P. M. Soardi - MatAppstaff.matapp.unimib.it/~soardi/Analisi_I/Appunti sulle... · 2016. 9. 26. ·...

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P. M. Soardi Appunti sulle Ondine

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  • P. M. Soardi

    Appunti sulle Ondine

  • INDICE

    Prefazione iii

    Capitolo I. Analisi Multirisoluzione di L2(R) 11. Basi di Riesz 12. Analisi multirisoluzione 53. Esempi 8

    Capitolo II. Splines e Analisi Multirisoluzione 12

    1. Splines cardinali 122. Serie di splines 153. Box splines 194. Splines in L2 215. MRA di splines 22

    Capitolo III. Ondine 26

    1. Ortonormalizzazione 262. Costruzione di ondine 293. Esempi 364. Regolarità delle ondine 395. Ondine non associate con MRA 43

    Capitolo IV. Ondine a supporto compatto 50

    1. Caratterizzazione delle funzioni di scala 502. Filtri 533. La condizione di A. Cohen 574. Ondine a supporto compatto 625. La costruzione di I. Daubechies 656. Dimostrazione del Lemma di Riesz 68

    Capitolo V. Ondine in più dimensioni 71

    1. Analisi multirisoluzione in L2(Rn) 712. Esempio: prodotti tensoriali di MRA 733. Esempio: splines lineari 754. Basi di Riesz con più generatori 78

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  • 5. Il Teorema di Gröchenig 826. Casi particolari 85

    Capitolo VI. Frames di ondine 88

    1. Frames e basi di Riesz 882. La formula di ricostruzione 913. Frames di ondine 964. Una condizione sufficiente 98

    Capitolo VII. Ondine in teoria dei segnali 103

    1. Campionamento 1032. Filtraggio 1073. MRA e codificazione in sottobande 1114. Codificazione in sottobande: schema generale 1144. Compressione 117

    Bibiografia 123

    Grafici 125

    ii

  • PREFAZIONE

    Nel 1993 il Wavelet Literature Survey, edito dall’Istituto di Analisi Numerica eMatematica Applicata dell’Università di Vienna, elencava 976 articoli sulle ondineapparsi nella letteratura matematica dei precedenti nove anni; a partire poi dal1993, il numero di lavori è raddoppiato ogni anno. Di fronte a un cos̀ı alto numerodi articoli, sono invece apparsi relativamente pochi trattati sistematici sulla teoriagenerale delle ondine, e, in generale, essi richiedono un certo impegno.

    Lo scopo di queste pagine, che raccolgono (in forma estesa) le mie lezioni sulleondine, è quello di fornire una introduzione veloce e relativamente elementare alleanalisi multirisoluzione, alle ondine ortonormali e ai frames di ondine.

    Vista la finalità di queste note, non ho trattato od ho solo accennato a siapure importanti aspetti della teoria, quali la trasformata ondina continua, le on-dine biortogonali, la caratterizzazione degli spazi funzionali, la caratterizzazionegenerale delle ondine, etc. Ho però dedicato il capitolo finale ad una applicazionedelle ondine alla teoria dei segnali, da cui esse hanno preso l’avvio, delineando glischemi di codificazione in sottobande ed esponendo velocemente il problema dellacompressione. Questo naturalmente è solo un esempio delle molteplici applicazionidelle ondine all’ingegneria o ad altri settori della matematica, che non sono stateincluse sia per ragioni di opportunità che per le limitazioni dell’autore.

    La teoria delle ondine è uno dei più recenti sviluppi dell’analisi di Fourier ma,come ha osservato Yves Meyer, essa non può rimpiazzare interamente l’analisi diFourier. Tra l’altro, per le costruzioni della teoria delle ondine sono indispensabili iformalismi dell’analisi armonica. Quindi, la lettura di queste note presuppone unaconoscenza almeno elementare dell’analisi di Fourier classica. A tal proposito pre-cisiamo fin d’ora che adotteremo, tra le possibili definizioni equivalenti, la seguentedefinizione di trasformata di Fourier

    f̂(x) =∫

    Rf(t)e−itxdt.

    Spero che questi appunti possano essere utili per gli studenti e per tutti coloro chedesiderano un’introduzione agli elementi di base della teoria prima di passare a

    Typeset by AMS-TEXiii

  • iv PREFAZIONE

    letture più impegnative; penso poi che la bibliografia alla fine del libro contengaabbastanza indicazioni per approfondire gli argomenti trattati e quelli omessi.

  • CAPITOLO I

    ANALISI MULTIRISOLUZIONE DI L2(R)

    1. Basi di Riesz

    Sia B uno spazio di Banach e {fk}∞k=1 una famiglia di elementi di B che generanolo spazio, cioè tali che B sia la chiusura in norma dello spazio delle combinazionilineari delle fk. La famiglia {fk}∞k=1 si chiama base (di Schauder) di B, se ogni ele-mento g ∈ B può essere rappresentato in maniera unica nelle forma g = ∑∞k=1 ckfk(ove la serie converge in norma).

    Nel caso degli spazi di Hilbert, le basi più conosciute e più comunemente usatein analisi funzionale sono le basi ortonormali. Esse sono in particolare basi incon-dizionate, cioè tali che la serie che rappresenta g converge incondizionatamente ag. Noi introdurremo ora un tipo più generale di basi incondizionate di H, cioè lebasi di Riesz.

    Definizione. Sia H uno spazio di Hilbert. Una famiglia {fk}∞k=1 ⊂ H si chiamabase di Riesz di H se

    (i) la famiglia {fk}∞k=1 è una base per H, cioè per ogni g ∈ H esiste un’unicasuccessione {ck}∞k=1 tale che

    (1) g =∞∑

    k=1

    ckfk,

    (ii) esistono costanti positive A e B tali che per ogni g ∈ H delle forma (1) siabbia

    (2) A+∞∑

    k=1

    |ck|2 ≤ ||g||2 ≤ B+∞∑

    k=1

    |ck|2.

    Chiaramente ogni base ortonormale di H è anche una base di Riesz di H (concostanti A = B = 1), ma il concetto di base di Riesz è molto più generale, comemostreremo in seguito.

    Sia {fk}∞k=1 una base di Riesz per H. Possiamo definire un’applicazione lineareT : `2(N) 7→ H nel seguente modo: per ogni una successione c = {ck}∞k=1 in `2

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  • 2 CAPITOLO I. ANALISI MULTIRISOLUZIONE DI L2(R)

    poniamo Tc =∑∞

    k=1 ckfk. Si noti che questa serie converge in H, poichè perm ≥ n si ha per il punto ii)

    ||m∑

    k=n

    ckfk||2 ≤ Bm∑

    k=n

    |ck|2.

    Inoltre, sempre per i) e ii) (diseguaglianza di sinistra), T è suriettiva e invertibile.In definitiva, T realizza un isomorfismo (per le strutture di spazi di Banach) tra`2(N) e H. In particolare, la serie in (1) converge incondizionatamente.

    Teorema 1. Sia {fk}∞k=1 una famiglia che genera H. Essa è una base di Rieszper H se e solo se esistono costanti positive A e B tali che per ogni famiglia finitadi numeri c1, . . . , cn si abbia

    (3) An∑

    k=1

    |ck|2 ≤ ||n∑

    k=1

    ckfk||2 ≤ Bn∑

    k=1

    |ck|2.

    Dimostrazione. Occorre dimostrare solo la sufficienza. Per prima cosa vedia-mo che nessun fk è nella chiusura lineare dei restanti. Se ad esempio per ogni ² > 0esistessero c2, . . . , cn tali che

    ||f1 −n∑

    k=2

    ckfk||2 < ²,

    allora per (3) avremmo 1+∑n

    k=2 |ck|2 < A−1², che è assurdo. Quindi, se g ∈ H hala rappresentazione (1), essa è unica.

    Sia ora g ∈ H e sia gr =∑

    k crkfk una successione di combinazioni lineari finite

    di fk convergenti a g in norma. Fissiamo ² > 0. Si ha da (3) per r e s abbastanzagrandi

    A∑

    k

    |crk − csk|2 ≤ ||gr − gs||2 < ².

    Quindi {crk}k converge in `2(N) a una successione {ck}k. Poniamo σn =∑n

    k=1 ckfk.Allora per m > n

    ||σn − σm||2 ≤ Bm∑

    k=n+1

    |ck|2,

    cosicchè la serie∑∞

    k=1 ckfk converge in norma a un elemento g̃ ∈ H.Si ha per ogni n e r

    ||g̃ − g|| ≤ ||g̃ − σn||+ ||σn − gr||+ ||gr − g||.Allora per (3)

    ||σn − gr|| ≤ B1/2( ∞∑

    k=1

    |crk − ck|2)1/2

    + B1/2( ∞∑

    k=n+1

    |ck|2)1/2

    .

    Quindi ||σn−gr|| → 0 per n, r →∞. Poichè si ha anche ||g̃−σn|| → 0 e ||gr−g|| → 0per n, r → ∞, ne segue g = g̃; quindi (1) vale. Da (3), per continuità, si ottieneanche (2). ¤

  • 1. BASI DI RIESZ 3

    Osservazione. Per ogni una base di Riesz {fk} possiamo definire una baseduale. Esiste infatti un’unica famiglia di elementi f̃j ∈ H tali che (fk, f̃j) = δk,j(delta di Kronecker). Chiaramente, i coefficienti nello sviluppo (1) sono dati dack = (g, f̃k). Dimostreremo nel sesto capitolo che la famiglia {f̃j}j costituisceeffettivamente una base di Riesz per H.

    Nel seguito ci occuperemo esclusivamente di basi di Riesz della forma fk(x) =f(x− k), k ∈ Z, dove f è una fissata funzione di L2(R). H ⊆ L2 sarà lo spazio daesse generato.

    Esempio. Sia V lo spazio delle funzioni g che assumono valore costante g(k) suogni intervallo [k, k + 1), k ∈ Z, e tali che

    +∞∑

    k=−∞|g(k)|2 < ∞.

    Sia N1 la funzione caratteristica dell’intervallo [0, 1). Allora è ovvio che V è unsottospazio chiuso di L2 e che le funzioni N1(x− k) costituiscono una base di Riesz(in questo caso addirittura ortonormale) di V .

    Il seguente Teorema è un’utile caratterizzazione, mediante la trasformata diFourier, delle basi di Riesz della forma appena vista.

    Teorema 2. Sia f ∈ L2(R) e sia V lo spazio generato delle funzioni f(x− k),k ∈ Z. Allora tali funzioni costituiscono una base di Riesz di V se e solo se esistonocostanti positive a e b tali che

    (4) a ≤+∞∑

    k=−∞|f̂(x + 2kπ)|2 ≤ b, per quasi ogni x ∈ R.

    Dimostrazione. Sia {ck} una successione di numeri di cui solo un numerofinito non nulli. Poniamo

    m(t) =∑

    k

    cke−ikt.

    La trasformata di Fourier di∑

    k ckf(x−k) è m(t)f̂(t). Per il Teorema di Plancherelsu T e su R rispettivamente

    ||m||2 = (∑

    k

    |ck|2)1/2, ||∑

    k

    ckf(x− k)||2 =( 12π

    R|m(t)|2|f̂(t)|2dt)1/2,

    ove le norme L2 sono sul toro e su R rispettivamente. Quindi per il Teorema 1 (conf(x− k) al posto di fk(x)), la famiglia {f(x− k)} è una base di Riesz con costantiA e B se e solo se

    (5) A||m||22 ≤( 12π

    R|m(t)|2|f̂(t)|2dt) ≤ B||m||22

  • 4 CAPITOLO I. ANALISI MULTIRISOLUZIONE DI L2(R)

    per ogni polinomio trigonometrico m.Supponiamo dapprima che {f(x− k)}k∈Z sia una base di Riesz. Poniamo s(t) =∑k |f̂(t + 2kπ)|2. La funzione s ha periodo 2π e inoltre

    12π

    R|m(t)|2|f̂(t)|2dt =

    k

    12π

    ∫ 2(k+1)π2kπ

    |m(t)f̂(t)|2dt

    =12π

    ∫ 2π0

    |m(t)|2∑

    k

    |f̂(t + 2kπ)|2dt

    =12π

    ∫ 2π0

    |m(t)|2s(t)dt.

    In particolare s ∈ L1(T) (basta porre m(t) = 1 nella formula precedente). Da (4)si ha poi

    (6) a||m||22 ≤12π

    ∫ 2π0

    |m(t)|2s(t)dt ≤ b||m||22.

    Diamo ora a m valori particolari. Poniamo, per ogni N ≥ 0,

    mN (t) = (N + 1)−1/2∑

    0≤k≤Neikt.

    Si ha

    |mN (t)|2 = 1(N + 1)∑

    0≤j≤N

    {−j≤n≤N−j}eint

    =1

    (N + 1)

    0≤n≤Neint

    0≤j≤N−n1 +

    1(N + 1)

    −N≤n

  • 2. ANALISI MULTIRISOLUZIONE 5

    Poichè12π

    ∫ 2π0

    |m(t)|2dt =∑

    k

    |ck|2,

    si ha che {f(x− k)}k∈Z, è una base di Riesz con costanti A = a e B = b. ¤

    Nel corso della dimostrazione abbiamo visto che tra le costanti in (2) e (4) valela relazione a=A e b=B. Si ha allora il seguente Corollario.

    Corollario 1. La successione {f(x−k)}, k ∈ Z, costituisce una base ortonor-male delo spazio da essa generato se e solo se vale (4) con a = b = 1.

    Dimostrazione. Sia {f(x − k)}k∈Z, una base ortonormale di V . Allora, A eB in (2) valgono 1. Quindi a = A = 1 e b = B = 1. Viceversa, se vale (4)con costanti a = b = 1, allora si ottiene per polarizzazione (indicando con (·, ·) ilprodotto interno in L2)

    (∑

    k

    akf(x− k),∑

    k

    bkf(x− k)) =∑

    k

    akbk.

    Quindi le f(x− k) costituiscono una base ortonormale.

    2. Analisi multirisoluzione

    Veniamo ora alla fondamentale nozione di analisi multirisoluzione di L2(R), d’orain poi MRA (multiresolution analysis).

    Definizione. Una analisi multirisoluzione di L2(R) è una successione crescente{Vj}, j ∈ Z, Vj ⊂ Vj+1, di sottospazi chiusi di L2(R) avente le seguenti proprietà

    (i)+∞⋂

    j=−∞Vj = {0},

    +∞⋃

    j=−∞Vj è denso in L2(R);

    (ii) per ogni f ∈ L2 e per ogni j ∈ Z si ha

    f(x) ∈ Vj se e solo se f(2x) ∈ Vj+1;

    (iii) esiste una funzione g ∈ V0 tale che la successione {g(x− k)}, k ∈ Z, sia unabase di Riesz dello spazio V0.

    La funzione g si chiama la funzione di scala (scaling function) dell’analisi multi-risoluzione.

    Si noti che, per (iii) e per il Teorema 1, f ∈ V0 se e solo se è della formaf(x) =

    ∑+∞k=−∞ ckg(x− k) con

    ∑+∞k=−∞ |ck|2 < ∞.

  • 6 CAPITOLO I. ANALISI MULTIRISOLUZIONE DI L2(R)

    Per il punto (ii) si vede che la successione {2j/2g(2jx − k)}, k ∈ Z, è una basedi Riesz per Vj . Inoltre f ∈ Vj se e solo se f è della forma

    f(x) =+∞∑

    k=−∞ck2j/2g(2jx− k), ove {ck}k ∈ `2.

    In particolare, se f ∈ Vj , f(x −m/2j) ∈ Vj per ogni intero m. In sostanza, tuttigli spazi Vj sono la versione “in scala” dello spazio V0.

    Infine avvertiamo che le condizioni (i)–(iii) non sono indipendenti. Di fatto,dimostreremo tra poco che la prima delle (i) segue da (ii) e (iii).

    Notazioni. Denoteremo nel seguito con Pjf la proiezione ortogonale di f suVj .

    Teorema 3. Sia {Vj} una MRA e sia f ∈ L2. Allora ||f − Pjf ||2 → 0 perj → +∞.

    Dimostrazione. Possiamo supporre f /∈ ∪jVj , altrimenti il risultato è ovvio.Esiste una successione di elementi fj ∈ Vj tali che ||f − fj ||2 → 0 per j → +∞(poichè Vj ⊂ Vj+1). Poichè Pjf è la proiezione di f su Vj , si ha

    ||f − Pjf ||2 ≤ ||f − fj ||2.

    ¤

    Infine si ha la seguente nozione.

    Definizione. Una MRA si dice r–regolare, 0 ≤ r < ∞, se essa ammette unafunzione di scala g di classe Cr che soddisfa la seguente condizione di decadimentoall’infinito: per ogni intero m ≥ 0 esiste una costante Cm > 0 tale che per ogni0 ≤ n ≤ r

    |Dng(x)| ≤ Cm(1 + |x|)−m, per ogni x ∈ R.Diremo anche che la funzione di scala g che soddisfa la relazione precedente è r–regolare. Infine, una MRA si dirà ∞–regolare se è r–regolare per ogni r.

    Osservazione. Se g è r–regolare, g e le sue derivate fino all’ordine r decadonoall’infinito più rapidamente di qualunque potenza negativa di x. Se, ad esempio, gè a supporto compatto e di classe Cr, ovviamente g è r–regolare.

    Se g è 0–regolare, allora, xkg ∈ L2(R) ∩ L1(R) per ogni k > 0. Usando le noterelazioni tra trasformazione di Fourier e derivazione, si ha che ĝ è derivabile infinitevolte e le sue derivate appartengono a L2. Si ha infatti

    R|Dkĝ(x)|2dx = 1

    R|xkg(x)|2dx.

    Le MRA r–regolari sono casi particolari delle analisi multirisoluzione cosiddetelocalizzate, nel cui merito però noi non entreremo.

  • 2. ANALISI MULTIRISOLUZIONE 7

    Teorema 4. Sia {Vj}, −∞ < j < +∞, una scala crescente di sottospazi chiusidi L2(R) soddisfacenti (ii) e (iii) nella definizione di MRA. Allora vale anche laprima delle (i).

    Dimostrazione. Ragioniamo per assurdo e supponiamo che esista f ∈ L2(R)di norma 1 e appartenente a ogni Vj . Posto fj(x) = 2j/2f(2jx), si ha da (ii) chefj ∈ V0 e ||fj ||2 = ||f ||2 = 1. Quindi esistono costanti cjk tali che

    fj(x) =∑

    k∈Zcjkg(x− k), con

    k

    |cjk|2 < ∞

    Passando alle trasformate di Fourier si ha

    2−j/2f̂(2−jt) = mj(t)ĝ(t),

    ove la funzione mj(t) =∑

    k∈Z cjke−i〈k,t〉 appartiene a L2(T). Cos̀ı pure si ha f̂(t) =

    2j/2mj(2jt)ĝ(2jt). Per il Teorema 2, siccome {g(x − k)} è una base di Riesz perV0, si ha

    A∑

    k

    |cjk|2 ≤ ||fj ||22 = 1

    (con A indipendente da j). In particolare, per il teorema di Plancherel, mj hanorma L2(T) non superiore a A−1/2.

    Poniamo ora Q = [0, 2π) e sia k un intero tale che k 6= 0 e k 6= −1. Si ha(∫

    Q+2kπ

    |f̂(x)|dx)2

    ≤ 2j∫

    Q+2kπ

    |ĝ(2jt)|2dx∫

    Q+2kπ

    |mj(2jt)|2dt

    = 2−j∫

    2j(Q+2kπ)

    |ĝ(x)|2dx∫

    2j(Q+2kπ)

    |mj(x)|2dx

    ≤∫

    |x|≥2j+1π|ĝ(x)|2dx

    2j(Q+2πk)

    2−j |mj(x)|2dx.

    Per j → +∞ il primo integrale nell’ultimo termine tende a 0. Dimostriamo che ilsecondo integrale si mantiene limitato. Poniamo kr = r+2jk, ove r = 0, . . . , 2j−1.Allora

    2j(Q + 2πk) = [0, 2j+1π) + 2j+1kπ =2j−1⋃r=0

    [Q + 2πkr),

    e gli insiemi Q + 2πkr sono a due a due disgiunti. Ne segue, per periodicità,

    2j(Q+2πk)

    2−j |mj(x)|2dx = 2−j2j∑

    r=1

    Q+2πkr

    |mj(x)|2dx

    =∫

    Q

    |mj(x)|2dx ≤ (2π)/A.

  • 8 CAPITOLO I. ANALISI MULTIRISOLUZIONE DI L2(R)

    In definitiva f̂(x) = 0 su ogni traslato Q + 2πk con k 6= 0,−1, e quindi f̂(x) = 0per quasi ogni x /∈ [−2π, 2π).

    Adesso fissiamo ` ∈ Z e osserviamo che se f appartiene a Vj allora 2−`/2f(2−`x)appartiene a Vj−`. Quindi 2−`/2f(2−`x) appartiene ancora a tutti i Vj . Si puòperciò ripetere il precedente ragionamento con 2−`/2f(2−`x) al posto di f . Siottiene cos̀ı che f̂(2`x) = 0 se x /∈ [−2π, 2π), cioè f̂(t) = 0 se t /∈ 2`[−2π, 2π).Facendo tendere ` a −∞ si ha f̂ = 0 q.o. ¤

    Osservazione. D’ora innanzi, per dimostrare che una famiglia di spazi chiusicostituisce una MRA, dovremo unicamente controllare che essa è crescente, vale laseconda delle i) e valgono ii) e iii).

    3. Esempi

    Vediamo alcuni esempi di MRA. In questi esempi la base di Riesz è in effetti unabase ortonormale. Nel capitolo successivo studieremo altri esempi fondamentali incui la base non è ortonormale.

    (a) Sia, come in §1, V0 lo spazio delle funzioni di L2 costanti su ogni intervallo[k, k + 1), k ∈ Z. Sia Vj lo spazio delle funzioni di L2 costanti su ogni intervallo[2−jk, 2−j(k + 1)). Evidentemente Vj ⊂ Vj+1 per ogni j e l’unione di tali spazi èdensa in L2. Infatti, se f ∈ L2 è ortogonale a tutti i Vj , allora

    ∫ 2−j(k+1)2−jk

    f(x)dx = 0 per ogni k e j interi.

    Per densità∫ b

    afdx = 0 per ogni a < b, da cui f = 0 q.o. La proprietà (ii) è ovvia.

    La proprietà (iii) vale con g = N1, la funzione caratteristica di [0, 1).Chiameremo MRA di Haar l’analisi multirisoluzione appena descritta. Si noti

    che in questo caso, posto Pjf =∑

    k ck,jN1(2jx−k), i coefficienti cj,k sono le medie

    di f sugli intervalli [2−jk, 2−j(k + 1)).(b) Il secondo esempio è più complicato ed è dovuto a Yves Meyer. Esso costituisceun esempio di MRA ∞–regolare. Costruiamo dapprima una funzione ν ∈ C∞ conle seguenti proprietà

    (7)

    0 ≤ ν(x) ≤ 1,ν(x) = 1− ν(1− x) per ogni x,

    ν(x) = 0 se x ≤ 0, ν(x) = 1 se x ≥ 1.Sia γ(x) = exp(−1/x(1 − x)) se 0 < x < 1 e γ(x) = 0 altrimenti. La funzione νcercata si può ad esempio costruire come

    ν(x) =

    ∫ x−∞ γ(t)dt∫ 10

    γ(t)dt.

  • 3. ESEMPI 9

    Si noti che la seconda delle (7) segue dal fatto che∫ x−∞ γ(t)dt =

    ∫ +∞1−x γ(t)dt.

    Adesso definiamo, a partire da ν, una nuova funzione nel modo seguente

    θ(x) =

    1, |x| ≤ 2π/3cos

    [π2 ν(

    32π |x| − 1)

    ], 2π/3 ≤ |x| ≤ 4π/3

    0 altrimenti.

    La funzione θ è infinitamente derivabile, pari, ed ha supporto in [−4π/3, 4π/3].Essa assume valori tra 0 e 1 ed inoltre

    θ2(x) + θ2(x− 2π) = 1, per ogni 0 ≤ x ≤ 2π.

    La verifica è tediosa, ma elementare.Sia φ ∈ L2(R) la funzione (a decrescenza rapida) tale che φ̂ = θ. Per ogni intero

    j sia Vj il sottospazio chiuso L2 generato delle traslate 2j/2φ(2jx − k), k ∈ Z.Vogliamo mostrare che {Vj} è una MRA con funzione di scala φ.

    Cominciamo col dimostrare che la successione {φ(x − k)} costituisce una baseortonormale di V0. Si ha, per x ∈ [0, 2π)

    +∞∑

    k=−∞|φ̂(x + 2kπ)|2 =

    +∞∑

    k=−∞|θ(x + 2kπ)|2

    = θ2(x) + θ2(x− 2π) = 1

    poichè gli unici termini θ(x+2kπ) non identicamente nulli in [0, 2π) sono quelli checorrispondono a k = 0 e k = −1. Per il Corollario 1 abbiamo l’asserto.

    Occorre ora mostrare che Vj ⊂ Vj+1, il che a priori non è ovvio. Per semplicitàmostriamo che V0 ⊂ V1; il caso generale si ottiene con ragionamenti del tuttoanaloghi.

    Iniziamo col procurarci l’espressione della trasformata di Fourier della gener-ica funzione f ∈ V0 e della generica funzione h ∈ V1. Se f =

    ∑+∞k=−∞ ckφ(x −

    k), con {ck} ∈ `2, si ha f̂(t) = θ(t)m(t), ove m(t) =∑+∞

    k=−∞ cke−ikt. Se in-

    vece h =∑+∞

    k=−∞ dk21/2φ(2x − k), allora ĥ(t) = 2−1/2θ(t/2)n(t) ove n(t) =∑+∞

    k=−∞ dke−ikt/2; in particolare n(t) è 4π–periodica. Viceversa h ∈ V1 se ĥ ha

    la forma suddetta.Poniamo ora per ogni t tale che 0 ≤ |t| ≤ 2π

    (8) λ(t) =θ(t)

    θ(t/2)

    e prolunghiamo λ per periodicità (con periodo 4π) su tutto l’asse reale. Si noti cheλ cos̀ı definita è infinitamente differenziabile.

    Da (8) si ottiene θ(t) = λ(t)θ(t/2) per ogni t reale, e quindi

    f̂(t) = θ(t/2)λ(t)m(t).

  • 10 CAPITOLO I. ANALISI MULTIRISOLUZIONE DI L2(R)

    Ma λ(t)m(t) appartiene a L2([0, 4π)) ed è 4π–periodica. Quindi esiste una succes-sione {c′k} ∈ `2 tale che

    λ(t)m(t) =+∞∑

    k=−∞c′ke

    −ikt/2.

    Quindi f appartiene anche a V1.La proprietà (ii) è ovvia. Dimostriamo la seconda delle (i). Per assurdo esista

    h ∈ L2 ortogonale a tutti i Vj . Si ha, per ogni f ∈ Vj ,

    f̂(t) = θ(t/2j)mj(t),

    ove mj ha periodo 2j+1π ed è di quadrato integrabile su [−2jπ, 2jπ]. Poichè θ(t/2j)ha supporto contenuto in [−2j+1π, 2j+1π],

    0 =∫

    Rh(x)f(x)dx =

    12π

    ∫ 2j+1π−2j+1π

    θ(t/2j)ĥ(t)mj(t)dt

    =12π

    ∫ 2j+1π0

    [θ(t/2j)ĥ(t) + θ(t/2j − 2π)ĥ((t− 2j+1π)]mj(t)dt.

    Poichè mj è arbitraria in L2(0, 2j+1π), si ottiene

    θ(t/2j)ĥ(t) = −θ((t/2j − 2π)ĥ(t− 2j+1π)

    per quasi ogni t ∈ [0, 2j+1π]. Poichè θ((t/2j − 2π) = 0 e θ(t/2j) = 1 per t ∈[0, 2j+1π/3], si ottiene ĥ(t) = 0 in tale intervallo. Facendo tendere j a +∞ si haĥ(t) = 0 per quasi ogni t ≥ 0.

    Si ha analogamente a prima

    0 =∫

    Rh(x)f(x)dx =

    12π

    ∫ 2j+1π−2j+1π

    θ(t/2j)ĥ(t)mj(t)dt

    =12π

    ∫ 02j+1π

    [θ(t/2j)ĥ(t) + ĥ(t + 2j+1π)θ((t/2j + 2π)]mj(t)dt.

    Ragionando come sopra si ha ĥ(t) = 0 per quasi ogni t ≤ 0.Questo conclude la dimostrazione che la scala di spazi costruita è una analisi

    multirisoluzione di L2. Tale MRA è ∞–regolare poichè φ è a decrescenza rapida.

  • CAPITOLO II

    SPLINES E ANALISI MULTIRISOLUZIONE

    1. Splines cardinali

    In questo capitolo definiamo e studiamo alcuni spazi di splines di particolarerilevanza per la teoria delle ondine.

    Notazioni. Per ogni intero m ≥ 0 denotiamo mediante Cm lo spazio dellefunzioni su R che sono continue assieme alle loro derivate fino all’ordine m. Deno-tiamo con C−1 lo spazio delle funzioni continue a tratti tali che l’insieme dei puntidi discontinuità non ha punti di accumulazione.

    Lo spazio vettoriale di tutti i polinomi di grado al più m verrà denotato medianteπm. Porremo poi, per ogni m > 1 intero e x ∈ R,

    x+ = max(x, 0), xm−1+ = (x+)m−1

    Definizione. Per ogni m ≥ 1 lo spazio Sm delle splines di ordine m su R aventeZ come successione dei nodi è lo spazio vettoriale delle funzioni f ∈ Cm−2 la cuirestrizione a ogni intervallo [k, k + 1), k ∈ Z, appartiene a πm−1. Gli elementi diSm vengono anche chiamati “splines cardinali”.

    È altres̀ı chiara la definizione le splines di ordine m quando la successione deinodi sia 2−jZ, −∞ < j < +∞.

    Consideriamo ora le restrizioni delle splines cardinali a intervalli.

    Definizione. Sia N un intero positivo. Denoteremo mediante Sm,N lo spaziodelle restrizioni delle funzioni di Sm all’intervallo [−N, N).

    Chiaramente lo spazio S1 consiste delle funzioni costanti su ogni intervallo [k, k+1). Quindi ogni spline f di ordine 1 si rappresenta mediante una serie del tipo

    f(x) =+∞∑

    k=−∞ckN1(x− k), x ∈ R,

    ove N1(x) è la funzione caratteristica dell’intervallo [0, 1). Vedremo che una analogaespressione vale anche per le splines di ordine m qualunque.

    Lo stusio degli spazi di splines cardinali di ordine m > 1 inizia con lo studio diSm,N .

    Typeset by AMS-TEX12

  • 1. SPLINES CARDINALI 13

    Teorema 1. Sia m > 1. Lo spazio vettoriale Sm,N ha dimensione 2N + m− 1.Una base è fornita dalla restrizione a [−N, N) delle 2N + m− 1 funzioni

    (x− k)m−1+ , k = −N −m + 1, . . . , N − 1.

    Dimostrazione. Sia f ∈ Sm,N e denotiamo mediante pj la restrizione di f a[j, j + 1), j = −N, . . . , N − 1. Allora pj ∈ πm−1. Poichè f ∈ Cm−2, si ha

    (1) Dh+pj(j)−Dh−pj−1(j) = 0

    per h = 0, 1, . . . , m− 2 e per −N + 1 ≤ j ≤ N − 1. Sia cj il salto nel punto j delladerivata (m− 1)–esima di f , cioè

    cj = Dm−1+ pj(j)−Dm−1− pj−1(j) = Dm−1pj(t)−Dm−1pj−1(t), t ∈ R.

    Mediante integrazioni successive e tenendo conto della (1) si ha per x ≥ j (e quindiper ogni x reale)

    cj(x− j) =∫ x

    j

    (Dm−1pj(t)−Dm−1pj−1(t))dt = Dm−2pj(x)−Dm−2pj−1(x)

    . . . . . . . . . . . . . . .

    cj(x− j)m−1(m− 1)! =

    ∫ xj

    (p′j(t)− p′j−1(t))dt = pj(x)− pj−1(x)

    Cos̀ı pj(x) = pj−1(x)+cj(x−j)m−1/(m−1)! per ogni x. Quindi per x ∈ [j−1, j+1)si ha f(x) = pj−1(x) + cj(x− j)m−1+ /(m− 1)! . Ne segue, per ogni x ∈ [−N, N),

    f(x) = p−N (x) +N−1∑

    j=−N+1cj

    (x− j)m−1+(m− 1)! .

    Quindi le 2N + m− 1 funzioni (ristrette a [−N, N))

    1, x, . . . , xm−1, (x− k)m−1+ , k = −N + 1, . . . , N − 1,

    generano Sm,N . Inoltre tali funzioni sono lineramente indipendenti. Infatti sia

    (2)m−1∑r=0

    arxr +

    N−1∑

    k=−N+1bk(x− k)m−1+ = 0 per x ∈ [−N, N).

    Se in (2) si sceglie x ∈ [−N,−N + 1) si ottiene ∑m−1r=0 arxr = 0, da cui ar = 0per ogni r. Se poi si prende x ∈ [−N + 1,−N + 2) la (2) si riduce a b−N+1(x +N − 1)m−1+ = 0, da cui b−N+1 = 0. Si sceglie poi x ∈ [−N + 2,−N + 3) e si haanalogamente b−N+2 = 0 e cos̀ı via. Quindi la dimensione è 2N + m− 1.

  • 14 CAPITOLO II. SPLINES E ANALISI MULTIRISOLUZIONE

    Osserviamo ora che se k = −N − m + 1, . . . ,−N e x ∈ [−N,N), allora si ha(x− k)m−1+ = (x− k)m−1 .

    Per completare la dimostrazione basta quindi provare che gli m polinomi di gradom− 1, (x− k)m−1, k = −N −m + 1, . . . ,−N , sono linearmente indipendenti su R(poichè per i polinomi indipendenza lineare su un intervallo o su R coincidono). Intal caso essi saranno una base per πm−1 e quindi ogni xr con r ≤ m− 1 si otterràcome combinazione lineare di tali (x− k)m−1.

    Sia

    0 =−N∑

    k=−N−m+1ak(x− k)m−1 =

    m−1∑s=0

    (−1)s(

    m− 1s

    )xm−1−s

    −N∑

    k=−N−m+1akk

    s.

    Ciò implica che le ak siano soluzione del sistema lineare omogeneo di m equazioniin m incognite

    −N∑

    k=−N−m+1akk

    s = 0, s = 0, 1, . . . ,m− 1.

    Il determinante di tale sistema è un determinante di Vandermonde∣∣∣∣∣∣∣∣

    1 −N −m + 1 (−N −m + 1)2 . . . (−N −m + 1)m−11 −N −m + 2 (−N −m + 2)2 . . . (−N −m + 2)m−1...

    ......

    ...1 −N (−N)2 . . . (−N)m−1

    ∣∣∣∣∣∣∣∣6= 0.

    Quindi ak = 0. ¤

    Passiamo ora ad analizzare lo spazio Sm. Ogni funzione (x−k)m−1+ della base diSm,N si può pensare definita su tutto R. Consideriamo la collezione di tutte questebasi. Poniamo

    T = {(x− k)m−1+ : k ∈ Z}.Chiaramente T è un insieme indipendente su R, poichè un sottoinsieme finito dielementi di T fa parte della base di Sm,N se N è abbastanza grande. Tuttaviaquesta base è poco adatta ai nostri scopi, poichè non è costituita da funzioni asupporto compatto.

    Nel prossimo paragrafo determineremo perciò un nuovo insieme di splines a sup-porto compatto in maniera che ogni elemento di Sm si possa esprimere in un unicomodo mediante una serie di tali splines.

    2. Serie di splines

    Introduciamo le differenze (retrograde) di una funzione f su R.

    Definizione. Poniamo, per ogni x ∈ R e n = 1, 2, . . .∆f(x) = f(x)− f(x− 1), ∆nf(x) = ∆(∆n−1f)(x)

    ∆nf si chiamerà differenza n–esima di f .

  • 2. SERIE DI SPLINES 15

    Lemma 1. Se f ∈ πm−1 allora ∆mf(x) = 0 per ogni x.Dimostrazione. Procediamo per induzione. Se m = 1 o m = 2 l’asserto è

    ovvio. Sia vero per m e dimostriamolo per m + 1. Si ha ∆m+1 = ∆∆m = ∆m∆.Quindi

    (3) ∆m+1xm = ∆m(∆xm) = ∆m(xm − (x− 1)m).

    Chiaramente xm − (x− 1)m ha grado m− 1. Quindi il termine a destra in (3) è 0per l’ipotesi di induzione. ¤

    Lemma 2. Per ogni m ≥ 1 e per ogni f

    (4) ∆mf(x) =m∑

    k=0

    (−1)k(

    m

    k

    )f(x− k).

    Dimostrazione. Per induzione. La tesi è chiara per m = 1. Supponiamolavera per m. Si ha

    (5)

    ∆m+1f(x) = ∆(∆mf)(x)

    =m∑

    k=0

    (−1)k(

    m

    k

    )f(x− k)−

    m∑

    k=0

    (−1)k(

    m

    k

    )f(x− k − 1).

    Cambiando indice di sommazione il secondo addendo in (5) diventa

    m+1∑

    k=1

    (−1)k+1(

    m

    k − 1)

    f(x− k).

    Poichè(mk

    )+

    (m

    k−1)

    =(m+1

    k

    )la somma in (5) fornisce la formula (4) con m + 1 al

    posto di m.

    Definizione. Nel seguito porremo

    M1(x) = N1(x) e, se m ≥ 2,

    Mm(x) =1

    (m− 1)!∆mxm−1+ =

    1(m− 1)!

    m∑

    k=0

    (−1)k(

    m

    k

    )(x− k)m−1+ .

    Osserviamo alcune semplici proprietà di Mm. Intanto è una spline di ordine m.Inoltre Mm(x) = 0 se x > m, per il Lemma 1. È anche chiaro che Mm(x) = 0 sex < 0.

    Si può anche dire che il supporto di Mm è esattamente [0,m]. Infatti in ogniintervallo [j, j + 1] (0 ≤ j ≤ m− 1), Mm coincide con un polinomio di grado m− 1che ha al più m − 1 zeri in tale intervallo. Quindi gli zeri di Mm su [0,m] sonoisolati e si ha l’asserto (in realtà vedremo che Mm > 0 su (0,m)).

    Si ha l’analogo del Teorema 1.

  • 16 CAPITOLO II. SPLINES E ANALISI MULTIRISOLUZIONE

    Teorema 2. L’insieme delle funzioni

    Mm(x− k), k = −N −m + 1, . . . , N − 1

    è una base per Sm,N .

    Dimostrazione. Poichè ilcaso m = 1 è ovvio, possiamo supporre m ≥ 2.Poichè le funzioni in questione sono 2N + m − 1, basta dimostrare che esse sonolinearmente indipendenti (si noti che per ciò che si è detto sul supporto, nessuna diqueste funzioni è identicamente zero su [−N,N)).

    Si ponga per il momento fk(x) = (x−k)m−1+ . Allora le fk sono una base di Sm,Nper k = −N −m + 1, . . . , N − 1. Inoltre fr = 0 su [−N, N) se r ≥ N . Si ponga(m− 1)!Mm(x− s) = gs(x). Si ha

    gN−1 =m∑

    k=0

    (−1)k(

    m

    k

    )fk+N−1 = fN−1

    gN−2 =m∑

    k=0

    (−1)k(

    m

    k

    )fk+N−2 = fN−2 −mfN−1

    gN−3 =fN−3 −mfN−1 +(

    m

    2

    )fN−2

    gN−4 =fN−4 − . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . .

    La matrice di questo sistema è triangolare, e si vede subito che ha determinante1. Quindi possiamo esprimere la base {fk} mediante combinazioni lineari dellefunzioni gs, ove s = −N −m + 1, . . . , N − 1. Ne segue che le funzioni gs/(m− 1)!costituiscono una base per Sm,N . ¤

    Facciamo ora per l’insieme delle traslate

    B = {Mm(x− k) : k ∈ Z}

    le medesime considerazioni fatte per le traslate di xm−1+ nel precedente paragrafo.Anche in questo caso l’insieme B è un insieme linearmente indipendente su R.Tuttavia B genera algebricamente solo le splines di ordine m a supporto compatto.Osserviamo però che una serie del tipo

    +∞∑

    k=−∞ckMm(x− k)

    converge (incondizionatamente) per ogni x fissato, in quanto solo un numero finitodi funzioni Mm(x− k) sono diverse da zero in x.

    Possiamo quindi dimostrare il Teorema di rappresentazione delle splines di ordinem.

  • 2. SERIE DI SPLINES 17

    Teorema 3. Una funzione f appartiene a Sm se e solo se esiste una successionedi coefficienti {ck}, tale che

    (6) f(x) =∞∑

    k=−∞ckMm(x− k), x ∈ R

    puntualmente per ogni x reale. Inoltre, assegnata f ∈ Sm la successione ck verifi-cante (6) è unica.

    Dimostrazione. Osserviamo anzituttto (anche se ciò seguirà dalla dimostra-zione qui sotto) che il caso m = 1 è ovvio. Infatti le spline di ordine 1 non sonoaltro che le funzioni costanti su [k, k + 1) e M1(x) è semplicemente la funzionecaratteristica di [0, 1) (e M1(x− k) la funzione caratteristica di [k, k + 1)).

    Procediamo alla dimostrazione. La convergenza puntuale della serie è chiara, edè già stata notata sopra. Si vede facilmente che la somma della serie appartiene aSm. Innanzi tutto la funzione f appartiene chiaramente a Cm−2. Si fissi poi unintervallo [r, r +1). Allora solo un numero finito di addendi della serie (6) non sonoidenticamente nulli in [r, r + 1). Quindi esiste n tale che

    (7) f(x) =n∑

    k=−nckMm(x− k), per ogni x ∈ [r, r + 1).

    Poichè la restrizione a [r, r+1) di ogni addendo a destra in (7) sta in πm−1, possiamoconcludere che ciò vale anche per f . In altre parole f ∈ Sm.

    Viceversa supponiamo f ∈ Sm e procediamo induttivamente alla determinazionedella successione numerica {ck}. Applichiamo il Teorema 2 agli intervalli [−N,N) e[−N −1, N +1). Esistono (e sono unici) coefficienti ak, k = −N −m+1, . . . , N −1e coefficienti bk, k = −N −m, . . . , N tali che

    (8)

    f(x) =N−1∑

    k=−N−m+1akMm(x− k) per x ∈ [−N, N)

    f(x) =N∑

    k=−N−mbkMm(x− k) per x ∈ [−N − 1, N + 1).

    Se ci restringiamo a x ∈ [−N,N), sottraendo membro a membro le (8) otteniamo

    (9) 0 =N−1∑

    k=−N−m+1(ak− bk)Mm(x−k)− b−N−mMm(x+N +m)− bNMm(x−N).

    Poichè ci siamo ristretti all’intervallo più piccolo [−N, N), le due funzioni Mm(x +N +m) e Mm(x−N) sono nulle su tale intervallo. Sempre per il Teorema 2, ak = bkper k = −N −m + 1, . . . , N − 1.

  • 18 CAPITOLO II. SPLINES E ANALISI MULTIRISOLUZIONE

    Quindi possiamo definire in maniera non ambigua la successione {ck} in questamaniera. Per ogni N > 0 i coefficienti ck con k = −N −m + 1, . . . , N − 1 sono gliunici numeri tali che f ristretta a [−N, N) sia data da

    f(x) =N−1∑

    k=−N−m+1ckMm(x− k), x ∈ [−N, N).

    La definizione dei coefficienti ck ci indica anche che (6) vale. Infatti si fissi x e siaN il più piccolo intero tale che x ∈ [−N, N). Allora

    ∞∑

    k=−∞ckMm(x− k) =

    N−1∑

    k=−N−m+1ckMm(x− k) = f(x).

    poichè le funzioni Mm(x − k) con k = −N −m + 1, . . . , N − 1 sono le uniche chenon si annullino identicamente su [−N,N).

    Infine esiste solo una successione ck che soddisfa (7). Altrimenti per differenza,dovrebbe esistere una successione non nulla ck tale che la serie in (7) è identicamentenulla. Ma allora dovrebbe esistere N tale che

    ∑N−1k=−N−m+1 ckMm(x − k) = 0

    identicamente in [−N, N) con almeno uno dei ck 6= 0. Questo è assurdo poichècontraddice il Teorema 2. ¤

    3. Box splines

    Questo paragrafo è dedicato allo studio delle funzioni Mm(x). Prima di tuttoci procureremo un’espressione alternativa di tali funzioni che useremo sempre nelseguito. Ricordiamo che N1 denota la funzione caratteristica di [0, 1). QuindiN1(x) = M1(x).

    Definizione. Definiamo la funzione Nm(x) per ricorrenza come

    (10) Nm(x) = Nm−1 ∗N1(x) =∫ 1

    0

    Nm−1(x− t)dt, m ≥ 2.

    Teorema 4. La funzione Nm ha le seguenti proprietà

    (1) Per ogni f ∈ C0∫ +∞−∞

    f(x)Nm(x)dx =∫ 1

    0

    · · ·∫ 1

    0

    f(x1 + · · ·+ xm)dx1 · · · dxm.

    (2) Per ogni g ∈ Cm

    ∫ +∞−∞

    Dmg(x)Nm(x)dx =m∑

    k=0

    (−1)m−k(

    m

    k

    )g(k).

  • 3. BOX SPLINES 19

    (3) Nm(x) = Mm(x).(4) Nm(x) > 0 per 0 < x < m.(5)

    ∑+∞k=−∞Nm(x− k) = 1 per ogni x ∈ R.

    (6) per m > 2 N ′m(x) = ∆Nm−1(x).(7) Nm(x) = (m− 1)−1[xNm−1(x) + (m− x)Nm−1(x− 1)].(8) Nm(x + m/2) = Nm(−x + m/2).

    Dimostrazione. (1) è ovvia per m = 1. Supponiamola vera per m − 1 edimostriamola per m. Si ha

    ∫ +∞−∞

    f(x)Nm(x)dx =∫ 1

    0

    dt

    ∫ +∞−∞

    f(x)Nm−1(x− t)dx

    =∫ 1

    0

    dt

    ∫ +∞−∞

    f(x + t)Nm−1(x)dx

    =∫ 1

    0

    · · ·∫ 1

    0

    f(x1 + · · ·xm−1 + t)dx1 · · · dxm−1dt

    (2) segue da (1) direttamente per integrazioni successive per parti.

    Per verificare (3) si può procedere per induzione su m. Per m = 1 e m = 2 èvera (il calcolo per m = 2 è assai semplice). Sia vera per m. Allora

    Nm+1(x) = Mm ∗N1(x) =∫ 1

    0

    Mm(x− t)dt

    =1

    (m− 1)!m∑

    k=0

    (−1)k(

    m

    k

    ) ∫ 10

    (x− k − t)m−1+ dt

    = − 1m!

    m∑

    k=0

    (−1)k(

    m

    k

    )(x− k − 1)m+ +

    1m!

    m∑

    k=0

    (−1)k(

    m

    k

    )(x− k)m+

    =1m!

    m+1∑

    k=0

    (−1)k(

    m + 1k

    )(x− k)m+

    = Mm+1(x).

    (4) segue per esempio da (10). Infatti per m = 1 (4) è vera. Suppostala vera perm− 1, la formula (10) mostra che Nm(x) =

    ∫ xx−1 Nm−1(u)du > 0 se 0 < x < m.

    Per quanto riguarda (5) la dimostrazione è ancora un facile esercizio di induzionesu m. Infatti, per m = 1 è vera. Se è vera per m− 1, allora

    +∞∑

    k=−∞Nm(x− k) =

    +∞∑

    k=−∞

    ∫ xx−1

    Nm−1(y − k)dy

    =∫ x

    x−1

    [ +∞∑

    k=−∞Nm−1(y − k)

    ]dy = 1.

  • 20 CAPITOLO II. SPLINES E ANALISI MULTIRISOLUZIONE

    Lo scambio di somma e integrale si può fare perchè solo un numero finito di funzionisono diverse da zero su [x− 1, x].

    Per verificare (6) si deve usare di nuovo la (10). Si ha

    N ′m(x) =∫ 1

    0

    N ′m−1(x− t)dt = ∆Nm−1(x).

    Per verificare (7) usiamo la definizione originaria di Mm (e il punto (3)). L’idea èquella di scrivere xm−1+ come prodotto x·xm−2+ , e poi di applicare la regola di Leibnizper le differenze m–esime (simile alla regola di Leibniz di derivazioni successive; sipuò dimostrare per induzione). Cioè

    ∆mfg(x) =m∑

    k=0

    (m

    k

    )∆kf(x)∆m−kg(x).

    Applichiamo tale regola con f = x e g = xm−2+ . Si ricordi che ∆kf = 0 per k ≥ 2

    (Lemma 1). Si otterrà

    Nm(x) = Mm(x) =1

    (m− 1)!∆mxm−1+

    =1

    (m− 1)!{x∆mxm−2+ + m∆

    m−1(x− 1)m−2+}

    =1

    (m− 1)!{x(∆m−1xm−2+ −∆m−1(x− 1)m−2+ ) + m∆m−1(x− 1)m−2+

    }

    =x

    m− 1Mm−1(x) +m− xm− 1Mm−1(x− 1)

    =x

    m− 1Nm−1(x) +m− xm− 1Nm−1(x− 1).

    Infine la (8) (simmetria rispetto al punto medio del supporto) segue facilmente da(10) per induzione.

    Con questo la dimostrazione del Teorema è conclusa. ¤

    Le funzioni Nm e le loro traslate si chiamano anche B–splines (ovvero boxsplines). A volte Nm si chiama la spline di ordine m.

    4. Splines in L2

    Finora abbiamo considerato splines con successione dei nodi Z. Nel seguitotratteremo splines con successione dei nodi 2−jZ, −∞ < j < +∞.

    È immediato tradurre i risultati finora dimostrati per splines con nodi in 2−jZ.Infatti una funzione f(x) è una spline di ordine m con nodi in Z se e solo se lafunzione f(2jx) è una spline di ordine m con nodi in 2−jZ. Quindi tutti i risultatiprecedenti valgono per splines con nodi in 2−jZ semplicemente sostituendo 2jx alposto della variabile x.

  • 5. MRA DI SPLINES 21

    Notazioni. Denoteremo con Sjm lo spazio delle funzioni splines di ordine maventi 2−jZ come successione dei nodi. Con questa definizione Sm = S0m.

    Si osservi che per ogni m fissato gli spazi Sjm crescono con j cioè

    (11) · · · ⊂ S−1m ⊂ S0m ⊂ S1m ⊂ · · ·

    In generale una funzione spline non appartiene a L2(R). Nel seguito ci occuper-emo esclusivamente di quelle splines che appartengono a L2(R).

    Notazioni. Per ogni j intero relativo e ogni intero m ≥ 1 denoteremo medianteV mj lo spazio delle splines di ordine m (con nodi in 2

    −jZ) che appartengono aL2(R). In altri termini, V mj = L2

    ⋂Sjm (attenzione, sono scambiati gli apici e gli

    indici!).

    Osserviamo che le funzioni Nm(2jx− k) appartengono a L2(R) per ogni m, j ek, in quanto limitate e nulle fuori di un compatto. Questo fatto sarà fondamentalenel seguito.

    Lemma 3. Lo spazio V mj è chiuso in L2(R).

    Dimostrazione. Basta dimostrare l’asserto per j = 0. Sia f appartenente allachiusura in norma L2 di V m0 . Per ogni intero N > 0 denotiamo con fN la restrizionedi f a [−N, N).

    Sia gh ∈ V m0 tale che ||gh − f ||2 → 0 per h → ∞. Allora per ogni N > 0 larestrizione ghN converge a fN in norma L

    2([−N, N)). Ovviamente ghN ∈ Sm,N .Ora si ha, per l’osservazione fatta sopra, che Sm,N ⊂ L2([−N, N)). Poichè Sm,N

    ha dimensione finita, esso è chiuso in L2([−N,N)). Quindi fN ∈ Sm,N .Quindi f è una funzione di classe Cm−2 su [−N,N) e coincide con un polinomio

    in πm−1 su ogni intervallo [k, k + 1), per −N ≤ k ≤ N − 1. Poichè N è arbitrariosi ha f ∈ Sm ∩ L2. Questo dimostra la tesi. ¤

    Da (11) si ottiene l’analoga inclusione per gli spazi V mj

    (12) · · · ⊂ V m−1 ⊂ V m0 ⊂ V m1 ⊂ · · ·

    5. MRA di splines

    Il seguente lemma segue dalla proprietà (5) del Teorema 4.

  • 22 CAPITOLO II. SPLINES E ANALISI MULTIRISOLUZIONE

    Lemma 4. Per ogni m ≥ 1, j ∈ Z e per ogni coppia R < S di interi si ha

    S−1∑

    k=R−m+1Nm(2jx− k) = 1 per 2−jR ≤ x < 2−jS

    0 ≤S−1∑

    k=R−m+1Nm(2jx− k) ≤ 1 per 2−j(R−m + 1) ≤ x ≤ 2−jR

    o per 2−jS ≤ x ≤ 2−j(S + m− 1)S−1∑

    k=R−m+1Nm(2jx− k) = 0 negli altri casi.

    Dimostrazione. Basta dimostrare la tesi per j = 0. Poichè il supporto diNm(x− k) è l’intervallo [k, k + m], le uniche splines Nm(x− k) non identicamentenulle su [R, S) sono quelle con k che varia tra R − m + 1 e S − 1. Si ha cos̀i, sex ∈ [R, S),

    1 =+∞∑

    k=−∞Nm(x− k) =

    S−1∑

    k=R−m+1Nm(x− k).

    Si osservi poi che il supporto di∑S−1

    k=R−m+1 Nm(x − k) è esattamente [R − m +1, S + m− 1]. Questo implica le altre due affermazioni del Lemma. ¤

    Veniamo infine al teorema principale di questo capitolo.

    Teorema 5. Per ogni m ≥ 1 fissato, la successione degli spazi {V mj}+∞

    j=−∞costituisce un’analisi multirisoluzione di L2(R) con funzione di scala Nm.

    Dimostrazione. Innanzi tutto sappiamo da (12) che gli spazi V mj sono unocontenuto nel successivo. È anche ovvio che f ∈ V mj se e solo se f(2x) ∈ V mj+1 eche f ∈ V m0 se e solo se f(x− k) ∈ V m0 .

    Verifichiamo che U = ∪+∞j=−∞V mj è denso in L2. Sia f ∈ L2 ortogonale a U .Allora (f, g) = 0 per ogni g ∈ V mj qualunque sia j. Usiamo il Lemma 4 perdimostrare che ciò implica f = 0.

    Si fissi s ∈ Z, e applichiamo il Lemma 4 con R = p2s+j , S = (p + 1)2s+j , perogni j > −s e p ∈ Z. Poniamo

    gj =(p+1)2s+j−1∑

    k=p2s+j−m+1Nm(2jx− k).

    Allora gj ∈ V mj , 0 ≤ gj ≤ 1, e supp gj = [p2s− 2−j(m− 1), (p+1)2s +2−j(m− 1)].Inoltre gj(x) = 1 per p2s ≤ x ≤ (p + 1)2s. Quindi

    (13) 0 =∫ p2s

    p2s−2−j(m−1)fgjdx +

    ∫ (p+1)2s

    p2sfdx +

    ∫ (p+1)2s+2−j(m−1)(p+1)2s

    fgjdx.

  • 5. MRA DI SPLINES 23

    Il primo e il terzo integrale in (13) tendono a 0 per j → +∞ (ad esempio, si usi ladiseguaglianza di Schwarz). Ne segue

    ∫ (p+1)2s

    p2sfdx = 0

    per ogni p e s ∈ Z. Quindi f = 0 q.o.Resta da dimostrare che la famiglia {Nm(x− k)}, −∞ < k < ∞, è una base di

    Riesz e che essa genera effettivamente V m0 .Sia f ∈ L2(R) della forma (6). Notiamo che le funzioni Nm(x−j) sono non nulle

    su [k, k + 1) se e solo se k−m + 1 ≤ j ≤ k. Tali splines sono anche una base per lospazio delle restrizioni delle splines di ordine m a questo intervallo; infatti, da unaparte tali Nm(x − j) sono in numero di m e, dall’altra, lo spazio delle restrizionidelle splines di ordine m a [k, k + 1) non è altro che lo spazio delle restrizioni deipolinomi di πm−1 a [k, k + 1).

    Gli spazi delle restrizioni delle funzioni in L2⋂

    S0m agli intervalli [k, k+1) dannochiaramente luogo a spazi di dimensione finita isometrici. Infatti

    ∫ k+1k

    ∣∣k∑

    j=−m+k+1cjNm(x− j)

    ∣∣2dx =∫ 1

    0

    ∣∣0∑

    j=−m+1cj+kNm(x− j)

    ∣∣2dx.

    Si ha quindi (poiché le norme sugli spazi di dimensione finita sono equivalenti) cheesiste κ1 > 0, indipendente da k, tale che

    R|f(x)|2dx =

    +∞∑

    k=−∞

    ∫ k+1k

    ∣∣k∑

    j=−m+k+1cjNm(x− j)

    ∣∣2dx

    ≥+∞∑

    k=−∞κ1

    k∑

    j=−m+k+1|cj |2

    ≥ κ1+∞∑

    k=−∞|ck|2.

    Allo stesso modo vediamo che esiste una costante κ2, indipendente da k, tale che

    R|f(x)|2dx ≤

    +∞∑

    k=−∞κ2

    k∑

    j=−m+k+1|cj |2

    = mκ2+∞∑

    k=−∞|ck|2.

    Quindi la successione {cj} appartiene a `2, con equivalenza di norme. In particolaresi ha

    ||f −N∑

    j=−NcjNm(x− j)||22 ≤ mκ2

    |j|≥N|cj |2 → 0

  • 24 CAPITOLO II. SPLINES E ANALISI MULTIRISOLUZIONE

    per N →∞. Quindi la famiglia {Nm(x− j)}j∈Z è una base di Riesz per V m0 . ¤

    È interessante utilizzare il Teorema 2 del Capitolo I per dimostrare che la famiglia{Nm(x− j)} è una base di Riesz per lo spazio da esse generato.

    Dobbiamo dunque dimostrare che esistono costanti positive am e bm tali che perogni x ∈ R

    (14) am ≤+∞∑

    k=−∞

    ∣∣N̂m(x + 2kπ)∣∣2 ≤ bm.

    Poichè N̂1(x) = (1− exp(−ix))/ix, si ha

    |N̂m(x)|2 =∣∣∣∣1− e−ix

    ix

    ∣∣∣∣2m

    =∣∣∣∣2 sin x/2

    x

    ∣∣∣∣2m

    .

    Ponendo x = 2t si ha

    (15)+∞∑

    k=−∞

    ∣∣N̂m(2t + 2kπ)∣∣2 =

    +∞∑

    k=−∞

    sin2m(t + πk)(t + πk)2m

    .

    La serie di destra in (15) converge per ogni t reale e definisce una funzione periodicadi periodo π. Quindi basta verificare (14) per 0 ≤ t ≤ π.

    Si ha, per ogni t ∈ [0, π] e ogni k 6= 0,±1, |t + kπ| ≥ (|k| − 1)π > 0, mentret + kπ ≥ π se k = 1. Ne segue

    +∞∑

    k=−∞

    sin2m(t + πk)(t + πk)2m

    =sin2m t

    t2m+

    sin2m(t− π)(t− π)2m +

    k 6=0k 6=−1

    sin2m(t + πk)(t + πk)2m

    ≤ 2 + 1π

    +∑

    k≥2

    1(π(k − 1))2m = bm.

    Quindi la diseguaglianza di destra in (14) è verificata. Sia ora 0 ≤ t ≤ π/2. Allorasin t/t ≥ 2/π. Si ha (scartando tutti i termini tranne quello con k = 0)

    +∞∑

    k=−∞

    sin2m(t + πk)(t + πk)2m

    ≥ sin2m t

    t2m≥ (2/π)2m.

    Se π/2 ≤ t ≤ π si ha analogamente sin(π − t)/(π − t) ≥ 2/π. Quindi, scartandotutti i termini tranne quello per k = −1, si ha

    +∞∑

    k=−∞

    sin2m(t + πk)(t + πk)2m

    ≥ sin2m(π − t)

    (π − t)2m ≥ (2/π)2m.

    Quindi possiamo scegliere am = (2/π)m in (14).

  • CAPITOLO III

    ONDINE

    1. Ortonormalizzazione

    Nella definizione di analisi multirisoluzione, le funzioni {g(x− k)} costituisconouna base di Riesz, ma non, in generale, una base ortonormale di V0. Vediamoora come sia possibile, a partire da una base di Riesz del tipo {g(x − k)} per unsottospazio chiuso V ⊆ L2(R), procurarsi una funzione φ ∈ V tale che {φ(x − k)}sia una base ortonormale di V stesso.

    Teorema 1. Sia V ⊆ L2(R) un sottospazio chiuso ed esista g ∈ V tale che{g(x− k)}k∈Z sia una base di Riesz di V . Si definisca φ ∈ L2 mediante la formula

    (1) φ̂(x) = ĝ(x)( +∞∑

    k=−∞|ĝ(x + 2kπ)|2)−1/2.

    Allora φ ∈ V e la famiglia {φ(x − k)}k∈Z, costituisce una base ortonormale di V .Inoltre, per ogni φ′ ∈ V , la successione {φ′(x− k)}k∈Z, è una base ortonormale diV se e solo se φ̂′(x) = φ̂(x)ρ(x), ove ρ è periodica di periodo 2π e |ρ(x)| = 1 perq.o. x ∈ R.

    Dimostrazione. Denotiamo con FV ⊂ L2 lo spazio delle trasformate di Fou-rier delle funzioni di V . Per ogni f ∈ V della forma f = ∑+∞k=−∞ akg(x − k),poniamo come usuale m(t) =

    ∑+∞k=−∞ ake

    −ikt. Sappiamo che f̂(t) = ĝ(t)m(t), conm ∈ L2(T). Quindi si ha

    FV = {ĝ(t)m(t) : m ∈ L2(T)}.

    Definiamo un’applicazione lineare isometrica U di V su L2(T) nel seguente modo:posto s(t) =

    ∑+∞k=−∞ |ĝ(t + 2kπ)|2, definiamo, per ogni f

    (2) U(f)(t) = m(t)s(t)1/2.

    Allora U(f)(t) ha periodo 2π e, ripetendo un conto già fatto nella dimostrazioneTypeset by AMS-TEX

    26

  • 1. ORTONORMALIZZAZIONE 27

    del Teorema 2 del Capitolo I,

    ||f ||22 =12π

    R|f̂(t)|2dt = 1

    R|ĝ(t)m(t)|2dt

    =1π

    ∫ 2π0

    |m(t)|2s(t)dt

    =12π

    ∫ 2π0

    |U(f)(t)|2dt.

    Quindi U è una isometria di V in L2(T). In particolare, per polarizzazione, Uconserva il prodotto interno, cioè (f1, f2) = (U(f1),U(f2)), ove il primo prodottointerno è in L2(R), mentre il secondo è in L2(T).

    L’isometria U è anche suriettiva. Infatti, poichè 0 < a ≤ s(t) ≤ b, ogni funzione qin L2(T) si può scrivere come q(t) = m(t)s(t)1/2, con m(t) = q(t)/s(t)1/2 ∈ L2(T).

    L’isometria U ha la proprietà di trasformare la traslazione mediante n nellamoltiplicazione per exp(−int), cioè U(f(x−n))(t) = exp(−int)U(f)(t). Ciò si vedeimmediatamente da (2). Se infatti f =

    ∑+∞k=−∞ akg(x − k), allora f(x − n) =∑+∞

    k=−∞ akg(x− n− k) e quindi

    (3) U(f(x− n))(t) = e−intm(t)s(t)1/2 = e−intU(f)(t).

    Ciò premesso, cerchiamo φ ∈ V di modo che {e−intU(φ)}n∈Z sia una base ortonor-male di L2(T). Allora, per (3) e poichè U conserva il prodotto interno ed è suriettiva,le funzioni φ(x− n), n ∈ Z, saranno una base ortonormale di V .

    La scelta più semplice è la funzione φ tale che U(φ) = 1 (tale φ esiste per lasuriettività). La relazione U(φ) = 1 equivale a m(t) = s(t)−1/2, ovvero a φ̂(t) =ĝ(t)s(t)−1/2. Quindi φ è un ben definito elemento di V , con le proprietà desiderate.

    Sia ora φ′ ∈ V un’altra funzione tale che {φ′(x−n)} costituisce una base ortonor-male di V . Allora, facendo svolgere a φ il ruolo prima svolto da g,

    φ′(x) =+∞∑

    n=−∞c′nφ(x− n)

    per opportuni coefficienti c′n. Quindi φ̂′(t) = φ̂(t)ρ(t), con

    ρ(t) =+∞∑

    n=−∞c′n exp(−int).

    Inoltre per quasi ogni x

    1 =+∞∑

    n=−∞|φ̂′(x + 2nπ)|2 = |ρ(t)|2

    +∞∑n=−∞

    |φ̂(x + 2nπ)|2 = |ρ(t)|2,

  • 28 CAPITOLO III. ONDINE

    per il Corollario 1 del Capitolo I. Ne segue |ρ(t)| = 1 q.o.Viceversa è chiaro che se φ̂′(t) = φ̂(t)ρ(t), con |ρ(t)| = 1 q.o. e periodica,

    allora φ′ appartiene a V e {φ′(x − k)}, k ∈ Z, è un sistema ortonormale, sempreper il Corollario 1 del Capitolo I. Tale sistema è anche completo in V , poichèφ̂(t) = φ̂′(t)ρ(t), e quindi φ (e di conseguenza tutte le sue traslate) appartiene allospazio generato dalle φ′(x− n). ¤

    Per il precedente Teorema, data una analisi multirisoluzione {Vj}, esiste sempreuna funzione di scala φ che dà luogo a una base ortonormale di V0, e tale funzioneè unica a meno di fattori periodici aventi modulo 1. D’ora in poi supporremosempre, salvo avviso contrario, di avere scelto una tale funzione di scala φ, ovverosupporremo sempre che {2j/2φ(2jx − k)} sia una base ortonormale di Vj , j ∈ Z.Diremo anche che φ è una funzione di scala ortonormale.

    Poichè le MRA r–regolari avranno un certo ruolo nel seguito, prendiamo in esamela regolarità della funzione φ in (1).

    Lemma 1. Sia g tale che |g(x)| ≤ Cm(1 + |x|)−m per ogni m ≥ 0. Allora lafunzione s(x) =

    ∑k∈Z |ĝ(x + 2kπ)|2 è di classe C∞ su T.

    Dimostrazione. Come già si è notato nel Capitolo I allorchè si sono definite leMRA r–regolari, ĝ è di classe C∞ a appartiene a L2(R) con tutte le sue derivate.Poichè |ĝ|2 = (g ∗ g̃)̂ (dove g̃(x) = g(−x)), i coefficienti di Fourier di s hannol’espressione

    ŝ(k) =12π

    ∫ 2π0

    s(t)e−iktdt =12π

    R|ĝ(t)|2(t)e−ikt = (g ∗ g̃)(−k)

    =∫

    Rg(y)g(y + k)dy, k ∈ Z.

    Si ha cos̀ı per ogni m > 0

    |ŝ(k)| ≤ Cm∫∣∣|y|−|k|

    ∣∣≥|k|/2|g(y)|(

    1 +∣∣|y| − |k|∣∣)m dy + C

    2m

    ∫∣∣|y|−|k|

    ∣∣≤|k|/21

    (1 +∣∣y|)m dy

    = I1 + I2.

    Si hanno le stime

    I1 ≤ Cm 2m

    (2 + |k|)m∫

    R|g(y)|dy

    I2 ≤ C2m∫

    |k|/2≤|y|≤3|k|/2

    1(1 +

    ∣∣y|)m dy ≤ C2m

    2m

    (2 + |k|)m 2|k|.

    In definitiva, per ogni m ≥ 0 esiste una costante κm tale che per ogni k intero siabbia |ŝ(k)| ≤ κm(1 + |k|)−m. Perciò la serie di Fourier di s e le serie derivateconvergono uniformemente, e quindi quindi s è di classe C∞ su T. ¤

  • 2. COSTRUZIONE DI ONDINE 29

    Teorema 2. Sia {Vj} sia una analisi multirisoluzione r–regolare con funzionedi scala r–regolare g e sia φ come in (1). Allora anche la funzione φ è r–regolare.

    Dimostrazione. Poichè s(t) ≥ a > 0 per una opportuna costante a, per ilLemma 1 s−1/2 è di classe C∞ sul toro. Posto s−1/2(t) =

    ∑k∈Z cke

    ikt si ha φ̂(t) =∑k∈Z cke

    iktĝ(t), da cui

    φ(x) =∑

    k∈Zckg(x + k), ove

    k∈Z|ck||k|m < ∞ per ogni m ≥ 0.

    Quindi φ è derivabile tante volte quante g. Dimostriamo che φ è r–regolare. Si ha

    |Dsφ(x)| ≤ 2(1 + |x|)n

    +∞∑

    k=−∞|ck||Dsg(x + k)|(1 + |x|)n

    ≤ 2Cn(1 + |x|)n

    +∞∑

    k=−∞|ck| (1 + |x|)

    n

    (1 + |x + k|)n .

    Se |x| ≤ 2|k|, allora (1 + |x|)/(1 + |x + k|) ≤ 1 + 2|k|; se invece |x| ≥ 2|k|, allora|x + k| ≥ |x| − |k| ≥ |x|/2, da cui (1 + |x|)/(1 + |x + k|) ≤ 2(1 + |x|)/(2 + |x|) ≤ 2.Ne segue, per ogni x,

    |Dsφ(x)| ≤ 2nCn(1 + |x|)−n+∞∑

    k=−∞|ck|(1 + |k|)n

    = κn(1 + |x|)−n.

    ¤

    2. Costruzione di ondine

    Definizione. Sia {Vj} una analisi multirisoluzione. Denotiamo con Wj il com-plemento ortogonale di Vj in Vj+1 e con Dj la proiezione ortogonale su Wj .

    Ovviamente Wj ⊥ Wk per ogni j 6= k.Lemma 2. Per ogni j ∈ Z si ha Dj = Pj+1−Pj, ove Pj denota la proiezione su

    Vj. Inoltre f(x) ∈ W0 se e solo se f(2jx) ∈ Wj.Dimostrazione. Ogni f ∈ L2 si decompone come f = Pjf +(1−Pj)f . Inoltre

    (1− Pj)f si decompone ulteriormente come

    (1− Pj)f = Pj+1(1− Pj)f + (1− Pj+1)(1− Pj)f.

    Si ha poi Pj+1(1−Pj)f = (Pj+1−Pj)f e (1−Pj+1)(1−Pj)f = (1−Pj+1)f . Perciòf si decompone nelle tre parti mutuamente ortogonali

    f = Pjf + (1− Pj+1)f + (Pj+1 − Pj)f,

  • 30 CAPITOLO III. ONDINE

    e quindi il terzo addendo rappresenta la proiezione ortogonale su Wj .La seconda affermazione segue dal punto (ii) della definizione di MRA. Infatti,

    f(x) ∈ V1 se e solo se f(2jx) ∈ Vj+1 e g ∈ V0 se e solo se g(2jx) ∈ Vj . Inoltre∫

    Rf(x)g(x)dx = 2j

    Rf(2jx)g(2jx)dx.

    Quindi f ∈ W0 se e solo il primo integrale è nullo per ogni g ∈ V0, cioè se e solo seil secondo integrale è nullo per ogni g(2jx), cioè se e solo se f(2jx) ∈ Wj . ¤

    Teorema 3. Per ogni f ∈ L2(R) si ha

    (4)

    f =+∞∑

    j=−∞Djf

    ||f ||22 =+∞∑

    j=−∞||Dj)f ||22.

    Dimostrazione. Per le proprietà di inclusione degli spazi Vj , si ha PmPn =PnPm = Pn se m ≥ n. Quindi per ogni f ∈ L2 e ogni k > 0 si ha la scomposizionein fattori mutuamente ortogonali

    f = (1− Pk+1)f +k∑

    j=−k(Pj+1 − Pj)f + P−kf,

    da cui

    ||f ||22 = ||(1− Pk+1)f ||22 +k∑

    j=−k||(Pj+1 − Pj)f ||22 + ||P−kf ||22(5)

    ≥k∑

    j=−k||Djf ||22.

    La serie numerica∑+∞

    j=−∞ ||Djf ||22 è quindi convergente e di conseguenza la seriedi funzioni

    ∑+∞j=−∞Djf converge in L

    2(R).Dal Teorema 3 del Capitolo I sappiamo che ||(1 − Pk+1)f ||22 → 0 per k → +∞.

    Ne segue che anche P−kf converge. Detto g il suo limite, si ha necessariamenteg ∈ ⋂+∞k=−∞ Vk = {0}, cosicchè

    ∑+∞j=−∞Djf converge a f . ¤

    Notazioni. La proprietà (4) si esprime dicendo che L2(R) è la somma ortogo-nale degli spazi Wk. In simboli

    L2(R) = ⊕+∞j=−∞Wk = · · · ⊕W−1 ⊕W0 ⊕W1 ⊕ · · ·

    Nel seguito useremo anche la seguente notazione: per ogni intero j denoteremo conFVj lo spazio delle trasformate di Fourier delle funzioni di Vj . Ovviamente FVj èun sottospazio chiuso di L2(R, dx/2π), isometrico a Vj .

  • 2. COSTRUZIONE DI ONDINE 31

    Il Teorema 3 mostra che una base ortonormale di L2 può essere costruita nelmodo seguente: per ogni fissato j ∈ Z sia {ψj,k}k∈Z una base ortonormale di Wj .L’insieme di tutte le funzioni {ψj,k} al variare di k e j in Z sarà allora una baseortonormale in L2. La costruzione delle basi di ondine si condurrà in seguito proprioin questo modo. Tuttavia la base in ogni Wj non sarà generica, ma della forma2j/2ψ(2jx − k), ove ψ è un singola funzione in L2(R). L’esistenza di una tale ψcostituisce la tesi del fondamentale Teorema 4 che dimostreremo tra poco.

    Prima di passare al Teorema 4, ricordiamo alcuni fatti che saranno utilizzatisenza ulteriori commenti.

    Sia {Vj} una analisi multirisoluzione e, al solito, denotiamo con φ funzione discala ortonormale. Una tale funzione esiste sempre per il Teorema 1. Sappiamoallora che

    (6) s(t) =+∞∑

    k=−∞|φ̂(t + 2kπ)|2 = 1 per q.o. t.

    Inoltre, per ogni f ∈ V0,

    (7) f̂(t) = m(t)φ̂(t),

    ove m è una opportuna funzione in L2(T). Quindi

    ||f ||22 = (2π)−1||f̂ ||22 =12π

    ∫ 2π0

    |m(t)|2s(t)dt = 12π

    ∫ 2π0

    |m(t)|2dt.

    Per polarizzazione si ha poi, per ogni f, g ∈ V0, con f̂(t) = m(t)φ̂(t) e ĝ(t) =q(t)φ̂(t),

    (8)∫

    Rfgdx =

    12π

    ∫ 2π0

    mqdt.

    La (7) e la (8) permetteranno di tradurre i calcoli da effettuare sulle funzioni di V0in calcoli da affettuare sulle funzioni in L2(T).

    Teorema 4. Sia {Vj} una analisi multirisoluzione di L2(R). Allora esiste unafunzione ψ ∈ W0 tale che la famiglia {2j/2ψ(2jx−k)}j,k∈Z, è una base ortonormaledi L2(R). La funzione ψ ha la forma (20), ove φ è una qualunque funzione di scalaortonormale e m0 è come in (11).

    Dimostrazione. La dimostrazione consisterà nella costruzione di una funzione2−1/2ψ(x/2) ∈ W−1 tale che {2−1/2ψ(x/2−k)}k∈Z è una base ortonormale di W−1.Da ciò seguirà poi che la famiglia {2j/2ψ(2jx− k)}j,k∈Z, è una base ortonormale diL2(R).

  • 32 CAPITOLO III. ONDINE

    Sia dunque φ una funzione di scala ortonormale. Allora 2−1φ(x/2) ∈ V−1 ⊂ V0,per cui 2−1φ(x/2) si può esprimere mediante una sviluppo nella base ortonormale{φ(x− k)}. Si ha

    2−1φ(x/2) =+∞∑

    k=−∞ckφ(x− k), ove

    ck =12

    Rφ(x/2)φ(x− k)dx,(10)

    e chiaramente la successione {ck}k appartiene a `2. Applicando la formula (7), conla funzione 2−1φ(x/2) al posto di f , si ottiene cos̀ı

    (11) φ̂(2t) = φ̂(t)m0(t), dove m0(t) =+∞∑

    k=−∞cke

    −ikt

    e i coefficienti ck sono dati da (10). Dimostriamo ora la fondamentale formula

    (12) |m0(t)|2 + |m0(t + π)|2 = 1 per quasi ogni t.

    Poichè per (6) s(t) = 1 quasi ovunque, si ha anche s(2t) =∑+∞

    k=−∞ |φ̂(2t+2kπ)|2 =1 q.o. Per (11) si ha φ̂(2t + 2kπ) = m0(t + kπ)φ̂(t + kπ) e quindi

    (13)+∞∑

    k=−∞|m0(t + kπ)|2|φ̂(t + kπ)|2 = 1 per quasi ogni t.

    Poichè m0 ha periodo 2π, possiamo separare i k pari da quelli dispari in (13).Otteniamo cos̀ı

    1 = |m0(t)|2+∞∑

    k=−∞|φ̂(t + 2kπ)|2 + |m0(t + π)|2

    +∞∑

    k=−∞|φ̂(t + π + 2kπ)|2

    = |m0(t)|2 + |m0(t + π)|2.

    cioè (12).Ci proponiamo ora di caratterizzare W−1. Tale caratterizzazione sarà ottenuta

    in termini della trasformata di Fourier delle funzioni g ∈ W−1; ricordiamo cheg ∈ W−1 se e solo se g ∈ V0 ed è ortogonale a ogni f ∈ V−1.

    Poichè f̂(t) ∈ F(V1) se e solo se f̂(t/2) ∈ FV0, da (7) abbiamo che lo spazioFV−1 è costituito da tutte le funzioni della forma φ̂(2t)m(2t), ove m(t) ∈ L2(T) haperiodo 2π (e m(2t) ha periodo π).

    Sia

    (14) S = {m(2t)m0(t) : m ∈ L2(T)}.

  • 2. COSTRUZIONE DI ONDINE 33

    Ovviamente S ⊆ L2(T), poichè |m0(t)| ≤ 1 per (12). Per (11) si ha, per ognif ∈ V−1,

    f̂(t) = φ̂(2t)m(2t) = φ̂(t)m(2t)m0(t).

    Se dunque g ∈ V0 è tale che ĝ(t) = φ(t)q(t), per (8) g ∈ W−1 se e solo se q ∈ S⊥,ovvero se e solo se per ogni funzione m ∈ L2(T) si ha

    0 =∫

    Tm(2t)m0(t)q(t)dt

    =12π

    ∫ π0

    m(2t)m0(t)q(t)dt +12π

    ∫ π0

    m(2t)m0(t + π)q(t + π)dt

    =12π

    ∫ π0

    m(2t)(m0(t)q(t) + m0(t + π)q(t + π)

    )dt.

    Poichè m(2t) rappresenta la generica funzione di L2(0, π), si ha che g ∈ W−1 se esolo se

    (15) m0(t)q(t) + m0(t + π)q(t + π) = 0, per quasi ogni t.

    Per (12) m0(t) e m0(t + π) non possono annullarsi contemporaneamente su uninsieme di misura positiva. Per tale motivo m0(t) = 0 implica q(t + π) = 0, mentrem0(t + π) = 0 implica q(t) = 0. Poniamo

    λ(t) ={

    q(t)/m0(t + π), se m0(t + π) 6= 0−q(t + π)/m0(t), se m0(t + π) = 0.

    Da questa espressione e dalla (15) si ottiene immediatamente

    (16) λ(t) = −λ(t + π).

    e anche

    (17) q(t) = λ(t)m0(t + π).

    Viceversa, ogni una funzione q della forma (17), con λ soddisfacente (16), verificala relazione (15).

    Osserviamo ora che una funzione ha periodo π se e solo se essa è della formaeitλ(t), con λ soddisfacente (16). Poniamo quindi per ogni funzione di periodo π

    q(t) = T(ei·λ)(t) = λ(t)m0(t + π)

    Si noti che

    (18)

    12π

    ∫ 2π0

    |q(t)|2dt = 12π

    ∫ π0

    |λ(t)|2|m0(t + π)|2dt + 12π∫ π

    0

    |λ(t)|2|m0(t)|2dt

    =12π

    ∫ π0

    |λ(t)|2dt,

  • 34 CAPITOLO III. ONDINE

    e quindi, per le considerazioni precedenti, T è una isometria lineare dello spazioL2([0, π), dt/2π) su S⊥.

    Riassumendo, g ∈ W−1, se e solo se ĝ è della forma

    ĝ(t) = λ(t)m0(t + π)φ̂(t),

    ove λ soddisfa la (16) ed è di quadrato integrabile su [0, π). Inoltre la norma dieitλ(t) in L2([0, π), dt/2π) è eguale alla norma di q in L2(T).

    La famiglia di esponenziali

    {√

    2 exp(−2int)}, n ∈ Z.

    costituisce una base ortonormale di L2([0, π), dt/2π). Poichè una isometria lineareconserva il prodotto interno, le funzioni qn(t) =

    √2e−ite−i2ntm0(t + π) formano

    una base ortonormale di S⊥ e quindi, le funzioni la cui trasformata di Fourier vale

    √2e−i2nte−itm0(t + π)φ̂(t), n ∈ Z.

    costituiscono una base ortonormale di W−1.È facile ora trovare la ψ desiderata. Si definisca ψ ∈ W0 mediante la formula

    (19) ψ̂(2t) = e−itm0(t + π)φ̂(t).

    (ovviamente ψ̂(2t) è la trasformata di una funzione in W−1 se e solo se ψ̂(t) èla trasformata di una funzione in W0). Si ha da (11), con i ck forniti da (10),m0(t + π) =

    ∑k∈Z(−)kckeikt. Passando alle antitrasformate di Fourier in (19)

    otteniamo quindi

    (20)

    2−1ψ(x/2) =+∞∑

    k=−∞(−)kckφ(x + k − 1), ovvero

    ψ(x) = 2+∞∑

    k=−∞(−)kckφ(2x + k − 1).

    La trasformata di

    2−1/2ψ(x/2− n) =+∞∑

    k=−∞(−)kckφ(x + k − 2n− 1)

    vale esattamente √2e−i2nte−itm0(t + π)φ̂(t)

    e quindi la famiglia {2−1/2ψ(x/2− n)} è una base ortonormale di W−1.

  • 3. ESEMPI 35

    Poichè tutti gli spazi Wj si ottengono da W0 (o da W−1) per dilatazione, perogni j fissato la famiglia {2j/2ψ(2jx − n)}n∈Z, è una base ortonormale di Wj .Infine, per la mutua ortogonalità degli spazi Wj , al variare di j e n in Z le funzioni2j/2ψ(2jx− n) formano una base ortonormale di L2(R). ¤

    Una famiglia di ondine non è un gruppo di ninfe germaniche delle acque, mauna base ortonormale di L2 del tipo appena costruito. Il termine ondina traduceimpropriamente la parola inglese “wavelet” (“ondelette” in francese); una miglioretraduzione di questi termini potrebbe forse essere “ondicella”.

    Definizione. Sia {Vj} una analisi multirisoluzione e sia ψ definita come in(20). La base ortonormale {2j/2ψ(2jx− k)}j,k∈Z viene chiamata base di ondine diL2 asociata all’analisi multirisoluzione.

    La funzione ψ è chiamata madre delle ondine o semplicemente ondina.

    Per ogni f ∈ L2(R) vale quindi la formula

    f =∑

    j,k∈Z(f, ψj,k)ψj,k,

    ove (·, ·) denota il prodotto interno in L2 e ψj,k(x) = 2j/2ψ(2jx− k).Osservazione. Data una analisi multirisoluzione {Vj} e una sua funzione di

    scala ortonormale φ, per il Teorema 1 tutte e sole le funzioni ψ′ tali che {ψ′(x −k)}k∈Z è una base ortonormale di W0 (e quindi tutte e sole le possibili madri delleondine associate alla MRA) sono del tipo

    ψ̂′(t) = ρ(t)ψ(t)

    ove ρ è una qualsiasi funzione 2π–periodica di modulo 1 e ψ è come in (20). Inparticolare anche eitm0(t + π)φ̂(t) è una madre di ondine.

    3. Esempi

    Ricaviamo le ondine per gli esempi di analisi multirisoluzione studiate nei capitoliprecedenti.

    Il sistema di Haar. Sia {Vj} l’analisi multirisoluzione di Haar introdotta in §3 delCapitolo I. Assumiamo come funzione di scala −N1 anzichè N1. Da (20) possiamoricavare senza fatica l’ondina ψ; a tal fine calcoliamo prima i coefficienti ck fornitida (10). Si ha

    ck = −∫ 1

    0

    N1(2x− k)dx, da cuic0 = −1/2, c1 = −1/2, ck = 0 per gli altri k.

  • 36 CAPITOLO III. ONDINE

    Ne segue ψ(x) = N1(2x)−N1(2x− 1) ovvero

    ψ = χ[0,1/2) − χ[1/2,1),

    ove, al solito, χ[a,b) denota la funzione caratteristica di [a, b). La base di ondinegenerata da ψ è dunque

    ψj,n(x) =

    2j/2 per x ∈ [n2−j , n2−j + 2−j−1)−2j/2 per x ∈ [n2−j + 2−j−1, (n + 1)2−j)0 per gli altri valori di x.

    Calcoliamo ora le altre quantità che sono intervenute nella dimostrazione del Teo-rema 4. Poichè φ(x) = −N1(x), si ha φ̂(t) = (it)−1(e−it − 1) da cui

    m0(t) =φ̂(2t)

    φ̂(t)=

    exp (−it) + 12

    .

    La base che abbiamo appena esaminato porta il nome del matematico A. Haar,che per primo la costrùı nel 1910. Essa costituisce l’esempio più elementare dibase di ondine. Benchè la base di Haar nel corso degli anni abbia ricevuto unacostante attenzione da parte dei matematici, la costruzione di Haar ha trovato lasua profonda estensione nella teoria delle ondine solo dopo ottanta anni!

    Ondine di Battle–Lemarié. Le ondine di Battle–Lemarié sono le ondine asso-ciate alle MRA di splines. Sia {V mj } l’analisi multirisoluzione studiata nel CapitoloII, con funzione di scala Nm, m ≥ 2. Poichè in questo caso non si possono ricavareespressioni elementari per l’ondina ψm, ci accontenteremo di indicare il calcolo diψ̂m.

    Abbiamo notato che la base di Riesz {Nm(x − k)} non è ortonormale, cosicchèper applicare il Teorema 4 dobbiamo prima ortonormalizzare Nm in accordo alTeorema 1. La funzione di scala ortonormale φm è della forma

    (21) φ̂m(t) = ρm(t)N̂m(t)( +∞∑

    k=−∞|N̂m(t + 2kπ)|2

    )−1/2,

    dove ρm ha modulo 1 e periodo 2π. Si può scegliere opportunamente ρm per ottenerel’espressione più conveniente per φ̂m.

    Sappiamo dal Teorema 4 del Capitolo II che Nm = N1 ∗ · · · ∗N1︸ ︷︷ ︸m volte

    , per cui

    N̂m(t) = N̂1(t)m = (it)−m(1− e−it)m.

    Quindi |N̂m(t)|2 = |t|−2m(2 sin t/2)2m. Ne segue

    (22)+∞∑

    k=−∞|N̂m(t + 2kπ)|2 = 22m

    +∞∑

    k=−∞

    sin2m(t/2 + kπ)|t + 2kπ|2m .

  • 3. ESEMPI 37

    Poniamo 2x = t nella (22). Sappiamo dall’analisi complessa che

    +∞∑

    k=−∞

    1x + kπ

    = cot x,

    che fornisce immediatamente

    +∞∑

    k=−∞

    1(x + kπ)2m

    = − 1(2m− 1)!

    d2m−1

    dx2m−1cot x.

    Quindi (22) diventa (con 2x = t)

    (23)+∞∑

    k=−∞|N̂m(2x + 2kπ)|2 = − sin

    2m x

    (2m− 1)!d2m−1

    dx2m−1cot x.

    Supponiamo m = 2; in questo caso i calcoli da effettuare sono molto semplici. Siottiene da (23)

    +∞∑

    k=−∞|N̂2(t + 2kπ)|2 = 13 +

    23

    cos2(t/2).

    Ponendo

    ρ2 =|N̂2(t)|N̂2(t)

    si ha da (21)

    (24) φ̂2(t) =(

    sin t/2t/2

    )2(13

    +23

    cos2 t/2)−1/2

    .

    La funzione m0(t) = φ̂(2t)/φ̂(t) ha la forma

    m0(t) = cos2(t/2)(

    1 + 2 cos2 t/21 + 2 cos2 t

    )1/2.

    Infine ricaviamo ψ̂2 da (19); si ha

    ψ̂2(2t) = 4e−itsin4 t/2

    t2

    (1 + 2 sin2 t/2

    (1 + 2 cos2 t)( 13 +23 cos

    2 t/2

    )1/2.

    Per valori m > 2 si possono ottenere (almeno in linea di principio) analoghe, ma piùcomplicate espressioni per m0(t) = φ̂m(2t)/φ̂m(t); la trasformata ψ̂m(2t) si calcolapoi, come nel caso m = 2, mediante (19).

    L’ondina di Lemarié–Meyer. Supponiamo che {Vj} sia l’analisi multirisolu-zione di Meyer (si veda il §3 del Capitolo I). Abbiamo mostrato che in questo caso

  • 38 CAPITOLO III. ONDINE

    la funzione di scala φ è tale che la base di Riesz {φ(x − k)}k∈Z è ortonormale. Laformula (8) del Capitolo I fornisce [−π, π]

    φ̂(2t)

    φ̂(t)= λ(2t).

    Poichè φ̂(t) = 1 su [−2π/3, 2π/3] e φ̂(2t) = 0 per |t| ≥ 2π/3, si ha

    λ(2t) = φ̂(2t)

    su [−π, π]. D’altra parte, su [−π, π], si ha pure

    φ̂(2t)

    φ̂(t)= m0(t)

    e quindi m0(t) = λ(2t) = φ̂(2t) su [−π, π].Possiamo costruire mediante (19) la trasformata di Fourier della madre delle

    ondine (chiamata anche ondina di Lemarié–Meyer) associata a questa analisi mul-tirisoluzione. Si ha, per ogni t ∈ R,

    m0(t) =+∞∑

    k=−∞φ̂(2t + 4kπ)).

    e quindi

    m0(t/2 + π) =+∞∑

    k=−∞φ̂(t + 2(2k + 1)π)).

    Ne segue che ψ̂ si esprime facilmente mediante φ̂ nel seguente modo

    ψ̂(t) = e−it/2+∞∑

    k=−∞φ̂(t + 2(2k + 1)π)φ̂(t/2)

    = e−it/2(φ̂(t + 2π) + φ̂(t− 2π))φ̂(t/2),

    poichè gli unici addendi che non si annullano contro φ̂(t/2) corrispondono a k = 0e k = −1.

    4. Regolarità delle ondine

    Nel prossimo capitolo dimostreremo una condizione necessaria e sufficiente, deltutto generale, affinchè una funzione φ ∈ L2 sia una funzione di scala; per ora cilimitiamo al seguente risultato.

  • 4. REGOLARITÀ DELLE ONDINE 39

    Teorema 5. Sia {Vj} una analisi multirisoluzione con funzione di scala ortonor-male φ tale che φ̂ è continua in 0. Sia ψ l’ondina in (19) e sia m0 la funzione in(11). Allora ψ̂ e m0 sono continue in 0 e si ha

    |φ̂(0)| = 1, ψ̂(0) = 0, m0(0) = 1.

    Dimostrazione. Sia f̂ la funzione caratteristica dell’intervallo [0, 2π). Allora,per il Teorema 3 del Capitolo I,

    (25) 1 = (2π)−1||f̂ ||22 = ||f ||22 = limj→+∞

    ||Pjf ||22.

    Si ha

    (26)

    ||Pjf ||22 =+∞∑

    k=−∞2j

    ∣∣∣∣∫

    Rf(x)φ(2jx− k)dx

    ∣∣∣∣2

    =+∞∑

    k=−∞2−j

    ∣∣∣∣12π

    ∫ 2π0

    eikt/2j

    f̂(t)φ̂(t/2j)dt∣∣∣∣2

    =+∞∑

    k=−∞2j

    ∣∣∣∣12π

    ∫ 2π/2j

    0

    eiktφ̂(t)dt∣∣∣∣2

    =2j

    ∫ 2π/2j

    0

    |φ̂(t)|2dt,

    Queste eguaglianze sono ottenute usando prima il Teorema di Parseval su R e poiil Teorema di Plancherel sul toro, applicato alla funzione eguale a φ̂(t) su [0, 2π/2j)e eguale a 0 su [2π/2j , 2π). Ma φ̂ è continua in 0 e quindi

    limj→+∞

    2j

    ∫ 2π/2j

    0

    |φ̂(t)|2dt = |φ̂(0)|2.

    Quindi per (25) e (26) |φ̂(0)| = 1. Da (11) otteniamo che m0 è continua in 0 e chem0(0) = 1 (e da (12) che m0(π) = 0). Infine da (19) otteniamo che ψ̂ è continua in0 e che ψ̂(0) = 0. ¤

    Nel resto di questo paragrafo supporremo che {Vj} sia una analisi multirisolu-zione r–regolare e che φ sia una funzione di scala ortonormale r–regolare, ovveroche per ogni intero m ≥ 0 esista una costante Cm tale che per ogni s ≤ r si abbia

    |Dsφ(x)| ≤ Cm(1 + |x|)m , per ogni x ∈ R.

  • 40 CAPITOLO III. ONDINE

    Lemma 3. Sia m0 come in (11). Se {Vj} è 0–regolare allora per ogni n ≥ 0 siha

    (27)+∞∑

    k=−∞|k|n|ck| < ∞.

    In particolare m0 è derivabile infinite volte.

    Dimostrazione. Ricordando l’espressione dei coefficienti ck in (10), si ha perogni k > 0

    |ck| ≤∫

    |2x−k|≤k/2|φ(x)||φ(2x− k)|dx +

    |2x−k|>k/2|φ(x)||φ(2x− k)|dx

    = I1 + I2.

    Se |2x − k| ≤ k/2, cioè k/2 ≤ 2x ≤ 3k/2, si ha |φ(x)| ≤ Cm(1 + k/4)−m perogni m. Se invece |2x − k| > k/2 si ha |φ(2x − k)| ≤ Cm(1 + k/2)−m. Quindi2I1 ≤ Cm||φ||1/(1+k/4)−m e I2 ≤ Cm||φ||1/(1+k/2)−m. Chiaramente una analogamaggiorazione vale se k < 0.

    In conclusione, per ogni m esiste una costante C̃m tale che

    (28) |ck| ≤ C̃m1 + |k|m , per ogni k,

    da cui segue subito (27).Per concludere la dimostrazione basta ora notare che per ogni n > 0

    +∞∑

    k=−∞ckD

    n exp(−itk) =+∞∑

    k=−∞ck(−ik)n exp(−itk).

    Per la (27) quest’ultima serie converge assolutamente e uniformemente e quindi m0appartiene a C∞. ¤

    Veniamo ora al teorema di regolarità.

    Teorema 6. Sia {Vj} una MRA r–regolare con funzione di scala ortonormaler–regolare φ; sia ψ l’ondina (20) associata a tale MRA. Allora ψ è derivabile sinoall’ordine r e per ogni intero n ≥ 0 esiste κn tale che per ogni 0 ≤ s ≤ r si abbia

    (29) |Dsψ(x)| ≤ κn(1 + |x|)n per ogni x ∈ R.

    Inoltre ψ ha momenti nulli fino all’ordine r e cioè

    (30)∫

    Rxsψ(x)dx = 0 per ogni intero 0 ≤ s ≤ r.

  • 4. REGOLARITÀ DELLE ONDINE 41

    Dimostrazione. Dimostriamo prima la (29), ragionando come nel Teorema 2.Da (20) si ha, per la r–regolarità di φ,

    |Dsψ(x)| ≤ 2(1 + |x|)n

    +∞∑

    k=−∞|ck||Dsφ(2x + k − 1)|(1 + |x|)n

    ≤ 2Cn(1 + |x|)n

    +∞∑

    k=−∞|ck| (1 + |x|)

    n

    (1 + |(2x + k − 1|)n .

    Se |x| ≤ |k − 1| ≤ |k| + 1, allora (1 + |x|)/(1 + |2x + k − 1|) ≤ 2 + |k|, mentre se|x| ≥ |k − 1| allora |2x + k − 1| ≥ |x| e (1 + |x|)/(1 + |(2x + k − 1|) ≤ 1. Da (27)segue che esiste una costante κn tale che

    |Dsψ(x)| ≤ 2Cn(1 + |x|)−n+∞∑

    k=−∞|ck|(2 + |k|)n

    = κn(1 + |x|)−n, per ogni x ∈ R.

    Dimostriamo ora (30) per induzione su r. Intanto osserviamo che per (29) (cons = 0) xnψ(x) è limitata e integrabile per ogni n e quindi (30) ha senso.

    La (30) con r = 0 è già stata dimostrata nel Teorema 5. Supponiamo quindidi avere dimostrato (30) per ogni s ≤ r − 1 e consideriamo Drψ. Tale derivatanon può essere identicamente nulla, altrimenti ψ sarebbe un polinomio non nullodi ordine al più r − 1 e ψ non sarebbe integrabile. Quindi esistono k e j0 > 0 taleche Drψ(k2−j0) 6= 0. Poniamo c = k2−j0 ; per ogni ² > 0 esiste δ > 0 tale che

    (31)∣∣ψ(x)−

    r∑s=0

    (s!)−1Dsψ(c)(x− c)s∣∣ ≤ ²|x− c|r se |x− c| < δ.

    D’altra parte, 2jc è un intero per ogni j ≥ j0 e quindi

    (32) 0 =∫

    Rψ(x)ψ(2j(x− c))dx =

    r∑s=0

    (s!)−1Dsψ(c)∫

    R(x− c)sψ(2j(x− c))dx+

    +∫

    Rdx

    [ψ(x)−

    r∑s=0

    (s!)−1Dsψ(c)(x− c)s]ψ(2j(x− c)).

    Per l’ipotesi di induzione∫R x

    sψ(x)dx = 0 se 0 ≤ s < r. Quindi il primo termine asecondo membro di (32) è eguale a

    (33) 2−j(r+1)(r!)−1Drψ(c)∫

    Rxrψ(x)dx.

    Da (32) e (33) segue

    2−j(r+1)(r!)−1Drψ(c)∣∣∫

    Rxrψ(x)dx

    ∣∣ ≤

    ≤∫

    R

    ∣∣ψ(y + c)−r∑

    s=0

    (s!)−1Dsψ(c)ys∣∣|ψ(2jy)|dy.

  • 42 CAPITOLO III. ONDINE

    Si ha per (31)

    |y|

  • 5. ONDINE NON ASSOCIATE A MRA 43

    ove ||R||∞ ≤ C||f (r)||∞. Quindi

    ∣∣2j/2∫

    Rf(x)ψ(2jx− k)dx∣∣ ≤ 2−j(r−1/2)

    R|y|r|R(y)||ψ(y)|dy

    ≤ C2−j(r−1/2)||f (r)||∞.

    Se f ha derivata r–esima continua in un intervallo [a, b] e se ψ ha supporto compatto,gli stessi ragionamenti mostrano che i coefficienti delle ondine ψj,k, con k/2j ∈[a, b], saranno O(2−j(r−1/2)). Da un punto di vista qualitativo quindi, i coefficienti(f, ψj,k) possono essere “grandi” solo in corrispondenza di picchi o discontinuità dif o delle sue derivate.

    5. Ondine non associate a MRA

    In §2 abbiamo associato a ogni MRA una funzione ψ ∈ L2(R) con la proprietàche la famiglia di funzioni ψj,k(x) = 2j/2ψ(2jx− k), k, j ∈ Z, costituisce una baseortonormale per L2. Abbiamo chiamato i membri di tale famiglia ondine generatedalla madre ψ. È però chiaro che il concetto di ondina è in realtà indipendente daquello di analisi multirisoluzione. Diamo quindi formalmemte la definizione delleondine nel caso generale, senza alcun riferimento alle MRA.

    Definizione. Sia ψ ∈ L2(R) tale che {2j/2ψ(2jx−k)}k,j∈Z costituisce una baseortonormale per L2(R). Chiameremo ondine gli elementi di tale base e chiameremoψ madre delle ondine (o semplicemente ondina).

    Per ogni j ∈ Z definiamo lo spazio Wj come lo spazio generato delle funzioni2j/2ψ(2jx − k) al variare di k ∈ Z; se ψ è un’ondina, ovviamente si ha ancora cheL2 è la somma ortogonale degli spazi Wj . Se esiste una MRA tale che Wj è ilcomplemento ortogonale di Vj in Vj+1, la funzione ψ, coincide, a meno di fattori2π–periodici di modulo 1, con la madre delle ondine associate alla MRA (si vedal’osservazione successiva alla definizione di ondine associate a una MRA).

    Esiste una condizione necessaria affinchè una famiglia di ondine sia associataa una MRA (esistono anche condizioni necessarie e sufficienti che però noi nontratteremo).

    Lemma 4. Se una funzione ψ ∈ L2 è la madre di un sistema di ondine associatea una MRA con funzione di scala ortonormale φ, allora per quasi ogni x si ha

    (34)+∞∑

    j=1

    |ψ̂(2j(x))|2 = |φ̂(x)|2.

  • 44 CAPITOLO III. ONDINE

    Dimostrazione. Poichè |ψ̂(2x)| = |m0(x + π)||φ̂(x)|, si ha

    |φ̂(x)|2 =|φ̂(x)|2(|m0(x)|2 + |m0(x + π)|2) = |ψ̂(2x)|2 + |φ̂(2x)|2

    = |ψ̂(2x)|2 + |ψ̂(4x)|2 + |φ̂(4x)|2

    = · · · · · · · · ·

    =n∑

    j=1

    |ψ̂(2jx)|2 + |φ̂(2nx)|2.

    Poichè∑

    k∈Z |φ̂(x + 2kπ)|2 = 1 quasi ovunque, si ha |φ̂(x)| ≤ 1 q.o. Ne segue cheper ogni n si ha

    ∑nj=1 |ψ̂(2jx)|2 ≤ 1 q.o. e quindi la serie

    ∑+∞j=1 |ψ̂(2jx)|2 converge

    q.o.Esaminiamo ora |φ̂(2nx)|2; si ha

    R|φ̂(2nx)|2dx = 1

    2n

    R|φ̂(x)|2dx,

    cosicchè, per il Lemma di Fatou,

    Rlim

    n→+∞|φ̂(2nx)|2dx ≤ lim

    n→+∞12n

    R|φ̂(x)|2dx = 0.

    Questa relazione di limite tra integrali implica che limn→+∞ |φ̂(2nx)|2 = 0 q.o.Quindi, per quasi ogni x,

    |φ̂(x)|2 =+∞∑

    j=1

    |ψ̂(2jx)|2.

    ¤

    Osservazione. Nel corso della dimostrazione abbiamo in particolare stabilitoche, per ogni funzione di scala ortonormale, si ha la notevole relazione di limitelimn→+∞ |φ̂(2nx)|2 = 0 q.o.

    Si può dimostrare che per ogni madre delle ondine ψ è sempre necessaria lacondizione

    (35)∑

    j∈Z|ψ̂(2jx)|2 = 1 q.o.

    Tale condizione è assai più forte, se ψ è continua, della condizione ψ̂(0) = 0 delTeorema 5. Infatti, dividendo ambo i lati di (35) per x e integrando su (1, 2), siarriva all’eguaglianza ∫ +∞

    0

    |ψ̂(x)|2x

    dx = log 2.

  • 5. ONDINE NON ASSOCIATE A MRA 45

    Ci possiamo chiedere ora se effettivamente esistano ondine che non sono associatead alcuna MRA. La risposta è affermativa e noi illustreremo il primo esempio notodi tali ondine, scoperto da J. Journé.

    L’ondina di Journé ha come trasformata di Fourier la funzione caratteristica di unopportuno insieme misurabile dell’asse reale. Per trattare questo esempio dobbiamoquindi procurarci condizioni che garantiscano che la funzione caratteristica χK diun sottoinsieme K ⊂ R sia la trasformata di una madre delle ondine. Si noti cheun tale insieme K deve avere necessariamente misura 2π, in quanto, se χK = ψ̂,

    1 = ||ψ||22 = (2π)−1||ψ̂||22 = (2π)−1mis(K).

    Teorema 7. Sia K ⊂ R un insieme di misura 2π. Allora χK è la trasformatadi Fourier di una madre delle ondine se e solo se valgono quasi ovunque le dueseguenti condizioni

    (i)∑

    k∈Z χK(x + 2kπ) = 1;(ii)

    ∑+∞j=−∞ χk(2

    jx) = 1.

    Dimostrazione. Iniziamo con la necessità. Posto ψ̂ = χK , la (i) esprime sem-plicemente il fatto che la famiglia {ψ(x − k)} è una base ortonormale dello spazioda essa generato, ed è quindi necessaria.

    Poichè χk(2jx) è la funzione caratteristica di 2−jK, la (ii) equivale al fatto cheper ogni j1 6= j2 l’intersezione 2−j1K

    ⋂2−j2K ha misura nulla e che, a meno di un

    insieme di misura nulla, ⋃

    j∈Z2−jK = R.

    Supponiamo dapprima, per assurdo, che∑+∞

    j=−∞ χk(2jx) > 1 su un insieme di

    misura positiva. Allora esistono j1 6= j2 tali che 2−j1K⋂

    2−j2K ha misura positiva.Per Parseval,

    R2−(j1+j2)/2ψ(2−j1x)ψ(2−j2x)dx =

    12π

    R2(j1+j2)/2χK(2j1x)χK(2j2x)dx

    =2(j1+j2)/2

    2−j1K∩2−j2Kdx > 0,

    in contraddizione con l’ortogonalità delle ondine. Quindi∑+∞

    j=−∞ χk(2jx) ≤ 1 quasi

    ovunque.Se ora la serie fosse minore strettamente di 1 su un insieme E di misura positiva

    finita, allora E⋂

    2−jK = ∅ per ogni j. Detta f la funzione tale che f̂ = χE , siavrebbe per ogni j e k

    R2−j/2ψ(2−jx + k)f(x)dx =

    12π

    R2j/2χK(2jx)ei2

    jkxχE(x)dx = 0,

  • 46 CAPITOLO III. ONDINE

    e quindi il sistema di ondine non sarebbe completo.Dimostriamo ora la sufficienza. Dapprima mostriamo che la (i) implica che gli

    esponenziali {eint}n∈Z formano un sistema ortonormale completo per L2(K, dt/2π).Si ha infatti, per ogni coppia di interi m, n,

    12π

    K

    ei(n−m)tdt =12π

    RχK(t)ei(n−m)tdt =

    12π

    ∫ π−π

    k∈ZχK(t + 2kπ)ei(n−m)tdt

    =12π

    ∫ π−π

    ei(n−m)tdt = δn,m,

    cosicchè il sistema degli esponenziali è ortonormale in L2(K, dt/2π). Per vedere cheesso è anche completo, osserviamo che, poichè χK(x + 2kπ) è la funzione caratter-istica del traslato K−2kπ, la (i) equivale al fatto che, con l’eccezione di un insiemedi misura nulla, ogni punto reale appartiene a uno e un solo traslato di K. Se f 6= 0è una funzione integrabile supportata in K, consideriamo la periodizzata

    F (t) =∑

    k∈Zf(t + 2kπ).

    Poichè non ci sono sovrapposizioni tra gli insiemi K − 2kπ, F non è identicamentenulla. Lo stesso metodo di calcolo usato sopra mostra che

    12π

    Rf(t)e−intdt =

    12π

    ∫ π−π

    F (t)e−intdt.

    La funzione F (t) appartiene a L1(T), non è nulla, e quindi l’ultimo integrale nonpuò essere nullo per ogni n.

    Abbiamo quindi dimostrato che il sistema delle funzioni χK(t)eikt è un sistemaortonormale completo in L2(K, dt/2π). Ne segue immediatamente (per cambia-mento di variabile) che, per ogni fissato j, al variare di k in Z il sistema dellefunzioni

    ζj,k = (2π)−1/22−j/2χK(t/2j)eikt/2j

    è ortonormale e completo in L2(2jK, dt). Infine, per (ii), al variare di j e k negliinteri, il sistema

    (2π)−1/22−j/2χK(t/2j)eikt/2j

    è ortonormale e completo in L2(R). Infatti, se j1 6= j2, per (ii) si ha, a meno di uninsieme di misura nulla, 2j1K

    ⋂2j2K = ∅ e quindi,

    Rζj1,k1ζj2,k2dx =

    2j1K∩2j2Kζj1,k1ζj2,k2dx = 0.

    Quindi il sistema è ortonormale in L2(R). Infine la completezza in L2(R) segueimmediatamente dalla seguente osservazione: per ogni f ∈ L2(R) poniamo

    fj(x) = χK(2−jx)f(x) ∈ L2(2jK, dt).

  • 5. ONDINE NON ASSOCIATE A MRA 47

    Allora, sempre per (ii), le fj sono tra loro ortogonali e f(x) =∑

    j∈Z fj(x).Detta ψ ∈ L2(R) la funzione tale che ψ̂ = χK , per concludere la dimostrazione

    basta osservare che che la trasformata di 2j/2ψ(2jx− k) è esattamente (2π)1/2ζj,k.Quindi le funzioni 2j/2ψ(2jx− k) formano un sistema di ondine. ¤

    Osservazione. Le condizioni (i) e (ii) del Teorema (7) equivalgono al fatto chesia le traslate K − 2kπ, che le dilatate 2−jK, formano, a meno di insiemi di misuranulla, una tassellazione di R; in altri termini, a meno di insiemi di misura nulla,

    (36)⋃

    k∈Z

    (K − 2kπ) = R

    j∈Z2−jK = R

    e inoltre

    (37)

    (K − 2kπ) ∩ (K − 2hπ) ha misura nulla se h 6= k

    (2−jK

    ) ∩ (2−iK) ha misura nulla se i 6= j

    L’ondina di Journé si costruisce ora nel modo seguente. Poniamo

    K =[−32

    7π,−4π]∪[−π,−4

    7π] ∪ [4

    7π, π

    ] ∪ [4π, 327

    π]

    = K1 ∪K2 ∪K3 ∪K4.

    L’insieme K verifica (36) e (37). Infatti, posto k1 = −2, k2 = 0, k3 = 0, k4 = 2, siha

    K1 − 2k1π = [−47π, 0], K2 − k2π = [−π,−47π]

    K3 − 2k3π = [47π, π], K4 − 2k4π = [0,47π],

    da cui⋃4

    l=1{Kl − 2klπ} = [−π, π]. Ne seguono subito le prime di (36) e (37).Posto j1 = −2, j2 = 1, j3 = 1, j4 = −2, si ha poi

    2j1K1 = [−87π,−π], 2j2K2 = [�