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WWW.DEMOCRATICA.COM n. 346 venerdì 8 febbraio 2019 “Perdere una figlia è una tragedia. La seconda è stata quella di vederla condannata a vivere” (Beppino Englaro, padre di Eluana morta il 9 febbraio 2009 e dal 1992 in stato vegetativo) Abruzzo, Legnini: “Possiamo vincere” Caso De Gregorio, proposta di legge Pd ELEZIONI REGIONALI INFORMAZIONE PAGINA 4 PAGINA 5 ALLE PAGINE 6-7 Sinistra, che fare? Lampi di analisi di Tronti IL LIBRO PAGINA 2 A San Giovanni Sindacati Dopo quasi sei anni Cgil, Cisl e Uil di nuovo unite in piazza contro il governo. Landini: “Sarà una grande manifestazione” L a ricreazione è finita... è il messaggio che viene da Parigi dopo l’ennesima inutile provocazione di Di Maio. Non si è mai visto un vicepresidente del consiglio organizzare una visita quasi clandestina in Francia per incontrare un estremista di destra, islamofobo e che propone un colpo di stato militare con sostituzione del Presidente della repubblica francese con un generale. L’ unica autonomia possibile è quella pensata dal centrosinistra con la riforma del 2001. Ormai è chiaro a tutti, da nord a sud che non c’è alternativa a quello schema, per lo meno, non c’è a Costituzione vigente. Vengono meno, di conseguenza, i fantocci del residuo fiscale e della possibilità di mantenere sul territorio gli x decimi del gettito fiscale, comunque lo si calcoli, il 2, il 5 o il 9. Populismo? Lo scontro con la Francia è stupidità La “nostra” autonomia è l’unica possibile L’EDITORIALE /1 L’EDITORIALE /2 Sandro Gozi Roger De Menech SEGUE A PAGINA 3 SEGUE A PAGINA 5 PAGINA 2 Ancora un crollo per la produzione industriale: -5,5% in un anno ECONOMIA

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n. 346venerdì

8 febbraio2019

“Perdere una figlia è una tragedia. La seconda è stata quella di vederla condannata a vivere”(Beppino Englaro, padre di Eluana morta il 9 febbraio 2009 e dal 1992 in stato vegetativo)

Abruzzo, Legnini: “Possiamo vincere”

Caso De Gregorio, proposta di legge Pd

ELEZIONI REGIONALI INFORMAZIONE

PAGINA 4 PAGINA 5 ALLE PAGINE 6-7

Sinistra, che fare?Lampi di analisi di Tronti

IL LIBRO

PAGINA 2

A San Giovanni

Sindacati Dopo quasi sei anni Cgil, Cisl e Uil di nuovo unite in piazzacontro il governo. Landini: “Sarà una grande manifestazione”

La ricreazione è finita... è il messaggio che viene da Parigi dopo l’ennesima inutile provocazione di Di Maio. Non

si è mai visto un vicepresidente del consiglio organizzare una visita quasi clandestina in Francia per incontrare un estremista di destra, islamofobo e che propone un colpo di stato militare con sostituzione del Presidente della repubblica francese con un generale.

L’unica autonomia possibile è quella pensata dal centrosinistra con la riforma del 2001. Ormai è chiaro a

tutti, da nord a sud che non c’è alternativa a quello schema, per lo meno, non c’è a Costituzione vigente. Vengono meno, di conseguenza, i fantocci del residuo fiscale e della possibilità di mantenere sul territorio gli x decimi del gettito fiscale, comunque lo si calcoli, il 2, il 5 o il 9.

“ “Populismo? Lo scontro con la Francia è stupidità

La “nostra” autonomia è l’unica possibile

L’EDITORIALE /1 L’EDITORIALE /2

Sandro Gozi Roger De Menech

SEGUE A PAGINA 3 SEGUE A PAGINA 5 PAGINA 2

Ancora un crollo per la produzione industriale: -5,5% in un anno

ECONOMIA

2 venerdì 8 febbraio 2019

Il sindacato è vivo e vegeto: Cgil Cisl e Uil domani in piazza

Domani il popolo del lavoro scenderà in piazza a Roma. Cgil, Cisl e Uil contano di ri-empire piazza San Giovanni, storico teatro delle manife-stazioni sindacali, a sostegno

delle proposte unitarie su crescita, sviluppo, lavoro, pensioni e fisco. “Futuro al lavoro”: è questo lo slogan della protesta che si pone l’obiettivo di indurre il Governo a confron-tarsi con le parti sociali per cambiare la politica economica. Tutto farebbe pensare a una piazza piena. Sono 1.300 gli autobus che arriveranno da tutta Italia, 12 treni stra-ordinari, 2 navi, oltre 1.000 partecipazioni dalle isole. Gli organizzatori si sono mostrati infatti ottimisti, tanto da spostare il comizio da piazza del Popolo alla più capiente piaz-za san Giovanni.

Le richieste principali sono un piano straor-

dinario di investimenti; maggiore attenzione al Mezzogiorno, il “grande assente” della legge di Bilancio; la riforma del sistema fiscale trop-po sbilanciato a danno di lavoratori dipenden-ti e pensionati; una riforma “vera”, strutturale, delle pensioni, non sperimentale come quota 100; la scuola e tutto il sistema dell’istruzione. Non convince invece i sindacati la flat tax, che non rispetta i principi di progressività dell’im-posizione fiscale indicati nella Costituzione così come il reddito di cittadinanza, che non sarà capace di creare lavoro né sostenere ve-ramente chi ha bisogno di inclusione.

“Se il Governo continua a non ascoltarci non ci fermeremo alla manifestazione - dice Landi-ni - vogliamo un confronto e una trattativa per portare a casa dei risultati. Occorre aprire un vero confronto sul futuro del Paese, mettendo in campo un serio piano di investimenti, una vera riforma fiscale e affrontando la questione Mezzogiorno. Furlan sottolinea invece che “il crollo della produzione industriale è un dato molto preoccupante. E’ la conferma che il Pae-se sta scivolando verso la recessione. Il Gover-

no scenda dal piedistallo. Apra un confronto con il mondo del lavoro su investimenti, in-frastrutture, innovazione, ricerca e formazio-ne. Barbagallo, infine, assicura che “sarà una grande manifestazione di partecipazione e di proposta. Chiederemo al Governo di ascoltare le ragioni del mondo del lavoro. Quota 100 e reddito di cittadinanza vanno bene, ma non bastano. Molti lavoratori avrebbero diritto di andare in pensione e non potranno andarci comunque”.

La manifestazioneL’appuntamento è per domani 9 febbraio

a Roma in Piazza della Repubblica alle ore 9, dove partirà il corteo che arriverà in Piazza San Giovanni in Laterano. Sul palco, prima dei comizi conclusivi, prenderanno la parola sei tra delegati e delegate per dare voce a tutti i settori e le generazioni del mondo del lavoro. Intorno alle ore 12.00 prenderanno la parola i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barba-gallo.

Economia

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Dopo quasi sei anni le tre confederazioni tornano a manifestare unite contro il governo

Ancora un pesante crollo per la produzione industriale

La difficoltà per l’economia italiana è più grave di quanto previsto. A foto-grafare il complicato momento della seconda manifattura d’Europa è il pe-

santissimo crollo della produzione industriale diffuso oggi dall’Istat, che delude di molto le aspettative degli analisti. Dopo il crollo di no-vembre (dell’1,7%), nel mese di dicembre il valore legato all’industria è sceso dello 0,8% su base mensile. Ma quello che colpisce mag-giormente è la discesa del 5,5% su base annua, almeno due percentuali peggiore rispetto alle attese degli analisti.

È dunque palese come, ormai, le previsio-ni di crescita del governo si siano rilevate a dir poco ottimistiche e come, soprattutto, non

potranno mai essere raggiunte. Con la preoc-cupante conseguenza per il governo di dover mettere in piedi una manovra bis pur di far quadrare i conti pubblici. Con queste previsio-ni saranno infatti necessari nuovi tagli (ai ser-vizi?) o maggiori entrate (nuove tasse?). Pena, l’inevitabile tagliola che lo stesso governo ha deciso di mettere nero su bianco nell’ultima manovra, ovvero le clausole di salvaguardia di cinquanta miliardi per i prossimi due anni, da recuperare attraverso l’aumento dell’Iva (altra tassa).

Il dato di oggi fa il paio con quelli sul Pil di qualche settimana fa, e conferma come come il Paese sia ripiombato ormai nella recessione: nel terzo e nel quarto trimestre del 2018 per due volte la crescita è andata sotto zero. E non si tratta soltanto di una congiuntura interna-zionale, come vorrebbero far credere i leader dei due partiti di maggioranza. Tanto che oggi

l’Istat, nel suo rapporto, ha ribadito ancora una volta come il calo sia dovuto principalmente a “una nuova flessione della domanda interna”.

La situazione dunque si complica, al pun-to che il Fondo monetario internazionale, nei giorni scorsi, ha lanciato l’allarme sull’Italia (“può contagiare l’intera economia globale”). E al punto che le scelte di politica economica italiane cominciano ormai a preoccupare la Commissione europea - è stato evidenziato ieri nel rivedere al ribasso le stime di crescita.

Tuttavia il governo fa quadrato e cerca di sminuire la portata della crisi, smentendo peraltro qualsiasi ipotesi di manovra bis. At-tenzione, però, - è questa la maggiore preoc-cupazione degli analisti - a non sottovalutare troppo gli evidenti segnali di difficoltà della nostra economia. Si continua invece a fare sol-tanto campagna elettorale.

Stefano Minnucci CONDIVIDI SU

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3 venerdì 8 febbraio 2019

Quanto rischia di costarcila farsa dello scontrodel governo contro la Francia?

Ogni azione ha le sue conseguenze. Il vicepremier Di Maio avrebbe dovuto impararlo da piccolo eppure continua a perseverare negli errori. Il suo incontro con uno dei leader più movimentisti dei gilet gialli è già costato molto caro in

termini di credibilità (non quella del ministro ormai ridotta ai mini-

mi termini, ma per il nostro Paese). Ce lo ricorda molto bene Benja-min Griveaux, portavoce del governo francese, che non nasconde la sua incredulità: “C’è un capo del governo in Italia ed è il signor Conte”, che il presidente francese Emmanuel Macron, ha “incontra-to diverse volte”. E aggiungiamo anche che ci sarebbe un ministro degli esteri italiano: allora perché decidono tutto i due vicepremier con tweet e improvvisate? E’ proprio a loro che Parigi non risparmia qualche frecciatina: “Le loro battute su Macron non hanno evitato all’Italia di entrare in recessione”. Anzi, ad aggravare una situazione economica già grave, il Sole 24 Ore citando “fonti autorevoli” rivela che AirFrance-Klm si sarebbe “sfilata” dalla partita sul salvataggio di Alitalia. La decisione è diretta conseguenza del richiamo a Pari-gi dell’ambasciatore a Roma. Le Fs erano orientate a scegliere come partner industriale l’americana Delta, che aveva annunciato la di-sponibilità ad acquisire il 40% della nuova Alitalia insieme al vettore franco-olandese. Un’altra occasione persa.

Europa

Agnese Rapicetta CONDIVIDI SU

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Populismo? No, lo scontro con Parigi è solo stupidità

Dopo che nei mesi scorsi lo stesso Di Maio ha definito Macron il “nemi-co pubblico numero uno” e ha invi-tato i gilets jaunes a “non mollare”

un giorno dopo l’aggressione a dei gendar-mi e l’entrata di una ruspa al ministro dei rapporti col parlamento. Dopo che Salvini dice di stare con i gilets contro un pessimo presidente della repubblica. Ingerenza? Populismo? No, semplice stupidità. Perché tutto questo non fa altro che isolare l’I-talia. Ancora una volta, in nome del po-polo i populisti vanno contro gli interessi dei popoli. Che non sono di provocare una guerriglia permanente con un paese vicino e alleato. Il che non significa affatto essere d’accordo sempre su tutto e non tutelare i propri interessi. Ma anche per sbattere i pu-gni sul tavolo, occorre sedersi al tavolo. E in-ventarsi un conflitto al giorno porta invece porta a chiedere porte e finestre, altro che aprire tavoli. Con i nostri governi abbiamo affrontato varie questioni con la Francia, da Fincantieri all’Africa. Non sempre eravamo d’accordo, sempre siamo riusciti a trovare un accordo, come dimostrato dal Vertice Franco-Italiano di Lione di settembre 2017.

Mentre a Parigi aspettano ancora l’invi-to per il Vertice da organizzare in Italia nel 2018 e non credo stiano ora preparando gli inviti per Conte & co. nel 2019. Si, perché è ridicolo anche criticare la Francia per il Trat-tato di Aquisgrana con la Germania dopo che si è buttato alle ortiche lo stesso Trattato tra Francia e Italia che stavamo negozian-

do con il nostro governo. E anche perché a Parigi hanno capito il bluff delle inutili ma-schere “pacate” di Conte o Moavero, quando ormai tutti vedono che la “politica” estera del governo è decisa a colpi di tweet e visi-te non annunciate di Salvini e Di Maio. Del resto, quale credibilità può avere un Presi-dente del Consiglio che ridicolizza sé stesso e tutti noi con fuori onda imbarazzanti con Angela Merkel. Come può essere ascoltato un ministro degli esteri, Moavero, che an-ziché tentare di fare politica estera dichiara che dovremmo abituarci alle provocazioni e agli insulti perché le elezioni europee si av-vicinano e andiamo verso una politica tran-sazionale? Con evidenza, non ha convinto nessuno a Parigi. O meglio, ha fatto capire a tutti di non contare assolutamente nulla. E allora, ci sorprendiamo che Parigi abbia richiamato l’ambasciatore per consultazio-ni? Questo è il punto: la linea rossa che ha oltrepassato Di Maio ha fatto capire a tutti a Parigi che è, purtroppo, perfettamente inu-tile perdere tempo con altri: decidono tutto Salvini e Di Maio. E hanno anche capito che cercare di nascondere la realtà politica sen-za avere la volontà e la forza di cambiarla, come nel caso di Conte e Moavero, aggrava il problema anziché risolverlo. Ecco perché l’ambasciatore è stato richiamato.

Oggi scrivo proprio da Parigi, dove già una settimana fa ho partecipato a un dibattito pubblico con la ministra affari europei Na-thalie Loiseau. Per ricordare che c’è un’altra Italia. Un’Italia che sa che il nostro futuro si costruisce in Europa. Un’Europa da rifonda-re, con alleati essenziali come Macron e la Francia e con tutti i popoli e gli Stati che li-beramente scelgono di costruire un’Europa

che moltiplichi sicurezze, protezioni e op-portuni.

E poi, vogliamo pensare agli ingressi nazionali? Al surplus commerciale di 10 miliardi che abbiamo con la Francia? Alle decine di migliaia di imprese italiane in Francia e francesi in Italia? A Alitalia? Ai cantieri navali, al Mediterraneo, al necessa-rio lavoro tra servizi segreti dei nostri due paesi? Possibile che tutto debba essere sacri-ficato nella disperata ricerca di un nemico esterno per nascondere i fallimenti interni del governo gialloverde? Se arretra il PIL, se non si fanno i rimpatri, se gli investitori esteri girano le spalle all’Italia, se la disoccu-pazione cresce, se l’Italia non gioca si Mon-diali di calcio. Possibile che sia sempre e solo colpa di Macron? E sopratutto, pensano veramente Salvini e Di Maio che con Mari-ne Lepen o i gilets all’Eliseo loro potrebbero lavorare meglio con la Francia? A giudicare dalla relazioni dell’una e degli altri su im-migrazione, franco CFA e altro, non ne sarei così sicuro.

Ecco perché le elezioni europee sono per noi una grandissima opportunità e un importante dovere verso gli italiani. Ecco perché dobbiamo prendere nuove iniziati-ve politiche costruire nuove alleanze in Eu-ropa. A partire proprio da Macron. Perché solo una vera rifondazione Europea, solo un’Europa che lotti contro le diseguaglianze e la povertà, che governi la finanza e il digi-tale, che riprenda controllo sull’immigrazio-ne, che costruisca un esercito comune potrà sconfiggere la propaganda autolesionista dei nazionalisti. Questo è il nostro compi-to, questa è la nostra vera sfida.

Sandro GoziSegue dalla prima

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4 venerdì 8 febbraio 2019

“Siamo in forte e costan-te ascesa e domenica possiamo vincere”. Ne è certo Giovanni Legnini, candidato della coalizio-ne di centrosinistra alla

presidenza della Regione Abruzzo, in vista delle elezioni che si svolgeranno domenica 10 febbraio. L’ex vice presidente del Csm re-spinge l’idea degli avversari, Marco Marsilio per il centrodestra e Sara Marcozzi per M5S, secondo cui gli unici veri competitor in cam-po siano loro stessi: “La rappresentazione che danno la destra e i Cinque Stelle è falsa. Tutti sanno - afferma - che io guido una coali-zione ampia e plurale con 8 liste espressione del civismo, del centrosinistra, di componen-ti cattoliche e liberali”.

Quattro gli aspiranti governatori: Giovan-ni Legnini, candidato del centrosinistra, so-stenuto da Progressisti con Legnini-Sinistra Abruzzo-LeU, Avanti Abruzzo - Italia dei Va-lori, Partito Democratico, Abruzzo in comu-ne, Centristi per l’Europa-Solidali e Popolari per Legnini, Abruzzo Insieme - Abruzzo Fu-turo, Legnini Presidente, +Abruzzo - Centro Democratico; Sara Marcozzi, candidata del Movimento 5 Stelle; Marco Marsilio, candida-to del centrodestra sostenuto da Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Azione Politica; Ste-fano Flajani, in corsa per Casapound. Seggi aperti dalle 7,00 alle 23,00.

“L’Abruzzo - prosegue Legnini - si è tra-sformato in un campo di battaglia fra Lega

e 5 Stelle, divisi su tutto, e all’interno della destra, con Berlusconi che parla di un gover-no di incapaci che deve cadere al più presto, e Salvini che viene a fare propaganda sulle misure del governo, tentando di occultare gli enormi problemi del Paese, dalla recessione all’isolamento internazionale. La verità, che loro conoscono, è che noi siamo in forte e co-stante ascesa e domenica possiamo vincere”.

Quanto ai punti deboli degli avversari, Le-gnini sottolinea che “il candidato di destra è un senatore romano che non sa nulla dei problemi dell’Abruzzo. La candidata M5S re-plica messaggi demagogici già falliti in altre esperienze di governo come Roma. Il nostro è un programma costruito con gli abruzzesi e per l’Abruzzo: lavoro, ambiente e salute, le ricostruzioni, la grande riforma dell’istitu-zione regionale. Questi - conclude - sono gli obiettivi fondamentali che abbiamo decli-nato con misure ed iniziative dettagliate che stanno convincendo gli elettori”.

Difficile, al momento, districarsi tra i tan-ti sondaggi della vigilia. Quel che è certo è il dato di partenza. Alle elezioni politiche di un-dici mesi fa, i Cinque Stelle ottennero quasi il 40%, contro il 36% del centrodestra e il 17% del centrosinistra. Sarà interessante, anche a livello di proiezioni nazionali, verificare la tenuta dei tre blocchi.

Sulla scheda l’elettore può esprimere il proprio voto sia per il candidato alla presi-denza della Regione sia per una qualunque delle liste circoscrizionali collegata al medesi-mo candidato presidente. E’ inoltre possibile esprimere uno o due voti di preferenza, scri-vendo il cognome, ovvero il nome e cognome

dei candidati presenti nella medesima lista. Nel caso di espressione di due preferenze esse devono riguardare can-didati di sesso diverso della stessa lista, pena l’annullamento della se-conda preferenza. Non è ammesso il voto di-sgiunto.

Il Consiglio regionale è composto di trentuno membri. Due seggi sono attribuiti rispettivamen-te al presidente della Giunta regionale eletto

e al candidato alla carica di presidente della Giunta che ha conseguito un numero di voti validi immediatamente inferiore. I restanti ventinove seggi sono assegnati, con criterio proporzionale, alle liste circoscrizionali. Vie-ne eletto presidente della Giunta regionale il candidato alla carica che ottiene la mag-gioranza dei voti validi. Alle liste collegate al candidato proclamato eletto alla carica di presidente della Giunta regionale è attribui-to almeno il sessanta per cento e non più del sessantacinque per cento dei seggi del Consi-glio.

L’Abruzzo è diviso in 4 circoscrizioni, che corrispondono alle 4 province: L’Aquila, Pe-scara, Chieti e Teramo. Ogni circoscrizione elegge 7 consiglieri, tranne Chieti che ne eleg-ge 8. Il sistema elettorale è di tipo proporzio-nale, con soglia di sbarramento al 4% per le liste non coalizzate e al 2% per quelle inserite in una coalizione.

“Possiamo vincere”, la sfida coraggiosa di Giovanni Legnini

Regionali Abruzzo

Stefano Cagelli CONDIVIDI SU

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Domenica al voto: test per centrodestra (unico ma non troppo) e Cinque Stelle, che un anno fa sfiorarono il 40%

5 venerdì 8 febbraio 2019

“Nostra” autonomia unica possibile

Le voci dei candidatiAttenzione, cosi l’Italia va in malora. Serve un’altra politica economica e

sociale per salvare l’Italia. Noi ricostruiremo la fiducia e la speranza.

Nicola Zingaretti

Tra i due vicepremier c’è un patto di potere scellerato: Salvini verrà

salvato e Di Maio otterrà il blocco della Tav. Prima se ne vanno dal governo e meglio è.

Maurizio Martina

Ve li ricordate i 5 stelle? Quelli della trasparenza e dei cittadini? E’ arrivato il

momento per i loro elettori di riflettere su come vengono costantemente traditi.

Roberto Giachetti

Zero di tutto questo. Lo ha spiega-to bene il ministro Stefani negli incontri della commissione par-lamentare competente. L’unica norma certa dell’intesa sarà l’ul-timo articolo che reciterà una

formula standard del tipo: “… a saldi invaria-ti per il bilancio dello Stato”. Su questo sono pronto a scommetterci.

Da pochi giorni è disponibile inoltre il do-cumento elaborato da Confindustria Napoli e dall’Università Federico II, sempre di Na-poli su “L’autonomia possibile”, e condiviso di fatto da Luca Zaia. Già la scelta del titolo è un indizio accurato. Il presidente veneto si è affrettato a dare risposte rassicuranti, consa-pevole che se le regioni del sud non saltano a bordo del carro autonomista, lui potrà fare i capricci quanto gli pare, ma non otterrà neppure quanto previsto dalla Costituzione. Dopo che la pre-intesa fu siglata dal Veneto con il governo del Partito democratico, sareb-be un fallimento clamoroso e beffardo rima-nere con un pugno di mosche in mano ora, con il governo a trazione leghista e un mini-stro degli Affari regionali non solo leghista, ma pure veneto.

A oltre 800 chilometri di distanza da Veneto e Lombardia si comincia finalmente a discu-tere di come arrivare a forme di autonomia che tengano insieme le esigenze di maggiore

efficienza ed efficacia della pubblica ammi-nistrazione e allo stesso tempo garantire che tutti i cittadini siano uguali non solo di fronte alla legge e, soprattutto al fisco, ma anche dal lato dei diritti.

Il documento presentato il 5 febbraio ri-badisce che l’unica autonomia possibile ri-mane nel perimetro della Costituzione, nel-lo specifico dell’articolo 116. Sposta tuttavia il cuore della questione sui livelli essenziali dei servizi e sui cosiddetti costi standard sot-tolineando che la legge, ormai decennale di attuazione – la 42 del 2009 – è rimasta di fatto lettera morta. Senza la definizione dei para-metri standard per i servizi e relativi costi, il rischio di cristallizzare le attuali sperequa-zioni è altissimo, con conseguenze sociali e politiche non di poco conto. C’è la possibilità concreta che i territori più deboli siano ulte-riormente indeboliti e non sto parlando solo del sud. Anche in Veneto, in Lombardia e in Emilia Romagna le aree con minore densi-tà demografica soffrono oggettivi svantaggi rispetto alle zone metropolitane di pianura. Però i cittadini di Belluno o di Sondrio, assol-vono i propri doveri fiscali come tutti gli altri e hanno diritto ad accedere ai medesimi ser-vizi di chi vive a Padova o a Milano.

La cosa più interessante è che non si tratta di un documento difensivo o contro l’autono-mia di questa o quella regione. Imprenditori e accademici di Napoli individuano un per-corso in sette punti per arrivare all’obiettivo. Ed è significativo che molti di quei punti coin-cidano o si avvicinino alle posizioni ragione-

voli che sosteniamo da anni: riconoscimen-to delle competenze richieste dalle regioni, definizione per ciascuna competenza dei li-velli essenziali delle prestazioni, monitorag-gio pubblico, ruolo centrale del parlamento per il controllo ed eventuali correzioni che si rendessero necessarie, pieno finanziamento agli enti locali delle funzioni pubbliche as-segnate, collegamento dell’erogazione delle risorse alla verifica dell’efficienza della spe-sa, recupero della potestà statale su materie nevralgiche per lo sviluppo nazionale come energia e ambiente. È un percorso ragione-vole e ragionato che, finalmente, ci consen-te di abbandonare i toni da tifosi e di vestire quelli di una classe dirigente che guarda ad affrontare e possibilmente risolvere i proble-mi e non si limita a imbonire il popolo per obiettivi di breve periodo.

Rispetto al ruolo del Parlamento nell’ap-provazione degli accordi tra Stato e regioni, ribadisco che è interesse di tutti e in parti-colare del governo che ci sia una ampia di-scussione parlamentare. Solo con il coin-volgimento dei rappresentanti dei cittadini eviteremo spaccature che porterebbero alla inevitabile bocciatura dell’intesa.

Quando c’è stato da affrontare seriamente il tema dell’autonomia ci siamo sempre stati. Siamo convinti che l’autonomia di regioni ed enti locali sia uno strumento per migliorare la qualità della vita dei cittadini e non può essere utilizzata per fomentare egoismi e di-visioni al solo scopo di racimolare consensi elettorali.

Roger De MenechSegue dalla prima

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L’assurdo caso De Gregorio, proposta di legge Pd

“Concita De Gregorio ha ra-gione a denunciare ancora una volta la gravissima e paradossale situazione che

da anni l’ha riguardata, con sequestri pre-ventivi patrimoniali effettuati ai suoi dan-ni, nella sua veste di Direttore de l’Unità dal 2008 al 2011 in seguito a querele quasi sicuramente ‘temerarie’ di personaggi del-la vita politica e pubblica di cui il giornale si era occupato, a partire da Berlusconi”. Lo scrivono Walter Verini e Andrea Roma-

no, deputati del Partito democratico.“Concita – continuano – paga due cose:

una legge che scarica sui giornalisti e sui direttori responsabilità non dirette e la situazione della proprietà de l’Unità, che in seguito alla dismissione e al concor-dato preventivo non ha fatto fronte ai doveri che un editore ha in questi casi. È una situazione assurda e anche il Pd, che pure aveva poche possibilità di interven-to, avrebbe potuto e dovuto manifestare maggior vicinanza a una giornalista di grande valore. Come parlamentari già nella scorsa legislatura approvammo alla Camera un emendamento che poteva ga-rantire una soluzione a problemi come

questo, che riguardano la libertà d’infor-mazione e dei giornalisti. Il provvedimen-to si arenò al Senato”.

“Oggi c’è una nostra proposta di leg-ge, sempre alla Camera, contro le quere-le temerarie e la diffamazione a mezzo stampa. Il Pd ne ha chiesto la calendariz-zazione. La sollecitiamo e chiediamo alla Conferenza dei Capigruppo della Camera di farlo al più presto. In quella sede sarà possibile provare ancora a dare una rispo-sta non solo al caso di una giornalista ma a un tema che riguarda oggi e domani altri giornalisti e comunque la libertà di tutti”, concludono.

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Partito Democratico

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6 venerdì 8 febbraio 2019

Sinistra, che fare? Lampi di cultura politica di Mario Tronti

È in libreria “Il popolo perduto”, libro-intervistadel filosofo marxista e già parlamentare Mario Tronticurato dal giornalista Andrea Bianchi (ed. Nutrimenti).Eccone un ampio stralcio.

Il dramma almeno per me politicamente insop-portabile è una sinistra di benestanti e una destra di nullatenenti. Tornerò su questo perché l’autoreferenzialità del ceto po-litico, di governo e di amministrazio-ne viene percepita attraverso questa

immagine. La radice dell’antipolitica di massa sta qui. E si esprime in questi due modi contrastanti e insieme complemen-tari: l’astensionismo elettorale e la mobili-tazione di piazza, reale o virtuale che sia. Ambedue forme di passività politica, feno-meno di passivizzazione popolare, perché protesta solo individuale che non fa presen-za collettiva, non fa né società né comunità. È l’altra faccia del verbo liberista: ce la devi fare da solo, con le tue capacità e i tuoi meriti, e se non ce la fai, come i più non ce la fanno, devi rivendicare da solo, devi protestare da solo, da solo esprimere tutta la tua rabbia. L’uno vale uno grillino dice la stessa cosa: stai solo, nel tuo web, fuori, contro tutti. Occorre smascherare questo

inganno. Come? Riprendendosi l’iniziativa, organizzando una grande campagna di ri-orientamento politico. La rifor-ma più necessaria e più urgente, che non vedo però all’or-dine del giorno, è la riforma dei soggetti collettivi, di lotta e di consenso, di rappresentazione e di azione, sindacati e partiti, con intorno nuove forme solidaristiche di movimen-to e di cooperazione, di mutuo soccorso sociale e di prati-che politiche di base. La rilegittimazione della politica passa attraverso la restaurazione di un rapporto di fiducia tra il

basso e l’alto, tra popolo ed élite. Un’impresa ardua allo stato delle cose, ma l’unica forse in grado di ria-

prire un processo rigenerativo, direi redentivo, dello spirito pubblico ora in agonia. Perché

abbia successo non c’è che riposizionare le due gambe, del conflitto e della mediazio-ne. È un’operazione che non può che par-tire dall’alto. La mia idea è che il basso del sociale e del politico, cioè i lavoratori e i cittadini, devono essere il punto di riferi-mento, non possono essere il punto dell’i-niziativa. L’antipolitica non si combatte

con la democrazia immediata, perché oggi la democrazia immediata è diventata un’e-

spressione dell’antipolitica. L’antipolitica si batte rifondando, in istituti nuovi, la democrazia

organizzata. E se per le istituzioni sono necessarie le riforme, è una rivoluzione quella necessaria per i sog-

getti sociali e politici. Ma senza un rivolgimento nella cultu-ra politica dell’attuale sinistra, tutta intera, nulla avverrà.

Pensieri e parole

L’antipolitica si batte

rifondando, in istituti nuovi, la democrazia

strutturata

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SEGUE A PAGINA7

7 venerdì 8 febbraio 2019Pensieri e parole

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Di conseguenza, un partito strutturato di sinistra per ridare rappresentanza a pezzi di società deve rovesciare il rapporto tra interesse generale e interesse di parte? Aggiungo che mi sembra un’impresa difficile, molto difficile, per classi dirigenti che si sono immolate sull’altare del (presunto?) interesse ge-nerale. Ultimi esempi in ordine cronologico: l’appoggio al go-verno Monti (2011), l’opposizione al governo giallo-verde-ne-ro (2018) dove la sinistra viene purtroppo percepita, anche se così non è, come la quinta colonna di una qualche Spectre europea...

Sì, è venuto il momento di rimettere finalmen-te in discussione il pur difficile rapporto tra inte-resse di parte e interesse generale. Gramsci pro-nunciava la bellissima preveggente frase: “Voi porterete il paese alla rovina e allora toccherà a noi comunisti di salvare il nostro paese”. Ma la pronunciava davanti al Tribunale speciale del fascismo. Non la si può ripetere con un tweet da-vanti al ridicolo contratto di governo 5Stelle-Le-ga. Ai milioni di persone sofferenti, disagiate, abbandonate e giustamente arrabbiate che han-no voltato le spalle alla sinistra, non puoi andare a ripetere, come ho sentito ripetere, la massima aurea: prima il paese poi il partito. Quelle per-sone hanno bisogno, ripeto, hanno bisogno, di un partito che si faccia carico di quella loro quo-tidiana condizione, per cambiarla dalle fonda-menta e lo chiedono muti e soli, disperati e incat-tiviti. Si veda a riprova l’ultimo impressionante Rapporto Censis. Per saper ascoltare quelle voci ci vuole una coscienza che vi corrisponda dal di dentro di sé. Io avevo imparato fin da ragazzo, proprio alla scuola comunista, che solo facendo l’interesse di quel partito si faceva l’interesse ge-nerale, in quanto interesse popolare, della grande maggio-ranza della popolazione. Lo so, viviamo tutti in un mondo altro da quello. Ma di un ‘che fare?’ c’è sempre di nuovo la necessità. Oggi bisognerebbe riscriverlo collegialmente. Non basta un congresso di partito. Tanto meno basta il rito laico delle primarie. Ci vorrebbe una vasta consultazione

di popolo: per capire bene che cosa è successo dentro quel mondo, dove è successo qualcosa che non abbiamo capito. E poi, insieme, essenziale, su quella base un rovesciamento di mentalità politica dell’attuale sinistra. Sono questi i due temi che adesso dobbiamo affrontare. Sono molto legati fra loro. La mentalità culturale democratico - progressista non ha più capito il popolo. E il ceto politico imbevuto di quella cultura non è più venuto da lì e non è più andato lì. Perché quella cultura non è di popolo, è di élite. E le due sinistre,

quella cosiddetta moderata e quella cosiddetta radicale, che si differenziano magari sul terreno sociale o sul terreno istituzionale come è violen-temente e inutilmente accaduto di recente, sono invece accomunate dalla stessa cultura che poi è appunto una stessa mentalità. E questo è il moti-vo per cui la politica e l’organizzazione della si-nistra-sinistra non riescono a recuperare il con-senso che perdono le politiche di centro-sinistra. Né l’una né l’altra vengono riconosciute come partiti di popolo. A ogni elezione, di qualunque tipo esse siano, le due posizioni vanno puntual-mente incontro allo stesso desti- no. Ormai da anni. Ogni volta si registra, si costata, si ripete che il centro-città vota a sinistra, le periferie vo-tano a destra. E se ne parla, sì, ma quasi fosse un problema come un altro. E invece è il problema dei problemi. È il punto di catastrofe di un inte-ro agire politico. Se è così, e ormai normalmente è così, non si è sbagliato qualcosa, si è sbagliato quasi tutto. Non voglio metterla sul sentimenta-le: tutto il discorso fatto fin qui non va certo in questa direzione. Ma devo confessare un disagio che sa di quella cosa complicata che è la propria esistenza nel mondo, in questo tipo di mondo. Non mi va di trovarmi dalla stessa parte dei be-

nestanti, mentre i nullatenenti stanno dall’altra parte. Non me la sento di stare con quelli che alle nove di sera entrano all’Auditorium contro quelli che alle sei di mattina escono di casa. È esattamente questo che, per riprendere un’espres-sione a me molto cara, ‘non si può accettare’, non oltre, non più a lungo di così.

Mario Tronticon Andrea BianchiIL POPOLOPERDUTOPer una criticadella sinistra

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SEGUE DA PAGINA6

8 venerdì 8 febbraio 2019

In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Giovanni Belfiori, Stefano Cagelli,Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace, Stefano Minnucci, Agnese Rapicetta

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