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Università Telematica Pegaso Il mondo diviso e la guerra fredda
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 IL BIPOLARISMO ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 LA “GUERRA FREDDA”: DEFINIZIONE, CAUSE E PERIODIZZAZIONE ---------------------------------- 5
3 LA SOVIETIZZAZIONE DELL’EUROPA ORIENTALE E LA NASCITA DEI BLOCCHI (1945-49) ---- 6
4 LA POLITICA AMERICANA E IL “CONTENIMENTO” DEL COMUNISMO -------------------------------- 9
5 INTEGRAZIONE E COOPERAZIONE IN OCCIDENTE ---------------------------------------------------------- 12
6 TRA COESISTENZA PACIFICA E COMPETIZIONE -------------------------------------------------------------- 13
7 LA STRATEGIA TRIANGOLARE: L’INCRINATURA DEL MONDO BIPOLARE ------------------------- 15
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 18
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1 Il bipolarismo
La Seconda guerra mondiale era finita in modo tanto diverso da come era cominciata: partita
da conflitto europeo limitato allo scontro su Danzica, era divenuta una vera guerra mondiale.
Inoltre, essa si era rivelata talmente radicale da avere prodotto una frattura epocale, tanto che la
storia anteriore al 1945 sembrò far parte di un’epoca lontanissima. La peculiarità della storia che
iniziava col 1945 fu proprio l’esito della guerra mondiale. Fino ad allora tutte le guerre che si erano
prodotte e concluse avevano portato alla costituzione o di un nuovo equilibrio multipolare o alla
nascita di un nuovo impero, altrimenti conseguenza inevitabile sarebbe stata la nascita di altre
guerre. Invece nulla di simile era accaduto dopo la Seconda guerra mondiale, il conflitto non aveva
portato né alla nascita di un nuovo impero né tanto meno all’assetto di un equilibrio multipolare,
anzi, si andò creando un sistema senza molti precedenti nella storia: il bipolarismo tra le due
principali potenze, Stati Uniti ed Unione Sovietica. Dopo un periodo iniziale, assai breve, nel quale
i vincitori rimasero uniti, il mondo si divise rapidamente in due blocchi: quello comunista e quello
occidentale, che si fronteggiarono in modo assai diverso dal passato. Il bipolarismo fu subito
caratterizzato dal suo aspetto di “guerra fredda”. Il conflitto diretto, infatti, era reso impossibile
dall’esistenza delle armi atomi-che, sempre più potenti, il cui uso non avrebbe lasciato né vincitori
né vinti. Il confronto venne quindi affidato essenzialmente alla politica e alla propaganda, anche se
non mancarono momenti di grave crisi, come il blocco di Berlino e quello dei missili sovietici a
Cuba, e le guerre localizzate nel Terzo Mondo (in Corea e Vietnam). La morte di Stalin, avvenuta
nel 1953, e la successiva destalinizzazione aprirono un periodo di relativa di-stensione, ma la
Guerra Fredda, come sarebbe stata chiamata, finì sostanzialmente solo nel 1989, con la caduta del
Muro di Berlino, che in un certo senso ne costituiva il simbolo.
Il bipolarismo USA-URSS fu un fenomeno del tutto nuovo dalla nascita dell’Europa moderna, nel
XV secolo, mai verificato prima. L’Europa, infatti, nasceva multipolare e tale era rimasta fino al
1939. Altro fattore di novità risultava essere la presenza dell’arma assoluta che portò all’instaurarsi
di un conflitto mai uscito dai confini di una guerra fredda, cioè mai combattuto direttamente con le
armi. Nella prima fase di nascita questo bipolarismo fu asimmetrico, nel senso che in un primo
momento gli Stati Uniti potevano minacciare direttamente la Russia, senza che quest’ultima potesse
farlo, mentre la sua azione minatoria poteva essere diretta solo verso l’Europa occidentale.
Successivamente divenne un bipolarismo simmetrico, nel quale si instaurò “l’equilibrio del terrore”
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con la possibilità per entrambe le potenze di potersi colpire direttamente utilizzando armi atomiche.
Da questo momento il bipolarismo da fattore di squilibrio di-venne, paradossalmente, un elemento
di equilibrio stabile capace di durare nel tempo. E di fatti durò fino al disfacimento del polo
sovietico in seguito all’unificazione tedesca e alla dissoluzione dell’URSS.
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2 La “guerra fredda”: definizione, cause e periodizzazione
“Guerra fredda” è il termine usuale per descrivere i rapporti USA-URSS dopo la Seconda
guerra mondiale. L’espressione fu resa celebre dal giornalista americano Lippmann nel 1947 e si
riferiva alla competizione politica e ideologica protrattasi dalla fine della Seconda guerra mondiale
fino al 1989 (per alcuni anche al 1991). L’espressione “guerra fredda”, inoltre denota la principale
caratteristica di questi rap-porti: cioè l’irriducibile ma controllato antagonismo tra le due
superpotenze.
Quando ebbe inizio? Certamente era pienamente in atto durante il blocco di Ber-lino, nel giugno
1948, ma di sicuro occorre andare più indietro per tracciarne un inizio. Alcuni storici fanno iniziare
questo particolare conflitto con la morte di Roosevelt e l’avvento di Truman, il quale non voleva
trattare coi sovietici. Momenti di inizio si potrebbero considerare le quasi dichiarazioni di guerra
che furono la dottrina Truman, del 12 marzo 1947, e la nascita del Cominform, il 5 ottobre 1947. In
realtà, risultava essere inevitabile la frattura dell’alleanza USA-URSS poiché entrambi erano
portatori di interessi strategici, di sistemi politici ed economici completamente diversi e
contrapposti. La guerra fredda fu, in effetti, una conseguenza dello stesso bipolarismo. Fino al 1945
in Europa aveva regnato un sistema multipolare, ten-dente all’equilibrio o al “concerto” in cui
l’egemonia di una potenza veniva compensata dalle alleanze e anche dalla guerra. Già la Prima
guerra mondiale era sorta in seguito all’irrigidimento bipolare in due blocchi di alleanze. Ma dopo
la Seconda guerra mon-diale e la nascita del bipolarismo divenne poco rilevante il sistema delle
alleanze da parte di soggetti statali minori.
Le due grandi potenze si fronteggiano da sole e l’alternativa alla guerra diretta che potrebbe essere
apocalittica, è la guerra fredda; questa è “inevitabile” in quanto conseguenza del bipolarismo.
E’ importante sottolineare come la guerra fredda sia stata una vera guerra già in atto, orientata a
colpire la potenza degli avversari con ogni mezzo: guerra psicologica, propaganda, diffusione di
false notizie, la sovversione nel campo altrui, la strumentalizzazione di ogni tensione mondiale, il
confronto bellico indiretto nei conflitti locali, ecc. La corsa agli armamenti nucleari iniziata nel
1949 contribuì ad evitare che la guerra di-ventasse “calda”, cioè dichiarata e combattuta con le
armi.
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3 La sovietizzazione dell’Europa orientale e la nascita dei Blocchi (1945-49)
Lo sforzo comune sostenuto nel corso della guerra e l’orrore per i campi di sterminio nazisti
scoperti dalle truppe liberatrici, mantennero per qualche tempo almeno le apparenze della
solidarietà bellica. Questa si manifestò innanzitutto col Processo di Norimberga, costituito per
giudicare i 21 maggiori esponenti nazisti catturati, 12 dei quali furono condannati all’impiccagione,
4 all’ergastolo e a pene minori, mentre soli altri tre furono assolti.
La Conferenza di S. Francisco, del giugno 1945, approvò inoltre (il 27 giugno) la Carta delle
Nazioni Unite, e creò l’ONU. L’immediata Conferenza di Potsdam tra Stalin, Truman e Churchill,
che si aprì alla periferia di Berlino (17 luglio-2 agosto 1945) regolò le sorti della Germania,
stabilendo le zone di occupazione di USA, URSS, Inghilterra e Francia. Seguì la firma del Trattato
di pace con l’Italia (10 febbraio 1947) e successivamente dell’Ungheria, la Bulgaria, la Romania e
la Finlandia.
Tuttavia, il disaccordo si manifestò proprio a proposito della Germania. Sulla questione del
mantenimento di un governo centrale e unitario, sulla Ruhr e sulle ripara-zioni, infatti, nessun
accordo si rivelò possibile. I russi rimproveravano agli Occidentali di non perseguire fino in fondo
la “denazificazione” della Germania e di riservare a questa un trattamento troppo benevolo e
accomodante. Le potenze occidentali, a loro volta, accusavano i russi di instaurare, nella loro zona
di occupazione, il regime comunista. L’era dei compromessi e dei cedimenti alle esigenze
sovietiche, tipica dell’età rooseveltiana, si chiudeva con l’avvento alla presidenza di Henry Truman,
che rimpiazzò il segretario di Stato Byrnes, partigiano della conciliazione, con il generale Marshall,
già capo dello stato maggiore. Fu proprio Marshall, in un discorso pronunciato all’università di
Harvard il 5 giugno 1947, ad offrire l’aiuto economico degli Stati Uniti ai paesi europei colpiti dalla
guerra, compresa la stessa URSS. Ma, alla successiva Conferenza di Parigi, il responsabile della
politica estera sovietica, Molotov, rifiutò nettamente; seguirono sulla stessa linea i paesi occupati
militarmente dai russi e da essi sovietizzati: Finlandia, Romania, Bulgaria, Yugoslavia, Ungheria,
Polonia; la Cecoslovacchia, che aveva inizialmente aderito, fu ben presto costretta ad allinearsi
anch’essa sulla posizione sovietica.
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Era la nascita, anche sul piano politico-diplomatico, di una realtà di fatto già esistente dal 1945: la
costituzione di un blocco orientale – egemonizzato politicamente, ideologicamente e militarmente
dall’Unione Sovietica –, e formato da una serie di “Stati satelliti”, le cosiddette “Democrazie
Popolari”.
Sul piano politico-ideologico, il Comintern, sciolto nel 1943 per ammorbidire gli alleati occidentali,
fu ricostituito sotto il nuovo nome di Cominform (ottobre 1947), che rilanciò l’azione rivoluzionaria
del movimento comunista in tutto il mondo. Allo stesso tempo, Stalin perseguì con energica
spietatezza la sovietizzazione degli Stati satelliti, eliminando ogni superstite tendenza nazionale e
liberale. Particolarmente critico fu però il caso della Cecoslovacchia – il paese più moderno e
avanzato –, dove fu effettuato un vero e proprio colpo di Stato, il cosiddetto “Colpo di Praga”: il
primo ministro Jan Masaryk rimase vittima di un assassinio camuffato da suicidio (10 marzo 1948),
mentre il presidente Benes fu costretto a dare le dimissioni il 7 giugno. Il leader comunista
Gottwald fu posto alla testa del paese e la Cecoslovacchia si uniformò allora completamente al
sistema sovietico.
L’unico fallimento conosciuto dalla politica staliniana fu quello della Yugoslavia, dove il
maresciallo Tito, che aveva guidato la resistenza antinazista e aveva istaurato il regime comunista,
ruppe con Stalin, del quale non accettava la pesante tutela. Il Cominform, il 28 giugno 1948, lo
bollò, nel tipico gergo stalinista, come “nemico del popolo” e “servo degli imperialisti”; ma Tito,
anche grazie agli aiuti occidentali, riuscì a reggere, creando una forma di comunismo meno
repressivo e più cooperativo, che la-sciava ampio spazio alle comunità nazionali (serbi, croati,
bosniaci, montenegrini, sloveni) che costituivano la federazione iugoslava e sviluppando una
politica estera d’indipendenza tra i due blocchi.
Ma dove il comunismo d’ispirazione sovietica ebbe il maggiore successo fu in Asia. La Cina,
invasa e sconfitta dal Giappone, a partire dal 1937-38 era stata completamente isolata dal Pacifico,
riducendosi alle regioni più povere e più interne. Il regime nazionalista del Kuomintang di Ciang-
Kai-Chek era inoltre minacciato, al suo interno, dal crescente potere del partito comunista cinese
guidato da Mao Tse Tung che, appena finita la guerra contro il comune nemico giapponese, aveva
scatenato la guerra civile. Tra il 1946 e il 1949, i comunisti cinesi s’impadronirono rapidamente
dell’intero paese, e nel 1949 Mao proclamava la Repubblica Popolare Cinese, mentre i superstiti
dello sconfitto regime si rifugiavano nell’isola di Formosa (Taiwan).
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Il paese più popolato del mondo, che contava all’epoca più di 600 milioni di abitanti, le cui
immense risorse erano solo in minima parte sfruttate, passava così nel campo del comunismo
internazionale di stampo sovietico, al quale professava una fedeltà fanatica e dogmatica. Era per
l’URSS, almeno per il momento, una vittoria eclatante, che sembrava aprire la via alla conquista
dell’intera Asia.
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4 La politica americana e il “contenimento” del comunismo
Il passaggio della Cina al fronte comunista e la notizia del settembre 1949 che l’URSS
possedeva la bomba atomica, furono due eventi che diedero impulso alla guerra fredda e alla corsa
agli armamenti. Ma il bipolarismo era diventato simmetrico solo nella propaganda, dato che almeno
fino al 1955 l’URSS non sarebbe stata in grado di colpire direttamente il suolo USA, non avendo i
bombardieri adatti a lunghi tragitti. La risposta alla atomica sovietica fu la ricerca della bomba H
(all’idrogeno) il cui potere distruttivo era immensamente superiore a quella.
La paura americana si concretizzò nel Maccartismo, teso alla scoperta di complotti, e spionaggio
comunista in USA. Furono coinvolti nella “caccia alle streghe” scrittori, giornalisti, intellettuali,
dipendenti statali e anche star di Hollywood. Ci furono negli uffici federali migliaia di licenziamenti
e di dimissioni imposte. Fu un fenomeno spontaneo tipico della società di massa, una sorta di isteria
collettiva che alla fine scemò all’improvviso. Sul fronte interno all’URSS la guerra fredda si
manifestò con il rigido allineamento imposto al mondo della cultura, della musica, del cinema e
della letteratura, e le epurazioni nei partiti satelliti del 1948-49 e i grandi processi degli anni 1950-
51, in cui furono eliminati fisicamente i capi comunisti ungheresi e cecoslovacchi, con accuse
infamanti e estorte colla tortura. Fu l’esatta replica dei processi contro i bolscevichi in URSS
nell’epoca del grande terrore staliniano.
La reazione occidentale, e soprattutto americana, all’espansione del comunismo nel mondo fu
tardiva e incerta; ma, alla fine, Truman prese la decisione di contenere il comunismo ovunque nel
mondo, a partire dall’Europa. Marshall definì infatti per primo la teoria del “containment”, che fu
concretamente applicata dal suo successore Acheson. L’opposizione politico-ideologica dei due
blocchi, con l’attrito che la caratterizzava, fece parlare di “Guerra Fredda”, ma ben presto si giunse
ad una vera e propria guerra combattuta, sia pure localizzata, in Corea.
Il primo episodio della prima fase della Guerra fredda fu costituito dalla guerra civile in Grecia,
dove il generale Markos aveva costituito un governo comunista e scatenato la guerra civile, mentre
gl’inglesi appoggiavano il ritorno del re Giorgio II, con-sacrato dal plebiscito del settembre 1946. Il
12 marzo 1947 fu presentata al Congresso la “dottrina Truman” in cui veniva presentato l’intervento
USA in Grecia come la contrapposizione fra due modi di vita alternativi, uno fondato sulle libere
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istituzioni e l’altro sul totalitarismo, il terrore e l’oppressione sovietici. «I popoli del mondo –
affermava Truman – guardano a noi per un appoggio che li aiuti a conservare la libertà». Con
l’intervento gli Usa assumevano per la prima volta come loro zona d’influenza l’Europa e il
Mediterraneo. Grazie agli aiuti americani e dopo una serie di difficili campagne militari, le forze
governative riuscirono a prendere il sopravvento e a riunificare il paese nel 1949; la loro vittoria era
stata favorita dalla rottura tra Stalin e Tito, e quindi dalla fine del sostegno jugoslavo alla ribellione.
Crisi internazionale assai più importante e decisiva fu quella costituita dal Blocco di Berlino.
Quando gli accordi di Londra del 3 giugno 1948 ristabilirono uno Stato tedesco – la Repubblica
Federale con sede a Bonn, il cui governo fu assunto dal cancelliere Adenauer –, i russi reagirono
tagliando tutte le comunicazioni stradali e ferroviarie tra i quartieri di Berlino occupati dagli
Occidentali. Berlino Ovest divenne così di fatto una città bloccata (giugno 1948), alla quale i russi
tagliarono pure l’energia elettrica. Gli Alleati organizzarono allora un gigantesco ponte aereo per
soccorrere Berlino. Dal 28 giugno 1948 al 12 maggio 1949, quando il blocco fu finalmente
revocato, 380 aerei effettuarono 200.000 viaggi, trasportando 1 milione e mezzo di tonnellate di
derrate d’ogni genere. La prova di forza lanciata da Stalin si risolse quindi in un grave smacco
politico e propagandistico, perché la crisi aveva dimostrato la volontà degli Stati Uniti di reagire
all’espansionismo sovietico e la loro capacità tecnologica ed economica per farlo.
Se a Berlino si era giunti sull’orlo del conflitto, questo limite fu varcato in Corea. Questo paese,
occupato sin dal 1905 dal Giappone, nel 1945 aveva conosciuto l’occupazione militare dei sovietici
al nord e degli americani al sud; il limite convenzionale era stato fissato al 38° parallelo. Ogni
prospettiva di riunificazione venne presto abbandonata, con lo stabilirsi al Nord di un regime
comunista, e al Sud di uno democratico-conservatore. Convinta che gli USA non avrebbero reagito,
la Corea del Nord scatenò il 25 giugno 1950 un fulmineo attacco a sorpresa contro il Sud. Questo,
impreparato militarmente e sorretto solo da esigui contingenti statunitensi, stette per essere
sommerso, quando il gen. Mac Arthur, comandante delle forze americane dell’Estremo Oriente,
organizzò lo sbarco anfibio di Inchon, che capovolse la situazione e portò alla riconquista della
capitale Seoul e alla completa disfatta dei nordcoreani. Le Nazioni Unite, intanto, avevano
condannato l’aggressione e invitato gli Stati membri a sostenere militarmente la Corea del Sud, che
fu soccorsa da forze inglesi, australiane e francesi, inquadrate nel comando di Mac Arthur, anche se
la stragrande maggioranza delle forze impiegate restò statunitense.
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La disfatta nordcoreana provocò però l’intervento cinese, che nell’inverno 1950-51 respinse gli
occidentali e riconquistò Seoul. Di fronte al rischio, più che fondato, di un’estensione del conflitto
alla Cina e, forse, alla stessa Unione Sovietica, il presidente Truman prima respinse la proposta di
Mac Arthur di utilizzare l’arma nucleare e di bombardare le basi cinesi, e poi, il 10 aprile, destituì il
generale. Gli alleati, ora al co-mando del gen. Ridgeway, ristabilirono comunque la situazione
militare, sino a che, il 17 luglio 1953, fu firmato l’armistizio di Pan-Mun-Juon, che riportò la
frontiera al 38° parallelo.
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5 Integrazione e cooperazione in Occidente
Con il Piano Marshall, gli Stati Uniti favorirono e accelerarono in maniera decisiva la
ricostruzione dell’Europa occidentale, distribuendo sino al 1952, 26.800 milioni di dollari in aiuti
economici. In corrispondenza di questo ingente aiuto materiale, gli USA favorirono gli sforzi di
cooperazione e di integrazione sia politica che economica. Quest’ultima assunse diverse forme,
come la nascita dell’OECE (Organizzazione Economica della Comunità Europea), costituita a
Parigi il 16 aprile 1948, che raggruppava 18 paesi, con il compito di cooperare nei campi delle fonti
energetiche, delle politiche commerciali, dei rapporti finanziari e della forza lavoro. La
collaborazione militare fu assicurata prima dal “Trattato dei Cinque” (Francia, Inghilterra, Pesi
Bassi, Belgio, Lussemburgo), firmato a Bruxelles il 17 marzo 1948, che garantiva un intervento
automatico reciproco in caso d’aggressione, e poi, il 14 aprile 1949, si aggiunse il trattato del Nord
Atlantico (OTAN), sottoscritto da 12 Stati. Fu pure costituito il Consiglio d’Europa, con 15 paesi (5
maggio 1949), con sede a Strasburgo.
L’integrazione fu assai più complessa e lenta a realizzarsi, perché i singoli Stati erano in questo
caso chiamati a cedere una parte della propria sovranità. La creazione del Bénélux, costituito
dall’unione doganale tra Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, aveva comunque dato l’esempio già
prima della fine della guerra (5 settembre 1944). Anche la creazione della CECA (Comunità
Europea del Carbone e dell’Acciaio) col trattato di Parigi del 18 aprile 1951 risultò un notevole
successo; vi aderivano infatti, per la prima volta, paesi vincitori e vinti della guerra: la Germania,
l’Italia, la Francia, il Belgio, il Lussemburgo, i Paesi Bassi. La CECA, con sede a Lussemburgo,
prese a organizzare il mercato comune del carbone e dell’acciaio. Seguirono, sullo stesso modello,
l’Euratom (Comunità europea dell’energia atomica) e soprattutto il Mercato Comune (MEC).
Quest’ultimo fu stabilito dal Trattato di Roma del 24 marzo 1957 tra gli stessi Stati che aderivano
alla CECA.
L’integrazione militare, tentata con la CED (Comunità Europea di Difesa), stabilita a Parigi il 27
maggio 1952, fallì invece per le resistenze nazionali, e soprattutto della Francia, la cui Assemblea
nazionale la bocciò il 30 agosto 1954.
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6 Tra coesistenza pacifica e competizione
La fine della fase più acuta della guerra fredda coincise con la morte di Stalin (15 marzo
1953) e l’eliminazione di Beria (11 luglio 1953), l’onnipotente capo della polizia politica.
Contemporaneamente, negli Stati Uniti, il nuovo presidente Eisenhower chiudeva la guerra di
Corea, mentre declinava l’influenza dell’ala estrema del partito repubblicano che faceva capo al
senatore Mac Carthy. Nel nuovo clima internazionale s’inseriva il riconoscimento della Germania
Federale da parte dell’URSS (5 maggio 1955), il cui cancelliere Adenauer fu ricevuto a Mosca nel
settembre successivo. Anche l’Austria, dopo dieci anni, fu liberata dall’occupazione militare e
riconosciuta come Sta-to sovrano (maggio 1955). Anche nei confronti della Yugoslavia di Tito i
nuovi dirigenti sovietici assunsero un atteggiamento più accomodante, ristabilendo con Tito normali
relazioni. Anche in Estremo Oriente la disponibilità sovietica permise il successo della Conferenza
di Ginevra (12-18 luglio 1954), che pose fine alla guerra d’Indocina.
Allo stesso tempo, però l’URSS rimase intransigente sulla questione della riunificazione della
Germania, come pure formalizzò e strinse ulteriormente con il patto di Varsavia (4 maggio 1955), i
legami economici e militari con i Paesi satelliti.
Ma l’avvio della destalinizzazione aveva suscitato fermenti e speranze nei Paesi satelliti, che
confliggevano frontalmente con il mantenimento dell’egemonia sovietica. In Ungheria, il comunista
dissidente Imre Nagy prese il potere il 23 ottobre 1956, mentre il cardinale Mindzenty veniva
liberato. Il nuovo governo annunciò l’abbandono del Patto di Varsavia e invocò la protezione
dell’ONU. La reazione sovietica non tardò a manifestarsi: il 4 novembre le truppe russe occupavano
brutalmente Budapest, schiacciando la rivoluzione ungherese. Un governo fantoccio, presieduto da
Kadar, gestì la re-pressione, incurante della condanna internazionale.
L’Unione Sovietica tollerò invece il movimento di emancipazione, assai più prudente e sfumato,
che contemporaneamente si manifestò in Polonia. Gomulka, che Stalin aveva fatto arrestare, prese il
potere, e il cardinale Wyszynski fu liberato, ma la Polonia restò fedele al Patto di Varsavia e al
comunismo.
Il nuovo leader sovietico Chruščev, divenuto nel frattempo segretario generale, dopo aver
denunciato al XX Congresso (febbraio 1956) lo stalinismo, lanciò una politica di “distensione”, che
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sembrò coincidere positivamente con l’elezione negli Stati Uniti del presidente democratico John
Kennedy (1960).
Al XX congresso, contro la tesi di Stalin che finché esisteva l’imperialismo occidentale la guerra
era inevitabile, Chruščev affermò che la guerra doveva essere sostituita, nei rapporti tra socialismo e
capitalismo, con la competizione. Iniziò così il periodo chiamato della “distensione” o del “disgelo”
che toccò anche i rapporti USA-URSS all’ONU colla fine dell’ostruzionismo. Il 1955 era stato
anche l’anno del Patto di Varsavia e del riarmo della Germania, ma queste cose ormai rientravano
nella logica del bipolarismo e non interferirono colla distensione. E lo stesso si poteva dire anche
per la re-pressione ungherese del 1956, che pure suscitò vivo sdegno in Occidente.
Con il viaggio di Chruščev nel 1959 in USA e con le strette di mano con Eisenhower, sembrò
davvero che la guerra fredda fosse finita, e sembrò anche la dimostra-zione che dal bipolarismo non
doveva per forza scaturire una “guerra fredda”.
La competizione pacifica era la nuova rassicurante dimensione, ma era in realtà solo frutto di una
propaganda, proprio tipica della guerra fredda: essa non era assoluta-mente terminata. Anzi, dal
finire degli anni Cinquanta, l’equilibrio del terrore si concretizzò in un bipolarismo giunto al
compimento e alla simmetria, con entrambe le super-potenze in grado oramai di distruggersi a
vicenda in modo totale. Tra il 1951 e il 1961, la guerra fredda proseguì con sempre più minacciosi
esperimenti nucleari: anche l’URSS dal 1961 possedeva la potentissima bomba H, equivalente a
4600 bombe atomiche su Hiroshima. Inoltre, tra e il 1961 e il 1962, a turbare il nuovo clima
internazionale sopravvennero la crisi dell’istallazione dei missili balistici russi a Cuba (ottobre
1962) e la nuova crisi di Berlino, dove i russi eressero il famigerato “Muro”, che sino al 1989
avrebbe costituito il simbolo della Guerra fredda e della divisione dell’Europa.
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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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7 La strategia triangolare: l’incrinatura del mondo bipolare
Il contrasto ideologico tra Cina e URSS iniziò con il XX congresso del partito comunista
sovietico, e la difesa da parte cinese di Stalin, che voleva essere anche una difesa dell’”ortodossia”
marxista del principio dell’antagonismo assoluto fra capitalismo e comunismo senza nessun
compromesso. Mao inoltre rifiutava la strategia della deterrenza, non ammettendo che non ci
fossero gradini intermedi tra l’apocalisse uni-versale e la rinuncia alla lotta rivoluzionaria.
L’affermazione di Mao che «se anche fosse successo il peggio e mezza umanità fosse perita, l’altra
metà sarebbe rimasta, mentre l’imperialismo sarebbe stato raso al suolo e il mondo intero sarebbe
diventato socialista» non poteva che sembrare assurda alle orecchie di Chruščev e dei sovietici.
Mentre Chruščev era convinto proprio che la coesistenza pacifica avrebbe giocato a favore della
vittoria del comunismo, Mao accusò Chruščev di “finto comunismo”, di essere il capo della “cricca
revisionista” e di tradimento del socialismo proprio a causa della teoria sovietica sulla coesistenza
pacifica e la transizione pacifica al socialismo.
Un focolaio rivoluzionario era aperto già da anni in Vietnam e sembrò l’avverarsi delle tesi di Mao,
quando i vietcong (comunisti protetti dalla Cina e dall’URSS) iniziarono a combattere dall’interno
lo Stato del Sud, protetto dagli USA che nel 1964 intervennero militarmente. Fu l’inizio di una
gigantesca trappola per gli USA, coinvolti in un una escalation di costi economici, umani e militari
(furono mobilitati fino a 2,7 milioni di soldati), nonostante l’opposizione dell’opinione pubblica
americana e internazionale per i bombardamenti sui civili e l’uso di gas e defolianti sulla jungla e le
foreste. Con Nixon (1968) iniziò la strategia della vietnamizzazione del conflitto attraverso il
progressivo ritiro delle forze USA in favore dell’esercito sud-vietnamita. Le trattative per porre fine
al conflitto durarono più di 4 anni, nel tentativo di non arrivare alla “prima sconfitta” nella storia
USA ma a una pace onorevole, e nel frattempo furono coinvolti anche Laos e Cambogia. Si arrivò
all’accordo nel 1973 sul cessate il fuoco, ma nel 1975 Saigon cadde e il Vietnam fu riunificato sotto
la dittatura di Ho-Chi-Min. Il conflitto era costato due milioni di morti al Vietnam e cinquantotto
mila agli USA, per i quali fu uno dei più grossi traumi della propria storia.
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Un’altra causa anti-imperialista fu trovata dal movimento rivoluzionario internazionale nella causa
palestinese, combattuta con la guerra dei sei giorni tra il 5 e il 10 giugno 1967 contro Egitto, Siria e
Giordania. Con l’appoggio degli USA a Israele, gli stati arabi divennero fortemente antiamericani.
La guerra del Vietnam non pose fine alla distensione, ma anzi dal 1968 in poi fu parallela al suo
rafforzamento: mentre il conflitto infuriava militarmente e propagandisticamente, si intensificarono
gli sforzi di USA e URSS per limitare gli arsenali nucleari. Difatti il 1° luglio 1968, anche in
conseguenza del possesso da parte della Cina sia della bomba atomica (1964) che della bomba H
(1967), fu concluso il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, con lo scopo di non far entrare altri
paesi nel club del nucleare. Con esso, infatti, le potenze già nucleari (USA, URSS, Gran Bretagna)
si impegnavano a non trasferire ad altri paesi le armi atomiche e a non aiutarli a procurarsene. La
Cina si rifiutò di firmare, considerandolo una prova dell’imperialismo USA e URSS e della loro
connivenza. Anche India, Pakistan, Corea del Nord, Israele non firmarono. Nemmeno la Francia di
De Gaulle firmò, e anzi nel 1966 era uscita anche dalla NATO.
Nel 1973 Henry Kissinger divenne segretario di stato degli Stati Uniti sotto la presidenza di Nixon.
Kissinger era un convinto anticomunista ma anche un ammiratore di Metternich e della diplomazia
“multipolare” europea di Settecento e Ottocento. Egli elaborò la strategia cosiddetta “triangolare”,
secondo la quale un mondo tripolare o multipolare sarebbe stato più portato alla ricerca di un
equilibrio diplomatico piuttosto che un mondo bipolare e la sua contrapposizione ideologica. Il
terzo polo su cui fare perno, e da cooptare nel sistema internazionale e frapporre al bipolarismo
USA-URSS, fu individuato nella Cina, che dopo la rottura ideologica con Mosca divideva il mondo
non più tra comunisti e non, ma tra imperialisti (USA e URSS) e comunisti (Cina e Terzo Mon-do).
Per i Cinesi, si trattava anche di sfuggire all’isolamento nel mondo comunista imposto dalla rottura
coll’URSS. La strategia triangolare si costruì anche attraverso lo sport: nel dicembre 1971 la
squadra statunitense di ping-pong fu inviata a Pechino (per cui venne nominata “diplomazia del
ping-pong”). A ciò seguì la visita di Kissinger e poi di Nixon nel 1972 in Cina. La diplomazia di
Kissinger aveva saputo approfittare del conflitto CINA-URSS per produrre un sistema
internazionale tripolare (anche se molto imperfetto poiché la Cina risultava essere molto meno
potente degli altri due poli), che fosse in grado di far riprendere agli USA le posizioni perdute,
giocando l’una contro l’altra le carte di Mosca e Pechino.
In Europa, intanto, si aprì per iniziativa della Germania Ovest una fase di distensione molto
concreta, con il governo di Willy Brandt (socialdemocratico), sfociata nei quattro trattati di
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amicizia e non aggressione (con l’URSS nel 1970, con la Polonia nel dicembre 1970, con la
Germania Est nel 1972, e con la Cecoslovacchia nel 1973). Fu il ritorno della Germana Ovest tra gli
attori della politica internazionale, e fu una nuova infrazione, insieme alla strategia triangolare, alla
logica del bipolarismo, già attenuato, del resto, dal contrasto URSS-CINA e dalla uscita della
Francia dalla NATO.
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Bibliografia
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G. BORSA, Dieci anni che cambiarono il mondo 1941-1951, Milano 1995
A. GAMBINO, Le conseguenze della seconda guerra mondiale. L’Europa da Yalta a Praga,
Bari 1972
S. GUERRACINO, Storia degli ultimi sessant’anni. Dalla guerra mondiale al conflitto
globale, Milano 2009
P. KENNEDY, Ascesa e declino delle grandi potenze, Milano 1993
H. KISSINGER, Gli anni della Casa Bian…ca, Milano 1980
R. MAIOCCHI, L’era atomica, Firenze 1993
G. MAMMARELLLA, Storia d’Europa dal 1945 ad oggi, Roma-Bari, 2000