-tatori sono corsi a ripetere ai microfo-ni il refrain secondo il quale altri in Eu-ropa stanno peggio. Secondo alcuni di loro tra il 2007 e il 2013 il sistema fi -nanziario italiano e quello francese sono stati i migliori d’Europa perché, sulla base degli aiuti pubblici di cui han-no beneficiato, hanno reso ai rispet-tivi Stati più denaro di quello che han-no ricevuto. Le banche tedesche, in-vece, sono state le peggiori. “È impor-tante chiarire a quanto ammontava, ancora a fine 2013, il sostegno com-plessivo che ciascuno Stato europeo ha concesso ai rispettivi sistemi ban-cari, sempre con il beneplacito della Commissione europea. Gli aiuti pub-blici ricevuti dalle banche hanno mi-gliorato oggettivamente gli stress test: le carenze di capitale emerse sareb-bero infatti ulteriori rispetto ai raffor-zamenti di capitale già ottenuti dagli Stati, da rimborsare secondo gli accor-di stipulati. Il fatto invece che in talu-ni casi gli aiuti alle banche sono stati resi possibili solo grazie ai fondi for-niti agli Stati dall’Esm o dal Fmi non influisce sul sistema di calcolo usato da Eurostat, visto che sono sempre gli Stati a essere direttamente responsa-bili della restituzione dei fondi alle isti-tuzioni internazionali” (4).

Tradotta dal gergo criptico dell’e-conomista, questa frase vuol sempli-cemente dire che gli Stati, come la Germania, che si sono indebitati con istituzioni sovranazionali al fine di in-vestire nel sistema bancario naziona-le, hanno alterato le regole della con-correnza del settore, e di conseguen-za la promozione che le banche tede-sche hanno ottenuto dalla Bce sareb-

be il frutto di una specie di ‘imbro-glio’ ai danni di quelle che non han-no beneficiato di aiuti pubblici. Così almeno la pensa Guido Salerno Alet-ta, una delle penne di punta del grup-po Class Editore: “Lo Stato italiano, nel periodo 2007-2013, ha incassato dal-le banche complessivamente ben 1,36 miliardi di euro netti, a fronte degli aiu-ti concessi con i Tremonti-bond, i Mon-ti-bond e soprattutto con la garanzia sovrana prevista nel decreto Salva-Italia sulle emissioni bancarie […] le esposizioni dirette (liabilities) dello Sta-to italiano verso il sistema bancario, che hanno impatto sul debito pubbli-co, ammontavano a fine 2013 ad ap-pena 4 miliardi di euro, una inezia”.

Il sistema bancario italiano non ha avuto quindi necessità di aiuti pubbli-ci dopo la crisi finanziaria del 2008, e anzi nel 2012 è intervenuto a soste-gno del debito pubblico. Se poi, suc-cessivamente, ha visto aumentare le sofferenze, è per colpa della crisi eco-nomica causata, secondo Salerno Alet-ta, solo “dall’errata valutazione del-l’impatto delle misure fiscali adotta-te per raggiungere l’equilibrio struttu-rale del bilancio pubblico”, cioè dalle misure fiscali depressive che sono sta-te adottate per fare cassa e rientrare entro i parametri di Maastricht. “A fine 2013, l’esposizione dello Stato tede-sco in termini di liabilities è stata di 217,9 miliardi di euro, su un comples-so a carico degli Stati dell’Eurozona pari a 343,4 miliardi di euro. C’è una enorme sproporzione: mentre il Pil del-la Germania è pari al 28,1% di quello dell’Eurozona, l’ammontare delle espo-sizioni dello Stato tedesco verso il suo sistema bancario è pari al 63% di quel-lo totale. Non si scappa, delle due l’una:

19

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Non solo il quotidiano di Confindustria ma tutti i principali giornali si sono schierati compatti pro banche e si sono affannati a concedere scusanti ai nostri istituti di credito

__________________________________________________________________________________________________4) G. Salerno Aletta, Perché Berlino non può dare lezioni, www.formiche.net, 26 ottobre 2014

Page 20: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

POLEMOS

o sono le banche tedesche a essere poco affidabili, oppure è lo Stato tedesco a essere troppo generoso”.

E ancora: “Quello della Germana è un vero e pro-prio sistema, un’architettura che usa il sistema ban-cario e le sue perdite per rendere più competitiva l’in-dustria sul piano del commercio internazionale: un dumping che danneggia comparativamente gli altri competitor. […] Le banche tedesche sussidiano l’in-dustria erogando prestiti con tassi di interesse irriso-ri, se non in perdita, bilanciati da investimenti esteri a tassi elevati e quindi molto rischiosi. Quando le ban-che tedesche accusano perdite, il costo viene accol-lato al bilancio pubblico”.

A Salerno Aletta fanno eco Fabio Pavesi e Carlo Bastasin su Il Sole 24 ore del 26 ottobre: “Le banche tedesche non solo godono di un’economia tra le più salde, ma sono di fatto le meno esposte. È infatti il credito l’attività considerata più a rischio per una ban-ca. Le attività finanziarie, comprare e vendere azioni, bond e commodity sono considerate meno pericolo-se, tanto più se gli asset finanziari, come è accaduto in questi ultimi anni salgono a dismisura. Quel capi-tale, calcolato dalle autorità per stabilire la solidità pa-trimoniale, non è parametrato all’intero bilancio ma alle sole attività a rischio, i cosiddetti Rwa. E qui il si-stema tedesco ha tutti i vantaggi dalla sua parte. Gli Rwa, le attività ponderate per il rischio, sono infatti relativamente più basse delle altre banche commer-ciali, in particolare quelle del sud Europa. Le banche germaniche cioè fanno, in proporzione, meno credi-to e più trading finanziario”. E concludono: “Di fatto ciò che rende più solide le banche germaniche è la loro bassa esposizione al credito, non certo l’abbon-danza di capitale che anzi è tenuto ai livelli minimi in-dispensabili. Quel che lascia perplessi è che le attività di trading finanziario siano di fatto considerate meno pericolose. Finché i mercati salgono nessun problema per i bilanci di banche come le tedesche imbottite di Bund, azioni, titoli strutturati” (5).

Ma non è stato solo il quotidiano di Confindustria a concedere scusanti ai nostri istituti di credito: tutti i principali giornali si sono schierati compatti pro ban-

che. Nel suo articolo L’irritazione di Ban-kitalia: calcoli su scenari improbabili, Stefania Tamburello sul Corsera del 27 ottobre cita Fabio Panetta, vicediret-tore generale di Bankitalia e rappre-sentante italiano nel meccanismo di vigilanza della Bce, che alla conferen-za stampa tenutasi a Palazzo Koch dopo la pubblicazione dei risultati ha defi-nito “estremo, quasi apocalittico” lo scenario economico dello stress test, che disegnerebbe “un Paese al collas-so e con zero possibilità di realizzarsi”, dal momento che prevede cinque anni di recessione, il crollo del Pil come in tempo di guerra, il forte rialzo dei tas-si a medio e lungo termine e il riacu-tizzarsi delle tensioni sul debito sovra-no (ma sarà poi così improbabile, que-sto scenario?). “«Per le banche italia-ne si ipotizzavano perdite di circa 3 miliardi e mezzo sui titoli pubblici in portafoglio, mentre nella realtà si sono registrate plusvalenze» dice ancora Pa-netta. Uno scenario dunque troppo se-vero, deciso a Francoforte collegialmen-te dopo un’ampia discussione che ri-sente sicuramente della situazione di bassa crescita dell’Italia. «Fosse stata una corsa di cavalli sarebbe stato come partire con l’handicap» rileva il diret-tore generale della Banca d’Italia Sal-vatore Rossi”.

Repubblica ha scelto invece di in-

20

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

___________________________________________________________________5) F. Pavesi, C. Bastasin, Il paradosso delle banche tedesche: han-no più derivati che crediti ma vengono promosse, Il Sole 24 ore, 26 ottobre 2014

Le critiche alla valutazionedella Bce poggiano su tre

capisaldi: gli aiuti che gli altri Stati hanno dato alle banche,

gli apocalittici scenari degli stress test e la vocazione

all’investimento invece che al credito che caratterizza

gli istituti tedeschi

Page 21: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Stress da stress test

tervistare il presidente dell’Abi Antonio Patuelli (6), che afferma: “L’esito dei test delle banche è soddisfa-cente per noi: c’è grande prevalenza di risultati posi-tivi, e i rilievi emersi sono stati in gran parte già risol-ti. La prova di revisione degli attivi è andata bene per tutti, ed è quella che si basa su dati reali, esistenti. Purtroppo è andato meno bene lo stress test, eserci-zio teorico fatto con assunzioni catastrofiche, ma che richiede rafforzamenti concreti”, ma “paghiamo la de-bolezza del Paese”. Inoltre, “il debito pubblico italiano non ha favorito le banche. Aggiungo che l’Italia è sto-ricamente Paese con imprese gracili e sottocapitalizza-te. E che gli aiuti pubblici alle banche durante la crisi, sono stati erogati generosamente altrove, come i 40 miliardi della Germania o i 45 della Spagna, ma non da noi. Altra forma di non aiuto, la tassazione di settore, da anni superiore a tutti i Paesi europei. Non parliamo della bad bank, concetto che in italiano non ha nean-che traduzione: gli alleggerimenti di sofferenze qui av-vengono tutti con operazioni di mercato, non con fon-di pubblici come in Spagna, dove hanno risanato le ban-che anche grazie ai contribuenti italiani”.

In sostanza, le critiche che economisti, analisti e banchieri nostrani fanno alla valutazione della Bce (e che non riguardano tanto la bocciatura degli istituti di credito italiani, quanto la promozione degli altri, so-prattutto quelli tedeschi), poggiano su tre capisaldi: il sostegno finanziario che quasi tutte le nazioni, ma non la nostra (apparentemente in nome della libertà di mer-cato), hanno riconosciuto alle banche in periodo di crisi; le ‘apocalittiche’ ipotesi di base assunte dalla commis-sione per gli stress test; e la vocazione all’investimen-to invece che al credito che caratterizza le banche te-desche.

Partiamo dalla fine (e i lettori ci scuseranno per il necessario abuso di termini tecnici, che cercheremo di spiegare): la vocazione agli investimenti è stata chia-mata in causa soprattutto per quanto riguarda le co-siddette Landesbanken, un gruppo di istituti di credi-to a proprietà regionale (dei lander, gli Stati federati

in cui è suddivisa la Germania) unico nel suo genere, su cui si erano concentra-te le preoccupazioni degli analisti (an-che internazionali) prima degli esami della Bce, e che abbastanza a sorpre-sa, almeno per alcuni, sono stati inve-ce promossi in blocco. Le Landesban-ken, responsabili istituzionali delle at-tività delle Sparkassen (le banche di ri-sparmio a base locale e regionale), han-no come business principale il who-lesale banking, sono cioè ‘banche al-l’ingrosso’. Questo significa che il loro core business consiste nell’offrire ser-vizi finanziari di alto livello non alle fa-miglie e alle piccole imprese (che be-neficiano invece, come accade da noi, del credito delle banche di risparmio), ma ad altri intermediari finanziari ope-ranti nel credito al consumo, nel set-tore dei mutui o dei prestiti persona-li, ai grandi clienti corporate, alle im-prese di medio-grandi dimensioni, alle società che costruiscono e investono in immobili, agli investitori internazio-nali, a clienti istituzionali (per esem-pio i fondi pensione, gli enti locali o le agenzie governative), e ovviamente alle altre banche e istituzioni finanziarie.

Le Landesbanken sono impegnate in attività quali l’emissione e la sotto-scrizione di azioni e obbligazioni, la quo-tazione in borsa, il market making (7), che assicura la negoziazione anche ai titoli poco trattati, la consulenza finan-ziaria, le operazioni di M&A (fusioni e acquisizioni) e il fund management, cioè l’attività di trading su portafogli in titoli di grandi dimensioni per con-to di operatori terzi. Nessuno stupo-

21

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

______________________________________________________________________________________________________________________6) A. Greco, Patuelli: «Aiuti miliardari a Spagna e Germania, noi paghiamo la debolezza del Paese», La Repub-blica, 27 ottobre 20147) Per market maker si intende “il soggetto che si propone sui mercati regolamentati e sui sistemi multilaterali di negoziazione, su base continua, come disposto a negoziare in contropartita diretta acquistando e vendendo strumenti finanziari ai prezzi da esso definiti”. D. Lgs. n. 58/1998, art. 1, comma 5-quater

Page 22: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

POLEMOS

re quindi che siano “imbottite di Bund, azioni, titoli strut-turati”, è la loro attività tipica, e i giornalisti del Sole 24 ore dovrebbero saperlo, come dovrebbero sapere che c’è una ragione se questi “Bund, azioni, titoli strut-turati” vengono considerati meno rischiosi dei presti-ti alle famiglie e alle imprese, non solo in presenza di un’economia solida come quella tedesca, ma soprat-tutto nelle fasi recessive: a differenza delle sofferen-ze bancarie (cioè dei crediti che divengono inesigibili, in tutto o in parte, perché i clienti non riescono più a rimborsare i prestiti), le azioni, le obbligazioni e i de-rivati possono essere velocemente venduti sul mer-cato, quindi hanno necessariamente un profilo di ri-schio più basso (ovviamente, quanto più basso dipen-de dalla qualità del singolo titolo).

Non ce ne vogliano Salerno Aletta, Pavesi e Basta-sin, ma le Landesbanken, ben lungi dall’essere un pro-blema per la solidità del sistema bancario, sono inve-ce uno dei fattori critici di successo dell’economia te-desca. Anche a noi un po’ di wholesale banking fareb-be comodo. Le imprese italiane, che si finanziano qua-si esclusivamente con il credito, durante questi anni di crisi hanno sofferto ben più dei loro concorrenti d’oltralpe, come spiega bene Gianluca Antonecchia (8): “Dall’inizio del secolo e fino al 2007 il modello di finan-ziamento bancario ha permesso alle imprese italiane un soddisfacente (quando non abbondante) grado di disponibilità creditizia. Ciò ha rafforzato i canali di di-pendenza delle imprese italiane dal settore bancario, rinviando quel processo di diversificazione delle fonti di finanziamento (verso obbligazioni e capitalizzazione interna, soprattutto) che gli altri due grandi partner /competitor europei, Francia e Germania, stavano al tempo affrontando. Come dalla miglior tradizione po-polare, però, dopo i confetti escono i difetti. La crisi economica ha messo in evidenza il difetto più desta-bilizzante del sistema bancocentrico di finanziamen-to alle imprese: la prociclicità. La stretta creditizia si è perciò abbattuta con maggior reverbero sulle eco-nomie come quella italiana e spagnola che, non aven-do sviluppato solide alternative ai prestiti bancari, si sono ritrovate senza liquidità sufficiente (gli squilibri

nei conti pubblici hanno, poi, aggrava-to la situazione)”.

Stefano Caselli e Stefano Gatti del-l’Università Bocconi, in uno studio con-dotto da Carefin Bocconi con Equita Sim, sottolineano come “bancocentri-smo e frammentazione del sistema pro-duttivo insieme determinano il sotto-dimensionamento del mercato finan-ziario e il limitato ricorso delle impre-se italiane al finanziamento sul mer-cato dei capitali. L’incidenza dei pre-stiti obbligazionari sul totale dei de-biti delle aziende non finanziarie non raggiunge il 7%: solo poche aziende emettono obbligazioni sul mercato dei capitali, in media dieci all’anno nell’ul-timo decennio. Pur mostrando una crescita significativa rispetto ai livelli del 2007, il rapporto tra obbligazioni e debiti finanziari delle imprese ita-liane è circa la metà di quello delle aziende francesi e anglosassoni. Ana-logamente, il ricorso al finanziamen-to con capitale di rischio in Borsa è circoscritto a poche grandi imprese. In Italia la capitalizzazione totale delle imprese non finanziarie è inferiore al 20% del Pil, mentre in Francia e in Ger-mania raggiunge invece il 50% e 35% dei rispettivi Pil. […] Appare dunque evidente l’urgenza di avvicinare le im-prese ai mercati dei capitali per dare all’economia reale gli strumenti per affrontare la crisi; risulta altresì evi-dente come il raggiungimento di que-sto obiettivo non possa prescindere

22

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Le imprese italiane si finanzianoquasi esclusivamente con il

credito e durante questi anni di crisi hanno sofferto

ben più dei loro concorrentid’oltralpe

___________________________________________________________________8) Gianluca Antonecchia, Impresa e banca, storia di una rela-zione in crisi reversibile, www.prometeia.com, 25 agosto 2014

Page 23: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Stress da stress test

da un settore di intermediazione finanziaria svilup-pato ed efficiente. Affinché le imprese, e in particola-re le Pmi, incrementino la quantità di capitale inve-stito nell’attività imprenditoriale anche attraverso un significativo riequilibrio della loro struttura finanzia-ria è infatti necessario l’intervento efficace di interme-diari che congiungano le risorse finanziarie dei mercati alle necessità di finanziamento. […] Dallo studio […] emerge tuttavia come il settore dell’intermediazione finanziaria in Italia sia strutturalmente sottodimensio-nato e dominato da un numero ristretto di campioni nazionali e come dall’inizio della crisi a oggi il settore abbia subìto un ulteriore consistente ridimensiona-mento, caratterizzato dalla progressiva scomparsa di operatori collegati alle banche commerciali, dalla ri-duzione dei team dedicati ai servizi di ricerca societa-ria e dal continuo allontanamento degli operatori esteri”.

Il problema diviene ancora più drammatico per-ché, nelle piccole e medie imprese che costituiscono l’ossatura del nostro sistema industriale, si aggiunge un altro fattore, anche lui figlio dell’antica (ormai) di-sponibilità di credito: la resistenza dei proprietari a investire nell’azienda i soldi propri: “Vitale ed elasti-ca, a tratti geniale, ma anche minuta e sottocapitaliz-zata. L’impresa famigliare italiana ha spesso il pro-prietario Porschemunito, dalle frequenti gite a Chias-so, e una patrimonializzazione sistematicamente in-feriore rispetto alle concorrenti tedesche, francesi e perfino spagnole. E, oggi, questi limiti del nostro capi-talismo a prato basso iniziano a emergere, non senza drammaticità. Adesso, che la pax fra banche e impre-se si è rotta e che il confronto sui mercati non ha in palio la crescita bensì la sopravvivenza, i numeri as-sumono un significato preciso” (9). Perché negli anni buoni l’imprenditore Porschemunito, come lo chiama il giornale di Confindustria, invece di investire nella sua azienda e accantonare fondi, ha intensificato le gite a Chiasso, nella convinzione che gli utili sono dei proprietari, e le perdite dei creditori. Così se la fab-brichetta di famiglia fallisce, oltreconfine il futuro è assicurato. Altro che capitale di rischio.

E arriviamo al secondo ordine di ac-cuse, la presunta mancanza di discer-nimento degli stress test, accusati di ‘punire’ i nostri istituti di credito per la debolezza della struttura economi-ca italiana e per le basse aspettative di crescita del Pil. Al contrario, come ab-biamo visto, le ipotesi della Bce foto-grafano esattamente quel che succe-de in un sistema bancocentrico come il nostro: ogni stretta di liquidità del sistema creditizio si ripercuote sul si-stema economico (perché non vengo-no erogati i prestiti che servono a fi-nanziare le imprese) e ogni crisi del si-stema economico si ripercuote sul si-stema bancario (perché i prestiti ero-gati quando l’economia girava smet-tono di essere rimborsati). Banche, im-prese, famiglie sono legate a doppio filo nella già citata prociclicità: quan-do le cose vanno bene, vanno bene per tutti e quando vanno male, vanno male per tutti. Adesso, come tutti sanno, vanno male, e invece di mugugnare per le bocciature strameritate meglio sarebbe che i nostri vertici istituzio-nali (Bankitalia in testa) si ingegnas-sero per scioglierci da questo abbrac-cio mortale.

Se non si vogliono cambiare le cose, tuttavia, una ragione c’è, e riguarda – caso strano – proprio l’ultimo gruppo di critiche alla Bce che dobbiamo ana-lizzare, il presunto favoritismo accor-dato alle banche tedesche in quanto beneficiarie di rilevanti aiuti di Stato. Oltre a non specificare come mai sa-rebbe un problema il sostegno pubbli-co ai settori economici in difficoltà (il sistema bancario è un settore proprio come il manifatturiero, l’editoria, l’e-dilizia ecc. e investirvi darebbe l’oppor-tunità di aver voce in capitolo nelle sue strategie di indirizzo, nota non irrilevante per una politica che vuole

23

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

___________________________________________________________________9) M. Alfieri, P. Bricco, Il coraggio di investire sull’azienda, Il Sole 24 ore, 20 settembre 2009

Page 24: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

POLEMOS

dire la sua anche con i poteri forti), i Chicago Boys di casa nostra, ben più tolleranti verso le iniezioni di de-naro pubblico quando vengono effettuate in loro fa-vore sotto forme meno trasparenti, evitano di dichia-rare che lo Stato non investe nelle banche nostrane perché sono le banche a investire nello Stato, e ne sono diventate oggi l’azionista di maggioranza. Secon-do un’elaborazione dati congiunta Bankitalia-Bloom-berg, ad aprile 2013 la quota di debito pubblico pos-seduta dalle banche italiane si attestava al 50%, e a essa si deve aggiungere il 5% circa storicamente nelle mani di Bankitalia.

Lo riporta Frank Menichelli nel suo studio intito-lato Chi detiene il debito pubblico italiano? Un’analisi di lungo periodo (10), pubblicato dall’associazione Nuo-va Economia Nuova Società (Nens) (11). Consideria-mo l’andamento di lungo periodo (1997-2013) delle quote percentuali di debito pubblico italiano detenu-te da banche italiane ed estere. Secondo Menichelli, l’andamento delle grandezze riportate identifica con buona precisione tre fasi distinte: “Un primo periodo (1997-1999) in cui il processo di convergenza verso la moneta unica ha imposto una rapida ‘europeizzazio-ne’ del debito con una crescita decisa della quota de-tenuta dal settore bancario estero, prevalentemente comunitario; un periodo intermedio (2000-2008) ca-ratterizzato dalla prevalente e capillare diffusione del debito italiano nelle banche dell’Eurosistema e dalla sostanziale costanza della quota detenuta dal sistema bancario nazionale; […] un periodo terminale (2009-2013), in cui a partire dallo shock globale del fallimen-to di Lehman Brothers, il differenziale negativo tra le quote detenute dai sistemi bancari nazionale ed este-

ro si è andato riducendo, dapprima per la crescita sostenuta del debito nel-le mani delle banche italiane. Il feno-meno si è poi amplificato per la ridu-zione improvvisa della quota detenu-ta dagli investitori esteri. […] Il pro-cesso di nazionalizzazione del debito non è solo la spia di un malfunziona-mento del sistema finanziario comu-nitario, ma a sua volta ha degli effetti negativi particolarmente pronunciati sull’economia italiana. […] La quota di debito nelle mani degli investitori pri-vati è infatti crollata da oltre il 40% a poco più del 10%; quest’ammontare pari a oltre il 30% del debito governa-tivo italiano è detenuta ora in mag-gioranza dal settore bancario nazio-nale visto che il differenziale della quo-ta detenuta dal sistema bancario este-ro è passata solo dal 20% al 35%. Com-plice di questo trend è stato anche il fenomeno dell’intermediazione da spread; le banche hanno infatti tro-vato dei guadagni privi di rischio pro-prio sostituendosi agli investitori pri-vati nell’acquisto di titoli di Stato e collocando loro finanza strutturata di bassa qualità, cioè con probabilità ri-sibile di fornire rendimenti coerenti con i rischi trasferiti. Le banche italia-ne sono dunque sempre più coinvol-te a doppio filo nel rifinanziamento del debito governativo: infatti i rendimen-ti elevati rendono l’investimento in ti-toli di Stato appetibile in un momen-to di recessione in cui i profitti deri-vanti da investimenti nell’economia reale calano naturalmente”. E ancora: “Con il deflagrare della crisi del debi-to italiano nell’estate 2011 il tasso di

24

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

______________________________________________________________________________________________________________________10) F. Menichelli, Il processo di nazionalizzazione del debito pubblico italiano. Il supporto Bce alle banche, la disin-termediazione dell’economia reale e la possibile fine dell’euro, www.nens.it11) Nens è un think tank fondato nel 2001 da Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco, insieme con Nicola Rossi, Giulio Sapelli, Giuseppe Farina e Paolo Ferro Luzzi

Il problema diviene ancora più drammaticonelle piccole e medie imprese dove

si aggiunge un altro fattore: la resistenza dei proprietari a investire nell’azienda

i soldi propri

Page 25: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Stress da stress test

incremento del debito detenuto dal sistema bancario subisce un’ulteriore accelerazione, mentre i prestiti alle famiglie e alle imprese iniziano addirittura a decresce-re in valore assoluto, dando l’avvio al temuto credit crunch [stretta creditizia, n.d.a.] che sta tuttora ag-gravando l’infinita recessione dell’economia italiana”. La situazione tuttavia diventerebbe drammatica qua-lora i titoli del debito governativo diventassero ‘carta straccia’ a causa delle pessime condizioni dell’econo-mia dello Stato (è già successo a Irlanda e Grecia, per esempio): le banche, azioniste di maggioranza dell’I-talia, sono massimamente esposte verso il ‘rischio Pae-se’, e gli esami della Bce non potevano non rilevarlo.

Le presunte ipotesi apocalittiche degli stress test e relative bocciature svelano dunque la pessima ge-stione non solo finanziaria, ma anche industriale e della cosa pubblica che costituiscono oggi il sistema Italia (una ragione c’è se gli investitori esteri da noi non solo latitano, ma addirittura scappano, come i cervel-li), indissolubilmente intrecciate nel circolo vizioso che si autoalimenta sotto gli occhi di tutti, ma che a nessun osservatore conviene denunciare (figuriamo-ci spezzare). A quelli legati alle imprese o coinvolti in politica, perché sono sottomessi ai diktat delle ban-che, e a quelli collegati alle banche perché al momen-to sopravvivono discretamente sulle macerie della no-stra economia (anche se gli indici di Borsa iniziano a tentennare davanti a tanta salute). Certo che prima o poi anche le macerie finiranno. E allora dove saremo?

25

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 26: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

L'INTERVENTO

Incontro-dibattito Le relazioni tra gli Stati nazionali e le imprese multi-nazionali nell’era della globalizzazione, Facoltà di Scienze politiche, Uni-versità Statale di Milano, 23 ottobre 2014

Pedro Paez. Nelle ultime tre/quattro decadi il mondo è stato dominato da un pensiero unico. Sfortunatamente non lo percepiamo come tale, per colpa della profondità con cui lo abbiamo interiorizzato, attraverso alcuni modelli di pensiero ben definiti, specifiche letture della Storia, della politica, della geopolitica che sono diventate dominanti rispetto ad altre; soprattutto abbiamo assimilato l’idea che le trasformazioni del ca-pitalismo e della società moderna siano strutturalmente irreversibili.

Quello che ci viene presentato oggi, in questa fase di crisi economi-ca, è l’esistenza di una contrapposizione tra gli Stati nazione e le istitu-zioni transnazionali. Occorre innanzitutto riflettere su che cosa sia l’isti-tuzione statale: noi consideriamo lo Stato una realtà naturale come il vento, i fiumi, le montagne, mentre è una costruzione storica. Possiamo individuare proprio a Milano, sette secoli fa, con la famiglia Visconti, la nascita del prototipo del futuro modello di Stato dell’Europa dell’Ovest. Le successive trasformazioni, basate sull’umanesimo cattolico di San Tom-maso ma soprattutto sul pensiero di Niccolò Cusano e sulla teoria politica

26

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

di Pedro Paez* e Vittorio Agnoletto

Stati, multinazionali, globalizzazione, crisi strutturale del capitalismo

___________________________________________________________________________________________*Economista, ecuadoregno, autore di diversi libri sulle politiche macroeconomiche al-ternative, l’integrazione regionale, le lotte contro i monopoli, la crisi delle politiche mo-netarie; nel 2006 è stato vice ministro dell’Economia dell’Ecuador e dal 2007 al 2008 ministro dell’Economia e presidente del Consiglio del Commercio estero e degli inve-stimenti; nel 2007 ha assunto la presidenza della Commissione presidenziale per la conformazione della nuova architettura finanziaria - Banca del Sud; da 2012 è re-sponsabile della Sovrintendenza di controllo del potere di mercato, un nuovo organi-smo di controllo e regolazione della concorrenza e di lotta contro i monopoli e gli abusi di potere di mercato; è membro della Commissione Stiglitz sulla riforma del sistema monetario e finanziario internazionale e del Gruppo di Parigi.

Page 27: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

di Macchiavelli, hanno creato le strutture fondanti del-la stessa istituzione dello Stato, regole interne e coe-renti che non sono solo una questione di legittimità o di ideologia o di consenso, ma sono le regole del gio-co dell’accumulazione capitalistica; norme che rende-vano impossibile una modalità diversa di accumula-zione, a meno di non violarle, rompendo i patti civili che erano alla base della società. Così come, prece-dentemente, il diritto romano aveva organizzato le di-spute legali, fissando forme civili di risoluzione dei con-flitti che si venivano a creare tra i differenti poteri del capitalismo all’interno del mercato, ancora prima che il capitalismo esistesse, più di 2000 anni fa.

Gli Stati nazione sono stati costituiti attraverso una coerente normativa gerarchica e piramidale che con-sentiva di aprire le porte a bilaterali e volontarie rela-zioni di mercato, perché quest’ultimo non può ope-rare senza norme, o forse senza la finzione che esiste un volontario patto tra le parti, che agiscono su piani simmetrici e in accordo sulle transazioni. Occorre sem-pre tenere a mente che una transazione economica è un conflitto politico già risolto. La moneta stessa, ogni tipo di transazione monetaria, è una sublimazione del-la possibile violenza che coinvolge ogni disputa in me-rito all’equivalenza della transazione.

Lo stesso meccanismo della formazione dei prezzi non è una dinamica automatica: è un processo nel qua-le le logiche del capitalismo, che sono basate sul prin-cipio che si debba permanentemente massimizzare la differenza tra l’ammontare del denaro che si intro-

duce nel mercato e quello che si estrae – la formazione del profitto – richie-de un continuo processo aggiuntivo, una potenza di elaborazione, che non si trova all’interno del mercato, che non proviene dagli operatori origina-li, ma dagli Stati sovrani. Sono questi ultimi che attraverso il signoraggio, os-sia la capacità e la possibilità di impor-re arbitrariamente l’ammontare di mo-neta in circolazione con la sua emis-sione, incidono nella formazione dei prezzi. La massimizzazione del profit-to richiede dunque una permanente frattura tra il denaro che si immette nel mercato, attraverso i prodotti, e quello che si estrae, con la vendita dei pro-dotti. Non è un aspetto di poco con-to. Sono il sistema nazionale del cre-dito e quello della spesa pubblica che introducono nel mercato questa in-dispensabile capacità addizionale. Ciò significa che tutto l’apparato e l’inter-vento macroeconomico degli Stati non sta al di sopra del sistema capitalisti-co, ma ne è parte integrante; diversa-mente sarebbe impossibile per il capi-tale realizzare i profitti.

Lo sviluppo del capitalismo moder-no operato sotto gli Stati è direttamen-

27

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 28: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

L'INTERVENTO

te collegato, per esempio, alla pace di Westfalia del 1648, nella quale la giurisdizione delle nazioni nascenti su un determinato territorio stabili-va le condizioni di apertura del mercato interno e le normative giuridi-che, in modo da fissare regole del gioco eguali per tutti; esigenze di base per la competizione, per il principio di accumulazione, primitiva o ordi-naria, e la possibilità di una permanente introduzione di scienza e tecno-logia nel processo lavorativo. In pratica venivano create, normate e so-stenute le esigenze del capitale manifatturiero, che si evolveva di pari passo con il capitale commerciale e il capitale usuraio. È questa la reale dimen-sione, la profonda trascendenza, della costituzione degli Stati nazione.

Attualmente queste tre forme di capitale – manifatturiero, commerciale e usuraio – sono diventate figure di capitale pre-capitalistico. Nelle ulti-me decadi l’impresa ha conquistato la supremazia rispetto alla giurisdi-zione sovrana degli Stati, innescando un cambiamento che sta generan-do una permanente dinamica di erosione sia dei meccanismi di base del-l’accumulazione moderna, ordinaria, che delle condizioni di stabilità po-litica, perché, lo ricordiamo, ogni transazione economica è un conflitto poli-tico già risolto.

Prima di tutto dobbiamo capire che l’attuale crisi non è una crisi finan-ziaria: stiamo vivendo gli effetti dell’implosione finanziaria, ma questa è solo l’esplicitazione delle profonde conseguenze di una crisi strutturale della produzione avanzata. Gli anni d’oro del capitalismo sono stati il pro-dotto di una temporanea risoluzione della precedente crisi strutturale, che si è manifestata all’inizio del ventesimo secolo: sono state le due guerre mondiali ad aver risolto le crisi geopolitiche dei primi del Nove-cento, che erano crisi strutturali del sistema produttivo avanzato. È sta-ta la sconfitta delle forze fasciste, dopo la seconda guerra mondiale, che ha reso possibile la trasformazione della dinamica della distribuzione del reddito a livello globale, aprendo le porte all’aumento della produzione di merci attraverso una massiccia produzione industriale. Abbiamo avu-to il New Deal negli Stati Uniti, la costruzione della socialdemocrazia in Europa, le diverse strategie nazionali che hanno coinvolto riforme molto importanti, agrarie e del lavoro, in Giappone, a Taiwan e nel Sud-Est asia-tico; abbiamo avuto la decolonizzazione del Sud, l’espansione dell’indu-strializzazione nell’America latina, in India. Sono state create dinamiche di mercato coerenti con la velocità e l’orientamento del processo di ac-cumulazione di quel periodo storico, ed è questo che ha prodotto gli anni migliori del capitalismo, la più alta creazione di profitti.

Ora cosa abbiamo? In qualche modo una ripetizione del medesimo processo. È stata creata, in termini geografici, una seconda geometria del-l’industria produttiva semiperiferica. La prima è stata formata dopo la se-conda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti, primo potere industriale, hanno investito forze nella ricostruzione dell’Europa e del Giappone; oggi

28

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 29: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Stati, multinazionali, globalizzazione, crisi strutturale del capitalismo

abbiamo la seconda fase consequenziale, controllata da una struttura di potere sovranazionale. Gli Usa e la Gran Bretagna hanno creato le nuove condizione di dominio mondiale, un progetto nato all’interno della Trilaterl Commission e del gruppo Bilderberg, realtà che disegnano una stretta alleanza tra i vincitori e i perdenti dei conflitti mondiali.

La prima crisi strutturale del dopoguerra è esplo-sa negli anni Settanta, e il tentativo di risolverla è pas-sato attraverso la dinamica della stagflazione, che però si è rivelata insufficiente. Sono stati quindi esplorati e creati nuovi assi geografici per l’industria semiperife-rica, le Tigri asiatiche, per esempio. Poi negli ultimi anni, nel mezzo del tentativo di rimediare alla crisi struttu-rale, abbiamo avuto la formazione di una nuova semi-periferia: i BRIC. Questa economia emergente presen-ta però una nuova caratteristica: per la prima volta non si sviluppa in terre occupate militarmente. Ogni precedente formazione di un’industria semiperiferica era infatti nata sotto il diretto controllo della Nato, men-tre Cina, India, Russia e Brasile non sono Stati occupa-ti, e questo ha creato tensioni geopolitiche.

Il trasferimento del primato dell’industria dai vec-chi ai nuovi attori e alla nuova semiperiferia ha però peggiorato i problemi originali della crisi strutturale, per-ché ogni avvio di produzione avanzata richiede la crea-zione di una capacità industriale aggiuntiva. Nel caso della Cina abbiamo avuto la compressione dei proces-si produttivi degli ultimi quarant’anni in meno di quin-dici anni, e non stiamo parlando della ripetizione del-lo stesso potere tecnologico ma di un potere avanza-to di innovazione tecnologica. La Cina è passata dalla produzione per l’export di merci di consumo a bassa qualità alla produzione di beni ad alta qualità, e negli ultimi cinque-sei anni utilizzando le tecnologie più re-centi, nel bel mezzo di una forte rivoluzione scientifi-ca e tecnologica.

Nei primi cinque secoli l’introduzione della scien-za e della tecnologia nel processo lavorativo ha crea-to una rivoluzione nel modo di produzione che è sta-ta simile in tutte le zone geografiche in cui si è diffu-sa, e che ha sostituito qualsiasi altro sistema di produ-zione; oggi il capitalismo non ha fermato l’innovazione, ma sta cercando di rallentarla, per evitare di inonda-

re il mercato con merci a basso prez-zo che non sono in grado di garantire la rendita del profitto che il regime di monopolio consentirebbe. Il capitali-smo, in pratica, ha raggiunto una ca-pacità produttiva che è diventata con-troproducente per gli interessi del ca-pitalismo stesso. Oggi il livello di pro-duttività creato dalle innovazioni scien-tifiche e tecnologiche è tale che le im-prese non fanno in tempo ad ammor-tizzare il costo dei macchinari, come facevano nella precedente fase del ca-pitalismo, che una nuova tecnologia è già disponibile e li rende obsoleti. Una dinamica particolarmente evidente nel caso dei telefonini, dei computer, di al-cuni nuovi materiali. Per questo oggi una lampadina è programmata per du-rare, per esempio, solo 1.000 ore: per-ché c’è bisogno di creare una doman-da artificiale nel mercato, per ogni tipo di merce. La rivoluzione della produ-zione agricola negli anni Cinquanta era orientata ad aumentare la qualità dei prodotti, in relazione alla salute; la ri-voluzione di oggi mira a introdurre i prodotti transgenici al fine di mono-polizzare il controllo dei raccolti, e pre-cludere a chiunque la possibilità di pro-durre in modo indipendente. Questa è una trasformazione irreversibile del capitalismo, perché è una contraddi-zione interna, ontologica al sistema, inevitabile, non un momento di con-fusione.

Per cercare di rispondere a questa crisi strutturale si è innanzitutto mo-dellato il mercato. Dobbiamo per pri-ma cosa analizzare la dinamica inter-na al sistema capitalistico, la sua on-tologica contraddizione, il legame tra profitto e investimenti produttivi. Du-rante il primo regime di accumulazione

29

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 30: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

L'INTERVENTO

abbiamo avuto una corrispondenza, una coevoluzione: alti profitti e alti investimenti. Le crisi cicliche sul piano macroeconomico che si sono ve-rificate non erano altro che livelli coerenti con i differenti ritmi dell’accu-mulazione capitalistica. Con l’applicazione delle politiche neoliberiste e la conseguente globalizzazione, come prima mossa il capitale ha cercato di ritrovare lo stesso livello di produttività, e quindi ripristinare il livello dei profitti, aggredendo il capitale variabile, ossia la forza lavoro, deloca-lizzando nei Paesi a bassi salari. Questo però ha innescato la seconda fase della crisi: per una trentina d’anni i profitti hanno registrato buoni livelli, ma il loro legame non era più con gli investimenti produttivi: era con la speculazione finanziaria. È lì che è stato dirottato il denaro non più de-stinato al rinnovamento tecnologico del processo di produzione. Il pun-to, oggi, è che se questo colossale ammontare di denaro che viene pom-pato nel mercato finanziario fosse immesso negli investimenti produtti-vi, la crisi strutturale della produzione avanzata potrebbe diventare an-cora peggiore. È questa la contraddizione ontologica del capitalismo, e per questo la crisi è strutturale e non ciclica.

Questa economia finanziaria speculativa non ha nulla a che fare con l’e-conomia reale. Non siamo nel processo per cui del denaro, sotto forma di credito, finanzia un progetto produttivo, che crea una merce, che ge-nera un profitto, per pagare il debito iniziale. In questo caso c’è tutto l’interesse affinché il processo produttivo generi utili. Gli investimenti speculativi hanno al contrario l’interesse a precludere, a evitare la possi-bilità che quel debito venga ripagato. La speculazione cerca la specula-zione. Per un tipo di capitalismo finanziario, quello tradizionale, è impor-tante creare le condizioni affinché il debito sia restituito, ma per il capi-talismo finanziario basato sulla speculazione conta unicamente preserva-re la speculazione stessa; e lo può fare solo tenendo i Paesi, le imprese, il lavoro, in una eterna schiavitù.

Al punto in cui siamo, entrambi i tipi di debito sono totalmente inso-stenibili. Quello tradizionale – debito privato delle famiglie, carte di cre-dito, mutui ipotecari, debito pubblico – lo è divenuto per un problema strutturale di solvibilità, mentre la nuova generazione di debito finanzia-rio che si è presentata in questa fase del capitalismo, la finanza dei deri-vati, è insostenibile per la sua stessa natura e composizione. Stiamo par-lando di prodotti finanziari del tutto fuori controllo, che non poggiano su alcuna piattaforma contabile, strutturati su altri debiti, nella maggior parte dei casi assicurazioni senza premio e senza riserve, e quindi ester-ni al sistema dei debiti legati all’economia reale; prodotti che rappresen-tano un nuovo tipo di diritto, un nuovo titolo finanziario.

La finanza dei derivati segna da anni una crescita esponenziale sia ri-spetto al Pil globale che al debito finanziario nella sua totalità. Giusto per avere un ordine di proporzioni, oggi il Pil mondiale è intorno a 70 trilioni

30

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 31: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Stati, multinazionali, globalizzazione, crisi strutturale del capitalismo

di dollari; il debito tradizionale rappresenta 220 tri-lioni di dollari; il debito della finanza dei derivati è equivalente a 1.500 trilioni di dollari. È una situazio-ne insostenibile. È come il gioco delle sedie musicali: c’è un gruppo di danzatori e un numero inferiore di sedie, e quando la musica si ferma bisogna cercare di sedersi. Facendo un paragone, è come se ci fossero 7 sedie e 22 persone che ballano – e già così è insoste-nibile – e improvvisamente compaiono altri 150 gio-catori, e il numero di sedie resta il medesimo. Esiste una sola soluzione per tenere in piedi il gioco: non fermare mai la musica. E l’unico modo per farlo è in-trodurre nuovi danzatori ogni cinque minuti, immet-tendo liquidità nel sistema. È questo che fanno la Bce, la Fed, la Banca del Giappone, la Banca svizzera e la Banca inglese.

Questa crisi è un enorme processo di espropriazio-ne della capacità di prendere decisioni, a livello degli Stati nazione, delle istituzioni internazionali – come l’Onu, per esempio – e naturalmente dei lavoratori. Siamo davanti alla Cronaca di una morte annunciata. Non c’è niente di più drammatico di questo, e ha im-plicazioni politiche, morali, ideologiche e perfino reli-giose.

Viviamo una situazione che non ha precedenti sto-rici nel processo di monopolio. L’attuale concentrazio-ne delle imprese multinazionali è qualcosa che non si è mai verificato prima, e non stiamo parlando dei pa-radisi fiscali e dell’economia sommersa ma di quella legale. Ci sono 147 corporation, tra loro collegate da una fitta rete di connessioni di varia natura – proprie-taria, finanziaria ecc. – che controllano il 40% del Pil mondiale (1). Le persone, le famiglie che possiedono queste 147 corporation, sono le principali responsabili della crisi finanziaria, sono gli autori della corruzione, dell’incompetenza, di questa permanente violazione delle leggi che loro stessi hanno imposto a noi e alla società. Stanno distruggendo le regole e i privilegi del precedente regime che ha sostanziato il capitalismo moderno, che di colpo è divenuto superfluo. Viviamo in un fase di accelerazione del processo di erosione

delle istituzioni capitalistiche che lo stes-so capitalismo ha creato.

Questo sistema bancario collate-rale, il cosiddetto shadow banking sy-stem, il sistema bancario ombra, che gestisce la finanza speculativa, è nel cuore stesso delle istituzioni finanzia-rie: sono le banche troppo grandi per fallire e troppo grandi per andare in prigione. Il concetto di shadow banking è un eufemismo, perché è la gestio-ne in ombra delle banche legali, la par-te non regolata che non presentano alle Autority: J.P. Morgan, Unicredit, So-ciete Generale, Deutsche bank, Bar-clays ecc. È chiaro che questo sistema è illegale, ma viene portato avanti con arroganza.

Tutto questo avviene nel mezzo di una feroce disputa di potere, anche geopolitica, che si gioca dentro la Tri-lateral. Per primo è stato provocato il crollo del capitalismo giapponese, con gli accordi del Plaza e del Louvre, che hanno generato la crisi delle banche nipponiche e innescato una depressio-ne che il Giappone vive da venticinque anni; adesso è il momento del conti-nente europeo. Il deterioramento de-gli indicatori macroeconomici dell’Eu-ropa sono la diretta conseguenza dei rimedi messi in atto contro la crisi strutturale: la crisi dei debiti pubblici non è una crisi degli Stati nazione ma del capitalismo, ed è stata introdotta dalle politiche di austerity, le stesse po-litiche che furono applicate nell’Ame-rica latina e che sono mirate a toglie-re ossigeno, a installare una cronica crisi fiscale e finanziaria e a provoca-re una implosione della situazione so-ciale. Quindi la tremenda tensione che stiamo vivendo non è solo una guer-ra di classe, della classe capitalistica

31

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

___________________________________________________________________1) Cfr. Stefania Vitali, James B. Glattfelder, Stefano Battiston, The network of global corporate control, Zurigo, settembre 2011

Page 32: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

L'INTERVENTO

mondiale contro i lavoratori, ma è anche una feroce guerra tra due tipi di capitalismo: finanziario e produttivo. L’orientamento compulsivo ver-so una deregolamentazione sempre più vasta è stato messo in opera con il supporto e la complicità di tutte le istituzioni finanziarie, quelle che erano nate con gli accordi di Bretton Woods e che originariamente era-no parte integrante del meccanismo di rinforzo della capacità degli Stati di regolamentare e intervenire nel mercato; dopo la distruzione degli ac-cordi da parte della City londinese nel 1971 – perché l’avvio l’hanno dato le banche della City e non quelle di Wall Street – quelle istituzioni si sono trasformate nei pilastri dell’ideologia neoliberista, della globalizzazione e della insostenibilità del sistema, e hanno aperto una guerra distruttiva contro gli Stati.

Questa differenza tra la logica dell’accumulazione del capitale finan-ziario collegato al capitale e al processo produttivo, e la logica del capi-tale speculativo, è una contraddizione irrisolvibile del capitalismo, che si sta esprimendo anche sugli equilibri mondiali perché è anche una crisi di egemonia. Da qui la forte tensione geopolitica che viviamo oggi, del tutto simile a quella di un secolo fa, prima che scoppiasse la guerra. Ed è per questo che l’espressione geopolitica di questo conflitto potrebbe essere di nuovo la guerra. Perché la guerra è l’unica soluzione che pre-vede l’agenda del capitale speculativo, nel caso in cui i meccanismi mes-si in atto contro la crisi strutturale non riescano a far aumentare nuova-mente i profitti nell’economia reale. Provocare ogni tipo di conflitto, fi-nanziare ogni parte coinvolta, vendendo armi, e poi distribuire contratti e appalti per la ricostruzione, è l’unico modo per ripristinare la logica di accumulazione dell’economia reale. Naturalmente nel nome della de-mocrazia e della libertà. Quel meccanismo che la comunità internazio-nale chiama ‘cambi di regime’.

Vittorio Agnoletto. In merito alla finanza speculativa, si stima che global-mente, ogni giorno, avvengano circa 4 miliardi di transazioni finanziarie, e che l’80% di queste siano di tipo speculativo. Per comprendere cosa sia-no i derivati finanziari possiamo fare un esempio: oggi sei grandi multi-nazionali controllano il 50% della produzione dei cereali dei prossimi cin-que anni nella Borsa mondiale dei cereali a Chicago. Quei cereali ora non sono sul mercato, in gran parte devono ancora essere coltivati, ma la com-pagnia multinazionale ha un documento di carta, un certificato, dove ri-sulta che sarà proprietaria di gran parte dei cereali che verranno prodotti. Ci sono delle conseguenze ovvie: la possibilità di costruire dei cartelli mo-nopolistici e di decidere dove e come coltivare – il dove è importante, per-ché un Paese può passare da un meccanismo di sovranità alimentare, a filiera corta, ossia dove la produzione è legata al consumo, a produzioni monopolistiche finalizzate all’esportazione. Ma c’è un secondo passag-gio: il foglio che attesta la produzione futura di cereali ha un valore in sé,

32

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 33: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Stati, multinazionali, globalizzazione, crisi strutturale del capitalismo

: il pane e la morte

da giocare nel meccanismo finanziario come prodot-to derivato; la multinazionale lo immette quindi nel mercato speculativo e questo titolo assume autono-mia propria, e a un certo punto si slega completamen-te dalla merce che in teoria rappresenta (che già esiste o che ancora deve essere prodotta). Questo derivato finanziario viene poi spezzettato, diviso in tante pic-cole parti, mescolato ad altri pezzi di carta, altri deri-vati, che rappresentano altre merci, e trasformato in quei derivati finanziari tossici di cui nessuno conosce la composizione e che stanno dentro gli interscambi tra le diverse banche – e che sempre più spesso vengo-no rifilati a ignari cittadini. C’è poi un’ulteriore conse-guenza nel caso della Borsa dei cereali di Chicago, per-ché il prodotto che sottostà ai derivati finanziari è un alimento, un cibo, e quindi è importantissimo.

Allargando il discorso sul piano generale, occorre per prima cosa mettere dei punti fermi. Il Global Weal-th Report 2014 dell’istituto di ricerca della Credit Suis-se riporta, come tutti gli anni, la Piramide della ric-chezza globale (Figura 1): lo 0,7% della popolazione

controlla il 44% della ricchezza del mon-do, e il 7,9% controlla il 41,3%; questo significa che l’8,6 della popolazione controlla l’85,3% della ricchezza. Ab-biamo poi, sull’altro lato, il 69,8% del-la popolazione mondiale, cioè i due terzi, che hanno una ricchezze pari al 2,9%. È una piramide che cresce di anno in anno: la punta diventa sempre più piccola e la base si allarga.

Il Tax Justice Network di John Chri-stensen ha pubblicato una mappa (Fi-gura 2) dove, alla base, sono rappre-sentate le cento maggiori concentra-zioni economiche, e 41 di queste non sono Stati ma multinazionali. Quindi abbiamo delle imprese private che han-no una ricchezza estremamente mag-giore di tante nazioni, e non solo di Paesi dell’Africa o dell’Asia ma anche europei. Possiamo dire che se la mia

33

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

______________________________________________________________________________________________________________________Figura 1. La Piramide della ricchezza globale. Fonte: The Global Wealth Report 2014, Credit Suisse

Page 34: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

L'INTERVENTO

generazione studiava la Storia come relazione tra Stati e tra governi, oggi esiste un nuovo soggetto: le multinazionali.

Le corporation hanno però una caratteristica che crea un rapporto to-talmente asimmetrico con i Paesi: uno Stato ha delle leggi, più o meno democratiche, e un problema di consenso e di condivisione, mentre la struttura interna delle multinazionali è gerarchica, piramidale, non ha un mandato democratico e ha un unico obiettivo: rispondere ai propri azio-nisti, e quindi massimizzare i profitti.

Ormai da qualche anno, questo ‘gioco’ tra multinazionali e Stato ha oc-cupato un grande spazio. Le prime rivendicano i propri diritti rispetto ai secondi, e fanno causa ai Paesi se non vengono tutelati i loro profitti. Esi-stono una serie di esempi interessanti.

Tra le istituzioni internazionali nate dopo Bretton Woods vi è la Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, che ha al proprio interno una serie di accordi denominati Trips, che riguardano la proprietà intellettuale sui brevetti (2). Significa, per esempio, che un’azienda farmaceutica che mette sul mercato un nuovo farmaco rimane l’unica a poterlo produrre per vent’anni, e quindi ha la possibilità di stabilire il prezzo e anche il mer-cato: può tenere un prezzo basso e cercare di venderlo a un numero mol-to alto di Paesi, oppure può alzarlo riducendo così la possibilità di acces-so al farmaco. Nel 1994 Nelson Mandela diventa presidente del Sudafri-ca; in quell’epoca, il 35-40% delle donne sudafricane tra i 14 e i 40 anni è sieropositivo, quindi condannato a morte. Mandela tenta una trattati-va con Big Pharma ma non ottiene nulla, e quindi decide di dare la pos-sibilità alle aziende farmaceutiche sudafricane di introdurre nel Paese i farmaci per l’Hiv senza rispettare i brevetti. Trentanove multinazionali far-maceutiche, capitanate dalla Glaxo Wellcome, fanno causa al governo su-dafricano presso un organo particolare del Wto, una specie di tribunale, che deve decidere sulla vertenza, accusando il Sudafrica di non rispetta-re gli accordi Trips. In seguito a una campagna mondiale e all’organizza-zione della società civile, nell’aprile del 2001 le corporation fanno mar-cia indietro: Mandela non ottiene la possibilità di produrre tutti i farmaci, ma riesce almeno a firmare un accordo che prevede la disponibilità in Sudafrica di alcuni antiretrovirali a prezzi contenuti. Tiene poi un discor-so divenuto famoso nel quale afferma che centinaia di migliaia di perso-ne sono morte, e potevano essere salvate, o perlomeno vivere più a lun-go, se i farmaci fossero stati disponibili.

La stessa vertenza si sviluppa qualche anno dopo con il Brasile, che ha un’economia più forte e quindi riesce a risolverla attraverso una trat-tativa con Big Pharma. Non riesce a fare la stessa cosa Portorico, che non è in grado di avere accesso ai farmaci e perde la causa di fronte al tribunale del Wto.

34

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

___________________________________________________________________________________________2) Cfr. Giovanna Cracco, Globalizzazione, capitale, lavoro, Paginauno n. 36/2014

Page 35: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Stati, multinazionali, globalizzazione, crisi strutturale del capitalismo

risi strutturale del capitalismo

Andiamo avanti con gli anni e arriviamo all’aprile 2013, quando si conclude la prima fase di un’altra cau-sa estremamente importante: allo scadere del brevet-to del Glivec, un farmaco antitumorale prodotto dal-la Novartis – che ha fruttato alla multinazionale, nel solo 2012, 4,6 miliardi di dollari di profitti – l’India in-troduce dei farmaci generici con lo stesso principio at-tivo del Glivec; ma la Novartis mette sul mercato una nuova versione del farmaco del quale ha modificato leggermente la composizione, ottenendo così una mo-lecola che viene pubblicizzata come più efficace e si-cura, e per questo motivo chiede il prolungamento nel tempo della durata del brevetto e quindi il diritto esclu-sivo alla produzione. Ma nel frattempo le industrie in-diane hanno iniziato a produrre il generico per conto loro, ed è a questo punto che la Novartis protesta chie-dendo sia rispettato il diritto alla ‘proprietà’, e affer-mando che la legge nazionale è in contrasto con gli ac-cordi Trips. Il governo indiano sostiene invece che le

modifiche apportate non rappresen-tano una tale innovazione da legitti-mare la richiesta di un prolungamen-to del brevetto: è semplicemente un escamotage dell’azienda per poter con-tinuare ad agire in regime di monopo-lio. In termini economici, la terapia con il farmaco brevettato costa 2.000 dol-lari al mese, quella con il generico 100 dollari. Nel 2006 la Novartis apre la causa e nell’aprile 2013 la perde da-vanti al Tribunale supremo indiano. Ora si vedrà presso quale istituzione la mul-tinazionale deciderà di fare ricorso.

Abbiamo poi un altro esempio: una decisione dell’Organizzazione mondia-le della sanità con cui l’Oms ha chie-sto a tutti i Paesi di attivare campagne e leggi contro il fumo in nome della

35

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

______________________________________________________________________________________________________________________Figura 2. State of corporate power 2012. Fonte: Transnational Institute (TNI)

Page 36: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

L'INTERVENTO

tutela della salute. Questo invito viene raccolto da molte nazioni, in par-ticolare dall’Australia e dall’Uruguay, che delibera leggi molto severe sul fumo – in quel momento presidente del Paese è un oncologo, quindi una persona particolarmente sensibile sull’argomento. La Philip Morris de-nuncia l’Uruguay, e avendo sede in Svizzera utilizza un vecchio trattato bi-laterale e apre la causa davanti a un ‘tribunale’ collocato presso la Ban-ca mondiale. Nel giro di un anno e mezzo sarà presa la decisione, che sta-bilirà non solo il futuro della legge sul fumo dell’Uruguay ma anche se lo Stato dovrà pagare o meno una multa per avere danneggiato gli interes-si della multinazionale. A oggi il Paese ha pagato 8 milioni di spese legali, e se perde la causa rischia di dover versare una multa pari al 5% del Pil.

Siamo in una situazione in cui non ci sono legislazioni internazionali democratiche e approvate dall’Onu a dirimere questi conflitti, mentre ci sono degli organismi, Wto, Fmi e Bm, che hanno delle strutture al loro interno che funzionano come veri e propri tribunali. I casi sono tantissi-mi: la Myers ha fatto causa al Canada perché il Paese è intervenuto a li-mitare l’esportazione del Pcv, un prodotto assolutamente dannoso, e la multinazionale ritiene di essere stata colpita nei propri interessi; sem-pre in Canada, Insurance Bureau of Canada, un’impresa privata, ha fatto causa a una regione del Paese perché ha incentivato e favorito, con una legge e con sussidi economici, lo sviluppo di un’assicurazione pubblica, andando a colpire l’interesse dell’assicurazione privata; l’Ecuador è at-tualmente coinvolto in una vertenza con la Chevron, e anche in questo caso il problema riguarda quale struttura sarà chiamata a giudicare.

Questo discorso ci porta alla discussione attuale sul Ttip, l’accordo transatlantico tra Europa e Stati Uniti che non è ancora stato approvato e che formalmente ha lo scopo di abbassare ogni dazio doganale. Ma da tempo non ci sono più i dazi classici tra Ue e Usa. Quello che viene vis-suto come dazio è la scelta dei Paesi di avere delle leggi che tutelano i diritti umani, l’ambiente, la sicurezza. Uno dei punti fondamentali di que-sto accordo riguarda proprio il rapporto multinazionali/Stati che abbia-mo visto finora: una corporation fa un investimento in un Paese, in Italia per esempio, e calcola che in base alla situazione presente può prevedere che nei prossimi due/tre anni guadagnerà una determinata cifra e distri-buirà agli azionisti un determinato dividendo. Ma se in quei due/tre anni l’Italia delibera una legge di tutela ambientale per cui alza la soglia sul-l’uso di un prodotto che può nuocere alla salute, oppure fissa una nor-mativa diversa sull’orario di lavoro, nella direzione di una maggior tutela dei lavoratori, la multinazionale può stabilire che quelle leggi danneg-giano i suoi profitti, e quindi può fare causa e avviare un processo con-tro lo Stato italiano. A questo punto viene investito un organismo, Isds, Investor of State dispute settlement: la multinazionale sceglie un pro-prio legale in una lista di grandi studi di avvocati internazionali, lo stesso fa lo Stato italiano, i due avvocati designati scelgono dalla stessa lista e di

36

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 37: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Stati, multinazionali, globalizzazione, crisi strutturale del capitalismo

comune accordo un terzo avvocato che è chiamato a decidere e non c’è possibilità di ricorso.

Quelle che si stanno svolgendo per la stesura del Ttip sono trattative molto riservate ma, anche se con difficoltà, i movimenti sociale sono riusciti a sollevare un po’ di attenzione. Non dimentichiamo che esiste già il Tpp (Trans-Pacific Partnership), un accordo che coinvolge gli Stati Uniti e dodici Paesi dell’Asia e che ha moltiplicato le cause intentate da multinazionali contro degli Stati. Ancora una volta si pone il proble-ma del rapporto tra Paesi e corporation: se un Parla-mento approva una legge, è legittimato a farlo da un voto ricevuto dai cittadini, mentre la multinazionale rivendica il raggiungimento del profitto come diritto superiore a una legge statale. È un futuro in cui sare-mo coinvolti anche noi.

37

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 38: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

INCHIESTA

Dal primo gennaio 2015 la Provincia di Milano si tra-sformerà in Città metropolitana. Poche cose hanno disinteressato i cittadini quanto le elezioni di secondo livello del Consiglio metropolitano svoltesi il 28 set-tembre scorso, eppure il nuovo ente gestirà questioni non secondarie come la tutela dell’ambiente, le reti di servizi e infrastrutture, la pianificazione dei trasporti (pubblici e privati, con i relativi appalti), l’edilizia sco-lastica e altre ulteriori funzioni – a oggi sconosciute – che le Regioni e lo Stato assegneranno alle Città metro-politane, in vista del riordino del Titolo V della Costi-tuzione, relativo al cosiddetto ‘federalismo’.

È opinione diffusa – e da qui il disinteresse – che le elezioni di secondo livello rispettino i fondamenti de-mocratici: se a eleggere il Consiglio metropolitano sono i sindaci e i consiglieri dei comuni della relativa pro-vincia, a loro volta eletti direttamente dai cittadini, il principio della rappresentanza politica muta di moda-lità ma viene rispettato. Invece non è così, e vedremo perché.

Ma soprattutto, questa votazione ha eletto a Milano 24 consiglieri con un ruolo costituente, poiché dovran-no stilare lo Statuto che fisserà non solo i princìpi e le funzioni del nuovo organismo, ma anche se alla pros-sima tornata elettorale, fra cinque anni, potranno esse-re i cittadini a scegliere direttamente i propri rappresen-tanti nel Consiglio metropolitano.

Diventa quindi fondamentale capire come si sono

svolte queste prime elezioni, per mo-dalità e tempistica: i 24 consiglieri, che rappresentano oltre tre milioni di citta-dini, sono stati eletti rispettando il prin-cipio democratico? Perché se la demo-crazia ci viene sfilata da sotto i piedi, il minimo è esserne almeno consapevoli.

La Città metropolitanaLa legge 56 del 7 aprile 2014 (legge Delrio) ha istituito le nuove Province – di fatto identiche alle precedenti – le unioni e fusioni di Comuni e le Città metropolitane, identificando le prime nove in Torino, Milano, Venezia, Ge-nova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria (1). Ha inoltre de-finito gli organi di governo dei nuovi enti locali, attribuendo, in particolare per la Città metropolitana (2), funzio-ni di indirizzo e controllo al Consiglio, poteri propositivi e consultivi alla Con-ferenza – composta dai sindaci di tut-ti i comuni della provincia – e fun-zioni di rappresentanza e coordina-mento al sindaco – carica ricoperta dal primo cittadino del capoluogo, per Mi-lano, Giuliano Pisapia. Tutti gli inca-richi – sindaco, consigliere e compo-nente della Conferenza – sono eserci-tati a titolo gratuito (3).

Entro il 31 dicembre 2014 il Con-siglio deve redigere e approvare lo Sta-

38

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

LE ELEZIONI A MILANO---Daniela CuccuTania RighiChiara Vimercati

CITTÀ METROPOLITANE:la DEMOCRAZIA non passa da qui

______________________________________________1) Legge 56 del 7 aprile 2014, art. 1, comma 52) Ivi, commi 7, 83) Ivi, comma 24

Page 39: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

tuto, a maggioranza assoluta dei componenti (4); suc-cessivamente la Conferenza ha il compito di adottarlo (o respingerlo) con un numero di voti che rappresen-tino almeno un terzo dei comuni e la maggioranza del-la popolazione (5). In caso non siano rispettati i tem-pi, il termine è prorogato al 30 giugno 2015 e dal pri-mo gennaio viene temporaneamente applicato lo Sta-tuto della (vecchia) Provincia.

Il comma 22 (art. 1) della legge Delrio introduce la questione focale: “Lo Statuto della Città metropoli-tana può prevedere l’elezione diretta del sindaco e del Consiglio metropolitano”. Dunque, non più ele-zioni di secondo livello come stabilito ora. Per “[...] le sole Città metropolitane con popolazione superiore a tre milioni di abitanti [come Milano, n.d.a.], è con-dizione necessaria che lo Statuto della Città metropo-litana preveda la costituzione di zone omogenee [...] e che il Comune capoluogo abbia realizzato la riparti-zione del proprio territorio in zone dotate di autono-mia amministrativa”. Quindi, affinché gli abitanti della Città di Milano possano tornare a votare direttamente i propri rappresentanti politici, sono necessarie due condizioni: che il Consiglio comunale di Milano deli-beri la suddivisione della città in zone con autonomia amministrativa, e che lo Statuto metropolitano preve-da la possibilità di elezione diretta da parte dei citta-dini. Statuto che, ricordiamolo, verrà redatto da sole 24 persone.

Milano: il meccanismo elettorale e i tre sbarramentiLe elezioni di secondo livello, a dif-ferenza di quelle a suffragio universa-le, hanno, per definizione, un mecca-nismo complesso ed esclusivo, perché coinvolgono un ristretto numero di e-lettori e un ancor più ristretto numero di possibili candidati. Cerchiamo quin-di di capire le modalità che hanno portato all’elezione dei 24 ‘padri co-stituenti’ della Città metropolitana di Milano.

Secondo le disposizioni del Mini-stero dell’Interno (6), nella provincia milanese risiedono poco più di tre mi-lioni di abitanti: il Consiglio deve dun-que essere composto da 24 persone (7). L’elettorato attivo e passivo è rappre-sentato da ogni sindaco e consigliere dei 134 comuni che formano la provin-cia, quindi un totale di 2.079 perso-ne, che sono allo stesso tempo eletto-ri e possibili candidati. La restrizione della base elettorale ai soli consiglie-ri e sindaci in carica, di fatto impedi-sce a una formazione politica che non sia rappresentata negli organi comu-

39

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

______________________________________________________________________________________________________________________4) Cfr. Regolamento provvisorio del Consiglio della Città metropolitana di Milano approvato nella seduta del 29 ottobre, art. 75) Legge 56 cit., comma 96) Cfr. ministero dell’Interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, circolare n. 32/2014, allegato B, 1° luglio 2014. I dati provvisori sono stati successivamente aggiornati con quelli definitivi, tenuto anche conto del commissariamento del comune di Sedriano; per i dati definitivi cfr. Lista degli aventi diritto al voto sul sito della Provincia di Milano http://www.provincia.milano.it/export/sites/default/news/citta_metropolitana/doc/LI STA_GENERALE.pdf7) Legge 56 cit., comma 20

Page 40: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

INCHIESTA

nali, per un precedente insuccesso elettorale o per es-sere nata successivamente, di poter prendere parte alla competizione e quindi avere la possibilità di dare il pro-prio contributo alla redazione dello Statuto. Le elezioni di secondo livello applicano dunque, di per sé, un mecca-nismo di sbarramento di ingresso.

La legge Delrio dà poi un ulteriore giro di vite alla pluralità, quando detta le disposizioni sulle modalità di presentazione delle liste: devono essere composte da un numero minimo di candidati pari alla metà dei consi-glieri da eleggere, e sottoscritte da almeno il 5 per cen-to dei consiglieri e dei sindaci elettori. Per Milano, do-dici nomi in lista e 104 firme da raccogliere. A essere penalizzate, in questo caso, sono le forze politiche mi-noritarie. Esiste infatti una disparità oggettiva nella pos-sibilità di presentare i propri candidati e, soprattutto, raccogliere le firme, tra i partiti maggiori, che hanno una struttura solida e capillare, e quelli più piccoli, che se anche riescono ad annoverare dodici rappresentanti elet-ti nei comuni, difficilmente ne hanno 104 che possono sottoscrivere la lista: per poter aspirare a entrare nel Consiglio, devono quindi necessariamente stringere al-leanze politiche con altri partiti, perdendo di fatto la propria indipendenza. O restare fuori dai giochi.

A rafforzare quello che potremmo definire sbarra-mento di governabilità sono anche le tempistiche sta-bilite dalla Circolare del ministero dell’Interno, che ha fissato un lasso di tempo di soli dieci giorni tra la de-finizione del corpus elettorale (tra il 35° e il 30° gior-no antecedente le votazioni: solo in quel momento le forze politiche sapevano esattamente quante firme do-vevano raccogliere per arrivare al 5%) e la presenta-zione delle liste (data ultima: il 20° giorno prima del-la consultazione). È chiaro che a essere favoriti, una volta di più, sono i grandi partiti, dotati di un appara-to strutturato e strumenti di coordinamento con i pro-pri eletti nei comuni.

Ma c’è un ultimo ostacolo, che si potrebbe chiama-re sbarramento di relazione, e che, assieme agli altri due, rende questo meccanismo elettorale antitetico ri-spetto ai principi democratici. Nell’elezione indiretta, a differenza di quella diretta – in cui a una testa corri-sponde un voto – alla crocetta sulla scheda di ogni elet-tore è applicato un coefficiente di ponderazione (un moltiplicatore), basato sulla fascia demografica del co-mune rappresentato. In altre parole, più è popoloso il

comune di cui si è rappresentanti, mag-giore è il peso del proprio voto – quel-lo dei consiglieri di Milano, per esem-pio, che ha una popolazione di 1,2 mi-lioni di abitanti, è moltiplicato per 714, mentre il voto dei consiglieri di Vimo-drone, che conta poco più di 17 mila persone, vale 36. Un meccanismo che,se da un lato persegue una logica cor-retta sul piano attivo del voto – se rap-presento più persone il mio voto deve valere di più – dall’altro crea un di-scrimine sul piano passivo. Due in-fatti le conseguenze: la prima, più ov-via, è che i piccoli centri – che hanno problematiche diverse dalla grande città – hanno minori possibilità di es-sere rappresentati nel Consiglio me-tropolitano. Sui loro candidati, infat-ti, devono convergere molti voti dato il poco peso ponderato di ciascuno di essi. La seconda, più sottile ma per questo più insidiosa, è l’enorme im-portanza strategica assunta dal voto dei consiglieri milanesi, che non solo si conoscono reciprocamente – e più ci si conosce più è facile votarsi – ma, visto l’alto indice di ponderazione, pos-sono incidere significativamente nel-l’elezione di un candidato. I voti in-somma si pesano, non si contano.

Milano: il Consiglio elettoLa composizione del Consiglio me-tropolitano eletto a settembre è lo spec-chio di questo meccanismo elettorale, e non poteva essere diversamente. Solo quattro le liste presentate: Centrosini-stra per la città metropolitana (Pd, Sel, Prc), Insieme per la città metropoli-tana (Forza Italia, Ncd, Fratelli d’Ita-lia), Lega Nord-Lega Lombarda-Pa-dania e Lista Civica Costituente per la partecipazione-La città dei comu-ni (radicali, socialisti, verdi ed espo-nenti di liste civiche comunali). As-

40

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 41: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Città metropolitane: la democrazia non passa da qui

sente il Movimento 5 stelle il quale, contando solo una cinquantina di consiglieri in tutta la provincia, non è riuscito a raccogliere le 104 firme necessarie per la presentazione della lista, e fedele al principio di non alleanza con altri gruppi politici è rimasto escluso dalla competizione elettorale, vittima illustre dello sbarra-mento di governabilità.

Significativa anche la distribuzione ‘territoriale’ dei 24 eletti: nove sono consiglieri comunali di Milano; quattordici sono sindaci e consiglieri di comuni di fa-scia demografica E e D (tra quelli più popolosi dopo il capoluogo: da 10 mila a 100 mila abitanti); uno è consigliere di un comune di fascia C (tra 5.000 e 10.000 abitanti). Dimostrazione sia del discrimine sul piano passivo del voto ponderato, che ha fatto piazza pulita delle piccole realtà, sia della concretezza dello sbarramento di relazione: la Lista Civica Costituente – che nel proprio programma elettorale promuove l’e-lezione diretta del sindaco e dei consiglieri della Città metropolitana, e l’inserimento nello Statuto dei refe-rendum propositivi, di indirizzo, consultivi e abroga-tivi – è riuscita a eleggere due esponenti, Roberto Bi-scardini e Marco Cappato, entrambi del consiglio di Milano: se fossero stati consiglieri in un comune del-la provincia, difficilmente la lista avrebbe ottenuto quei cinque voti milanesi che hanno fatto la differen-za e grazie ai quali, conteggi alla mano, sono riusciti a essere eletti entrambi (8).

Degna di nota, infine, anche la composizione po-litica del Consiglio: quattordici eletti per il centrosi-nistra, sei per il centrodestra, due per la Lega Nord e due, come abbiamo visto, per la Lista Civica Costi-tuente. Appare chiaro come i 24 consiglieri, che in quanto costituenti dovrebbero essere la massima espres-sione del principio democratico e garantire la mag-giore rappresentatività possibile delle diverse forze po-litiche, in realtà si riducano a essere manifestazione esclusiva dei partiti maggioritari. Un risultato su cui ha inciso principalmente il meccanismo elettorale: un’elezione di secondo livello, strutturata in modo da porre tre diversi tipi di sbarramento: di ingresso, di governabilità, di relazione.

In aggiunta, così formulata la legge Delrio solleva anche qualche dubbio rispetto al principio di ugua-

glianza dei cittadini. Sancisce infatti un diritto di voto a seconda del luogo di residenza: se si abita in una città me-tropolitana o in una provincia, se lo Statuto della Città lo prevede oppure no. Lo si potrebbe avere nel milanese e non nel napoletano, o viceversa.

Da diritto dei cittadini, il voto di-venta concessione della classe politica.

Una classe politica che vota se stessaQuanto succede a livello locale repli-ca, anticipandolo, quanto accade sul piano nazionale.

Il Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, suggellato il 18 gennaio e confermato il 12 novembre con un co-municato congiunto, sta producendo una riforma del Senato che prevede meccanismi elettivi di secondo livel-lo – un’altra classe politica in carica, questa volta regionale, che vota se stessa – la riforma del titolo V della Costituzione, relativo proprio alla re-golamentazione dei rapporti tra Stato ed enti locali, e una riforma elettorale che, ancora una volta, ambisce all’e-stromissione delle minoranze politi-che e a occupare di prepotenza la sede legislativa con un premio di maggio-ranza.

Il principio democratico della rap-presentanza dei cittadini si va sempre più scontrando con la logica della ‘go-vernabilità’, diventata ancora più strin-gente in questa fase di crisi economi-ca e riforme neoliberiste. Dietro un bi-polarismo di facciata si cela un Uni-polarismo che mira a escludere dal di-battito politico ogni voce di opposi-zione. Sia essa in piazza o in Parla-mento.

41

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

______________________________________________________________________________________________________________________8) Cfr. Prospetti voti ponderati di lista e preferenze individuali per candidato http://www.provincia.milano.it/ news/citta_metropolitana/elezione.html

Page 42: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

(DIS)ORIENTAMENTI

La guerra civile che sta insanguinando l’Ucraina orientale – dov’è in cor-so un’offensiva dopo il golpe atlantista a Kiev – ha fatto riscoprire al-l’Occidente la figura romantica del cosiddetto ‘volontario’, cittadini del-l’Unione europea corsi ad arruolarsi in alcune formazioni dell’esercito ucraino in lotta contro i cittadini dell’Ucraina orientale, sprezzantemente definiti ‘separatisti’ (critici, invece, verso l’ingresso del Paese nella libe-rista Ue, un fronte trasversale composto da movimenti borghesi aperta-mente filoputiniani e altri, come il Partito comunista ucraino, bandito nella zona filoccidentale, gemellato con quello russo e storicamente legato al-l’unità dell’Ucraina con l’Urss, a cui vanno sommati battaglioni formati da lavoratori, alcuni di matrice trockijsta). La propaganda mediatica occiden-tale è caricaturale: si parla di combattenti ‘europeisti’ per la libertà in mar-cia per sconfiggere i separatisti filo-russi al soldo di Putin, usando vecchie comparse anticomuniste come Adam Michnik, ex sostenitore di Solidar-ność, che dalla prima pagina di Repubblica arriva addirittura a compli -mentarsi con il governo golpista di Kiev per la propria “ragionevole mo-deratezza” (1).

“Di fatto, come sostenuto dai comunisti – ricorda Evgenyj Tsarkov, parlamentare del Partito comunista d’Ucraina – ciò che si è verificato nel Paese, la cosiddetta ‘rivoluzione’, è stato principalmente un colpo di sta-

42

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

___________________________________________________________________________________________1) “Ammiriamo la ragionevole moderatezza, la determinazione e il senso di responsa-bilità della società civile e delle autorità ucraine, mentre ci fa rabbia vedere l’aggres-sione nei confronti dell’Ucraina da parte della politica imperiale della grande Russia”. A. Michnik, La Repubblica, 6 marzo 2014

Il battaglione Azov:la legione nera del neofascismo ucraino di Matteo Luca Andriola

Page 43: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

to oligarchico. […] L’essenza originaria della protesta degli ucraini scesi sul Majdan era combattere il dominio dell’oligarchia sul Paese. La lotta contro il fatto che il destino di un intero Paese e dei suoi milioni di citta -dini fosse nelle mani di alcuni ricchi, ignorando completamente l’opinio-ne della gente. Come risultato, purtroppo, la nostra diagnosi è stata con-fermata: nel Paese c’è stata una banale sostituzione di alcuni oligarchi con altri. La forza della protesta è stata sfruttata per rimuovere Yanukovi-ch, che aveva cercato di diventare il proprietario esclusivo del Paese. Oggi, anche il nuovo presidente e il suo capo dell’Amministrazione sono i più evidenti rappresentanti dell’oligarchia” (2).

Le risposte successive, appena giunto al potere determinando la se-cessione delle regioni orientali e lo scoppio della guerra civile, sono state la messa al bando del Pcu, stecca nel coro alle successive riforme neoliberi-ste, e le conseguenze di tali politiche, cioè il peggioramento delle condi-zioni di vita dei cittadini e i vari rincari: i prezzi dei prodotti da forno sono aumentati del 46%, e il paniere alimentare del 97%; i medicinali del 127%; il gas del 52%, e dal primo luglio 2014 le tariffe per la fornitura dell’acqua dell’84%, del 105% quelle per le acque di scarico, del 93% quelle per il consumo dell’acqua. Allo stesso tempo, vi è stata una ridu-zione del 63% delle prestazioni sociali e la moneta nazionale, la grivna, si

43

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

___________________________________________________________________________________________2) E. Tsarkov (parlamentare del Pc d’Ucraina e segretario regionale di Odessa del Pcu, ufficio stampa del Pcu), Chi ha effettivamente guadagnato dalla vittoria del Majdan, Marx21, 13 giugno 2014

Page 44: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

(DIS)ORIENTAMENTI

è svalutata del 53%, preludio a una privatizzazione della Banca nazionale sul modello occidentale (3).

In Ucraina inoltre, la situazione in questi mesi è alquanto confusa, dato che il Paese si presenta, per l’appunto, diviso, e il popolo è letteralmente ostaggio di rivalità interimperialiste, e di calcoli cinici di oligarchi corrot-ti ora allineati nel campo filo-occidentale, pronti a finanziare raggruppa-menti neofascisti per conservare i privilegi economico-sociali che l’in-gresso nella Ue gli permetterebbe di acquisire.

Ecco allora che il governo di Kiev usa gruppi paramilitari di ogni tipo, dando carta bianca ai servizi segreti (Sbu), alle compagnie mercenarie sta-tunitensi (per esempio, Blackwater), mentre nell’aprile 2014 viene rifor-mata la Guarda nazionale. Ed è questo quello che ci interessa: il corpo vie-ne infatti integrato da battaglioni di volontari civili. E qui la questione di-venta imbarazzante perché il fronte occidentalista filo-Ue, alfiere delle li-bertà individuali e dei diritti civili a scapito di quelli sociali, ha fatto sì che in tali battaglioni – come già visto nell’articolo precedente (4) – entrasse-ro militanti di movimenti e partiti filonazisti che si ispirano al collaborazio-nismo ucraino degli anni ’40, movimenti che compongono l’esecutivo di governo.

A questi gruppi autoctoni si somma il battaglione Azov, “una forma-zione paramilitare nata nei giorni della Maidan e poi incorporata nella Guardia nazionale ucraina con decreto del ministro dell’Interno Avakov” (5), famosa per esser composta da volontari provenienti da tutto il conti-nente e militanti nell’estrema destra; battaglione nato nei primi giorni della rivolta nel Donbass, e capace di raccogliere al suo interno compo-nenti di Pravy Sektor e della formazione neonazista Patriot Ukraiyny. Il sito vicino al Pcf, Solidarité Internazionale, scrive che il battaglione “si compone di circa 500 combattenti, tutti civili dalle stesse convinzioni: quella di un ‘nuovo ordine’ basato sulla superiorità della razza bianca, una ‘rivoluzione nazionale’ antidemocratica, antisemita, anticomunista, ma dietro Stati Uniti e Unione europea. La spina dorsale del battaglione è composta da attivisti dell’Adunata nazionalsociale (Sna), tra cui il capo del battaglione Andrej Belitzkij, che non è altro che il capo del ramo pa-ramilitare della Sna, Patrioti ucraini. Sna fu fondata nel 2008 e si dichia-ra apertamente nazista, è nata dalla fusione di alcuni gruppuscoli neona-zisti. Ha apertamente criticato il partito fascista Svoboda per la sua mo-derazione, la sua parte ‘liberale’, ma anche i neonazisti di Settore destro,

44

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

___________________________________________________________________________________________3) Ibidem4) Cfr. Matteo Luca Andriola, L’Euromaidan e i camerati nazifascisti di Kiev, Paginauno n. 39/20145) D. Elia, Ucraina, tra i feriti del battaglione Azov, Osservatorio Balcani e Caucaso, 29 agosto 2014

Page 45: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Il battaglio Azov: la legione nera del neofascismo ucraino

accusati di debolezza, anche se il rapporto tra Sna e Settore destro è stret-to. Sna ufficialmente, come si può vedere sul loro sito, mira a «guidare la rivoluzione nazionale» e la «pulizia etnica dell’Ucraina», «guidando i popoli bianchi nella lotta mondiale per la sopravvivenza, contro il nemi-co subumano, i semiti». Sulla base del programma nazista, Andrej Belitz-kij può impostare obiettivi più concreti: «La missione storica della nostra nazione in questo momento critico è guidare le razze bianche in una cro-ciata finale per la sopravvivenza»“ (6).

L’ideologia politica che unisce tali ambienti è evidente non solo da quello che scrivono i blog e i siti non allineati o la stampa russa, ma dalle stesse simbologie utilizzate: sullo scudo del battaglione si erge il Wol-fsangel (dente di lupo), simbolo araldico utilizzato dai nazionalsocialisti (ripreso dalla 2° divisione SS Panzer Das Reich, responsabile del massa-cro di Oradour-sur-Glane), sovrapposto allo Schwarze Sonne, il sole nero esoterico anch’esso legato al neopaganesimo nazista e utilizzato – con qualche variante grafica – dall’associazione identitarista germanica di ma-trice neodestrista Thule-Seminar, un tempo sezione tedesca del Grece di Alain de Benoist e oggi legata all’associazione etnoregionalista francese Terre et Peuple.

Il battaglione Azov è riconosciuto da un governo ucraino a sua volta legittimato dalle cancellerie occidentali, Italia compresa. L’offensiva ai danni dell’Ucraina, a suo tempo governata da una giunta filo-russa, mira a espandere i confini della Ue, ed è una reazione alla nascita dell’Unione doganale euro-asiatica creata dal governo Putin, come riconosce Matteo Cazzulani, responsabile per i rapporti del Pd milanese con i partiti demo-cratici e progressisti nel mondo: “L’inglobamento dell’Ucraina nell’U-nione doganale eurasiatica mette a serio repentaglio la sicurezza energeti-ca ed economica della Ue, che vedrebbe naufragare la possibilità di raf-forzare la propria economia tramite l’integrazione di un Paese dalle enor-mi potenzialità umane, agricole, industriali come l’Ucraina” (7).

Della cosa si è accorta anche l’eurodeputata della lista L’Altra Europa per Tsipras, Barbara Spinelli, che il 2 settembre scorso ha denunciato a Bruxelles non solo le sanzioni contro la Russia, ma l’utilizzo di tali mili -zie neonaziste. Il governo italiano e la Ue, spiega Spinelli, devono “pren-dere atto che il governo di Kiev ha attuato una strategia militare pericolo-sa avvalendosi di milizie di estrema destra. L’esempio più lampante è il battaglione Azov, formazione paramilitare di ispirazione neonazista che

45

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

___________________________________________________________________________________________6) I. Kolomoisky, Il battaglione Azov, una milizia neonazista, delle Brigate internazionali fasciste finanziata dall’oligarca israelo-ucraina, Solidarité Internazionale Pcf, 17 set-tembre 20147) A. Lattanzio, I veri rosso-bruni: il PD e i nazisti del battaglione Azov, Aurora, 17 settembre 2014

Page 46: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

(DIS)ORIENTAMENTI

risponde al ministero degli Interni. Contro questa strategia l’Europa tace, come tacciono gli Stati Uniti” (8).

Non dimentichiamo, inoltre, lo stanziamento nel mese di settembre di novanta paracadutisti della Brigata Folgore, che compongono i 4 mila uomini che la Nato vuole inviare nelle regioni orientali dell’Europa in vi-sta di esercitazioni (tuttora in corso di svolgimento: dal 13 al 20 settem-bre a Lviv, in Ucraina, dal 15 al 27 in Germania e Norvegia dal 15 set-tembre al 2 ottobre in Polonia, mentre dal 3 al 13 dicembre è program-mato il Trident Lance, “il più grande e sofisticato esercizio per la catena di comando dalla fine della guerra fredda”) tra la Germania, l’Estonia, la Polonia, la Lettonia e la Lituania, per aumentare la visibilità in tali zone al fine di fungere da deterrente contro “il timore di Stati Uniti e Unione Europea […] che il presidente russo Vladimir Putin dopo l’Ucraina punti ai Paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania)”; anche se, precisano le au-torità della Nato, tali esercitazioni “erano previste da tempo, ben prima che scattasse l’invasione della Crimea” (9).

Ovviamente l’Italia, che fin dal dopoguerra ha avuto una delle ‘fasci-sterie’ fra le più attive sul continente, alcune delle quali coinvolte in fatti di destabilizzazione atlantista (la strategia della tensione su tutti, basti pensare al coinvolgimento di Ordine nuovo, Avanguardia nazionale ecc. negli eventi, nonostante non si sia fatta ancora chiarezza né sulle precise dinamiche né sugli effettivi attori coinvolti), non si è lasciata sfuggire l’e-vento ucraino: infatti la fascinazione del battaglione per l’ideologia fasci-sta – una sorta di legione straniera neonazista o di Waffen-SS 2.0 – ha at-tratto anche qualche volontario dall’Italia gravitante attorno agli ambienti di CasaPound. Fra i giovani ucraini del reparto, ci sono ultras della Dy-namo Kiev, con il mito dell’impero romano e dell’Europa cristiana delle crociate. Sui pettorali e sui bicipiti hanno tatuate rune e celtiche (sicché gli antifascisti italiani e i comunitaristi patriottici filoputiniani hanno co-niato a riguardo il termine dispregiativo camerati runomuniti, oltre a Casa-Gladio, CasaNato ecc.).

“Sì”, dice Jaroslav Jakimčuk, un combattente di 24 anni intervistato dal giornalista Danilo Elia quest’estate, “l’ho conosciuto Francesco Save-rio Fontana, ha combattuto con noi. È già tornato in Italia, però” (10). Il giovane, volontario ricoverato in un ospedale da campo a Dnipropetrovsk

46

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

___________________________________________________________________________________________8) B. Spinelli, Interrogazione parlamentare, audizione del ministro degli Esteri Federica Mogherini davanti agli eurodeputati italiani, Bruxelles, 2 settembre 2014, ora al sito web http://www.altraeuroparoma.it/blog/guerra-ucraina-interrogazione-di-barbara-spinelli/9) Ucraina, i parà della Folgore nei 4mila di pronto intervento Nato, in Blitz Quotidiano, 3 settembre 201410) D. Elia, art. cit.

Page 47: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Il battaglio Azov: la legione nera del neofascismo ucraino

e gravemente ferito da schegge di una fugass, un ordigno artigianale co-mandato a distanza, mentre con il suo gruppo stava entrando a Mariinka, un sobborgo di Donetsk, nel momento più cruciale dell’offensiva, rifiuta l’accusa di estremismo. Anche Ljoša, diciottenne, nell’intervista si defi-nisce semplicemente ‘patriota’: “Cos’è estremismo? Il nazionalismo è estremismo? Noi siamo patrioti, combattiamo per la patria. Se è così, al -lora siamo estremisti, ma in un senso buono […] Non mi piace neanche che ci chiamino eroi, però. Amo il mio Paese, non ci ho pensato due volte ad arruolarmi. Non ho fatto niente di straordinario” (11). Ma nelle regio-ni di Donetsk e Lugansk, il battaglione Azov non è affatto visto come pa-triota ma come aggressore. E chi è Francesco Saverio Fontana?

Fontana e BessonFontana, alias François Xavier Fontaine, nome di battaglia ‘Stan’, è un noto militante della destra radicale apparso su vari quotidiani e periodici per la sua presenza in Ucraina nei giorni dell’Euromaidan, “definito ‘uf-ficiale’ di collegamento con gli squadristi italiani in diversi siti e blog. E ad addestrare le truppe di Kiev ci sarebbero contractor della Blackwater, e anche istruttori Cia”, come racconta Il Fatto Quotidiano (12). Fontana – vicino a Gabriele Adinolfi (tra di fondatori di Terza posizione e oggi uno degli intellettuali di riferimento di CasaPound) e a Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia nazionale – negando una filiazione con i ‘fasci-sti del III millennio’, descrive a Fausto Biloslavo, inviato de Il Giornale con un passato nel Fronte della gioventù (l’organizzazione giovanile del Msi), la sua ‘romantica’ presenza in Ucraina nel reportage Gli uomini neri.

L’ex missino ed ex avanguardista cinquantatreenne, chiamato ‘zio’ o ‘don’ dai camerati più giovani, si presenta al giornalista triestino in giub-botto antiproiettile, passamontagna nero sul volto, occhiali scuri e kalash-nikov – confermando quello che molti sui camerati negavano mesi fa: non era lì solo come inviato di Adinolfi per Noreporter.org, sito d’infor-mazione ‘non conforme’, ma anche come combattente – spiegando: “Sul-le barricate di piazza Maidan mi sono ritrovato per caso affascinato da una rivoluzione di popolo [così, nella propaganda neofascista, è descritto il golpe atlantista, n.d.a.] […] E dalle giovani centurie di Pravi Sektor […] con gli scudi medievali assieme alle babucke che portavano il tè a 17 sotto zero o le ragazze indaffarate a riempire di benzina le bottiglie vuote per trasformarle in molotov”. “Nel momento del pericolo è scattata

47

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

____________________________________________________________________________________________11) Ibidem12) S. Citati, Italiani in Ucraina: Casa Pound e Brigata Garibaldi sulla nuova Cortina di Ferro, Il Fatto Quotidiano, 11 giugno 2014

Page 48: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

(DIS)ORIENTAMENTI

una molla. […] Come diciamo in Italia era finita la commedia. Non era più un gioco. Cosa dovevo fare tornarmene a casa e abbandonare i came-rati delle barricate di Maidan?” (13). E così, dopo aver partecipato alla ‘rivoluzione colorata’ finanziata da George Soros (14), Fontana passa al-l’azione e il 13 giugno 2014 partecipa alla battaglia di Mariupol, la città costiera sul mare di Azov conquistata dai miliziani filorussi, dove il bat-taglione nero ha ucciso una ventina di civili: “Siamo andati avanti noi. Abbiamo preso una contraerea piazzandola ad alzo zero e polverizzato le barricate dei filo russi”.

Ma non è solo. Con lui un altro camerata dalla Francia, Gaston Bes-son, avventuriero, ex cercatore d’oro in Colombia, ex paracadutista e fa-scista ‘rivoluzionario’ dai lontani anni Settanta, un uomo che, in epoche recenti, è sempre stato in prima linea lì dove si spara. A Biloslavo infatti dice: “Non sono un mercenario e nemmeno un agente segreto. Non mi nascondo. Mi definisco un rivoluzionario, idealista, che ha attraversato due guerre e tre insurrezioni in Croazia, Bosnia, Birmania, Laos, Surina-me”. Le idee sono sempre quelle di quando era giovane: “Non dimenti -chiamo che siamo il braccio armato del Sna, e che siamo vicini a Settore destro”. È lì come reclutatore dei volontari europei che combattono per annettere il Donbass, molti dei quali “arrivano dai Paesi del nord Europa come Svezia, Finlandia, Norvegia. Le richieste giungono anche dall’Ita-lia. I figli dei croati che hanno combattuto negli anni Novanta [assieme a molti fascisti europei, n.d.a.] vogliono venire a fare la loro parte” (15).

Biloslavo firma anche un altro reportage su Panorama, protagonisti ancora Fontana e Besson: “«Siamo ultra nazionalisti, non nazisti» spiega Francesco. «Certo non rimpiangiamo la Russia stalinista». Aggiunge il francese: «Siamo anticomunisti, ma lo spirito è lo stesso delle brigate in-

48

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

____________________________________________________________________________________________13) F. Biloslavo, Gli uomini neri, Il Giornale, luglio 201414) Noto miliardario e speculatore, che con l’Open Society Institute ha finanziato le di-verse ‘rivoluzioni colorate’ nell’Est, movimenti come le Femen e le Pussy Riot e, negli anni ’70-80, gruppi dissidenti anticomunisti come i cecoslovacchi di Charta 77 e i po-lacchi di Solidarnosc. Coinvolto anche in speculazioni ai danni dell’economia italiana: “George Soros ha fatto incetta di bond italiani comprandoli da Mf Global, la società di brokeraggio finita di recente in bancarotta. Due miliardi in buoni del Tesoro europei, soprattutto italiani, sono finiti nelle mani del finanziere americano dopo che quest’ul-timo li ha comprati sulla piazza londinese da Kpmg Llp, l’amministratore che gestisce la bancarotta di Mf Global. È quanto rivela il Wall Street Journal, secondo cui l’ottantu-nenne uomo d’affari, col suo team d’investimento del Soros Fund Menagement, ha com-prato 2 miliardi di dollari in bond (sui 6,3 mld in mano alla società prima del fallimen-to) a un prezzo inferiore ai valori di mercato in una transazione che ha coinvolto an -che Jp Morgan, ammontare ragguardevole, se si pensa che il Soros Fund Management gestisce, a quel che si sa, 5,8 miliardi di dollari”. M. Zola, Economia: George Soros, fi-lantropo e speculatore, compra bond italiani, East journal, 25 dicembre 201115) F. Biloslavo, art. cit.

Page 49: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Il battaglio Azov: la legione nera del neofascismo ucraino

ternazionali che combattevano in Spagna negli anni Trenta. Tatuaggi e simbologia sono da ‘cattivi ragazzi’, ma la vera battaglia è per l’Ucraina unita e indipendente»” (16).

Questo il battaglione Azov che sta dalla parte dell’Unione europea. È chiaro che nel Paese si sta combattendo molto più che una guerra civile: sul piatto ci sono ben altri interessi economici e geopolitici, e ogni alleato va bene a Europa e Stati Uniti.

49

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

____________________________________________________________________________________________16) F. Biloslavo, Il camerata italiano sul fronte dell’Est, Panorama, 1 luglio 2014

Page 50: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

INTERVISTA– al collettivo San Precario

OPPOSIZIONE SOCIALE ALLA PRECARIETÀdi Domenico Corrado

La cittadina di Rho si trova al centro di un grande processo di trasformazione socio-e-conomica iniziato nel 2005, con l’inaugura-zione del nuovo polo fieristico milanese, e proseguito con i cambiamenti maturati al-l’ombra dell’Expo 2015, che sorgerà in buo-na parte sul territorio rhodense. Dall’esigen-za di far fronte a questi cambiamenti nasce nel 2009 il Punto San Precario Rho Fiera: “l’espressione di una generazione precaria e in cerca di riscatto, un’agenzia di servizi per il conflitto libera da ogni partito e sindacato”.

Chi è San Precario, e quando appare per la prima volta?

San Precario è il patrono dei precari e delle precarie, l’icona irriverente e beffarda della nostra generazione. È apparso per la prima volta il 29 febbraio 2004 in una Iper-coop di Milano, ed è figlio dell’unione di di-versi collettivi e associazioni di lavoratori e studenti sensibili alle tematiche del lavoro, e non rappresentati dalle classiche organiz-zazioni sindacali, che si occupavano della di-fesa dei diritti dei lavoratori nella grande di-stribuzione organizzata, nei call center, nel-la ricerca e dell’arte; collettivi e associazioni che hanno dato vita al percorso della May-Day, la manifestazione del primo maggio precario. Fra loro c’erano Reload, Chainwor-kers, la redazione di Infoxoa, il centro so-ciale Tana di Trento e l’Infolab di Bologna, che con l’assemblea Precog (precari e cogni-

tari) tenutasi a Trento il 18 gennaio 2004, han-no dato vita all’idea del Santo. San Precario nasce quindi nel contesto di quel nuovo pa-norama lavorativo inaugurato all’indomani del pacchetto Treu del 1997 – e proseguito con la legge 30 del 2002 – con cui si è com-piuto il primo passo verso quella trasforma-zione del mercato del lavoro che ci ha por-tato direttamente ai giorni nostri e al Jobs act renziano: ovvero l’estensione della pre-carietà a un concetto esistenziale e pervasi-vo che si insinua e caratterizza ogni aspetto della nostra vita. Dall’idea del Santo si svi-luppa una rete di sportelli bio-sindacali di-slocati sul territorio nazionale, con cui ab-biamo costruito un progetto di opposizione sociale alla precarietà.

Nello specifico, il Punto San Precario Rho Fiera nasce nel 2009, dall’esigenza di rispon-dere a quel processo di deindustrializzazio-ne e terziarizzazione dell’economia messo in atto nel territorio rhodense, e che ha tro-vato la sua massima espressione nel batte-simo, nel 2005, del nuovo polo fieristico mi-lanese. Un’evoluzione a passo con i tempi, che ha visto emergere nuovi soggetti e ti-pologie contrattuali, e quindi nuovi scenari di conflitto tutti da costruire e immaginare.

Cosa si intende per sportello bio-sindaca-le, e quali sono le sue peculiarità rispetto ai sindacati classici?

Le trasformazioni e i cambiamenti che so-

50

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 51: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

no intervenuti nel mondo del lavoro, oltre a erodere diritti, hanno anche modificato qua-litativamente e quantitativamente il modo di lavorare. Il rapporto di lavoro è sempre più individualizzato e la separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro è sempre più sfu-mata. Il nuovo sistema economico si carat-terizza per la compresenza di diversi model-li di organizzazione della produzione e di frammentazione del mercato del lavoro. Una frammentazione che non solo ha ag-gravato la crisi della rappresentanza sinda-cale e del suo potere contrattuale, ma so-prattutto ha portato all’individualizzazione del rapporto di lavoro, al prevalere della contrattazione individuale su quella collet-tiva, con tutti gli effetti peggiorativi nelle condizioni di lavoro, di salario ecc. In tale situazione le tradizionali forme di rappre-sentanza, verticali e gerarchiche, perdono la loro efficacia, proprio perché viene a man-care un soggetto di riferimento omogeneo, facilmente e direttamente rappresentabile. Da qui l’esigenza di una nuova visione dell’a-zione sindacale, appunto il bio sindacalismo.

In una società post-fordista in cui i con-sumi e i bisogni sono fondati sull’etica del-l’immagine e del consumo e del produttivi-smo, le imprese non si accontentano più di conquistare la ‘fedeltà’ del lavoratore sul posto di lavoro, ma ne pretendono un’ade-sione totale, di tipo ideologico e paternali-stico, in cui non c’è spazio per il dissenso e

il conflitto, e dove ogni lavoratore è vittima. Le imprese, oltre che precarizzare, ricattare e sfruttare, sono capaci di illudere, affasci-nare e creare aspettative. Tra padrone (quan-do lo si riconosce come tale) e dipendente, tra capo e sottoposto, ci si dà del tu, come in una grande famiglia. Un’adesione di tipo totalitario che ci ha portato a sviluppare una visione dell’azione sindacale che non si limita alla rivendicazione dei diritti sul la-voro, ma che sposta il baricentro del con-flitto nell’intera società, attraverso quelli che abbiamo definito i cinque assi della preca-rietà: il diritto al redditto a prescindere dal lavoro e tra un contratto e l’altro; il diritto alla casa come presupposto di una vita vis-suta in modo autonomo e dignitoso; il di-ritto agli affetti, all’amore e alla sessualità li-bera e consapevole; il diritto all’accesso alle comunicazioni e ai saperi contro ogni bar-riera e recinzione; il diritto, infine, a una mo-bilità libera e gratuita. Una visione del con-flitto che supera il concetto classico di sin-dacato fondato sulla delega e sulla rappre-sentanza, e sostenuta da nuovi metodi co-municativi ed espressivi.

Quali sono le rivendicazioni portate avan-ti dal Santo dei precari?

Innanzitutto per poter incidere nel rap-porto capitale/lavoro è necessario attivare un processo di ricomposizione sociale delle di-verse soggettività del lavoro, e riconoscere

51

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 52: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

INTERVISTA– Collettivo San Precario. Opposizione sociale alla precarietà

che la condizione di precarietà è generaliz-zata e investe la vita nella sua totalità. La nostra piattaforma rivendicativa abbraccia una strategia che ha il fine attivare un pro-cesso di ricomposizione sociale delle lotte di tutti i precari dei settori dell’economia, e di promuovere un’azione di tipo culturale con cui costruire nuovi immaginari colletti-vi d’azione: una nuova visione della politi-ca e della società che superi l’idea di pacifi-cazione sociale, e in cui il conflitto diventi il motore delle trasformazioni sociali e del cam-biamento.

Il primo passo è quello di creare uno ‘stru-mento’ che consenta una continuità di red-dito, per fuoriuscire dal sistema bisogno di vita/ricatto lavorativo, e questo significa esem-plificare e diminuire le tipologie contrattua-li esistenti estendendo tutele e diritti a qua-lunque soggetto lavorativo. È indubbio che una diversificazione estrema delle tipolo-gie contrattuali e il sistema di ricatto a cui sono sottoposti i lavoratori abbiano incre-mentato la divisione e lo smarrimento, di-minuendo il peso delle rivendicazioni col-lettive. Una semplificazione di tipo quanti-tativo, quindi, è un presupposto indispen-sabile per creare un contesto comune in cui coltivare le nostre rivendicazioni.

Per quanto riguarda l’azione culturale e controinformativa, i punti San Precario si prefiggono di contrastare e superare l’indi-vidualizzazione della forza lavoro attraver-so modalità che prevedono cooperazione, con-divisione e coordinamento, sperimentando forme di conflitto innovative e utilizzando una strategia comunicativa partecipativa e

‘cospirativa’ che usa diversi strumenti – come il subvertising, che consiste nel ribaltare e sov-vertire il messaggio pubblicitario promosso dalle imprese utilizzando i suoi stessi stru-menti: immagini, slogan e stili. Subvertising sono il finto manifesto pubblicitario, il logo taroccato o la finta trasmissione radiofoni-ca, e servono per decostruire e smascherare un brand e la sua retorica.

In definitiva San Precario è un vero e proprio media sociale, dove la comunicazio-ne nasce dalla partecipazione, dalle capaci-tà e dalle competenze dei lavoratori, e in cui a dominare sono la libertà di espressio-ne e la creatività e non il profitto e l’omolo-gazione.

Il Punto San Precario Fiera Milano sorge a Rho, la cittadina del nuovo polo fieristico milanese e dell’Expo 2015. Quanto incido-no le vostre lotte sul territorio?

È noto che il polo fieristico di Rho-Fiera è un ricettacolo di lavoro nero, precario e intermittente. Per questo, fin dagli esordi, ab-biamo monitorato e controllato ciò che av-veniva nei padiglioni, anche alla luce degli sviluppi di Expo 2015. Nell’aprile del 2010 abbiamo inaugurato la nostra azione con “Il Salone internazionale del Mobile e del Design”, la vetrina della Milano da bere e il coacervo dello sfruttamento del lavoro: con un numero consistente di precarie e precari abbiamo organizzato un’irruzione nei pa-diglioni della Fiera, per denunciare le con-dizioni di lavoro, il mancato pagamento de-gli stipendi e l’abuso dei contratti precari. L’esito è stato positivo: il 23 aprile del 2010

52

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 53: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

circa una cinquantina di lavoratori della Best Union Company e delle sue controlla-te Team 2015 e Fair Service (che operano come aziende in subappalto per i servizi lo-gistici alla Fiera di Rho) si sono visti pagare i salari arretrati, che andavano dall’ottobre al dicembre 2009. Il battesimo in Fiera ha di-mostrato come sia possibile opporsi alla pre-

carietà, ed è stato un’opportunità per rilan-ciare e allargare la vertenza a tutte le socie-tà che operavano nel polo fieristico: dalle già citate Fair Service, Team 2015, Best Union Company, all’Autogrill, a Sipro, Sanital, La-ser e Fema.

Nel 2011, nella logica del subverting, ab-biamo lanciato una campagna informativa

sulle condizioni di lavoro in Fiera e su come queste si riflettessero sulla costruzione di Expo 2015: “Il disoccupato in Fiera”. All’om-bra della torre dorata della Fiera di Rho ab-biamo creato, insieme ad altre le realtà me-tropolitane, uno stand permanente, dove po-ter incontrare i lavoratori licenziati e parla-re con i legali di San Precario, e questo ci ha permesso di consolidare un percorso so-lidale con il territorio.

Nel marzo 2012 abbiamo poi inaugura-to la campagna “Fagliela pagare” chieden-do, attraverso una raccolta di firme, una ri-duzione delle tariffe del trasporto pubblico locale per pendolari, lavoratori, disoccupati e precari del territorio, attraverso l’introdu-zione di una tariffa unica integrata a livello metropolitano finanziata anche attraverso un contributo economico annuale di un mi-lione di euro da parte di Fiera Milano, il soggetto che ha goduto dei maggiori bene-fici dalla costruzione delle nuove infra-strutture. Con l’apertura del polo fieristico è stata infatti costruita la nuova stazione ferroviaria di Rho Fiera, avviata nel 2009, che ha comportato il taglio di trenta treni per i pendolari dalla stazione di Rho Cen-tro e l’arrivo dell’alta velocità, sempre in funzione dei visitatori e degli espositori e dei profitti di Fiera Milano. La vertenza si è conclusa con una parziale ripartizione dei treni a favore della stazione di Rho Centro e dei cittadini rhodensi, che hanno ricono-sciuto l’importanza di difendere il diritto alla mobilità, malgrado il mancato raggiun-gimento degli altri obiettivi della campa-gna.

53

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 54: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

INTERVISTA– Collettivo San Precario. Opposizione sociale alla precarietà

Per quanto riguarda Expo 2015, invece, insieme al centro sociale Sos Fornace di Rho e ad altre realtà metropolitane siamo impe-gnati nella campagna di boicottaggio del lavoro volontario e non retribuito. Credia-mo che un lavoro gratis non sia un vero la-voro, e che prestare gratuitamente il pro-prio tempo per Expo significhi subire il ri-catto della necessità, e cadere nel tranello dell’aspettativa che ci porta a lavorare come volontari con la speranza di entrare in un mondo del lavoro senza prospettive.

Expo 2015 aveva promesso 70.000 posti di lavoro, ma a sei mesi dall’apertura dei can-celli l’unica certezza è l’impiego dei 18.500 volontari che lavoreranno senza ricevere un compenso, vanificando potenziali posti di lavoro e alimentando il conflitto tra genera-zioni e tra poveri.

A vostro avviso esistono dei legami tra i provvedimenti entrati in vigore con la pri-ma parte del Jobs act e l’Expo 2015, e come intendete smascherare queste politiche?

Anche se non è facile districarsi nell’in-dividuare il rapporto tra causa ed effetto per quanto riguarda il legame tra il Jobs act ed Expo 2015, non vi è dubbio che Expo 2015 sarà uno straordinario terreno di spe-rimentazione delle politiche del lavoro tar-gate Jobs act, dove vi è un ancora più peri-coloso coinvolgimento dei soggetti sinda-cali nelle politiche di deregolamentazione e di spoliazione dei diritti dei lavoratori. Tut-to questo alla luce di un processo di tra-sformazione che vede l’intermittenza lavo-rativa come nuovo paradigma del lavoro con-

temporaneo, e il lavoro volontario come nuo-va frontiera del mai sopito sogno padrona-le di avere lavoratori felici di essere gratui-tamente sfruttati.

Da parte nostra stiamo cercando di esor-cizzare, anche dal punto di vista comunica-tivo, l’idea per cui il conflitto sociale è un quid di patologico: nel passato, anche nel nostro Paese, è stato uno straordinario stru-mento di emancipazione delle classi subal-terne. Nel nostro piccolo e tra mille difficol-tà stiamo tentando, come punto San Preca-rio di Rho, di elaborare una strategia che

54

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 55: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

tenga insieme il livello politico-sindacale e quello culturale e comunicativo, nella lotta ai processi di precarizzazione di lavoro e di vita attuati dal capitale. Si tratta di una continua sperimentazione, volta a indivi-duare le nuove alleanze e i nuovi luoghi of-ferti dalle pratiche quotidiane di conflitto, nella prospettiva della ricomposizione del-la moltitudine di precari, lavoratori, disoc-cupati, migranti e senza-diritti nel post-for-dismo.

55

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 56: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

40 anni e... risentirli!Intervista aFabio Treves

di Giuseppe Ciarallo

A PROPOSITO DI...

La Treves Blues Band, storico gruppo fonda-to a Milano da Fabio Treves, ha spento que-st’anno le quaranta candeline e ha festeggia-to l’avvenimento con un lungo e seguitissi-mo tour.

Ma andiamo per ordine... La Treves Blues Band vede la luce nel 1974 su iniziativa di Fa-bio Treves, venticinquenne milanese che in seguito verrà soprannominato il Puma di Lam-brate (zona operaia della periferia milanese) in risposta al celebre Leone di Manchester, alias John Mayall. In totale controtendenza – i ra-gazzi dell’epoca sono prevalentemente orien-tati verso il rock nelle sue varie declinazioni – Treves fonda una band per risalire alle fonti del blues, musica che ha dato origine in qualche modo ai più importanti generi del Novecen-to, dal jazz al rock, appunto. Da quel momen-to è un vorticoso avvicendarsi di impegni, dai concerti dal vivo, ai dischi, alle collaborazioni con artisti di tutto il mondo, alcuni dei quali veri e propri mostri sacri, come vedremo.

La TBB, che nel 1978 viene chiamata ad aprire i concerti italiani di Charles Mingus, col-laborerà e calcherà lo stesso palco di artisti del calibro di Mike Bloomfield (Torino, 1980), James Cotton, Stevie Ray Vaughan e Little Steven, chitarrista della E Street Band di Bru-ce Springsteen, nel 1988. Nello stesso anno ar-riva forse l’incontro che più di ogni altro se-gnerà la vita artistica del Puma di Lambrate, come ormai tutti chiamano Fabio Treves: Frank Zappa, uno dei più geniali musicisti del Novecento, invita l’armonicista milanese a suo-nare nei suoi concerti italiani di Milano e Ge-nova. Ma la band non riposa sugli allori e Tre-ves, nella sua frenetica attività, incontra e col-labora con tanti altri artisti, perlopiù ameri-cani, quali Chuck Leavell, Pick Withers, Dave Kelly, Cooper Terry, Eddie Boyd, Sunnyland Slim, Johnny Shines, ma anche italiani (An-gelo Branduardi, Pierangelo Bertoli, Eugenio Finardi, Francesco Baccini, Ivan Graziani e tanti altri).

56

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Fabio TrevesFoto by Renzo Chiesa

Page 57: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Dal punto di vista della produzione discografica, invece, è del 1976 il primo disco in studio della band, dal titolo omonimo Tre-ves Blues Band; passano due anni e nel 1978 viene registrato il secondo disco, The Country In The City. È del 1988 Sunday’s Blues, disco in cui si annotano le collaborazioni in studio del tastierista Chuck Leavell, del batterista Pick Withers e del cantante e chitar-rista Dave Kelly. Nel 1992, anno in cui viene dato alle stampe Jumpin’, la band sbarca negli Usa, a Memphis, per partecipare al Beale Street Music Festival, nel quale si esibiscono vere icone del Blues quali Buddy Guy, Johnny Winter, Kim Wilson, Koko Taylor, Al Green, Lonnie Brooks. Del 1996 è il primo disco dal vivo, dall’ine-quivocabile titolo Live!. Nel 1999 esce Jeepster, con pezzi storici della band come le cover di Summertime Blues, Flip Flop and Fly, I don’t want you to be my girl e pezzi originali quali Downtown Shuffle e Suzeeing a firma dello stesso Treves. Del 2001 è invece Blues Again che contiene brani scritti da Alex ‘Kid’ Gariazzo, chi -tarrista della TBB e dall’inossidabile frontman (tra questi Fool around, She’s my baby, Endless Love, Leave my troubles behind e la canzone che dà il nome al disco Blues Again). A distanza di do-dici anni dal primo disco live, arriva Live 2008, doppio cd che con-tiene classici come Flip Flop and Fly, Walkin Blues, Bayou Blood e Shame shame shame.

Nel 2011 Fabio Treves realizza il suo progetto di un nuovo spet-tacolo musicale: Blues in Teatro. Dalla registrazione di alcuni con-certi scaturisce un nuovo cd live, il terzo, dall’omonimo titolo. Il di-sco è una sorta di omaggio ai grandi interpreti del blues del passato – a volte ingiustamente trascurati dalla critica ufficiale – che han-no scritto la magica storia del Blues moderno: Snooky Pryor, Ro-bert Johnson, Sonny Terry, Brownie McGhee, Sonny Boy William-son, Blind Willy Johnson.

Fino a giungere al tour del quarantennale, con la Treves Blues Band a calcare numerosi palchi in una serie di concerti che hanno visto una partecipazione massiccia ed entusiastica di fan e amanti della ‘musica del diavolo’.

Dunque, Fabio, tanto per cominciare ti va di presentarci il tuo strumento? Mi sembra che l’armonica a bocca sia talmente poco usata nella musica di oggi che molte persone ne ignorano quasi l’esistenza. Che storia ha questo bellissimo strumento? Quali sono i maggiori interpreti nella storia del blues? E soprattutto, a te come è venuto lo schiribizzo di cominciare a suonare proprio l’armonica?

L’armonica a bocca è lo strumento principe del blues! È arriva-ta negli States dal Vecchio Continente (dalla Germania per l’esat-

57

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 58: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

40 anni e... risentirli!Intervista aFabio Treves

A PROPOSITO DI...

tezza) a metà dell’Ottocento e si è diffusa ca-pillarmente, grazie anche e soprattutto alla sua dimensione ridotta. È stata utilizzata nei loro primi 45 giri da Beatles, Stones, Dylan, Springsteen, Stevie Wonder, insomma dal gotha della musica beat e pop. Nel blues, quello più arcaico come in quello elettrico sti-le Chicago, l’armonica a bocca non manca mai. I suoi grandi interpreti si chiamano Sonny Ter-ry, Sonny Boy Williamson, Walter Horton, Lit-tle Walter, Paul Butterfield e almeno un mi-gliaio d’altri! Io ho iniziato a suonarla a metà degli anni Sessanta, ascoltando le formazioni beat e pop inglesi che in quel periodo stava-no riscoprendo le origini della musica nera e del Blues…

Parliamo dei tuoi esordi. Qual era il clima che si respirava nei primi anni ’70? Quali sono state le difficoltà che hai incontrato per trovare spazi in cui esibirti, e poi registrare e pubblicare i primi dischi? Chi sono stati i tuoi primi compagni di viaggio?

Erano anni in cui la musica era quella tra-smessa dall’unica rete televisiva esistente (Rai in bianco e nero), non c’erano ancora le ra-dio “libere ma libere veramente”, e di locali che programmavano buona musica non se ne parlava, eccezion fatta per gli storici Ca-polinea e Santa Tecla, veri e propri tempi del jazz. Erano in voga il progressive rock italiano, la canzone politica, i cantautori, il jazz d’a-vanguardia ma di blues non se parlava pro-prio…

Io ho cominciato esibendomi in centinaia di iniziative di solidarietà e questo ha contri-buito a far circolare il nome Treves Blues Band, una band numerosa considerata da alcuni cri-tici e colleghi musicisti poco più che un insie-me di ‘appassionati’ della musica del diavolo. Forse agli inizi era davvero così, ma la sempli-cità e la voglia di suonare, sempre e comun-que, era il marchio di fabbrica di questa band storica del blues italiano.

58

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 59: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Se dovessi racchiudere il blues in due soli aggettivi, quali usere-sti e perché?

Unico e fondamentale per lo sviluppo del 90 per cento della musi-ca moderna: generi musicali come il jazz, il bebop, il rock&roll, il fun-ky, il beat, la fusion, la country music… sarebbero nati senza il blues?

Nella tua lunghissima carriera hai avuto la possibilità di collabo-rare con numerosissimi artisti, alcuni dei quali autentici mostri sacri del blues, del jazz, del rock e anche della musica leggera no-strana (penso a Graziani, Cocciante, Bertoli, Branduardi e tanti al-tri). Quali sono i musicisti con i quali hai condiviso il palco, che secondo te hanno, o avevano, una marcia in più, nel senso della carica, del carisma, della capacità di coinvolgere il pubblico o an-che solo della maestria tecnica nel suonare il proprio strumento?

Sono l’unico musicista italiano ad aver suonato, in due concer-ti, con il grande ‘genio di Baltimora’ Mr. Frank Zappa, e a mio avvi-so lui è stato veramente uno dei grandi geni musicali dell’intero Novecento. Per raccontare il nostro incontro e la nostra amicizia mi ci vorrebbero non so quante pagine… Ma anche il tastierista Chuck Leavell (ex Allmann Brothers Band e da quindici anni com-ponente fisso on tour dei leggendari Rolling Stones) ha rappre-sentato un incontro musicale importante nella mia lunga carriera. E non posso tralasciare alcuni amici, che ahimè ci hanno lasciato come Ivan Graziani e Gianfranco Bertoli. Devo riconoscere che con tutti ho passato bei momenti collaborando alla realizzazione dei loro dischi, c’era stima e rispetto reciproco, molta umanità e sem-plicità, valori che sono alla base di qualsiasi musicista vero!

Hai voglia di raccontarci qualche aneddoto ambientato nel mon-do del blues?

Ne potrei raccontare a centinaia, tante infatti sono le storie le-gate ai miei incontri blues! Ne scelgo uno. In occasione di impor-tanti festival ho avuto l’onore e la fortuna di calcare lo stesso pal-co con vere e proprie icone del blues. Mi meravigliò molto la gran-de semplicità e disponibilità di B.B. King: stava aspettando il suo turno di prove del suono in un minuscolo camerino di due metri per due, io gli chiesi se potevo scattargli una foto e lui si mise in posa sfoggiando un bel sorriso… se non è un segno di grandezza questo!

Com’è cambiato il blues in quest’ultimo mezzo secolo, e com’è cambiato l’approccio del pubblico nei confronti di questa musica che a ben vedere è all’origine di tutti i più importanti fenomeni musicali del Novecento?

59

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 60: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

40 anni e... risentirli!Intervista aFabio Treves

A PROPOSITO DI...

È cambiato innanzitutto l’approccio di tan-ti giovani, che ora hanno la possibilità di co-noscere il passato e la storia del blues attra-verso le nuove tecnologie. È cambiato l’atteg-giamento dei media, che parlano ancora poco di blues ma adesso rispettano chi lo suona. Ora ci sono molti locali che hanno inserito il blues, a pieno titolo, nella loro programma-zione, ed esistono programmi radiofonici di blues sparsi su tutto il territorio nazionale. Il pubblico quindi ha più possibilità di ascolta-re e anche scegliere il tipo di blues che più preferisce.

Ma torniamo alla Treves Blues Band. Com’è andato il tour del quarantennale? Ci presenti la tua band?

Abbiamo iniziato a gennaio con un clamo-roso sold out alla prima serata, al Teatro mu-nicipale di Casale Monferrato. E poi ne sono seguiti altri in tanti bellissimi teatri, Morbe-gno, Mandello, Lodi, Crema, Milano… dovrei citarli e ricordarli tutti per l’entusiasmo e l’af-fluenza di pubblico con cui siamo stati accol-

ti! Serate indimenticabili, come quella al Teatro So-ciale di Como che per la pri-ma volta, in duecento anni di storia, ospitava un con-certo di blues!

La band è formata dal poderoso ed eclettico bat-terista Massimo Serra, dal fenomenale Alex ‘Kid’ Ga-riazzo alle chitarre, e da due carissimi amici: Guitar Ray alla chitarra e Gab D al bas-so elettrico e contrabbasso. Questi ultimi due fanno par-te della band ligure Guitar Ray & The Gamblers, ma li considero due compo-nenti della TBB a tutti gli effetti!

60

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Fabio Treves e Franco Cerri. Rai, 1987

Page 61: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

Quarant’anni sono una vita, un congruo periodo per poter tirare delle somme e fare dei consuntivi. Immagino che tu abbia, oltre che tanti motivi per essere più che soddisfatto, anche più di un sassolino nella scarpa. Hai voglia di togliertene qualcuno proprio durante questa intervista?

Sì, quarant’anni sono davvero un bel po’ di tempo e un traguar-do unico e prestigioso, soprattutto per una persona come me che ha fatto della coerenza il suo stile di vita. Quello che ho realizzato può piacere o no, ma è sempre stato fatto senza firmare contratti, senza essersi legato a nessun carrozzone politico, senza aver mai elemosinato niente a nessuno. E questo per me è un titolo di me-rito, qualcosa per cui sentirsi orgoglioso, la cosa di cui più vado fie-ro. Oltre all’aver sempre rispettato il mio meraviglioso pubblico, sera dopo sera, cercando di suonare sempre al meglio e senza rispar-mio di energie!

Mi sembra che nonostante gli otto lustri trascorsi, la Treves Blues Band sia più viva e pimpante che mai. La vena creativa non si è affatto esaurita, nonostante il clima generale non sia dei miglio-ri, eufemismo per evitare il più consono termine deprimente. Dopo la tournée celebrativa hai in programma un disco, un dvd, qual-che altro progetto?

Io non sono un grande amante del lavoro in studio, in sala d’in-cisione mi sento come un... puma in gabbia. L’unico progetto è quello di non deludere mai me stesso e la gente che in questi quaran-t’anni mi ha dimostrato tanto affetto. Se arriverà qualcosa di nuo-vo ben venga, ma per ora mi voglio godere la soddisfazione di un 2014 che è stato così ricco di musica, fan, teatri pieni e tanti nuovi giovani arrivati nella grande famiglia della Treves Blues Band!

Mi piacerebbe concludere con un tuo messaggio, un consiglio o un invito, ai giovani che non conoscono il blues, e che magari sono appassionati di musica rock senza conoscerne le radici…

Ascoltate i Nirvana e poi andate a cercare un brano di Leadbelly, ascoltate i Led Zeppelin e poi guardate in rete i video di Willie Di-xon, ascoltate gli AC/DC e poi mettete nel lettore un disco di Chuck Berry. Questa è la prima lezione per capire la grandezza del blues, la musica origine, la musica ‘fonte’ dalla quale hanno attinto i gran-di complessi rock…

E per concludere, il mio slogan preferito: BLUES ALLE MASSE!

61

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 62: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

FILO-LOGICO

La parola è recente, di Joseph Addison, il pa-dre del giornalismo inglese, e compare per la prima volta su The Spectator: egotism, da cui il francese égotisme. Siamo fra fine Sei-cento e l’inizio del Settecento, e probabilmen-te giornalistica è anche la strada che porta la parola nella lingua italiana, considerando che diversi giornali del nostro Settecento, da Il Caffè di Pietro Verri a La frusta lettera-ria di Giuseppe Baretti a L’Osservatore di Ga-sparo Gozzi, ebbero il giornale inglese come punto di riferimento. Così nel numero del 2 luglio 1714 scrive Addison: “I Signori di Port-Royal, che furono più eminenti per la loro cultura e la loro umiltà di ogni altro in Francia, bandirono il discorso in prima per-sona da tutti i loro lavori, come derivante da vanagloria e da autopresunzione. Per mo-strare la loro particolare avversione contro esso, bollarono questa forma di scrittura con il nome di egotismo; una figura non rintrac-ciabile negli antichi retori” (1).

E la polemica letteraria trova il suo api-

ce nelle righe successive: “La maggioranza delle nostre odierne prefazioni sanno mol-to fortemente di egotismo. Ogni autore in-significante immagina che sia importante per il mondo sapere che egli scrisse il suo libro nella nazione, che lo fece per trascorrere bene alcune pigre ore, che fu pubblicato su insi-stenza degli amici o che la sua naturale in-dole, studi o conversazioni, lo indussero alla scelta del suo argomento” (2).

Da qui la parola dilaga con un significa-to impreciso, ma vicino alla psicologia. Di-versi autori se ne appropriano e se Stend-hal è il più famoso, si parla anche di egoti-smo foscoliano con riferimento alle sue let-tere. La definizione rimane comunque piut-tosto generica. Così in Umberto Galimberti: “Ipervalutazione di sé e delle proprie prero-gative che induce il soggetto a parlare con-tinuamente di sé e delle vicende della pro-pria vita come delle uniche ad avere un si-gnificativo valore” (3).

Il termine è usato nella psicoterapia del-

62

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

EGOTISMODI FELICE BONALUMI

______________________________________________________________________________________________________________________1) L’intera raccolta del giornale sul sito: www.gutenberg.org/files/12030/.../12030-h.htm. Il testo ingle-se è a traduzione dell’autore2) Ibidem3) U. Galimberti, Dizionario di psicologia, vol. 2, Gruppo editoriale L’Espresso, 2006. La prima edizione è Utet, 1992

Page 63: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

la Gestalt come una delle sette o otto (dipen-de dagli autori) resistenze principali. Que-st’ultima espressione indica disturbi della relazione tra organismo e ambiente e l’ego-tista si pone nella posizione di chi sa tutto, di chi si considera arrivato. In questo senso ha trovato una sua realizzazione, un suo po-sto nel mondo, ma manca assolutamente di vitalità, di spontaneità, della curiosità di co-noscere in quanto, appunto, sa già tutto.

Il dato centrale resta la sua freddezza, che diventa mancanza nel provare emozio-ni, nel bisogno di avere il controllo su ogni cosa e, soprattutto, nell’avere una conside-razione sempre uguale, dunque statica, di se stesso. L’immagine che rimanda l’egotista è di persona controllata, perfino programma-ta nei minimi dettagli, che tiene una distan-za di sicurezza nei confronti degli altri sen-za alcuna empatia con nessuno. Con una bat-tuta: gli piacciono tutte le parole con il pre-fisso auto (auto-apprezzamento, auto-valoriz-zazione, auto-sostegno e così via).

Il limite con il narcisismo è quanto mai labile e, certamente, la differenza tra nor-malità ed egotismo è di gradi e non qualita-tiva. Lo dico in altro modo: un po’ egotisti lo siamo tutti, è salutare, ma rinunciare alle novità della vita è patologico.

Indubbiamente la letteratura offre esem-pi notevoli di egotismo, ma aggiungerei su-bito ogni artista, pittore, scultore, musicista o altro, sembra il soggetto di studio ideale. Con questo sto dicendo che dove c’è creati-vità e fantasia… c’è egotismo, inteso come considerazione elevata di se stessi. Se poi ci siano casi di artisti e letterati (ma proprio solo questi?) in cui la situazione è patologi-ca… lascio al lettore.

Torno alla letteratura perché questo ter-mine apre un interessante campo d’indagi-ne nel suo rapporto con l’autobiografia e con il diario, e le tre tipologie hanno in comune una considerazione di fondo indiscutibile: la mia vita è di grande valore, dunque la scrivo. Dal punto di vista strettamente tec-nico, la scrittura egotica è quella in cui c’è una sovrabbondanza del pronome io, il che rende ancora più difficile una distinzione con l’autobiografia e con il diario. D’altra parte, tutte e tre le tipologie hanno come oggetto della scrittura il rapporto tra un io, quello dello scrittore, e il mondo, indagando come attraverso questa relazione si è venuto co-struendo un io che proprio con la scrittura approfondisce se stesso. Non è quindi nel-l’oggetto della scrittura che si può trovare una differenza.

63

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 64: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

FILO-LOGICO

E neppure nel soggetto scrivente. Anzi, il sospetto che si scriva di sé perché si vo-glia dimostrare che nella propria vita c’è una continuità, arriverei a dire un logos, è molto forte. Salvo restando una domanda: quanta menzogna c’è, in tutte e tre queste scritture? Quanto il soggetto scrivente ha bisogno di vedere nero su bianco quel filo conduttore che evidentemente ha necessità di dimostra-re, a se stesso innanzitutto e poi eventual-mente ad altri?

Tutto ciò porta a una conclusione: il te-sto egotico dovrebbe dimostrare il rappor-to patologico del soggetto scrivente con il mondo, quello autobiografico e quello dia-ristico possono invece rendere un soggetto in perfetta armonia con i suoi simili e con il suo ambiente. Dovrebbe, cioè un condizio-nale, perché non credo che il linguaggio e/o la struttura del testo possano portare a con-clusioni certe che facciano risaltare la con-dizione patologica o meno del soggetto scri-vente. Lo dico in altro modo: il linguaggio è comunque la prima forma di menzogna e un io patologico non può che approfittarne!

Se così stanno le cose, si deve lasciare agli psicologici ciò che l’analisi letteraria non per-mette, ma, come detto in precedenza, la psi-cologia traccia confini labilissimi fra egoti-smo e narcisismo, fra egotismo e normalità. Dunque… occorre cercare altrove.

Avanzo una ipotesi che interessa il rap-porto testo egotico/testo autobiografico: a po-steriori, cioè alla fine del testo, quello autobio-grafico deve mostrare un cambiamento, una maturazione del soggetto (il che porrebbe l’au-tobiografia come caso particolare, caso limi-te del Bildungsroman, cioè del romanzo di for-mazione). Ciò deve mancare nel testo egoti-

co: il soggetto enumera e analizza le vicen-de della sua vita per dimostrare il suo non cambiamento. Mi risulta più problematico, per il modo e i tempi di scrittura del diario, avanzare la stessa ipotesi per il rapporto fra quest’ultimo e il testo egotico.

Forse, ma anche in questo caso lo dico a livello di ipotesi, è proprio il tempo di scrit-tura ad aprire qualche spiraglio. In un du-plice senso: il divario tra il fatto raccontato e il momento della scrittura e quello che de-finisco il ritorno sulla scrittura.

Vado con ordine. Il testo egotico e quello autobiografico si pongono come una rifles-sione che ammette qualsiasi distanza di tem-po rispetto ai fatti raccontati. L’autobiogra-fia, anzi, si intende come una riflessione in età avanzata. Il diario (4) ammette invece una distanza minima, cioè un divario di giorni, di qualche settimana o, al limite, di qualche mese. In quest’ultimo non c’è la sedimenta-zione temporale, vale a dire la riflessione, presente nelle prime due tipologie di testi. Riflessione vuole dire a sua volta analisi e, dunque, scarto di fatti, perché si tengano solo quelle azioni e quelle vicende che dan-no ragione della continuità cercata e di cui ho detto prima. Nella scrittura diaristica tutto ciò può non mancare, ma il filtro determi-nato dal tempo è certamente minore.

In pratica i testi egotici e autobiografici costruiscono sempre a priori l’immagine con cui lo scrittore vuole rimanere nella mente dei lettori, e la scrittura è solo il momento della realizzazione di questo progetto. Il dia-rio si costruisce giorno per giorno e la cen-sura, se non assente è meno presente o, co-munque, in modo meno continuo, e può va-riare di intensità. È una censura più legata

64

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

______________________________________________________________________________________________________________________4) Sulla scrittura diaristica molto interessante è E. Mandrussan, Forme del tempo/Modi dell’io. Educazio-ne e scrittura diaristica, Ibis, 2009

Page 65: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

EGOTISMO

al momento, alla situazione psicologico-esi-stenziale del diarista, con un rapporto più immediato tra impressione/importanza del fatto e scrittura.

Forse ancora più interessante è il secon-do aspetto. Il diario può portare, e a dire il vero quasi sempre porta, cancellature e scrit-tura fra le righe. A volte sono cancellature e sovrapposizioni istantanee, cioè contempo-ranee alla scrittura di quella pagina, altre vol-te c’è distanza di tempo e spesso una par-zialmente diversa calligrafia o anche un di-verso inchiostro avvertono di quanto acca-duto. Nei testi egotici e autobiografici can-cellature, sovrapposizioni, perfino riscrittu-re sono ammessi in quanto si tratta di un testo letterario. Al più, queste forme di ri-scrittura possono essere oggetto di analisi dello studioso che così entra nel cantiere del-l’opera. Il ritorno sulla scrittura è il più alto atto di tradimento e di menzogna in un dia-rio, è il più alto atto di riflessione per le al-tre due tipologia di scrittura.

Il caso Stendhal è, per così dire, clinica-mente perfetto perché ha lasciato i Ricordi di egotismo, la Vita di Henry Brulard e un Diario. Affezionato anche alla parola che dal titolo della sua opera si diffuse in tutta Europa (te-nendo presente che il testo è del 1832, ma venne pubblicato nel 1892) e, infatti, come avverte Massimo Bontempelli nella prefa-zione (5), usata in precedenza almeno tre volte.

Il problema che questi tre testi pongono è quanto mai interessante. La Vita di Henry Brulard, al di là dello pseudonimo (a quan-

to pare di un suo prozio monaco dalla testa enorme e a cui sembra Stendhal assomiglias-se), tratta dell’infanzia e dell’adolescenza co-me di un periodo di dolore interiore. La ri-costruzione non ha valore mnemonico, ma vuole ripercorrere lo squallore della sua in-fanzia e dell’ambiente familiare di Greno-ble. Una riflessione che, parafrasando altro titolo e altro autore, si può riassumere come cognizione del dolore, a cui fa da contrap-punto l’esplosione della scoperta di Mila-no, dove arriva nel giugno 1800 al seguito delle truppe di Napoleone, e della conse-guente felicità. Dunque l’autore è cambiato, è maturato: ha scoperto un nuovo lato della vita che prima non conosceva, sa di potere essere felice! Come è noto a Milano Stend-hal lascia il suo cuore (e non solo in senso me-taforico, e basti il nome di Metilde Visconti-ni Dembowski) e si considererà sempre un esiliato dalla città lombarda, tanto che an-cora oggi si può vedere la sua tomba al ci-mitero di Montmartre con l’epitaffio voluto dallo scrittore in italiano e, soprattutto, con la parola milanese a indicare la sua patria d’elezione (6).

Il metodo di Stendhal nel recuperare la sua vita è, per altro, piuttosto semplice: dal-le sensazioni del presente risale alle cause. Una metodo-mosaico? Credo possa essere definito così: la sensazione presente gli dà delle immagini (i tasselli del mosaico) e la riflessione attraverso la scrittura è un tenta-re di ricostruire l’intero mosaico. La prima domanda (“Che cosa sono stato, dunque?”) con la prima risposta, molto semplice (“Non

65

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

______________________________________________________________________________________________________________________5) Stendhal, Ricordi di egotismo, Mina di Vanghel, Vanina Vanini, prefazione di Massimo Bontempelli, Armando Curcio, 19786) L’epitaffio completo: “Arrigo Beyle / Milanese / Scrisse / Amò / Visse / amm. L IX. M.IL / Morì il XXIII Marzo MDCCCXLII”

Page 66: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

FILO-LOGICO

saprei”) nasce “sugli scalini di San Pietro e là meditai un’ora o due su quell’idea: sto per compiere cinquant’anni, sarebbe tempo di conoscermi. Che cosa sono stato? Che cosa sono? Davvero, sarei molto imbarazzato a dirlo” (7).

Quello che qui interessa è che la Vita di Henry Brulard fu scritta fra Civitavecchia e Roma dal 23 novembre 1835 al 17 marzo 1836, mentre i Ricordi di egotismo sono pre-cedenti, dell’estate 1832, ma si occupano di un periodo posteriore e precisamente dei primi mesi dopo gli anni milanesi e il ritor-no a Parigi (8). La continuità anagrafica do-vrebbe darci un libro in cui la maturità (rag-giunta nel volume posteriore, ma appunto anagraficamente precedente) viene, per così dire, dimostrata nel vissuto.

Niente di tutto questo: credo che la te-matica centrale sia l’assenza e, per la preci-sione, l’assenza di Milano (9), e questo mo-tivo esistenziale-sentimentale pone nelle pa-gine una sorta di muro invalicabile fra il pre-sente della scrittura, il passato narrato (Pa-rigi) e il passato interiorizzato e dunque sem-pre presente (Milano). Non è più, o meglio visti i tempi di scrittura, non è ancora la sen-sazione a guidare il ricordo, ma il sentimen-

to e, al pari, non interessa il singolo episo-dio ma la vita nella sua rappresentazione complessiva a cui l’autore non sa adattarsi. Milano è la città della gioia, Parigi della de-pressione; Milano è la vita come continuità, Parigi la sua frantumazione e, di conse-guenza, la frantumazione dell’io; Milano è la città del vivere in società, Parigi della sua impossibilità o, forse meglio, della sua falsità. Il sentimento richiede la sincerità o, perlomeno, una dichiarazione di sincerità, e a questa regola non sfugge nemmeno Stendhal: “Se questo libro riesce noioso, dopo due anni servirà al salumaio per av-volgervi il burro; altrimenti si vedrà che l’e-gotismo, ma quello sincero, è un modo di dipingere un cuore umano nella cui cono-scenza abbiamo fatto passi da gigante dopo il 1721, data delle Lettere persiane, di quel grande Montesquieu, che ho tanto studia-to” (10).

Conoscere il cuore degli uomini è anche l’intento del Diario (11), che copre il periodo 1801-1842. Intento nobile, ma riduttivo, per-ché ci sono impressioni, ricordi, note di co-stume, fatti personali, riflessioni, in una pa-rola la memoria costruita in un rapporto di vicinanza tra il tempo del fatto e il tempo

66

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

______________________________________________________________________________________________________________________7) Stendhal, Vita di Henry Brulard, Einaudi, 1976. Le citazioni alle pp. 4-5. In contrapposizione, l’auto-re è già in Italia, a Ivrea: “La mia vita fu rinnovata, e sotterrato per sempre tutto il disinganno di Pari-gi” (p. 374). E così nel testo prepara l’ingresso a Milano: “La ragione mi dice: ma il vero bello, è Na-poli e Posillipo, per esempio sono i dintorni di Dresda, le mura abbattute di Lipsia, l’Elba sotto Rain-ville ad Altona, il lago di Ginevra, ecc. ecc. Questo dice la mia ragione, il mio cuore non sente che Mi -lano e la campagna ‘lussureggiante’ che la circonda” (p. 375)8) Ricordo che entrambi i testi sono incompiuti9) Nell’edizione citata dei Ricordi di egotismo, così a p. 112, cioè nel penultimo capitolo dopo che l’au-tore ha accettato di correggere le bozze di un suo libro, il De l’Amour: “Le folli tentazioni di tornare a Milano, che tante volte avevo respinte, mi tornavano con forza straordinaria. Non so come ho fatto a resistervi”10) Stendhal, Ricordi di egotismo, op. cit., p. 7811) Stendhal, Diario, Einaudi, 1977, vol. 2. Ricordo che l’edizione italiana non è completa, ma, come avverte in nota il curatore, riporta circa i due terzi di quanto ci ha lasciato Stendhal. Il riferimento ci-tato nel testo è del 10 dicembre 1801, dunque nelle pagine iniziali: “Conoscere a fondo gli uomini, giudicare correttamente i fatti, è dunque un bel passo avanti verso la felicità” (vol. I, p. 30)

Page 67: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

EGOTISMO

della scrittura. Ma la memoria scritta di-venta anche il mezzo da cui attingere per le proprie opere, cosa che Stendhal fa con ab-bondanza e, dunque, la domanda, senza ri-sposta, è: quante sono le opere egotiche di Stendhal?

Un solo esempio: la divisione in capitoli del viaggio in Italia, scritto in precedenza (1811) come diario, è fatta nel 1813 dallo stesso Stendhal e così leggiamo nel Diario. Rimango alle opere in esame: ci sono tre Stendhal? Perché no.

Certamente tre tentativi onesti, e senza dimenticare che: “Tutto possiamo conosce-re, tranne che noi stessi” (12).

67

Paginauno n. 40 – dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

_________________________________________________________12) Stendhal, Ricordi di egotismo, op. cit., p. 78

Page 68: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

SOTTO I RI(F)LETTORI

Si usa, a volte, l’espressione ‘libro-mondo’ per descrivere quei romanzi che puntano oltre la storia narrata, che mi-rano a interrogare l’esistenza stessa, al di là e attraverso le vicende dei suoi protagonisti, coinvolgendo il lettore nella ricerca di un senso più alto, più profondo, univer-sale. Raramente però capita di poterla usare per un testo di meno di cento pagine, un racconto lungo più che un ro-manzo, leggero nella forma quanto nella sostanza, lonta-nissimo da un trattato filosofico, velato di quell’elegante ironia che rende la lettura piacevole, quasi spensierata, fino a che non ci rendiamo conto che l’autore ha avuto in mente ben di più, che di raccontarci una storia.

Questo è il talento di Cees Nooteboom, scrittore olan-dese pubblicato in Italia da Iperborea, che nel suo Il canto dell’essere e dell’apparire riesce, in un libretto che si legge in due ore, a intrecciare ben due romanzi, di cui uno potrebbe essere solo la cornice dell’altro, se non fosse che i piani della realtà presto cominciano a vacillare e a fondersi, ri-velando sotto la superficie una trama ben più complessa.

Ma andiamo con ordine. La prima storia è quella di uno scrittore olandese con-

temporaneo che affronta un blocco creativo, e si ritrova, di malavoglia, a confrontarsi con un secondo scrittore, al-l’apparenza sua antitesi, uno scrittore di successo che sfor-na un libro dietro l’altro, sul senso dello scrivere, dell’ag-giungere altra realtà fittizia a una realtà in cui tutto sem-bra già essere stato vissuto e narrato. Da qui si diparte il secondo intreccio, costituito dal racconto che il primo scrit-

68

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

di Sabrina Campolongo

LA SCRITTURA E L’APPARENZA Recensione de Il canto dell’essere e dell’apparire, Cees Nooteboom

Page 69: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

tore sta cercando di scrivere, la storia, ambientata nell’Ot-tocento, di un colonnello bulgaro, eroe di guerra tormen-tato da feroci incubi, che si innamora della moglie di un medico, suo complice e antagonista al tempo stesso.

Su questo doppio livello narrativo, semplice soltanto all’apparenza, l’autore costruisce, quasi in sordina, un ter-zo piano, trasversale, che coinvolge il lettore in una com-plessa rete di simboli e rimandi che hanno come filo con-duttore il pensiero filosofico di Schopenhauer, in parti-colare la sua opera maggiore, Il mondo come volontà e rap-presentazione.

L’intento filosofico è più o meno dichiarato, già nelle prime pagine, quando il personaggio-scrittore si pone una domanda importante, mentre sta ancora cercando di de-lineare il personaggio del colonnello: “Come puoi accor-gerti, guardando qualcuno, che è un ammiratore di Scho-penhauer?”.

Il lettore distratto però potrebbe dimenticarsene – seb-bene il filosofo tedesco sia richiamato in altre occasioni – perché dal momento in cui la vicenda del colonnello pren-de il via l’attenzione si focalizza sulla storia, sugli incubi di sangue e cadaveri smembrati che lo assillano e imba-razzano al tempo stesso, come se in questo rigurgito not-turno della sua coscienza si potesse scorgere una sorta di tradimento dei suoi valori, sul suo rapporto ambiguo con un medico che sembra molto meno segnato di lui dalla guerra – forse semplicemente più in pace con se stesso, dal momento che il suo ruolo è quello di provare a salva-

69

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Il canto dell’essere e dell’apparireCees NooteboomIperborea1991

Page 70: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

SOTTO I RI(F)LETTORI

re gli uomini e non di ammazzarli – e dell’incontro con l’enigmatica mo-glie di lui, una donna che appare su-bito “diversa da tutte le altre donne”, sfuggente e fatale, ma anche mala-ta, forse pazza.

Eppure, la domanda su Schope-nhauer è tutt’altro che gratuita e me-rita una riflessione, dal momento che una domanda molto simile deve es-sersi posto lo stesso Nooteboom; co-me trasmettere il pensiero di Schope-nhauer in un romanzo, senza enun-ciarlo, come farlo emergere dalle pa-gine senza tradire la natura dell’ope-ra stessa, senza farne un saggio o un manifesto?

Per esempio partendo da uno scrittore, e dalla sua crisi verso il suo ruolo e quello della letteratura. Se in-fatti, come enuncia Schopenhauer, “tutto quanto il mondo include o può includere è inevitabilmente dipen-dente dal soggetto, e non esiste che per il soggetto. Il mondo è rappre-sentazione”, la letteratura non può che collocarsi come rappresentazio-ne di una rappresentazione. Qual è, dunque, la realtà di uno scrittore, e cosa può offrire, quel tipo di realtà, più della realtà oggettiva?

“C’erano scrittori convinti che un loro racconto chiarisse qualcosa del-la realtà stessa, ma quale ne era l’u-tilità? Quella chiarezza avrebbe poi fatto parte, semplicemente, della real-tà del lettore, e cos’era il lettore, in fin dei conti, se non il possibile sogget-to di un racconto?”. Se si prende il

punto di vista di uno scrittore, il con-fine tra soggetto e oggetto, tra nar-ratore e narrato, tra realtà e narra-zione tende ad assottigliarsi fino a svanire, verso un’unione che non è però identità: il soggetto presuppo-ne l’oggetto, e viceversa. Anche il let-tore partecipa di questa fusione, che ne sia consapevole o meno, e non solo come fruitore della narrazione.

“Il suo racconto era già stato ov-viamente scritto qualche centinaio di volte, dalla vita stessa però”. Di fronte a tutto il già scritto, da altri ma soprattutto dalla stessa realtà, lo scrit-tore viene colto da una dolorosa pa-ralisi. A che scopo ostinarsi a scri-vere storie, qual è l’utilità di offrire il riflesso fittizio di una realtà che è già sotto i nostri occhi?

Alcune possibili risposte gli ven-gono fornite, senza troppi giri di pa-role, dal secondo scrittore, che le de-finisce ‘prove materiali’, per sottoli-neare il fatto che non è intenziona-to, lui, a farci della filosofia: “Primo: per quanto se ne dica, è divertente. Gli idioti che sostengono di soffrire tanto a scrivere ne hanno fatto un ri-tuale masochistico. E dunque ne go-dono anche loro. Secondo: ti pagano per farlo, e tu hai le mani bucate […]. Tre: serve a diventare famoso, e an-che essere famoso in Olanda è esse-re famoso. […] E, cosa molto impor-tante, quattro: devi pur far qualco-sa, e secondo me non sai fare altro”.

L’ultima ragione in particolare, sebbene tutte siano in fondo più o

70

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 71: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

La scrittura e l'apparenza

meno condivisibili, è di sicuro la più convincente. E in effetti, pur affer-mando di non poterlo fare, pur met-tendo continuamente in dubbio il suo ruolo e il senso di quello che dovreb-be fare, lo scrittore sta scrivendo la sto-ria del colonnello e del medico, così come questa gli appare, così come emerge dall’ombra, un pezzo alla volta: una mostrina, uno stetoscopio, una frase che non sa spiegare, un brivido sensuale all’ingresso in sce-na del personaggio di Laura… Men-tre la sua razionalità gli pone un osta-colo dietro l’altro, la volontà dello scrit-tore – che non è da intendersi come un volere cosciente, ma nell’accezio-ne che ne dà Schopenhauer, come volere cieco, che agisce attraverso il corpo, una volontà di vivere che per lo scrittore è un tutt’uno con la vo-lontà di scrivere – lo porta a inse-guire la sua storia.

Probabilmente questo dovrebbe bastargli, per andare avanti – “Non rifletterci sopra”, gli consiglia l’al-tro scrittore, “scrivere è un lavoro”, quello di “raccontare una storia dal-l’inizio alla fine” – forse gli bastereb-be abbandonarsi alla sua volontà di scrivere, ma il nostro scrittore inve-ce non si dà pace, e continua a cer-care una “dimensione nuova” della scrittura, che dovrebbe essere, per lui, “metafora inversa” della realtà, non cioè trasposizione simbolica di immagini, ma ritorno al simbolo che, nelle parole di Goethe, è già tutto l’esistente.

La contrapposizione tra le due visioni della scrittura, quella del ‘bra-vo artigiano’ e quella, ben più vaga, dello scrittore paralizzato dal dub-bio, diventa ancora più chiara quan-do la ritroviamo traslata nel secon-do triangolo del romanzo, quello co-stituito dal colonnello, dal medico e da Laura.

Mentre il medico l’ha sposata per “l’effetto che avrebbe fatto sul mon-do circostante e, soprattutto, per po-ter osservare quell’effetto”, tanto che il colonnello ha l’impressione che “il suo piacere, la sua esaltazione, po-tessero esistere solo grazie alla pre-senza di un altro, così come aveva avuto bisogno di Ljuben per pren-dersela con la Bulgaria e […] per amare sua moglie. Come se, in assen-za di testimoni, quel legame non esi-stesse affatto”, il colonnello ne è os-sessionato come da un fantasma, che lo tortura senza svelarsi, attirando-lo in quello che percepisce come un pauroso abisso, un turbinoso gorgo in cui vorrebbe, malgrado la paura, perdersi completamente. Il medico ama Laura di un amore curioso e distante, l’ha scelta perché interes-sante, nella sua pazzia, così come lo scrittore numero due trova piacere nello scrivere, ci si diverte sincera-mente; al contrario il colonnello è ossessionato e spaventato al tempo stesso da Laura e dal suo sfuggen-te, febbrile mistero, nello stesso mo-do sensuale e contraddittorio con il quale lo scrittore si accosta alla scrit-

71

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 72: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

SOTTO I RI(F)LETTORI

tura. Nessuno dei due si diverte.“Laggiù vicino a Pessoa si sente

dolore, e lassù vicino a Borges fa fred-do. Molto, molto freddo”, fa notare lo scrittore numero due, le cui affer-mazioni, pur riflettendo un punto di vista molto più disincantato di quel-le del protagonista, non sono mai scontate o superficiali.

“Tu credi che il mondo esista solo se tu scrivi”, è una delle accuse che rivolge infatti al suo amico-antago-nista, con malcelato fastidio. E an-che: “Se il mondo esiste solo nel mo-mento in cui scrivi, allora anche tu esisti solo nel momento in cui scri-vi. E questo significa […] che devi continuamente decidere se vuoi dav-vero esistere o no”, centrando il pun-to, cioè che le paure dello scrittore sono molto più metafisiche che psi-cologiche.

Mentre ci avviciniamo alla con-clusione, la narrazione prende l’an-damento di un sogno angoscioso, pa-re sfaldarsi, perdere aderenza con la realtà, ed ecco che lo scrittore del 1979 si trova sulla stessa strada, una carrozza più in là, dei suoi perso-naggi del 1879, in un tramonto ro-mano inquietante, febbrile. Come se l’autore volesse darci una dimostra-zione del suo potere (“Gli scrittori immaginano una realtà in cui non hanno bisogno di vivere, ma in cui hanno potere”) sulla realtà in cui ci ha sprofondato, o meglio del potere dell’arte, capace, per dirla ancora una volta con Schopenhauer, di “ferma-

re” (anche se solo transitoriamente) “la ruota del tempo”, prima di lasciar-ci, con un finale aperto, che vede lo scrittore bruciare il suo manoscritto e i suoi personaggi avvertire di ri-flesso una fitta bruciante al petto, che prelude probabilmente alla loro ‘morte’.

Quanto allo scrittore, non possia-mo immaginare cosa gli accadrà. Di lui, Nooteboom non ci ha svelato mol-to, nemmeno il suo nome; il fatto che esista una moglie è solo un rife-rimento fugace, lo scrittore esiste solo nelle sue conversazioni sullo scrive-re e poi sul suo racconto, sui suoi per-sonaggi, lo scrittore è persino meno reale, per noi che leggiamo, del co-lonnello, o del medico, o della mi-steriosa Laura, prodotti della sua im-maginazione.

Anch’egli è destinato quindi a scomparire dalla nostra vista, come i suoi personaggi.

Il suo ultimo atto sembra al tem-po stesso una resa e un moto di or-goglio: distruggendo il suo roman-zo prende atto dell’inutilità della scrittura, della sua incapacità di co-gliere il nocciolo della realtà, il do-lore che strazia il colonnello, il do-lore senza nome di Laura, il dolore che lo scrittore-antagonista e il me-dico tentano di sfuggire con un prag-matismo al limite del cinismo, quel-lo di cui parla Schopenhauer, come del dolore della “volontà, […] che si trova, quale individuo, in un mon-do infinito e illimitato, tra innume-

72

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 73: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

La scrittura e l'apparenza

revoli individui, tutti bramanti, do-loranti, erranti; e si affretta, come at-traverso un sogno angoscioso, a ri-tornare nell’antica incoscienza” (1), ma allo stesso tempo nega la sua arte alle regole del mercato, che vorreb-be ridurre quelle esistenze per lui così reali a un certo numero di pagi-ne, di parole, un numero ‘giusto’ per diventare il libro omaggio per un sa-lone del libro, occasione che lo scrit-tore numero due gli prospetta come “la sua gallina dalle uova d’oro”.

Con la distruzione del mano-scritto, il ‘canto’ di Nooteboom sem-bra arrivare a una conclusione com-pletamente pessimistica sulla funzio-ne della letteratura: la letteratura è inutile. Allo stesso tempo, sceglien-do proprio la definizione di canto per il prodotto della sua riflessione sull’inutilità del narrare – e se una cosa è chiara è che nessuna parola è meno che deliberata in questo pic-colo gioiello – l’autore sembra sug-gerire la ricerca di una forma ibri-da, tra la prosa e la musica, l’unica arte che, per Schopenhauer, era po-sta allo stesso livello delle idee, co-stituendo oggettivazione diretta del-la volontà, senza mediazioni.

Come un canone, questo canto a più voci ci racconta la stessa storia in due modi diversi, in due epoche diverse, con personaggi solo all’ap-parenza lontanissimi, eppure in modo

totalmente coerente da permetterci di riconoscerla. Così la freddezza del medico, che non viene toccato dagli orrori della guerra, è la stessa dello scrittore numero due, l’impassibili-tà con cui il primo sega ossa e ascol-ta urla e gemiti è la medesima con cui il secondo confeziona un libro dietro l’altro, con perizia artigianale, mentre lo scrittore numero uno e il colonnello sono torturati dai propri fantasmi, pur giudicando questo tor-mento “un’idiozia” e qualcosa di cui vergognarsi.

Analizzando il testo nel dettaglio, i rispecchiamenti si ripetono in modo quasi maniacale, tanto che il vero miracolo, una volta che ci si rende conto di questo impressionante di-spiegamento di tecnica, è che alla fine l’abbiamo letto d’un fiato, cat-turati dalla storia e dal suo svilup-po, proprio come uno di quei libri nati per distrarre i lettori, proprio co-me un romanzo d’appendice. Con la sua stupefacente densità ci è appar-so leggero e fresco come acqua di fonte, e se questo non è genio, non so proprio come altro definirlo. Non credo che Schopenhauer avrebbe qualcosa da obiettare.

73

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

______________________________________________1) Arthur Schopenhauer, Il mondo come vo-lontà e rappresentazione

Page 74: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

IN LIBRERIA narrativa

In Italia, Danilo Kis è praticamente sconosciuto ai lettori, nonché piutto-sto ignorato dalla stampa; per cui non è superfluo ricordare che egli sia sta-to uno degli scrittori più importanti del Novecento. Questa raccolta esce postuma, riassunta simbolicamente, a mo’ di enunciato lirico, rubando il ti-tolo di uno dei sei racconti presenti nel libro. Il ‘liuto’ e le ‘cicatrici’ stanno per l’arte e i fantasmi, stanno per la scrittura e la morte, ovvero stanno per i due temi costanti dello scritto-re, immersi nelle tragedie che hanno attraversato il secolo scorso. Le sto-rie qui raccontate parlano di destino, di pene d’amore, della tristezza del ricordo, della dimenticanza e dell’e-silio. Sono vicende statiche, quindi;

quelle dei sopravvissuti alle tragedie, personaggi che vagano con la soma del ricordo e della testimonianza sul-le spalle. Storie di incontri con la morte, quindi. E là dove incombe la morte, là dove la tristezza della me-moria si fa insostenibile, sembra ri-cordare l’autore, l’unica salvezza, l’u-nica accoglienza, non possono che essere rintracciate dentro il calore e nel silenzio della scrittura e dell’ar-te. (Milton Rogas)

IL LIUTO E LE CICATRICIDanilo Kis, Adelphi157 pagg, 13,00 euro

Se è possibile, o anche solo pensabi-le, scrivere ancora di campi di con-centramento e di Resistenza, se si può aggiungere qualcosa a quello che i testimoni diretti hanno già racconta-to, è un interrogativo che resta senza risposta. Sceglie di farlo, in ogni ca-so, Elena Rausa, in questo suo pri-mo romanzo, ma l’impressione è che a guidare la penna non sia l’ambi-zione di aggiungere qualcosa a quel capitolo della nostra Storia, quanto il desiderio di parlare di sopravvis-suti, e del prezzo che si debba paga-re per la sopravvivenza a un evento così drammatico come la morte di una persona amata, quando soprav-vivere ha il sapore di un tradimento. Tradire la memoria, l’assenza e il do-lore, perché la vita, parafrasando De Andrè, ha la vita come solo argomen-to. Così una psicologa con i capelli bianchi, con i suoi non detti e i suoi numeri tatuati – e poi cancellati – sul braccio, si perde e si ritrova negli occhi e nei silenzi, altrettanto ostina-

ti, di una bambina rimasta orfana; mentre un uomo convinto di essersi già giocato – male – tutte le carte, si vede offerta un’inattesa, feroce pos-sibilità di riparare a errori e peccati di omissione, e di riafferrare, in co-da, un senso. (Gio Sandri)

MARTA NELLA CORRENTE Elena Rausa, Neri Pozza272 pagg., 16,00 euro

Dezio ha attraversato la letteratura con Nicola Rubino è entrato in fabbrica (Feltrinelli, 2004): la storia dell’ope-raio licenziato dopo il contratto di for-mazione ripropose i temi volponiani de Le Mosche del Capitale con una sensibilità post-novecentesca, estra-nea all’utopia della solidarietà di clas-se. Mentre nei talk show il dibattito sul

lavoro si faceva salottiero, molti les-sero chi in fabbrica c’era stato dav-vero: il romanzo vendeva diecimila co-pie ed è tuttora nei manuali di lette-ratura, ma la Feltrinelli lo metteva fuo-ri catalogo ed è ormai introvabile. De-zio ora torna con la leggerezza di chi non ha cercato un continuo presen-zialismo in libreria: in Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta supera l’autobiografismo dell’esordio e trac-cia la storia della ricezione delle con-troculture internazionali in una pro-vincia pugliese periferica e gretta. Sono citati 70 gruppi rock, punk e new wave, cui si appassionano i tossicodipendenti degli anni ’80, come i laureati degli anni 2000. Nella flagrante comicità conferita ai racconti dalla prima per-sona, affiora spietata e retrospettiva l’analisi microstorica che individua in quei decenni i mali di oggi, tra ma-schilismo berlusconoide, decultura-zione televisiva, licenziamenti e de-localizzazioni. (C. Mazzilli)

QUALCUNO È USCITO VIVO DAGLI ANNI OTTANTAFrancesco Dezio, Stilo120 pagg., 12,00 euro

74

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 75: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

IN LIBRERIA saggistica

È una scrittura coraggiosa nella so-stanza e al contempo vorticosa e afo-rismatica nella forma quella della scrit-trice, giornalista e autrice televisiva Susanna Schimperna. Verrebbe da af-fiancare questo suo libercolo lucido e feroce al grande Cioran, se non fos-se che gli esiti ricercati sono total-mente opposti. Laddove lo scrittore rumeno si muoveva nell’orizzonte del-la negazione di ogni speranza, per la Schimperna si tratta di “studiare la fe-licità”, una condizione questa che, ver-rebbe da dire leggendo i suoi pensie-ri, può esser raggiungibile solo attra-verso la difesa della libertà del pro-prio essere, del proprio spirito criti-

co. In poche pagine infatti non c’è luogo comune di cui non ci si faccia beffe, sempre, però, mostrando una volontà fattiva, costruttiva. Apprez-zabile soprattutto il libertarismo vero, non flatus vocis, che emerge da que-ste pagine e che si traduce in un net-to e fermo grido contro qualsiasi for-ma di censura o di tabù. Cattivi pen-sieri è il classico libro che esalterà o irriterà il lettore, senza mezzi termi-ni, e la sua autrice verrà alternativa-mente considerata una guru sui ge-neris oppure una furba mentitrice. Noi apprezziamo sinceramente il corag-gio e lo sforzo! (A. Cresti)

CATTIVI PENSIERISusanna Schimperna, Castelvecchi128 pagg., 14,50 euro

Non inganni il titolo del nuovo sag-gio dello studioso di filosofia Dome-nico Losurdo, già autore di volumi di notevole pregio (citiamo su tutti lo splendido Nietzsche, il ribelle aristo-cratico): non ci troviamo qui di fron-te a un banale j’accuse diretto alla pseu-dosinistra italiana. Tale meritoria istan-za infatti scaturisce direttamente dal-le pagine di questo lavoro che è pri-ma di tutto un’opera di disvelamen-to sui legami che sussistono tra l’o-dierno attacco a tutto campo nei con-fronti dello Stato sociale e le nume-rose operazioni militari guidate da-gli Usa, che l’autore non esita a de-finire “imperialistiche” e “neocolo-nialiste”. Il tragicomico paradosso è quello di una società che da un lato promuove con ogni mezzo una vi-sione individualistica della vita, dal-l’altra, per i suoi biechi scopi di vo-lontà di potenza, titilla gli istinti di unione comunitaria solo in occasio-ne delle sue politiche di aggressione. E la sinistra? Essa, se dal 1989 non avesse deciso di riconvertirsi ai dog-mi del neoliberismo, avrebbe delle pra-terie operative se non fosse che ovun-que non si può che registrarne la pa-vida assenza. Una assenza anche fi-losofica, tanto è vero che l’autore at-tacca come agenti di tale pavidità an-che intellettuali celebrati come La-touche, Žižek, Foucault, Agamben. (A. Cresti)

LA SINISTRA ASSENTEDomenico Losurdo, Carocci Editore304 pagg., 23,00 euro

Mentre il Capitale “celebra ovunque le sue orge” si moltiplicano iniziati-ve editoriali che tentano di tracciare un percorso alternativo a quello im-posto univocamente dal pensiero uni-co neoliberale. Una di queste alterna-tive è certamente quella incarnata dal pensiero della Decrescita, sia nella sua

variante più ‘morbida’ e prettamente ecologista, incarnata da Serge Latou-che, sia in quella più radicale, dell’an-timodernismo alla Massimo Fini. È su questa linea che si attesta l’interes-sante lavoro di Dal Monte, chirurgo e conferenziere, che si propone l’ar-dito compito di rileggere criticamente gran parte dei caposaldi economici e filosofici del sistema Occidente. Ecco dunque che l’autore decostruisce con efficacia non solo i modelli produt-tivi imperanti, ma anche il mito della scienza e della tecnica, presi nel loro complesso. Quello di Dal Monte non è dunque un, pur brillante, pamphlet, al pari di molti lavori immaginati nel-lo stesso solco (compreso proprio La Ragione aveva torto? di Fini), ma un affresco denso, coerente e coraggio-so che si fa apprezzare proprio per la sua capacità di mantenere una vi-sione d’assieme sulle problematiche del presente e per l’azzardo di pro-porre “una nuova immaginazione” che proprio da queste nostre miserie pos-sa farci risorgere. (A. Cresti)

L’ALLUCINAZIONE DELLA MODERNITÀPier Paolo Dal Monte, Editori Riu-niti, 432 pagg., 22,00 euro

75

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 76: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

LE INSOLITE NOTE

ebbo dire grazie a quella vecchia volpe della comu-nicazione pubblicitaria che è Andrea Ruggeri se – tramite i suoi romanzi Potemkin Cola e Che ne sarà

del Cosmo, Yuri? – ho scoperto (o ri-scoperto) il mio interesse di ragazzino per l’Universo e i rapporti dell’uomo con esso. Debbo invece dire grazie a Bill Frisell e a questa sua ultima fa-tica Guitar in the space age! se quello stesso interesse è diven-tato materia sonora e al tempo stesso materia di riflessione. Il tutto è sfociato in un’intervista/chiacchierata in occasione del suo concerto a Torino il 27 ottobre scorso.

D

Ma facciamo un salto indietro: William Richard ‘Bill’ Fri-sell è nato nel 1951, e dunque può legittimamente affermare d’essere un ‘figlio della Telecaster’, il primo modello di chitar-ra elettrica solid-body, destinata a una produzione in serie, con-cepito già dal 1950 da Leo Fender e che solo in seguito a una disputa con l’altro grande produttore, Gretsch, prese il nome Telecaster, in onore all’invenzione che in quel periodo avreb-be cambiato la storia dell’uomo: la televisione. Il vostro cro-nista, più modestamente, è nato nel 1957 e si onora di condivi-dere l’anno di nascita con l’invenzione che avrebbe altrettanto cambiato la storia dell’umanità: il primo oggetto costruito dal-

76

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

DI AUGUSTO Q. BRUNI

BILL FRISELLGUITAR IN THE SPACE AGE!

(Okeh, 2014)

Page 77: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

l’uomo per orbitare attorno alla Terra, il ‘compagno di viag-gio’ Sputnik, messo in orbita dai russi il 4 ottobre 1957 dal cosmodromo di Baikonur, nell’odierno Kazakistan. Sono dun-que legittimamente un ‘figlio dello Sputnik’.

Fu proprio Ruggeri, in occasione dell’uscita del suo libro, a farmi notare che c’era una differenza tra le denominazioni usate da statunitensi e russi: i primi dicevano ‘spazio’, i se-condi ‘cosmo’, e dunque astronauta e cosmonauta, astronau-tica e cosmonautica, astronave e cosmonave, cosmodromo e base spaziale. Mi è tutto tornato in mente in occasione della tournée Guitar in the space age! e sono andato a sfrucugliare in giro.

Per quanto effettivamente nel russo moderno il termine ‘cosmo’ (kocmoc) voglia semplicemente dire ‘spazio’, in realtà esso ha conservato in certi linguaggi l’originario significato greco: κόσμος (kósmos) significa ‘ordine’ (in quanto opposto a ‘caos’) e nello specifico l’ordine dell’Universo, inteso come quel-la struttura invisibile che regola il moto e la posizione degli astri, così come le leggi fisiche al suo interno. Ipotizzo che in tal senso il tramite tra la Russia antica e moderna sia stato il lessico della Chiesa greca ortodossa, consideratasi erede di

77

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 78: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

LE INSOLITE NOTE

quella di Roma ai tempi di Bisanzio e successivamente tra-sportata a Mosca. In quel contesto κόσμος aveva un senso pro-fondo, essendo la manifestazione dell’opera del creatore pri-mo. Non stupisce che sia transitato nella lingua russa con la stessa accezione, specie se si pensa alla considerazione che gli zar avevano di se stessi. Quello che non si sa – o meglio si sa poco – è quanto κόσμος sia rimasto nella cultura russa, sia a livello popolare che scientifico.

Scrivere adesso la storia delle relazioni prima dello zari-smo poi del bolscevismo, dello stalinismo e del post-stalini-smo con una concezione in fondo assolutamente religiosa del-l’Universo sarebbe inopportuno. Segnalo solo a titolo di esem-pio come la sovrapposizione/sostituzione della coppia reli-gione/magia con la coppia antitetica scienza/tecnologia sia stata una realtà tangibile del mondo sovietico sin dalla proclama-zione a opera di Lenin del termine diamat, il materialismo dia-lettico ateo che avrebbe dovuto permeare e dirigere le scien-ze tutte del nuovo Stato (κόσμος cioè ‘ordine’).

Chi volesse, potrebbe inoltre andare a scoprire gli inso-spettabili legami del comunismo sovietico con le scienze occul-te e la costruzione del movimento cosmista, nel cui orizzon-te c’era ovviamente la conquista di Marte pianeta rosso per eccellenza, e la cui sopravvivenza al comunismo non è meno interessante della complessa diatriba ideologica con conse-guenti purghe che ha attraversato tutto la storia russa post rivoluzione (1).

Il punto vero di tutto questo zibaldone è l’affermazione-manifesto del padre della esplorazione dell’Universo, lo scien-ziato russo Konstantin Ciolkovskij (1857-1935) (2): “La Terra è la culla dell’umanità, ma non si può vivere nella culla per sempre”. Non mi stupisco di questa affermazione: semmai

78

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

_______________________________________________________________________________1) Cfr. Giuseppe Vatinno, Il comunismo magico e i cosmisti sovietici , Estropico.com; id. Giuseppe Vatinno, Il Transumanesimo. Una nuova filosofia per l’Uomo del XXI secolo, Armando Editore, 2010; Francesco Dimitri, Comunismo magico: leggende, miti e visioni ultraterrene del so-cialismo reale, Castelvecchi, 20042) Ciolkovskij è il legittimo padre dell’esplorazione del cosmo tramite razzi grazie proprio alla fondamentale ‘equazione del razzo’ (1903), in cui si afferma che per la legge di conservazione della quantità di moto, un corpo può accelerare semplicemente espellendo parte del-la sua massa in senso opposto a quello in cui si vuole l’aumento di velocità

Page 79: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

BILL FRISELL

del fatto che sia stata formulata tanto in anticipo sui tempi scientifici, esattamente come nel 1865 Dalla Terra alla Luna di Jules Verne era stato profetico sull’uso dei razzi/proiettili per il viaggio fuori dal nostro pianeta.

Mentre chiedo a Frisell che cosa abbia significato per lui es-sere ‘figlio della Telecaster’, gli parlo di queste mie riflessio-ni. “Wow, no, non avevo idea di tutto questo mondo russo”, risponde, “e il fatto che i russi usassero la parola ‘cosmo’ an-ziché ‘spazio’ è una cosa su cui dovrò riflettere alla luce di quello che mi dici. Se parlo della Telecaster è perché è un ri-cordo estremamente vivo dell’aria di quei tempi. Tutto ciò che mi circondava era pieno di queste cose. Dovunque si senti-vano frasi come ‘andremo su altri mondi’, ‘il nostro domani è la conquista spaziale’”.

Hai quindi deciso questo titolo per il nuovo disco perché per te ragazzino l’idea dello spazio è stata speciale?, doman-do. “Quando parli di spazio penso a cosa significava per noi ragazzini aprire una prospettiva assolutamente enorme, spro-positata, rispetto a tutto quello che vivevamo: era un univer-so di possibilità, un senso di apertura ottimistica verso l’infi-nito. Il fatto di avere avuto come presenze vive Martin Luther King e John Kennedy nella mia vita, era la testimonianza stessa di questa possibilità che diventava reale”.

Ottimismo e apertura dispensati a piene mani, in pratica lo stesso spirito originario dei pionieri che dopo la corsa al west vedevano nello spazio la Nuova Frontiera da esplorare e conquistare. Se andate a studiare la storia dalla parte dei russi vedrete che c’è uno spirito non troppo diverso ad ani-mare l’anelito del movimento di esplorazione e conquista del cosmo: nel pensiero di Ciolkovskij si riteneva che la felicità consistesse nell’assenza di qualsiasi forma di sofferenza nel-l’intero Universo, e visto che la Terra era avviata verso la fine del suo ciclo vitale, era necessario procedere a una coloniz-zazione del sistema solare. Il tutto accoppiato a un rigoroso programma di eugenetica.

Addirittura più radicale fu il maestro di Ciolkovskij, ov-vero Nikolai Feodorov, per il quale il principale nemico da abbattere era la morte, ‘nemico laico’ dello sviluppo umano. La resurrezione sarà opera dell’Uomo Nuovo (il proletario

79

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 80: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

LE INSOLITE NOTE

nella successiva ottica sovietica), compiuta con mezzi scien-tifici, grazie alla quale verrà acquisito il potere assoluto sulla Natura, che giungerà a consentire anche l’opera di resurrezio-ne degli antenati, l’immortalità e la colonizzazione dell’Uni-verso. Facile capire come tale concezione sia transitata nell’i-deologia bolscevica, nello specifico a opera di pensatori e po-litici come Aleksandr Bogdanov (1873-1928) e Anatolij Lu-načarskij (1875-1933, per dodici anni ministro sovietico della Cultura).

Se ci pensate un attimo vedrete che dietro tutto questo c’è un’impressionante similitudine tra il pensiero statunitense e quello sovietico: la natura è qualcosa da conquistare e sotto-mettere al proprio volere. Il dominio prima sulla natura e poi a cascata addirittura sui mondi extraterrestri ha la stessa va-lenza dell’affermazione di una volontà di potenza. Ed en-trambi hanno la stessa radice monoteista, laddove nel Gene-si il mondo è stato fatto per l’Uomo che, su invito del Crea-tore, dà un nome a tutti gli animali che gli sfilano davanti.

È una concezione tuttora profondamente radicata sia nei politici che negli uomini di scienza, molti dei quali sono con-vinti che si possa continuare a consumare risorse naturali allo stesso ritmo e con lo stesso spreco iniziato nel dopoguerra con l’American way of life. Ovviamente a scuola (almeno in Occi-dente) si insegna – quando se ne ha la fortuna – che a fronte dell’ottimismo della ricostruzione post bellica c’è stata una guerra non dichiarata tra le forze del Bene e quelle del Male, e che la costruzione e l’uso della bomba atomica è stato un male necessario, visto che anche dall’altra parte del Muro i rossi stavano facendo la stessa cosa e che, insomma, si vis pace para bellum...

Ho nelle orecchie, automaticamente, il lamento negro di Charles Mingus Oh Lord Don’t Let Them Drop That Atomic Bomb on Me (su Oh Yeah) inciso proprio negli stessi anni dell’otti-mismo verso lo spazio (1961)... mentre dall’altro lato la Tele-caster imita le (possibili) sonorità-colonna sonora dell’esplo-razione spaziale. Frisell è molto consapevole di questo aspet-to, a un tempo tecnico ma anche in qualche modo ideologico.

Se ascolto i suoni degli strumenti, prima ancora delle me-lodie, trovo che ci siano molti dei suoni della tecnologia

80

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 81: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

BILL FRISELL

dell’epoca (da tener presente l’uso massiccio della pedal steel guitar suonata meravigliosamente da Greg Leisz, quella che conosciamo come chitarra hawaiana alla Santo&Johhny)...

Sì, pensa a come i fischi degli amplificatori a valvole così come quelli della radio e della tv diventano musica quando suoni la Fender Telecaster e la Williams pedal steel.

C’è anche un sacco di spazio tra una nota e l’altra, una di-latazione….

Sì, ancora una volta uno spazio che fa pensare a come po-trebbero essere i suoni nello spazio, disgregati, note staccate e lontane le une dalle altre, ma è anche lo spazio delle possi-bilità che tutta la tecnologia nuova a nostra disposizione pro-metteva di aprirci.

Beh, direi che i tuoi brani originali (in specie Lift Off e Shor-test Day, fantastici) riprendono in pieno questo senso di di-latazione e anche in qualche modo di tranquillità.

Sì, se pensi solo a Reflections from the moon di Speedy West [da noi del tutto misconosciuto come compositore e suona-tore di pedal steel, n.d.a.] hai immediatamente il senso evo-cativo di una lontananza, la Terra vista dalla Luna, ma anche la tranquillità della visione della Luna da una spiaggia cali-forniana come in Surfer Girl di Brian Wilson (Beach Boys).

Il che mi fa pensare a quanto poco le composizioni di Wil-son e in generale di tutto il movimento della surf music sia-no state oggetto di riscrittura interpretativa da parte del mon-do del jazz: di fatto ci sei solo tu a fare operazioni del genere.

Beh, in questo disco non c’è solo la surf music, c’è anche del boogie in Messin with the Kid (Junior Wells), del blues col surf in Rumble (Link Wray) [una vera orgia di tremolii per il vostro redattore, n.d.a.], un po’ di pop e rock’n roll con musi-ca da film western in Baja [composta nientemeno che da Lee Hazlewood per gli Astronauts, 1963... piacerebbe sicuramen-te a Tarantino, n.d.a.].

E poi anche qualche sfumatura di epico inno religioso come in Turn, Turn, Turn di Pete Seeger, diventata un hit dei Byrds... anche questo è un inno generazionale.

81

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 82: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

LE INSOLITE NOTE

(Frisell ride) Sì, ho visto che ti sei alzato quando ho attac-cato i primi accordi, sei anche religioso?

No, religioso proprio no. Anche se il testo della canzone è fatto con i versi dell’Ecclesiaste, per me è una specie di con-densato dello spirito pre 1968.

1968? Ah già, tu sei europeo. Noi avremmo detto pre 1964, quando cominciano le manifestazioni nei campus e il movi-mento per i diritti civili.

Un amico mi ha detto che il suono della chitarra di Roger McGuinn in quel brano è una specie di miracolo...

È il vantaggio di suonare con una Telecaster e non con una Rickenbaker 12 corde come quella di McGuinn, quasi impos-sibile da tenere accordata!

Sempre a proposito dei vari generi che qui frequenti, Re-bel Rouser di Duane Eddy mi sembra piena di jazz anni Ven-ti, anche se dilatato e distorto, quasi uno spiritual.

(Frisell ride) A pensarci bene se ascolti le prime note sono quelle di When the Saints go marchin’in, ma noi la facciamo molto più semplice, Duane Eddy cambia accordi tre o quat-tro volte nell’originale.

Durante il sound check ho ascoltato te e Grez Leisz prova-re un brano che non è incluso in quelli dell’album, con del-le strane scale quasi bachiane...

(Frisell quasi arrossisce) Lo stiamo ancora studiando, è un brano del mio insegnante al conservatorio Johnny Smith... for-se nei prossimi concerti lo faremo.

Oh boys, come direbbe Woody Allen, che concerto. Dire me-morabile è dir poco. Per me è stata la dimostrazione di come si può riscrivere un pezzo della storia della musica statuni-tense in modo straordinariamente intelligente e piacevole. Anche se non scrivi musica nuova ma reinterpreti, puoi fare lo stesso qualcosa di eccellente, divertente, intellettualmente ed emozionalmente iper-stimolante. Dovessi solo parlare del-l’interscambio intricato e sottile ma altamente sofisticato tra Frisell e Leisz, ci vorrebbe un articolo intero, anche perché da

82

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 83: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

BILL FRISELL

noi Leisz non è conosciuto se non dagli addetti ai lavori, ma da quarant’anni è forse il sideman più richiesto sul mercato da una sfilza di nomi eccellenti (Eric Clapton, The Eagles, The Smashing Pumpkins, Sheryl Crow, Bruce Springsteen, Ro-bert Plant, Alison Krauss, Joe Crocker, Bon Iver). “A me inte-ressa soprattutto mantenere il senso melodico dei brani che reinterpreto, al di là delle sonorità e dei generi...” dice Frisell. “E così riesci a far diventare bellissimo anche un brano di Ma-donna come Live to tell”, gli rimando. “Beh, non ha una bel-lissima melodia?” conclude lui.

Dio (o chi per esso) ti benedica Bill, per l’apertura-spazio della tua mente. Continua così, a trasformare il nostro tempo quotidiano in musica.

83

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 84: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

ZONA FRANCA di Andrea Cocci

La settimana tipo di uno psicologo ati-pico. Cosa rende questo “mago della mente” (così come lo chiama uno dei suoi pazienti più problematici) uno specialista fuori dal comune? A dif-ferenza della stragrande maggioran-za dei colleghi, anziché limitarsi ad ascoltare/analizzare/interpretare/as-solvere dopo cinquant’anni di terapia, questo qui empatizza, vive in prima

persona le magagne emotive dei pa-zienti, coi quali condivide un rappor-to (quasi) simbiotico. Serie televisiva tutta italiana che pren-de spunto da una serie americana che ha preso spunto da una serie israe-liana. Il risultato? Un telefilm capa-ce di scavare a fondo nella psiche dei personaggi come pochi. Ogni episo-dio rappresenta una vera e propria le-zione di vita su come ognuno di noi sia moooolto simile a tutti gli altri – sebbene ci si percepisca diversi non-ché unici e speciali. In Treatment so-pratutto mostra, sviscerandolo mira-bilmente, cosa significhi il concetto di ‘proiezione’, cardine sul quale si fondano tutte le incomprensioni inter-personali, che generano i conflitti e rendono il nostro mondo il caldero-ne di amarezza, rancore e di Io? Io vado bene, siete voi che siete sbagliati che è.

IN TREATMENTregia di Saverio Costanzo, 2013

La regista è andata a Matera per vi-sitare i celebri Sassi (o, magari, sem-plicemente per farsi i cacchi suoi nel posto in cui Mel Gibson si è crogio-lato nelle proprie catarsi teologiche) e, trovatasi immersa in una realtà che definire desichiano/lynchiana è ridut-tivo, s’è sentita sullo stomaco il peso della responsabilità di raccontare al mondo cosa significhi vivere intrap-polati in certi micro-microcosmi fuo-ri dal mondo e, armatasi di telecame-ra, ha seguito giorno e notte (per non so quanto tempo) un pugno di veri outsiders – si va da una coppia com-posta da un folle semi analfabeta e un semi folle analfabeta sino a un pittore che vende quadri a 5.000.000.000.000 di euro!!! – che si guadagnano da (so-prav)vivere spacciandosi per guide tu-ristiche qualificate. Per tutto questo spaccato squarcio squarciante ci ine-briamo della bellezza e della poesia che scaturiscono dall’ignoranza ge-nuina, quella che permette a certi in-

dividui di conservare intatta l’inno-cenza propria dei bambini. Risate agro amare per settantacinque minuti. U-nica, sola, protagonista de Il lato grot-tesco della vita è una risposta; quel-la a una domanda scomoda: cosa si-gnifica vivere nello sgabuzzino del dimenticatoio della società?

IL LATO GROTTESCODELLA VITAregia di Federica Di Giacomo, 2006

Lei, artista in attesa di riconoscimen-to, fa l’autista per anziani. Lui, che la moglie l’ha mollato da un po’ ma che gli brucia ancora (letteralmente), vive coi due figli – che in chat si spac-ciano per un coprofilo in cerca di av-venture coprofaghe – e lavora nel ne-gozio di scarpe dove lei, appena può, va per comprarsene un paio, orfana del coraggio che le occorre per stabi-lire un contatto (è innamorata). E poi ci sono le teenager che devono prova-

re il sesso a tutti i costi e il vicino di casa semi-pedofilo che fantastica di portarsele a letto. Uno di quei casi ci-nematografici ai quali molti reagisco-no con No, ma che, ma dai, è troppo esagerato mentre altri Sì, ancora, vi prego, continuate, non fermatevi. … eh? Sì. MAYAEWK splende dell’a-nima di personaggi reali; forse an-che troppo reali. Non sono i classici stereotipi-proto-umani-idealizzati ai quali Hollywood ci ha abituato – al punto da indurci a credere che nella vita reale esistano persone che pen-sano, parlano, agiscono così come ve-diamo nei blockbuster. Adoro quan-do registi (o romanzieri) riescono nel-l’arduo intento di mostrarci quanto, di per sé, sia assurda la vita così co-me la viviamo e, contemporaneamen-te, indurci a riflettere sul fatto che frasi tipo È una persona normale non si-gnificano un cacchio di niente.

ME AND YOU ANDEVERYONE WE KNOWregia di Miranda July, 2005

84

Paginauno n. 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - anno VIII

Page 85: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in
Page 86: PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · del 1975 la Trilateral discute il ... partendo dal presupposto che si è evidenziata una “crisi della democrazia in

RESTITUZIONE PROSPETTICALa democrazia governabile di Giovanna Cracco

POLEMOSLa politica degli omologatidi Walter G. Pozzi

Stress da stress testdi Giovanna Baer

L’INTERVENTOStati, multinazionali,globalizzazione, crisistrutturale del capitalismodi Pedro Paez e Vittorio Agnoletto

INCHIESTACittà metropolitane:la democrazia non passa da quiLe elezioni a Milanodi Daniela Cuccu, Tania Righi,Chiara Vimercati

(DIS)ORIENTAMENTIIl battaglione Azov: la legione neradel neofascismo ucrainodi Matteo Luca Andriola

INTERVISTACollettivo San PrecarioOpposizione sociale alla precarietà di Domenico Corrado

A PROPOSITO DI...40 anni e... risentirli!Intervista a Fabio Trevesdi Giuseppe Ciarallo

FILO-LOGICOEgotismodi Felice Bonalumi

SOTTO I RI(F)LETTORILa scrittura e l’apparenzaRecensione de Il canto dell’esseree dell’apparire, Cees Nooteboomdi Sabrina Campolongo

LE INSOLITE NOTEBill FrisellGuitar in the space age!di Augusto Q. Bruni

8,00 euro

PAG

INA

UN

O - B

IME

STR

ALE

DI A

NA

LISI PO

LITIC

A, C

ULT

UR

A E

LET

TE

RA

TU

RA

- AN

NO

VIII - N

. 40

- DIC

EM

BR

E 2

01

4 / G

EN

NA

IO 2

01

5

anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 - www.rivistapaginauno.it

anno VIII - numero 40 - dicembre 2014 / gennaio 2015 - www.rivistapaginauno.it