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Università Telematica Pegaso L'approccio positivista allo studio
della criminalità
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 IL POSITIVISMO SOCIOLOGICO --------------------------------------------------------------------------------------- 3
1.1. GLI STUDI DI QUETELET E GUERRY: LA STATISTICA NELLO STUDIO DELLA DEVIANZA----------------------------- 4
2 IL POSITIVISMO BIOLOGICO ------------------------------------------------------------------------------------------- 6
2.1. LA SCUOLA POSITIVA ITALIANA --------------------------------------------------------------------------------------------- 6 2.2. IL CONTRIBUTO DI CESARE LOMBROSO ------------------------------------------------------------------------------------ 7 2.3. IL CONTRIBUTO DI ENRICO FERRI ------------------------------------------------------------------------------------------- 9 2.4. MERITI E PRINCIPALI CONTENUTI DELLA SCUOLA POSITIVA -----------------------------------------------------------11 2.5. CRITICHE ALLA SCUOLA POSITIVA -----------------------------------------------------------------------------------------12 2.6. LE TIPOLOGIE PSICOSOMATICHE: I TIPI FISICI DI SHELDON -------------------------------------------------------------13 2.7. SHELDON E ELEANOR GLUECK ---------------------------------------------------------------------------------------------14
3 IL POSITIVISMO GENETICO -------------------------------------------------------------------------------------------- 17
3.1. LA TEORIA CROMOSOMICA XYY --------------------------------------------------------------------------------------------17
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 19
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1 Il positivismo sociologico
Il positivismo è una corrente di pensiero che nasce come critica rivolta all’astrattezza
illuminista. Di questo orientamento si fecero portatrici le scienze sociali a partire dal XIX secolo,
motivo per il quale si è sviluppato, oltre al Positivismo Biologico rappresentato da Lombroso e
Ferri, il Positivismo Sociologico.
Le scienze sociali si sviluppano nella seconda metà dell’Ottocento in ragione della volontà
di sfuggire alla dicotomia individuo-Stato, che sino ad allora era stata al centro del contratto sociale.
Il terreno sul quale esse nascono è dunque significativamente diverso rispetto a quello su cui
poggiano le analisi e le indagini precedenti, facendo sì che le scienze sociali si pongano in netta
contrapposizione rispetto a quelle visioni che avevano tralasciato l’influenza della società
sull’individuo. L’ambiente sociale viene infatti considerato fondamentale nello studio della
criminalità e della devianza.
Gli esponenti delle scienze sociali intendono trovare una dimensione intermedia tra
individuo e Stato, che abbia una sua autonomia. Esse si orientano allo studio delle strutture sociali
come fatto collettivo, quindi ad una realtà sociale che non è lo Stato né l’individuo.
Il “fatto collettivo” costituisce l’oggetto d’indagine delle scienze sociali e rappresenta il
contesto in cui gli esseri umani vivono, una realtà autonoma che si riproduce grazie al continuo
contributo degli individui.
Il Positivismo può essere così inteso come tentativo di applicare i metodi e il paradigma
delle scienze naturali allo studio della società. Il teorico positivista baserà dunque tutto il suo studio
sull’osservazione dei fatti, avendo di sé l’immagine di uno scienziato che reagisce contro la
metafisica di matrice religiosa dei secoli precedenti.
La rivoluzione del pensiero positivista consiste nel tentativo di portare i principi delle
scienze naturali nell’ambito delle scienze sociali, a cui cominciano ad essere applicati metodi
quantitativi (statistica, osservazioni cliniche, ecc.).
Il positivismo criminologico in Italia, come vedremo più avanti, viene ricondotto agli studi
di Lombroso, Ferri e Garofalo, sotto la corrente del Positivismo Biologico.
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1.1. Gli studi di Quetelet e Guerry: la statistica nello studio della devianza
Il pensiero positivistico delle scienze sociali (Positivismo Sociologico) in materia di
criminalità conosce nel XIX secolo importanti contributi, soprattutto di lingua francese, grazie agli
studi di Quetelet (1796-1874) e di Guerry (1802-1866).
La riorganizzazione dello Stato moderno post-napoleonico aveva comportato che, insieme ad
una serie di grandi innovazioni, si cominciasse a voler produrre una conoscenza della nuova realtà
amministrata dallo Stato.
Nasce dunque una vera e propria scienza dello Stato, cioè la Statistica, che si rivela
particolarmente importante per la costituzione delle scienze sociali, in particolare di quelle
criminologiche. Sino a questo momento, infatti, la Chiesa, attraverso le parrocchie, era stata l’unica
istituzione che aveva raccolto statistiche di tipo anagrafico. In Francia, nel 1827, comincia ad essere
pubblicato un rendiconto generale dell’amministrazione della giustizia che si rivelerà di vitale
importanza per gli scienziati sociali.
Uno dei primi pensatori che utilizzò i metodi quantitativi nello studio delle dinamiche sociali
fu il belga Quetelet, di formazione matematico-astronomica. Nell’opera “Fisica Sociale”, il suo
famoso trattato pubblicato nel 1835, egli applica ciò che aveva appreso nell’ambito della sua
professione alle scienze sociali e alla criminologia, individuando per primo le categorie del c.d.
“uomo medio” (possibilità di rappresentare una popolazione attraverso le sue statistiche medie).
Lo studioso, insieme al francese Guerry, intraprende una serie di osservazioni statistiche sulla
criminalità utilizzando fonti proveniente da dati ufficiali. La differenza rispetto alla Scuola Positiva
italiana, che si concentrerà prevalentemente sulla questione bio-antropologica, è netta: questi due
autori, infatti, mantengono la concezione della devianza che era stata fatta propria dalla Scuola
Classica (reato come violazione di una norma legale) e solamente in seguito si arriverà a parlare
della criminalità intesa come violazione di norme non codificate nell’ordinamento giuridico.
Quetelet e Guerry lavorano su una scienza che chiamano Statistica morale, che può essere
considerata la disciplina antesignana della Sociologia. Quetelet osserva che i tassi più elevati di
criminalità non sono tanto riconducibili a livelli di povertà assoluta, ma a più elevati livelli di
disuguaglianza tra i redditi delle diverse classi sociali: egli anticipa così un concetto che sarà
sviluppato in seguito da Merton, il quale parlerà proprio di deprivazione relativa.
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Guerry, invece, nel volume “Statistica morale” pubblicata nel 1833, realizza una cartografia
sociale della criminalità, scoprendo che non esiste tanto un rapporto tra criminalità e povertà,
quanto piuttosto tra criminalità e disuguaglianza di sviluppo. Egli riesce dunque a smantellare l’idea
di una correlazione tra ignoranza e criminalità.
Concludendo l’esposizione circa gli studi compiuti da Quetelet e Guerry, è necessario
ricordare ancora una volta che essi adottano un approccio sociologico del problema criminale, al
contrario della Scuola Positiva italiana che adotta un approccio bio-antropologico. È importante
evidenziare questa differenza poiché il positivismo non si esaurisce né si completa negli studi
biologici, ma presenta una serie di sfaccettature come quella presentata in questo paragrafo.
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2 Il positivismo biologico
2.1. La scuola positiva italiana
La Scuola positiva affonda le sue radici filosofico-scientifiche nel positivismo metodologico
del XIX secolo, nato in opposizione al razionalismo illuministico. Il presupposto fondamentale di
questa corrente di pensiero è che solo sui fenomeni e sull’esperienza può elaborarsi un sapere
scientifico.
Questo movimento, che afferma la supremazia dell’indagine sperimentale, pone al centro il
principio di CAUSALITÀ, in grado di spiegare ogni fatto della vita fisica e psichica degli individui,
compresa la devianza e la criminalità.
In questa prospettiva, il delitto appare come manifestazione obbligata di determinate cause;
tale concezione si oppone radicalmente all’idea del crimine come espressione di una libera scelta
forgiata dalla Scuola classica. Il delitto, dunque, dev’essere disancorato da ogni premessa metafisica
e da ogni contenuto etico di riprovevolezza e viene del tutto sganciato dal postulato del libero
arbitrio: quest’ultimo, infatti, non ha più alcun senso poiché il soggetto è spinto a delinquere da date
cause personali o sociali.
La pericolosità sociale dell’individuo viene allora posta alla base del diritto penale: non vi è
più una responsabilità etico-morale del soggetto. Il centro dell’indagine giuridica si sposta dal reato
in astratto al delinquente in concreto, in quanto ciò che interessa alla Scuola positiva non è il reato
come entità giuridica staccata da colui che la compie (Scuola classica), ma come fatto umano
individuale che trova la sua causa nella struttura bio-psicologica del delinquente, la quale spinge
quest’ultimo a delinquere.
Una conseguenza molto importante di questo ragionamento è che se colui che devia vi è
costretto da personali caratteristiche bio-antropologiche, egli stesso sarà vittima di queste sue
peculiarità e sarà considerato come una vittima di sé stesso: ciò comporta una mancata attenzione
alla “vera” vittima.
Questo tipo di orientamento viene ricondotto alle cosiddette Teorie bio-antropologiche, le quali,
riprendendo la funzione di Lewin [C= f (P.A.)], attribuiscono i comportamenti criminosi (C) a
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determinate categorie di persone (P) che non sono in grado di controllare i loro impulsi devianti a
causa delle proprie caratteristiche biologiche. Questo presupposto finisce per riservare all’ambiente
sociale (A) un ruolo decisamente minore.1
Tale pensiero più che dare rilievo alla volontà colpevole dell’individuo ci si concentra sulla
sua pericolosità sociale, intesa come probabilità che il soggetto per certe cause sia spinto a
commettere fatti criminosi. L’oggetto di studio sono dunque i tipi di individui che sono predisposti
a commettere atti devianti, nonché le classificazioni di coloro che hanno deviato.
In un simile scenario non è concepibile una pena retributiva, che viene sostituita da misure
di sicurezza: i delinquenti devono essere sottoposti ad un sistema di punizioni che non possono
essere uguali per tutti perché non tutti hanno la stessa capacità di intendere e di volere. L’importante
è trovare una punizione adatta al delinquente in concreto.
2.2. Il contributo di Cesare Lombroso
Uno dei principali autori della Scuola positiva italiana, che sposa la tesi dei fattori bio-
antropologici come fondamenta del problema criminale, è Cesare Lombroso (1835-1909).
Lombroso fu un medico dell’Ottocento che, occupandosi della questione criminale, risentì
molto dell’influenza di Darwin ed in particolare della sua Teoria evoluzionistica. Infatti, il
contributo più importante di Lombroso consiste nella formulazione della Teoria dell’atavismo,
secondo cui lo sviluppo di ogni individuo di una specie ripercorre le tappe percorse dalla specie cui
appartiene.
L’atavismo è un tratto distintivo dell’antenato di un individuo che, dopo essere scomparso
per generazioni, ricompare: queste caratteristiche anatomiche possono dunque riaffiorare dal
passato, e in alcuni casi in maniera molto grave, alla nascita di un individuo. Il grande errore che
commette Lombroso, come vedremo più avanti analizzando le critiche che gli furono rivolte, è di
collegare la ricomparsa e l’individuazione di questi tratti arcaici alla personalità e al carattere
dell’individuo, il quale, una volta identificati in lui questi elementi, viene classificato come persona
deviante. Secondo la teoria di Lombroso, infatti, esistono individui nei quali lo sviluppo si è fermato
ad uno stato anteriore rispetto allo sviluppo della specie umana. Questi individui forniscono a
1 A. BALLONI, Criminologia in prospettiva, Editrice CLUEB, Bologna, 1983.
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Lombroso l’opportunità di individuare stigmate fisiche della devianza: egli sostenne, infatti, di aver
scoperto il segreto della criminalità e di aver concepito l’atavismo durante l’autopsia sul brigante
Villella.
La caratteristica anatomica presente nel cranio di questo brigante – la fossetta occipitale
mediana - viene considerata da Lombroso come un tratto primitivo, rappresentando per lui una sorta
di ispirazione per lo sviluppo della sua teoria che collega la criminalità a caratteristiche
morfologiche ataviche.
Queste riflessioni sono contenute nella sua opera più importante, “L’uomo delinquente”
(1876), che rappresenta anche la prima sintesi delle teorie bio-antropologiche. Di seguito si riporta
una parte del pensiero di Lombroso, elaborato in seguito all’esame autoptico fatto sul Villella:
“ L’esame del delinquente fatto dall’antropologia criminale ha stabilito trovarsi in questi una
quantità di caratteri abnormi, anatomici, biologici e psicologici […]. E siccome a questi caratteri
atavici si associano tendenze e manifestazioni criminose, e queste sono normali e frequentissime
negli animali e nei popoli primitivi e selvaggi, così è legittimo conchiudere che anche nei criminali
queste tendenze siano naturali, nel senso che dipendono necessariamente dalla loro
organizzazione, analoga, per inferiorità di struttura e di funzioni fisiche e psichiche, a quella dei
popoli primitivi e selvaggi e qualche volte degli animali”.2
I suoi studi ripercorrono la volontà di identificare il c.d delinquente nato e le forze che lo
inducono a deviare. Ciò lo porta a individuare e classificare i rei a seconda della loro intima natura,
anziché secondo l’entità e il reato commesso, come opera la legge.
Così facendo, egli distingue:
1. Il delinquente nato;
2. Il delinquente occasionale;
3. Il delinquente pazzo;
4. Il delinquente per passione e quello d’abitudine.
Questa visione ovviamente lo porta a non considerare i fattori sociali e psicologici che
possono influire sul comportamento deviante, al quale, come detto, l’individuo non si può sottrarre
perché è espressione di un suo mancato sviluppo biologico.
2 C. LOMBROSO, L’uomo delinquente, Napoleone Ed., Roma, 1971, p. 46.
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2.3. Il contributo di Enrico Ferri
Un altro grande studioso italiano che si è occupato della criminalità, e di tutti gli aspetti ad
essa connessi, è stato Enrico Ferri (1856-1929). A differenza di Lombroso, che si era occupato solo
dei fattori bio-antropologici quali causa della produzione di devianza, Ferri affronta anche il
problema della giustizia penale, considerandola sotto due accezioni. Dal punto di vista pratico,
esaminando la giustizia penale nella sua funzione sanzionatrice (per difendere la società dal
crimine) e come sistema organico di principi razionali. I principi razionali, oggetto di studio della
scienza, devono essere indicati al legislatore per consentirgli di esercitare sia la sua funzione
suprema che l’amministrazione della giustizia.
Ripercorrendo storicamente l’evoluzione del sistema di giustizia, il criminologo sostiene
come nel Medioevo esso, basandosi sul presupposto che il delitto potesse essere impedito con il
castigo e le atrocità della pena, ha dato vita a due anomalie. Da un lato, ha portato il legislatore a
pensare sempre nuovi tormenti (il più delle volte dall’efficacia discutibile), dall’altro, ha innescato
una maggiore ferocia del criminale nel commettere delitti sempre più efferati. La brutalità dei
crimini è andata poi scomparendo nel tempo non tanto per l’utilità dei rimedi previsti, quanto
perché la civiltà moderna ha reso possibile la commissione di altri reati. Questo perché gli eccessi di
atrocità della pena in Italia sono diminuiti (soprattutto grazie all’opera di Beccaria, che affermava
l’importanza di una pena meno severa ma certa), ma la giustizia penale si è rivelata al contempo
incapace di raggiungere quei risultati auspicati circa la diminuzione della criminalità nel suo
complesso.
Nel Medioevo, dunque, il tradimento delle aspettative verso il progresso della giustizia
penale è riconducibile alla previsione di pene atroci che non fanno altro che diffondere un senso di
penitenza. Con lo Stato laico della civiltà moderna, invece, tutto è cambiato: il principio cardine sul
quale deve far leva la giustizia penale è quello etico-giuridico della proporzione tra delitto e
punizione (principio rivendicato dalla Scuola Classica).
La giustizia umana però non rappresenta tutta la realtà umana. Per poter cogliere nel
complesso il delicato ambito d’intervento del diritto penale è necessario non solo volgere lo sguardo
alla giustizia, ma anche all’opinione pubblica. Infatti, accanto ad una corrente minoritaria di
ESPERTI DEL DIRITTO che guardano al delitto dal punto di vista TECNICO-GIURIDICO
ponendosi alcune domande sulla tipologia del reato, vi è anche una corrente molto più ampia che va
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oltre questa tecnicità e si pone interrogativi che riguardano l’uomo che ha delinquito (cause
personali, sociali, ecc. che l’hanno spinto a deviare).
Questa seconda corrente, che rappresenta la reazione dell’opinione pubblica alla notizia di
un reato, è quella che rappresenta tutta la REALTÀ UMANA, quel macro insieme che volge
l’attenzione non tanto ad aspetti tecnici quanto a colui che ha deviato. Ciò fa sì che si guardi anche
al delinquente, se si vuole avere una visione integrale del delitto e non una parziale affidata a pochi
esperti.
Il delitto, secondo Ferri, non è un fenomeno naturale né impersonale ma esso è sempre
l’azione di un uomo, l’espressione catastrofica della personalità umana.3
Semplificando, è importante comprendere, per evitare di incorrere in fallimenti, che la giustizia
umana non può pretendere di avvicinarsi alla realtà delle cose se non include, accanto allo studio
del delitto, l’analisi della persona che l’ha compiuto.
Questo perché nella personalità umana c’è una ragione intima che si unisce alla complicità
dell’ambiente familiare. È importante, dunque, che ci sia una scuola che cominci ad indagare queste
influenze che spingono l’uomo a delinquere.
Ferri volge poi lo sguardo all’amministrazione della giustizia, individuando tre questioni
prioritarie da risolvere:
1) Il fatto fu compiuto?
2) Quel fatto fu compiuto dall’odierno giudicabile?
3) Quel fatto compiuto dall’odierno giudicabile ha gli estremi del delitto che è punito dalla
legge?
Nella risoluzione di questo triplice problema, la conoscenza della personalità del giudicabile si
impone all’attenzione del giudice. Il successo della Scuola positiva risiede nel saper rispondere alle
sopraindicate domande.
Ferri sostiene che l’autore di un delitto non particolarmente efferato può essere più pericoloso
per la società dell’autore di un delitto più grave. È per questo che è importante guardare a colui che
ha deviato, anche perché la proporzione tra delitto e pena è un’astrazione irraggiungibile.
All’interno della Scuola Positiva, infatti, il criterio di responsabilità legale è indipendente da quello
3 La dimensione biologica, fisica e sociale della criminalità viene analizzata da Ferri in, E. FERRI, Sociologia
criminale, UTET, Torino, 1929.
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tradizionale della responsabilità o colpa morale. Il principio di responsabilità legale rinsalda il
comune sentimento di moralità, concetto che si ritrova anche in Durkheim: la punizione nei
confronti del deviante rafforza la coesione della società degli onesti. La sanzione viene applicata
che al reo ribadisce e conferma nella pubblica coscienza l’immoralità delle azioni da lui commesse.
Da questo concetto nasce l’importanza attribuita al principio di pericolosità sociale. Le sanzioni,
però, non dovranno sopprimere il residuo di personalità umana, ma devono essere adeguate alla
pericolosità sociale dell’individuo, in modo da consentirgli il reinserimento, una volta scontata la
pena, nella società.
Nel suo studio concernente il delitto, Ferri si è distinto chiaramente da Lombroso, in quanto ha
considerato l’importanza dei fattori sociali. Questo però non significa che egli non consideri i tratti
bio-antropologici considerati da Lombroso. Rispetto a quest’ultimo, Ferri allarga l’orizzonte
causativo del crimine riconducendo alla delinquenza tanto un’origine biologica quanto un’origine
fisica e sociale. In questo senso, l’omicidio di un pazzo e quello commesso per un’idea politica sono
differenti: il primo deriva da una condizione psico-patologica dell’individuo, il secondo è il risultato
delle condizioni politico-sociali dell’ambiente. Anche per Ferri il comportamento umano è
spogliato, privato di significato, scelta e creatività. Colui che commette un reato è infatti un
soggetto anormale per cause degenerative, involutive e patologiche su cui però agiscono spinte
esteriori.
2.4. Meriti e principali contenuti della scuola positiva
Alla Scuola Positiva sono riconducibili i seguenti meriti:
Ha messo a fuoco il problema della pericolosità sociale del delinquente nei sui condizionamenti
bio-psicosociali;
Ha rivolto particolare attenzione alla risocializzazione del reo, problema tralasciato dalla
Scuola classica al sistema unico e rigido della pena si sostituisce un’ampia gamma di misure
di prevenzione adeguabili dalla personalità del singolo delinquente.
I concetti fondamentali della Scuola Positiva:
1. Gli esseri umani vivono in un mondo caratterizzato da rapporti di causa-effetto: regna un
determinato ordine che si può scoprire e studiare attraverso l’osservazione sistematica;
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2. I problemi sociali, come la criminalità, possono essere risolti attraverso lo studio del
comportamento umano con l’ausilio della scienza;
3. Il comportamento criminale dipende da diversi tipi di anomalie che possono essere
intrinseche all’individuo oppure possono scaturire dalla società: la scuola positiva
deresponsabilizza l’individuo;
4. Gruppo di controllo per controllare anormalità-normalità
5. Una volta che sono conosciute le anormalità è compito della criminologia provvedere alla
loro correzione: l’obiettivo finale è quello del RECUPERO e TRATTAMENTO del
soggetto criminale;
6. Il trattamento è importante ed auspicabile sia per l’individuo, perché gli può consentire di
tornare ad avere un posto nella società, sia per la società, perché le consente di essere
protetta da eventuali effetti dannosi;
7. Lo scopo della sanzione non consiste nella punizione ma nel trattamento e nella cura.
2.5. Critiche alla scuola positiva
1) La teoria lombrosiana ipotizza l’esistenza di una natura criminale senza fare riferimento al
fatto che il concetto di criminalità è un concetto RELATIVO, che quindi può variare nel corso
del tempo e dello spazio.
2) Fallacia causale: il positivismo scambia un’associazione rilevabile dall’osservazione per un
rapporto di tipo causale, giungendo all’errata conclusione che una determinata struttura
anatomica sia indicativa di atavismo antropologico, causa del comportamento deviante di
alcuni delinquenti.
3) Problema del GRUPPO DI CONTROLLO: Charles Goring ha falsificato la teoria di
Lombroso dimostrando come le caratteristiche anatomiche che egli indicava come collegate al
fenomeno criminale fossero distribuite nella popolazione di un college studentesco in maniera
non diversa dalla popolazione di un vicino istituto penitenziario.
4) Come esempi di criminali erano stati presi soggetti che erano già passati attraverso un intenso
processo di selezione che li aveva portati alla condanna o alla carcerazione. Tutte le variabili
che governano questo processo di selezione erano state trascurate.
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5) Deresponsabilizzazione dell’individuo, in quanto ogni suo comportamento criminale e
deviante è riconducibile a qualche motivo causale.
2.6. Le tipologie psicosomatiche: i tipi fisici di Sheldon
Tra le teorie criminologiche del Positivismo Biologico rientrano gli studi di William
Sheldon (1898-1977), psicologo che si è fortemente interessato alla costituzione fisica degli uomini.
Elabora una teoria basata sui tipi fisici, individuando tre tipologie e prendendo in considerazione le
ossa, i muscoli, il tessuto nervoso e cutaneo e la misura in cui questi sono presenti nel corpo umano.
Nel 1942 presenta la sua teoria sui tre tipi fisici costituzionali: endomorfo, mesomorfo,
ectomorfo.4
L’endomorfo è caratterizzato da morbidezza, rotondità, e basso sviluppo del tessuto
muscolare. È un soggetto caratterialmente socievole, estroverso e comprensivo, alla ricerca spesso
della comodità.
Il mesomorfo, invece, si evidenzia per un fisico duro e rettangolare, a cui si associa un
notevole sviluppo dei muscoli e del sistema circolatorio. Rispetto all’endomorfo si presenta con un
carattere più coraggioso ma anche aggressivo e prepotente, con una propensione a svolgere attività
dinamiche, attive e richiedenti molta energia.
Infine, l’ectomorfo, si caratterizza per una notevole differenza da i due precedenti. È un
individuo dal corpo magro, longilineo e fragile che al contempo presenta un grande sviluppo
del sistema nervoso e del cervello. Caratterialmente è il più timido, introverso e sensibile.
4 L’opera di riferimento di tale teoria è, W.H. SHELDON, The varieties of temperament: a psychology of constitutional
differences, Harper & Brother, 1942.
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Sheldon giunge a questa classificazione analizzando i tipi somatici e le biografie di circa 200
giovani tra i 15 e i 21 anni residenti in una casa di riabilitazione. Sulla base dei tipi fisici appena
descritti, Sheldon individua poi quale di essi è più favorevole alla produzione di devianza. Sostiene
che, anche se la mesomorfìa non porta necessariamente alla delinquenza, essa rappresenta il tipo di
costituzione più favorevole al suo manifestarsi.5 Egli afferma che: “il mesomorfo è entusiasta,
vigoroso, incessantemente attivo, rapido a tradurre gli impulsi in azione, coraggioso e valoroso.
Contemporaneamente però gli mancano le qualità per dirigere l’azione: la coscienza, la sensibilità,
la riflessione, che sono invece caratteristiche dell’ectomorfo. Messe insieme queste caratteristiche
producono una persona predatrice, che fa e prende quello che vuole senza considerare gli altri”.
Sheldon afferma poi che gli individui mesomorfi, nonostante le loro caratteristiche, non
necessariamente producono comportamenti devianti se inseriti in situazioni positive, in situazioni
cioè in cui le loro tendenze predatorie possono essere orientate verso mete positive.
La conclusione, infine, a cui giunge lo studioso, è che il problema controllo sociale possa
essere efficacemente risolto solo attraverso l’accoppiamento selettivo degli individui, che
consentirebbe di eliminare i tipi fisici negativi.
2.7. Sheldon e Eleanor Glueck
Lo studio dei coniugi Glueck si inserisce nelle teorie biologiche per il tentativo di verificare
quanto affermato da Sheldon, ovvero se esiste un rapporto tra i tipi somatici e la delinquenza,
5 W.H. SHELDON, Varieties of Delinquent Youth, Harper & Brother, 1949.
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della criminalità
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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soprattutto quella giovanile. In alcuni dei loro studi, complessivamente condotti dagli anni ’20 agli
anni Settanta, come quelli dell’indagine “500 Criminal Careers”6, essi osservano che tre quarti
delle donne delinquenti considerate erano già state delinquenti minorili. Questo risultato inaspettato
porta i due studiosi a iniziare una nuova indagine nel 1940, che terminerà dieci anni dopo. In questa
nuova indagine i Glueck analizzano un campione di 500 individui delinquenti abituali minorenni e
un campione di 500 non delinquenti, cercando eventuali analogie tra i due gruppi. 7
In questa
pubblicazione è possibile riscontrare dati molto importanti per la descrizione dei delinquenti,
rifacendosi alla suddivisione dei tipi fisici di Sheldon.
Ci sono alcune caratteristiche che differenziano i delinquenti dai non delinquenti.
Innanzitutto i delinquenti hanno generalmente una costituzione mesomorfa, sono cioè muscolosi,
solidi e con un temperamento energico, impulsivo e inquieto. Dal punto di vista dell’atteggiamento
si caratterizzano per essere ostili, testardi e socialmente autoritari. A livello psicologico, poi,
tendono ad essere poco metodici nell’affrontare i problemi e a livello socio-culturale provengono da
gruppi familiari in cui hanno ricevuto poco affetto, scarsa comprensione da genitori incapaci di
rappresentare figure guida per l’individuo.8
Continuando nell’analisi del problema relativo alla delinquenza minorile, i Glueck affrontano
numerosi temi a riguardo: potenziale criminale, impulsi criminogenetici diretti ed indiretti,
criminalità legata a disarmonie interne ed influenza selettiva dell’ambiente.9
Per quanto riguarda il potenziale criminale, affermano che la maggior presenza di delinquenti tra i
mesomorfi è riconducibile al fatto che i ragazzi con questo tipo fisico sono caratterizzati dalla
tendenza a trasformare in azione le tensioni, ciò dovuto ad un’eccessiva energia che non sono in
grado di convogliare nella giusta direzione. Non riescono cioè a controllare le frustrazioni e i
sentimenti aggressivi, e ciò li rende particolarmente inclini alla delinquenza (questo è dovuto anche
al fatto che vivono in aree urbane disorganizzate).
6 Lo studio, avente come obiettivo quello di valutare l’efficacia del trattamento riformativo durante e dopo la
carcerazione, è rinvenibile nell’opera, S. ed E. GLUECK, Five hundred delinquent women, New York, 1934. 7 Il risultato di questi studi è pubblicato in, S. ed. E. GLUECK, Unraveling juvenile delinquency, Harvard Law School-
Studies in Criminology, New York, 1950. 8 Ibidem.
9 La trattazione di questi temi è rinvenibile in, S. ed E. GLUECK, Physique and delinquency,, Harper e Brothers, New
York, 1956.
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Gli impulsi criminogenetici diretti, poi, sono espressione di un’eccessiva energia istintiva, dunque
legata alla natura dell’individuo; quelli indiretti, invece, sono il risultato di azioni reattive, difensive
o compensative.
Concentrandosi sulle disarmonie interne, i Glueck affermano come la criminalità sia riconducibile
ad esse, nel senso che quei sentimenti di insoddisfazione e inadeguatezza, che solitamente non si
rinvengono nei mesomorfi, tendono ad avere un effetto più marcato rispetto a quanto avverrebbe
negli altri due tipi fisici.
Infine, con la variabile dell’influenza selettiva dell’ambiente, sostengono che nei mesomorfi il modo
in cui viene scaricata l’energia e il controllo degli impulsi avviene in maniera diversa rispetto agli
ectomorfi e mesomorfi.10
Concludendo sull’analisi svolta dai due studiosi, si può affermare come essi abbiano studiato
la relazione che sussiste tra costituzione biologica e condotta deviante, prendendo in considerazione
il temperamento, il livello di energia e altri fattori derivanti da situazioni socio-culturali. I Glueck,
dunque, pur facendo riferimento a tratti bio-antropologici, non esauriscono le loro indagini sotto
questo punto di vista (come aveva fatto Lombroso) ma, essendo in un periodo di transizione tra
queste vedute e quelle che ritengono importante l’influenza sociale, prendono in considerazione
altri aspetti da un punto di vista sociologico.
10
Ibidem.
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3 Il positivismo genetico
3.1. La teoria cromosomica xyy
Nel periodo in cui si diffondono ad ampio raggio le teorie bio-antropologiche, che indagano
i fattori biologici che conducono a comportamenti devianti, si diffonde una teoria ricordata per la
sua particolarità di ricercare le cause della criminalità in caratteri genetici. Questa teoria, sviluppata
da biologi positivisti, fonda le sue indagini sulla sindrome cromosomica XYY.
Quest’ultima è una particolare anomalia genetica che viene presa in considerazione negli
anni Sessanta, periodo in cui la teoria genetica della criminalità si sviluppa, tentando di individuare
una correlazione tra la tripletta cromosomica XYY e la criminalità.11
Viene innanzitutto presa in considerazione la sindrome di Klinefelter (XXY), caratterizzata
dal fatto che i soggetti affetti hanno un basso quoziente di intelligenza.
Le anomalie presenti nell’ultima coppia di cromosomi vengono scoperti per caso,
individuando nell’ultima coppia cromosomica la combinazione XYY, in un uomo senza sintomi di
deficienza, normale psicologicamente e di media intelligenza, che presentava solo un’evidente
difficoltà in alcuni impieghi.12
Effettuando un sondaggio cromosomico di 204 detenuti maschi in un carcere di massima
sicurezza per il trattamento psichiatrico dei delinquenti, si sono individuati cinque individui di
cariotipo anormale. Si pensò allora che i maschi portatori di un addizionale cromosoma Y potessero
essere predisposti al comportamento criminale.13
L’interesse per queste teorie nel corso degli anni Sessanta porta numerosi studiosi ad
interessarsi del caso, cercando altri possibili collegamenti tra le anomalie cromosomiche e la
criminalità.
W.H. Price e P.P Whatmore confrontano nove maschi XYY con diciotto maschi scelti a
caso tra uomini affetti da problemi psichici che erano stati condannati. L’intento della ricerca è
11
La sindrome cromosomica XYY è un’anomalia dell’ultima coppia di cromosomi contenuta nelle cellule umane, la
ventitreesima, che determina il sesso degli individui (XX=donna; XY=uomo). 12
D.J. BARLETT, Chromosomes of Male Patients in a Security Prison, Nature, London, 1968. 13
Ibidem.
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quello di individuare l’influenza del cromosoma Y in più, mettendo a confronto maschi XYY e
maschi normali, dunque con coppia cromosomica XY.
Essi giungono a tre importanti risultati:
- L’età media di condanna dei maschi XYY è di 13 anni, in confronto ai 18 della prima
condanna degli uomini normali (gruppo di controllo).
- I maschi XYY si caratterizzano per delitti compiuti per lo più contro la proprietà, mentre
quelli del gruppo di controllo sono generalmente contro la persona (omicidi, aggressioni,
delitti sessuali).
- Nell’ambiente familiare XYY non si ritrovavano però precedenti di delitti: su trentuno
fratelli, soltanto uno aveva precedenti penali; invece, dodici dei sessantatrè figli dei
controllati presentavano un totale di 139 condanne.
In generale, i maschi XYY si presentano instabili mentalmente e immaturi, con poca sensibilità
e con una marcata tendenza alla recidiva nei delitti contro la proprietà.
Alla luce di queste scoperte nell’indagine condotta, Price e Whatmore affermano come “appare
verosimile che l'extra cromosoma Y abbia un effetto deleterio sul comportamento di questi uomini,
predisponendoli ad azioni criminali”.
In conclusione, è necessario ricordare come anche la teoria cromosomica in esame è
riconducibile alla teoria del campo di Lewin. Un soggetto XYY, in una data situazione e in un
determinato ambiente, ha un comportamento che però non è possibile ricondurre unicamente alle
caratteristiche cromosomiche. Hunter rileva, inoltre, come i limiti di questa teoria siano simili a
quelli della teoria dei tipi fisici di Sheldon. Ciò in considerazione del fatto che anche se il
comportamento di questi individui non fosse così aggressivo, potrebbe comunque succedere che a
causa del loro aspetto giudicato spaventevole i giudici e gli psichiatri li affidino ad istituti per
individui sub-normali, finendo per essere prevenuti verso di essi.
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Bibliografia
BALLONI A., Criminologia in prospettiva, Editrice CLUEB, Bologna, 1983;
BARLETT D.J., Chromosomes of Male Patients in a Security Prison, Nature, London, 1968;
FERRI E., Sociologia criminale, UTET, Torino, 1929;
GLUECK S. ed E., Five hundred delinquent women, New York, 1934;
GLUECK S. ed. E., Unraveling juvenile delinquency, Harvard Law School-Studies in
Criminology, New York, 1950;
GLUECK S. ed E., Physique and delinquency,, Harper e Brothers, New York, 1956;
GUERRY A.M, Essai sur la statistique morale de la France, 1833;
LOMBROSO C., L’uomo delinquente, Napoleone Ed., Roma, 1971;
SHELDON W.H., The varieties of temperament: a psychology of constitutional differences,
Harper & Brother, 1942;
SHELDON W.H., Varieties of Delinquent Youth, Harper & Brother, 1949.