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L'AUTISMO: APPROCCIO MENTALISTAPROF.SSA GENEROSA MANZO

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Università Telematica Pegaso L'autismo: approccio mentalista

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 LE CARATTERISTICHE DELLA TEORIA MENTALISTA ------------------------------------------------------- 3

2 LA CECITÀ MENTALE ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 7

3 L’INTEGRAZIONE DEL CONCETTO DI “TEORIA DELLA MENTE”: IL DEFICIT DI “COERENZA

CENTRALE” ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 10

4 LE MODALITÀ EDUCATIVE -------------------------------------------------------------------------------------------- 11

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16

Università Telematica Pegaso L'autismo: approccio mentalista

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

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1 Le caratteristiche della teoria mentalista

Gli anni ’80 e ’90 vedono comparire modelli neuropsicologici di interpretazione del

funzionamento mentale in generale e della elaborazione delle informazioni in particolare, che

spingono l’analisi sulla capacità umana di rappresentarsi lo stato del pensiero degli altri.

Alla fine del secolo, all’interno delle scienze cognitive, si è sviluppato un impianto teorico,

supportato da significative ricerche empiriche, definito come teoria mentalista, il cui fulcro

fondativo attiene al fenomeno della teoria della mente1.

A partire dall’infanzia, l’essere umano denota una certa attitudine ad inferire gli stati mentali

altrui, secondo una capacità che si concretizza nell’interpretare i pensieri, le opinioni e le credenze

negli altri. Complessivamente si evidenzia una teoria della mente, come rappresentazione o

conoscenza dello stato mentale delle persone, che ci permette di:

Dare significato al loro comportamento;

Prevedere il loro comportamento.

Questa azione cognitiva di riflessione sulla mente, tende evidentemente a flettersi anche su

se stessa, nel senso di riguardare anche il proprio stato mentale e il proprio comportamento,

1 Crispiani P., Lavorare con l’autismo. Dalla diagnosi ai trattamenti, Edizioni Junior, Bergamo 2002.

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assumendo per questo, i tratti di una meta-conoscenza e, in questo caso, di una meta-

rappresentazione di dinamiche di pensiero implicite.

Si tratta di un abilità prettamente cognitiva che, presente fra i 18 e 30 mesi in forma

primitiva, si sviluppa comunque nell’infanzia, soprattutto attorno ai due tre anni, essendo rivelata da

alcuni atteggiamenti precursori. Gli indizi comportamentali precursori della capacità di percepire

l’attenzione degli altri sono stati isolati come:

Attenzione condivisa, capacità di far proprio un interesse visivo dell’adulto, ovvero guardare

ciò che l’altro osserva con attenzione e quindi condividerne un interesse;

Comunicazione intenzionale proto-comunicativa, capacità di comunicare un proprio

interesse all’adulto direzionando alternatamente il proprio sguardo sull’oggetto e al volto

dell’adulto, suppone l’attribuzione di stati intenzionali all’altro;

Gioco di finzione ovvero la capacità di far finta di modificare il significato degli oggetti, gesti

ambienti ecc.

Bruner definisce tale capacità come un meccanismo innato, in quanto essa appartiene già ai

bambini ma non necessita di esperienza e di educazione2.

La teoria della mente attiene pertanto ad una forma di conoscenza sociale, versata sulle

condotte psichiche altrui e proprie e denota forti analogie, se non identità, con l’idea

dell’intelligenza personale di H. Gardner e. più in generale, con le teorie modulariste3.

2 Bruner J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 2001.

3 Gardner H., Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano 1987.

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Di fondamentale importanza è la connessione tra questa competenza cognitiva e lo sviluppo

emozionale, poiché essa consente di percepire e interpretare i segnali verbali e non verbali delle

pulsioni emotive nelle persone4.

Il mentalismo si svolge entro i processi cognitivi umani, nel cui ambito si sviluppano visioni

teoriche dell’autismo nel senso di deficit connessi alle competenze mentali relative alla capacità di

conoscere lo stato psichico della altre persone, tra cui spiccano la teoria del deficit di “teoria

mentale” e quella del deficit di coerenza centrale.

Il deficit della teoria della mente, cui fanno riferimento numerosi autori, si riferisce

all’incapacità di attribuire e comprendere gli stati mentali propri e delle persone, quindi stati

psichici, emozioni, immaginazione, condotte simboliche e di conseguenza prevederne il

comportamento.

Una serie di ricerche come quelle condotte da S. Baron-Cohen , A.M. Leslie, U. Frith e altri,

attestano che tale competenza risulta assente o fortemente deficitaria in soggetti con autismo di

varie età e si esprime già in indizi precoci individuati nella incapacità o difficoltà di:

Condividere con l’adulto l’attenzione/interesse su oggetti, persone, eventi;

Orientare lo sguardo all’adulto;

Comunicare visivamente il proprio interesse agli adulti;

Tenere il contatto oculare;

Eseguire gesti di comunicazione;

Eseguire giochi di finzione.

Molto significativa è ritenuta quella che è definita come prova delle false credenze, test che

rivela ai bambini al di sotto dei quattro anni e nei soggetti autistici di età più avanzata, la mancata

attribuzione della giusta credenza, soprattutto in situazione di evidenza, ad altre persone, quindi

l’assenza di rappresentazione dello stato mentale altrui. Gli stessi autori di tali ricerche tendono ad

individuare degli stadi di massima inerenti lo sviluppo della capacità mentalista, confrontando il

soggetto normale con quello autistico.

4 Crispiani P., op.cit., p.3.

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Le carenze cognitive in questa area, e il deficit di mentalismo in generale, pur in regime di

forte affinità, sono però teorizzate in termini diversi, evidenziando almeno due posizioni.

Una attribuisce il fenomeno ad un deficit cognitivo specifico della teoria della mente, per

effetto di un danno alla capacità meta-rappresentativa, e si deve alla scuola inglese di Leslie,

Baron-Cohen et al.

La comprensione degli stati mentali e la difficoltà nei giochi di finzione sarebbe pertanto la

conseguenza dell’incapacità di comprendere e rispondere alle emozioni degli altri.

Pur non potendo affermare che i soggetti autistici siano privi di tensioni emotive, sulla scorta

del deficit cognitivo mentalista si ritiene che la mancata sensibilità alle espressioni emozionali

comporti almeno due significative difficoltà:

Di scoprire e conoscere le reazioni emozionali su sé e negli altri;

Di collegare il linguaggio allo stato emozionale e affettivo dell’interlocutore.

Tutti questi autori convergono nel ritenere che, malgrado tale condizione, per la quale sono

gravemente contrastate la relazione e la comunicazione, non si può dire che il bambino in stato

autistico non possieda qualche abilità mentalista, poiché comunque la mente propria e altrui non

resta totalmente inaccessibile5.

5 Crispiani P., op.cit., p.3.

Competenza normo-evoluto autistico

Attenzione condivisa 9 mesi 4 anni

Comprensione delle credenze 4 anni 9 anni

Comprensione delle credenze 7 anni età adulta/mai

Su Altre credenze

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2 La cecità mentale

S. Baron-Cohen adotta il paradigma della cecità mentale o cecità sociale per indicare la

presunta incapacità di decifrare gli occhi e le espressioni facciali degli altri, quindi lo stato

emozionale e la relazione, definita categoria della mente6.

In quattro stadi, o competenze selezionate nel corso dell’evoluzione umana, si esercita via

via la lettura della mente altrui, essi consistono in meccanismi cognitivi del tipo:

1. Rilevatore dell’intenzionalità (ID. Intenzionality Detector), sistema innato capace di leggere

gli stati mentali altrui attraverso l’interpretazione di due atti volitivi presenti nel

comportamento intenzionale, lo scopo e il desiderio;

2. Rilevatore della direzione degli occhi (EDD, Eye- direction detector) che svolge la funzione

di rilevare lo sguardo, la direzione degli occhi e attribuisce l’attività percettiva all’altro;

3. Attenzione condivisa (SAM, Shared Attenting, Mechanism) percepisce che altre persone

stanno volgendo la propria attenzione ad un medesimo oggetto o evento;

4. Teoria della mente che egli percepisce gli stati mentali altrui e ne ricava informazioni.

6 Baron-Cohen S., Bolton R., L’autismo, una guida, Phoenix Ed., Roma 1998.

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Baron-Cohen asserisce che i soggetti con autismo dispongono delle prime due competenze,

mentre sono deficitari nelle altre due7.

Tale condizione comporta una specie di sovraccarico cognitivo e sociale nell’individuo ed è

una specificità autistica piuttosto ostica, perché supera le nostre possibilità immaginative, per il

fatto che la persona normale manca della medesima esperienza.

L’approccio per tanto discusso, riceve apprezzamento per il fatto di indagare con pertinenza

in un’area di disfunzioni, indicate principalmente nella triade di gioco, interazione sociale e

comunicazione, che appare certamente coinvolta nella sindrome autistica.

Si tratterebbe come effetto di innegabili alterazioni dello stato biologico, di una sorta di

cecità mentale della condizione psicologica altrui. Del resto, si riconosce che alcuni comportamenti

sociali e comunicativi richiedono quella capacità di capire gli stati mentali, ovvero di prestare giusta

attenzione agli altri8.

Sull’efficacia di tale concezione vi sono numerose riserve, a cause del complesso dei

sintomi autistici che non risulta sufficientemente spiegabile con il solo deficit di mentalizzazione.

D’altra parte numerose ricerche affermano in bambini con autismo la presenza di disturbi

anche non appartenenti alla sfera relazionale, come quelli a carico della memoria di frasi, di

verbalizzazione, di immagini e di schemi.

Baron-Cohen et. Al. Affermano che il 20% dei bambini autistici persi in esame nella loro

ricerca, erano comunque capaci di eseguire compiti di metalizzazione e di riconoscimento di stati

7 Baron-Cohen S., L’autismo e la lettura della mente, Astrolabio, Roma 1997.

8 Crispiani P., op.cit., p.3.

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mentali. D’altra parte J. Bruner riferisce che in soggetti autistici dotati si può rilevare una teoria

esplicita della mente, ma che genera nelle loro interazioni interpersonali una certa goffaggine

innaturale9.

Immagine 1. Jerome Bruner 1915.

Basandosi su tali rilevazioni, occorreva dunque, pensare ad un deficit cognitivo più

consistente, come ad esempio quello della funzione di controllo10

.

9 Bruner J., op.cit., p.4.

10 Frith U., L’autismo. Spiegazione di un enigma, Laterza, Bari 1998.

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3 L’integrazione del concetto di “teoria della mente”: il deficit di “coerenza centrale”

Ad integrare il concetto di teoria della mente vi è quello di coerenza centrale o coerenza

interna, isolato da Baron-Cohen, Oznoff e dalla Frith, per indicare la naturale tendenza dei processi

cognitivi umani a ricondurre l’insieme degli stimoli e delle rappresentazioni mentali verso un livello

unitario e centrale, che ne garantisce la visione organica e d’insieme, in cui si colloca la meta-

rappresentazione.

Nel soggetto con autismo appare deficitaria questa propensione alla coerenza interna e al

rango cognitivo più elevato qual è la mentalizzazione, mentre indenni sono le specifiche funzioni

percettive e rappresentative.

La sede del problema è dunque l’integrazione tra i materiali cognitivi il processo della loro

organizzazione in una visione unitaria, da cui prendono corpo i deficit essenziali della triade

autistica ed il loro simultaneo coinvolgimento.

La debole spinta a far convergere in unità i dati cognitivi può spiegare l’interpretazione

letterale, realistica e di superficie della realtà, la discomprensione delle intenzioni degli altri, delle

espressioni gestuali, ovvero la loro lettura de contestuale e statistica.

Per effetto di ciò, diventano precari e in difficoltà per tutti quegli atti mentali che attengono

all’adattamento degli ambienti, quindi la comprensione dello stato mentale degli altri, la

comunicazione, la socializzazione, la comprensione delle regole, il controllo emotivo e affettivo.

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4 Le modalità educative

Il territorio teorico è quello della teoria della mente e delle ricerche che, sul finire del ‘900 si

sono polarizzate attorno all’obiettivo di educare i soggetti in stato autistico, a leggere la mente altrui

e propria.

Si tratta pertanto di un approccio sostanzialmente direzionato ad una funzione cognitiva,

quella della teoria della mente, che esibisce particolare complessità, dal momento che coinvolge

direttamente tutte le aree funzionali con le quali l’uomo si esprime, la corporeità, l’emotività,

l’affettività11

.

Situazioni educative organicamente gestite, tendono a favorire nell’individuo la capacità di

riconoscere lo stato mentale degli altri, in particolare dell’emotività, e quindi di prevederne il

comportamento generale. L’incapacità di leggere la mente, ovvero di andare oltre le emozioni più

evidenti, si manifesta in una pluralità di condotte:

Incomprensione delle emozioni altrui;

Incomprensione dei sentimenti altrui;

Incomprensione delle intenzioni altrui;

Incomprensione delle motivazioni del comportamento altrui;

Non considerazione di ciò che gli altri sanno;

Incapacità di associare le risposte alle domande;

11

Crispiani P., op.cit., p.3.

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Incomprensione dei messaggi impliciti;

Incapacità di anticipare il pensiero degli altri.

Si pone dunque il problema di insegnare le emozioni, la loro scoperta e conoscenza su

immagini, sugli altri e su se stessi.

Nel lavoro di Howlin, Baron-Cohen e Hadwin, si definisce un programma di intervento che

si estende per tre grandi aree di azione, e che prevede una sorta di organizzazione per unità

didattiche poste in sequenza lineare per cinque livelli12

.

12

Baron-Cohen S., Howlin P., Hadwin J., Teoria della mente e autismo, Erickson, Trento 1999.

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I area: Insegnare a riconoscere le emozioni

Discriminare e riconoscere gli stati emotivi su sé e sugli altri lungo cinque livelli

progressivi di esperienza.

Livello 1 Riconoscimento delle espressioni del viso nelle

fotografie

Livello 2 Riconoscimento delle emozioni in disegni

schematici

Livello 3 Identificazione delle emozioni causate da

situazioni

Livello 4 Identificazione delle emozioni causate dal

desiderio

Livello 5 Identificazione delle emozioni causate da

opinioni

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II. Area : insegnare a discriminare le false credenze

Intuire o riconoscere gli stati informativi negli altri, cosa essi percepiscono conoscono o

credono

Livello 1 Prospettiva visiva semplice (comprendere

cosa vedono gli altri)

Livello 2 Prospettiva visiva complessa (comprendere

come la realtà appare agli altri)

Livello 3 Comprensione del principio “vedere porta a

sapere”

Livello 4 Prevedere le azioni sulla base di ciò che

una persona sa

Livello 5 Comprendere le false credenze

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III. Area: insegnare il gioco di finzione

Con riferimento allo sviluppo della funzione simbolica nel bambino normo-evoluto,

cinque livelli di esperienza

Livello 1 Gioco senso-motorio

Livello 2 Gioco funzionale emergente

Livello 3 Gioco funzionale acquisito

Livello 4 Gioco del far finta emergente e distinzione

fra realtà e finzione

Livello 5 Gioco del far finta acquisito

Sostengono il piano di trattamento sopra ricordato, una serie di principi educativi così

schematizzati:

Scomposizione in unità di lavoro e progressività;

Organizzazione di ogni unità in cinque livelli;

Lavoro in contesti naturali e in attività spontanee;

Ricorso al rinforzo;

Ricorso all’apprendimento senza errori;

Lavoro sula generalizzazione mediante la concentrazione sui concetti invece che sui

comportamenti;

Ricorso a situazioni e materiali motivanti e non routinari.

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Bibliografia

Baron-Cohen S., Bolton R., L’autismo, una guida, Phoenix Ed., Roma 1998

Baron-Cohen S., Howlin P., Hadwin J., Teoria della mente e autismo, Erickson, Trento 1999

Baron-Cohen S., L’autismo e la lettura della mente, Astrolabio, Roma 1997

Bruner J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 2001

Crispiani P., Lavorare con l’autismo. Dalla diagnosi ai trattamenti, Edizioni Junior, Bergamo

2002

Frith U., L’autismo. Spiegazione di un enigma, Laterza, Bari 1998

Gardner H., Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano 1987