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IL CONTROLLO GIUDIZIARIO (SECONDA PARTE) PROF. LUIGI D’ORAZIO

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Università Telematica Pegaso Il controllo giudiziario (seconda parte)

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 IL FONDATO SOSPETTO, IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA EX ART.99 C.P.C E LA

CORRISPONDENZA TRA CHIESTO E PRONUNCIATO EX ART. 112 C.P.C. -------------------------------------- 3

2 LEGITTIMAZIONE ATTIVA: I SOCI ----------------------------------------------------------------------------------- 6

3 IL COLLEGIO SINDACALE ---------------------------------------------------------------------------------------------- 20

4 IL PUBBLICO MINISTERO ----------------------------------------------------------------------------------------------- 24

5 ALTRI SOGGETTI LEGITTIMATI ------------------------------------------------------------------------------------- 26

6 LEGITTIMAZIONE PASSIVA: AMMINISTRATORI E SINDACI ---------------------------------------------- 29

7 LA LEGITTIMAZIONE PASSIVA DELLA SOCIETÀ -------------------------------------------------------------- 32

7.1 OBBLIGO DI DIFESA TECNICA ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 37

8 DISCIPLINA DEL PROCEDIMENTO E DECRETO PRESIDENZIALE INAUDITA ALTERA PARTE44

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1 Il fondato sospetto, il principio della domanda ex art.99 c.p.c e la corrispondenza tra chiesto e

pronunciato ex art. 112 c.p.c.

La dizione “fondato sospetto di gravi irregolarità nella gestione”, utilizzata dal legislatore

unitamente al termine “denuncia”, imprime una particolare connotazione al procedimento ex art.

2409 c.c..

Come evidenziato da attenta dottrina non è un caso che il legislatore abbia fatto uso del

termine “denunzia”, anziché domanda o ricorso, in quanto la tutela preventiva tipica del controllo

giudiziario implica che chi deposita il ricorso non ha prove certe, in ordine alle irregolarità di

gestione da parte degli amministratori, da produrre unitamente all’istanza.

Si è in presenza di indizi obiettivi1 della commissione di gravi irregolarità, tali da rendere

verosimile la denuncia (Trib. Novara, 21 maggio 2012, Redazione Giuffrè, 2012), ma non di prove

certe2.

Per queste ragioni, allora, il ricorrente si limita a “denunciare” i fatti, come avviene nel

diritto penale3, anche se tali fatti devono essere circostanziati e specifici

4.

Tuttavia, può ben verificarsi che il ricorrente, per ragioni peculiari, sia già in grado di fornire

la prova piena delle proprie allegazioni ed allora il Tribunale potrà adottare i provvedimenti più

opportuni (provvedimenti provvisori, convocazione dell’assemblea per le conseguenti deliberazioni

e, nei casi più gravi, la revoca degli amministratori ed eventualmente anche dei sindaci).

1 E. DALMOTTO, denunzia al Tribunale, Commentario diretto da S. CHIARLONI, op. cit., 2004, p. 1232 per

il quale “il ricorrente non deve dimostrare compiutamente l’esistenza delle denunciate irregolarità, essendo sufficiente

che ne fornisca indizi obiettivi, tali da rendere verosimile la denuncia”; F. MAINETTI, Denunzia al tribunale,

Commentario diretto da COTTINO, 2004, Bologna, Tomo 1, p. 937, S. LA CHINA, voce Ispezione, Enc. Del Dir., Vol.

XLII, 1990, p. 1159 “è sufficiente il fumus, non tanto del buon diritto ma della sussistenza dei fatti…”. 2 A. DIDONE, denuncia al Tribunale, in Codice Civile Annotato, a cura di PERLINGIERI, Bologna-ESI, 1991,

p. 519 “è pacifico che non occorre fornire la prova delle irregolarità, essendo sufficiente l’allegazione di fatti e

circostanze costituenti indizio grave delle irregolarità medesime”.

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Ciò si è verificato nel caso preso in esame dal Tribunale di Tivoli citato nel paragrafo 2, ove

le irregolarità della gestione da parte degli amministratori erano talmente palesi da non richiedere

l’utilizzo del mezzo istruttorio costituito dall’ispezione giudiziale.

Pertanto, di fronte ad un’istanza di provvedimenti ex art. 2409 c.c. il Tribunale potrà o

dichiarare inammissibile l’istanza per difetto della condizione di procedibilità (ad es. mancanza del

quorum richiesto dalla legge 1/10 o 1/20 del capitale sociale a secondo che le società facciano

ricorso o meno al mercato del capitale di rischio), o rigettarla, se gli elementi presentati non

assurgano neppure al rango di indizi, oppure disporre l’ispezione giudiziale, nell’ipotesi in cui la

denuncia, pure circostanziata, non sia però sufficiente da sola a convincere il Giudice della

sussistenza delle asserite irregolarità nella gestione.

Collegata alla tematica del “fondato sospetto” è la questione se trovino applicazione nel

procedimento ex art. 2409 c.c. il principio della domanda e quello della corrispondenza tra

chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., per cui il giudice non può pronunziare oltre ciò che è stato

chiesto dalle parti (“ne eat iudex ultra petita partium”)5.

La dottrina prevalente ritiene che tali principi non valgano per la fase “statica” del rapporto,

ossia per quella fase del procedimento che va dalla presentazione del ricorso all’espletamento

dell’ispezione giudiziale, ove ritenuta necessaria dal Tribunale.

Invero, in tale fase, caratterizzata da una mera “denuncia” dei soci di minoranza di un

fondato sospetto di gravi irregolarità nella gestione, è ben possibile che il Collegio, anche attraverso

lo strumento dell’ispezione giudiziale, rinvenga irregolarità diverse, e magari più gravi, rispetto a

3 S. LA CHINA, voce Ispezione, Enc. Del Dir., Vol. XLII, 1990, p. 1158.

4 Trib. Napoli, 23 marzo 1992, in Le soc., 1992, 1097.

5 S. LA CHINA, voce Ispezione, op. cit., p. 1158 “il termine denunzia significa che l’atto iniziale della nostra

procedura è alleviato dall’onere di rigorosa predeterminazione di tutti quegli elementi che invece sono imposti ad

esempio per la citazione o il ricorso, e che quindi con meno rigore funzionerà qui il principio della corrispondenza tra il

chiesto ed il denunciato”; F. MAINETTI, denuncia al Tribunale, op. cit., 2004, p. 952 nota 108; JANNUZZI –

LOREFICE, Manuale delle volontaria giurisdizione, Milano 2004, p. 711, nota 20; contra F. GALGANO, Il nuovo

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quelle prospettate dalle parti.

Ciò può ammettersi sia perché la denuncia, come già detto, è costituita dalla allegazione di

indizi della sussistenza dell’irregolarità lamentata, sicchè difficilmente è elaborata con completezza

ed esaustività, sia perché, secondo parte della dottrina, il procedimento de quo, pur avendo perso

parte delle sue caratteristiche, ha mantenuto un rilievo pubblicistico, come emerge dalla

permanenza del potere di iniziativa del P.M. nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale

di rischio (società aperte) e dal nuovo potere di denuncia attribuito agli organi di controllo.

Diversamente, nell’ambito della fase dinamica6, che attiene alle decisione da adottare da

parte del Tribunale dopo gli accertamenti istruttori, mentre alcuni sostengono che il Collegio

possa emettere provvedimenti diversi, ed anche più invasivi, rispetto a quelli chiesti dalla parte

ricorrente (potrebbe, quindi, anche revocare gli amministratori, pur dove la parte si sia limitata a

chiedere la convocazione dell’assemblea o l’adozione di un provvedimento provvisorio più

limitato)7, altri rilevano che l’organo giudicante debba sempre essere legato alle richieste specifiche

del ricorrente, sicchè non sarebbe possibile disporre la revoca degli amministratori se il denunciante

abbia chiesto solo la limitazione dei poteri di un amministratore o l’attribuzione congiunta degli

stessi a tutti gli amministratori o la chiusura di una cassa8.

diritto societario, in Trattato di Diritto Commerciale, op. cit., 2003, p. 306 “valgono anche in questa materia i principi

processuali della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”.. 6 DOMENICHINI, Il controllo giudiziario sulla gestione delle s.p.a., in Trattato di diritto privato, diretto da

RESCIGNO, Utet, 1985, Vol. XVI, p. 604. 7 S. LA CHINA, voce Ispezione, op. cit., p. 1158; A. DIDONE, denuncia al Tribunale, Codice Civile Annotato,

a cura di PERLINGIERI, Bologna-ESI, 1991, p. 522 “si ritiene che il ricorso non debba necessariamente contenere la

specifica richiesta di uno dei provvedimenti di cui all’articolo in commento”; L. NAZZICONE, Il controllo

giudiziario…, op. cit., 2005. p. 15; in giurisprudenza Cass. Civ., 18 luglio 1973, n. 2113; Appello Milano, 16 settembre

2001, in Giur. Merito, 2002, I, 754; Trib. Milano, 6 giugno 1983, in Le soc., 1984, 42, per cui il tribunale ha il potere di

adottare provvedimenti diversi da quelli richiesti dagli istanti.. 8 F. GALGANO, Diritto Civile e Commerciale, Tomo III, Vol. 2, Padova, 1999, p. 304 e 305; in giurisprudenza

Appello Napoli, 29 gennaio 1988, in Le soc., 1988, 736.

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2 Legittimazione attiva: i soci

Il nuovo testo dell’art. 2409 dispone che la legittimazione alla presentazione della

“denuncia” spetta ai soci, agli organi di controllo, diversi a seconda del sistema di amministrazione

adottato (collegio sindacale nel sistema tradizionale italiano ex art. 2380 e ss. c.c., consiglio di

sorveglianza nel sistema dualistico, alla tedesca, ex art. 2409 octies c.c., e comitato per il

controllo sulla gestione nel sistema monistico, di ispirazione anglosassone) e, limitatamente

all’ipotesi di società “aperte” di cui all’art. 2325 bis c.c., ossia quelle che fanno ricorso al mercato

del capitale di rischio, al p.m..

E’ fondamentale, allora, individuare le società “che fanno ricorso al mercato del

capitale di rischio”, in quanto i soci di queste possono presentare denuncia al Tribunale ex art. 2409

c.c. anche se rappresentano una frazione del capitale sociale pari al 5% (un ventesimo); nelle altre

società per azioni, invece, è necessaria la titolarità della quota del 10% (un decimo).

Lo statuto può, comunque, prevedere percentuali minori di partecipazione ex art. 2409

comma 1 ° ultima parte c.c..

L’art. 2325 bis dispone, sul punto, che “ai fini dell’applicazione del presente titolo,

sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio le società con azioni quotate in

mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante”.

Il legislatore ha così inteso trattare in maniera uniforme due tipi di società per azioni,

o meglio due sottocategorie. Da un lato quelle con azioni quotate in mercati regolamentati,

disciplinate dagli artt. 119 e ss. del TUF (decreto legislativo 24-2-1998, n. 58), e dall’altro quelle

con azioni diffuse fra il pubblico in maniera rilevante, individuate dall’art. 111 bis disp. Att. C.c.

(“la misura rilevante di cui all’art. 2325 bis del codice è quella stabilita a norma dell’articolo 116

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del decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58 e risultante alla data del 1° gennaio 2004”)9.

Pertanto10

, alle società “chiuse” si applicano le norme concernenti le società per

azioni in generale, mentre per le società “aperte” occorre distinguere le società “diffuse” da quelle

“quotate”. Le società diffuse sono disciplinate dalle norme sulle s.p.a. in generale e da quelle

rivolte alle “società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio”, mentre per quelle

“quotate” l’art. 2325 bis comma 2 ° stabilisce che “le norme di questo titolo si applicano alle

società con azioni quotate in mercati regolamentati in quanto non sia diversamente disposto da altre

norme di questo codice o di leggi speciali”; sicchè le spa “quotate” sono disciplinate, oltre che dalle

norme sulle s.p.a. in generale e da quelle concernenti le società che fanno ricorso al capitale di

rischio, anche dalle disposizioni che il codice civile e le leggi speciali dettano espressamente per le

società quotate, ed in particolare dal TUF (58/98). Pertanto, come ha evidenziato la dottrina11

, alle

società quotate si applicheranno le norme di diritto comune, se non derogate dalla norme dettate per

le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, se non derogate, a loro volta da

disposizioni codicistiche limitate alle quotate o dal testo unico 58/98. Sulle norme dettate dal codice

civile concernenti le s.p.a. quotate prevalgono, comunque, le norme del TUF 58/98, quali norme di

diritto speciale, quando si tratta di norme specificamente formulate per le società emittenti azioni

quotate nei mercati regolamentati12

.

La ratio dell’innovazione sta nella maggior tutela accordata al risparmio investito in

9 P. MONTALENTI, Il nuovo diritto societario, in Commentario diretto da COTTINO, BONFANTE,

CAGNASSO e MONTALENTI, , vol. I, Bologna, 2004, p. 31 e ss., ove si rileva che sino alla delibera della CONSOB

del 23 dicembre 2003 le società predette erano quelle con patrimonio netto non inferiore ad € 5.000.000 e numero di

azionisti od obbligazionisti superiore a 200, mentre dopo la delibera suddetta si considerano emittenti azioni diffuse tra

il pubblico in misura rilevante gli emittenti italiani i quali, contestualmente: a) abbiano azionisti diversi dai soci di

controllo in numero superiore a 200 che detengano complessivamente una percentuale di capitale sociale almeno pari al

5 %; b) non abbiano la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’art. 2345 bis primo comma

c.c.. 10

M. NOTARI, Diritto delle società di capitali, Manuale breve, Milano, 2003, pp. 42 e 43 per una approfondita

disamina delle discipline applicabili alle varie sottocategorie di s.p.a.. 11

P. MONTALENTI, op.cit., p. 35. 12

F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, Trattato di diritto commerciale, PADOVA, 2003, p.48.

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azioni. Una dottrina autorevole13

ha sottolineato che la disciplina più severa per le s.p.a. “aperte”,

rispetto allo statuto della s.p.a. semplice, consentirà al piccolo risparmiatore di rivolgersi con

maggiore fiducia al mercato azionario ed alle grandi imprese di acquisire finanziamenti14

diversi da

quelli bancari, che presentavano costi a volte insostenibili. Gli interessi tutelati sono, allora, quello

dei risparmiatori, quello delle grandi imprese e l’interesse generale alla trasformazione del

risparmio, quale ricchezza prodotta e non consumata, in capitale produttivo di nuova ricchezza.

Ditalchè, si è previsto che l’azione di responsabilità nei confronti degli

amministratori delle s.p.a. “aperte”, ex art. 2393 bis c.c., può essere esercitata dai soci che

rappresentino solo un ventesimo del capitale sociale. La stessa percentuale di capitale sociale

consente ai soci di presentare denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c.. Inoltre vi è un maggiore

grado di imperatività rispetto alle norme delle s.p.a. (diritto di voto ex art. 2351 comma 3 ° c.c. e

diritto di recesso ex art. 2437 c.c.), una più estesa protezione del diritto dell’azionista

all’informazione (pubblicità dei patti parasociali ex art. 2341 ter c.c.) ed un maggiore controllo

contabile ex art. 2409 bis comma 2 ° c.c..

Quanto alla legittimazione attiva dei soci va, anzitutto, chiarito se la percentuale di

partecipazione del capitale sociale (1/10 o 1/20 a seconda della sottocategoria di s.p.a.), salva la

possibilità per lo statuto di prevedere percentuali minori15

, costituisca un presupposto processuale o

una condizione dell’azione, onde valutare le conseguenza della diminuzione della quota di

13

F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, Trattato di diritto commerciale, PADOVA, 2003, p. 44 “alla base

dello statuto speciale delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio c’è la dichiarata esigenza di

apprestare una adeguata protezione del risparmio investito in azioni, anche al fine di incentivare un più vasto afflusso

del risparmio al capitale di rischio delle grandi imprese”. 14

G. FERRI jr, Diritto delle società di capitali, Manuale breve, Milano 2003, p. 4 ove si sottolinea il profilo

finanziario, piuttosto che quello gestorio, della operazione societaria, che si presta ad essere assimilata ad un

finanziamento dei soci alla società. 15

Principio già valido per le società quotate ex art. 128 comma 3 ° TUF (58/98). Sicchè l’innovazione concerne

le società “diffuse” di cui all’art. 116 TUF; per queste considerazioni vedi L NAZZICONE, la denunzia al tribunale per

gravi irregolarità ex art. 2409: le novità della riforma societaria, in Le soc., 8, 2003, p. 1079.

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partecipazione nel corso del procedimento16

.

Nel vigore della vecchia disciplina si riteneva, quasi uniformemente, che l’appartenenza del

decimo del capitale sociale fosse un presupposto processuale, che doveva sussistere solo al

momento della presentazione della domanda. Pertanto, anche se tale presupposto fosse venuto meno

nel corso della procedura il Tribunale sarebbe rimasto investito del ricorso ed avrebbe potuto

decidere nel merito17

. Ditalchè, anche in caso di diminuzione della frazione di capitale necessaria

alla proposizione del ricorso dopo l’instaurazione dello stesso, per la delibera di aumento di

capitale adottata surrettiziamente dalla compagine sociale al solo scopo di paralizzare la domanda,

il procedimento continuava il suo corso18

.

Allo stesso modo, anche la alienazione delle quote da parte del socio ricorrente, dopo la

presentazione della domanda, non aveva alcuna conseguenza sulla procedibilità del ricorso19

.

La tesi maggioritaria si fondava, oltre che sulla natura di presupposto processuale della

16

S. SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1987, p. 137, il quale distingue le condizioni dell’azione, che

sono quelle richieste per ottenere il provvedimento favorevole (legitimatio ad causam ed interesse ad agire), dai

presupposti processuali, che sono quelli richiesti per la validità del processo, e quindi per ottenere una sentenza

qualsiasi. I presupposti processuali devono preesistere alla domanda giudiziale, mentre in ordine alle condizioni

dell’azione, secondo alcuni la loro esistenza non è richiesta prima della proposizione della domanda (C. MANDRIOLI,

Corso di diritto processuale, I, Torino, 1991, p. 41), altri sostengono che le stesse debbano sussistere sia al momento

della sentenza che al momento della presentazione della domanda (SATTA, Diritto processuale civile, op.cit., p. 137).

17

Contra Appello Bari, 26 aprile 1984, in Le società, 1984, 1237 “la titolarità del decimo del capitale sociale

deve sussistere al momento della presentazione della denunzia e permanere fino alla conclusione del procedimento”. 18

Trib. Milano, 16 aprile 1992, in Giur. It., 1992, I, 2, 593; Trib. Como,3 febbraio 1994, in Le Società, 1994,

669; Trib. Velletri, 28 settembre 1993, in Le Società, 1884, 355; Appello Milano, 22 novembre 1989, in Le Società,

1990, 371; Trib. Genova, 13 gennaio 1989, in Le Società, 1990, 80; Appello Milano, 2 luglio 1968, in Foro It., 1968, I,

3090; Trib. Napoli, 19 dicembre 1983, in Le Società, 19084, 1349; in dottrina A. DIDONE, Denunzia al Tribunale, in

Codice civile annotato, a cura di PERLINGIERI, Bologna-Esi, 1991, p. 521; A. Jannuzzi, Manuale della volontaria

giurisdizione, Milano 2000, p. 723, il quale, pur inquadrando i requisiti di legittimazione dei soci tra le condizioni

dell’azione, in quanto inerenti alla legittimazione ad agire, ha sostenuto che gli stessi devono sussistere solo al momento

della proposizione dell’istanza, restando irrilevante ogni modificazione in ordine al possesso delle azioni.; G.

DOMENICHINI, Il controllo giudiziario sulla gestione delle s.p.a., in Trattato di diritto privato, diretto da P.

RESCIGNO, Utet 1985, Tomo 16, II, p. 602 per il quale “finalità specifica dell’intervento giudiziale di controllo è il

ripristino della regolarità amministrativa e non la soddisfazione di interessi patrimoniali dei denunzianti; se questi ultimi

più non sussistono per la perdita della legittimazione formale, non per questo viene meno, se vi sono irregolarità, la

funzione del procedimento.. 19

Appello Torino, 12 giugno 1987, in Giur. Piem., 1987, 765 ove si è stabilito che il procedimento ex art. 2409

c.c. può proseguire anche se nel corso di esso il denunziante abbia perso la qualità di socio, bastando che la

legittimazione sussistesse al momento della presentazione della domanda; contra Trib. Verona, 10 gennaio 2001, in

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titolarità della frazione minima di capitale in capo ai soci ricorrente, anche sul potere del P.M. di

attivare motu proprio la procedura ex art. 2409 c.c. e di parteciparvi necessariamente ex art. 70 n. 1

c.p.c., a tutela di un interesse generale o pubblico sotteso al procedimento. In tal caso, la perdita

della frazione del capitale non impediva la prosecuzione del giudizio da parte del P.M. sia agente

che interveniente20

.

Dopo l’entrata in vigore della novella, è ancora minoritaria la tesi dottrinale21

per cui la

titolarità della quota di capitale sociale richiesta ex art. 2409 c.c. è condizione dell’azione,

attenendo alla legittimazione ad agire (legitimatio ad causam), e deve sussistere non solo al

momento della denuncia al Tribunale, ma per tutto il corso del procedimento, sino al momento

della decisione del ricorso; sì che la diminuzione della quota di capitale o la perdita della stessa per

alienazione a terzi determinerebbe l’improcedibilità del ricorso. In particolare la tesi della

condizione dell’azione è propugnata da chi22

ha posto l’accento sulla “privatizzazione” della

disciplina ex art. 2409 c.c., ove il P.M. ha conservato il potere di azioni solo per le società “aperte”

ed è necessaria l’esistenza di un danno per la società derivante dalle irregolarità denunciate.

La dottrina prevalente, invece, aderisce all’orientamento tradizionale del presupposto

processuale23

. Si è detto, infatti, che, anche dopo la novella, il procedimento è ancora caratterizzato

da interessi pubblici, come emerge dal potere di denuncia attribuito agli organi di controllo ex art.

2409 ultimo comma c.c. e dall’impossibilità di considerare diverso l’oggetto della tutela a seconda

Soc., 2001, 715, secondo cui “la cessione volontaria della partecipazione al capitale sociale di una società di capitali da

parte del socio denunciante, nella pendenza del procedimento ex art. 2409 c.c., equivale a rinunzia al ricorso”. 20

S. LA CHINA, Ispezione, Enc. del Dir., op. cit., p. 1158. 21

G. ARIETA-F-DE SANTIS, Diritto processuale societario, Padova 2004, p. 580. 22

G. CANALE, il nuovo procedimento previsto dall’art. 2409 c.c., in www.Judicium. it, p.5 : “…sicchè, mi

pare, è oggi necessario che il socio denunciante abbia e mantenga …la titolarità qualificata richiesta per dare corso

all’iniziativa processuale”. 23

MARCINKIEWICZ, in Codice Commentato delle nuove società, a cura di BONFANTE, CORAPI,

MARZIALE, RORDORF, SALAFIA, Milano 2004, p. 569 : “in pendenza del procedimento ex art. 2409 c.c., le

operazioni sul capitale aventi l’effetto di far venire meno la qualità di socio in capo all’istante o di ridurre la sua quota

di partecipazione al di sotto del limite di legittimazione non dovrebbero incidere sulla procedibilità della denuncia;

diversamente opinando, si consentirebbe ai soci di maggioranza (verosimilmente conniventi con gli amministratori

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che la s.p.a. sia aperta o chiusa24

.

Quanto alla presenza dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., la dottrina ritiene che la mera

posizione di socio sia sufficiente ai fini della legittimazione ad agire25

, sicchè la giurisprudenza

considerava ammissibile la denuncia proposta dai soci di maggioranza26

, oppure dai soci che

avevano conosciuto, rimanendo acquiescenti, o anche approvato l’operato degli amministratori27

,

nonché dal socio che era stato amministratore nel periodo cui le irregolarità denunciate si

riferivano, ma non più in carica28

.

responsabili delle gravi irregolarità denunziate) di condizionare l’iniziativa giudiziaria mediante una delibera di

aumento di capitale ad hoc”; F. MAINETTI, Commentario diretto da COTTINO, op, cit, 2004, p. 939, nota 51. 24

G. OLIVIERI, I procedimenti camerali plurilaterali; le principali fattispecie; il nuovo art. 2409 c.c., in

www.judicium.it, p. 9; anche in Quaderni del CSM, n. 139 del 2004, pp. 609 e 610; E. DALMOTTO, Denunzia al

Tribunale, in Commentario diretto da CHIARLONI, op. cit., 2004, p. 1249 e ss., il quale aggiunge che la diversa

disposizione introdotta dal legislatore per l’impugnativa di delibere assembleari (art. 2378 c.c.) per cui la quota del

capitale sociale deve essere mantenuta per tutta la durata del procedimento, induce a ritenere a contrario che laddove ciò

non sia stato espressamente stabilito non occorra la conservazione delle quote possedute all’inizio; C. D’AMBROSIO;

La denuncia al tribunale per gravi irregolarità dopo la riforma, in Le società, 4, 2004, p. 46.. 25

A. DIDONE, Denunzia al tribunale, in Codice civile annotato, a cura di PERLINGIERI, 1991, Bologna-Esi,

p. 520; DOMENICHINI, Il controllo giudiziario sulla gestione delle s.p.a., op. cit., p. 593 in cui si rileva che la finalità

del procedimento ex art. 2409 c.c. di controllo della rispondenza dell’operato degli amministratori e dei sindaci alle

regole legali di gestione della società “esclude la necessità di qualsiasi verifica circa la sussistenza di un particolare

interesse ad agire proprio del denunziante”; per ARIETA-DE SANTIS, Diritto processuale societario, Padova, 2004,

p.579 l’interesse ad agire va inteso nella duplice accezione di tutela di diritti soggettivi del socio già lesi da attività

irregolari degli amministratori, e di azione preventiva verso possibili, futuri pregiudizi di diritti soggettivi..

26

Trib. Roma, 9 gennaio 1970, in Giur. It. 1970, I, 2, 757; Appello Roma, 15 gennaio 2003, in Le soc., 2003, p.

587, in cui si ritiene ammissibile il ricorso ex art. 2409 c.c. presentato dal socio di maggioranza, anche se socio sovrano,

giacchè la norma pone solo un limite minimo ai fini della legittimazione e non si può negare a priori il suo interesse ad

agire ex art. 100 c.p.c.; Trib. Milano, 19 febbraio 1999, in Le soc., 1999, 972; contra Trib. Roma, 9 ottobre 1998, in

Giur. It., 1999, p. 1886, ed in Foro It., 1999, I, 2102 secondo la quale il ricorso al giudice ex art. 2409 c.c., in quanto

presuppone l’impossibilità di raggiungere determinati effetti giuridici in maniera fisiologica e spontanea da parte del

soggetto astrattamente legittimato, costituisce un diritto riconosciuto alla minoranza dei soci e non anche ai detentori

della maggioranza del capitale sociale, essendo gli stessi, in virtù della posizione dominante, in grado di adottare le

decisioni necessarie al ripristino della regolarità amministrativa e di gestione; in dottrina GHIRGA, Il procedimento per

irregolarità della gestione sociale, Padova, 1994, in cui la legittimazione è attribuita oltre che ai soci di maggioranza,

anche ai soci detentori della totalità del capitale sociale e persino al socio unico. 27

Appello Reggio Calabria, 19 aprile 1952, in Riv. Dir. Comm., 1952, II, 278; cfr. anche Appello Milano, 2

luglio 1968, in Foro It., 1968, I, 3090, ove si rileva che il procedimento ex 2409 c.c. non può essere impedito dal fatto

sopravvenuto che l’assemblea abbia approvato pienamente la condotta di amministratori e sindaci, trattandosi di

questioni di merito sottratte a qualsiasi indagine in tale sede. 28

Appello Bologna, 27 giugno 1973, in Giur. Comm., 1974, II, 192 e ss.; contra Trib. Genova, 24 marzo 1989,

in Le soc., 1989, p. 961 ove si ritiene che l’amministratore detentore delle quote di maggioranza di una società, proprio

per la posizione che ha assunto all’interno di quest’ultima, posizione che gli consente di esperire l’azione di

responsabilità nei confronti dei precedenti amministratori, difetta del necessario interesse ad agire ex art. 2409 c.c., né

gli è consentito di servirsi dello strumento della denuncia per acquisire con celerità prove assumibili soltanto in

presenza dei presupposti contenuti nell’art. 692 c.p.c.; vedi anche Trib. Monza, 21 febbraio 1989, in Dir. Fall., 1990, II,

222.

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E’ necessario, però, valutare se le modifiche apportate al procedimento (esistenza di danno

potenziale per la società, rimedio endosocietario con sostituzione di amministratori e sindaci,

eliminazione del potere di azione del P.M. nelle società chiuse, con evidente, anche se non

completa, “privatizzazione” dell’istituto) non determinino un mutamento di opinione.

Muovendo dai principi della giurisprudenza e della dottrina, non sembra ravvisabile un

interesse ad agire nei soci di maggioranza, che hanno altri strumenti per soddisfare il loro interesse

primario ad una regolare gestione della società. Infatti, essi possono in sede assembleare procedere

alla revoca degli amministratori, senza necessità dell’intervento del giudice29

.

Legittimato ad agire è anche il socio consigliere di amministrazione, titolare di un decimo

del capitale sociale, in quanto non ha poteri di reazione a molte delle irregolarità gestorie. Sicchè lo

stesso soggetto sarà ricorrente e, nello stesso tempo, destinatario dei provvedimenti del tribunale.

Deve escludersi la legittimazione attiva, invece, all’amministratore unico, titolare di tutti i poteri

gestori ed organizzativi.

La novella ha fatto chiarezza sulla individuazione della legittimazione a presentare la

denuncia ex art. 2409 c.c. in caso di pegno, usufrutto e sequestro di azioni. Infatti, l’art. 2352

comma 6 ° c.c. prevede che “salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti

diversamente, i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo spettano, nel

caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o all’usufruttuario; nel caso di

sequestro sono esercitati dal custode”.

29

appare legittimo che esista un limite massimo, costituito dal 50 % del capitale sociale, superato il quale il

tribunale non può accogliere il ricorso: i soci infatti potrebbero in tal caso agire direttamente contro amministratori e

sindaci responsabili di gravi irregolarità, deliberando, se necessario, la loro sostituzione; contra A JANNUZZI,

Manuale della volontaria giurisdizione, op. cit., “anche la maggioranza dei soci è legittimata a presentare la denuncia.

La contraria osservazione, che cioè la maggioranza potrebbe, attraverso l’assemblea, rimuovere gli amministratori ed i

sindaci e promuovere l’azione di responsabilità, non è decisiva. Se la ratio della norma è di apprestare un rimedio

sollecito per la tutela dell’interesse generale contro le irregolarità dell’amministrazione, non si scorge motivo di

precludere tale via alla maggioranza; L. NAZZICONE, Il controllo giudiziario…, op. cit., 2005, p. 154, la quale rileva

che il socio di maggioranza potrebbe non volere la revoca dell’organo gestorio, ma solo interventi giudiziari meno

invasivi, quali la concessione di un termine per regolarizzare la gestione oppure la convocazione dell’assemblea.

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Pertanto, mentre in precedenza si riteneva, per lo più, che il potere di presentare la denuncia

al Tribunale spettasse, in caso di sequestro giudiziario, al custode sequestratario e, in caso di

sequestro conservativo sia al custode che al debitore titolare delle azioni30

, la nuova disciplina

dispone espressamente che detto potere spetta al custode, senza distinguere tra i due tipi di

sequestro. La medesima disciplina deve applicarsi anche in caso di pignoramento di azioni, stanti

le analogie tra sequestro conservativo e pignoramento: funzione strumentale alla conservazione

della integrità economica delle azioni; medesimi effetti ex artt. 2906 e 2913 c.c.; possibilità di

conversione del sequestro in pignoramento ex 686 c.p.c.31

.

Inoltre, in caso di pegno o di usufrutto, la legittimazione spetta disgiuntamente sia al socio

sia al creditore pignoratizio o all’usufruttuario, mentre in precedenza si ritenevano legittimati il

creditore e l’usufruttuario32

.

Ai fini della legittimazione, sembra indispensabile l’iscrizione nel libro soci33

, mentre non è

richiesto il deposito delle azioni in Cancelleria34

, salvo contestazione.

E’ stato ritenuto inammissibile, in caso di azioni di società in comproprietà, il ricorso ex art.

30

A. DIDONE, denunzia al Tribunale, op. cit., p. 521; in giurisprudenza Appello Milano, 20 giugno 1989, in Le

soc.,, 1991, 1198, per cui in caso di sequestro giudiziario di azioni il custode è legittimato alla denuncia; Tribunale

Milano, 21 dicembre 1998, in Le soc., 1989, 610; 31

R. BOCCA, pegno, usufrutto e sequestro delle azioni, in il nuovo diritto societario, Commentario diretto da

COTTINO, op. cit., Tomo I, p. 340; contra F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, Vol. XXIX, op. cit., p. 126 “il

nesso fra proprietà dell’azione e diritto di voto deve, invece, essere riaffermato per il caso di pignoramento dei titoli,

dovendosi riconoscere natura eccezionale alla norma che attribuisce il diritto di voto, anziché al proprietario del titolo,

al creditore pignoratizio”. 32

A. DIDONE. Denunzia al Tribunale, op. cit., p. 521; A. JANNUZZI, manuale della volontaria giurisdizione,

op. cit., p. 721 “prevale l’opinione contraria, per la considerazione che, se la legge ha attribuito il diritto di voto

all’usufruttuario ed al creditore pignoratizio, consentendo quindi ad essi di approvare o respingere le deliberazioni, si

deve riconoscere anche il potere di impugnarle e quindi l’azione di denuncia delle irregolarità”. 33

Trib. Milano, 4 ottobre 2001, in Giur. It., 2002, p. 560, per cui rileva esclusivamente l’iscrizione del ricorrente

nel libro soci, anche nel caso in cui le irregolarità denunciate riguardino l’iscrizione stessa; Trib. Milano, 22 maggio

1984, in Rep. Foro It., 1985, voce Società, c. 2931, n. 388; Appello Bologna, 5 luglio 1975, ivi, 1975, voce cit., c. 2670,

n. 251; Trib. Palermo, 1 dicembre 1972, in Giur. Merito, 1974, II, 104 contra Appello Palermo, 20 luglio 1973, ivi,

1974, voce cit., c. 2199, n. 229; Trib. Venezia, 25 marzo 1986, in Le soc., 1986, 889. In dottrina, F. GALGANO, op. cit.

vol. XXIX, p. 113 rileva che, per le azioni nominative, l’iscrizione del possessore del titolo nel registro dell’emittente

assolve alla funzione specifica di evitare all’emittente, in occasione delle varie volte in cui il titolo consente forme di

esercizio dei diritti, continui controlli; MARCINKIEWICZ, denunzia al Tribunale, op. cit., 2004, “la qualità di socio

(titolare di almeno un decimo o un ventesimo del capitale sociale) deve risultare dai libri sociali, sicchè non è

attivamente legittimato il cessionario di azioni non (ancora) iscritto nel libro dei soci”..

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2409 c.c. presentato solo da alcuni dei comproprietari, in quanto la legittimazione spettava o a tutti i

comproprietari congiuntamente o al rappresentante comune nominato ex art. 2347 c.c.35

.

La legittimazione ad agire non pare spettare al creditore particolare del socio in via

surrogatoria36

, né ai creditori della società, mentre è legittimato l’intestatario fiduciario della

partecipazione sociale, in quanto in tale caso si attua un’interposizione reale di persona37

..

La dottrina sosteneva, nel vigore del vecchio art. 2409 c.c., che i titolari delle azioni di

risparmio, che non attribuiscono al titolare il diritto di voto, potevano però presentare la denuncia

ex art. 2409 c.c., in quanto concorrevamo alla formazione del capitale38

. Analogamente si riteneva

che la legittimazione spettasse ai titolari di azioni privilegiate39

o a voto plurimo o a voto limitato40

,

con esclusione delle azioni di godimento41

.

La riforma del diritto societario sostanziale, con la modifica dell’art. 2348 c.c.42

, in virtù del

principio dell’autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c., ha accentuato il carattere di atipicità delle

azioni43

- già peraltro esistente nel sistema precedente -, ispirandosi ad una maggiore attenzione

verso gli investimenti dei risparmiatori nel capitale di rischio anche attraverso la creazione di

34

A. JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, op. cit., p. 723. 35

Trib. Macerata, decreto 10 novembre 2004, in Foro It., 2005, 3, I, p. 887; Appello Milano, 31 gennaio 2003,

in Rep. Foro It., voce Società, n. 893; contra Trib. Milano, 28 giugno 2001, in Foro It., Rep, 2001, voce Società, n. 645;

Cass. Civ., 26 marzo 1964, n. 679, in Foro It., 1964, I, 1443. 36

Afferma la legittimazione Trib. Verona, 10 agosto 1988, in Le soc., 1988, I, 1290; contra Trib. Como, 10

giugno 1998, in Giur. It., 1999, 1458; dubbi sono espressi in dottrina da F. MAINETTI, denunzia al Tribunale, Il nuovo

diritto societario, Commentario diretto da COTTINO, Bologna 2004, Vol. I, p. 940. 37

L. NAZZICONE, Il controllo giudiziario…, op. cit., 2005, p. 165. 38

A. DIDONE, denunzia al Tribunale, op. cit., p. 521. 39

Per la persistente legittimazione a presentare la denuncia ex art. 2409 c.c. da parte dei titolari di azioni

privilegiate cfr. L. NAZZICONE, Il controllo giudiziario…, op. cit. 2005 p. 134. 40

L. NAZZICONE, il controllo giudiziario.., op. cit., 2005, p. 138. 41

A. JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, op. cit., p. 722. 42

Art. 2348 comma 2 ° c.c. “si possono tuttavia creare, con lo statuto o con successive modificazioni di questo,

categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società,

nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie”.

43

N. ABRIANI, azioni di godimento, in Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da COTTINO, op. cit.,

p. 262; F. GALGANO, op. cit., p. 128; M. NOTARI, diritto delle società di capitali, AA.VV., op. cit. p. 61..

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particolari tipi di azioni maggiormente appetibili sul mercato44

, con evidenti effetti anche nella

disciplina di cui all’art. 2409 c.c..

In particolare, le azioni di risparmio, caratterizzate dall’assenza del diritto di voto, sono state

esportate dal settore delle società quotate nei mercati regolamentati a tutti i tipi di società per azioni,

con la contestuale eliminazione del diritto al compenso patrimoniale per la perdita o limitazione del

diritto di voto45

.

Il decreto legislativo 6 febbraio 2004 n. 37, modificando il comma 6 ° dell’art. 145 del TUF

(58/98), ha espressamente previsto che “della parte di capitale sociale rappresentata da azioni di

risparmio non si tiene conto…per il calcolo delle aliquote stabilite….dall’art. 2409 primo comma

del codice civile”. Pertanto, è pacifico ora che i titolari delle azioni di risparmio non hanno

legittimazione a presentare la denuncia al Tribunale, quanto meno per le società quotate. Resta

aperta, invece, la problematica per le altre società “aperte” (ossia quelle “diffuse”) e per le s.p.a.

assoggettate alla disciplina comune.

In presenza di azioni di godimento, deve confermarsi l’orientamento tradizionale che

escludeva la possibilità per i titolari delle stesse di presentare la denuncia ex art. 2409 c.c., in

quanto per la loro struttura non costituiscono frazione del capitale sociale. Infatti, dette azioni hanno

la funzione di garantire ai soci, le cui azioni sono state rimborsate per riduzione di capitale,

l’eventuale plusvalenza del patrimonio sul capitale, che però i criteri prudenziali di bilancio non

consentono di esprimere46

.

44

N. ABRIANI, op. cit., p. 264 “ridefinizione della struttura finanziaria delle s.p.s., finalizzata ad estendere e

diversificare i canali di finanziamento, in generale, e di investimento in titoli rappresentativi del capitale di rischio in

particolare”. 45

M.LAMANDINI, Autonomia negoziale e vincoli di sistema nella emissione di strumenti finanziari da parte

delle società per azioni, in Quaderni del C.S.M., 2004, n. 139, p. 81 “le azioni senza diritto di voto, del tutto

incongruamente, in base all’art. 145 TUF possono emettersi solo a fronte dell’attribuzione di un privilegio patrimoniale,

mentre in base all’art. 2351 c.c. possono emettersi, da parte delle società non quotate, anche senza privilegi di natura

patrimoniale”. 46

N. ABRIANI, azioni di godimento, in Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da COTTINO, op.cit.,

p. 349 e ss.

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Quanto al fenomeno dei gruppi, cui fa riferimento il comma 1 ° dell’art. 2409 c.c., si osserva

che i soci legittimati sono quelli della società controllante amministrata dai responsabili della mala

gestio, mentre i soci della controllata difettano di legittimazione47

.

Deve, poi, essere esclusa la possibilità di una iniziativa d’ufficio da parte del Tribunale48

,

mentre è consentito l’intervento dei soci49

, anche se già legittimati ex se50

, o detentori del 50 %

delle azioni51

. Infatti, a chi contesta l’applicabilità della disciplina dell’intervento ex artt. 105 e ss.

c.p.c. nell’ambito dei procedimenti in camera di consiglio, può replicarsi che sarebbe assurdo

impedire di intervenire al socio che, ove avesse proposto l’azione congiuntamente ad altri, avrebbe

partecipato al giudizio. Del resto la previsione del quorum è imposta per connotare di maggiore

“serietà” la domanda, sicchè, una volta raggiunta la quota di capitale minima ed instaurato il

procedimento, non avrebbe alcuna ragione impedire la partecipazione ad altri soci, cui manca solo il

requisito quantitativo delle azioni possedute52

.

Peraltro, ove si ritenga che il quorum del 10% costituisca una condizione dell’azione, che

deve sussistere sia al momento della presentazione della domanda che al momento della decisione

del ricorso, l’intervento volontario da parte del socio rappresenterebbe una risposta adeguata ad

eventuali delibere di aumento di capitale adottate dalla maggioranza per inficiare il quorum

predetto, impedendo la dichiarazione di improcedibilità del ricorso53

.

47

A. MARCINKIEWICZ, Denunzia al Tribunale, Codice commentato delle nuove società, op. cit. 2004, p. 569. 48

A. DIDONE, op. cit., p. 520; G. DOMENICHINI, op. cit. , vol 16, p. 601, nota 51; C. D’AMBROSIO, op. cit.

p.46. 49

Appello Milano, 20 giugno 1989, in Le soc., 1989, 1198; in dottrina nega la possibilità di un intervanto di terzi

o dei soci in qualsiasi forma, in ragione della natura volontaria del procedimento A. JANNUZZI, op. cit., 2000, p. 727.. 50

Trib. Napoli, 25 febbraio 1991, in Le soc., 1991, 1373; L. NAZZICONE, Il controllo giudiziario sulle

irregolarità di gestione, op. cit. Milano, 2005, p. 221, che ammette l’intervento del socio legittimato al ricorso, che

abbia cioè la percentuale di capitale richiesta dalla legge, nonché del socio non legittimato che, però, voglia unire la sua

quota a quella dei ricorrenti per il raggiungimento del quorum. I soci privi di legittimazione attiva possono soltanto

essere sentiti a sommarie informazioni. 51

Trib. Venezia, 14 giugno 1989, in Le soc., 1989, 1309. 52

G. CANALE, op. cit., p. 7. 53

G. CANALE, op. cit. , p. 7.

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Inoltre, si è osservato54

che, ove venisse proposta una domanda di accertamento incidentale

ex art. 32 del decreto legislativo 6/2003 (ora abrogato dalla legge n. 69 del 2009), i soci potevano di

sicuro intervenire nella fase contenziosa ordinaria che si apriva a seguito della domanda predetta e

potevano così influire anche in modo rilevante sulla decisione da adottare in ordine alla questione

pregiudiziale sollevata, tenendo presente che il decreto “camerale”, che doveva essere emesso “in

ogni caso”, poteva essere revocato o modificato nel corso del giudizio ordinario societario. Se allora

il socio poteva partecipare al giudizio avente ad oggetto una questione pregiudiziale, la cui

decisione aveva chiara incidenza sul provvedimento camerale, sembrava strano che lo stesso socio

non potesse partecipare, con il suo intervento, al procedimento camerale.

Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ove l’azione sia stata

presentata dal P.M., l’intervento dei soci è, comunque, ammissibile purchè questi rappresentino

almeno il 5 % ( e non il 10 %) del capitale sociale55

. L’intervento di altri soci deve, comunque,

avvenire nel termine concesso ai resistenti per la costituzione in giudizio.

L’intervento di terzi estranei a quelli individuati nell’art. 2409 c.c. è considerato, invece,

inammissibile, in ragione dello sfavore manifestato dal legislatore per l’intervento principale ex art.

14 comma 1 ° decreto legislativo 6/200356

.

Sulla possibilità di rinunziare al ricorso si riteneva che, poiché il procedimento ex art. 2409

c.c. era preordinato alla diretta tutela di un interesse privato dei soci, cui si ricollegava, in via

mediata, un interesse pubblico, era ammissibile la rinuncia ad esso da parte di chi l’aveva

promosso57

.

54

G. CANALE, op. cit., p. 7. 55

Per la possibilità di intervento a prescindere dalla quota di capitale posseduta vedi E. DALMOTTO, op.cit.

2004, p. 1268. 56

G. OLIVIERI, op. cit. p. 611; è stato considerato, infatti, inammissibile l’intervento di un creditore della

società che non aveva legame alcuno con le quote o con la qualità di socio: Trib. Como, 10 giugno 1998, in Le soc.,

1989, p. 89. 57

Trib. Napoli, 10 febbraio 1994, in Le soc., 1994, 1373; Trib. Milano, 15 ottobre 1985, in Le soc., 1986, 305;

Trib. Roma, 19 novembre 1982, in Le soc., 1983, 46; contra Trib. Milano, 24 novembre 1988, in Giur. Comm., 1990,

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Anche dopo la riforma pare ammissibile la facoltà di rinunzia da parte dei soci, soprattutto

nelle società che non ricorrono al mercato del capitale di rischio, ove il P.M. ha perso il potere di

azione58

.

Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, nelle quali il P.M. ha

ancora legittimazione attiva, tuttavia, la soluzione non può essere differente. Infatti, il procedimento

ex art. 2409 c.c. può iniziare solo a domanda di parte (soci, P.M., organi di controllo), mentre il

Tribunale è privo del potere di iniziare ex officio la procedura; sicchè, ove i soggetti attivi intendano

recedere dal loro intento, il Tribunale non può far altro che assecondare le loro intenzioni59

. L’unica

peculiarità è ravvisabile nel comportamento concretamente assunto dal P.M. a seguito della

comunicazione della pendenza del ricorso. Infatti, se questi è intervenuto nel procedimento, è chiaro

che la rinunzia da parte dei soci non potrebbe raggiungere il suo scopo, persistendo la facoltà del

P.M. di agire o di intervenire nel giudizio stesso. Se, invece, il P.M., nonostante la rituale

comunicazione, con deposito del ricorso presso il suo ufficio ex art. 25 comma 2 ° decreto

legislativo 6/2003 (ora, come detto, abrogato), si è del tutto disinteressato al procedimento,

ritenendo evidentemente insussistenti interessi pubblici, non si rinvengono ostacoli alla effettività

della rinuncia.

Quanto alle modalità da seguire per una valida rinuncia parte della giurisprudenza ritiene

che la semplice mancata comparizione alla prima udienza possa considerarsi rinuncia tacita, in

II, 776. In dottrina LA CHINA, voce Ispezione, Enc. Del Dir., Vol. XLII, 1990, p. 1158 nega la possibilità di rinuncia,

in quanto “il denunziante non ha esercitato un’azione mirante ad una pronunzia specifica satisfattiva di un suo diritto,

ma ha sollecitato, o eccitato, un potere di controllo, e l’utilità oggettiva dell’esercizio di tale potere sussiste comunque,

sia che le gravi irregolarità siano accertate – col che si darà il via alla purificazione dell’ambiente inquinato di quella

società – sia che vengano riscontrate insussistenti – col che si avrà la certezza che nulla di improprio era accaduto, il che

pure è un vantaggio nella vita societaria”. 58

G. CANALE, op. cit. pp. 11 e 12. 59

G. OLIVIERI, I procedimenti camerali plurilaterali…, op. cit., in Quaderni del C.S.M., 139, 2004, p. 610

“…non significa negare il principio della domanda (che si applica anche al P.M.: parte); in conseguenza – a parte

l’impossibilità di un’iniziativa officiosa, i soggetti che hanno presentato il ricorso – con l’adesione delle altre parti che

potrebbero avere interesse alla prosecuzione del processo – possono rinunciare all’azione intrapresa”.

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assenza di altri elementi univoci ed espressivi di tale volontà60

. Parte della dottrina reputa, invece,

preferibile applicare il disposto dell’art. 309 c.p.c., per avere certezza dell’intenzione dei ricorrenti

di abbandonare il procedimento61

. Si dubita, peraltro, dell’applicabilità dell’art. 309 c.p.c. nei

procedimenti in camera di consiglio.

Con riferimento alla rinunzia agli atti del giudizio, se la società o gli altri convenuti non si

sono costituiti, la rinunzia sarà valida con la semplice dichiarazione dei ricorrenti comunicata ai

convenuti. In tal modo si verificherà la estinzione del giudizio. In caso di costituzione dei

convenuti, invece, è necessaria l’accettazione della rinuncia da parte di questi ultimi, i quali

potrebbero avere interesse alla prosecuzione del giudizio ed alla pronuncia di un decreto di rigetto,

con efficacia relativamente preclusiva di ulteriori ricorsi ex art. 26 comma 2 ° decreto legislativo

6/2003.

Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, la rinunzia dovrà essere

comunicata al P.M., onde consentirgli, qualora ravvisi profili di interesse pubblico, di agire o di

intervenire. In caso contrario il procedimento potrà essere dichiarato estinto.

60

App. Bari, 6 novembre 1984, in Le soc., 1985, p. 520. 61

G. CANALE, op. cit., paragrafo 7.

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3 Il Collegio Sindacale

La legittimazione attiva del Collegio Sindacale e degli altri organi di controllo, per le

società che adottano il sistema monistico o dualistico62

, costituisce una novità63

per le società per

azioni, disciplinate dal codice civile, mentre era già previsto per le società quotate. Infatti, l’art.

152 del TUF (58/98) stabiliva che “il collegio sindacale, se ha fondato motivo di sospetto di gravi

irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori, può denunziare i fatti al tribunale ai

sensi dell’art. 2409 del codice civile”. L’articolo è stato, poi, modificato dal decreto legislativo 6

febbraio 2004, n. 37, che, oltre ad estendere la legittimazione attiva al consiglio di sorveglianza ed

al comitato per il controllo, ha attribuito alla Consob il potere di iniziativa ex art. 2409 in caso di

fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri di vigilanza del collegio

sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione.

La legge delega così disponeva, sul punto, all’art. 4 comma 2 ° n. 4: “prevedere la denunzia

al tribunale, da parte dei sindaci o, nei casi di cui al comma 8, lettera d, numeri 2 e 3, dei

componenti di altro organo di controllo, di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli

amministratori”.

Si ritiene64

, peraltro, che solo il Collegio dei sindaci abbia il potere di iniziativa, che non

può essere attribuito a ciascun sindaco singolarmente. Infatti, il tenore letterale della norma (cfr. art.

2409 comma 7 ° c.c. “su richiesta del Collegio Sindacale”) e ragioni di opportunità inducono a

preferire la tesi della collegialità dell’iniziativa. Infatti, se è vero che la denunzia del singolo

62

per il Consiglio di sorveglianza v’è l’espressa attribuzione dall’art. 2409 terdecies comma 1 lett. E. 63

Appello Bari, 5 maggio 1989, in Le società, 1989, 1073, che ritiene che il sindaco non è legittimato a proporre

la denuncia ex art. 2409 c.c.. 64

C. D’AMBROSIO, op. cit., 2004, p. 447; JANNUZZI- LOREFICE, Manuale della volontaria giurisdizione,

Milano. 2004, p. 108. “la espressa previsione del potere di iniziativa in capo al collegio sindacale esclude la

legittimazione del singolo sindaco”. V. TRIPALDI, Del procedimento in camera di consiglio, I procedimenti in materia

commerciale, a cura di G. Costantino, 2005, Padova, p. 705, la quale, tuttavia, prospetta anche la diversa ipotesi della

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sindaco sarebbe più rapida ed immediata, tuttavia in tal modo si verrebbero a creare contrasti ed

incomprensioni all’interno dell’organo di controllo, con evidenti ripercussioni sulla funzionalità

dello stesso.

La legittimazione del singolo, tuttavia, oltre ad essere in linea con la legge delega

(“denuncia da parte dei sindaci”), avrebbe consentito alle minoranze, che comunque per prassi si

vedono riconosciuto il potere di nominare almeno un sindaco, di denunciare condotte irregolari

degli amministratori65

.

Perplessità sono state, anche, manifestate in ordine alla legittimazione attiva attribuita al

comitato per il controllo della gestione previsto nel sistema monastico dall’art. 2409

sexiedecies66

. Infatti, in tale sistema vi è un unico organo nominato dall’assemblea (il Consiglio di

amministrazione), al cui interno è istituito un comitato di controllo, i cui componenti, che devono

essere dotati di particolari requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, sono nominati

proprio dai controllati ex art. 2409 octiesdecies c.c. (“…la determinazione del numero e la nomina

dei componenti del comitato per il controllo della gestione spetta al consiglio di amministrazione”),

creandosi un pericoloso connubio tra i due organi.

La Cassazione67

, prima della novella, aveva ritenuto sussistente la legittimazione del

sindaco, non a promuovere il procedimento ex art. 2409 c.c., ma a denunziare l’irregolarità al

P.M. per l’esercizio dei poteri di iniziativa che gli spettavano. La denuncia al P.M. era doverosa ove

fosse rimasta, davvero, l’unica praticabile in concreto, per poter legittimamente porre fine alle

illegalità di gestione riscontrate, o interrompere la successione di comportamenti contra legem che

legittimazione di ogni singolo sindaco muovendo dai molteplici poteri di ispezione e di controllo che l’art. 2403 bis c.c.

attribuisce ai singoli sindaci. 65

E. DALMOTTO, op. cit., 2004, p. 1248. 66

M.R. COVELLI, Il controllo giudiziario sulle società ex art. 2409 c.c.: le novità della riforma, relazione

tenuta all’incontro organizzato dall’Ufficio del referente per la formazione decentrata di Roma sul tema: il nuovo diritto

societario”; E. DALMOTTO, op. cit. 2004, p. 1247; F. MAINETTI, op.cit. 2004, p. 941. 67

Cass. Civ., 17 settembre 1997, n. 9252, in Giust. Civ.Mass. 1997, 1735; v. anche L. D’ORAZIO, Le azioni

civili contro gli organi societari: l’azione di responsabilità, in Dir. Fall., 2000, p. 290.

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arrecavano pregiudizio al patrimonio sociale. I rimedi endosocietari, in particolare, si rivelavano

inutili nell’ipotesi di società unipersonale con coincidenza tra la persona dell’amministratore e

quella dell’unico socio. Sulla base di tali considerazioni si riteneva per lo più inammissibile la

denuncia proposta dai sindaci. Di recente si è ribadito, ma in una fattispecie anteriore alla modifica

del 2003, che sussiste la violazione del dovere di vigilanza, imposto ai sindaci dal secondo comma

dell'art. 2407 cod. civ., con riguardo allo svolgimento, da parte degli amministratori, di un'attività

protratta nel tempo al di fuori dei limiti consentiti dalla legge, tale da coinvolgere un intero ramo

dell'attività dell'impresa sociale: al fine dell'affermazione della responsabilità dei sindaci, invero,

non occorre l'individuazione di specifici comportamenti dei medesimi, ma è sufficiente il non avere

rilevato una così macroscopica violazione, o comunque di non avere in alcun modo reagito

ponendo in essere ogni atto necessario all'assolvimento dell'incarico con diligenza, correttezza e

buona fede, anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o

denunziando i fatti al P.M., ove ne fossero ricorsi gli estremi, per consentire all'ufficio di

provvedere ai sensi dell'art. 2409 cod. civ., in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso

a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l'ipotesi di mancato ravvedimento operoso

degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le

conseguenze dannose della condotta gestoria. - nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che

l'esercizio senza autorizzazione dell'attività assicurativa nel ramo "auto rischi diversi" fosse idonea

a palesare una così macroscopica esorbitanza dell'attività sociale dall'ambito consentito che non

sarebbe potuta sfuggire alla vigilanza diligente dei sindaci – (Cass.Civ., 11 novembre 2010, n.

22911).

La giurisprudenza di merito, analogamente, considerava inammissibile la denuncia ex art.

2409 c.c. proposta dal sindaco, avendo questi il potere-dovere di rimediare alle irregolarità

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nell’ambito della società in forza del suo ufficio68

.

Il mutato quadro normativo induce ad una radicale revisione di tale orientamento.

68

Appello Bari, 5 maggio 1989, in Le soc., 1989, 1073.

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4 Il Pubblico Ministero

La legittimazione attiva del P.M. costituiva la manifestazione più evidente dell’interesse

pubblico alla corretta amministrazione della compagine sociale e, nello stesso tempo, rappresentava

un importante strumento di tutela per le minoranze che non riuscivano a raggiungere la quota di

capitale necessaria per la presentazione della denuncia.

Si riteneva in giurisprudenza69

che il P.M. era legittimato alla richiesta di cui all’art. 2409

c.c. anche in mancanza di sollecitazione da parte dei soci e persino nel caso di approvazione

all’unanimità da parte dell’assemblea dell’operato degli amministratori o di rinuncia al ricorso

proposto dai soci. Lo stesso potere era attribuito al P.M. ove la società fosse composta da un solo

socio che non intendeva avvalersi del procedimento ex art. 2409 c.c.70

. Era considerata irrilevante la

fonte alla quale la notizia della irregolarità amministrativa era stata attinta71

. Inoltre, l’eventuale

carenza di legittimazione attiva in capo ai soggetti denuncianti non costituiva vizio di

improcedibilità della domanda di controllo giudiziario, ove il P.M., interveniente obbligatorio nel

relativo procedimento, ritenesse di “far proprie” le istanze promosse ai sensi dell’art. 2409 c.c.72

.

L’attuale 2409 c.c., invece, nonostante nella legge delega l’argomento non fosse stato affatto

trattato, ha escluso il potere di azione del P.M. nelle società a responsabilità limitata e nelle

società per azioni “chiuse”, lasciandolo sopravvivere solo nelle società per azioni “aperte”, sia

“quotate” che “diffuse”.

Con l’eliminazione del potere di azione da parte del P.M. per alcuni tipi di società non può

però dirsi che il procedimento ex art. 2409 c.c. abbia ora perduto del tutto finalità di carattere

generale e di interesse pubblico.

69

Trib. Milano, 15 ottobre 1985, in Giur. Comm., 1986, II, 459. 70

Trib. Milano, 11 luglio 1995, Foro It., 1996, I, 2227. 71

Appello Milano, 14 ottobre 1983, in Le soc., 1984, 676.

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Infatti, questa grave menomazione, in dottrina ritenuta incostituzionale per eccesso di

delega73

, è stata in qualche misura compensata con l’estensione della legittimazione attiva agli

organi di controllo, con la permanenza del potere di azione del P.M. nelle s.p.a. “aperte”, e con la

possibilità di intervento del P.M. ex art. 70 ultimo comma c.p.c., ossia ove ravvisi un interesse

pubblico (ma in tal caso non vì è l’obbligo del ricorrente di notificare copia dell’istanza presso la

segreteria del p.m. ex art. 25 decreto legislativo 5/2003, ora abrogato dalla legge n. 69 del 2009).

Senza dimenticare che l’art. 30 comma 1 ° del decreto legislativo 5/2003 prevede, nei procedimenti

camerali plurilaterali, in materia societaria, che il Pubblico Ministero, nello stesso termine previsto

per la costituzione dei soggetti nei cui confronti il provvedimento è richiesto, “può depositare

osservazioni scritte”, e che l’art. 26 comma 3 ° dello stesso decreto legislativo conferisce al P.M. il

potere di chiedere la modifica o la revoca del decreto di accoglimento del ricorso.

Dubbi di costituzionalità sono stati sollevati da chi74

ha ritenuto non conforme all’art. 111

Cost (giusto processo) le peculiari modalità in cui il P.M., esprime il suo parere ai sensi dell’art. 30

del decreto legislativo 6/2003 (entro il termine per la costituzione dei convenuti). Si è detto che in

tal modo il P.M. viene ad esprimere il suo autorevole parere sulla scorta del solo ricorso

introduttivo, senza potere attendere le difese della controparte chiamata a difendersi in giudizio75

.

72

Appello Milano, 19 ottobre 1993, in Le soc., 1994, 54. 73

SALAFIA, La riforma del controllo giudiziario previsto dall’art. 2409 c.c., in Le soc., 2002, 1329; vedi anche

E. DALMOTTO, Denunzia al Tribunale op. cit. 2004, p. 1216, laddove le medesime censure di illegittimità

costituzionale sembrano colpire anche altri aspetti della disciplina, non previsti dalla legge delega: “non si prevedeva

alcuna restrizione della legittimazione del P.M.. Non si prevedeva di attribuire all’assemblea il potere di evitare le

ispezioni sull’amministrazione, di paralizzare il procedimento di denuncia o di rinunciare alle azioni di responsabilità

contro amministratori e sindaci intentate dall’amministrazione giudiziario…tanto meno si prevedeva di sottrarre al

controllo giudiziario le società a responsabilità limitata”.. 74

G. CANALE, op. cit., p. 8. 75

V. Parte II, Cap. II, n. 2.

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5 Altri soggetti legittimati

L’art. 152 comma 2 ° del TUF (58/98), come modificato dal decreto legislativo 37/04, nel

confermare il potere di iniziativa alla Consob, estende la possibilità di denuncia al tribunale se vi è

fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri, non solo ai sindaci, ma anche al

consiglio di sorveglianza ed al comitato per il controllo sulla gestione, nell'ambito delle società

quotate nei mercati regolamentati.

L’art. 166 del TUF, al comma 3 °, prevede ora, se vi è fondato sospetto che una società

svolga servizi di investimento o il servizio di gestione collettiva del risparmio senza esservi

abilitata, in alternativa al potere della Banca d’Italia o della Consob di denunziare i fatti al P.M. ai

fini dell’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 2409 c.c., la possibilità di richiedere

direttamente al tribunale i predetti provvedimenti.

Analogamente, l’art. 132 bis del TUB (385/93), come modificato dal decreto legislativo

37/04 e poi dall'art. 35, comma 12, del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, stabilisce ora, se vi è fondato

sospetto che una società svolga attività di raccolta del risparmio, attività bancaria, attività di

emissione di moneta elettronica, prestazione di servizi di pagamento o attività finanziaria in

violazione degli articoli 130, 131, 131-bis, 131 ter e 132, in alternativa al potere della Banca d’Italia

e dell’Ufficio italiano cambi (UIC), di denunziare i fatti al P.M. ai fini dell’adozione dei

provvedimenti previsti dall’art. 2409 c.c., la possibilità di richiedere direttamente al tribunale gli

stessi provvedimenti.

Resta immutata la prima parte del comma 7 ° dell’art. 70 TUB laddove dispone che “alle

banche non si applica il titolo IV della legge fallimentare e l’articolo 2409 del codice civile. Se vi è

fondato sospetto che i soggetti con funzioni di amministrazione, in violazione dei propri doveri,

abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla banca o ad una o

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più società controllate, l'organo con funzioni di controllo od i soci che il codice civile abilita a

presentare denuncia al tribunale, possono denunciare i fatti alla Banca d'Italia, che decide con

provvedimento motivato”.

In passato, si riteneva, poi, che il curatore fallimentare76

che, con l’autorizzazione del

giudice delegato, avesse acquisito all’attivo fallimentare la quota societaria superiore al decimo del

capitale, acquistata dal coniuge del fallito a titolo oneroso nel quinquennio anteriore alla

dichiarazione di fallimento, era legittimato a proporre contro l’amministratore della società, cui la

quota si riferiva, ricorso ex art. 2409 c.c., anche se ancora non iscritta nel libro soci l’acquisizione

della quota dell’attivo fallimentare.

Nella vecchia normativa sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi era

prevista la legittimazione attiva del commissario straordinario nei confronti dei componenti

dell’organo amministrativo delle società non insolventi collegate a quella sottoposta alla procedura

concorsuale (art. 3 comma 5 ° legge 95/79).

L’art. 89 della legge 8 luglio 1999 n. 270 prevede77

, ora, che, dopo la sentenza dichiarativa

dell’insolvenza, sia il Commissario Giudiziale (prima dell’apertura dell’amministrazione

straordinaria), sia il Commissario Straordinario (dopo l’apertura della procedura), sia il curatore

(in caso di fallimento intervenuto sia prima che dopo l’apertura della amministrazione straordinaria,

in caso di conversione in fallimento ex artt. 69 e 70 della legge 270/99), sono legittimati a

presentare denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c. contro gli amministratori e sindaci delle società

del gruppo. La norma si riferisce ovviamente a società del gruppo ancora in bonis, perché altrimenti

gli organi amministrativi avrebbero perduto i poteri di gestione e non vi sarebbe alcun bisogno del

procedimento ex art. 2409 c.c..Nel caso, poi, in cui le società del gruppo fossero in

76

Appello Milano, 20 giugno 1990, in Le soc., 1989, 1073. 77

Per un analitico esame vedi A. MAFFEI-ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova,

2000, p. 1085.

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amministrazione controllata (abrogata con il d.lgs. n. 5/2006) o in concordato preventivo il

problema della gravi irregolarità sarebbe stato risolto con la disciplina dettata dagli artt. 192 e 173

l.f. e la cessazione delle due procedure.

Con riferimento alle Federazioni sportive nazionali, l’art. 8 lett. C del decreto legislativo

37/2004, ha così modificato l’art. 13 della legge n. 91 del 1981: “Il procedimento di cui all’art. 2409

del codice civile si applica alle società di cui all’articolo 10 (società sportive), comprese quelle

aventi forma di società a responsabilità limitata; il potere di denunzia spetta anche alle federazioni

sportive nazionali”.

Infine, il Garante per l'editoria, ai sensi dell'art. 48 della legge 5 agosto 1981, n. 416 (dalla

legge 31 luglio 1987 le funziono sono state assunte dall'autorità per le garanzie nelle

comunicazioni), il pubblico ministero e qualsiasi cittadino possono chiedere la revoca degli

amministratori di società editrice che non sia in regola con le norma sull'editoria e la nomina di un

amministratore giudiziario ex art. 2409 c.c..

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6 Legittimazione passiva: amministratori e sindaci

Nulla quaestio sulla legittimazione passiva degli amministratori, in quanto il nuovo disposto

dell’art. 2409 c.c. continua ad indicarli espressamente tra i soggetti che devono essere sentiti in

camera di consiglio e nei confronti dei quali è possibile presentare la denuncia.

Dubbi sono sorti, invece, in relazione alla posizione dei sindaci e degli altri organi di

controllo previsti dal sistema monistico e dualistico, la cui menzione è scomparsa dal comma 1°

dell’art. 2409 c.c..

Secondo alcuni78

, l’eliminazione dei sindaci dal comma 1° e la contestuale previsione del

potere di iniziativa al Collegio sindacale nel comma 7 ° dell’art. 2409 c.c. comporterebbe la perdita

della legittimazione passiva in capo agli stessi.

Tuttavia, la particolare struttura del procedimento camerale plurilaterale, in cui è ben

possibile intravedere posizioni di contrasto su diritti soggettivi tra coloro che chiedono la tutela ex

art. 2409 c.c. e sindaci, specie qualora venga chiesta la revoca di questi ultimi, la possibilità tuttora

esistente di procedere alla loro revoca sia da parte dell’assemblea, al fine di eliminare le gravi

irregolarità con conseguente improcedibilità del ricorso (art. 2409 comma 3 ° c.c.), che del

Tribunale (“nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci”:

art. 2409 comma quarto c.c.), la necessità di instaurazione del contraddittorio con essi prevista

dall’art. 2409 comma 2 ° c.c.79

- ove non si voglia conferire a tale previsione il carattere di un

78

F. MAINETTI, denunzia al Tribunale, il nuovo diritto societario, Commentario diretto da COTTINO,

Bologna, 2004, p. 929 “la legittimazione attiva…viene adesso riconosciuta anche al collegio sindacale, donde la

correlata revocabilità dei soli amministratori, anche perché solo le irregolarità di questi ultimi possono ora essere poste

a fondamento di una denuncia…”. 79

G. SPALTRO, nota a Trib. Trani, 30 ottobre 2001, in Le soc., 3/2002 p. 359 e ss. “il rispetto del principio del

contraddittorio, adattato alle peculiarità del procedimento ex art. 2409 c.c., impone dunque che gli amministratori e i

sindaci, ossia quei soggetti nei cui confronti il procedimento medesimo è destinato ad incidere, siano posti in condizione

di difendersi in ogni sua fase. Ad essi dovranno quindi essere ritualmente notificati il ricorso ed il decreto, onde

consentire loro di essere edotti degli addebiti mossi e dovrà essere garantito il diritto di difendersi in ogni fase del

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interrogatorio meramente istruttorio, per una migliore comprensione dei fatti di causa80

- , la

necessità di attuare il giusto processo anche nei procedimenti in camera di consiglio, nonché

l’indispensabilità della difesa tecnica imposta dall’art. 25 comma 3 ° decreto legislativo 6/2003

(abrogato dalla legge n. 69 del 2009), rappresentano elementi inequivocabili della persistenza

della legittimazione passiva dei sindaci che hanno la facoltà di costituirsi in giudizio con

l’assistenza di un difensore81

, salvo il caso che essi stessi propongano la domanda, divenendo

ricorrenti. In realtà, anche in quest’ultimo caso, secondo parte della dottrina, la proposizione della

domanda da parte del Collegio sindacale non sottrae tale organo dal controllo del Tribunale82

.

L’unica conseguenza della omessa menzione dei sindaci nel comma 1 ° dell’art. 2409 c.c.

può comportare solo l’inammissibilità di una domanda volta a censurare esclusivamente la

condotta di vigilanza dei sindaci, senza imputare alcuna responsabilità agli amministratori83

.

procedimento”; in giurisprudenza Trib. Roma, 20 gennaio 1950, in Dir. Fall., 1950, II, 96 “gli amministratori e i sindaci

possono partecipare all’udienza per mezzo di procuratori muniti di mandato speciale”. 80

Cass. Civ. SS.UU., 23 ottobre 1961, n. 2347 ove si rileva che l’audizione degli amministratori e dei sindaci non attua un vero contraddittorio, ma risponde al solo scopo di rendere il tribunale edotto della situazione sulla

quale è chiamato ad intervenire; Cass, Civ., 2 ottobre 1957, n. 3578, in Foro It., 1958, I, 1143; Cass. Civ., 23 gennaio

1996, n. 498 vede nella convocazione degli amministratori e dei sindaci in camera di consiglio “la traccia di un

embrionale contraddittorio”. Nella medesima pronuncia si rileva che nei casi più gravi, in cui il procedimento potrebbe

concludersi con la revoca di amministratori e sindaci , il provvedimento del giudice, pur non decidendo una

controversia su diritti soggettivi, è comunque idoneo ad incidere sull’esistenza o sull’esercizio di tali diritti. La

posizione giuridica di amministratori e sindaci, in tale ipotesi potrebbe, allora, apparire tale da giustificare il

riconoscimento di un diritto di difesa, il quale non sarebbe pieno se non fosse corredato dal diritto alla rifusione delle

relative spese in caso di rigetto del ricorso; in dottrina configura l’audizione di sindaci ed amministratori come mezzo

istruttorio tipico del procedimento L. NAZZICONE, la denunzia al Tribunale …, op. cit., Le soc., n. 8/2003, p. 1082;

A. JANNUZZI, op. cit. 2000, p. 726 “l’audizione degli amministratori e dei sindaci non importa l’instaurazione di un

vero e proprio contraddittorio. Essa è infatti disposta….a scopo istruttorio…”; per F. MAINETTI, op. cit. p. 945

l’audizione degli organi sociali ha la duplice finalità di mezzo istruttorio (in misura prevalente), e di attuazione dei

principi del contraddittorio (art. 101) e del diritto di difesa (art. 24); ,contra E. DALMOTTO, op. cit., 2004, p. 1268 “si

tratta di un’audizione, già prevista nel vecchio testo dell’art. 2409, atta ad un primo chiarimento sulle condotte tenute da

tali soggetti ed a fornire al tribunale elementi di giudizio”; . 81

G. CANALE, op. cit., p. 5 “mi pare fugato ogni dubbio sulla considerazione che i sindaci siano parti del

processo e si debba loro riconoscere sia il diritto al contraddittorio, sia il diritto di farsi assistere da un difensore e di

esercitare con pienezza i loro diritti nel procedimento, sia il diritto di impugnare i decreti del tribunale e della corte di

appello e, in sostanza, tutti i diritti processuali da riconoscere alla parte”; L. NAZZICONE, Il nuovo procedimento ex

art. 2409 c.c., in La riforma del diritto societario, diretta da LO CASCIO, Milano, 2003; C. D’AMBROSIO, op. cit.,

2004, p. 447; E. DALMOTTO, op. cit., 2004, p. 1253; V. TRIPALDI, op. cit. p. 708.. 82

L. TRICOMI, Le verifiche, in Guida al Dir., 2003, Dossier 2, riforma delle società, p. 109. 83

L. NAZZICONE, Il controllo giudiziario, op. cit., 2005, p. 201.

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Divengono, allora, secondo parte della dottrina84

, prive di importanza le irregolarità commessa dai

sindaci.

Amministratori e sindaci (ed organi di controllo del sistema monastico e dualistico), quindi,

sono i soggetti controinteressati rispetto al ricorso promosso ex art. 2409 c.c., avendo interesse a

che lo stesso venga rigettato.

Ove i soggetti controinteressati non vengano citati nel procedimento, una parte della dottrina

sostiene l’applicabilità, in ordine all’impugnazione del decreto in sede di reclamo, dell’art. 327

comma 2 ° c.p.c., che esclude la decadenza dall’impugnazione nell’ipotesi di soggetti pretermessi

dal contraddittorio85

.

84

ROCCO DI TORREPADULA N., Le gravi irregolarità nell'amministrazione delle società per azioni, Milano,

2005, 32.

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7 La legittimazione passiva della società

L’art. 2409 prevede ora al comma 1 ° la notifica del ricorso anche alla società.

Vi è da chiedersi, allora, se detta innovazione comporti l’acquisizione della qualità di parte

per la società oppure se la notifica sia stata prevista ad altri fini.

L’originario testo dell’articolo in commento nulla prevedeva in ordine alla posizione

processuale della società, sicchè la giurisprudenza di legittimità aveva escluso categoricamente la

qualità di parte della società.

Infatti, la Cassazione86

ha annullato il decreto della Corte di Appello che, a seguito del

rigetto del ricorso, aveva accollato al ricorrente le spese della procedura ex art. 2409 c.c., ritenendo

che la natura del procedimento non giustificasse la partecipazione della società, che non poteva

configurarsi come parte contrapposta al ricorrente, con conseguente inapplicabilità del principio

della soccombenza.

L’assenza della qualità di parte processuale, pertanto, derivava dalla natura del procedimento

che non si svolgeva nei confronti della società, intesa come soggetto contrapposto a colui che il

procedimento stesso aveva promosso, bensì nell’interesse della società stessa. Sicchè, la società,

lungi dall’essere titolare di un diritto che altri intenda contestare o sul quale l’altrui iniziativa sia

eventualmente destinata ad incidere negativamente, è il soggetto per la cui tutela il legislatore ha

approntato il procedimento ex art. 2409 , attraverso la previsione dell’intervento del giudice a ciò

sollecitato da una minoranza qualificata dei soci (o dal Pubblico Ministero). La società è, quindi,

oggetto del procedimento, piuttosto che soggetto ad esso partecipante, non essendo neppure

configurabile un suo diritto a non subire turbative amministrative ad opera dei propri soci, i quali,

invece, attraverso gli strumenti loro offerti dalla legge, concorrono alla corretta amministrazione

85

C. D’AMBROSIO, op. cit. 2004, p. 447.

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dell’ente cui partecipano. Il procedimento non è destinato ad ospitare una qualche contrapposizione

di interessi rispettivamente facenti capo al ricorrente ed alla società, ma al più offre spazio alla

dialettica tra diversi modi di intendere e di tutelare l’interesse della società medesima.

Analogamente, con una pronuncia più recente la Suprema Corte87

ha stabilito che la società

non è tecnicamente parte della procedura ex art. 2409 c.c., essendo, al contrario, l’eventuale

beneficiaria della procedura stessa, posto che l’articolo in esame non è finalizzato alla

composizione di contrastanti diritti la cui titolarità vada attribuita da una parte alla società stessa e

dall’altra ai soci ricorrenti, ma al risanamento dell’amministrazione societaria, con la

conseguenza che non è ravvisabile la soccombenza regolata in senso tecnico dall’art. 91 c.p.c..

La giurisprudenza di merito prevalente era orientata nel non riconoscere alla società la

qualità di parte88

, per le medesime ragioni addotte dal giudice di legittimità, mentre solo qualche

isolata decisione89

aveva affermato la esclusiva legittimazione passiva alla società, disconoscendo la

legittimazione passiva di sindaci ed amministratori. Ciò sul presupposto che solo alla società sono

giuridicamente attribuibili, in relazione al rapporto organico, le irregolarità compiute materialmente

dai suoi organi gestori e di controllo interno, nonché sul fatto che proprio la società è il soggetto

destinatario degli effetti dei provvedimenti adottati dall’autorità giudiziaria. I provvedimenti del

Tribunale, invece, secondo questa tesi, incidevano solo indirettamente sulla posizione di sindaci ed

amministratori, che avevano, perciò, solo un interesse di mero fatto al mantenimento della loro

carica.

Una parte autorevole della dottrina90

distingueva la posizione della società, formalmente

86

Cass. Civ., 23 gennaio 1996, n. 498, in Dir. Fall., 1996, II, 430. 87

Cass. Civ.,24 novembre 2000, n. 15173, in Giust. Civ. Mass., 2000, 2433. 88

Appello Milano, 10 marzo 2004, Pres. Urbano, est. Lamanna; Appello Milano, 22 febbraio 1986, in Le soc.,

1986, 879; Trib. Verona, 31 gennaio 1991, in Le soc., 1991, 1086; per la legittimazione passiva solo di amministratori e

sindaci, contraddittori necessari, vedi Appello Lecce, 10 luglio 1974, in Giur. Comm., 1976, II, 415... 89

Trib. Trani, 30 ottobre 2001, in Le società, 2/2002, p. 354; Appello Milano, 7 luglio 1971, in Foro It., 1972, I,

495; Appello Milano, 16 giugno 1987, in Le soc., 1987, 1195. .. 90

LA CHINA, op. cit. 1990, p. 1159.

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parte del procedimento, in quanto destinataria dell’ispezione e dei provvedimenti finali, tra cui

anche la possibile messa in liquidazione, dalla posizione di amministratori e sindaci, parti in senso

sostanziale, visto che potevano essere revocati nei casi più gravi, con diritto al contraddittorio

pieno.

Anche con riferimento alla possibilità di intervento nella procedura si assisteva a contrasti

dottrinali e giurisprudenziali91

.

La nuova normativa sembra aver risolto ogni problema, con la previsione della necessità di

notifica del ricorso anche alla società. Questa è ora considerata parte a tutti gli effetti92

, come i

sindaci e gli amministratori.

Nella giurisprudenza di merito si segnala una decisione93

che ha accolto la tesi della dottrina

prevalente94

e riconosciuto alla società la qualità di parte.

In particolare, si è ritenuto che la notifica alla società non potesse trovare la sua ratio nel

consentire alla società di porre in essere il rimedio endoprocedimentale della sostituzione degli

amministratori e dei sindaci da parte dell’assemblea. Infatti, un tale risultato sarebbe stato raggiunto

lo stesso, anche senza la previa notifica del ricorso, in quanto una volta disposta la convocazione

obbligatoria di sindaci e amministratori, il ricorso era ormai conosciuto dall’intera compagnie

sociale.

Del resto, la partecipazione necessaria della società non può essere desunta neppure dalla

91

Trib. Roma, 13 luglio 2000, in Giur. It., 2000, 2103 e s..; Trib. Bologna, 30 aprile 1996, in Foro It, 1997, I,

305; entrambe le pronunce escludevano la possibilità di intervento della società. 92

G. OLIVIERI, op. cit., Quaderni del C.S.M., 139, 2004. p. 611 “necessaria partecipazione al processo (come

contraddittore necessario) anche della società, considerata evidentemente portatrice di un autonomo interesse

all’accertamento delle denunciate violazioni ( e non più semplice oggetto del procedimento)”; S. SCHIRO’, Il

procedimento ex art. 2409 c.c.; l’applicazione alle cooperative, in Il punto sulla riforma del diritto societario, incontro

di studio organizzato dal C.S.M. a Roma, 14/16 giugno 2004; E. DALMOTTO, op. cit., 2004, 1254; F. MAINETTI, op.

cit. 2004 p. 944 “anche se l’art. 2409 non è esplicito in tal senso, sembra che la società assuma la qualità di parte del

procedimento in senso processuale, con tutto ciò che ne consegue in termini di poteri nella procedura”; ARIETA-DE

SANTIS, Diritto processuale civile, op. cit. 2004, p. 583; V. TRIPALDI, op.cit., per la quale con la notifica imposta

dalla legge si rende parte un soggetto distinto sia dal ricorrente sia dai resistenti. 93

Trib. Tivoli 24 maggio 2004, in Giur. Merito, 2005, fasc. 9, p. 573 e ss..

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previsione di accollo delle spese di ispezione alla società nel caso in cui il ricorso sia stato

presentato dall’organo di controllo o dal P.M. . Infatti, anche nella vecchia normativa il pagamento

delle spese di ispezione era posto a carico della società, ove il P.M. avesse fatto uso del potere di

iniziativa. La nuova disposizione si è limitata a confermare l’obbligo di pagamento delle spese

anche nel caso di richiesta presentata dagli organi di controllo, oltre che dal P.M. nei caso di società

che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Pertanto la logica che pervade il sistema appare

quella di porre a carico della società le spese di ispezione resesi necessarie per tutti i casi in cui la

richiesta provenga da un soggetto estraneo alla dialettica maggioranza – minoranza. In tal caso,

mancando una parte privata ricorrente che possa provvisoriamente anticipare le spese del

procedimento, queste vengono poste a carico della società. Tale situazione presenta carattere

eccezionale e come tale è insuscettibile di applicazione analogica ed estensiva95

.

La notifica alla società non può allora aver altro significato che quello di estendere a questa

il contraddittorio, con l’attribuzione implicita della qualità di parte.

Peraltro, la relazione al decreto legislativo 6/2003 prevedeva la “possibilità per la società di

partecipare al procedimento e di impugnare anche l’ordine di ispezione”.

La società ha acquistato, dunque, la legittimazione passiva, in posizione di autonomia sia dai

ricorrenti che dagli amministratori e dai sindaci, avendo un interesse proprio, distinto da quelli

altrui. La società, a seconda del tenore del ricorso proposto e dei sospetti allegati, potrà costituirsi

con un proprio difensore sia per resistere allo stesso, aggiungendosi alla difesa degli organi di

amministrazione e di controllo, sia per aderire al ricorso, condividendo i presupposti della denuncia

presentata dai soci, dagli organi di controllo o dal P.M..

94

G. CANALE, op. cit., p. 6 “la società è destinataria degli effetti del provvedimento ex art. 2409 c.c., che può

provocare la revoca degli amministratori e sindaci; e dunque le si deve riconoscere la qualità di parte nel giudizio” 95

in tale senso vedi in motivazione Appello Milano, 10 marzo 2004, n. 55, Pres. Urbano, est. Lamanna, Rino

Colombo e altri, inedita;

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Non può essere condivisa, quindi, la tesi di quella parte della dottrina96

che ritiene non

configurabili nel procedimento ex art. 2409 c.c. parti in senso tecnico, in quanto non si costituirebbe

un vero e proprio rapporto giuridico processuale. Secondo questa tesi si dovrebbe parlare non di

parti, ma di soggetti interessati, mentre la espressa previsione della notifica del ricorso alla società

comporterebbe solo l’assunzione della qualità di parte in senso formale.

E’, poi, corretta la decisione del Tribunale di Tivoli da ultimo citata in ordine alla doverosità

della nomina di un curatore speciale ex art. 78 comma 2 ° c.p.c., come specificamente richiesto

dagli amministratori costituiti97

. Infatti, appariva evidente il conflitto di interessi sussistente tra la

società e gli amministratori, in quanto il ricorso, presentato dal Collegio Sindacale, era volto

all’accertamento di gravi irregolarità commesse dagli amministratori.

Solo parte della dottrina98

ha ritenuto non indispensabile la nomina del curatore speciale, in

caso di conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato, in ragione del fatto che la scelta in

ordine alla eventuale difesa in giudizio (la società potrebbe restare contumace) ed in merito alle

modalità di difesa può essere rimessa all’assemblea dei soci, che potrà assumere la decisione, cui gli

amministratori dovranno sottostare, superando così ogni possibile conflitto di interessi.

Si è, però, osservato99

che gli amministratori sono espressione della maggioranza dei soci,

avversa al denunciante per definizione, sicchè è necessaria la nomina del curatore speciale.

Ove, peraltro, nessuna parte abbia chiesto al Presidente del Tribunale la nomina del curatore

speciale, il Tribunale, all’udienza di comparizione, deve invitare le parti a provvedere in tal senso ex

art. 182 c.p.c.100

.

Va, poi, revocata la nomina del curatore speciale incaricato di stare in giudizio per la

96

MARCINKIEWICZ, denunzia al Tribunale, op. cit., 2004, p. 571. 97

V. TRIPALDI, op. cit. p. 710, la quale evidenzia che la posizione della società potrebbe essere conforme a

quella del ricorrente o, più spesso, a quella dei resistenti. Ne discende quindi, la necessità di nominare un curatore

speciale ai sensi dell’art. 78 comma 2 ° c.p.c. con il procedimento di cui agli artt. 79 e 80 c.p.c.. 98

G. CANALE, op. cit., p. 6.

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società nel corso del procedimento ai sensi dell'art. 2409 c.c. nel caso in cui, nelle more del

procedimento, l'assemblea abbia provveduto alla sostituzione dell'intero consiglio di

amministrazione, i cui componenti sono stati denunciati di aver tenuto comportamenti irregolari,

con nuovi amministratori che non si trovano pertanto in conflitti di interessi con la società (Trib.

Vicenza, 27 marzo 2009, Riv. Dottori comm., 2010, 1, 175).

7.1 Obbligo di difesa tecnica

Di particolare rilievo è il decreto del Tribunale di Roma emesso in data 6 luglio 2004101

laddove si afferma la necessità della difesa tecnica per la costituzione in giudizio (ed anche quindi

per presentare ricorso) nei procedimenti plurilaterali , e segnatamente nel procedimento ex art. 2409

c.c..

In particolare il Collegio ha dichiarato inammissibile la costituzione dei membri del collegio

sindacale che avevano chiesto l’autorizzazione a stare in giudizio personalmente ex art. 82 comma 2

°, richiamato espressamente dall’art. 25 comma 3 ° del decreto in epigrafe (“se il provvedimento

richiesto deve essere emesso nei confronti di più parti, si applicano gli articoli 82, comma secondo,

83 e 84 del codice di procedura civile e il tribunale provvede in composizione collegiale”).

L’importanza del decreto sta nell’aver assunto una posizione netta e precisa in ordine alla

obbligatorietà della difesa tecnica che, prima della novella, era stata messa in discussione da una

parte, seppure minoritaria, della dottrina e della giurisprudenza.

Si sosteneva, infatti, in dottrina che, essendo la giurisdizione volontaria, una giurisdizione

non contenziosa, volta alla tutela di meri interessi fra parti consenzienti (iurisdictio inter volentes),

99

L. NAZZICONE, Il controllo giudiziario…, op.cit., 2005, p. 206. 100

JANNUZZI – LOREFICE, Manuale della volontaria giurisdizione, op. cit., 2004, p. 711. 101

Trib. Roma 6 luglio 2004, Pres. Deodato, Rel. Vannucci, in Giur. Merito, fasc. 2, 2005, p. 312.

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fosse inapplicabile il disposto dell’art. 82 c.p.c. che fa, invece, espresso riferimento allo “stare in

giudizio”102

. Pertanto, in assenza di un vero e proprio giudizio la parte poteva partecipare al

processo personalmente. Questa tesi era seguita soprattutto da chi negava la natura giurisdizionale

della volontaria giurisdizione, per avvicinarla all’espletamento di funzioni amministrative da parte

di organi giurisdizionali103

.

Altra parte della dottrina104

, in verità maggioritaria, muovendo dalla natura giurisdizionale

della volontaria giurisdizione, riteneva pienamente compatibile con tali giudizi le norme sulla difesa

tecnica ed in particolare l’art. 82 c.p.c.. Dette norme, contenute tra le disposizioni generali del

codice di procedura civile dovevano trovare necessariamente applicazione in tutti i giudizi

disciplinati dal codice, tranne che nei rari casi in cui la legge stessa avesse disposto altrimenti.

La giurisprudenza prevalente105

considerava necessaria la difesa tecnica nell’ambito dei

102

REDENTI, Diritto processuale civile, Milano, III, 1952, p. 354; COSTA, Manuale di diritto processuale

civile, Torino, 1955, 573; D’ONOFRIO, Commento c.p.c., II, Torino, 1957, p. 389; secondo questi autori chi chiede al

giudice un provvedimento, tramite un procedimento in camera di consiglio, ha il c.d. jus postulandi. Il richiedente non

ha la necessità di un procuratore legale, argomentando nel senso che gli artt. 82 e 83 c.p.c. si riferiscono allo “stare in

giudizio” per una causa, per una controversia e che pertanto essi presuppongono un processo a parti contrapposte, quali

non esistono nei procedimenti in camera di consiglio; E. FAZZALARI, Giurisdizione volontaria, in Enc. Dir., Vol.

XIX, 1970 pag. 362 “..così nei procedimenti di formazione di quei decreti – ex art. 737 c.p.c. – non è necessario il

patrocinio legale…”; e ivi, nota 158: “del resto, la natura de provvedimenti in parola postula proprio il contatto

immediato col giudice, molto spesso del giudice monocratico, con il ricorrente ed eventualmente con i controinteressati.

Non si scorge, perciò, la necessità di un intermediario tecnico, che soltanto nella contesa sui diritti (nell’attività

propriamente giurisdizionale) ha un suo preciso e pregante significato”. 103

C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, III, 1991, p. 329 “la domanda si propone con ricorso…si

ritiene che, di regola, non sussista l’onere del patrocinio”; e ivi, pag. 324 “si tratta, in sintesi, di amministrazione del

diritto privato affidata ad organi giurisdizionali”. 104

L. MONTESANO – G. ARIETA, Diritto processuale civile, Torino 1995, p. 320 “il riconoscimento della

natura integralmente giurisdizionale dei procedimenti camerali porta a ritenere direttamente applicabili agli stessi le

regole dello “stare in giudizio” ; MONTESANO- ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, Padova, Vol II, Tomo

II, p. 1190; G.A. MICHELI, Camera di Consiglio, in Enc. Dir., vol. V, 1959, p. 986 “..le norme contenute nel libro I

del codice di rito trovano applicazione generale, salvo che esse siano incompatibili con altre disposizioni contenute nei

libri successivi o con una speciale disciplina in questi ultimi contenuta, relativamente a determinati procedimenti…”;

CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, III, Roma, 1956, p. 178; ANDRIOLI, Commento al

codice di procedura civile, Napoli 1956/64, Vol. IV , p. 436; S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile,

IV, 2, Milano, 1971, p. 25; S. SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1987, p. 826; A. JANNUZZI, op. cit. 2000,

p. 38 “è poi imprescindibile il patrocinio del procuratore legale quando il procedimento camerale abbia per oggetto un

diritto soggettivo o si introduca in esso una controversia di natura contenziosa”. 105

Appello Napoli, 29 gennaio 1966, in Temi napoletana, 1993; Cass. Civ. 2 maggio 1967, n. 808, in Foro It., I,

908 ; Appello Milano, 22 novembre 1985, in Giur. It., 1987, I, 2, 239; Trib. Como, 30 gennaio 1997, Le Società, 821

(con riferimento al procedimento ex art. 2409 c.c.); Trib. Roma, 3 settembre 1996, in Dir.Fall., 1998, II, 575 (in

relazione all’istanza di riabilitazione del fallito).

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procedimenti in camera di consiglio e, soprattutto, ove in questi, si vertesse in tema di diritti

soggettivi o status106

. Infatti, come innanzi già rilevato, il procedimento camerale – così indicato dal

legislatore per superare i contrasti in ordine alla definizione della volontaria giurisdizione – è stato

ritenuto un “contenitore neutro”, all’interno del quale potevano essere tutelati non solo interessi

delle parti, ma anche i diritti soggettivi (c.d. cameralizzazione dei diritti).

Solo in casi indicati dalla legge, quindi, non v’era l’obbligo della difesa tecnica per alcuni

procedimenti camerali107

.

Altra parte della giurisprudenza, invece, era dell’avviso che non fosse necessaria l’assistenza

e la rappresentanza del difensore108

.

La giurisprudenza costituzionale109

riconosceva, invece, la legittimità dell’adozione del rito

camerale per controversie su diritti soggettivi o status, solo in quanto non fosse esclusa la facoltà

delle parti di avvalersi della difesa tecnica, ed affermava che, in mancanza di una norma che la

negasse, dovesse ritenersi implicitamente ammessa.

L’art. 25 del decreto legislativo 5/2003, in tema di procedimenti bi o plurilaterali (abrogato

dalla legge n. 69 del 2009), ha sgombrato il campo da ogni dubbio, sancendo la necessità della

106

Cass. Civ., 27 giugno 1997 n. 5770, in Dir. e giur. agr. 1998, 482 ove si legge “il procedimento previsto

dall’art. 7 legge n. 1078 del 1940 per le controversie inerenti alla successione nel rapporto di assegnazione di terre di

riforma agraria è un giudizio di cognizione speciale, caratterizzato da alcune peculiarità rituali mutate dalle norme di cui

agli artt. 737 e ss. c.p.c., ma avente ad oggetto l’accertamento, con cognizione piena ed esauriente, di rapporti giuridici e

di diritti soggettivi. Trattandosi perciò, non di un procedimento di volontaria giurisdizione, ma di un procedimento di

giurisdizione contenziosa – anche se costruito secondo il modello camerale – trova in esso piena applicazione il

principio dell’obbligatorietà del ministero del difensore”; per l’imprescindibilità del patrocinio legale nei procedimenti

camerali contenziosi vedi Cass. Civ., 5 agosto 1988, n. 4847, in Giust. Civ. Mass., 1988, fasc. 8/9; Cass. Civ., 30 luglio

1996 n. 6900,Giust. Civ.Mass, 1996, 1083.. 107

Per una analitica elencazione vedi N. PICARDI, Codice di procedura civile, Milano 2000, p. 2220: art. 29

comma 3 legge 13-6-1942 n. 794 (liquidazione di spese ed onorari a favore di avvocati; art. 11 comma 6 legge 8-7-1980

n. 319 (opposizione avverso il decreto di liquidazione di compensi a favore di periti, consulenti tecnici, interpreti e

traduttori); art. 93 e ss. l.f. (domanda di insinuazione al passivo fallimentare, che può essere appunto presentata

personalmente dal creditore); ricorso di fallimento ex art. 6 l.f.. 108

Cass. Civ., 3 luglio 1987, n. 5814, in Giur. It., 1988, I, 1, 978, con nota di Mandrioli. 109

Corte Cost., 10 luglio 1975, n. 202, in Foro It., I, 1575.

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rappresentanza o dell’assistenza del difensore110

.

Restava, però, un’unica perplessità con riferimento alla possibilità per la parte di stare in

giudizio personalmente in virtù dell’autorizzazione concessa dal Tribunale ex art. 82 comma 2 °

c.p.c..

In realtà, la dottrina prevalente, formatasi subito dopo l’entrata in vigore del decreto

legislativo 5/2003, ha concordemente ritenuto che il richiamo all’art. 82 comma 2 c.p.c. doveva

fermarsi solo alla prima parte del comma (“negli altri casi, le parti non possono stare in giudizio se

non col ministero o con l’assistenza di un difensore”), escludendo la parte restante del comma 2 °

(“il giudice di pace, tuttavia, in considerazione della natura della causa, con decreto emesso anche

su istanza verbale della parte, può autorizzarla a stare in giudizio di persona”).

Ferma la distinzione tra “assistenza” di difensore, che può anche essere sfornito di procura

(art. 87 c.p.c. “la parte può farsi assistere da uno o più avvocati …”), e “ministero” di difensore,

munito necessariamente di procura111

, come si ricava dall’art. 82 comma 3 ° c.p.c. (“salvo i casi in

cui la legge dispone altrimenti, davanti al tribunale e alla corte di appello le parti debbono stare in

giudizio col mistero di un procuratore legalmente esercente”) e dall’art. 83 comma 1 ° c.p.c.

110

Con particolare riferimento al procedimento ex art. 2409 c.c. vedi G. ARIETA-F. DE SANTIS, Diritto

processuale societario, Padova, 2004, p. 499; A. MARCINKIEWICZ, Denunzia al Tribunale, Codice commentato delle

nuove società, Ipsoa, 2004, p. 571”la parte deve stare in giudizio a mezzo di un procuratore e difensore legalmente

esercente ex art. 82 c.p.c., non essendo ammessa la difesa personale”; C. D’AMBROSIO, La denuncia al Tribunale per

gravi irregolarità dopo la riforma, in Le Società, 4, 2004, p. 447; G. OLIVIERI, I procedimenti camerali plurilaterali,

op. cit, 2003, p. 4; R. TISCINI, Il nuovo processo societario, www.judicium. it, p. 16; per la dottrina antecedente alla

modifica cfr. GHIRGA, Il procedimento per irregolarità nella gestione sociale, Padova, 1994, p. 266;

MARCINKIEWICS – PATELLI, il controllo giudiziario delle società di capitali, Milano, 1989, p. 181; QUATRARO-

TOSI, Il controllo giudiziario delle società, Milano, 1997, p. 582; TEDESCHI, Il controllo giudiziario sulla gestione,

Tr.attato Colombo - Portale, 5, Torino 1988, p. 367; S. LA CHINA, Ispezione, Enc. del Dir., Vol XLII, p. 1160; contra

G.A. MONTELEONE, Camera di consiglio, in Noviss. Dig. Appendice, 1990, p. 987 “non occorre ministero o

assistenza di difensore, per cui è mera facoltà della parte avvalersi dell’opera di un procuratore legalmente esercente”; 111

C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, I, Giappichelli, 1991, p. 270 “con questa espressione

generica (difensore)..si ha riguardo a due distinte figure di ausiliari della parte: distinte per la funzione alla quale

assolvono e per la tecnica con la quale operano nel processo: 1) coloro che la legge chiama procuratori e la cui attività è

detta, dalla legge stessa, ministero di difensore; 2) coloro che la legge chiama avvocati e la cui attività è detta, dalla

legge stessa, assistenza di difensore”; L. MONTESANO-G. ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, Padova,

2001, Vol. I, Tomo I, p. 520 “i procuratori…possono compiere e ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti del

processo…gli avvocati non operano in nome della parte, ma a favore della stessa, nel senso che mettono a disposizione

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(quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di

procura”), sembra che il legislatore del nuovo diritto societario abbia voluto far propria l’avvenuta

fusione tra le qualità di avvocato e di procuratore legale sancita dalla legge nel 1997 (l. 24 febbraio

1997 n. 27). Non ha, quindi, avvertito la necessità di un richiamo anche al terzo comma dell’art. 82

c.p.c. proprio perché ormai le funzioni di procuratore e di avvocato sono state assorbite per legge

(anche in precedenza, per vero, l’avvocato era, nella generalità dei casi, anche procuratore legale

della parte)112

.

Solo una dottrina minoritaria ha evidenziato che così ragionando si verrebbe a sottrarre alla

seconda parte del comma 2° dell’art. 82 c.p.c. ogni significato113

.

Tuttavia, la circostanza che la norma faccia espresso riferimento al giudice di pace osta ad

una sua trasposizione tout court ai procedimenti camerali plurilaterali in materia societaria che si

svolgono dinanzi al Tribunale114

.

Parte della dottrina115

ha, peraltro, osservato che il richiamo al solo secondo comma dell’art.

82 c.p.c. va inteso nel senso che la parte può farsi assistere da un difensore, senza che sia necessario

il rilascio di una procura (ossia il ministero di difensore di cui all’art. 82 comma 3 ° c.p.c.).

Pertanto, la parte potrebbe presentare personalmente il ricorso e farsi assistere all’udienza da un

le proprie cognizioni tecniche nella redazione di determinati atti del processo…non a caso la rubrica dell’art. 87 c.p.c.

accomuna gli avvocati ai consulenti tecnici di parte”. 112

A. AMENDOLA, Il procedimento in camera di consiglio, op. cit., p. 13, ritiene che “la circoscrizione del

riferimento al solo secondo comma della norma codicistica sia stata determinata dalla ritenuta ridondanza di richiami a

commi che specificavano, in relazione al giudice da adire, la qualifica del professionista del quale la parte poteva

avvalersi, in un contesto in cui era operativa una distinzione (quella tra procuratori e avvocati) e una limitazione

territoriale dell’abilitazione all’esercizio della professione - riferita al distretto della Corte di Appello presso cui il

procuratore era iscritto – ormai entrambe venute meno”. 113

F. LEFEBVRE Memento pratico, controllo dell’autorità giudiziaria, Ipsoa, 2004, p. 460 “i soggetti legittimati

mediante un avvocato o anche personalmente se il giudice lo consente devono presentare ricorso al Tribunale”; L.

NAZZICONE, La denunzia al Tribunale per gravi irregolarità ex art. 2409 c.c.: le novità della riforma societaria, in

Le Società, 8/2003, p. 1081 “è necessario il ministero di un difensore, ma il tribunale può autorizzare la parte a stare in

giudizio di persona: tale disciplina deriva dal rinvio espresso operato dall’art. 25 comma 3 ° decreto legislativo 5/2003

all’art. 82 comma 2 ° c.p.c.”. 114

Trib. di Roma, 6 luglio 2004, in Giur. Merito, 2005, 2, p. 313 115

E. NORELLI, in I procedimenti, La riforma del diritto societario, a cura di G. LO CASCIO, 2003, Giuffrè,

pag. 298 e ss..

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difensore. Se, però, il ricorso è sottoscritto dal difensore, questi deve essere munito di idonea

procura, non essendo applicabile l’art. 125 comma 2 ° c.p.c.. E’ ben possibile, peraltro, secondo tale

ricostruzione, che, nel caso in cui il ricorso sia sottoscritto da un difensore privo di procura, il

Presidente del Tribunale, ex art. 182 c.p.c., possa invitare la parte istante a sottoscrivere

personalmente il ricorso o a munire il difensore della procura, concedendo un termine per

provvedere alla regolarizzazione116

.

Altri117

, invece, sostengono l’inammissibilità di un ricorso redatto dalla parte senza il

ministero di un difensore munito di procura.

Vi è, invece, unanimità di pensiero nel ritenere applicabili ai procedimenti in camera di

consiglio plurilaterali anche le altre norme generali sulla difesa in giudizio (artt. 85, 86 e 87 c.p.c.),

anche se non espressamente richiamate118

.

Si rileva, poi, che, in virtù dell’art. 25 suddetto, lo jus postulandi del notaio, previsto dall’art.

1 comma 2 ° n. 1 della legge 16 marzo 1913 n. 89, deve essere limitato alle sole ipotesi in cui non è

prevista la difesa tecnica119

.

Tuttavia, il nuovo art. 182 c.p.c., come modificato dalla legge n. 69 del 2009 prevede che,

quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che

determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio

per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, per il rilascio

delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura ovvero per la rinnovazione della

stessa. Pertanto, in base al tenore letterale della norma si può provvedere alla regolarizzazione

116

E. NORELLI., op.cit, 2003 p. 299. 117

G. TARANTOLA, I procedimenti camerali plurilaterali, le principali fattispecie,; l’art. 2409 c.c., op.cit. p. 2

“con la nuova disposizione trova conferma la prassi milanese dell’inammissibilità del ricorso nel caso di assenza di un

difensore”; A. AMENDOLA, Il procedimento in camera di consiglio. I procedimenti camerali unilaterali, op. cit., p.

13. 118

CARPI-TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, appendice 2004, p. 207; C. FERRI, La

disciplina dei procedimenti in camera di consiglio nel decreto legislativo societario, op. cit. 2003 p. 6..

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anche in caso di inesistenza della procura .

119

D. BURRONI, Del procedimento in camera di consiglio, Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da

G. COTTINO, Bologna, 2004, p. 2960 nota 23 fine.

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8 Disciplina del procedimento e decreto presidenziale inaudita altera parte

La disciplina del procedimento di cui all’art. 2409 c.c. è descritta minuziosamente negli artt.

25, 26 e 27 del decreto legislativo 5/2003 (disposizioni generali) nonché negli artt. 30, 31, 32 e 33

del medesimo decreto (dei procedimenti camerali plurilaterali), oltre che nel novellato art. 2409 c.c..

Il d.lgs. n. 5/2003 è stato abrogato dalla legge n. 69 del 2009.

Pertanto, si ponevano, prima della abrogazione della normativa sui procedimenti camerali

societari, dei problemi di coordinamento tra le disposizioni processuali citate e l’art. 2409 c.c..

E’ pacifico che il procedimento in oggetto soggiaceva alla disciplina del decreto legislativo

5/2003: composizione collegiale del tribunale; competenza del giudice determinata dalla sede

legale e non più da quella effettiva; obbligo di deposito da parte dell’istante di copia del ricorso

presso la segreteria del p.m. solo nei casi di partecipazione necessaria di quest’ultimo (società che

fanno ricorso al mercato del capitale di rischio); obbligo di assistenza tecnica; obbligo di fissazione

dell’udienza; audizione delle parti; acquisizione anche d’ufficio di informazioni ritenute necessarie;

decreto immediatamente esecutivo; parziale preclusione a seguito del provvedimento di rigetto;

modifica o revoca del decreto; reclamo; prosecuzione del procedimento nelle forme del rito

ordinario ex art. 32.

Si è ritenuto120

, invece, che il Presidente del Tribunale non potesse ordinare, con decreto

emesso inaudita altera parte ex art. 31 del decreto legislativo 5/2003, nell’ambito di un

procedimento avverso una società cooperativa a responsabilità limitata, l’acquisizione dei libri

sociali, del libro giornale, delle fatture acquisti e vendite, del libro paga e matricola, in quanto la

120

Trib. Catania, decreto presidenziale, 2005, in Judicium. It, con nota di E.DALMOTTO, due questioni

problematiche sull’art. 2409 c.c.: l’applicabilità alle società cooperative a responsabilità limitata e la concedibilità di

provvedimenti inaudita altera parte”.

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regola processuale dei provvedimenti camerali plurilaterali doveva cedere di fronte alla regola

speciale di cui all’art. 2409 c.c., ove era prevista l’ispezione giudiziale come strumento specifico di

verifica documentale con funzione eminentemente istruttoria. L’ispezione, però, come si chiarirà nel

paragrafo successivo, può essere solo disposta dopo l’audizione di amministratori e sindaci121

ed in

caso di mancata attuazione del rimedio endosocietario costituito dalla sostituzione di amministratori

e sindaci.

Parte della dottrina122

era di diverso avviso, reputando ammissibile l’emissione di un decreto

del presidente inaudita altera parte, anche prima dell’instaurazione del contraddittorio con le altre

parti (soci ricorrenti, amministratori, sindaci, la società e, in caso di cooperative, l’autorità di

controllo). In tal caso il contraddittorio era soltanto differito alla successiva udienza da tenersi entro

quindici giorni per la conferma, la modifica o la revoca del provvedimento. Né poteva

disconoscersi l’importanza a volte decisiva di una ispezione “a sorpresa” per acquisire prove

documentali, altrimenti facilmente occultabili, come pure di un provvedimento che impedisse agli

amministratori di continuare nella loro condotta gestionale irregolare, foriera di danni a volte

irreparabili.

Non era ammissibile il decreto presidenziale di rigetto emesso inaudita altera parte per

incompetenza o per palese inammissibilità (perché riguardante, ad esempio, società non soggette al

controllo giudiziario)123

, in quanto sia l’art. 2409 c.c. che l’art. 30 del decreto legislativo 5/2003

imponevano l’audizione delle parti in contraddittorio.

Del resto, come si vedrà in seguito per le s.r.l. con collegio sindacale obbligatorio, non

sempre è agevole stabilire ictu oculi i confini dell’applicazione del procedimento.

121

V. TRIPALDI, op.cit., p. 717. 122

E. DALMOTTO, Denunzia al Tribunale, op.cit., 2004 , p. 1278, nota 165; contra D. TURRONI, Del

procedimento in camera di consiglio, op. cit., in Il nuovo processo societario, Commentario diretto da S. CHIARLONI,

2004, p. 892.. 123

contra L. NAZZICONE, il controllo giudiziario…, op. cit., 2005, p. 18.

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La competenza spetta, quindi, al tribunale in composizione collegiale ai sensi dell'art. 50

bis c.p.c. e trattasi di competenza territoriale assoluta, funzionale ed inderogabile ai sensi dell'art.

28 c.p.c.. Deve aversi riguardo, a tale fine, alla sede legale della società, anche se in alcune

pronunce si è fatto riferimento alla sede effettiva. Probabilmente, potrebbe anche applicarsi la

giurisprudenza formatasi nell'ambito della disciplina fallimentare, che tiene conto della sede

effettiva dell'impresa, ossia del luogo in cui si assumono le decisioni più rilevanti per la gestione

della compagine sociale, dovendosi, però, presumere iuris tantum, che la sede effettiva coincide con

la sede legale. Se muta la sede legale nel corso del procedimento, non si dovrebbe tenere conto del

trasferimento per lo spostamento della competenza ai sensi dell'art. 5 c.p.c.. Potrebbe anche

applicarsi forse il nuovo disposto dell'art. 9 l.f., che è stato esteso anche agli accordi di

ristrutturazione ai sensi dell'art. 182 bis comma 6 l.f..

Dopo il deposito del ricorso il presidente del collegio nomina il giudice relatore e fissa con

decreto l'udienza di comparizione delle parti, concedendo al ricorrente il termine per provvedere

alla notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, indicando

anche il termine per consentire la costituzione dei resistenti. L'atto deve essere notificato

personalmente ai sensi dell'art. 138 c.p.c. ai sindaci ed agli amministratori, oltre che alla società. Se

il ricorrente non provvede alla notificazione del ricorso alle controparti, il ricorso sarà dichiarato

improcedibile, a meno che il tribunale non conceda un termine per la rinnovazione nel caso in cui

la notificazione non sia inesistente, ma soltanto nulla. Se la notifica è stata ritualmente effettuata

solo ai sindaci o agli amministratori, il tribunale deve disporre l'integrazione del contraddittorio

anche nei confronti della società e nei confronti degli organi di gestione o di vigilanza. I resistenti

potranno anche non costituirsi in giudizio. Il termine assegnato ai resistenti per la costituzione non

è perentorio, sicchè è ben possibile che essi si costituiscano anche in sede di udienza, chiedendo

l'ammissione di mezzi di prova. In assenza di preclusioni, trattandosi di procedimento in camera di

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consiglio, il tribunale potrà anche ammettere le prove richieste tardivamente solo in sede di udienza

e nemmeno indicate nella memoria di costituzione. In sede di udienza il ricorrente potrà anche

allegare nuovi fatti a fondamento della denuncia delle gravi irregolarità, proprio per l'assenza di

meccanismi di preclusione tipici del giudizio di cognizione ordinaria.

L'attività istruttoria può essere delegata anche ad un componente del collegio, come previsto

dal comma sesto dell'art. 15 in tema di procedimento prefallimentare. Possono essere assunte

informazioni da terzi, anche altri soci che sono rimasti estranei al procedimento, come pure

precedenti amministratori e sindaci, ex art. 738 ultimo comma c.p.c..