PAGINAUNO anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 ... · pag. 80 Il giardino delle mosche...

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RESTITUZIONE PROSPETTICAExpo 2015: lo spettacolo,il kitsch, la violenzadi Giovanna Cracco

POLEMOSPrincìpi di economiafrancescanadi Giovanna Baer

Turchia, Isis, gas e nuoviequilibri imperialisticidi Fabio Damen

L'INTERVENTOSupportare la resistenzapreparare l'offensivaDove sono i nostriCollettivo Clash City Workers

(DIS)ORIENTAMENTIAlle radici del fascioleghismo.Gli anni '90: il Carroccio e laNuova destra franco-italianadi Matteo Luca Andriola

INTERVISTASusanna Parigi.Viaggio al termine delle notedi Giuseppe Ciarallo

A PROPOSITO DI...Il mondo delle classi menoabbienti nella letteratura enel cinema della Gran Bretagnadel primo Novecentodi Carmine Mezzacappa

FILO-LOGICOMenzognadi Felice Bonalumi

SOTTO I RI(F)LETTORITra luce e tenebreRecensione de I commedianti,Graham Greenedi Sabrina Campolongo

LE INSOLITE NOTEMedium Medium + C Cat TranceIn memoriam (1981-1990)di Augusto Q. Bruni

8,00 euro

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anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 - www.rivistapaginauno.it

anno IX - numero 45 - dicembre 2015 / gennaio 2016 - www.rivistapaginauno.it

DIRETTORE EDITORIALEGiovanna Cracco

GLI AUTORI DI QUESTO NUMEROMatteo Luca AndriolaGiovanna BaerFelice BonalumiRaffaella BrioschiAugusto Q. BruniSabrina CampolongoGiuseppe CiaralloAndrea CocciCollettivo Clash City WorkersDomenico CorradoAntonello CrestiGiovanna CraccoFabio DamenCarmine MezzacappaMilton RogasGio SandriVanina Sartorio

Fotografie di Giulia Zucca

Le collaborazioni a questa rivista sonoa titolo gratuito. Tutti i testi, salvodiversamente indicato, sono soggetti a licenza Creative Commons – Attribuzione, Non commerciale, Non opere derivate, 2.5 Italia. I testi proposti per un'eventuale pubblicazione non vengono restituiti e vanno inviati a:[email protected]

IN COPERTINARitratto ai potenti, Roberto CraccoElaborazione digitale, 2015

anno IX – numero 45dicembre 2015 / gennaio 2016pubblicazione bimestrale (5 numeri annuali)prezzo di copertina 8,00 euroautorizzazione tribunale di Monza n. 1429registro periodici, del 13/12/1999

SOCIETÀ EDITRICEMcNelly s.r.l.Via A. Villa 44 - Vedano al Lambro (MB)

DIRETTORE RESPONSABILEValter Pozzi

SEGRETARIA DI REDAZIONEGiusy Mancinelli

PROGETTO GRAFICOPaginauno

ABBONAMENTO ANNUALEordinario 35,00 eurosostenitore 50,00 euroc/c postale n. 78810553 intestato Valter Pozzib/b IBAN: IT 41 V 07601 01600 [email protected]

NUMERI ARRETRATIPer ricevere i numeri arretrati scrivere a:[email protected]

STAMPAFinsol s.r.l.via Prenestina Nuova 301/C3, Palestrina (RM)www.finsol.it - [email protected]

Chiuso in redazione il 21 novembre 2015www.rivistapaginauno.it

In questo numero

Dietro il successo di Expo: dalla surmodernità al kitsch, la so-cietà dei consumi e la rimozione della violenza. Turchia, Isis,gas e nuovi assetti imperialistici: in equilibrio fra Usa e Rus-sia, attraverso la Turchia passano le più importanti pipelinetra Oriente e Europa. Economia francescana: Jorge MarioBergoglio: marxista, eretico o semplicemente Papa? Dove so-no i nostri: conflitto sociale e lotte dei lavoratori nell’Italia dioggi, come si muove il collettivo Clash City Workers. Post Expo,la logica del Grande Evento continua: intorno ai progetti diriqualificazione dell’area l’ombra di interessi speculativi. Alleradici del fascioleghismo: gli anni Novanta, la Nuova destraitaliana e la Libera compagnia padana.

E ancora: la narrativa industriale britannica del primo No-vecento, radice culturale di Ken Loach e William McIlvan-ney. Intervista a Susanna Parigi. La politica e l’arte della men-zogna. E poi: recensioni musicali, di romanzi, saggi e film, l’Expodella società dello spettacolo nelle fotografie di Giulia Zuccae la copertina di Roberto Cracco.

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SOMMARIO

_ RESTITUZIONE PROSPETTICA pag. 6 Expo 2015: lo spettacolo, il kitsch, la violenza di Giovanna Cracco

_ POLEMOSpag. 12 Princìpi di economia francescana di Giovanna Baer _pag. 20 Turchia, Isis, gas e nuovi equilibri imperialistici di Fabio Damen

_ L'INTERVENTOpag. 26 Supportare la resistenza preparare l'offensiva Dove sono i nostri Collettivo Clash City Workers _ (DIS)ORIENTAMENTIpag. 38 Alle radici del fascioleghismo. Gli anni '90: il Carroccio e la Nuova destra franco-italiana di Matteo Luca Andriola

_ PER LA CRONACApag. 48 Expo 2015: il Grande Evento non chiude di Domenico Corrado

_ INTERVISTApag. 52 Susanna Parigi. Viaggio al termine delle note di Giuseppe Ciarallo

_ A PROPOSITO DI... pag. 58 Il mondo delle classi meno abbienti nella letteratura e nel cinema della Gran Bretagna del primo Novecento di Carmine Mezzacappa

_ FILO-LOGICOpag. 66 Menzogna di Felice Bonalumi

_ SOTTO I RI(F)LETTORIpag. 72 Tra luce e tenebre Recensione de I commedianti, Graham Greene di Sabrina Campolongo

_ IN LIBRERIA – narrativapag. 80 Il giardino delle mosche Andrea Tarabbia (V. Sartorio) L'amore sporco Andre Dubus III (R. Brioschi) L'errore del creato Jack London (Milton Rogas)

_ IN LIBRERIA – saggisticapag. 81 Etica e fotografia R. Perna e I. Schiaffini (Gio Sandri) Europa e capitalismo Diego Fusaro (A. Cresti) Il lupo e il filosofo Mark Rowlands (S. Campolongo) _ LE INSOLITE NOTEpag. 82 Medium Medium + C Cat Trance In memoriam (1981-1990) di Augusto Q. Bruni

_ ZONA FRANCApag. 88 Mad Max: Fury Road, George Miller La morte corre sul fiume, Charles Laughton The Truman Show, Peter Weir di Andrea Cocci

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RESTITUZIONE PROSPETTICA

“Il kitsch è la negazione assoluta del-la merda, in senso tanto letterale quan-to figurato: il kitsch elimina dal pro-prio campo visivo tutto ciò che nel-l’esistenza umana è essenzialmenteinaccettabile.”Milan Kundera,L’insostenibile leggerezza dell’essere

L’Expo di Milano si è concluso. Primadell’inaugurazione e durante l’apertu-ra è stato criticato, seppur da una mi-noranza di persone e dell’opinione pub-blica, da diverse angolazioni: le in-chieste della magistratura per corru-zione, la quantità di denaro pubblicospeso, la gestione del lavoro, con lacreazione della figura del ‘lavoratorevolontario’. Dopo sei mesi, la chiusu-

ra ha registrato un trionfo di dichia-razioni positive, per il numero di bi-glietti staccati e la carrellata di ospi-ti illustri, politici e non, che nei 180giorni hanno varcato l’ingresso, e laRai non si è fatta mancare uno spotfinale celebrativo.

Di fatto, Expo è stato politica-mente, culturalmente e mediatica-mente un successo: che i visitatorisiano stati realmente 21,5 milionioppure meno, che l’incasso dellavendita dei biglietti abbia davverocoperto i costi o prodotto una per-dita, non ha importanza. Una enor-

me massa di persone ha innanzituttodeciso di andarci, e in secondo luogone è uscita, nella grande maggioran-za, entusiasta. Ogni criticità legata al-l’Esposizione (che anche Paginauno ha

espresso sulle sue pagine), ogni pen-siero negativo opposto alla sua stes-sa realizzazione, sul piano valoriale oeconomico, sono stati spazzati via dalconsenso che ha raccolto.

Non è semplice sfuggire alla ba-nalità quando si cerca di analizzareExpo. A cui si aggiunge quella sensa-zione di disarmo che si percepisce nelmomento in cui, parlandone con unadelle milioni di persone entusiaste, siafferma: è una enorme operazionecommerciale travestita con un falso a-bito etico, e si riceve come risposta:certo, e allora? E intorno a quel allo-ra è drammaticamente esposta la so-cietà in cui viviamo.

È la società dello spettacolo di GuyDebord, nella quale “lo spettacolo èil capitale a un tal grado di accumula-zione da divenire immagine” e l’epo-ca in cui la merce è pervenuta all’oc-cupazione totale della vita sociale; lasocietà dell’uomo a una dimensionedi Herbert Marcuse, il processo di mi-mesi che ha prodotto una identifica-zione totale e immediata dell’indivi-duo con la società, rendendolo inca-pace di sviluppare un pensiero nega-tivo che si oppone all’esistente; la so-cietà della surmodernità di Marc Augé,caratterizzata dall’eccesso di tempo– che rendendo egemone il presenteimpedisce di leggerlo come il risulta-to di una lenta trasformazione del pas-sato e non lascia più spazio all’imma-ginazione del futuro – di spazio, crea-to dalla globalizzazione, di ego – l’in-dividuo divenuto autoreferenziale, co-stretto dalla scomparsa delle grandi

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di Giovanna Cracco

Expo 2015Lo spettacolo, il kitsch, la violenza

È la societàdello spettacolo

di Debord,dell’uomo a

una dimensionedi Marcuse,

dellasurmodernitàdi Marc Augé,

della cosmo-tecnologia

e deinon luoghi

narrazioni ideologiche, di per se stes-se collettive, universali e finalistichee dunque produttrici di senso, politi-co o religioso, a interpretare da sé eper sé il mondo; la società dei consu-mi, della cosmotecnologia nella qua-le l’immagine rimanda all’immaginee il messaggio al messaggio, da con-sumare ma non da pensare; la socie-tà dei non luoghi, astorici, non relazio-nali e non identitari, che creano solitu-dine e similitudine.

Expo è tutto questo, perché rap-presenta la società che lo produce; ene rappresenta anche gli individui, chesi sono sentiti in dovere di divorarlo,in quella dinamica di consumo aliena-to che Debord pone in diretta corre-lazione con la produzione alienata crea-ta dal sistema capitalistico. Individuiunidimensionali per i quali l’assuefa-zione al sistema merce ha inscrittonel codice della normalità la mercifi-cazione di ogni cosa – e allora?

Solo nella società dei consumi untema come “Nutrire il pianeta. Ener-gia per la vita”, che va ben oltre la ca-tegoria dell’alimentazione umana, puòessere trasformato in ‘cibo’ e nulla più,confinando in cantina, come oggettisuperflui, i concetti di ambiente, eco-logia, sostenibilità. Temi ben più com-plessi da mercificare, rispetto a un be-ne divenuto da anni prodotto di con-sumo, brand, oggetto di format tele-visivi di ogni tipo, e che per il mondooccidentale ha assunto, per usare leparole di Jean Baudrillard, un valoredi segno – la merce come riconosci-mento sociale. Mentre la dinamica delnon luogo permette l’eliminazione del-la storia, trasformando il cibo in ‘luo-go della memoria’ dentro i padiglio-ni, e il meccanismo dello spettacoloe l’egemonia del presente consento-no al Capitale di mettere in piedi un’o-perazione commerciale che l’individuoriconosce, fa propria, accetta e ripro-

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Massealienate di personeper le quali l’assuefazioneal sistemamerce ha inscritto nel codice della normalità la mercificazionedi ogni cosa si sono sentitein dovere di divorarlo

Milano, Expo 2015. Foto by Giulia Zucca__________________________________________________________________________________________________

RESTITUZIONE PROSPETTICA

duce, come se la sua costruzione fos-se priva di conseguenze, non collega-ta alla violenza intrinseca al capitali-smo, un modello economico che pro-duce disuguaglianza, a partire propriodall’accesso al cibo.

È questa rimozione che ha permes-so a milioni di individui di fare ore dicoda, all’ingresso e ai padiglioni; ac-quistare e consumare cibo, in vendi-ta ogni dove dentro l’Esposizione, chio-schi, bancarelle di street food, bar, ri-storanti, self service; giocare con i tou-ch screen interattivi sparsi ovunque,che rimandavano la loro immagine, fa-re selfie, fotografare se stessi riflessinelle pareti a specchio degli edifici ein tempo reale pubblicare ogni scat-to sul proprio profilo facebook (nel-l’era della cosmotecnologia, consuma-re lo spettacolo è anche apparire nel-lo spettacolo); fare «Oooh!» in corodavanti alla rappresentazione di lucie musica dell’Albero della Vita; vaga-

re per il Decumano, entrando alter-nativamente in padiglioni di Paesi epadiglioni di aziende, senza che que-sto generasse un interrogativo: che cifa la Kinder tra il Regno Unito e il Ka-zakhstan? Perché minigelaterie ambu-lanti su due ruote della Algida scor-razzano dappertutto? Perché ci sonocubi trasparenti della Technogym a ognipasso? Perché lo spettacolo deve es-sere interrotto a più riprese per an-nunciare: “L’Albero della Vita si accen-de grazie a Pirelli, Coldiretti, OrgoglioBrescia”?

“L’oggetto-kitsch è comunementetutta quella massa di oggetti ‘senza gu-sto’, in stucco, fasulli, di accessori, dininnoli folkloristici, di souvenir, di abat-jour o di maschere negre, tutto il mu-seo di paccottiglia che prolifera dap-pertutto, con una preferenza per i luo-ghi di vacanza e di divertimento. Il ki-tsch è l’equivalente del ‘cliché’ nel di-scorso. […] è una categoria culturale

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Un’operazionecommerciale

che l’individuoaccetta e

riproducesenza cogliere

la violenzadi un modello

capitalisticoche genera

disuguaglianzaa partireproprio

dall’accessoal cibo

__________________________________________________________________________________________________Milano, Expo 2015. Foto by Giulia Zucca

Expo 2015: lo spettacolo, il kitsch, la violenza

[…] ha il suo fondamento, al pari del-la cultura di massa, nella realtà so-ciologica della società dei consumi.[…] All’estetica della bellezza e dellaoriginalità, il kitsch oppone la sua este-tica della simulazione […]”, scrive Bau-drillard. Kitsch è l’Albero della Vita e ilsuo spettacolino, kitsch è l’intero Expo.Il kitsch elimina dal campo visivo tut-to ciò che nell’esistenza umana è es-senzialmente inaccettabile, scrive Mi-lan Kundera. E anche il kitsch, l’este-tica della simulazione, ha contribuitoalla rimozione della umanamente i-naccettabile violenza del capitalismo,permettendo a milioni di individui diconsumare lo spettacolo del ‘grandeevento’.

Paradossalmente, è nell’abito etico in-dossato da Expo che la violenza si èmanifestata senza veli: la Carta di Mi-lano. Scritta insieme da associazioni,fondazioni, imprese e politica, docu-mento di cui il governo si è fatto van-to, consegnato con grande enfasi nel-

le mani di Ban Ki-moon durante la suavisita all’Esposizione, la Carta è statadefinita l’eredità culturale di Expo. Difatto, il suo peso è irrilevante, poichénon ha il potere di vincolare in alcunmodo le politiche dei Paesi e dellemultinazionali. L’elenco di valori e buo-ne intenzioni che contiene dunque,poteva spingersi fino a immaginare unfuturo diverso, dato che nessuno leavrebbe potuto presentare il contodella sua mancata realizzazione. Mail conto l’ha presentato immediata-mente il Capitale: il documento noncontiene il minimo accenno ad argo-menti quali la proprietà dei semi, gliogm, l’acqua come bene comune, illand grabbing, la speculazione finan-ziaria sulle materie prime.

Anche la presenza dei padiglioniaziendali mescolati a quelli dei Paesirappresenta uno dei rari momenti disincerità della società dello spettaco-lo, se solo l’individuo unidimensiona-le fosse in grado di coglierlo nel suoreale significato. Dal momento che i

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MilanoExpo 2015.Foto byGiulia Zucca

RESTITUZIONE PROSPETTICA

Trattati di libero scambio – il NAFTA,il CAFTA, il recente TTP, il futuro TTIP– sottoscritti tra i Paesi consentonoalle multinazionali di fare causa a unoStato nel caso in cui le sue leggi limi-tino i diritti del libero mercato e delprofitto, le imprese hanno tutte le ra-gioni di rivendicare per i propri padi-glioni il posto accanto a quello riser-vato agli Stati: il loro potere decisio-nale sulla vita umana, sul piano quan-titativo e qualitativo, nell’attuale fasestorica è superiore a quello della po-litica. È il neoliberismo, bellezza, in tut-ta la sua violenza.

E quindi è giusto che McDonald’sstia tra il Turkmenistan e il Qatar, Bir-ra Moretti di fianco al Marocco, Fran-ciacorta vicino a Emirati Arabi Uniti,Perugina tra Moldova e Lituania, Al-gida accanto alla Repubblica Ceca, Lindta fianco del cluster Cacao e cioccola-to; che Enel, Banca Intesa, Corriere del-la sera e Technogym siano vicini a Re-

pubblica di Corea, Polonia, Uruguay,Cina; che Coop, travestita da ‘Area te-matica’ con il Future Food District, tro-neggi alle spalle di Spagna, Romaniae Messico, e Eataly, catalogato come‘Area di servizio e ristorazione’, occu-pi due padiglioni di 4.000 metri qua-drati ciascuno tra Azerbaigian e il clu-ster del Caffè.

Ha un senso che i cluster siano co-struiti intorno agli sponsor, e che glispazi riservati ai Paesi, anonimi e u-guali, scompaiano dietro gli sgargian-ti marchi pubblicitari di shop e bar:Illy al cluster del Caffè, la multinazio-nale cinese Huiyuan per Frutta e le-gumi e Spezie, Scotti al cluster delRiso, Farine Varvello per Cereali e tu-beri, Eurochocolate (marchio dell’a-zienda Gioform) per Cacao e ciocco-lato.

È legittimo che Coca-Cola, ChinaCorporate United, New Holland (Fca,ex Fiat), Vanke (multinazionale cine-

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Il kitsch hacontribuito allarimozione della

umanamenteinaccettabileviolenza delcapitalismo

permettendo amilioni di

individui diconsumare lo

spettacolo delGrande Evento

Milano, Expo 2015. Foto by Giulia Zucca__________________________________________________________________________________________________

Expo 2015: lo spettacolo, il kitsch, la violenza

se del settore immobiliare), Alessan-dro Rosso (turismo e organizzazione diconvention e viaggi incentive), Fede-ralimentare, Alitalia-Etihad abbiano unintero spazio, denominato corporate,riservato ai loro padiglioni.

E trova la sua motivazione, infine,l’inserimento del caffè in una delletorri del padiglione elvetico.

Quattro torri riempite con quat-tro alimenti, che i consumatori/visita-tori potevano prendere gratuitamen-te; man mano che le torri si svuota-no, si modificava la struttura internadel padiglione, rendendo visibile il vuo-to dall’esterno. Sulla facciata fronta-le, una grande scritta: “Ce n’è per tut-ti?”. Il significato evidente era quellodi stimolare la riflessione su un utiliz-zo ‘responsabile’ del cibo: di quanto

ne hai bisogno, quanto ne vuoi con-sumare, quanto ne resterà per gli al-tri, per chi arriva dopo, per chi nonpuò essere qui a prenderselo? Acqua,sale, mele, caffè i quattro alimenti in-seriti nelle torri. Nell’ottica di bene ne-cessario, perfetti i primi due – sale, inmolti Paesi, significa ancora conser-vazione del cibo –; singolare il terzo,ma giustificato ufficialmente dall’es-sere un prodotto agro-alimentare el-vetico; totalmente insensato il quar-to. A meno di non cambiare la chiaveinterpretativa: il marchio Nescafé, a-zienda della multinazionale svizzeraNestlè, invadeva ogni parete e firma-va un bar davanti al padiglione stesso.

Alla Svizzera va indubbiamente ilprimato di miglior spettacolo di Expo.E allora?, quanto caffè c’è per tutti?

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POLEMOS

“Questa economia uccide.Non è possibile che non fac-cia notizia il fatto che muoiaassiderato un anziano ridot-to a vivere per strada, men-tre lo sia il ribasso di duepunti in borsa. Questo è e-sclusione. Non si può più tollerare ilfatto che si getti il cibo, quando c’ègente che soffre la fame. Questo è ini-quità. Oggi tutto entra nel gioco del-la competitività e della legge del piùforte, dove il potente mangia il più de-bole. Come conseguenza di questa si-tuazione, grandi masse di popolazio-ne si vedono escluse ed emarginate:senza lavoro, senza prospettive, sen-za vie di uscita. Si considera l’essere u-mano in se stesso come un bene diconsumo, che si può usare e poi get-tare. […] Gli esclusi non sono ‘sfrutta-ti’, ma rifiuti, ‘avanzi’”.

Queste non sono le parole di unostudioso di orientamento marxista, etanto meno quelle di un rappresentan-te politico della sinistra radicale: le hascritte Papa Francesco, al secolo Jor-ge Mario Bergoglio, nella prima esor-tazione apostolica del suo pontifica-to, dal titolo Evangelii Gaudium, da-tata 24 novembre 2013. E continua:“In questo contesto, alcuni ancora di-fendono le teorie della ‘ricaduta favo-revole’, che presuppongono che ogni

crescita economica, favorita dal libe-ro mercato, riesce a produrre di persé una maggiore equità e inclusionesociale nel mondo. Questa opinione,che non è mai stata confermata daifatti, esprime una fiducia grossolana eingenua nella bontà di coloro che de-tengono il potere economico e nei mec-canismi sacralizzati del sistema eco-nomico imperante. Nel frattempo, gliesclusi continuano ad aspettare”.

Il gesuita argentino, da sempre fer-reo oppositore della Teologia della li-berazione, che ha rifiutato molti deibenefit concessi al successore di Pie-tro, stupisce il mondo cattolico per l’im-portanza che riconosce ai problemi e-conomici ed ecologici globali, e scan-dalizza l’Occidente capitalista. L’Eco-nomist in un editoriale non firmato –che quindi rappresenta la posizione uf-ficiale del giornale – insinua che “con-sciamente o inconsciamente [France-sco] segua Vladimir Lenin nella suadiagnosi del capitalismo e dell’impe-rialismo” (1), e scomoda, guarda caso,Shumpeter e Popper (e l’ormai vetu-sta triade capitalismo=democrazia=li-bertà), per delegittimare, con una pun-ta di scherno, le tesi del pontefice, reodi avere affermato che il nostro siste-ma economico, come tutti i grandi im-peri, per sopravvivere ha bisogno del-

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PRINCÌPI DI ECONOMIAFRANCESCANAdi Giovanna Baer

L’Economistinsinua che

Papa Francesco“consciamente

o inconscia-mente segua

Vladimir Leninnella sua

diagnosi delcapitalismoe dell’impe-

rialismo”

______________________________________________1) Francis, capitalism and war. The pope’sdivisions, The Economist, 20 giugno 2014

le guerre, attraverso le quali si ripia-nano “i bilanci delle economie idola-tre, le grandi economie mondiali chesacrificano l’uomo al dio denaro”.

Ma la diagnosi di Francesco è pre-cisa e puntuale: “La crisi mondiale cheinveste la finanza e l’economia mani-festa i propri squilibri e, soprattutto,la grave mancanza di un orientamen-to antropologico che riduce l’essereumano a uno solo dei suoi bisogni: ilconsumo. Mentre i guadagni di pochicrescono esponenzialmente, quelli del-la maggioranza si collocano semprepiù distanti dal benessere di questaminoranza felice. Tale squilibrio pro-cede da ideologie che difendono l’au-tonomia assoluta dei mercati e la spe-culazione finanziaria. […] Si instaurauna nuova tirannia invisibile, a voltevirtuale, che impone, in modo unila-terale e implacabile, le sue leggi e lesue regole. Inoltre, il debito e i suoiinteressi allontanano i Paesi dalle pos-sibilità praticabili della loro economiae i cittadini dal loro reale potere d’ac-quisto. A tutto ciò si aggiunge una cor-ruzione ramificata e un’evasione fisca-le egoista, che hanno assunto dimen-sioni mondiali. […] In questo sistema,che tende a fagocitare tutto al fine diaccrescere i benefici, qualunque cosache sia fragile, come l’ambiente, rima-ne indifesa rispetto agli interessi delmercato divinizzato, trasformati in re-gola assoluta”.

Non bisogna dimenticare che Ber-goglio è un figlio del sud del mondo,quell’America latina che nel Novecen-to (per non parlare di quanto è avve-nuto in precedenza) ha visto, e sop-portato, di tutto: dalle dittature san-guinarie create e mantenute dai go-verni occidentali per arginare il dif-fondersi del comunismo rivoluziona-rio durante la guerra fredda alle ‘ri-cette miracolose’ delle istituzioni fi-nanziarie mondiali che hanno messoin ginocchio intere nazioni, dai danniambientali causati dalla deforestazio-ne dell’Amazzonia (l’ecosistema più im-portante della Terra) alla privatizza-zione dell’acqua potabile. Quando par-la di capitalismo globale, e delle con-seguenze che esso ha sulla vita deipiù fragili, Francesco parla del suo, dei110 milioni di americani (moltissimidei quali cattolici) che guadagnano me-no di un dollaro al giorno, dei 1.442milioni di persone in tutto il pianetache vivono sotto la soglia di povertà.

Per questo non è più possibile con-fidare “nelle forze cieche e nella ma-no invisibile del mercato. La crescitain equità esige qualcosa di più dellacrescita economica, benché la pre-supponga, richiede decisioni, program-mi, meccanismi e processi specifica-mente orientati a una migliore distri-buzione delle entrate, alla creazionedi opportunità di lavoro, a una pro-mozione integrale dei poveri che supe-

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All’interno della Chiesa cresce l’insofferenza ma nonostante i tentativi maldestri di farlo passare per marxista o eretico Francesco ha dalla sua la dottrina cristiana che non è ambigua nel difendere i diritti degli emarginati

POLEMOS

ri il mero assistenzialismo”. Quell’assistenzialismo cheBergoglio definisce “carità à la carte”, e che si riducea una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare lapropria coscienza: “I piani assistenziali, che fanno fron-te ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solocome risposte provvisorie. Finché non si risolveran-no radicalmente i problemi dei poveri, rinunciandoall’autonomia assoluta dei mercati e della speculazio-ne finanziaria e aggredendo le cause strutturali dellainiquità, non si risolveranno i problemi del mondo ein definitiva nessun problema”.

Il pontefice si preoccupa di chiarire che il proble-ma si situa alla radice stessa del capitalismo, perchéla “funzione sociale della proprietà e la destinazioneuniversale dei beni” sono “realtà anteriori alla proprie-tà privata”. Bergoglio afferma così quel che nel nostromondo (compresi molti ambienti della Chiesa catto-lica) è ormai non solo impronunciabile, ma addirittu-ra impensabile, e ne parla come di un dato di fatto,un assioma, che non richiede alcuna dimostrazione.

Anche il grande problema della si-curezza, lungi dall’essere frutto di fon-damentalismi ideologici o religiosi (eco-terrorismo, Isis), è secondo Francescoconseguenza delle disparità sociali ali-mentate dal nostro sistema economi-co: “Fino a quando non si eliminanol’esclusione e l’iniquità nella società etra i diversi popoli sarà impossibile sra-dicare la violenza. […] Quando la so-cietà – locale, nazionale o mondiale– abbandona nella periferia una par-te di sé, non vi saranno programmipolitici, né forze dell’ordine o di intel-ligence che possano assicurare illimi-tatamente la tranquillità. Ciò non ac-cade soltanto perché l’iniquità provo-ca la reazione violenta di quanti sonoesclusi dal sistema, bensì perché il si-stema sociale ed economico è ingiu-

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_____________________________________________________________________________________________________________________Milano, Expo 2015. Foto by Giulia Zucca

Princìpi di economia francescana

sto alla radice. […] Se ogni azione ha delle conseguen-ze, un male annidato nelle strutture di una societàcontiene sempre un potenziale di dissoluzione e dimorte. È il male cristallizzato nelle strutture sociali in-giuste, a partire dal quale non ci si può attendere unfuturo migliore”.

All’indomani degli attentati di Parigi queste paro-le assumono un senso profetico: inutile chiudere icancelli, costruire muri, aumentare i controlli, per-ché il male è dentro (o meglio, il male è il nostro), ementre “alcuni semplicemente si compiacciono incol-pando i poveri e i Paesi poveri dei propri mali, con in-debite generalizzazioni, e pretendono di trovare la so-luzione in una ‘educazione’ che li tranquillizzi e li tra-sformi in esseri addomesticati e inoffensivi”, la rabbiadegli esclusi cresce. “La pace sociale non può essereintesa come irenismo o come una mera assenza di vio-lenza ottenuta mediante l’imposizione di una partesopra le altre. […] Le rivendicazioni sociali, che hannoa che fare con la distribuzione delle entrate, l’inclu-sione sociale dei poveri e i diritti umani, non posso-no essere soffocate con il pretesto di costruire un con-senso a tavolino o un’effimera pace per una mino-ranza felice. La dignità della persona umana e il benecomune stanno al di sopra della tranquillità di alcuniche non vogliono rinunciare ai loro privilegi”.

Non stupisce che, anche all’interno della Chiesa,l’insofferenza verso il pontefice cresca ma, nonostan-te i tentativi maldestri di farlo passare per marxista oeretico, o addirittura come usurpatore del soglio pon-tificio (2), Francesco ha dalla sua la dottrina cristiana,che non è ambigua nel difendere i diritti degli emar-ginati. “Ricordiamo anche con quanta convinzione l’A-postolo Giacomo riprendeva l’immagine del grido de-gli oppressi: «Il salario dei lavoratori che hanno mie-tuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, gri-da, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orec-chi del Signore onnipotente» (5,4). La Chiesa ha rico-nosciuto che l’esigenza di ascoltare questo grido de-riva dalla stessa opera liberatrice della grazia in cia-scuno di noi, per cui non si tratta di una missione ri-servata solo ad alcuni. […] Ciò implica sia la collabo-razione per risolvere le cause strutturali della pover-tà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri,

sia i gesti più semplici e quotidiani disolidarietà di fronte alle miserie mol-to concrete che incontriamo. […] De-plorevolmente, persino i diritti uma-ni possono essere utilizzati come giu-stificazione di una difesa esacerbatadei diritti individuali o dei diritti deipopoli più ricchi. Rispettando l’indi-pendenza e la cultura di ciascuna na-zione, bisogna ricordare sempre cheil pianeta appartiene a tutta l’umani-tà e per tutta l’umanità, e che il solofatto di essere nati in un luogo con mi-nori risorse o minor sviluppo non giu-stifica che alcune persone vivano conminore dignità”.

Quella che Bergoglio definisce “l’op-zione per i poveri” non è dunque unornamento della dottrina cristiana, néun carisma particolare: “Per la Chie-sa l’opzione per i poveri è una cate-goria teologica prima che culturale,sociologica, politica o filosofica. […]Questa preferenza divina ha delle con-seguenze nella vita di fede di tutti icristiani, chiamati ad avere «gli stessisentimenti di Gesù» (Fil 2,5). Ispiratada essa, la Chiesa ha fatto una opzio-ne per i poveri intesa come una «for-ma speciale di primazia nell’eserciziodella carità cristiana, della quale dàtestimonianza tutta la tradizione del-la Chiesa». Questa opzione – insegna-va Benedetto XVI – «è implicita nellafede cristologica in quel Dio che si è

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Diversamente da quantoprevisto dal modello

marxista il pontefice nonintende parlare a favore

della lotta di classema della conversione

dei singoli

__________________________________________________________________2) Cfr. Antonio Socci, Non è Francesco, Mondadori, 2015

POLEMOS

fatto povero per noi, per arricchirci mediante la suapovertà» […] È un messaggio così chiaro, così diret-to, così semplice ed eloquente, che nessuna erme-neutica ecclesiale ha il diritto di relativizzarlo. […] Sen-za l’opzione preferenziale per i più poveri, l’annunciodel Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di es-sere incompreso o di affogare in quel mare di parolea cui l’odierna società della comunicazione quotidia-namente ci espone”. Come aveva già affermato il 18maggio 2013 alla veglia di Pentecoste, “la povertà,per noi cristiani, non è una categoria sociologica o fi-losofica o culturale: no, è una categoria teologale. Di-rei, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figliodi Dio, si è abbassato, si è fatto povero per cammina-re con noi”. Il Pontefice è consapevole che con la suaesortazione apostolica si alienerà più di qualche sim-patia, ma non retrocede di un passo: “Se qualcuno sisente offeso dalle mie parole, gli dico che le esprimocon affetto e con la migliore delle intenzioni, lontanoda qualunque interesse personale o ideologia politi-ca. […] Gesù, l’evangelizzatore per eccellenza e il Van-gelo in persona, si identifica specialmente con i piùpiccoli (cfr. Mt 25,40). Questo ci ricorda che tutti noicristiani siamo chiamati a prenderci cura dei più fra-gili della Terra. Ma nel vigente modello ‘di successo’e ‘privatistico’, non sembra abbia senso investire af-finché quelli che rimangono indietro, i deboli o i me-no dotati possano farsi strada nella vita”.

È chiaro che, diversamente da quanto previsto dalmodello marxista (cui quello cristiano è antecedentedi 1800 anni circa), qui non si intende parlare a favo-re della lotta di classe, ma della conversione dei sin-goli (“Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai edallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni eseguimi”, Mt,19:22): nelle parole di Francesco l’equi-tà è il risultato non della rivoluzione proletaria e del-l’abolizione della proprietà privata, ma dell’amore di-

sinteressato verso il prossimo (cari-tas): “L’amore per la gente è una for-za spirituale che favorisce l’incontroin pienezza con Dio fino al punto chechi non ama il fratello «cammina nel-le tenebre» (1 Gv 2,11), «rimane nel-la morte» (1 Gv 3,14) e «non ha co-nosciuto Dio» (1 Gv 4,8)”. Quello cheinsegna il Papa non è il comunismo,ma la comunione (dei cuori e dei be-ni), uno dei precetti basilari dell’inse-gnamento di Cristo.

Bergoglio non si stanca di ripete-re questi concetti e, benché non siaottimista sulle probabilità di essereascoltato (“Non ignoro che oggi i do-cumenti non destano lo stesso interes-se che in altre epoche, e sono rapida-mente dimenticati. Ciononostante, sot-tolineo che ciò che intendo qui espri-mere ha un significato programmati-co e dalle conseguenze importanti”),li ha riproposti più volte in occasionedel suo viaggio americano nel settem-bre scorso, al Congresso degli StatiUniti (“Se la politica dev’essere vera-mente al servizio della persona uma-na, ne consegue che non può esseresottomessa al servizio dell’economiae della finanza. Politica è, invece, e-spressione del nostro insopprimibilebisogno di vivere insieme in unità, perpoter costruire uniti il più grande be-ne comune: quello di una comunitàche sacrifichi gli interessi particolariper poter condividere, nella giustiziae nella pace, i suoi benefici, i suoi in-teressi, la sua vita sociale” [3]); comepure all’assemblea dell’Onu (“Gli or-ganismi finanziari internazionali devo-no vigilare in ordine allo sviluppo so-stenibile dei Paesi e per evitare l’asfis-

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Nelle parole di Francescol’equità è il risultato non della

rivoluzione proletaria e dell’abolizionedella proprietà privata ma dell’amore

disinteressato verso il prossimo

______________________________________________3) Papa Francesco all’Assemblea plenaria delCongresso degli Stati Uniti d’America, Wa-shington D.C., 24 settembre 2015

Princìpi di economia francescana

siante sottomissione di tali Paesi a sistemi creditizi che,ben lungi dal promuovere il progresso, sottometto-no le popolazioni a meccanismi di maggiore povertà,esclusione e dipendenza. […] La misura e l’indicatorepiù semplice e adeguato dell’adempimento della nuo-va Agenda per lo sviluppo sarà l’accesso effettivo, pra-tico e immediato, per tutti, ai beni materiali e spiri-tuali indispensabili: abitazione propria, lavoro digni-toso e debitamente remunerato, alimentazione ade-guata e acqua potabile; libertà religiosa e, più in ge-nerale, libertà dello spirito ed educazione” [4]). Masi è preoccupato di ribadirli soprattutto il 9 luglio aSanta Cruz de la Sierra, in Bolivia, durante il secondoincontro mondiale dei movimenti popolari (5).

“Diciamo NO [in stampatello neltesto, n.d.a.] a una economia di esclu-sione e iniquità in cui il denaro domi-na invece di servire. Questa econo-mia uccide. Questa economia è esclu-dente. Questa economia distrugge laMadre Terra. L’economia non dovreb-be essere un meccanismo di accumu-lazione, ma la buona amministrazio-ne della casa comune. Ciò significa cu-stodire gelosamente la casa e distri-buire adeguatamente i beni tra tutti.Il suo scopo non è solo assicurare ilcibo o un ‘decoroso sostentamento’.E nemmeno, anche se sarebbe comun-que un grande passo avanti, garanti-re l’accesso alle ‘tre t’ per le quali voilottate [tierra, techo, trabajo, cioè ter-ra, casa, lavoro, n.d.a.]. Un’economia

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Milano, Expo 2015. Foto by Giulia Zucca_____________________________________________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________4) Papa Francesco all’Assemblea generale dell’Organizzazionedelle Nazioni Unite, New York, 25 settembre 20155) Papa Francesco al II Incontro Mondiale dei Movimenti Po-polari, Santa Cruz de la Sierra (Bolivia), 9 luglio 2015

POLEMOS

veramente comunitaria, direi una economia di ispi-razione cristiana, deve garantire ai popoli dignità, «pro-sperità senza escludere alcun bene» (6). […] Un’eco-nomia giusta deve creare le condizioni affinché ognipersona possa godere di un’infanzia senza privazio-ni, sviluppare i propri talenti nella giovinezza, lavora-re con pieni diritti durante gli anni di attività e acce-dere a una pensione dignitosa nell’anzianità. Si trattadi un’economia in cui l’essere umano, in armonia conla natura, struttura l’intero sistema di produzione edistribuzione affinché le capacità e le esigenze di cia-scuno trovino espressione adeguata nella dimensio-ne sociale. […] Questa economia è non solo auspica-bile e necessaria, ma anche possibile. Non è un’uto-pia o una fantasia. È una prospettiva estremamenterealistica. Possiamo farlo. Le risorse disponibili nelmondo, frutto del lavoro intergenerazionale dei po-poli e dei doni della creazione, sono più che suffi-cienti per lo sviluppo integrale di «ogni uomo e ditutto l’uomo» (7). Il problema, invece, è un altro. Esi-ste un sistema con altri obiettivi. Un sistema che ol-tre ad accelerare in modo irresponsabile i ritmi dellaproduzione, oltre a incrementare nell’industria e nel-l’agricoltura metodi che danneggiano la Madre Terrain nome della ‘produttività’, continua a negare a mi-liardi di fratelli i più elementari diritti economici, so-ciali e culturali. Questo sistema attenta al progetto diGesù, contro la Buona Notizia che ha portato Gesù.

“L’equa distribuzione dei frutti della terra e del la-voro umano non è semplice filantropia. È un doveremorale. Per i cristiani, l’impegno è ancora più forte:è un comandamento. Si tratta di restituire ai poverie ai popoli ciò che appartiene a loro. La destinazioneuniversale dei beni non è un ornamento discorsivodella dottrina sociale della Chiesa. È una realtà ante-cedente alla proprietà privata. La proprietà, in modoparticolare quando tocca le risorse naturali, dev’es-sere sempre in funzione dei bisogni dei popoli. E que-sti bisogni non si limitano al consumo. […] I piani diassistenza che servono a certe emergenze dovrebbe-ro essere pensati solo come risposte transitorie, oc-

casionali. Non potrebbero mai so-stituire la vera inclusione: quella chedà il lavoro dignitoso, libero, creativo,partecipativo e solidale. […] Il colonia-lismo, vecchio e nuovo, che riduce iPaesi poveri a semplici fornitori di ma-terie prime e manodopera a basso co-sto, genera violenza, povertà, migra-zioni forzate e tutti i mali che abbia-mo sotto gli occhi, proprio perché met-tendo la periferia in funzione del cen-tro le si nega il diritto a uno sviluppointegrale. E questo, fratelli, è iniqui-tà, e l’iniquità genera violenza che nes-suna polizia, militari o servizi segretisono in grado di fermare. […] La casacomune di tutti noi viene saccheg-giata, devastata, umiliata impunemen-te. La codardia nel difenderla è unpeccato grave. Vediamo con delusio-ne crescente che si succedono uno do-po l’altro vertici internazionali senzanessun risultato importante. C’è unchiaro, preciso e improrogabile impe-rativo etico ad agire che non viene sod-disfatto. Non si può consentire checerti interessi – che sono globali, manon universali – si impongano, sotto-mettano gli Stati e le organizzazioniinternazionali e continuino a distrug-gere il creato. I popoli e i loro movi-menti sono chiamati a far sentire lapropria voce, a mobilitarsi, a esigere– pacificamente ma tenacemente –l’adozione urgente di misure appro-

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Quello che insegnail Papa non è il comunismo

ma la comunione(dei cuori e dei beni) uno

dei precetti basilaridell’insegnamento

di Cristo

__________________________________________________________________6) Giovanni XXIII, lettera enciclica Mater et Magistra, 15 mag-gio 19617) Paolo VI, lettera enciclica Populorum progressio, 26 marzo 1967

Princìpi di economia francescana

priate. Vi chiedo, in nome di Dio, di difendere la Ma-dre Terra”.

Eppure, a parte le già citate critiche di marxismoe pauperismo nelle poche occasioni in cui le paroledel Papa – fuori e dentro la Chiesa – non possonoessere del tutto ignorate (come chiosava Hélder Câ-mara, arcivescovo di Recife: “Quando do da mangia-re a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quandochiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tuttimi chiamano comunista”), di Francesco si parla so-prattutto a proposito di controversie dottrinarie ‘in-terne’ (sì o no all’eucaristia per i divorziati risposati,sì o no all’inclusione dei gay nelle comunità pastora-li, e così via), tutto sommato marginali rispetto alletematiche portanti del suo pontificato. E se è com-prensibile che media, imprenditori e politici di destragiochino alle tre scimmiette, resta un mistero perchéla sinistra faccia orecchio da mercante quando, fossesolo per opportunismo elettorale, avrebbe tutto daguadagnarci.

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POLEMOS

Secondo la vulgata politolo-gica internazionale, la Tur-chia avrebbe cambiato at-teggiamento nei confrontidell’Isis a causa di un attac-co kamikaze avvenuto ai pri-mi di luglio a Suruc, che hacausato la morte di 32 cittadini tur-chi. Precedentemente, l’atteggiamen-to della Turchia nei confronti dei jiha-disti del Califfato era stato apparente-mente quello di ‘non interferenza’ nel-la questione Siraq, lasciando che lecose scorressero secondo i ritmi vo-luti da altri interpreti. Di fatto peròha consentito agli uomini del califfodi attraversare le sue frontiere, di con-trabbandare petrolio e armi al di quadei suoi confini, di allestire campi diaddestramento, fungendo in praticada base di appoggio alle operazionimilitari e commerciali dell’Isis. L’eser-cito di Ankara non solo è rimasto spet-tatore, pur essendo schierato a po-che centinaia di metri durante l’asse-dio di Kobane, ma ne ha consentitola conquista e il massacro di civili chene è seguito. Inoltre, aveva impeditoagli Usa di usufruire delle sue basiaeroportuali per i raid aerei contro lestrutture militari dell’Isis. L’unica sua

preoccupazione sembrava essere l’ab-battimento del regime di al Assad inSiria e, se le milizie dell’Isis stavanocombattendo anche per questo, tan-to di guadagnato. Poi improvvisamen-te il cambiamento di fronte. Ankaraha cominciato a bombardare le posta-zioni dell’Isis, ha concesso la base ae-rea di Incirlic alle forze aeree ameri-cane e, di fatto, si è collocata all’inter-no della Coalizione contro lo Stato Isla-mico.

Come al solito, la spiegazione nonva ricercata nelle pieghe ideologiche,religiose o, come in questo caso, tra-giche dell’atto terroristico che ha cau-sato la morte di 32 cittadini turchi,bensì nel disegno dell’aspirante sul-tano neo-ottomano, Erdogan, di per-seguire obiettivi imperialistici che, conil continuare a sostenere, anche se dinascosto e non ufficialmente, al Ba-ghdadi, non avrebbe mai raggiunto.

Problemi interniDalle elezioni del 7 giugno scorso Er-dogan è uscito vincitore ma senza lamaggioranza assoluta che gli avrebbepermesso, cosa in cui fortemente spe-rava, di avviare un percorso costitu-zionale verso una sorta di presiden-zialismo ai limiti della dittatura. La par-ziale, e non sufficiente, vittoria lo hacostretto a rivedere alcune posizionitattiche, tra le quali quella di accapar-rarsi i consensi delle forze politiche e

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TURCHIA, ISIS, GAS E NUOVIEQUILIBRI IMPERIALISTICI*di Fabio Damen

______________________________________________* Pubblicato in Prometeo, The internatio-nalists, www.leftcom.org, 29 agosto 2015

Il TurkishStream partedall’impossi-

bilità da partedella Russia di

dare il viaal vecchio

progetto delSouth Stream

non volutodall’Europa

e boicottatodagli Usa

di quei partiti anti jihadisti che, pre-cedentemente, rappresentavano i suoiavversari politici. Una ripresa di cre-dibilità in questo senso gli consenti-rebbe anche di affrontare con mag-gior successo lo scontro all’interno delsuo stesso partito, lo AKP, con il vicepresidente e acerrimo antagonistaArinc e il suo predecessore AbdullahGull, nonché di ammansire alcunefrange dell’esercito che, in alcuni ca-si, hanno mostrato insofferenza perle scelte di politica estera, e non so-lo, del presidente. In sintesi, l’obietti-vo è quello di trasformare l’esercitoin una Forza armata del partito AKP,ovvero in una sorta di milizia privataagli ordini del rinnovato Sultanato ot-tomano. Il tutto nella speranza – chesi è poi realizzata con le elezioni di no-vembre – che i piani in atto portinoquel consenso popolare che gli per-metterebbe di essere il nuovo sulta-no della ‘nuova’ Turchia ottomana.

Il cambiamento di rotta si giustifi-ca anche per altri obiettivi interni al-trettanto gravi e pressanti in funzio-ne di una politica di violenta repres-sione delle opposizioni domestiche.Accanto e durante i bombardamentialle postazioni dell’Isis in territorio si-riano, si sono aggiunti quelli alle po-stazioni curde siriane, le uniche, conqualche formazione filo iraniana, cheal momento contrastano sul territoriol’avanzata del Califfato. Contraddizio-

ni? Certo, ma sta di fatto che per Er-dogan vale il continuare la lotta con-tro il regime di Bashar el Assad cosìcome il colpire i suoi nemici, gli jiha-disti di al Baghdadi e, contemporanea-mente, l’indebolire i curdi siriani perlanciare un messaggio a quelli interniperché capiscano che per loro non cisarà mai un futuro nazionalistico. Er-dogan ha subìto, non senza enormipreoccupazioni, la nascita di uno Sta-to autonomo curdo al nord dell’Iraqvoluto dalle strategie petrolifere ame-ricane. Ha paura che dal possibile sfal-damento della Siria ne nasca un altroai confini suoi e dell’Iraq, rinfocolan-do le mire autonomistiche del ‘suo’PKK.

All’interno di questo quadro do-mestico vanno letti altri due episodidi feroce repressione. Il primo riguar-da proprio i bombardamenti di alcu-ne postazioni del PKK in territorio tur-co, che di fatto hanno rotto la fragiletregua del 2012 tra il governo di An-kara e il partito di Ochalan. Le preoc-cupazioni di Erdogan di un compor-tamento del PKK più radicale rispettoagli accordi sottoscritti dal suo lea-der, hanno lasciato lo spazio ad azio-ni repressive e preventive che si so-no concluse, al momento, in una se-rie di raid aerei sulle postazioni cur-do-turche più cruenti di quelle per-petrati ai danni dei miliziani dell’Isis.Il che ha fatto pensare a non pochi os-

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Attraversola Turchiapassano le più importanti pipeline tra Oriente e Europa:Iraq-Turkish-Ceyhan, BTC (Baku-Tbilisi-Ceyhan), BTE (Baku-Tbilisi-Erzorum), Trans Anatolianpipeline,Trans Adriatic pipeline eBlue stream

POLEMOS

servatori interni e internazionali che la lotta control’Isis si configuri più come una buona scusa per com-battere l’obiettivo interno, assai più vicino e perico-loso, che non il costituendo Stato Islamico.

Il secondo, sempre sul fronte interno, vede il co-struttore del neo-impero ottomano cogliere la pallaal balzo per eliminare dalla scena politica interna an-che un altro scomodo interlocutore. Il 31 marzo scor-so, un membro del sedicente Partito marxista turco(DHKP-C) si è introdotto nel palazzo di giustizia di Istan-bul per sequestrare e successivamente uccidere il pro-curatore della Repubblica Selim Kiraz, responsabiledell’inchiesta sulla morte di un giovane manifestantedurante le giornate di Gezi Park. La risposta del go-verno è stata dura. Mentre fervevano i bombarda-menti sui jihadisti dell’Isis, sulle teste dei curdi sirianie dei curdi del PKK, la polizia segreta ha effettuatocirca trecento arresti tra militanti di sinistra, aggiun-gendo anche un morto come effetto collaterale. Il che

ha aperto la strada a una serie di at-tentati sia da parte dei militanti curdidel PKK che di quelli del DHKP-C del9 agosto, conclusisi con alcuni mortisia tra i militanti delle due organizza-zioni che tra le forze dell’esercito. Cer-tamente non saranno questi tragici e-pisodi a fermare le ambizioni di Er-dogan che, anzi, li userà a suo piaci-mento sul tavolo della repressione alterrorismo. O si muovono le masse,il mondo del lavoro e i proletari tur-chi in chiave rivoluzionaria, oppure l’a-spirante despota avrà vita facile per isuoi giochi di politica interna.

Problemi internazionaliL’altro fattore che ha imposto al gover-no di Ankara il citato cambiamento di

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Milano, Expo 2015. Foto by Giulia Zucca_____________________________________________________________________________________________________________________

Turchia, Isis, gas e nuovi equilibri imperialistici

fronte è rappresentato dal mutato quadro interna-zionale, sia per ciò che riguarda alcune modificazionidegli equilibri imperialistici nell’area, sia per ciò checoncerne il ruolo della Turchia all’interno del mute-vole e redditizio mondo legato alla distribuzione delgas asiatico e alle sue vie di commercializzazione.

La più importante mutazione degli equilibri im-perialistici nell’area è certamente rappresentata dairecenti accordi sul nucleare tra gli Usa e l’Iran. PerObama l’aver convinto l’Iran del nuovo corso a sotto-scrivere l’accordo è innanzitutto un successo di poli-tica internazionale che mancava nel carnet del quasipensionato presidente americano. Stando alle sueparole, l’accordo, che impone all’Iran di non pensarealla bomba atomica per dieci anni, renderebbe il mon-do più sicuro, mantenendo inalterato il numero degliaderenti al club atomico. Come dire che la sua diplo-mazia ha raggiunto un importante risultato che altri-menti avrebbe lasciato le cose come stavano, cioè dicrisi permanente. In realtà, il presidente uscente do-veva passare il testimone al suo possibile successoredemocratico con qualche buon risultato in termini dipolitica estera. In più, la mossa di Obama ha il dichia-rato obiettivo, se non di sottrarre l’Iran all’influenzarussa, di indebolirne il rapporto con tutti gli effettidel caso sull’intera area. Tra i quali il tentativo di sot-trarre l’Iran dall’intreccio strategico gas-petrolifero traRussia e Cina, indebolendone il segmento caspico.

Per Rohani (presidente dell’Iran) l’accordo con gliUsa è la fine di un incubo. La rimozione delle sanzio-ni ridarà fiato all’economia degli ayatollah, sia sul pia-no commerciale sia su quello petrolifero, rilanciandol’Iran come potenza d’area ben oltre il ruolo che giàsta giocando in Siria, in Iraq, sulla questione curda,nonché all’interno delle contraddittorie tensioni po-litiche e militari contro l’espansionismo dell’Isis.

Per la Turchia invece la firma degli accordi sul nu-

cleare è l’inizio di un incubo. La pri-ma preoccupazione è quella di perde-re l’appoggio, sia pure logoro, contra-stato e a volte contraddittorio, degliStati Uniti. Il che provocherebbe uncambiamento degli equilibri nell’areae dei rapporti di forza a favore dell’I-ran e, inevitabilmente, a sfavore del-la Turchia. È probabilmente alla lucedi questa nuova situazione che il go-verno di Erdogan si sta ponendo, intermini di politica internazionale, nel-la ‘terra di mezzo’, tentando di ricuci-re i rapporti con gli Usa e con l’allea-to-nemico Israele, rimettendo in pie-di il vecchio rapporto di cooperazio-ne militare voluto e realizzato a suotempo dal Pentagono in chiave antiRussa e contro i suoi satelliti nel Me-diterraneo. Da qui l’inversione di rot-ta nei confronti dello Stato Islamico,l’ingresso di fatto all’interno della Coa-lizione anti Isis e la concessione dellabase aerea agli Usa, pur di alimenta-re la speranza di non perdere com-pletamente il rapporto con il governoamericano, per continuare a lavorareal fine di fare della Turchia il principa-le hub petrolifero sulle sponde delMediterraneo. L’ormai più che proba-bile spostamento della politica ame-ricana verso l’Iran sarebbe una bat-tuta d’arresto alle ambizioni di Erdo-gan e del suo protagonismo imperia-lista che meritano, almeno, un tenta-tivo di riavvicinamento alle strategiedi Washington, anche se comportanoconcessioni che precedentemente nonerano nemmeno all’ordine del giorno.In linea con la nuova strategia, già nelmarzo scorso, quando ormai era chia-ro che l’accordo nucleare con l’Iran sa-rebbe andato in porto, il governo diAnkara si era portato avanti con il la-voro firmando un accordo militare conRiad in base al quale si sarebbero uni-

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Il 7 maggio 2015 la Gazprom ha firmatoun accordo con Botas per la costruzione

del Turkish Stream che dalle lontane landedella Siberia porterà il gas in

Turchia attraversando il Mar Nero

POLEMOS

te le forze contro il regime di Bashar el Assad, ar-mando e finanziando le formazioni militari di oppo-sizione come al Nusra e Ahrar al Sam e, contempora-neamente, combattendo lo jihadismo del Califfato.Mosse che, se vincenti, consentirebbero alla politicaneo-ottomana di Erdogan di riavvicinarsi agli Usa, diassorbire con danni accettabili il probabile ritornosulla scena dell’Iran e, cosa più importante, di conti-nuare a costruire il suo ruolo di fondamentale snodopetrolifero nel Mediterraneo.

Il Turkish StreamLe variazioni della politica estera turca non finisconoqui. L’abilità nel tenere un piede in più scarpe ha tro-vato in Erdogan un interprete di prim’ordine. Dopoaver fatto marcia indietro con l’Isis per non inimicar-si l’imperialismo americano, dopo aver abbassato itoni nei confronti del suo acerrimo nemico del Ca-spio, l’Iran del nuovo corso sdoganato da Washing-ton, e riaperto il dialogo con Israele, pur di persegui-re sino in fondo le sue ambizioni imperialistiche nelbacino del Mediterraneo, la Turchia ha messo un suopiedino anche nello scarpone russo.

La vicenda del Turkish Stream parte dall’impossi-bilità da parte della Russia di dare il via al vecchioprogetto del South Stream, non voluto dall’Europa pernon dipendere completamente dal gas russo, boicot-tato dagli Usa per ovvi motivi di concorrenza e resoimpraticabile dal comportamento del governo bulga-ro, ben istruito al riguardo dallo stesso governo ame-ricano.

La Russia non si è persa d’animo. Il 7 maggio 2015,l’amministratore delegato di Gazprom, Aleksej Mil-ler, ha firmato un accordo definitivo con l’omologodella Compagnia turca Botas per la costruzione di ungasdotto (Turkish Stream) che dalle lontane lande del-la Siberia porterebbe il gas in Turchia attraversando ilMar Nero. Alla Gazprom Russkaja il compito di co-struire la struttura, by-passando ‘l’infida’ Ucraina, en-tro il 2016. Il che significherebbe per la Russia la gran-de opportunità di ripresentarsi quale affidabile forni-tore di gas al sud dell’Europa e per la Turchia la con-creta possibilità di costruirsi quale unico hub del Me-diterraneo. Ma le ambizioni di Erdogan vanno oltrele risorse energetiche russe. Sempre per la teoria delpiede in più scarpe, le risorse energetiche da ammi-

nistrare sono anche quelle azere e,perché no, persino quelle del nemicoiraniano, se gli Usa ci mettessero unbuona parola. Attualmente, attraver-so la Turchia passano le più impor-tanti pipeline tra Oriente e l’Europa.In atto ci sono: l’Iraq-Turkish-Ceyhanche trasporta petrolio iracheno pro-veniente dal Kurdistan di Barzani; ilBTC, ovvero il Baku-Tbilisi-Ceyhan; ilBTE, Baku-Tbilisi-Erzorum, la Trans Ana-tolian pipeline, la Trans Adriatic pipe-line, oltre al Blue stream. Con il Tur-kish Stream l’imperialismo turco fa-rebbe scala reale, per cui accordi contutti, alleanze che mutano a secondadegli accordi gas-petroliferi già stabi-liti e quelli in fieri e pugno di ferro con-tro chiunque possa rappresentare, an-che lontanamente, un pericolo per ilgrande progetto neo-ottomano.

Nonostante le profonde divergen-ze con Mosca sull’Ucraina, sulla Siriae sul referendum in Crimea, non an-cora approvato da Ankara, l’accordodel Turkish Stream, peraltro in aper-to contrasto con le aspettative ame-ricane a cui, apparentemente e con-traddittoriamente, Ankara sembra vo-lersi adeguare, aprirebbe la porta adaltri business di grande interesse. Sela linearità delle aspettative fosse di-rettamente proporzionale alla con-

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Per contenere i dannidell’accordo Usa-Iran sul

nucleare ed esaltare ilcontratto con la Russia sulTurkish Stream la Turchia

necessita di un’operadi bonifica all’interno e

all’esterno dei suoi confini

Turchia, Isis, gas e nuovi equilibri imperialistici

traddittoria oscillazione tra i vari poli imperialisticiinternazionali, ci sarebbe in cantiere anche la costru-zione di una centrale nucleare ad Akkuyu sulla spon-de del Mediterraneo, con la collaborazione dell’im-presa russa Rosatom, e la firma di una lunga serie diaccordi economico-commerciali che porterebbero illivello degli scambi dagli attuali 33 miliardi di dollariai 100 entro il 2020. Sulla scia di tutto ciò Mosca ePechino, all’interno di una prospettiva imperialisticaancora più ampia, giocano la carta di inserire la Tur-chia all’interno della Cooperazione di Shanghai (SCO)nello scontro, ormai dichiaratamente aperto, tra l’as-se euro-asiatico russo-cinese e quello euro-america-no. Prospettiva che si configurerebbe come uguale econtraria a quella americana di sottrarre l’Iran all’in-fluenza russo-cinese.

All’interno di questo scenario, eterogeneo per ilnumero e la qualità degli interpreti, altamente com-posito per gli interessi che li muovono e difformeper le ambiguità che lo caratterizzano, una cosa èchiara. A una Turchia che volesse contenere i dannidell’accordo americano sul nucleare con l’Iran edesaltare il contratto con la Russia sul Turkish Stream,necessita un’opera di bonifica all’interno della suastruttura politica nazionale e nelle immediate vici-nanze dei suoi confini. Non a caso Erdogan ha cam-biato fronte sulla questione dello Stato Islamico,quando ha percepito che appoggiarne le ambizioniavrebbe comportato mantenere una pericolosa con-dizione di precarietà al suo più vicino esterno, sianell’immediato che per il futuro. E per la stessa ra-gione ha pensato che, qualora i resti della Siria di As-sad esplodessero definitivamente, ci sarebbe il ri -schio della nascita di uno Stato curdo, il secondodopo quello iracheno di Massud Barzani, che au-menterebbe le ambizioni nazionalistiche di un PKKpiù combattivo, nonostante il dietro front di Ocha-lan. Per cui indebolire al suo interno la componentecurda e qualsiasi altra forma di opposizione è altret-tanto importante quanto, se non di più, che combat-tere l’Isis di al Baghdadi. Le azioni pressoché simul-tanee contro l’Isis, i curdi iracheni e siriani e contro ipartiti della sinistra radicale sono, nei fatti, quel pro-cesso di bonifica atto a contenere il possibile allarga-mento del raggio d’azione dello sciismo iraniano eun atto di prevenzione tattica a difesa del costruen-

do Turkish Stream che, come tutti igrandi business, non ha bisogno di e-lementi e situazioni di perturbazioneche devono assolutamente essere ri-mossi radicalmente e al più presto.

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Le azioni simultaneecontro l’Isis, i curdi iracheni

e siriani e i partiti della sinistraradicale mirano a contenere il

possibile allargamento delraggio d’azione dello sciismo

iraniano e a difendere ilcostruendo Turkish Stream

L'INTERVENTO

Incontro-dibattito sul libro Dove sono i nostri. Lavoro, classe e movi-menti nell’Italia della crisi, Clash City Workers (La casa Usher, 2014) pres-so La casa in Movimento, Cologno Monzese (MI), 13 novembre 2015

Il progetto Clash City Workers nasce a Napoli nel 2009 e si diffonde a Ro-ma, Firenze e Padova, in piccolo anche a Milano, Torino e Verona, dovesi sono sviluppati dei nodi del collettivo Clash. Di base è nato dall’esi-genza di trovarsi, dal fatto di essere sempre stati legati a livello ideologi-co a una visione della società che vede il lavoro al centro quantomenodel ragionamento politico, una visione che però non aveva gli strumentiadeguati per leggere la realtà che si trovava di fronte: andavamo davan-ti ai luoghi di lavoro a distribuire il volantino ma non riuscivamo a parla-re con i lavoratori, ad avere con loro una relazione, proprio perché il no-stro approccio era puramente ideologico. In più si aggiungeva la consta-tazione che quel lavoro che i media raccontavano non esistere più, o per-lomeno essere confinato a una parte marginale delle nostre vite, di fat-to lo vivevamo direttamente, o anche indirettamente perché disoccupa-ti e studenti che si andavano a formare per poi inserirsi nel mercato dellavoro.

Eravamo di fronte quindi a una mancata considerazione di quel cam-po che è al centro sia della nostra esperienza individuale e collettiva sia,anche se in modo rovesciato, del discorso pubblico – se pensiamo a qualè il centro dell’operato del governo Renzi, iniziato con una riforma che,a parole, doveva garantire una maggiore occupazione e risolvere il pro-blema del dualismo del mercato del lavoro, e si è tradotta in un un ab-bassamento generalizzato delle condizioni complessive, con i due passag-gi del Jobs Act che prima ha peggiorato il dualismo con la semplificazio-ne dei contratti a termine e poi ha messo in atto l’attacco più violento conl’abolizione dell’articolo 18.

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Collettivo Clash City Workers

Supportare la resistenza preparare l’offensivaDove sono i nostri

Per anni si è anche detto che non esisteva più lapossibilità di lottare nei luoghi di lavoro, che non c’e-ra più conflitto, che era diventato difficile farlo; per cuisi pensava che il posto di lavoro non fosse più lo spa-zio dove poter fare politica, e poter organizzarsi permigliorare anche quell’aspetto della nostra vita. Sequesta lettura in parte coglieva alcune verità, quelledi una trasformazione, quantomeno in Italia, dei rap-porti produttivi e del tipo di organizzazione aziendale,e della conseguente possibilità di fare sindacato, dal-l’altro era una visione molto schiacciata sulle perce-zioni individuali di chi aveva la possibilità di scrivere,o di chi ha avuto un ruolo intellettuale sia all’internodi quello che possiamo chiamare Movimento sia al-l’interno di ciò che rappresenta l’arco della sinistra isti-tuzionale. Eppure a noi questa idea che fossimo tuttipizzaioli o lavoratori della conoscenza suonava un po’strana. E, soprattutto dopo lo scoppio della crisi nel2007/2008, bastava leggere le pagine locali di un quo-tidiano per scoprire che c’erano tante fabbriche chechiudevano, oppure lavoratori in vertenza contro unabbassamento salariale. Quindi ci siamo detti che for-se questo mondo che si racconta non esistere più, nonesiste più nel nostro discorso ma nella realtà esisteeccome.

Volevamo inoltre cercare di capire quegli elemen-ti storici, anche recenti come le Primavere arabe, checi hanno mostrato come non sia tanto la dimensionedella piazza a determinare le trasformazioni socialiquanto piuttosto la capacità di incidere nella sfera di

produzione, nei rapporti economici:in passato in Italia i movimenti dellalotta per la casa hanno assunto cen-tralità e ottenuto un passaggio signi-ficativo quando anche il movimentodei lavoratori ha assunto la questio-ne della casa come centrale e rilevan-te, e l’ha quindi posta all’ordine delgiorno e si è mobilitato; allo stesso mo-do nelle Primavere arabe, soprattut-to in Tunisia e in Egitto – sebbene orala situazione sia pessima – ci sono sta-ti momenti importanti, che sono riu-sciti a trasformare una situazione im-mobile da almeno trent’anni, proprioquando in piazza sono scesi i lavora-tori.

Quindi, per non avere un approc-cio ideologico e riuscire a capire ve-ramente com’è oggi il mondo del lavo-ro e quali sono le forme di organizza-zione, abbiamo deciso di iniziare a fa-re inchiesta. Significa cercare di capi-re effettivamente quali sono le lotteche si muovono, come sono organiz-zate, quali sono i loro problemi, qualipossono essere gli strumenti di inter-vento, come possiamo muoverci, noiche vogliamo di fatto fare un lavoropolitico, nella direzione di trasforma-

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L'INTERVENTO

re questa società nella sua generalità; come possiamo incidere veramentee come facciamo a diventare strumento nelle mani di chi già si mobilita,e non essere grillo parlante, merlo indiano sulla spalla del lavoratore; co-me possiamo promuovere questa mobilitazione.

Il lavoro che dunque facciamo quotidianamente, che spesso non èun lavoro particolarmente avvincente perché non ha delle ricadute im-mediate, è quello di mappare il territorio dove siamo, ossia andare a ve-dere che cosa succede; quindi apriamo il giornale e facciamo la rasse-gna stampa, per avere un’idea di quello che si muove – chiaramente èun lavoro filtrato dalla linea editoriale dei quotidiani, ma mano a manosi costruiscono delle relazioni che tentano di avere una presa maggioresu ciò che accade, scavalcando anche questo strumento. Poi andiamodove ci sono le vertenze, facciamo delle video interviste, cerchiamo didare voce e usiamo il nostro sito e i social network, in particolare face-book, per dare voce alle singole lotte, con articoli e interviste. Facendoquesto cerchiamo di mettere quei lavoratori con cui abbiamo una rela-zione, in contatto con una dimensione più grande: in questo modo sitrovano sul sito affiancati a lavoratori di altri settori, o dello stesso set-tore ma in un’altra parte di Italia o del mondo (anche se questo lo fac-ciamo in maniera molto più indiretta), e ciò fa emergere alcune questio-ni comuni che ci possono essere tra settori completamente differenti ein luoghi geografici diversi. È importante fare emergere questa omoge-neità di fatto, che esiste in gran parte delle condizioni di lavoro e di vita,e quindi creare delle connessioni materiali.

Quello che cerchiamo di fare è costruire relazioni. A Padova, per esempio, in questo momento stiamo promuovendo un

coordinamento di lavoratori in lotta dove ci sono i lavoratori di Ikea, gliinsegnanti contro la Buona Scuola di Renzi e i lavoratori di una fabbrica cheproduce frigoriferi, a capitale cinese, che vuole chiudere gli stabilimenti.Qualche settimana fa abbiamo presentato il libro in val Brembana, in pro-vincia di Bergamo, e lì c’erano dei lavoratori della Fiber che nel 2012 si so-no trovati davanti una situazione simile, e hanno reagito impedendo ladelocalizzazione della fabbrica, autogestendola per sei mesi, e riuscen-do a continuare la produzione finché non è arrivata un’azienda tedescache ha acquistato l’impresa – e dopo due anni ha proposto nuovi esuberi,quindi da ottobre dell’anno scorso i lavoratori sono di nuovo in presidiopermanente con un camper davanti all’azienda. È stata una vicenda signifi-cativa che non è emersa e di cui si sa molto poco, e ha dei punti comunicon la situazione di Padova, punti che possono essere da esempio e sti-molo. Quindi abbiamo chiesto a questi lavoratori se volevano mandarci uncontributo, un video messaggio, e lo hanno fatto, raccontando la loro sto-ria e spingendo i lavoratori di Padova a tenere duro e lottare. Abbiamoproiettato il video durante un’assemblea al presidio ed è stato accoltocon entusiasmo, e con la richiesta di avere i contatti per potersi parlare.

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Supportare la resistenza, preparare l'offensiva

Abbiamo costruito relazioni anche in realtà più gros-se come l’Electrolux, relazioni con le Rsu e i lavorato-ri dei vari stabilimenti, che sono andati a dare la pro-pria solidarietà ai presidi delle lavoratrici di una casadi riposo che dovevano essere licenziate e sostituite conuna cooperativa. Un’azione che ha dato maggiore visi-bilità alla lotta, e ha contribuito a sviluppare una per-cezione comune della propria situazione dentro i rap-porti sociali.

Da queste esperienze, e quindi dalla necessità disganciarci dalla nostra visione personale e individualee di approfondire la conoscenza, che è teorica ma an-che pratica, della realtà, è nato il libro Dove sono i no-

stri, dove per ‘nostri’ si intende la clas-se lavoratrice. Alle manifestazioni del18/19 ottobre 2013, che hanno segna-to un momento importante e visto inpiazza soprattutto i movimenti di lot-ta per la casa, ci siamo detti: qui man-ca quel grande insieme di persone,molto più grande, che noi vediamo lot-tare e organizzarsi quotidianamente,anche in maniera scomposta e senzariuscire a creare delle forme organiz-zative stabili. Quindi abbiamo decisoche dovevamo far capire a chi c’era inquella piazza perché per noi è impor-tante lavorare su questa dimensione,e siamo partiti con l’idea di scrivere uncommento, un documento, che poi siè trasformato in questo libro.

Per scriverlo siamo partiti da alcuneindagini statistiche e ricerche econo-miche fatte dall’altra parte, per esem-pio da Intesa San Paolo, e andando aspulciare il sito dell’Istat, che pur es-sendo costruito per esigenze che noncoincidono con le nostre contiene mol-ti dati interessanti che possono esse-re utilizzati. Abbiamo quindi affianca-to un’indagine di dati, statistica, che èuna parte consistente del libro, alla no-stra esperienza.

Sinteticamente, da una introduzio-ne in cui cerchiamo di capire quali so-no i temi da mettere in discussione,siamo andati a vedere qual è la strut-tura produttiva dell’Italia, ossia comesi produce la ricchezza, quali sono isettori, che cosa è cambiato nel cor-so del tempo, chi la produce, quindicom’è composta la popolazione ita-liana, chi sono gli studenti, i lavorato-ri, i disoccupati; poi siamo entrati neldettaglio, seguendo una divisione deisettori produttivi secondo le caratte-

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ristiche da un punto di vista statistico – genere, provenienza geografica,età, tipo di istruzione – affiancando i dati a quelli che sono i risultati del -le nostre inchieste, indagini e relazioni sul campo, di modo da far emer-gere i punti di forza, le possibilità di organizzazione, quello su cui ci sem-bra maggiormente importante puntare e spingere; poi siamo entrati an-che dentro le categorie del lavoratore autonomo, cercando di capire cosac’è dei nostri dentro quel settore e cosa invece non c’è, e anche la cate-goria dei Neet, che critichiamo proprio per come è costruita, perché fon-damentalmente in questa categoria ci sono dei disoccupati, o comunquel’incremento dei Neet è dovuto all’incremento della disoccupazione; in-fine abbiamo tirato le conclusioni politiche, cercando di collocare le tra-sformazioni dal lato sindacale e dal lato politico, seguendo quello che so-no stati gli accordi a partire dall’abolizione della scala mobile fino a quellosulla rappresentanza – il Jobs Act ancora non c’era – e cogliendo quindianche il ruolo neocorporativo verso cui stiamo andando, sebbene condelle trasformazioni negli ultimi mesi, e proponendo in chiusura la nostraprogettualità.

Per tutto il libro abbiamo cercato di mantenere due prospettive tem-porali, facendo un confronto di lungo periodo, prendendo gli ultimi datidisponibili del Censimento Industria e servizi, del 2011, e confrontandolicon quelli del 1971, un anno che nell’immaginario è visto come simbolodi una società scandita dal ritmo della fabbrica, lo Statuto dei lavoratori èda poco stato approvato e siamo tutti operai; una lettura che per un certosenso è vera, ma dall’altra è una rappresentazione un po’ mitologica.

Se andiamo quindi a vedere com’era prodotta la ricchezza, il Pil, neimacrosettori di agricoltura, industria, servizi e commercio, nel 1971 l’in-dustria in senso stretto produceva il 29,5% del Pil, nel 2011 il 18,6%; seandiamo a vedere il numero degli occupati, nel 1971 nell’industria in sen-so stretto erano quasi il 29%, oggi sono il 20,5%. Guardando questi datiun po’ superficialmente si può dunque pensare che l’Italia stia andandoeffettivamente verso una deindustrializzazione, ma non è così. Andandodentro i dati infatti, scomponendo queste categorie, si scopre che a es-sere aumentati non sono tanto i servizi in genere, bensì i servizi legatiall’industria, e per due ordini di motivi, che hanno a che fare con la clas-sificazione statistica. Da un lato c’è una correzione, dall’altro un errore.

Dalla metà degli anni Settanta in poi è avvenuta una scomposizionedell’organizzazione aziendale. La Benetton, per citare un nome e fare unesempio, è passata da una grande fabbrica concentrata, dove avvenivatutta la produzione, a una fabbrica diffusa nel territorio: sono stati presidiversi reparti, trasformati in piccole aziende e dati in mano ai capore-parto, che sono così diventati piccoli padroncini. Una fetta della forza la-voro che stava nella fabbrica è stata quindi espulsa e spezzettata in variepiccole aziende. Ma la scomposizione non è avvenuta solo sul territorio,anche all’interno del luogo di lavoro. Un tempo erano tutti dipendenti di

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Benetton, gli operai che lavoravano in mensa, quelliche facevano le pulizie ecc., mentre ora queste attivi-tà sono state esternalizzate e le statistiche, corretta-mente, le leggono come ‘servizi’. Eppure quelle perso-ne svolgono la stessa attività di quarant’anni fa. Quindiabbiamo avuto una correzione statistica.

Ma abbiamo anche un errore. I lavoratori, come aPomigliano, per esempio, all’epoca Alfa Romeo oggiFiat, o Fca che dir si voglia, che svolgevano una fun-zione fondamentale del processo produttivo, quelladi spostare i pezzi da una linea all’altra, da un capan-none all’altro, si sono trovati non più dipendenti del-l’Alfa Romeo ma di una azienda di logistica interna;quindi oggi la statistica li colloca nei servizi, e questoè un errore perché la loro mansione è produttiva,non ha niente a che fare con i servizi.

Queste due variazioni di classificazione spieganouna parte significativa del cambiamento dei dati tra il1971 e il 2011, anche se non del tutto, ovviamente.Perché di fatto c’è stata una crescita di altri servizi, le-gati all’informatizzazione, al design, alla progettazio-ne, che hanno integrato nuovi tipologie di lavoro al-l’interno della produzione. Ma ciò che è rilevante è ilfatto che il manifatturiero è centrale nell’organizzazio-ne economica e produttiva a livello europeo, o forse sipuò dire a livello generale per una economia capitali-stica.

Quindi c’è stata una trasformazione formale del-l’organizzazione del lavoro, che però ha avuto e ha de-gli effetti sostanziali perché spezzetta, rende più diffi-cile l’organizzazione della lotta, perché se mi ritrovoin una piccola azienda della provincia avrò più diffi-coltà ad andare a parlare con i miei colleghi che lavo-rano nella grande azienda, quella che ha esternalizza-to e per cui io produco un pezzo che poi i miei colle-ghi continueranno a lavorare.

È una trasformazione anche globale, degli investi-menti. Basti pensare alla Cina, alla crescita che ha avu-to. Quindi la costruzione di filiere globali crea uno spez-zettamento che è anche verticale, affiancato però dauna sempre maggiore coesione con i servizi legati al-l’industria, in cui è sempre più difficile distinguere tracosa è produttivo e cosa non lo è.

È chiaro che questa trasformazione del sistema pro-

duttivo è stata anche una reazione allelotte che negli anni Sessanta e Settan-ta hanno segnato la conquista di dirit-ti collettivi, in Italia l’applicazione, inparte, della Costituzione, e un miglio-ramento generale: l’Italia più eguali-taria è stata quella degli anni Settan-ta, proprio come esito di quel ciclo dilotte. Come reazione quindi alla per-dita di profittabilità degli investimen-ti, a livello anche globale, si sono svi-luppate tutta una serie di riorganizza-zioni produttive, le delocalizzazioni ecc.Sicuramente questo ha indebolito l’or-ganizzazione operaia, ma offre anchenuove possibilità di lotta.

Filiere così integrate danno la pos-sibilità di interrompere il flusso. Quel-la del tessile, per esempio, che va dal-la coltivazione fino al Bangladesh, do-ve avviene la confezione dei capi, epoi arriva in Italia dove si realizza lavendita, ma che parte anche dall’Ita-lia perché qui ci sono i piccoli stabili-menti che producono i campioni; op-pure la filiera agricola, che parte daicampi della raccolta, nelle condizionidisastrose che conosciamo, dei pomo-dori e della arance pugliesi e calabre-si, sale lungo i magazzini e i camiondella logistica e arriva nei centri dellagrande distribuzione. Capire come so-no organizzate queste filiere è neces-sario per comprendere quali sono glistrumenti più efficaci per incidere nel-le lotte.

Un esempio l’hanno dato i lavora-tori del magazzino centrale di Ikea, chetra il 2012/2013 e poi nell’estate scor-sa del 2014 hanno organizzato una du-ra lotta, sebbene in questo momentosi può dire che abbiamo perso, anchese non completamente. Tutti i lavora-tori della logistica sono formalmente

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dipendenti di cooperative ma di fatto svolgono una mansione per Au-chan, Bennet, Ikea ecc., ossia il committente finale; quando hanno inizia-to a mobilitarsi, questi lavoratori hanno scelto come propria contropar-te non la cooperativa, anche quella, certo, ma prima di tutto l’Ikea, la Ben-net ecc., cioè l’impresa che effettivamente tiene le redini della filiera, ilgrande gruppo multinazionale capace di condizionare le situazioni di la-voro lungo tutta la filiera. Sceglierlo come controparte offre anche la pos-sibilità di organizzarsi al di là della propria singola condizione specifica, equindi andare a parlare con i dipendenti di Ikea, Auchan ecc.

Questa frammentazione, quindi, se rende più difficoltosa l’organizza-zione crea anche spazi di conflitto che non sono ancora stati indagati estudiati, forse perché, come si diceva, si è creduto che non esistesse piùla possibilità di organizzarsi; dunque c’è tutto un sapere da costruire exnovo, o quantomeno da recuperare.

Esiste un’altra questione legata al confronto temporale tra il 1971 e il 2011.Quando si crede che tutti i lavoratori stavano in fabbrica, mentre si leg-ge nelle statistiche che erano il 28%, vuol dire che la capacità di deter-minare la direzione politica, ossia di mettere al centro della discussionepolitica la questione del lavoro – che non è solo la questione del lavoroin fabbrica ma delle condizioni di lavoro in generale – non derivava tan-to dalla consistenza numerica bensì dalla coscienza e dall’organizzazione:dal riconoscersi come classe, e poter essere in grado di muoversi in una

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direzione comune, anche se magari non studiata, però percepita.La nostra paura è che non moriremo di inedia, disoccupati, ma tor-

neremo in una situazione di super sfruttamento. Le politiche europee dellavoro, i desideri di Confindustria, che si stanno realizzando in gran par-te nel governo Renzi, non sono quelli di eliminare la produzione dall’Ita-lia o dall’Europa, vivendo di turismo e chissà cos’altro; ci sono studi inFrancia, Italia e soprattutto negli Usa, che mostrano come ci sia stato eci sarà un ritorno dell’industrializzazione. Al posto della delocalizzazio-ne, dell’offshoring, potremmo entrare in una fase di reshoring, che signifi-ca riportare la produzione e gli investimenti produttivi in Europa e in Occi-dente, ma sarà attuato solo quando le condizioni di sfruttamento saran-no ripristinate e il Capitale potrà ottenere dei profitti adeguatamente altisecondo i suoi desideri. Quindi ridurre i salari, andare a smantellare legaranzie sui luoghi di lavoro, indebolire la possibilità di fare sciopero ecc.sono operazioni che vanno in questa direzione. Perché la Germania sta-rebbe meglio nella rappresentazione che abbiamo? È vero, ci sono i la-voratori della Volkswagen che hanno buoni salari, ma c’è anche un gran-de esercito di sottoccupati, persone che lavorano con i cosiddetti MiniJobs, lavori pagati pochissimo che costringono a una precarietà di vitamolto alta, che legano a doppio filo con i sussidi, come quello che la Na-spi cerca di emulare, ossia il fatto di dover accettare per forza un’offertadi lavoro perché se la si rifiuta per la terza volta si riduce o si perde il sus-sidio, e la si deve accettare anche se il lavoro offerto è pagato meno delsussidio stesso. La Germania ha fatto questo processo di attacco al sala-rio nel 2003, con le riforme del Piano Hartz, e se si osserva un semplicegrafico appare evidente che dal 2003 la quota di reddito nazionale cheva ai salari inizia a scendere, mentre quella che va ai profitti inizia a sali-re; quello che è accaduto in Italia dopo l’abolizione della scala mobile egli accordi del ‘92/93 sulle rappresentanze sindacali. Il Piano Hartz haavuto un tale effetto da porre, anche a partire da condizioni specifichedella stessa Germania, le basi per mantenere gli investimenti e la profit-tabilità. Quindi quello che di fatto si va a cercare è la possibilità di torna-re a fare investimenti redditizi anche in Europa, e lo si fa abbassando isalari, aumentando i ritmi, peggiorando le condizioni di lavoro in tutti isettori. Certo è più evidente su una linea di montaggio, come all’Elec-trolux, dove si passa da 60 a 82 pezzi all’ora; poi magari viene attivatoun contratto di solidarietà in cui si lavora sei ore ed è ancora sopporta-bile, però intanto la proprietà ottiene la stessa produzione che aveva pri-ma nelle otto ore; e poi quando si registra il picco produttivo e si torna aotto ore, il lavoro diventa assolutamente insostenibile.

Noi non diciamo che si può fare politica solo nel lavoro, anzi, facciamolaovunque esista la possibilità di farla, però scegliamo delle priorità, chenon dipendono tanto da noi e dalla nostra convinzione ma dalla possibi-

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lità di generalizzarle, di incidere su dei piani che abbiano una dimensio-ne di massa, che siano recepibili, comprensibili, attaccabili, a livello ge-nerale nella società, dai nostri, tutti. È vero che c’è una grande frammen-tazione che è figlia di questi processi e che in parte è sempre esistita, maè vero anche che c’è una tendenza alla omogenizzazione; ed emerge daidati, a livello dei salari, al ribasso, e questo dobbiamo essere in grado diusarlo a nostro vantaggio. Il fatto che i bancari facciano saltare il contrattocollettivo non li fa sembrare più dei privilegiati, e ciò vuol dire che sa-ranno più facilmente con noi a lottare.

Esiste una omogenizzazione anche a livello globale. Non dobbiamopensare che tutto dipenda da noi, che siamo gli unici protagonisti di que-sta storia, perché se andiamo a vedere qual è l’andamento dei salari inCina ci accorgiamo che i lavoratori cinesi scioperano, pur avendo un uni-co sindacato, governativo, e con tutte le difficoltà della situazione, otte-nendo dei miglioramenti salariali del 30% l’anno nel distretto del Guang-dong del sud est cinese, dove sono localizzate le più grandi concentra-zioni industriali. È chiaro che questo risponde anche a una politica delgoverno che cerca di stimolare i consumi interni, ma è anche frutto diquelle lotte. Quindi se là i salari crescono, esiste la possibilità di vedereuna omogenizzazione che può essere utilizzata per individuare delle ri-vendicazioni collettive. Per esempio si deve ragionare su una dimensio-ne europea, sulla differenza salariale importante esistente tra la Germa-nia e la Polonia e la Repubblica Ceca, Paesi confinanti che hanno salaripari alla metà, a un terzo, di quelli tedeschi, e che quindi funzionano an -che da bilanciamento sul piano delle rivendicazioni salariali in Germa-nia; pensare una rivendicazione di incremento salariale uguale è un’a-zione di cui non sappiamo niente nella pratica. Nella pratica conosciamosolo quelle che sono le risposte dall’alto, che spingono sempre più in unadirezione neocorporativa tra proprietà e sindacati, quindi i nostri devo-no riuscire a creare qualcosa di più omogeneo e trovare gli strumenti perguidarlo.

In Italia in questo momento, probabilmente la realtà più significativasul piano della partecipazione, mobilitazione e della capacità di incidereanche nella politica cittadina, di fare proprio quel lavoro di rimessa alcentro del discorso pubblico della questione lavoro, è il Coordinamentodei lavoratori e delle lavoratrici livornesi. È nato circa un anno fa sullaspinta di alcuni compagni che si occupavano di lotta per il diritto alla ca-sa e di un lavoratore Rsu molto capace, che ha deciso di costruire unarete di relazioni. È un coordinamento che va al di là dell’appartenenzasindacale e cerca di essere proprio quello strumento nelle mani dei la-voratori. Ha subito dato sostegno a una lotta molto improvvisa e accesadi alcuni lavoratori di una fabbrica che produceva pezzi per la Fiat, chehanno scoperto nel corso di una notte che lo stabilimento sarebbe statochiuso da lì a poco; 400 lavoratori che hanno iniziato subito una mobili -

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tazione con sciopero e sono andati a occupare la sede di Confindustria.Il coordinamento è cresciuto intorno a loro, rafforzandoli, dandogli visi-bilità, ed è riuscito ad aggregare intorno a sé più di trenta realtà lavora-tive diverse in pochissimo tempo, tant’è che il primo corteo a fine di ot-tobre dell’anno scorso ha visto 3.000 lavoratori in piazza, dai call centerai lavoratori del porto, e sta proseguendo nell’azione ed è riuscito a spo-stare il dibattito cittadino su queste questioni.

E chiaro che bisogna fare dei passi in avanti, perché il conflitto restatuttora schiacciato sulla dimensione vertenziale e resistenziale, rimanesulla difesa, sul mantenimento di uno spazio di agibilità, di condizioni divita che verrebbero meno, e non riesce a porre, o lo fa poco, delle que-stioni di avanzamento. Ma ci sono anche realtà in cui si va all’attacco,come nelle lotte del mondo della logistica, che vanno anch’esse nella di-rezione di costruire una omogeneità; perché è vero che tutti lavorano nel-la logistica, ma è vero anche che sono una miriade di cooperative diver-se. Tutto è iniziato nel 2008/2009, nella provincia di Milano, a partire daalcune lotte piccole ma significative, che poi si sono estese soprattutto aPiacenza, a Bologna, lungo gli snodi della logistica; i lavoratori sono riu-sciti a portare un esempio di possibilità di andare all’attacco, ossia di ot-

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Milano, Expo 2015. Foto by Giulia Zucca______________________________________________________________________________________________________________________

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tenere cose che prima non avevano. È vero che si partiva da situazionimolto pesanti, in cui il contratto nazionale non era assolutamente appli-cato e c’era un forte dispotismo nell’ambiente di lavoro, ma adesso i la-voratori sono organizzati in due principali sindacati di base, Si Cobas eAdl Cobas, e sono riusciti a ottenere quantomeno l’applicazione del con-tratto collettivo nazionale e la riduzione netta del livello di dispotismo. Eora stanno portando avanti una piattaforma che chiede un nuovo con-tratto collettivo nazionale che preveda di fatto il superamento del siste-ma delle cooperative, utilizzate unicamente per ottenere sgravi fiscali, eva-dere la contribuzione e poter fare i cambi appalto ogni due anni, che si-gnifica eliminare scatti di anzianità e poter lasciare a casa con una gran-de facilità chi diviene troppo fastidioso. Riuscire ad abolire questa orga-nizzazione del lavoro all’interno della logistica ha delle ricadute moltopositive anche negli altri settori in cui si lavora all’interno di cooperati-ve; è una questione comune che pone il tema di come si possano gene-ralizzare le forme di lotta e di rivendicazione.

C’è anche la Camera popolare del lavoro di Napoli, che abbiamo svi-luppato come Clash City Workers dentro uno spazio occupato a marzodi quest’anno, un vecchio ospedale psichiatrico giudiziario. Questa real-tà è stata costruita rifacendosi al ruolo originario che dovevano avere leCamere del lavoro – quindi fine Ottocento, inizi Novecento – ossia quel-lo di mettere in relazione i lavoratori, creare capacità di organizzazioneal di là del proprio luogo di lavoro e al di là della propria appartenenzaalla singola lega sindacale, creare informazione e istruzione suoi propridiritti, e mobilitare i lavoratori sulle questioni degli altri lavoratori: io chesto alla Fiat vado a supportare i lavoratori della cooperativa che fa le pu-lizie alla Auchan .

Di fatto questa Camera popolare del lavoro è un embrione di una for-ma organizzativa che va nella direzione di costruire, anche dal punto divista della coscienza, una omogeneità che esiste già nella materialità deifatti. Siamo connessi dal Capitale a livello globale, siamo connessi lungole filiere e siamo omogeneizzati nell’attacco che ci viene rivolto, ma di fat-to siamo scomposti dal punto di vista soggettivo, nella nostra percezio-ne, da quanto ci sentiamo diversi, separati, non capiamo; quindi fonda-mentale prerequisito per qualsiasi possibilità, anche di sviluppo politico,è il presentarsi dei nostri, della nostra classe, nel dibattito pubblico, inuna forma organizzata.

Parlare del conflitto capitale/lavoro non è una questione ideologicama uno strumento per trasformare anche la rappresentazione che c’è fra inostri. Lavorare occupa dalle otto alle dieci ore al giorno, ore fondamen-tali, e in più esiste tutto il corredo del lavoro che occupa buona partedel resto del tempo: quando vado a casa mi trascino dietro alcuni di que-sti aspetti, le conseguenze, i pensieri, le preoccupazioni. Bisogna recu-perare l’ambito del lavoro anche nella quotidianità, che non è vero che

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Supportare la resistenza, preparare l'offensiva

non c’è, c’è eccome, solo che le persone tendono a trasformarlo nella pre-occupazione del dover pagare la bolletta, l’assicurazione dell’auto, senzapensare che devono pagarla, semplificando estremamente, perché nonci sono più mezzi di trasporto pubblico e quindi tutto è a carico del lavo-ratore. Aspetti che non sono immediatamente il salario ma elementi al-l’interno della quotidianità del lavoratore, in quanto lavoratore o disoc-cupato, che è la stessa cosa, che appartiene alla classe; aspetti su cui sipossono fare rivendicazioni secondarie ma che, in un determinato mo-mento, sono più immediatamente alla portata, più politicamente attua-bili, e permettono di fare un passaggio politico più rapido e raggiungibi-le. Da questo punto di vista può quindi essere utile dare sponda a chi al-tro lo fa, oppure utilizzare anche questi ambiti su cui agire.

Certo avere una dimensione nazionale dà la forza e la capacità di leg-gere la realtà, di costruire quelle relazioni che si muovono sul territorionazionale, così come si muovono sul territorio globale. L’unico modo peravere un peso a livello nazionale è essere in grado, sul livello nazionale,di agire diffusamente nel territorio, avere la capacità di essere incisivi ri-spetto al quotidiano dei lavoratori. Costruirla è difficile. In questo mo-mento abbiamo bisogno di creare gli strumenti che ci permettono dipresentarci alla nostra classe, però dobbiamo farlo a partire dall’espe-rienza concreta, dalle forme organizzative che si danno le lotte. E a par-tire da quel conflitto che esiste, costruire le forme organizzative che ci sa-ranno utili nel momento in cui tornerà il Capitale. Se saremo come sia-mo adesso, sarà un massacro; se utilizziamo le lotte di oggi, che sono cer-tamente difensive e non offensive, per costruire relazioni e organizza-zioni, magari saremo capaci di contrattaccare e ottenere.

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(DIS)ORIENTAMENTI

Nell’ultimo articolo (1) abbiamo analizzato le origini del cosiddetto fascio-leghismo, negli anni ’80, ai tempi delle prime leghe regionali. Fu dalle pa-gine di Orion, una delle più importanti riviste della destra radicale italia-na, che iniziò questa interessante sinergia, che porterà una parte dei suoilettori e collaboratori, su diretto invito del fondatore del mensile, Mauri-zio Murelli, militante dell’ultradestra milanese e in seguito editore e anima-tore della Società Editrice Barbarossa, nota casa editrice militante di de-stra, ad aderire alle leghe e in seguito alla Lega stessa, perché, a detta deldirettore, nel panorama politico degli anni ’80, dominati dal pentapartito,sono percepite “come un mezzo per scardinare il sistema liberale, retto dal-la partitocrazia”. Un nome su tutti? Mario Borghezio, che inizia a collabo-rare attivamente a questo progetto culturale (2). La Lega Nord però, avvi-cinatasi sempre di più all’area di governo con Tangentopoli, mostra effet-tivamente il suo vero volto: pur predicando una netta differenza dagli al-tri soggetti politici, il progetto leghista, da un punto di vista economico, siallinea sempre di più al nuovo corso imposto dal sistema, proponendo so-luzioni liberoscambiste. Il sodalizio di Orion, quindi, archivia quella fase

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Alle radici del fascioleghismoGli anni ’90: il Carroccioe la Nuova destrafranco-italianadi Matteo Luca Andriola

___________________________________________________________________________________________1) Cfr. M. L. Andriola, Alle radici del fascioleghismo. Gli anni ’80: dalle leghe allaLega, Paginauno n. 44, ottobre-novembre 20152) Il direttore del mensile, spiegando ai lettori l’avanzata della Lega lombarda in alcu-ni comuni della provincia di Varese e di Bergamo a scapito di Dc e Pentapartito, parladi “etnocrazia alla riscossa”, sostenendo che “è pur vero che il discorso politico-cultu-rale che va sfiorando [la Lega] è di estremo interesse e di estrema sintonia con le posi-zioni già espresse in Orion, almeno potenzialmente. Per questa ragione invitiamo i no-stri lettori lombardi ad avvicinarsi alla Lega apportando il loro contributo per una vi -sione più profonda della concezione etnocentrica”. M. Murelli, Etnocrazia alla riscossa,in Orion, a. IV, n. 3, marzo 1988

e, parallelamente a questo flirt coi leghisti, accentua i rapporti con i sog-getti nazional-europeisti a lei simili sparsi nel continente, con gli ambien-ti culturali della nouvelle droite franco-belga, specialmente con Robert Steu-kers e l’opposizione nazionalcomunista russa, guidata dal comunista Gen-nadij Zjuganov. Orion e questi ‘camerati’ animeranno dal 1989 soggetti co-me il movimento Nuova azione e il Fronte europeo di liberazione, coordi-namento continentale dei vari movimenti ‘nazionalisti rivoluzionari’ ispi-rati alle idee di Jean Thiriart, animatore negli anni Sessanta di Jeune Eu-rope (dove militerà il giovane Borghezio), un movimento nazional-rivolu-zionario che arriverà a proporre – tesi sposata da Orion dal 1986-87, conil Muro di Berlino in piedi, venendo tacciata di comunismo da ampi set-tori della destra dell’epoca – la nascita di un immenso “impero euro-sovie-tico da Vladivostok a Dublino” (3), l’Eurasia; suggestioni che vengono u-nite alle tesi enunciate negli anni ’30 dal generale Karl Haushofer, soste-nitore dell’alleanza fra Germania e Russia per contrapporre il kontinen-talblok (blocco continentale) eurasiatico alle “potenze oceaniche”, e chesaranno studiate negli ambienti dello Stato Maggiore sovietico dagli anniSettanta, costituendo il perno delle idee geostrategiche di Aleksandr Dugin

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___________________________________________________________________________________________3) Jean Thiriart, ex membro delle Waffen-SS, divisione Wallonien, e attivo sostenitoredell’Oas, imposta questo nuovo movimento con l’intento di liberare l’Europa dal do-minio sionista e da quello russo-americano, unendo così “l’Europa da Brest a Bucare-st”, illustrata nel libro-manifesto Un impero di 400 milioni di uomini, l’Europa, scrittonel 1964. Dal 1965 Jeune Europe si sposterà gradualmente a ‘sinistra’, divenendo“un’organizzazione nazional-rivoluzionaria e poi nazional-comunista, alla perenne ri-cerca di un’alleanza con gli Arabi nasseriani, i Palestinesi, i Cinesi di Chu En-lai, i Ro-meni di Ceausescu ecc.” (Cit. in Aa.Vv., Léon Degrelle fascista per Dio e per la Patria,Barbarossa, 1999, p. 57

(DIS)ORIENTAMENTI

teorico eurasiatista scoperto in Italia dagli ambienti di Orion e poi sulle pa-gine della rivista Eurasia, alternativa antiamericana a Limes, e parte del-l’entourage di Vladimir Putin (4).

Questo non significa che la Lega Nord smetterà di diventare d’un trattoun parziale punto di riferimento per certi settori del radicalismo di destra.Tralasciando momentaneamente gli orionisti rimasti nel partito, che in-fluenzeranno molte fasi della storia del Carroccio, andiamo ad analizzarenel dettaglio alcuni sodalizi interni al Carroccio animati da ex militanti didestra capaci di introdurre nel partito i temi del Grece (Groupement de re-cherche et d’études pour la civilisation européenne), l’associazione cultu-rale animata negli anni ’60 da Alain de Benoist, che elabora tutt’oggi il di-scorso metapolitico della nouvelle droite, su Paginauno più volte analiz-zato: una corrente di pensiero che elogia il regionalismo perché, scrive ilbelga Steukers, potrebbe costituire la “leva a una contestazione globale delsistema giacobino, direttamente ispirato dai Lumi” (5).

La Nuova destra italiana e la Libera compagnia padana La Nuova destra italiana nasce negli anni ’70 in seno alla corrente rautia-na del Msi. Il gruppo trae origini da un sodalizio animato nel 1974 da al-cuni giovani esponenti del Fronte della gioventù di Firenze guidati da Mar-co Tarchi (all’epoca collaboratore delle Edizioni di Ar di Freda oltre chepupillo di Pino Rauti), i quali, dopo essere entrati in contatto con il Grece,animeranno una fanzine dissacrante, La voce della fogna, un tentativo di

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___________________________________________________________________________________________4) Nelle analisi di Dugin – rielaborazione del tradizionalismo di René Guénon e JuliusEvola, della scuola eurasiatista russa di Trubeckoj e Gumilëv e del bizantinismo di Kon-stantin Leont’ev – partendo dalle posizioni di Haushofer, il kontinentalblok è percepitocome una “casa eurasiatica” antiatlantica, fortemente spirituale, dove il popolo russo èvisto come l’erede del “turanismo”, la “psicologia-ideologia imperiale nomade” tra -smessa a Mosca dall’Orda d’Oro, individuando nella Russia il “cuore del mondo”(l’Heartland haushoferiano) attorno al cui centro geometrico, ricavato dall’intersezio-ne del 60º meridiano est con il circolo polare artico, ruoterebbero le “peregrinazioni del-l’anima umana”, una “geografia sacrale” tratta dalle opere dello storico francese Ga-ston Georgel, allievo di Guénon, spingendolo a ricavare il concetto di Leont’ev di novyjsojuz (nuova alleanza) fra Islam e cristianesimo ortodosso contro Occidente liberaledecadente (A. Dugin, Continente Russia, Edizioni all’insegna del Veltro, 1991, pp.63,64; 33; 22-24; 6); tesi che si sommano al nazional-europeismo di Jeune Europe, aquelle di Alain de Benoist (nonostante fra questi e Dugin, pur nella reciproca stima, visiano differenze) e a una parziale rivalutazione del ruolo geopolitico di Stalin e del -l’Unione Sovietica (al punto di collaborare nei primi anni ’90 con il Pc russo di Gen-nadij Zjuganov alla stesura del libro-manifesto di quest’ultimo, Stato e Potenza, Edi-zioni all’insegna del Veltro, 1998), la cui esistenza è vista come una continuità fra laRussia pre-rivoluzionaria e quella successiva, la cui caduta è giudicata come una iattu-ra, l’inizio della penetrazione euro-atlantista verso est e la possibile instaurazione del“nuovo ordine mondiale” americano, l’omologazione mondialista del globo, tutte tesiche la rivista Orion propagandò per anni5) R. Steukers, Introduzione, in G. Faye, Il sistema per uccidere i popoli, Barbarossa,1997, p. 22

Alle radici del fascioleghismo: gli anni '90

risvegliare l’ambiente dal mero nostalgismo. Che cosa meglio delle pub-blicazioni edite dal Grece per rinnovare il Msi? Chi meglio di Pino Rauti,da tutti conosciuto come il più aperto alla cultura, per applicare il cosid-detto gramscismo di destra al partito?

La componente, nel 1977 darà vita al primo Campo Hobbit, tenutosi aMontesarchio, presso Benevento, l’11 e 12 giugno 1977, “il primo festivaldi musica, spettacolo e grafica dell’estrema destra”, ispirato ai raduni dellasinistra come Parco Lambro, un omaggio a J.R.R. Tolkien, autore dell’o-pera fantasy Il Signore degli Anelli, saga ispirata alle leggende nordiche eai romanzi medievali, dove magia, esoterismo, paganesimo, la venerazio-ne völkisch per la natura e per la comunità, si fondono insieme. Infatti, “peri più avvertiti”, nota Tassinari in Fascisteria, “c’erano valori e contenutiimportanti nel ‘camerata elfo’: le radici, la lotta del bene contro il male, ilrichiamo alle tradizioni europee, la contrapposizione tra spirito e materia,il senso forte della comunità”, un modo per uscire dal nostalgismo, unicoperno identitario missino, costruendo così dei miti alternativi (l’identità) in-torno ai quali aggregare una comunità militante. Fra il 1978-1979 la Nuo-va destra animerà diverse esperienze editoriali come Dimensione ambiente,pubblicazione scientifica ed ecologista; Eowyn, periodico dell’alternativafemminile, che esalterà la femminilità contro il discorso del femminismo,ispirata a un personaggio femminile di Tolkien; Machina, consacrata allospettacolo; Dimensione cosmica, incentrata su fantascienza e fantasy (viscriveva Gianfranco De Turris, oggi presidente della Fondazione JuliusEvola, curava i romanzi dell’Editrice Nord e dell’Urania, la collana di fan-tascienza della Mondadori); Diorama letterario ed Elementi, ispirato al-l’organo del Grece. L’obiettivo è rinnovare l’ambiente, e da lì partire, conun nuovo Msi egemonizzato da questi giovani intellettuali, meno di destra,più aperto, meno nostalgico, alla conquista della società civile italiana. L’e-spulsione del giovane Tarchi nel 1981, per aver pubblicato sulla Voce del-la Fogna una falsa pagina del Secolo d’Italia dove si sbeffeggiavano i lea-der del partito, porrà fine al progetto, dando il via a una serie di convegnidove non solo si contesterà la vecchia destra e il radicalismo di destra, masi porranno le basi per questa corrente, imitando sempre più il modello me-tapolitico dei cugini francesi del Grece (6).

La corrente inizia a interessarsi al Carroccio nel 1990. L’integrazioneeuropea, inoltre, spinge Alain de Benoist a interessarsi alla Lega, visti gliottimi risultati del 1992. Nel gennaio 1993, su Diorama letterario, il filo-

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___________________________________________________________________________________________6) Cfr. gli atti dei seguenti convegni: Apiù Mani, Proviamola nuova, atti del convegno“Ipotesi e strategie di una ‘Nuova destra’”, L.Ed.E., 1980; Apiù Mani, Al di là delladestra e della sinistra, atti del convegno “Costanti ed evoluzioni di un patrimonio cul-turale”, L.Ed.E., 1982; Apiù Mani, Occidente: decadenza di un mito, L.ed.E., 1982;Apiù Mani, Le forme del politico, La Roccia di Erec, 1984

(DIS)ORIENTAMENTI

sofo contesta Maastricht perché aggrega i popoli dall’alto partendo da va-lori “materialisti”, “economicisti” e “illuministi” e non in virtù di un’iden-tità basata sull’appartenenza, sul radicamento e su un “comune destino”. Ipopoli però non stanno a guardare: “ovunque” avvengono reazioni a Maa-stricht, visto che “le patrie carnali riprendono il sopravvento” e “a Ovestl’Italia regista l’ascesa delle leghe autonomiste”. De Benoist punta alla“possibilità di formare in Europa un’unità politica federativa, sulla basedei popoli e delle regioni” (7). Nel settembre 1993 esce un numero mono-grafico del mensile dal tema L’ipotesi federalista, una prospettiva per l’Eu-ropa dei popoli. L’editoriale d’apertura del direttore, Marco Tarchi, è inti-tolato Dalla riscoperta delle piccole patrie alla grande federazione deipopoli d’Europa. Vi sono anche contributi di leghisti come Irene Pivetti,cattolica tradizionalista filovandeana e, in seguito, presidente della Ca-mera, e di Gianfranco Miglio, ideologo del Carroccio. Sono presenti inter-venti di intellettuali della Nuova destra, come il fiammingo Luc Pauwels,che propone il federalismo etnico “basato sull’autogestione, che si è svi-luppato dal basso e nel quale i fattori culturali ed etnici hanno la prioritàsui fattori tecnico-amministrativi” (8), e Robert Steukers, che sostiene l’i-potesi secessionista bossiana perché “l’Italia del Nord, senza il peso fi-

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___________________________________________________________________________________________7) A. de Benoist, L’Europa oltre Maastricht, in Diorama letterario, n. 164, gennaio1993, p. 48) L. Pauwels, Il lungo cammino dopo Maastricht: dalla Cee all’impero federale eu-ropeo, in Diorama letterario, n. 171, settembre 1993, p. 19

Alle radici del fascioleghismo: gli anni '90

nanziario determinato dalla corruzione politica e dalle reti di rapporti, sa-rebbe prospera come la Germania, se non di più” (9). Inizia una fruttuosacollaborazione fra la Nuova destra europea e il Carroccio, con convegniorganizzati in giro per il nord Italia, in comuni amministrati dalla Lega(10). Insomma, il filosofo della nouvelle droite non scopre la Lega conSalvini.

Interessante anche il fatto che uno degli ex collaboratori della Voce del-la Fogna, Gilberto Oneto, detto Il Gamotta, fumettista, inizierà a introdurreuno dei temi clou della Lega, ovvero la messa in discussione del Risorgi-mento, nel fumetto Il Gamotta fa le pulci alla storia patria... a libera ruotasu Gary Baldi, una satira ai danni di Garibaldi e dell’epopea risorgimenta-le. L’Italia moderna, marcia e decadente, si fonda su un patriottismo fitti-zio e massonico, e Garibaldi è dipinto come un individuo mediocre, onani-sta, un imbelle che unifica l’Italia solo grazie all’aiuto della massoneria,forza occulta che contamina l’Italia, manovrando le varie battaglie dei Mil-le per distruggere la tradizione e le piccole patrie aristocratiche d’AncientRégime (11). Oneto aderirà poi al Carroccio, animando un’associazione,la Libera compagnia padana che, all’inizio dell’epopea secessionista, quan-do i vertici di via Bellerio intendono costruire il mito della Padania libe-ra, darà un contributo essenziale.

Come nel XIX secolo gli Stati assoldano letterati, eruditi, accademiciper forgiare discorsi di memoria atti ad animare una storia condivisa conlo scopo di “inventare” – e non semplicemente “inventariare”, visto che“all’alba del XIX secolo, le nazioni non hanno ancora storia [...]. Allafine del secolo [però], esse sono in continuo possesso di un racconto con-tinuo” – (12) entità nazionali che si ritenevano eterne, essenze precedenti

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___________________________________________________________________________________________18) Cfr. G. Oneto, L’aquila d’Europa, in Quaderni Padani, n. 31, settembre-ottobre2000, pp. 20-28; M. de Leonardis, Francesco Giuseppe I: sovrano esemplare di unImpero provvidenziale, in ivi, pp. 29-35; C. Galimberti, Lombardo-Veneto e Imperoasburgico, in ivi, n. 40, marzo-aprile 2002, pp. 14-23

___________________________________________________________________________________________9) R. Steukers, Verso l’unità europea attraverso la rivoluzione regionale?, in Dioramaletterario, n. 171, settembre 1993, p. 4210) Diorama pubblicizzerà un interessante dibattito fra la Lega Nord e de Benoist te-nutosi a Gorizia l’11 dicembre 1993 e organizzato dalla locale giunta regionale leghi-sta intitolato Dopo Maastricht, quale Europa? Prospettive e scenari per l’unità euro-pea, dove il presidente della provincia Monica Marcolini e l’assessore alla Cultura ealle Politiche di confine Raoul Lovisoni, leghisti, mostrandosi in sintonia con il filoso-fo, sostengono che all’Europa serve “un pensiero forte transmoderno da opporre alpensiero debole postmoderno”, che tenga presente che “tutta la cultura europea subi-sce il fascino del ‘mitopoietico’ dove il fatale, il sacro, il fantastico, l’identitario, pren-dono il sopravvento sulle normali coordinate illuministico-razionaliste”. E. D’Erme,Un federalismo imperiale. Lega e Nuova Destra si sono incontrate a Gorizia. Stesseparole, nemici e proposte. Invitato d’eccezione, il filosofo francese Alain de Benoist ,in il manifesto, 15 dicembre 199311) Cfr. Il Gamotta fa le pulci alla storia patria… a libera ruota su Gary Baldi, in LaVoce della Fogna, n. 14, giugno 197712) A.-M. Thiesse, La creazione delle identità nazionali in Europa, Il Mulino, 2001,p. 127

(DIS)ORIENTAMENTI

a ogni esistenza, partorienti però una mitologia identitaria (13), in epocapiù recente la Lega, per legittimare l’esistenza di una Patria padana, faqualcosa di simile, dato che Oneto verrà addirittura nominato Ministro del-l’Identità Padana nel Governo sole. L’organo di Oneto, i Quaderni Pada-ni, è un bimestrale incentrato su “l’autonomia e l’unità della Padania” (14),cercando di tracciare “i confini fisici di una koinè come quella Padana,intesa come comunità etnoculturale e sociale che aspira a istituzioni coe-renti anche dal punto di vista delle suddivisioni territoriali”. I padani so-no concepiti da Oneto come una “comunità umana [...] con numerosi puntidi omogeneità etnica e linguistica [...] e uno dei dati essenziali fa riferi-mento alle comuni indoeuropee di tutta la popolazione formata dai discen-denti dei liguri, veneti, celti e longobardi, le quattro stirpi che hanno con-tribuito in forma prioritaria e pressoché esclusiva alla formazione del co-mune patrimonio genetico dei padani” (15). Nel bimestrale vi sono nume-rosi articoli revisionisti sul passato celtico, longobardo e germanico dei pa-dani (16), sulle insorgenze antigiacobine fra la fine del XVIII secolo e iprimissimi anni del XIX secolo, strumentalizzate dall’estrema destra evo-liana per contestare la modernità vigente, utilizzate dalla Lega Nord perinnalzare le piccole patrie cancellate dal centralismo giacobino e masso-nico, processo simile, secondo i leghisti, al mondialismo, che annichiliscele piccole realtà locali in nome dell’universalismo, innalzandone le istan-ze vocaliste in ambito culturale (17). Abbondano, inoltre, le nostalgie alpassato imperiale asburgico, vero Impero delle patrie, che secondo Oneto

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___________________________________________________________________________________________13) Per Benedict Anderson l’idea nazionale partorisce una mitologia che si declinasotto aspetti differenti: mito di origine, mito di continuità e mito di destinazione. Cfr.B. Anderson, Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, Manifestoli-bri, 200014) Un’associazione per la Padania, n. f., in Quaderni Padani, n. 1, estate 1995, p. 215) G. Oneto, L’invenzione della Padania, Foedus, 1997, pp. 156, 157 e 16916) Cfr. M. G. Montagna, La Terra di Mezzo. Il recupero del celtismo padano, in Qua-derni Padani, n. 2, autunno 1995, pp. 1-4; B. Maggi, Anche i Celti possono aiutarci aottenere l’indipendenza, in ivi, n. 6, luglio-agosto 1996, pp. 20-23; E. Percivaldi, L’al-fabeto Ogam: un’espressione originale della cultura celtica, in ivi, n. 11, maggio-giu-gno 199717) Cfr. F. Grisolia, Viva Maria! Le insorgenze antigiacobine in Liguria, in QuaderniPadani, n. 20, novembre-dicembre 1999, pp. 29-30; A. Rognoni, Per una geofilosofiadelle Insorgenze padane, in ivi, n. 29, maggio-giugno 2000, pp. 1-4; M. Pintus, Insor-genze piemontesi e partigiani ‘barbetti’ dell’epoca napoleonica, in ivi, pp. 33-37; O.Sanguinetti, Le insorgenze popolari contro-rivoluzionarie in Lombardia nel periodonapoleonico, in ivi, pp. 41-47; F. Bonaiti, Le insorgenze antigiacobine bergamasche(29-30 marzo 1797), in ivi, pp. 48-49; A. Mestriner Benassi, La Vandea estense, in ivi,pp. 57-62; G. Oneto, Quegli autonomisti di duecento anni fa, in ivi, pp. 81-84; R. Bra-calini, La scuola e l’istruzione negli Stati preunitari, in ivi., n. 33, gennaio-febbraio2001, pp. 32-37

Alle radici del fascioleghismo: gli anni '90

tutelava le minoranze etniche, compresi i padani (18). Ma il riferimentoalla nuovelle droite è diretto: nel n. 43/44 del 2002 viene pubblicato un ar-ticolo di de Benoist intitolato Europa e mondializzazione. Il leader del Gre-ce ripete ai lettori leghisti che il federalismo deve sempre e comunque col-legarsi all’idea di Impero: “Solo il federalismo ‘dal basso’, detto [...] fe-deralismo integrale o societario, fondato su una applicazione rigorosa delprincipio di sussidiarietà, può permettere – facendo partire la costruzioneeuropea dal livello comunitario, locale e regionale – di scongiurare allostesso tempo impotenza e livellamento. Occorre disfarsi di quella visionestatalista e assolutista che ha per troppo tempo impedito di pensare l’e-sercizio della democrazia all’interno di un quadro diverso da quello delloStato-nazione, che ha dappertutto fatto crescere l’uniformità, la relega-zione nel privato dei legami sostanziali fra i membri delle diverse comu-nità, la soppressione dei radicamenti concreti e delle appartenenze parti-colari, la centralizzazione e la concentrazione dei poteri nelle mani di unaNuova Classe di gestori e di tecnici. [...] i piccoli Stati europei devono fe-derarsi fra di loro [...] i grandi devono federarsi all’interno delle grandifrontiere. Si tratta di trovare i corpi intermedi soppressi da secoli di gia-

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___________________________________________________________________________________________18) Cfr. G. Oneto, L’aquila d’Europa, in Quaderni Padani, n. 31, settembre-ottobre2000, pp. 20-28; M. de Leonardis, Francesco Giuseppe I: sovrano esemplare di unImpero provvidenziale, in ivi, pp. 29-35; C. Galimberti, Lombardo-Veneto e Imperoasburgico, in ivi, n. 40, marzo-aprile 2002, pp. 14-23

(DIS)ORIENTAMENTI

cobinismo e di far risorgere una vita locale fondata su dei valori condivisie oggi minacciata dalla razionalità anonima, dai valori mercantili e dallaglobalizzazione. [...] si tratta in una certa misura di immaginare un’altraglobalizzazione. Non una globalizzazione orientata verso l’omogeneo,verso la diffusione uniforme di valori mercantili, ma una globalizzazionefondata sulla conservazione della diversità [...], la formazione di grandispazi continentali autocentranti, la pluralità delle potenze, l’economia lo-cale, la democrazia partecipativa (e non più solo rappresentativa) e ilprincipio di sussidiarietà” (19).

Abbiamo anche delle ‘sviste’, che rivelano come su Quaderni padaninon vi siano solo riferimenti a una cultura come la Nuova destra, ormaiestranea ai vari miti totalitari del XX secolo – si pensi a Edoardo Zarelli,animatore di Arianna Editrice, ecologista e decrescista convinto, autoredi articoli dove è evidente come la sua percezione di ‘nuova sintesi’ cer-chi di coniugare ecologismo profondo, decrescita, radicamento identita-rio e critica verso la modernità – ma anche riferimenti al nazifascismo: èil caso della ristampa di un saggio pubblicato nel marzo 1943 su Signal,la “rivista delle forze armate dell’Asse pubblicata durante la seconda guer-ra mondiale in numerose lingue europee” (20), intitolato Noi Europei. Wir,die Europäer, che “descrive con grande chiarezza l’idea di Europa fattadi nazioni-stato che si era venuta formando in taluni ambienti intellettualinazisti. Il documento è estremamente importante perché rivela una correntedi pensiero di cui molto poco è stato detto ma molto in certe visioni con-temporanee e nei progetti di uomini, gruppi e partiti che pure parrebberoessere ideologicamente antitetici all’ambiente culturale di cui Signal erail coerente prodotto” (21).

Ma questo non è che uno dei sodalizi padanisti che introducono nellaLega temi etnocentrici mutuati dalla Nuova destra o dal neofascismo. Eneanche uno dei più radicali. La sua esistenza, però, indica, dato che Onetoaveva incarichi ‘istituzionali’ e la sua rivista era sponsorizzata su La Pa-dania e Radio Padania – uno dei collaboratori è Andrea Rognoni, vicinoa Borghezio, speaker dell’emittente di partito – che la presenza di questesottoculture all’interno del Carroccio non avveniva all’insaputa dei verti-

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___________________________________________________________________________________________19) A. de Benoist, Europa e mondializzazione, in Quaderni Padani, a. VIII, n. 43-44, set-tembre-dicembre 2002, p. 6520) Sulla storia della rivista nazionalsocialista Signal rimando a F. Guidali, Il fotogior-nalismo tedesco. Il caso di Signal, in Forme e modelli del rotocalco italiano tra fasci-smo e guerra, atti del convegno “Attualità, cultura e politica: forme e modelli del roto-calco italiano tra fascismo e guerra”, a cura di R. De Berti - I. Piazzoni, XIII, Cisalpina,2009, pp. 377-41221) Introduzione a G. Wirsing, Noi Europei. Wir, die Europäer, in Quaderni Padani, n.43-44, settembre-dicembre 2002, p. 149

Alle radici del fascioleghismo: gli anni '90

ci di via Bellerio, ma era da questi patrocinata, rivelando quindi che la Le-ga Nord si barcamenava fra un modello centrista e liberale, propenso a cat-turare il consenso dei ceti moderati e, all’occorrenza, allearsi con il cen-tro-destra, e la destra radicale. Non va tralasciato il fatto che non è una pre-rogativa della sola Lega: anche nella vecchia Alleanza nazionale – e oggiin Fratelli d’Italia – e nello specifico nella destra sociale (basti spulciare lepagine culturali del Secolo d’Italia o di Area), abbondavano i contatti conla destra radicale militante, la stessa che Fini sosteneva estranea al suoprogetto di destra moderna e democratica; segno che il vecchio retaggioalmirantiano del Msi, un partito che indossa simultaneamente il doppiopet-to moderato, tirando fuori il manganello della militanza dura al momen-to opportuno, non è affatto tramontato.

... continua...

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PER LA CRONACA

Tra celebrazioni e dichiarazioni roboanti che raccontano la storia diun “grande successo”, il 31 ottobre scorso ha chiuso i battenti l’Espo-sizione universale milanese. “Abbiamo abbracciato il mondo”, ha di-chiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e abbiamo“dimostrato livelli di eccellenza in una città che è stata laboratorio dibuone pratiche di una pubblica amministrazione sempre più efficien-te”, ha aggiunto il prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca.

La Milano di Expo 2015 diventa modello e paradigma di buona ge-stione, tanto che Tronca è stato inviato a Roma e nominato commis-sario straordinario per fare in modo che il Giubileo risulti un’altra ‘sfidavinta’. Milano torna a essere la capitale morale del Paese, in contrap-posizione a una città di Roma sempre più fragile e immersa negli scan-dali dell’inchiesta Mafia Capitale.

Ma quanto accaduto in questi mesi, dagli scandali giudiziari alla pre-carietà delle condizioni di lavoro fino alfallimento del dibattito sull’alimentazio-ne e alle incertezze sul futuro dell’area,portano a riflettere su come lo spazio perl’entusiasmo e i trionfalismi in realtà siaassai ridotto. E questo tralasciando l’a-spetto economico, perché solo dopo ilpronunciamento della Corte dei Contisi potranno conoscere con esattezza i da-ti di bilancio e a quanto ammontano iricavi complessivi. Ma una cosa si puòdire: se i soldi incassati dalla vendita dei

biglietti servivano a coprire i costi di gestione, questo primo traguar-do essenziale non è stato raggiunto: “Se con i 21,5 milioni di bigliettivenduti si è andati oltre ‘la soglia psicologica’ annunciata da Sala pri-ma dell’inizio dell’evento, il numero non è necessariamente indicati-vo della cifra incassata, per cui si deve tenere conto di eventuali co-me biglietti omaggio, abbonamenti, offerte, e biglietti serali al prez-zo di cinque euro. La cifra potrebbe quindi risultare ben inferiore aquella che avrebbe consentito di andare in pari con gli 800 milionispesi per la gestione, per la quale si era calcolata la vendita di 24 mi -lioni di biglietti al prezzo medio di 22 euro l’uno – entrate che comun-que coprirebbero solo una parte dei 2,3 miliardi di euro spesi per larealizzazione dell’evento” (1).

Tuttavia, anche se emergesse un sostanziale pareggio del bilan-cio, si tratterebbe comunque di un equilibrio raggiunto comprimen-do diritti e salari. Dai provvedimenti Daspo (2) che hanno portato all’al-

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Expo 2015:il Grande Eventonon chiude

di Domenico Corrado

_______________________________________________________________________________________1) F. Guidi, Cosa sarà di Expo ora che Expo è finito, VICE media LLC, 2 novembre 20142) Cfr. Domenico Corrado, Expo 2015: Daspo al lavoro, Paginauno n. 44, ottobre/no-vembre 2015

Expo 2015: il Grande Evento non chiude

lontanamento dei lavoratori non graditi, alle condizioni di lavoro pre-carie – con turni di quattordici ore e il mancato pagamento degli straor-dinari – fino ad arrivare all’innovazione dell’uso dei volontari. Ai finidel rilancio delle politiche occupazionali, Expo si è di certo rivelato unfallimento: solo per 3.000 lavoratori su 12.000 sono previste 40 oredi corso di formazione e ricollocamento in un’agenzia interinale, tuttigli altri a casa.

Non molto differente l’esito del dibattito che si è svolto intorno altema dell’alimentazione, che ha portato alla promulgazione della Car-ta di Milano. D’altra parte la presenza di multinazionali come McDo-nald’s e Nestlé aveva fin dal principio messo in evidenza la distanzatra le intenzioni e la realtà, e non stupisce che il segretario della Cari-tas Internationalis, Michel Roy, abbia definito il documento “generi-co e lacunoso”, e che insieme a Slow Food e Oxfam Italia abbia sceltodi non sottoscriverlo – le tre realtà hanno però deciso di parteciparealla giostra di Expo, anziché starne fuori. Quello che ha prodotto laCarta di Milano, aggiunge sempre Michel Roy, “riflette le vedute deiPaesi ricchi piuttosto che rappresentare i Paesi poveri”.

Insomma, l’ennesimo ambizioso progetto umanitario che rimarràsulla carta: “Agli antipodi di ogni discorso sulla sovranità o sull’auto-determinazione alimentare, Expo ha invece favorito su questo tema iben noti meccanismi di predazione dei territori anche attraverso unarisignificazione del cibo trasformato, anzi ‘ribrandizzato’, in food, cosìvicino alle necessità del mercato quanto lontano da ogni diritto re-clamato in merito all’accesso alle risorse prodotte. Anche sulla sua te-matica caratterizzante, Expo 2015, coerentemente con le sue impo-stazioni di base, ha rappresentato una vetrina dei meccanismi di e-spropriazione della ricchezza prodotta” (3).

Ma al di là della gestione dei sei mesi, il fallimento si prospettaanche sul versante immobiliare, strettamente connesso alle propostedi riqualificazione dell’area e al ruolo che giocherà il governo. Il valo-re di mercato è uno dei fattori più delicati per la riqualificazione ur-banistica dell’intero sito. Al bando di gara per la vendita dell’agosto2014 il valore base era pari a 315 milioni di euro, a cui vanno aggiun-ti 72 milioni – rispetto ai sei preventivati – per l’opera di bonifica del-la zona. La gara d’asta è andata deserta, con la conseguenza che Arex-po s.p.a, la società proprietaria dei terreni, si è trovata un buco di bi-lancio che verrà colmato attraverso l’intervento diretto dello Statotramite il ministero dell’Economia o la Cassa depositi e prestiti, comeha già annunciato il governo; ma poi si dovrà risolvere il nodo del rap-porto tra Arexpo ed Expo, che ha in carico lo smantellamento dei pa-diglioni. Se si andrà verso una fusione delle due società sarà risolto il

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_______________________________________________________________________________________3) Centro sociale Sos Fornace, Perché Expo 2015 non è stato un successo, 6 no-vembre 2015

PER LA CRONACA

problema dei possibili contenziosi, come quello che si è aperto sui72 milioni di costi non previsti sostenuti da Expo per bonificare l’areae che Arexpo si rifiuta di riconoscere; ma questo significa che questicosti rischiano di non essere addebitati ai vecchi proprietari dei ter-reni, famiglia Cabassi e Fondazione Fiera.

Per quanto riguarda le proposte di riqualificazione dell’area, poi,tra i progetti annunciati la realizzazione del nuovo Polo delle facoltàscientifiche dell’Università Statale di Milano promosso dal rettore Gian-luca Vago, e il Polo della tecnologia e dell’innovazione in cui attirare a-ziende dell’hi-tech patrocinato dal presidente di Assolombarda Gian-felice Rocca. Due proposte da rivedere e ripensare dopo l’interventodel presidente del Consiglio dello scorso 10 novembre, con cui è sta-to battezzato lo Human technopole Italy 2040: un progetto ambizio-so sul “tema della genomica e dei big data” finanziato dal governo con150 milioni per i prossimi dieci anni e guidato dall’Istituto italiano diTecnologia di Genova, con la collaborazione dell’Istitute for Interna-tional Interchance di Torino e la Edmund Mach Foundation di Trento.

La “scintilla”, come l’ha definita Renzi, è stata accolta in modo tie-pido dal mondo economico e accademico milanese, che rischia di per-

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_____________________________________________________________________________________________________________________Milano, Expo 2015. Foto by Giulia Zucca

Expo 2015: il Grande Evento non chiude

dere la regia delle operazioni. Resta da comprendere, oltre a dove ver-ranno recuperati i fondi, se sarà possibile far convivere e integrarequesti progetti, e che cosa ne sarà del resto dell’area, visto che il nuo-vo polo scientifico occuperebbe appena 70 mila metri quadrati su 1,1milioni: circa la metà è destinata a un parco, 200 mila metri sono ne-cessari all’Università per le aule e gli studentati, il resto dovrebbe es-sere riempito da aziende private, con un investimento che GianfeliceRocca stima in 400/600 milioni.

I tempi sono ancora prematuri per formulare un giudizio definiti-vo sulla validità del progetto, ma si può comunque riflettere su undato. Da anni ormai il sistema accademico e scientifico italiano versain uno stato di ‘mediocre felicità’, dovuto alla mancanza di investimen-ti a lungo termine e di lungimiranza politica. La sensazione è che die-tro la cortina fumosa dello Human technopole Italy 2040 si celi il so-lito gioco di speculazione e appetiti immobiliari. Non si comprendeinfatti la logica – tranne nel caso sia quella del Grande Evento – né lanecessità di versare nuovo cemento, quando per finanziare i poli dieccellenza scientifica e la ricerca basterebbe incrementare e dare nuo-vo impulso a quelli già esistenti.

La partita sul post Expo è appena incominciata. E intanto si riapro-no le indagini della procura di Milano, questa volta su un appalto di115 milioni per un collegamento ferroviario tra i terminal di Malpen-sa, coinvolte la società Titania srl e la Itinera del Gruppo Gavio, azio-nista di Ferrovie Nord Milano; le accuse sono di frode fiscale, falsefatture e omessa dichiarazione dei redditi. In altre parole, la magi-stratura sospetta che intorno alla costruzione di quei 3,6 chilometridi ferrovia siano girati dei fondi neri.

Expo 2015 si è concluso, la logica del Grande Evento no.

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INTERVISTA– a Susanna Parigi

VIAGGIO AL TERMINE DELLE NOTEdi Giuseppe Ciarallo

Susanna Parigi, raffinata e apprezzata can-tante e musicista che i lettori di Paginaunohanno già avuto modo di ‘incontrare’ sul nu-mero 18 della rivista (1), ha recentementepubblicato un libro-intervista con Andrea Pe-drinelli, Il suono e l’invisibile – la musica comestile di vita (Infinito Edizioni, 2015), nel qualesi racconta e fissa su carta la sua passioneper il pentagramma e le sue riflessioni sullamusica.

Dunque Susanna, da cosa nasce questo tuobisogno, quasi un’urgenza sembra di co-gliere leggendo il libro, di parlare della ma-teria della tua arte (lo so, è un ossimoro, vi-sto che fin dal titolo ne sottolinei l’invisi-bilità e dunque l’immaterialità)? A tal pro-posito mi viene in mente un aforisma diFrank Zappa – il quale sosteneva che la mu-sica va suonata e basta, che meno se ne par-la e meglio è – che dice: “Parlare di musi-ca è come ballare di architettura”…

Come avrai notato il mio libro terminaproprio con alcune citazioni di Jankélévitchche si riferiscono a questo: “L’irritante, de-ludente segreto della musica si sottrae e sem-bra prenderci in giro. Non si sa a cosa appi-gliarsi, tutti restano al margine. Nessuna con-clusione da trarre, nessuna conseguenza da

dedurre. L’incanto ha il suo fine in se stes-so. Parliamone almeno per dire che non bi-sogna parlarne e auspicare che oggi accadaper l’ultima volta”.

Perché mi sono decisa a scrivere questolibro dopo tanto tempo che l’Editore Infini-to mi chiedeva di raccontare il mio cammi-no insieme alla musica? Un po’ per condi-videre con altri certe riflessioni fatte daglianni del conservatorio, ai tour con Coccian-te e Baglioni, ai miei dischi come cantautri-ce e contemporaneamente al lavoro di inse-gnante. Un po’ anche perché mi trovo spes-so in difficoltà quando devo spiegare ai mieiallievi il ruolo fondamentale delle intenzio-ni, nel far capire cosa intendo quando parlodel potere inimmaginabile dell’invisibile chesi nasconde dietro il volto esposto della mu-sica. Il rischio è di sembrare donna esoterica,tanto per citare una mia canzone, e non tut-ti sono portati naturalmente a questo tipodi approccio. Mi interessava spiegare chequesto aspetto ineffabile della musica non èuna visione riservata a persone particolar-mente spirituali o mistiche, ma anche lascienza, per certi versi, si sta scontrandocon questa inevitabile evidenza delle proba-bilità. Per questo ho dovuto per qualche mo-mento accennare anche alla fisica quantisti-ca e alla materia oscura, in relazione chia-ramente alla musica. Ancora un motivo percui mi sono decisa a scrivere il libro è la con-sapevolezza della grave situazione della cul-

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_________________________________________________________1) Cfr. Giuseppe Ciarallo, La parola può uccidere, in-tervista a Susanna Parigi, Paginauno n. 18, giu-gno – settembre 2010

tura musicale in Italia. Mi sono accorta ne-gli anni, dagli occhi delle persone a cui rac-contavo la musica a modo mio, che quelloche per me era scontato, non lo era affattoper loro, che della musica spesso vedevanosolo l’abito della festa. Dico di più, ciò cheracconto nella prima lezione a un nuovo al-lievo, è qualcosa di sconosciuto per la mag-gior parte delle persone. E ti parlo di unacoscienza elementare del nostro sistema mu-sicale. Inoltre alcuni argomenti di cui trattonel libro potrebbero servire anche a essereascoltatori meno passivi.

Tito Schipa jr. – figlio del grande interpre-te che contese nella prima metà del Nove-cento la palma di miglior voce tenorile nien-temeno che a Enrico Caruso – autore dellaprima opera rock italiana Orfeo 9, così rac-conta il suo rapporto con la musica, imma-ginandolo e denunciandolo scherzosamen-te come un vero e proprio rapimento: “Si-gnor Giudice, Signor Giudice! Vorrei de-nunciare un caso di sequestro di persona.[...] Il sequestrato sono io. Chi è il seque-stratore? È una Signora, Vostro Onore. Sì,va bene, dovrei essere lusingato ma la so-stanza non cambia. E poi ci sono diverse ag-gravanti, la peggiore di tutte il tempo del-l’azionaccia: ai primi tentativi avevo cinqueanni. [...] Che facevano i miei genitori? Nien-te. I miei genitori erano d’accordo. [...] È pro-prio una di quelle storie di mamma legge-

ra, di papà drogato, ecc. [...] Dunque, chipoteva immaginare che quella signorina co-sì carina che arrivava in Vespa nella nostracasa [...] fosse la basista del rapimento? [...]Mi incatenava al pianoforte e faceva il gio-co di quell’altra, della Signora, sì della ra-pitrice in capo. Sì, di questa il nome me loricordo, signore, me lo ricordo bene, non èun nome che si dimentica facilmente, si chia-ma Musica, signore.” E a te, cosa ha com-binato la Musica?

Bello questo racconto. Io ringrazio la mu-sica che prendendomi per i capelli ha cam-biato il mio stile di vita. Ha regalato a que-sta ragazzina nata in un borgo di Firenze unfuturo inaspettato. Inaspettato e sorprenden-te. Mi ha fatto conoscere la disciplina e lapazienza, mi ha costretta a pormi domandee cercando risposte a trovare altre domande.Mi ha costretta a prendere coscienza di quan-to i nostri sensi siano limitati, che spesso larealtà che vediamo è un’illusione. Mi ha per-messo di incontrare persone speciali e miha aperto un mondo di cui intuivo solo l’e-sistenza. La provenienza spesso segna le vi-te e quando accade qualcosa per cui si spez-za questo meccanismo, credo si possa par-lare quasi di grazia.

Fisica, letteratura, filosofia, religione: perspiegare il tuo punto di vista riguardo almondo delle note tiri in ballo tutti questiaspetti dell’arte, della scienza e del pensie-

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INTERVISTA– a Susanna ParigiViaggio al termine delle note

ro umano. Qualcuno potrebbe dire che laprendi un po’ alla larga, ma mi è sembra-to di capire che, secondo la tua concezio-ne, nulla può esistere se non in correlazio-ne con tutto il resto. Infatti canti: “Tutte lecose della vita sono incatenate”...

Sì, proprio come dici. Anche questo mon-do di relazioni è un aspetto fondamentale del-la musica. Estrapolare una frase musicale daun contesto, togliere una nota da un accor-do, la più piccola modifica può rovesciaredavvero il senso che voleva esprimere il com-positore. Ascoltare un brano suonato da un’or-chestra invece che da un’altra, con direttorid’orchestra diversi, ti fa capire che la parti-tura è un fantasma in realtà. Il mondo deisuoni è un mondo relazionale dove il signi-ficato di una nota, di un accordo, di una fra-se melodica è sempre determinato dal con-testo. Riguardo invece il mio aver toccatotutti quegli aspetti di cui parli, la risposta èsemplice, non mi sono accorta di averlo fat-to. È talmente naturale per me parlare di Dalìperché le illusioni ottiche contenute nei suoiquadri, le immagini di disintegrazione ma-teriale, le figure sospese, troppo mi sugge-riscono rispetto l’argomento trattato nel li-bro. Come è naturale che nelle foto di Sal-gado intraveda l’invisibile di cui parlavamo.Un uomo che sa cogliere la bellezza e la poe-sia nelle zone più povere del mondo, vedel’invisibile. Con la meccanica quantistica en-trano in gioco il caso, la possibilità, la proba-bilità, la stessa cosa che accade tra la parti-

tura, le intenzioni e il momento dell’esecu-zione. Come non farne cenno? Lo dico quie lo scrivo anche più volte nel libro: sono so-lo spunti. L’idea era quella di parlare non so-lo agli ‘addetti ai lavori’. Volevo rivolgermiinvece proprio a quelle persone che non han-no troppa confidenza con il linguaggio mu-sicale. Ecco, mantenere un equilibrio tra l’es-sere sufficientemente chiari e non rimaneretroppo in superficie non è stato facile e nonso se ci sono riuscita. La forma conversazio-ne penso abbia aiutato in questo.

Mi ha fatto riflettere una tua affermazione,a pag. 109 del libro: “Ho sempre viaggiatonella musica con la consapevolezza di es-sere accompagnata da questa presenza – nonpresenza costante (l’invisibilità della mu-sica, n.d.a.)”. Consapevolezza. È la presen-za o assenza di tale consapevolezza che ren-de un brano ‘speciale’ o ci sono altri elemen-ti? Mi spiego meglio... può un musicista in-consapevole creare qualcosa di ‘immortale’?

La domanda è davvero difficile. Mi ver-rebbe da pensare che un brano è tanto piùspeciale quanto più c’è la consapevolezza del-l’aspetto ‘invisibile’. È una mia opinione chia-ramente. Ci sono molti elementi che parteci-pano a questo, ma tutti secondo me hannoa che fare con l’ineffabile. Contrariamente pen-so che anche un musicista inconsapevole pos-sa creare qualcosa di ‘immortale’. Dico que-sto perché a volte ho la sensazione, e nonsono certo la prima a dirlo, che in alcuni mo-

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menti di creazione, non sia tu a scrivere.Dico banalità ma è come se arrivassero infor-

mazioni da qualche parte e tu non fai altroche accoglierle. È anche vero che affinare conl’esercizio la percezione fine può sicuramen-te renderci antenne migliori.

Ci racconti il tuo universo femminile, vi-sto che nessun’altra tematica è così presen-te nei tuoi brani?

È cominciato tutto perché sentivo unamancanza. Non trovavo nella canzone italia-na una scrittura che rappresentasse davve-ro il corpo, il pensiero e l’erotismo femmi-nile. Uno dei motivi è che tutte le canzoni,o quasi, erano scritte da uomini. Ripeto stoparlando dell’Italia chiaramente. Non mi ri-trovavo mai in quello che leggevo. Così è ve-nuto naturale iniziare a scrivere cercando dinon imitare le strutture e le modalità di can-tautori illustri, ma uomini. Non è stato faci-le trovare una strada percorribile, specialmen-te parlando di erotismo, intanto perché man-cava un vocabolario a cui rifarmi (sto parlan-do sempre della canzone d’autore), e poi an-che per trovare il modo giusto, che non sem-brasse una provocazione, una esibizione, in-somma un mettersi in mostra usando il ses-so. Almeno in questo credo di essere riusci-ta, visto che nessuno ha mai frainteso unamia canzone. Dove c’è provocazione è tal-mente ironica la musica e il testo, che nondovrebbero esserci dubbi sull’onestà dellaproposta.

Sei sicura che un “universo vulvico” po-trebbe salvare l’umanità dalla catastrofeprovocata dal potere maschile? Dico que-sto perché, con rammarico, vedo le donne,per emergere, tendere sempre più a unmodello maschile anziché affermare e ri-vendicare la propria natura e la propriadifferenza (penso alle famose donne ‘conle palle’).

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INTERVISTA– a Susanna ParigiViaggio al termine delle note

Guarda la canzone che tu citi Donne eso-teriche, già dal titolo ti risponde.

Le donne di cui parlo sono proprio le don-ne che non usano modelli maschili ma la-vorano di scavo a ritrovare un femminile di-menticato. Anche nel mio brano Liquida can-to questo tipo di donna. La parola ‘esoteri-co’ in greco vuol dire ‘interno’ e ‘naturale’.Oggi è un termine abusato ma in realtà sibasa sull’esistenza di una corrispondenza tramicrocosmo e macrocosmo e sulla trasmis-sione iniziatica. Per rispondere alla tua do-manda, non credo che il mondo femminilesarebbe un paradiso. Basti pensare alla San-tanché. Penso però che la terra, da che la co-nosciamo, è stata costruita sul pensiero ma-schile e tutto il sangue versato, tutto il san-gue che percorre ininterrottamente la storiadel nostro pianeta, è stato versato per ma-no maschile. Tutte le violenze, gli stupri, leguerre, le uccisioni di innocenti, le torture,sono state eseguite dagli uomini. Questa èl’unica verità che conosco. Anche se le don-ne sono state inette, incapaci di proporre un’al-ternativa, a volte indifferenti, persino stupi-de e conniventi, i massacri sono stati esegui-ti sempre dagli uomini.

Ho molto apprezzato il tuo “elogio della fa-tica”. Mentre leggevo “la musica induce auno stile di vita, alla disciplina, a resistereallo sforzo, a capire che, senza ripeterlo fi-no allo sfinimento, quel passaggio non po-trà mai venire con la fluidità che lo rende

bello all’ascolto” non potevo non pensareal mio insegnante di kung-fu, il MaestroChang Dsu Yao, che esprimeva gli stessi con-cetti mentre noi ripetevamo, giorno dopogiorno con crescente consapevolezza, gli stes-si gesti fino alla nausea.

Il grande inganno che passa attraverso imezzi di comunicazione oggi è proprio ilfar credere che non serva a niente impegnar-si, tanto guadagnano di più le veline, tantopoi non trovi il lavoro che desideri, e poi an-che quando affronti il tuo lavoro devi comun-que cercare di divertirti. Questo è diabolicoperché fornisce alibi a chi non ha mezzi cul-turali per contrastare questo mucchio di fan-donie. Tutto richiede esercizio anche l’ela-borazione del concetto di libertà. E l’eserci-zio è fatica. Non dico niente di nuovo. A per-sone che non distinguono più il bello dal brut-to, la volgarità dall’eleganza, il litigio dallacomunicazione, si può vendere di tutto.

Il testo della canzone. Mi sono quasi com-mosso nel leggere: “Se avessimo usato untesto con troppe vocali, il risultato sareb-be stato ‘miele’, come si dice in gergo mu-sicale”. Un’attenzione e una cura per ognisingola parola, per il suo suono, per il suoritmo, per l’emozione che vogliamo essatrasmetta al lettore (nel tuo caso ascoltato-re), è diventato qualcosa di raro. I testi del-le canzoni sono spessissimo un’accozza-glia di termini che hanno, e non sempre,l’unico pregio di stare bene in sequenza,

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senza badare al senso della frase, all’espres-sione di un concetto...

Anche questo rientra nel concetto di in-visibilità. Io sono convinta che chi ascolta conattenzione lo possa cogliere. In una canzo-ne il testo è legato alla musica, a differenzadella poesia. E come dicevamo prima, la re-lazione è strettissima. Nello scrivere il testonon puoi non tenere in considerazione, nonsolo su quale melodia viene cantato, ma an-che quale tipo di armonia hai scelto e addi-rittura, direi, anche che tipo di arrangiamen-to e quali suoni immagini come cornice so-nora. Tutto questo è in relazione. Sono qua-si morbosa quando scelgo il tempo metro-nometrico di un brano, o la tonalità. Ma ri-spondo alla tua domanda in maniera moltosincera: se mi si chiedesse di fare qualcosadi diverso, cioè di fare musica in altro modo,io non ci riuscirei, non ne sarei in grado.

In conclusione di questa interessantissi-ma chiacchierata, ti chiedo di anticiparciqualcosa del tuo prossimo progetto disco-grafico.

Sto lavorando adesso su tre progetti. Unoè un disco live che mi chiedono da molto tem-po e che ancora non sono riuscita a realiz-zare. Il secondo è un progetto nato con ilmio chitarrista Matteo Giudici che attraver-so la musica sacra, sia classica che d’autore,cerca di soffermarsi sull’etimologia di alcu-ne parole che nei secoli hanno subìto pesantitrasformazioni. Il terzo è un bellissimo pro-

getto con un pianista classico straordinario,ma è troppo presto per parlarne.

Inoltre collaboro con una nuova struttu-ra a Milano, lo studio Playsound, sale pro-ve, studio di registrazione, produzioni e scuo-la, in cui credo molto, dove si cerca di faremusica a partire dalla passione, più che dalcommercio.

DiscografiaSusanna Parigi (RTI Music, 1996); Scomposta(Zelda Music/Nuova Carisch/Warner Chappell,1999); In differenze (Zelda Music/Warner Chap-pell/Sette Ottavi, 2004); L’insulto delle parole[con Arké String Quartet] (Promo Music, 2009);La lingua segreta delle donne (Promo Mu-sic/Bollettino, 2011); Il saltimbanco e la luna– un omaggio a Enzo Iannacci (copyright An-drea Pedrinelli, 2014); Apnea (103 Edizioni Mu-sicali/Warner Chappell, 2014).

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Il mondo delle classimeno abbienti nella letteratura e nel cinema della Gran Bretagna del primo Novecento(terza parte)*

di Carmine Mezzacappa

A PROPOSITO DI...

Nel 1954, Kingsley Amis (1922-1995) pubbli-ca Lucky Jim, la storia di Jim Dixon, giovane do-cente di storia medievale in un’università direcente fondazione, che si sente estraneo allamentalità dei suoi colleghi più anziani, goffiimitatori dello ‘spirito di Bloomsbury’ senza es-sere membri dell’alta borghesia come i com-ponenti del celebre gruppo. Jim viene da unafamiglia modesta e fatica a integrarsi nell’am-biente accademico a cui sente di non appar-tenere. Nel cercare la protezione di colleghianziani ma mediocri non riesce a nasconde-re la sua mancanza di stima nei loro confron-ti. Grazie alla relazione con Christine, il cui po-tente zio scozzese ha importanti conoscenzea Londra, Jim riesce faticosamente a conqui-stare l’amore della ragazza e la stima dell’in-fluente zio che apprezzano la sua ruvida one-stà – soprattutto dopo la sua conferenza, “Mer-rie England”, in cui prende in giro tutti i suoipresuntuosi e arroganti colleghi. (John Boul-ting, 1913-1985, gira la versione cinemato-grafica nel 1958.)

Keith Waterhouse, nativo di Leeds (1929- 2009),autore di programmi televisivi di successo, de-ve la sua fama internazionale al romanzo Bil-ly Liar (1959), la storia di un ragazzo di origi-ni operaie dalla fantasia sfrenata e con l’am-bizione di diventare scrittore di successo chenon si accontenta del modesto lavoro in unaditta di pompe funebri. Quando finalmente Liz,la sua ragazza, lo convince a partire con leiper vivere e realizzare i loro sogni insieme, Bil-ly si tira indietro all’ultimo momento fingen-do di perdere il treno su cui lei è salita. (JohnSchlesinger, 1926-2003, dirige l’adattamentocinematografico del romanzo nel 1963 con unasolare Julie Christie nella parte di Liz e un lu-nare Tom Courtenay nella parte di Billy.)

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________________________________________________________* Le parti precedenti sono pubblicate su Paginauno n.43/2015 e 44/2015

Margaret Forster (1938), nativa di Carlisle, pubblica nel 1965 Geor-gy Girl. È la storia di una giovane donna di ventidue anni, figlia delmaggiordomo di un facoltoso uomo d’affari che ha per lei un atteg-giamento paterno fino a quando non si rende conto che Georgy èdiventata una donna attraente e le offre di diventare la sua aman-te. Georgy è ancora vergine, non ci sa fare con gli uomini e ammiral’amica Meredith che, dopo aver partorito una bimba, lascia il suocompagno e affida la figlioletta a Georgy per evitare che sia data inadozione a sconosciuti. Nel frattempo muore la moglie del facol-toso uomo d’affari e Georgy accetta di sposarlo per assicurare allabimba e a se stessa un futuro agiato. È, in sostanza, il racconto-de-nuncia esemplare dell’unico modo che a una giovane donna di mo-deste origini sociali era consentito di conquistare un’esistenza si-cura: sposare un uomo ricco. (Il canadese di origini italo-america-ne Silvio Narizzano, 1937-2011, dirige la versione cinematograficanel 1966 con Lynn Redgrave e James Mason.)

Il gallese Raymond Williams (1921-1988), figlio unico di un capo-stazione e una casalinga, ebbe una brillante carriera universitariaa Cambridge e diede l’avvio, insieme a Richard Hoggart (1918-2014),al pionieristico indirizzo di studi accademici interdisciplinari deno-minati Cultural Studies. La sua produzione di romanziere, pur es-sendo di altissimo livello, è stata messa in ombra dal suo stessoprestigio di intellettuale.

La sua trilogia, Border Country (1960), Second Generation (1964)e The Fight for Manod (1979), basata sui personaggi di MatthewPrice e Peter Owen, è la colonna portante della sua narrativa.

In Border Country Matthew, docente di economia a Londra, vie-ne richiamato d’urgenza al paese natio dalla madre a causa del-l’infarto che ha colpito il padre, Harry. Matthew ripercorre, seguen-do i racconti di amici e conoscenti, le tappe più importanti della vi-ta del padre e riesamina anche la storia delle proprie radici da cuisi era allontanato per andare a lavorare a Londra. Matthew ripar-te qualche giorno dopo pur sapendo che il padre si sta ormai spe-gnendo ma con la certezza di avere compreso le cause più intimedel suo senso di spaesamento.

In Second Generation Williams racconta dei fratelli Gwyn eHarold Owen e di come le criticità economiche degli anni ’50-60,nell’Oxfordshire dei contrasti stridenti tra il mondo privilegiato eprestigioso dell’università e i problemi della fabbrica automobili-stica Morris Motors, condizionano l’esistenza delle loro rispettivefamiglie. Peter, figlio di Harold, per il suo dottorato di ricerca studia

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Il mondo delle classimeno abbienti nella letteratura e nelcinema della GranBretagna del primo Novecento

A PROPOSITO DI...

i fenomeni economici dell’epoca sotto la su-pervisione di un professore che osserva fred-damente gli eventi sociali con il distacco del-lo studioso.

Nel terzo romanzo, The Fight for Manod,le vite e le esperienze professionali di Mat-thew Price e Peter Owen s’incrociano quandovengono entrambi nominati da una commis-sione parlamentare per indagare su investi-menti occulti di una multinazionale olandeseche sta comprando intere aree rurali del Gal-les. Matthew e Peter sono entrambi gallesi mahanno una diversa percezione delle loro ra-dici e spesso si trovano velatamente in disac-cordo. Prevarrà il loro amore della verità e del-la giustizia per smascherare gli accordi tra lamultinazionale olandese e le lobby inglesi cheagiscono dietro le quinte.

Questa avvincente trilogia è un grande af-fresco della società britannica tra gli anni Tren-ta e i tardi anni Settanta, delle rivendicazionidei lavoratori delle ferrovie e delle miniere inGalles e degli operai delle grandi fabbriche inInghilterra. Prevale, tuttavia, una sensazionedi inconciliabilità tra il mondo rurale gallese equello industriale inglese che Williams ebbemodo di conoscere bene nei loro aspetti piùprofondi e per i quali aveva sempre avvertitoun lacerante e contraddittorio senso di stra-niamento e appartenenza allo stesso tempo.Le sue riflessioni, più che concentrarsi sulleesperienze dei protagonisti, passano in rasse-gna le problematiche collegate all’immobili-tà del Galles rurale, incapace di mettersi al pas-so con l’etica capitalistica inglese.

Stan Barstow, nativo dello Yorshire (1928-2011),figlio unico di un minatore e una casalinga,pubblica nel 1960 A Kind of Loving, il suo ro-manzo più noto (adattato per il cinema da Schle-singer nel 1961 con l’interpretazione di AlanBates). È la storia, ambientata nel Lancashire,

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di due giovani, il giovane diplomato Victor e la segretaria Ingrid,appartenenti alla cosiddetta aristocrazia operaia, che tentano fa-ticosamente di stabilire una relazione. Il loro benessere economi-co rispetto ai lavoratori delle fabbriche e dei cantieri navali, non liaiuta a costruirsi una vita serena. La ragazza rimane incinta primadel matrimonio ed entrambi devono trovare un compromesso trai rispettivi sogni e ciò che la realtà offre loro. La decisione di andarea vivere con la madre di Ingrid, a causa della carenza di alloggi,contribuisce a compromettere definitivamente il loro rapporto.

Nei romanzi successivi, Watchers on the Shore (1966) e TheRight True (1976) che compongono con A Kind of Loving la trilo-gia, Victor, dopo il divorzio lascia la sua città nel nord dell’Inghil-terra e va a vivere a Londra nell’illusione di una vita più agiata e pro-fessionalmente gratificante.

Una voce interessante, negli anni ’60-70, è Nell Dunn (1936), l’au-trice di Poor Cow (1967), un grande successo letterario. Ken Loa-ch gira, lo stesso anno, l’adattamento cinematografico. Sia il romanzosia il film diventarono subito una testimonianza generazionale, unasorta di manifesto, un monito sulla condizione della donna in un’In-ghilterra i cui modelli sociali venivano frettolosamente ed eufori-camente considerati un esempio di grande civiltà.

La protagonista, Joy, è la poor cow del titolo, vittima della len-ta e inesorabile degradazione della sua vita incolore e priva di pro-

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MilanoExpo 2015.

Foto byGiulia Zucca

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A PROPOSITO DI...

spettive. Ha solo ventidue anni ma vive pri-gioniera di un matrimonio infelice e il suo fu-turo è condizionato dal figlioletto Jonny e dal-la totale assenza del marito, uomo violentoche vive di furti. La sua unica alternativa è diprostituirsi o accettare relazioni con uominiinaffidabili. Terrorizzata dal decadimento delsuo corpo, scarica le sue ansie sul bambino acui spera di offrire una vita migliore.

Figlia dell’alta borghesia, Nell Dunn si al-lontana dalla famiglia per trasferirsi nel 1959a Battersea, un quartiere (allora) degradato diLondra che le ispirerà la raccolta di raccontiUp the Junction (1963), ricca di ritratti di gio-vani personaggi di estrazione operaia e ca-ratterizzata dalla sua abilità nel cogliere le lo-ro parlate dialettali, i loro proverbi, il loro pa-trimonio culturale e musicale.

(Poiché abbiamo citato Nell Dunn, apriamouna parentesi per sottolineare che in queglianni si afferma un nutrito numero di scrittri-ci che – sebbene non parlino esplicitamentedelle classi meno abbienti, come fanno più am-piamente i loro colleghi, ed esplorino preva-lentemente le problematiche del rapportouomo-donna – conquistano un loro spazio peresprimere la sensibilità e la percezione fem-minile riguardo alla società inglese. Citiamo-ne solo alcune: Emma Tennant (1937), FayWeldon (1931), Beryl Bainbridge (1934), Su-san Hill (1942), Rose Tremain (1943), AngelaCarter (1940-1992), Antonia Byatt (1936).

A dimostrazione del peso della scritturafemminile in Gran Bretagna, non è un caso sesarà proprio una scrittrice di Sheffield, Mar-garet Drabble (1939), a lanciare un indignatoallarme negli anni ultimi anni del Novecentosulla pericolosa illusione che la Gran Bretagna,insieme agli Stati Uniti, potesse essere perce-pita come un’area felice, una sorta di rifugiodal caos politico e morale mondiale. Nel 2003,

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all’inizio della guerra in Iraq, Margaret Drabble ha duramente cri-ticato gli Stati Uniti, colpevoli di essere dominati da una incontrol-labile febbre di potenza e di essere a torto considerati il Paese gui-da del pianeta. L’accusa agli Stati Uniti si è estesa anche ai suoi con-nazionali, colpevoli di essere succubi del modello americano e di nonavere saputo evitare i gravi errori sociali ed economici commessidagli ultimi governi, sia conservatori sia laburisti, e ha ammonitodi non lasciarsi ingannare dalle apparenze di un benessere male di-stribuito. La Drabble, inoltre, denunciando la fine dello spirito libe-ral britannico, spazzato via non solo dal fondamentalismo del libe-ro mercato ma anche da una irrisolvibile confusione culturale, in-tellettuale e morale, si è ritagliata il ruolo di autorevole testimonedella decadenza della borghesia illuminata britannica.)

Se fino agli anni ’70 si era mantenuta viva una letteratura attentaal mondo del lavoro, negli anni successivi la percezione della so-cietà da parte degli scrittori è cambiata. Ian McEwan (1948) e Mar-tin Amis (1949), per citare due degli autori più rappresentativi de-gli ultimi trent’anni, sono attoniti cronisti del nichilismo del lorotempo di cui fanno fatica a cogliere e rappresentare le dinamichedisturbate dei conflitti di classe e delle aggressioni del capitale adanno dei diritti acquisiti dai lavoratori. Gli anni ’80 e ’90 sonoanni di disorientamento, il senso della nazione britannica si inde-bolisce e si fanno sentire le voci di nuove categorie sociali ignora-te e discriminate, ossia persone originarie di Paesi dell’ex imperoche hanno ricevuto la cittadinanza britannica.

Forse è proprio la difficoltà a interpretare i sofferti cambiamentisociali degli anni ’80 e ’90 a spingere gli scrittori a praticare il ge-nere storico e accantonare il romanzo industriale. Ed ecco, allora,sulla scia tracciata da Kazuo Ishiguro (1954) con The Remains ofthe Day (1989), comparire autori come Alan Massie (1938) con AQuestion of Loyalty (1989) e The Sins of the Fathers (1991), Pat Bar-ker (1943) con la trilogia Regeneration (1991), The Eye in the Door(1993), The Ghost Road (1995), Sebastian Faulks (1953) con la trilo-gia The Girl At the Lion d’Or (1989), Birdsong (1993) e CharlotteGray (1998), Louis De Bernières (1954) con Captain Corelli’s Man-dolin (1995).

In sostanza, come ebbe occasione Malcolm Bradbury (1932-2000)di sintetizzare in maniera molto efficace, insieme alla percezionedella società cambia anche il lessico. È infatti il lessico l’indicatorepiù attendibile delle tensioni e delle aspirazioni del tempo primaancora dei temi trattati (o ignorati): gli anni Cinquanta erano stati

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Il mondo delle classimeno abbienti nella letteratura e nelcinema della GranBretagna del primo Novecento

A PROPOSITO DI...

caratterizzati da un lessico ‘morale’; gli anniSessanta da un lessico ‘radicale e sociologico’.Queste due decadi, grazie al loro lessico, han-no permesso agli scrittori di parlare con pas-sione del mondo del lavoro. Al contrario, in-vece, gli anni Settanta con il lessico di ‘auto-coscienza’ e gli anni Ottanta con il lessico del-l’economia e del mito del benessere come pro-va della propria esistenza, hanno favorito unaletteratura che pur parlando di questioni so-ciali le ha paradossalmente evitate.

Si può pertanto sostenere che la testimo-nianza di molti scrittori britannici riguardo aldisorientamento di cui hanno sofferto i citta-dini a causa dell’era thatcheriana ha acutamen-te evidenziato come il problema non sia piùquello di una società divisa in classi a cui ci sipuò ribellare con l’obiettivo di riportare unapiù equa distribuzione della ricchezza. Anzi,il vero problema è che, nella rappresentazio-ne postmoderna della società tardo-novecen-tesca e di inizio del terzo millennio, si avvertein maniere sempre più dolorosa una sensa-zione di profonda sfiducia provocata da unprogressivo deterioramento delle tradiziona-li caratteristiche delle classi sociali e da un ri-mescolamento dei ruoli – una confusione incui chiunque può diventare qualcun altro con-tro la propria volontà e perdere irrimediabil-mente sia l’identità individuale sia i valori fon-danti del proprio gruppo di appartenenza.

Tuttavia, in contrasto con questa diffusapercezione contrassegnata da una sorta di fa-talistica accettazione del declino sociale, eco-nomico e morale del Paese, sono di confortodue romanzi come Waterland di Graham Swift(1949), pubblicato nel 1983 (un insegnante distoria ripercorre gli anni della sua infanzia nelNorfolk per ritrovare un suo nuovo equilibriopersonale in relazione a eventi tragici del pas-sato che avevano ferito un’intera comunità ru-rale), e Nice Work di David Lodge (1935), pub-

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blicato nel 1989, che si ricollega idealmente al romanzo industria-le di Elizabeth Gaskell e racconta le ‘due nazioni della Gran Breta-gna’, ossia il sud ricco e terziario e il nord povero e industriale.

È alla luce di questa panoramica non certo incoraggiante che si puòapprezzare maggiormente l’impegno di McIlvanney e Loach di con-centrarsi su un’analisi sociale che forse non attira l’interesse di unvastissimo pubblico ma è il prezioso documento di un mondo di la-voratori che ancora esiste (e resiste) sebbene oggi sia colpevolmen-te ignorato. È in questo clima che McIlvanney ricorre allo sguardocritico e malinconico dei suoi personaggi più rappresentativi – il di-soccupato Dan Scoular, lo scrittore Tom Docherty e, soprattutto, l’i-spettore di polizia Jack Laidlaw che tenta disperatamente di difen-dere valori etici fondamentali nonostante l’indifferenza delle isti-tuzioni e nonostante lui stesso faccia fatica a credervi ancora – perraccontare una società in cui si sono acuite differenze e ingiustiziesociali ed economiche.

Ken Loach, da parte sua, ha osservato le nuove forme di soli-darietà che nascono per resistere non solo ai danni provocati daMargaret Thatcher ma anche ai colpi inferti sia dal New Labour diTony Blair sia dal ritorno dei Conservatori e dal crescente consen-so tributato allo xenofobo Nigel Farage.

… continua…

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FILO-LOGICO

“La menzogna riesce a conquistare regni sen-za fare la guerra e talvolta proprio perden-done una; può dare e togliere lavoro, può ri-durre una montagna a un mucchietto di ter-ra e fare di un mucchietto di terra una mon-tagna.”Jonathan Swift, L’arte della menzogna

Non c’è bisogno di ricerche sociologiche oquant’altro: la politica è il regno della men-zogna. Così pensano tutti e, se i politici so-no in nutrita compagnia, a loro spetta il pri-mato. Ma quale primato? Numerico? Vale adire i politici sono nel mondo talmente tan-ti, dagli amministratori locali in su, che ine-vitabilmente la massa di bugie che dicono èineguagliabile. Oppure un primato qualita-tivo? Insomma, la bugia più grossa?

La memoria recente corre, come esempio,alle armi di distruzione di massa di SaddamHussein, mai trovate, ma di quella menzo-gna folle paghiamo ancora tutti le conse-guenze.

Questa premessa può sorprendere il let-tore, eppure c’è un settore in cui la segretez-

za e, di conseguenza, le possibilità di men-tire non solo sono parte integrante del lavo-ro, ma sono altresì al riparo da ogni con-trollo, per lo meno quello popolare come av-viene nelle democrazie: è il settore della di-plomazia e, più in generale, della politica este-ra. Nessun cittadino ha da obiettare se le trat-tative si sono svolte segretamente e viene aconoscenza solo del risultato, mai del modoin cui lo si è raggiunto. Di più, davanti al-l’affermazione per cui quanto si è fatto è innome della ragion di Stato ogni obiezione odubbio decadono e l’accettazione è puramen-te passiva. In questo senso si può sostenereche la ragion di Stato è la legalizzazione del-la menzogna.

Lo si può dire in altro modo: se la poli-tica è comunque il luogo in cui la delibera-zione è comune e pubblica, diplomazia e po-litica estera sono i luoghi della non-politicain quanto il cittadino non è chiamato a de-liberare e non partecipa a nessuno dei mo-menti che caratterizzano questi settori.

Torno ai politici con una domanda: co-me mentono? Nulla di nuovo sotto il sole,viene da dire, e le tecniche sono immutate.Quello che è cambiato è l’impatto emotivoche oggi inevitabilmente passa attraverso imedia e ogni politico deve curare la propria

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________________________________________________________* La prima parte è pubblicata su Paginauno n.44/2015

MENZOGNA(seconda parte)*

DI FELICE BONALUMI

immagine che acquista subito una dimen-sione pubblica e spesso universale. Un poli-tico che non buca lo schermo ha scarse possi-bilità di fare carriera e se non usa i nuovi me-dia, twitter über alles, è irrimediabilmentevecchio. Per quanto importante, l’immaginecomunque non è tutto e le parole rimango-no al centro della vita di un politico. Forsel’esempio recente più significativo in questosenso è dato dalla cancelliera tedesca Ange-la Merkel: da antipatica castigamatti dellaGrecia a eroina dei migranti siriani, da an-tipatica a paladina della solidarietà.

Riformulo la domanda: come mentono ipolitici con le parole? La lista non è neppu-re particolarmente lunga.

1. Promesse che si sa già non potrannoessere mantenute: su questo terreno tutta-via la situazione è ben più complessa di quan-to appaia. La psicologia afferma che le pro-messe non servono al politico, ma al citta-dino: il cambiamento insito nella promessaè un compenso alle insoddisfazioni dell’elet-tore. Se quest’ultimo intuisse che la promes-sa è realizzabile avrebbe paura del cambia-mento!

L’unica condizione perché la promessasia credibile è la sua continua riproposizio-ne, una sorta di mantra che se trova anche

un solo numero, soprattutto in economia, checomincia con lo zero ma ha un segno piùdavanti è immediatamente e automaticamen-te confermata.

Naturalmente se le promesse non man-tenute sfociano nel rancore è possibile unareazione, anche violenta, e la storia, ancherecente, non manca di esempi.

2. Smemoratezza, anche in questo casodel politico e dell’elettore. Per quest’ultimoil problema è di facile soluzione: credere acome il politico di turno viene presentato,indipendentemente da tutti i fatti che por-terebbero a metterne in forse il ruolo e l’a-zione. Quante volte il nuovo politico si èpresentato come una sorta di ultima spiag-gia e con il motto o me o il diluvio? Basta fa-re l’esempio degli ultimi tre presidenti delConsiglio italiani per avere conferma di quan-to la storia insegni... e di quanto la memo-ria dell’elettore si perda con facilità.

La smemoratezza del politico è più sot-tile: risponde al semplice criterio dell’utilitàe si fonda sul mutato clima internazionale,nazionale e via dicendo. In pratica il politi-co affermerebbe di non essere cambiato, madi avere cambiato idea o proposta per il be-ne comune in quanto il contesto è mutato.Il tema dell’immigrazione ben si presta ad

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FILO-LOGICO

avere poca memoria e chi ieri voleva bom-bardare gli immigrati in mare oggi affermala necessità di accoglierli, magari sottolinean-do condizioni e distinguo.

3. Il mutato contesto è l’arma segreta deipolitici e la negazione del passato è uno deicolpi vincenti. Con due varianti: la negazio-ne del passato storico e del proprio passatopolitico. Per la prima c’è solo l’imbarazzo del-la scelta: si può iniziare dal ministro dell’E-ducazione inglese, Michael Gove, che, a pro-posito della prima guerra mondiale, ha esor-tato gli insegnanti a presentarla in una vi-sione patriottica e non per quello che è sta-ta, vale a dire un bagno di sangue. Oppureil Primo ministro ungherese Viktor Orbánche ha derive chiaramente antisemite nelsuo sogno di riscrivere la storia e di resu-scitare il grande impero finito con la Gran-de Guerra.

Non si deve assolutamente credere chequeste operazioni siano senza conseguenze,sia perché normalmente partono dai libridi testo scolastici e dunque permeano la vi-sione di chi sarà domani elettore, sia perchéla finalità nascosta è dimostrare una conti-nuità storica che confermi che la società dicui il politico è rappresentante primo è la so-cietà naturale.

Per quanto riguarda il livello personalesi può aprire una rubrica con le tante migra-zioni di politici che, eletti in un raggruppa-mento, durante la legislatura passano a unaltro e spesso opposto. È il fenomeno ben no-to del trasformismo che ha interessato 235rappresentanti del popolo italiano (119 allaCamera e 116 al Senato) in 23 mesi, con i go-verni Letta e Renzi, numero che comprendeanche le espulsioni. Sia chiaro: tutto legale,ma la motivazione è pressoché unanime e

si appella alla libertà e all’autonomia di cuigli eletti godono e che, ovviamente, usanoa favore degli elettori.

4. La mutilazione del contesto, vale a di-re il riportare non l’intera frase di un av-versario, ma una parte soltanto, facendolapartire o troncandola in un punto che evi-dentemente porta a dare ragione a chi par-la. Difficile da individuare il più delle vol-te, in quanto si dovrebbe avere a memoriala frase incriminata e, dunque, facile da usa-re. Può bastare questa considerazione: la po-litica fatta di polemiche a cui siamo da anniabituati, richiederebbe una sorta di enciclo-pedia portatile per cogliere la mutilazionedi una frase da parte di un politico controun altro!

La massima efficacia questo metodo laraggiunge con le immagini ed è usatissimo:ogni volta che ci viene presentato un avve-nimento in un telegiornale o in una trasmis-sione televisiva di cronaca dovremmo chie-derci cosa si vedrebbe da un’altra angola-zione!

5. Il sovvertimento della realtà e la co-struzione di fatti menzogneri rientrano, co-me casi limite, nella manipolazione del con-testo. Per questo è necessaria una strategiae l’intervento di più attori e il politico spes-so è solo il portavoce. Il metodo è di sicuroeffetto: la vicenda legata a Dino Boffo, exdirettore dell’Avvenire, è emblematica. Mala storia d’Italia è costellata di misteri, chehanno avuto un sovvertimento o peggio nel-la comunicazione soprattutto iniziale e la stra-ge di piazza Fontana a Milano del 12 dicem-bre 1969 con dichiarazioni ai più alti livelliistituzionali come esempio può bastare.

6. Rimozione della realtà: quante volte sisente l’espressione danni collaterali? O centri

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MENZOGNA

di accoglienza per gli immigrati? Naturalmen-te la realtà è profondamente diversa, ma que-ste espressioni rassicurano i cittadini per-ché creano comunque una distanza fra loro,i bombardati e i migranti, e noi.

7. Ultimo, ma non di poca importanza, èsceneggiare la realtà. Assicura un passaggiotelevisivo, se va bene un invito a un talk show.Basta sventolare un cartello in un’aula par-lamentare e il messaggio diventa generico(al centro non c’è il discorso politico, c’è laprotesta) ma ci si garantisce la pubblicità.

Accanto a queste categorie evidentementegenerali, anche l’analisi del linguaggio nonpresenta una grande varietà.

1. L’uso dei luoghi comuni mette al ri-paro il politico da sorprese con il proprio e-lettorato proprio in quanto si ragiona per a-strazioni (tutti gli immigrati rubano il lavoroagli italiani). La pericolosità del luogo comu-ne tuttavia non sta tanto nella sua astrattez-za, quanto nel fatto che chiude, ancora pri-ma che si apra, qualsiasi discorso: è l’inizioe la fine di quanto c’è da dire sull’argomen-to. Va da sé che lo Stato è sempre inefficiente,spesso la colpa è di tutti (quindi realiter di nes-suno) e sui reati ambientali, per esempio, que-sta sembra essere la regola. E se i fatti dico-no qualcosa di diverso? Nessun problema,i fatti così come riportati dai media sono sem-pre politicamente indirizzati perché la faziosi-tà è inevitabile.

I luoghi comuni sono il veicolo princi-pale del discorso politico perché stigmatiz-zano un problema e rassicurano l’elettore di-videndo in modo semplice (e ovviamente ba-nale, ma questo è esattamente ciò che nonimporta) il mondo: di qua i buoni, cioè noi,di là i cattivi, cioè loro.

2. Sottolineare un elemento irrilevante inun contesto: retoricamente si può forse de-finire una sineddoche, la parte per il tutto.Naturalmente la parte non solo elimina iltutto, ma in quanto positiva fa diventare po-sitivo anche il tutto. Un esempio? Supponia-mo che un politico con tanti processi, alcu-ni decisamente pesanti, altri, per così dire,leggeri, venga assolto in uno di questi ulti-mi. Questa diventa la notizia. Non importase in realtà è giudicato colpevole ma impu-nibile per via della legge sulla prescrizione:il messaggio che passa è l’onestà del politi-co e, si può aggiungere, l’accanimento dellamagistratura. Dal punto di vista tecnico ilmessaggero, in questo caso il giornalista, haimparato e ben applicato la retorica serven-do una sineddoche!

3. L’iperbole merita un posto non secon-dario perché nella sua esagerazione cataliz-za tutta l’attenzione. Lo scontro di civiltà èprobabilmente l’iperbole a cui siamo stati piùabituati negli ultimi anni, ma per restarenei confini nazionali il disegno di legge For-nero fu presentato dall’allora presidente delConsiglio Mario Monti come “un impegnodi riforma di rilievo storico per l’Italia”. Pri-ma di lui le riforme della giustizia dei pre-cedenti governi erano “epocali” e Grillo hapreannunciato una “rivoluzione della feli-cità”.

4. Forse il premio come miglior tranquil-lante spetta all’ossimoro, e guerra umanita-ria ne è il capolavoro. Ma si può dire che lastoria d’Italia sia costellata di ossimori e for-se più che una figura retorica è il segnaledelle nostre contraddizioni: convergenze pa-rallele, partito di lotta e di governo, corruzionelegittima, meravigliosa schifezza racchiudonopezzi di storia d’Italia.

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FILO-LOGICO

5. I politici prendono poi alla lettera laparola eufemismo = risuonare bene, quindiparlare bene, e infatti non ci sono più pove-ri ma persone disagiate, persone in condizionieconomiche modeste, quelli che viviamo sonoanni di pace e sempre durante una crisi laluce si intravede in fondo al tunnel. In questacategoria farei rientrare anche il famoso tea-trino della politica e, per continuare con i pre-sidenti del Consiglio, l’attuale usa questa fi-gura retorica con una certa frequenza nei suoidiscorsi.

6. Rimane l’elusione dell’argomento, main questo caso più che esempi rimanderei alGeneratore di Discorsi Politici Stronzi (www.phibbi.com/extra/gdps.php) dove ognuno può

esercitarsi. Un politico preparato naturalmenteha la capacità di creare effetti linguistici par-ticolarmente ricercati con l’uso reiterato di pa-role, con metafore accattivanti, con un usooculato di simboli e, al limite, di nonsense.

Tuttavia la domanda finale è: necessariamen-te la politica è il luogo della menzogna? Nel-l’Atene del V secolo a.C., dove la democraziaera fondamentalmente una democrazia di-retta, ovviamente da coloro che erano citta-dini, si posero alcuni problemi:

1. se tutti hanno diritto di parola, tutti de-vono avere per lo meno le stesse conoscen-ze degli argomenti che vengono trattati inmodo da distinguere il vero dal falso;

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Milano, Expo 2015. Foto by Giulia Zucca______________________________________________________________________________________________________________________

MENZOGNA

2. se tutti i cittadini hanno uguale dirit-to all’esercizio del potere, il problema vero/falso diventa ancora più urgente sia da par-te di chi governa sia da parte di chi è gover-nato;

3. se tutti nell’agorà possono parlare, ildiscorso di ognuno deve essere chiaro pro-prio per distinguere il vero dal falso.

Le riflessioni di Platone nella Repubblicae nelle Leggi partono sostanzialmente da que-sti problemi.

E in una democrazia rappresentativa? Unaulteriore domanda: qual è lo scopo persona-le, reale, effettivo del politico? Evidentementeessere rieletto e per raggiungere l’obiettivodeve necessariamente dire quanto il suo e-lettorato vuole sentirsi dire, in termini di pro-messe e di interpretazione di ciò che accade.

Questo non significa, altrettanto necessa-riamente, che il politico dica menzogne, mache la verità è, per così dire, piegata all’utili-tà pratica del politico, essere cioè rieletto. So-lo un politico dal grandissimo carisma puòpermettersi di dire la verità perché allora sa-rà seguito proprio per il suo carisma, anchese esempi nella storia di uomini carismaticiche hanno trascinato se stessi e il proprio po-polo nell’abisso non mancano.

Credo, almeno in teoria o quasi, ci sia unasola via d’uscita: un elettorato attento e pre-parato, capace di distinguere o, per lo meno,capace di porsi davanti al politico con l’ha-bitus mentale di ricercare il vero e metterealla berlina il falso. Una cultura politica dif-fusa può o potrebbe essere un margine con-tro la menzogna. Non vedo altre armi, pursapendo che la forza è sbilanciata dalla par-te del politico e per questo ho iniziato citan-do politica estera e diplomazia.

Per altro, quanto qui scritto in realtà l’a-

veva già detto Machiavelli nel 1513 in mo-do sintetico e non mi pare che la situazionesia da allora culturalmente cambiata: “Quan-to sia laudabile in uno principe mantenerela fede e vivere con integrità e non con a-stuzia, ciascuno lo intende: non di manco sivede, per esperienzia ne’ nostri tempi, quelliprincipi avere fatto gran cose che della fedehanno tenuto poco conto, e che hanno sapu-to con l’astuzia aggirare e’ cervelli delli uo-mini; et alla fine hanno superato quelli chesi sono fondati in sulla lealtà”.

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I commedianti vede la pubblicazione nel 1966, e appartie-ne a quello che Graham Green definirà il suo ‘ciclo poli-tico’, per distinguerlo dal ‘ciclo cattolico’. Ambientato nel-la Haiti del dittatore François Papa Doc Duvalier, regimeche Greene aveva conosciuto in prima persona, il roman-zo ottenne come immediata conseguenza politica il divie-to per lo scrittore e il suo romanzo di mettere piede sul-l’isola, oltre che un piccato pamphlet dello stesso Duvalier,nel quale l’epiteto più morbido riferito a Greene (anchequello che l’aveva sorpreso di più, a sua detta) era ‘tortu-ratore’. C’è da dire che Greene non è stato per niente te-nero con il regime haitiano, pur non avendo dimenticato,e non trascurando di narrarlo, che Duvalier, sedicente ul-timo baluardo contro il comunismo era sponsorizzato e so-stenuto dagli Stati Uniti, che avevano una responsabilitàdiretta sulla situazione dell’isola, occupata e sfruttata dal1908 al 1934. Così come non mancano i riferimenti aglieffetti perniciosi del colonialismo e della dominazione dellarazza bianca, dal Congo alla Birmania, al sud degli StatiUniti, con i frequenti riferimenti alle sommosse di Nash-ville. Nel caso di Haiti, sono i neri che detengono al mo-mento il potere, dopo il colpo di Stato, ma la struttura so-ciale e i rapporti di forza sono rimasti quelli del lungo pe-riodo del colonialismo, la stessa popolazione è figlia del-la colonizzazione, composta com’è da ex schiavi africani,coloni europei e americani e meticci, dal momento che glioriginari abitanti dell’isola sono stati sterminati dai con-quistatori spagnoli arrivati con Cristoforo Colombo e si con-

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di Sabrina Campolongo

TRA LUCE E TENEBRE Recensione de I commedianti, Graham Greene

siderano estinti dal 1540. I risultati parlano da soli. Haitiemerge come un surrogato di violenza, superstizione e mi-seria, disertata dai turisti, terrorizzata dalla feroce poliziasegreta di Duvalier, i Tontons Macoute, gli uomini-spet-tro dagli onnipresenti occhiali scuri – eredi della Garde,la milizia creata e resa efficiente dagli americani – che simuovono con il buio per uccidere, rapire o torturare gli op-positori del regime.

Impossibile, scrive Greene stesso nella breve prefazio-ne, rendere più tenebrosa una simile notte.

Ma prima di sbarcare a Port-au-Prince e sprofondarenel suo buio, ci troviamo a bordo della Medea, una mode-sta nave da carico della Regia Società di Navigazione olan-dese salpata da New York, in compagnia di un eteroge-neo e sparuto gruppo di passeggeri. Tre in particolare so-no accomunati, oltre che da cognomi di rara banalità: Bro-wn, Smith e Jones, di smaccata provenienza anglosasso-ne, anche dalla tensione verso ciò che li aspetta ad Haiti,un ritorno con molte incognite nel caso di Brown, vocenarrante del romanzo, che sull’isola ha lasciato un alber-go e un’amante, una missione misteriosa per quanto riguar-da gli Smith, una coppia di americani così unita da muo-versi come un solo essere, e un’ancora più misteriosa av-ventura per l’enigmatico ‘maggiore’ Jones.

Nel corso della traversata, Brown fa conoscenza con icompagni di viaggio, scoprendo che il pingue signor Smi-th è stato candidato presidenziale contro Truman (assie-me a molti altri americani i cui nomi restano sconosciuti

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I commediantiGraham GreeneClub degli editori1967(traduzione diBruno Oddera)

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ai più) e che il progetto (ma è più unamissione, dichiara Smith con un mistodi umiltà e orgoglio) che darà un sensoalla ‘vacanza’ ad Haiti è quello di propa-gare e affermare la fede che lo lega a suamoglie: il vegetarianismo. Intanto Jones,inglese come Brown, intrattiene i pas-seggeri con le sue affascinanti storie diguerra, di quando comandava plotoni inCongo e in Birmania (anche se i dettaglidei suoi incarichi restano decisamentenebulosi), ignorando (o forse no) che untelegramma inviato al comandante del-la nave rivela che qualcuno è già sullesue tracce.

L’arrivo di questo telegramma ci con-sente di intuire qualcosa di più sull’’os-servatore’, piuttosto distaccato, Brown:davanti al ligio comandante, personifi-cazione della correttezza e del rispettodelle regole, che domanda il suo aiuto perscoprire qualcosa di più sull’ambiguo Jo-nes, Brown sembra schierarsi istintiva-mente sul fronte di quest’ultimo, sebbe-ne sia il primo a nutrire più di un dub-bio sul suo conto. Questo, e la breve con-versazione con Jones che segue, ci per-mette di immaginare che, oltre alle ori-gini, Brown e Jones abbiano altro in co-mune, che, per dirla con le parole di Jo-nes, siano entrambi degli ‘svelti’. “I gen-tiluomini hanno un impiego fisso o unbuon reddito. Hanno qualcosa su cui con-tare, come lei il suo albergo. Gli svelti...be’, noi ci guadagniamo da vivere qua elà... nei bar. Teniamo le orecchie apertee altrettanto aperti gli occhi.”

Se Jones lo ha schierato di primo ac-chito – ma con riserva – tra i gentiluo-mini, Brown, prima di ereditare il Tria-non da una madre appena ritrovata equasi sconosciuta, e dopo aver lasciatoil collegio gesuita nel principato di Mo-naco in cui lei l’aveva abbandonato, siè mantenuto grazie a una serie di atti-vità precarie, cameriere in un bar a cuiaveva fornito referenze false, venditoredi croste spacciate per opere d’arte a in-genui arricchiti... Ogni azione della suavita sembra essere stata determinata dairisvolti della fortuna, a cominciare da ungettone della roulette infilato impru-dentemente nel sacchetto delle offertein collegio, che aveva finito per rivela-re le sue avventure segrete in città, perarrivare all’incontro, di nuovo al casinò,con la donna che in qualche modo lo tie-ne legato all’isola. Senza famiglia, sen-za una patria, né più una fede, dopoaver perso del tutto una precoce voca-zione, Brown sembra incarnare l’arche-tipo dell’orfano, mentre torna verso l’u-nico luogo al mondo in cui possiede qual-cosa, sebbene troppo debole per poter-la considerare una radice: “[Un] vuotoalbergo e una relazione amorosa ch’eraquasi altrettanto vuota”.

All’opposto di Brown e Jones, gli Smi-th appaiono tanto solidi quanto inge-nui. “È un idealista”dice la signora delmarito, spiegando con una sola parolail motivo per cui non ha mai avuto al-cuna chance di vincere le elezioni. Nien-te se non un candido idealismo potreb-

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be portare qualcuno su un’isola afflittadalla più nera miseria a proporre la cul-tura dell’alimentazione vegana – rime-dio, secondo gli Smith, contro tutti glieccessi delle passioni, violenza compre-sa – ma all’arrivo sull’isola i due dannoprova di un coraggio fuori dal comune,nonché di un autentico, sebbene perico-losissimo, senso di giustizia.

Con un’ironia sottile, velata del ci-nismo di Brown (dolorosamente con-sapevole però che “il cinismo vale po-co... si può comprarlo in qualsiasi ma-gazzino a prezzo unico... è incorpora-to in tutte le merci mediocri”), osser-viamo gli Smith mentre regalano dol-

lari ai mendicanti, senza preoccuparsie senza nemmeno rendersi conto delfatto che questo esporrà i malcapitatidestinatari della loro generosità allaviolenza di chi vuole impadronirsi diquel denaro, con quell’atteggiamentocaritatevole del ‘capitalismo buono’,tipicamente occidentale e post-colo-niale.

Allo stesso modo, il governo ameri-cano finanzierà Papa Doc, distogliendolo sguardo dalle violenze del regime eturandosi il naso davanti alla costantenegazione di tutti i cosiddetti ‘valori oc-cidentali’ che proprio il tiranno-strego-ne dovrebbe difendere contro la minac-

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cia comunista di Cuba, distante pochemiglia marine.

Se gli Smith rappresentano l’inno-cenza americana, ai limiti della cecità, Jo-nes è l’interprete di una scaltrezza e diuna capacità di adattamento tipicamen-te britannici. Dapprima imprigionato,poi portato in palmo di mano dagli stes-si Tontons Macoute che l’avevano mal-menato, immeritatamente in entrambi icasi, e infine costretto a nascondersi, conl’aiuto di Brown, quando le sue false cre-denziali vengono scoperte, Jones svele-rà il suo enigma solo alla fine, e in mo-do del tutto gratuito, come vedremo.

Quanto a Brown, il déraciné, egli sem-bra invidiare la solidità degli uni e ilfascino dell’altro, mentre è incapace dischierarsi su un fronte qualsiasi, pub-blico o privato.

La sua storia d’amore con Martha Pi-neda, moglie dell’ambasciatore urugua-iano a cui ‘affiderà’ Jones in fuga, è se-gnata da un eccesso di lucidità, vedi un’in-sanabile sfiducia, che gli fa vedere in-ganno e doppiezza in ogni atteggiamen-to, dietro ogni frase. Non a caso, è il mo-mento in cui i due sono stesi immobili,nascosti nella vegetazione, “come duesalme alle quali venisse data comunesepoltura”, che verrà da lui ricordato aposteriori come il loro più felice momen-to insieme, a dire forse che è solo nellamorte, la prima notte di quiete, per dirlacon le parole di Valerio Zurlini (il qua-le raccontò di aver scelto per il titolo delsuo film un verso di Goethe, del quale

però non ho trovato traccia), che, sopitii sogni e le passioni, si potrebbe speri-mentare qualcosa che somigli alla feli-cità. “Giacevamo tranquilli l’uno accan-to all’altra nella nostra tomba, e io l’a-mavo più di quanto l’avessi amata sul-la Peugeot e nella camera da letto so-pra il negozio di Hamit.”

La morte attraversa il romanzo, de-clinata nei suoi differenti aspetti. È lamorte della tragedia e della farsa, è quel-la quasi spensierata della madre di Bro-wn, che non rinuncia a una notte di pas-sione con il suo amante nero, infischian-dosene dei rischi, è la morte tragica diquest’ultimo, che si suicida dopo di lei,il risvolto fatale della passione. È la mor-te eroica di due dei personaggi princi-pali, come vedremo, e la morte silenzio-sa, ignorata, di un altro dei passeggeridella nave. È la morte della giustizia edell’umanità, quando non è più possi-bile nemmeno piangere i propri mortiperché lo Stato assassino ne reclama ilcadavere, come accade letteralmente nel-l’episodio del funerale del ministro delBenessere, morto suicida (l’ironia per-corre tutto il romanzo, anche nei fran-genti più drammatici), quando, senza al-tra ragione se non la vendetta verso chisi è preso un diritto riservato al potere,i Tontons Macoute impediscono al cor-teo di procedere e si portano via la ba-ra e il suo contenuto, che non verrà mairitrovato (episodio che Greene definisce‘desunto dalla realtà’). La morte dei non-morti, infine, che la gente soggiogata da

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miseria e superstizione crede vivano neisotterranei di Papa Doc (abile anche nel-l’utilizzare le credenze popolari e il voo-doo per tenere in scacco il suo popolo),schiavi anche da morti.

Il romanzo stesso si apre con unamorte annunciata: “Quando penso a tut-ti i grigi monumenti eretti a Londra aequestri generali, a eroi di antiche guer-re coloniali e uomini politici in finan-ziera i quali sono dimenticati ancor piùprofondamente, non trovo alcun moti-vo per burlarmi della modesta lapideche commemora Jones alla lontana estre-mità della strada internazionale ch’eglinon riuscì ad attraversare...”

Jones, infatti, concluderà da eroe unavita da faccendiere, così come sembraessere scritto nel suo destino sin dallasua apparizione.

“Se potessi disporre di cinquanta uo-mini delle truppe d’assalto [...] farei piaz-za pulita del paese come un purgante”,afferma infatti a pag. 22, ed è con mol-to meno di cinquanta uomini, e moltomeno addestrati delle truppe d’assalto,che si troverà alla fine a capo di una ri-voluzione, messo lì da Brown, il qualeperò ha come unico fine quello squisi-tamente privato di toglierlo dalla casadi Martha, di cui è immotivatamente ge-loso. La forza d’animo con la quale Jo-nes affronta quest’ultima avventura haun che di straziante, tanto più che, aven-do confessato a Brown le sue bugie (nelcimitero in cui trascorrono una notte na-scosti, in attesa che i ribelli vengano a

prendere il loro nuovo comandante),avrebbe facilmente potuto sottrarsi allamissione suicida. Invece, andrà versouna morte assurda, per una causa nonsua, distinguendosi per generosità e co-raggio, tenendo occupati gli inseguito-ri per favorire la fuga dei ribelli, gua-dagnandosi quella stima fino a quel mo-mento millantata.

Da un personaggio da commedia –i commedianti del titolo, destinati a sgu-sciare tra le maglie del destino, facendo-la franca, come lo stesso Brown e la suaamante Martha, ma anche altre figureminori – Jones passa dalla parte deglieroi tragici, accanto al dottor Magiot, ilpersonaggio che forse più di tutti rap-presenta l’integrità etica. Nero, comu-nista e cattolico non praticante, il medi-co sembra riunire in sé il meglio delledue fedi: la comprensione profonda del-l’umano, il senso di giustizia, la culturae il coraggio. Sembra vedere più lonta-no di tutti gli altri, nei suoi pochi ma de-cisivi interventi pronuncia parole pe-santi come pietre. Davanti all’ex mini-stro del Benessere, che si è appena sui-cidato nella piscina del Trianon, alla do-manda se sia deceduto di morte natu-rale risponde: “Le morti violente sonomorti naturali, qui. È morto del suo am-biente.”

Ma il cinismo non attecchisce in lui,che si spende fino alla fine per i mise-rabili bistrattati della sua isola, e chenella sua ultima lettera, mentre aspettache i Tontons Macoute lo vengano a pren-

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dere, ha ancora un pensiero per Brown.“La imploro – un colpo alla porta puòimpedirmi di terminare questa frase –quindi la consideri l’ultimo desiderio diun moribondo – se ha abbandonato unafede, non abbandoni tutta la fede. C’èsempre un’alternativa alla fede che per-diamo. O forse si tratta della stessa fe-de con un’altra maschera?”

La maschera, che qui ritorna, è evi-dentemente il grande tema del roman-zo. Dall’imperialismo mascherato da e-sportazione della democrazia, ai desti-ni individuali dei personaggi, ognunointerpreta una parte.

L’unico a conservare questa masche-

ra fino in fondo però è Brown stesso,che dopo aver perso il suo albergo, acausa di un guasto meccanico, un altroevento fortuito, si ricicla impresario dipompe funebri a Santo Domingo, gra-zie a un’altra svolta del destino. È lui,l’unico personaggio che non cresce. Men-tre gli Smith, pur continuando a pro-fessare la loro incrollabile fede nel ve-getarianismo, hanno dovuto sbattere con-tro il muro delle loro illusioni, scopren-do il dolore e il marcio del mondo cheil sistema in cui credono ha contribuitoa creare, mentre Jones ha accettato con-sapevolmente di portare il proprio ruo-lo fino alle sue estreme conseguenze, di-

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ventando davvero la persona che ave-va finto di essere e facendo propria lacausa per la quale darà la vita, Browncontinua a sfuggire il confronto con sestesso. Anche l’amore per Martha, cheera parso così forte da fargli sacrificarela vita di un amico, non regge in tem-po di pace, rivelandosi l’ennesima com-media, recitata solo per il tempo dellamessa in scena. Forse per questo l’au-tore si premura, nella prefazione del ro-manzo, di diffidare il lettore dalla faci-le sovrapposizione tra scrittore e nar-ratore, a ribadire che “Brown non è Gree-ne”, o forse Brown è un Greene comeavrebbe potuto essere, se non avesse tro-vato una fede autentica, un uomo smar-rito in un vuoto di senso.

“Avevo lasciato la dedizione alle spal-le, ne ero sicuro [...] l’avevo lasciata ca-dere come il gettone della roulette nelsacchetto delle offerte. Mi ero sentitonon soltanto incapace di amore – moltine sono incapaci – ma anche di colpa.Nel mio mondo non esistevano altezzené abissi... vedevo me stesso su una im-mensa pianura, a camminare e cammi-nare su distese piatte e interminabili.”

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IN LIBRERIA narrativa

Andrej Romanoviĉ Ĉikatilo, l’uomoche dal 1978 al 1990 uccise in Unio-ne Sovietica almeno 56 persone, do-po averle torturate, mutilate e averneassaggiato le interiora, è il protago-nista de Il giardino delle mosche. Ta-rabbia ci conduce tra gli oscuri an-fratti della psiche del “mostro di Ro-stov” narrandone la vita, costellatadi soprusi e umiliazioni, per mezzodel suo consueto linguaggio crudo easciutto. Ma il romanzo non è ridu-cibile unicamente alla storia di un in-dividuo di norma grigio e noioso, atratti capace di commettere eccezio-nali aberrazioni su quei soggetti dalui ritenuti inadeguati a rappresenta-re il regime. La vita di Ĉikatilo infat-ti, si fa allegoria di una Unione Sovie-

tica il cui ideale politico e sociale len-tamente si sgretola. La causa alla qua-le egli stesso sostiene di immolare lesue vittime, una grande Nazione do-ve non esiste povertà e disuguaglian-za, si svuota di significato, mostran-do i limiti di una dittatura che ha fat-to della violenza il proprio strumen-to di potere. Ecco allora che la so-cietà crea il mostro, lo giudica e logiustizia, facendosi essa stessa “Diodella carne”, così che, nello specchiodella narrativa, si veda riflessa conil volto sbilenco di Andrej Ĉikatilo.(V. Sartorio)

IL GIARDINO DELLE MOSCHEAndrea Tarabbia, Ponte alle Grazie,336 pagg., 16,80 euro

Quattro racconti sull’amore. Unità ditema, ma anche di luogo, trama, per-sonaggi e stile alla maniera della tra-gedia classica. È la provincia ameri-cana lo scenario, in particolare unaporzione circoscritta di pianura delNew England. La scoperta del diso-nore della persona amata è la tramache apre ogni vicenda, nei finali pe-rò la narrazione devia tragitto e se-gue il percorso di chi si ritrova dopoche è stato a lungo disperso. I perso-naggi sono sempre gli stessi, prota-gonisti in un racconto assumono ilruolo di comparse in un altro. Nel-l’ultimo, sviluppato a due voci, ce liritroviamo tutti davanti, sebbene lagiovane Devon, umiliata e ferita dalpadre, e il prozio Francis, uomo vec-chio e solo, la facciano da padroni.L’affabulare non è mai lineare, seguei salti temporali della mente – ampiospazio è infatti concesso alla memo-ria storica dei protagonisti e dei luo-ghi – e corre all’inseguimento di quelpensiero, di quel ricordo che apre la

porta del sommerso. Talvolta è unaparola chiave detta da un personag-gio oppure è un oggetto a innescareil flusso inconscio. E la continua gi-randola tra scoperto e celato, presentee passato, porta al crollo del castelloincantato tanto che la persona amatadiventa nient’altro che un giudice.(R. Brioschi)

L’AMORE SPORCOAndre Dubus III, Nutrimenti,336 pagg., 19,00 euro

“Il Klondike è pieno di matti, senzadubbio. E quando ce n’è tanti qualcu-no deve far fortuna, no?” La frase diShorty, il coprotagonista di questi seiracconti di London, può fungere daperfetta sintesi tematica. E la follia dicui parla è sinonimo del sogno di ar-ricchirsi a prezzo della vita che ha per-vaso non pochi avventurieri da un

giorno all’altro trasformatisi in cer-catori d’oro. È questo lo sfondo sto-rico in cui London ambienta le vicen-de del protagonista Smoke Bellew, tra-ducendo in narrativa gli anni che an-darono dall’estate del 1896 all’estatedel 1898. La logica sottesa di ogni sto-ria è semplice: chi fa fortuna diventaricco, agli altri delusione o morte. Edi questi ultimi scrive London, dei di-seredati del sogno americano, costrettiad arrangiarsi per sopravvivere. A prima vista, i racconti potrebberosembrare storie d’avventura – con tut-ti gli ingredienti cari all’autore: i ca-ni, gli indiani, lo Yukon, le foreste, laneve, l’amore – se non che Londonvi inserisce, in aggiunta, dosi di u-morismo e di dramma, animandoli conil soffio della vita. E pagina dopo pa-gina, il racconto alza la propria po-sta trasformandosi nell’eterna para-bola dell’uomo e dei suoi fantasmi...ed ecco che la storia parla di te.(Milton Rogas)

L’ERRORE DEL CREATOJack London, Robin Edizioni,225 pagg., 13,00 euro

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IN LIBRERIA saggistica

Ricco di stimoli e spunti che spin-gono nella direzione di un approfon-dimento, Etica e fotografia è una rac-colta di contributi, di taglio per lo piùstorico. Spicca l’intervento di Adol-fo Mignemi, in cui appare la fatti-specie del fotografo-vittima; quellodi Federica Muzzarelli, sul corpo del-le donne e l’importanza dell’imma-gine fotografica come sconfitta del-le censure; e quello di Michele Smar-giassi, “Bugie dell’elocutio”, che af-fronta il tema della manipolazionedelle immagini, in un susseguirsi ditesi e controtesi e comparando scrit-tura e fotografia nel contesto giorna-listico. Nell’insieme del libro tutta-

via, il tema principale, l’etica, aleggiasenza quasi manifestarsi, sopraffattadall’impostazione storica dei testi. Ar-gomento attuale e complesso, per leimplicazioni e gli usi della fotogra-fia nell’era del web 2.0, viene solo ac-cennato da Raffaella Perna in unacitazione di Tano D’amico, che nel1978 scrive: “Io mi incazzo con noiche non abbiamo ancora imparato aleggere le foto, i volti che vi appaio-no, gli ambienti”. Da allora non ab-biamo fatto molti passi in avanti, efinché non sapremo leggere una fo-tografia non avremo il senso criticoche l’era delle immagini richiede.(Gio Sandri)

ETICA E FOTOGRAFIARaffaella Perna e Ilaria Schiaffini (acura di), Derive Approdi,154 pagg., 16,00 euro

Per qualche strano paradosso della sto-ria, come se il tema fosse avvinghia-to da un tabù, argomentazioni anti-Ue si sono diffuse in maniera prepo-tente in tutta Europa coinvolgendospesso movimenti populisti e xeno-fobi, ben più raramente pensatori ca-paci di denunciare il disegno di sfrut-tamento capitalistico promulgato da-gli eurocrati. Il caso di Diego Fusa-ro è una meritevole eccezione, e la suaavversione all’Europa economica tro-va sbocco definitivo in questo agiletesto in cui le politiche Ue sono vi-ste alternativamente come sbocco de-finitivo del “capitalismo assoluto”, co-me tentativo di destabilizzazione delprincipio di sovranità nazionale, co-me malefico principio di sradicamen-to e distruzione di ogni differenza. Ca-pace di muoversi in maniera ereticatra Gramsci e Heidegger, Fusaro ag-giunge qui un tassello alla sua operafilosofica; chi conosce il suo percor-so inevitabilmente si imbatterà in te-mi già esposti dall’autore in passato,soprattutto ne Il futuro è nostro, maoccorre rimarcare come in questo sag-gio, che a dispetto della brevità nonè un pamphlet, lo stile si faccia piùchiaro, a favorire una maggior diffu-sione di un pensiero critico che vor-rebbe farsi azione. Notevole, da unpunto di vista meramente filosofico,la sfida di voler ripartire dall’ideali-smo. (A. Cresti)

EUROPA E CAPITALISMODiego Fusaro, Mimesis Edizioni,140 pagg., 14,00 euro

Due piani si incrociano e si comple-tano, in questo testo sospeso tra sag-gistica e narrativa: quello privato, in-timo, del rapporto tra un uomo e il suolupo, e quello universale, scientificoe filosofico che riguarda il rapportodella razza umana con la vita sel-vaggia. L’uomo in questione, Mark

Rowlands, oltre a essere il felice pro-prietario di un lupo di nome Brenin,è anche il docente di filosofia che siinterroga sui grandi temi dell’esisten-za, dall’evoluzione alla felicità, allanatura del tempo e della morte. “Noiviviamo attraverso i momenti ed è perquesta ragione che il momento ci sfug-ge”. Le conclusioni non sono lusin-ghiere per gli eredi delle scimmie, dalmomento che tra le caratteristiche chenon abbiamo in comune con i lupic’è la nostra capacità – comune aiprimati – di utilizzare l’inganno perottenere quello che vogliamo e im-pedire al contempo agli altri membridel branco di averlo. Se uno scim-panzé può fingere di non aver vistouna prelibatezza, per mangiarsela poida solo, i lupi si affrontano per quel-lo che desiderano, possono uccide-re, ma sono incapaci di portare ma-schere. “Gli uomini sono quegli ani-mali che progettano la possibilità delmale. [...] Un lupo fa quel che fa ene accetta le conseguenze”.(S. Campolongo)

IL LUPO E IL FILOSOFOMark Rowlands, Mondadori,228 pagg, 18,50 euro

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LE INSOLITE NOTE

i sono cose nella storia della musica rock e pop chenon riesco proprio a capire. Più che altro mi stupisco,tutte le volte che ci penso, a quanto veloce e vertigi-

noso sia il consumo di questo tipo di musica che è oramai di-ventata omnipervasiva. L’altra cosa che mi rende perplesso èla proliferazione di termini che dovrebbero indicare, identi-ficare, catalogare, insomma aiutarci a capire lo specifico am-bito di musica in cui si colloca ciò che stiamo ascoltando. Ol-tretutto mi sono accorto che c’è stata una sorta di appropria-zione indebita di una serie di termini che oramai non indica-no più ciò che indicavano una volta, come progressive.

C

Come se non bastasse, sono convinto che la maggior par-te degli autori non abbia molto chiara la discendenza che han-no alle spalle. Faccio un esempio: se mettiamo insieme unacoordinata spazio-temporale come il periodo che va dall’ar-rivo degli schiavi africani sul continente americano a inizioanni ’70 con una coordinata del tutto musicologica come lascala del blues, siamo in grado di ricostruire una genealogiasocio musicale piuttosto chiara. Voglio dire, stiamo parlandodell’intera storia del Blues, del Jazz e del Rock & Roll, micabruscolini. Sino a quel momento è ancora possibile trovare del-

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DI AUGUSTO Q. BRUNI

MEDIUM MEDIUMC CAT TRANCE

IN MEMORIAM(1981-1990)

le caselle, distinguere delle filiazioni, orientarsi nelle apertu-re segnate di volta in volta da questo o quell’autore. Ma unacosa è certa: una volta dimenticata questa matrice, scompar-sa ogni traccia di blues, non ha più senso utilizzare la vec-chia terminologia. Il risultato è che dentro il termine ‘Rock’ eancora di più dentro il termine ‘Pop’ è finito di tutto e di più.Cosicché sin dagli anni ’70 è stato normale chiamare ‘rock’una band come Emerson, Lake e Palmer caratterizzata da pe-santi infiltrazioni della musica classica, oppure i buoni vec-chi Jehtro Tull, intrisi di folk britannico rivisitato (a parte i pri-mi due album in cui c’è ancora del blues). Da quel momentoin avanti c’è stata una proliferazione spaventosa di termini,che avrebbero dovuto indicare generi e sottogeneri, ma che fi-niscono in larga parte per far litigare chi li usa: il motivo èsemplice e sta nel fatto che nessuno dei termini parla o si ri-ferisce a un contenuto musicale in termini strettamente mu-sicali. Più spesso in realtà si parla di funzione: per esempiola dance music che tanti di noi hanno ballato negli anni ’70 siè emancipata fondamentalmente dalla cosiddetta soul musicbuttando alle ortiche la matrice blues e le ritmiche a essa con-nessa. Fondamentalmente è un’operazione fatta dai bianchi,

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che ha coinvolto oramai miliardi di ascoltatori. La matriceblack, beninteso, continua a sopravvivere. Solo uno sciocco po-trebbe pensare che Michael Jackson sia stato solo un cantan-te pop. Già qualche decina di anni fa il grandissimo trombet-tista nero Lester Bowie con la sua Brass Fantasy se ne vennefuori con una stupefacente versione jazz di una hit come Th-riller, e la cosa si è ripetuta in tempi più recenti con l’omag-gio tributato a Jackson dal nostro Enrico Rava in Rava on thefloor (con gli ottimi arrangiamenti di Mauro Ottolini). Per quan-to sbiancato, il nero tornava fuori. Recentemente ho fatto unalezione a dei ragazzi delle medie superiori che mostravanod’essere estremamente competenti in termini di Rap e Hip-Hop culture. Sono cascati dal pero quando ho fatto loro ascol-tare delle dirty dozens di un centinaio di anni fa...

Insomma, nella cultura bianca e occidentale il villaggio glo-bale è oramai cosa assodata. Esattamente come oltre la Cor-tina di Ferro si ascoltavano avidamente tutte le musiche cheprovenivano da Radio Free Europe, così noi che giravamo perl’etere prima delle radio libere ci siamo prima o poi imbattu-ti in qualche melopea di sapore vagamente arabo, senza sa-pere distinguere se avessimo di fronte un marocchino anzi-ché un pakistano, un turco anziché un egiziano. Che io ricor-di, ci sono stati almeno tre input, tre campanelli d’allarmeche mi hanno fatto capire come il vaso di Pandora della co-municazione si fosse irrimediabilmente spaccato e come ora-mai il mondo corresse verso quella che si sarebbe chiamataglobalizzazione:

1. il fondamentale My life in the bush of ghosts di B. Eno eD. Byrne, da più parti accusato di essere una mera operazio-ne di cannibalizzazione colonialista delle culture extraeuro-pee, per avere osato campionare dall’etere delle voci della cul-tura musicale medio orientale;

2. la scena di Blade Runner ambientata nel locale di TaffyLouise, dove il detective Deckard-Harrison Ford è circonda-to da bellezze femminili poco occidentali e dove la musica insottofondo è uno stupefacente cocktail di sonorità medio orien-tali con una spruzzata di elettronica (è ancora oscuro l’auto-re, forse Vangelis);

3. l’uscita in pubblico di festival e album marcati Real

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MEDIUM MEDIUM + C CAT TRANCE

World, che portavano alla ribalta mondiale gruppi e autoridi tutto ciò che non apparteneva all’Occidente musicale.

Tutto intorno giravano musicisti come i Tuxedomoon conla loro Courante Marocaine e Holger Czukay ex-Can con Per-sian Love... a me capitò di ascoltare nel 1981, non so dire piùdove e a opera di chi, l’uscita di un gruppo britannico chia-mato Medium Medium, con brani come Guru Maharaj e Ser-bian Village (https://www.youtube.com/watch?v=1kDGPzf77WAe https://www.youtube.com/watch?v=GXPTuwL7SEk), che ven-ne etichettato sbrigativamente come musica post punk con in-fluenze medio orientali. Tutto finì nel frullatore dove si agi-tavano quei tre input iniziali, dunque non mi stupì più di tan-to. Ma dovetti aprire le orecchie per benone quando due an-ni dopo, sempre probabilmente per via radiofonica mi capi-tarono per le orecchie i C Cat Trance, formati da John ReesLewis (voce e sax) e il percussionista Nigel Stone, entrambireduci dall’esperienza Medium Medium.

A distanza di molti anni, e qui torno all’incipit, la do-manda è: perché questa band è stata così totalmente dimen-ticata? Come è possibile che non abbiano mai raggiunto qual-siasi grado decente di riconoscimento internazionale? L’uni-ca spiegazione plausibile che attualmente riesco a darmi èche la distribuzione dei loro album sia stata veramente mol-to carente, soprattutto nei termini di risonanza sui vari me-dia. Tornando con la mente alla situazione del mercato di-scografico di inizio anni Ottanta, credo la musica dei C CatTrance fosse un qualcosa di veramente elitario e sin troppoavanti – di fatto solo l’album di Eno e Byrne ricevette risonan-za internazionale, pur non raggiungendo mai vette assolutedi vendite.

La storia ci racconta invece come prima i Medium Me-dium poi i C Cat siano andati in giro per l’Europa semprein piccoli club e piccoli punk bar, specie in Germania e Bel-gio. Nel transito da un gruppo all’altro mantennero una cer-ta impronta di oscura melanconia, ma aggiunsero la cosa es-senziale cioè scale musicali e ritmiche medio orientali. Intor-no a tutto, il sax di Rees, suonato digrignando i denti e conuna certa aria malata da vecchio punk. Senza che nessuno deidue fosse o per cultura o per sangue apparentato al MedioOriente, ebbero il coraggio di mettere nella loro musica l’at-

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LE INSOLITE NOTE

mosfera oppressiva di una qualunque caotica metropoli isla-mica proiettata verso il futuro. Suonavano come fossero unaband di musulmani rinnegati e fuori di testa in un bar di Sa-turno, come se i King Crimson suonassero Ladies on the Roadin un covo di fumatori di hashish marocchini, accompagnatida un ensemble altrettanto ‘stoned’. Ben prima dei The Prayerso degli Enigma reintrodussero il canto gregoriano nella sce-na rock, mentre si abbeveravano al Rai algerino o al Qawaalpakistano un passo prima prima che si cominciasse a pensa-re alla world music. Indubbiamente la matrice era post punk,se non altro sul piano cronologico, ma è come se avesseropresentito che tutta la rabbia del mondo islamico verso l’Oc-cidente bianco avrebbe cominciato a tracimare prima dallesquallide banlieue parigine e poi dalle sponde del Mediter-raneo. Hanno avuto il coraggio di guardare il lato meno ‘ca-rino’ ed ‘esotico’ della world music. Ecco perché credo siacorretto dire che in loro il post punk, con tutto ciò che di o-scuro aveva dentro, abbia evocato la trance, nel senso più au-tentico del termine: andare oltre e immergersi nella vertigi-ne, come se improvvisamente tutti i clacson delle auto di Da-masco o di Baghdad avessero cominciato a suonare all’uni-sono, con un curioso effetto di sirena nasale, muovendosi inun’unica fila per andare in pellegrinaggio alla Mecca. Il Saxdi Reese borbotta, scoppietta, accenna un passo di danza,

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MilanoExpo 2015.

Foto byGiulia Zucca

MEDIUM MEDIUM + C CAT TRANCE

singhiozza, impreca, si mette in testa al corteo spinto da unapropulsione di batteria meccanica e percussioni campionate.Musica da un’altra era possibile, troppo avanti per i suoi tem-pi, probabilmente, ma ancora vibrante e in grado di eccitarcinella danza e nell’ascolto.

In chiusura, oltre a raccomandarvi l’ascolto o l’acquisto diqualunque cosa abbiano inciso i C Cat Trance (a proposito, ilraddoppio della C pare debba intendersi come un balbettio)vi segnalo una play list di brani usciti subito dopo di loro: ol-tre a dimostrare quanto siano stati seminali i C Cat, è un ot-timo modo per arredare musicalmente il vostro soggiorno conmusica che non sapete, soprattutto, quando è stata prodotta.Alla faccia del consumo.

A me piace parecchio: Acid Arab Ft. Avril, Shadi Khries – Samirahttps://www.youtube.com/watch?v=ibFzELEUilA

Sexy, fuori orbita, mortale: Marie Madeleine – Love Suicide (AcidArab Remix)

https://www.youtube.com/watch?v=74KPjoA_39QSulla stessa scia, ma con più funky dentro: Boys In The Oudaka Turzi, Judah Warsky, Dj Gilb’R & Adnan Mohamed – Cosmi-que Arabe

https://www.youtube.com/watch?v=jruDHYt1COgCome sopra, ma un po’ più facile: Mattia – Surabaya

https://www.youtube.com/watch?v=qTxmR8bvalIUno dei mix del DJ Jan Drivers tra techno con flauti arabi daincantatore di serpenti

https://www.youtube.com/watch?v=aiWXmR_PbvkLa notevole ritmica di Final Warning – Badawi

https://www.youtube.com/watch?v=xqOz55BaLm0&index=24&list=PLJwPflQaqXoyEmEAtpv7CMRGsXhOl4Ns7

And the hypnotic The Storm – Badawihttps://www.youtube.com/watch?v=T-6y47a4qNg

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ZONA FRANCA di Andrea Cocci

Se detesti i film d’azione (anzi, gliecscionmùvis) di macchinoni che sirincorrono alla velocità della luce, gui-dati da ritardati muscolosi decerebratiimpegnati a conquistare un pianetaridotto a macerie e dolore, dove la vi-ta non vale niente... Guardalo! Guil-ty pleasure? Sì... ma anche no!Finitii soldini ricavati da Happy Feet2 (chenon è un sollazzo per feticisti [o for-

se sì!] ma un lungometraggio d’ani-mazione [che non ho avuto il corag-gio di visionare]) George Miller tor-na a guadagnarsi la pagnotta diver-tendo il grande pubblico, contempo-raneamente dimostrando alla platea unpelino-ino più esigente che se ci saifare, circondato da veri professioni-sti, puoi prendere una storia senzatroppe pretese e renderla qualcosa diepico. Alcuni Cinefili parlano di ca-polavoro; per concordare o fanculiz-zare dovrei rivederlo; MMFR è ano-malo; nonostante possieda tutte le ca-ratteristiche (montaggio videoclippa-ro, fotografia HHHHHD, colonna so-nora creata in laboratorio, rallenty au-to celebrativi ecc.) per sembrare unblockbuster figlio del suo tempo – untempo fatto di niente e poca roba ri-piena di nulla – si rivela l’opera diun sapiente artigiano capace di stu-pire e conquistare anche chi non silascia ammaliare da giochini di pre-stigio. Concedetegli almeno una chan-ce; se la merita.

MAD MAX: FURY ROADregia di George Miller, 2015

Harry Powell è un predicatore – tra ipiù falsi, viscidi, stronzO e megliocaratterizzatO della storia del cinema(parere puramente personale, n.d.a.)– che sposa e uccide facoltose vedo-ve per ciulargli il patrimonio. Riescesempre a scamparla (chi mai sospet-terebbe di un timorato, fervente, lo-gorroico rappresentante [porta-a-por-ta] di Dio?) fino a che non s’imbattenei figlioletti di Willa Harper, i qualilo faranno più che incazzare. Al cine-ma passò inosservato, ma non c’è dastupirsi; che certe opere – troppo a-vanti per l’epoca in cui vengono par-torite – verranno (ri)scoperte e apprez-zate soltanto nei decenni successivi(vedi Quarto potere!!!) non è unacostante. È una legge. Ciononostan-te, a distanza di sessant’anni, non pos-siamo fare a meno di notare che erae rimane un capolavoro senza tem-po, perché puoi manipolare e riscri-vere la/una storia; gli archetipi era-no, sono e saranno al di là dell’inter-

vento umano. Menzione d’onore perla genuina onestà del finale; questisono veri bambini. I bambinuominicinematografici d’oggi sono invero-simili; pensano e agiscono come a-dulti fatti e finiti. È talmente bello chepotrei guardarlo ogni giorno, a rota-zione, continuando a provare le me-desime ancestrali sensazioni. Da ve-dersi rigorosamente in lingua.

LA MORTE CORRESUL FIUMEregia di Charles Laughton, 1955

Parlando di cinema: quante volte t’ècapitato di citare un cult con noncha-lance e, notata l’espressione pesce-lessa dell’interlocutore, bloccarti perchiedergli: Come? NON L’HAI MAIVISTO? Diamo per scontate moltecose. Chi non ha mai visto The Tru-man Show? Già. Se non lo hai maivisto corri immediatamente a com-prare il dvd. La trama? Se è bello?VA’-SUBITO-A-COMPRARLO! Sel’hai già visto riguardalo. Perché?

DALL’OTTICA SOCIALE: nel lon-tanissimo 1998 uscii dal cinema sod-disfatto. Ma ero anche inquieto. Midomandai se un futuro simile fossepossibile. Vivendo ora quel ‘futuro’chiedo a te: pare ancora così fanta-scientifica l’idea di telecamerizzarequalcuno (ancor prima che nasca!) etrasmetterlo in tv 24h su 24 per purodivertimento? DALL’OTTICA UMA-NO-EVOLUTIVA: TTS è una favo-la iniziatica. Mostra dettagliatamen-te cosa succede a chi realizza che quellache la stragrande maggioranza di noipercepisce come ‘realtà reale’ altronon è che un’illusione frutto di ma-nipolazione. Prima indotta, poi au-toindotta. È la storia dell’Uomo cheintraprende la strada della Consape-volezza. Anche Ricomincio da capotrattava questo argomento. Nigredo, al-bedo, rubedo: ti dicono niente? L’al-chimia non si occupa solo di metallie fantomatiche pietre magiche. Tru-man: uomo della verità? FRATEL-LI: SVEGLIAA!!!

THE TRUMAN SHOWregia di Peter Weir, 1998

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RESTITUZIONE PROSPETTICAExpo 2015: lo spettacolo,il kitsch, la violenzadi Giovanna Cracco

POLEMOSPrincìpi di economiafrancescanadi Giovanna Baer

Turchia, Isis, gas e nuoviequilibri imperialisticidi Fabio Damen

L'INTERVENTOSupportare la resistenzapreparare l'offensivaDove sono i nostriCollettivo Clash City Workers

(DIS)ORIENTAMENTIAlle radici del fascioleghismo.Gli anni '90: il Carroccio e laNuova destra franco-italianadi Matteo Luca Andriola

INTERVISTASusanna Parigi.Viaggio al termine delle notedi Giuseppe Ciarallo

A PROPOSITO DI...Il mondo delle classi menoabbienti nella letteratura enel cinema della Gran Bretagnadel primo Novecentodi Carmine Mezzacappa

FILO-LOGICOMenzognadi Felice Bonalumi

SOTTO I RI(F)LETTORITra luce e tenebreRecensione de I commedianti,Graham Greenedi Sabrina Campolongo

LE INSOLITE NOTEMedium Medium + C Cat TranceIn memoriam (1981-1990)di Augusto Q. Bruni

8,00 euro

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anno VIII - numero 36 - febbraio / marzo 2014 - www.rivistapaginauno.it

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