Ottobre - Novembre 2012

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L’Informazione 1 L Informazione Ottobre-Novembre 2012 DIRETTORE LUCIANO MIRONE Distribuzione gratuita Periodico di attualità, varietà, sport e costume La Montagna in autunno www.linformazione.eu All’interno: Speciale Bronte e Ottobrata Foto Giuseppe Mirone

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L'Informazione, Ottobre - Novembre 2012

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Ottobre-Novembre 2012L’Informazione 1

L’InformazioneOttobre-Novembre 2012 DIRETTORE LUCIANO MIRONE Distribuzione gratuita

P e r i o d i c o d i a t t u a l i t à , v a r i e t à , s p o r t e c o s t u m e

La Montagnain autunno

www.linformazione.eu

All’interno:Speciale Bronte e Ottobrata

Foto Giuseppe Mirone

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Ottobre-Novembre 2012 L’Informazione2

DALLA CHIESA, 30 ANNI FA

Dopo che dalla Chie-sa rilascia quella clamorosa intervi-

sta a Bocca (agosto 1982), per la prima volta gli italiani si accorgono che la mafia è un fe-nomeno nazionale ed europeo. Quell’intervista rappresenta una svolta perché per la pri-ma volta si parla dei Cavalie-ri del lavoro di Catania come paradigma dell’imprenditoria mafiosa, dell’accumulazione illecita e del riciclaggio del denaro sporco nelle banche o nelle attività apparentemente lecite, palazzoni di venti piani, cementificazione disordinata, centri turistico-alberghieri, ristoranti alla moda. Per la prima volta si parla di mafia “globale”, di “policentrismo” di Cosa nostra, di confisca dei beni mafiosi. “Mio padre”, spiega Nando dalla Chiesa, “disse ciò che soltanto ades-so viene chiarito da Massimo Ciancimino: ovvero che c’era un patto di ferro tra Totò Rii-na e i Cavalieri. Ma la politica, a quelle denunce, non reagì. Dopo la morte di mio padre, il Psi tranquillamente flirtò con i Cavalieri, la Dc fece lo stesso e il Pci accusò gli antimafiosi di chiedere le analisi del san-

gue agli imprenditori”. C’è una parola che dalla Chiesa – a proposito dei poteri speciali che gli devono essere conferiti – rivela a Bocca: “Settembre”. O entro settembre gli danno i poteri promessi oppure rinun-cia all’incarico. Tradotto in pa-role povere: o lo Stato fa seria-

mente la lotta alla mafia o me ne vado. Un perentorio aut aut che, se avesse scadenza imme-diata, metterebbe lo Stato con le spalle al muro. Prima di tut-to perché lo Stato, la lotta alla mafia non ha mai voluto far-la seriamente, e poi perché lo stesso Stato non può perdere la

faccia di fronte a un’opinione pubblica sempre più inquieta, specie dopo un’intervista cla-morosa come quella rilasciata a Bocca. Ma siccome quell’aut aut è fatto ad agosto, qualcuno pensa che il tempo di orga-nizzarsi ancora c’è. Un mese è sufficiente. Settembre… Cer-

NELL’82 LA MA-FIA UCCIDEVA IL GENERALE,

MANDATO IN SI-CILIA PER COM-BATTERE COSA NOSTRA. UN LI-

BRO DI LUCIANO MIRONE RICO-

STRUISCE LA VI-CENDA

Memoria

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DALLA CHIESA, 30 ANNI FA

to generale, a settembre può succedere di tutto.Intanto in Parlamento si vota il rinnovo delle gestio-ne delle esattorie siciliane. Ai cugini Salvo vengono con-fermati i privilegi di sempre,

e anche la legittimazione di sempre. Cade il primo gover-no Spadolini cui fa seguito, pochi giorni dopo, lo “Spado-lini bis”, un “governo fotoco-pia” in quanto composto dagli stessi ministri e dagli stessi sottosegretari del primo. Il 12 agosto nei viali del Policlinico

di Palermo, la mafia uccide Pa-olo Giaccone, valoroso medico legale che si rifiuta di falsificare l’esito di una perizia relativa ad alcuni mafiosi. Ma Palermo continua ad essere l’immobile, la splendi-da, la miserabile capitale di sempre. Apparentemente. Nel sottosuolo si muove qualcosa, qualcosa di molto grosso. Istintivamente Emanuela av-verte i segnali. Lei è milanese e non conosce i linguaggi, i messaggi, i codici che viag-giano con lo scirocco di quel terribile agosto, eppure ha an-tenne sensibili, percepisce che attorno a lei e al marito c’è una tranquillità fin troppo strana, la stessa che ha percepito Boc-ca quando si è recato in prefet-tura. E lo confida al generale. A tavola Emanuela si mostra timorosa: stare a Palermo è “pericolosissimo”, dice.Intanto il “sottosuolo” pa-lermitano si muove, subisce fortissime scosse, mentre lassù, in superficie, nessuno avverte tremori, la città sembra surre-ale, apparente, continua a son-necchiare, avvolta da quell’afa a quaranta gradi all’ombra. Sonnecchia il vetturino, son-necchia il suo cavallo, sonnec-

chia ‘u panellaru, sonnecchia il macellaio, sonnecchia il bibita-ro, sonnecchia la politica. Solo i mafiosi sono attivi. E molto preoccupati. Questo-ci-fotte-come-ha-fottuto-i-terroristi… Addirittura-dice-che-li-tortu-rava… Un-cuinnutu… Intanto i segnali si moltipli-cano. In prefettura arrivano strane telefonate. C’è chi si presenta come giornalista, chi come ufficiale dei Carabinieri, chi come anonimo e dal cen-tralista vuol sapere se la signora dalla Chiesa è in casa; chiude improvvisamente quando l’operatore telefonico gli chie-de se intende parlare col gene-rale. È da un mese – da quan-do il nuovo Prefetto si è dato quella scadenza, “settembre” – che gli “uomini d’onore” si riuniscono ogni giorno al “Fondo Pipitone” per orga-nizzare il piano di morte. È nel quartiere dell’Acquasanta, vicino ai Cantieri navali. Lì la Famiglia Galatolo – quella che controlla la zona – ha messo a disposizione i suoi locali per fare il “quartier generale” del-le cosche palermitane. Il “sot-tosuolo” è questo. Invisibile. Impalpabile. Impenetrabile. Eppure sotto gli occhi di tutti.

Alla luce del sole…Una leggera brezza prende il posto dello scirocco, mentre il calendario segna settembre. Il 2 dalla Chiesa incontra il ministro delle Finanze Rino Formica. Il Prefetto sottopo-ne al titolare delle Finanze il rapporto delle Fiamme gialle in cui si parla di oltre tremila patrimoni sospetti.3 settembre. Mattina. La pazienza di dalla Chiesa è al limite, ormai ha la chia-ra percezione che a Roma lo hanno mollato. Avverte che la terra brucia sotto i piedi, che certi legami invisibili diven-tano sempre più chiari. “La situazione sta precipitando. Purtroppo quanto avevo pre-visto sta verificandosi, stanno venendo al pettine certi nodi che mi ero premurato di pro-spettare a chi di dovere, al momento in cui mi era stato affidato questo incarico”.“C’era uno scenario inquie-tante”, dice Giuseppe Ayala, Pm al maxiprocesso “Non si capiva perché il governo non gli dava i poteri promessi. Lui pressava e loro nicchiavano. Ci fu la netta sensazione che fosse stato mandato in Sicilia e poi abbandonato”.

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I mesi a cavallo del 1991 e il 1992 furono di angoscia, ansia, pau-

ra e preoccupazione per gli abitanti di Zafferana Etnea. Infatti il 16 Dicembre 1991 a quota 2450, da una frattu-ra formatasi precedentemen-te sul versante di Sud-Est, si aprirono due bocche eruttive nei pressi della Montagnola, il cui magma confluì inizial-mente nel grande serbatoio naturale della Valle del Bove. Successivamente la colata la-vica prese un’altra direzione raggiungendo Val Calanna, (a quota 1000, a circa 3 chilome-

L’ERUZIONE DI 20 ANNI FAtri) dal centro abitato. Imme-diatamente scattò l’emergen-za. Fu mobilitata la Prefettura di Catania, la Commissione Grandi Rischi della Protezio-

ne Civile presieduta dal Prof. Franco Barberi, l’Istituto di Vulcanologia di Catania con il Prof. Letteri Villari. Fu in-sediato presso il Comune di

Zafferana il Comitato Ope-rativo Misto. Furono studiati i primi interventi e si decise di costruire un argine di sbar-ramento in Val Calanna, che

fungesse da contenitore per l’avanzata della lava. Per la costruzione furono impiega-ti automezzi, ruspe e camion dell’Esercito, del Comune,

Tratta da: www.sow.forumfree.it

Zafferana

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L’ERUZIONE DI 20 ANNI FAdei Vigili del Fuoco e di qual-che privato. In quel periodo furono particolarmente vicini alla comunità di Zafferana sia le autorità religiose che quelle

politiche. Ricordiamo il Car-dinale Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Palermo, che venne a visitare il fronte lavi-co. L’Arcivescovo di Catania, Luigi Bommarito (che il pri-mo gennaio del 1992 cele-brò presso la Chiesa allestita nella tendopoli) una messa, auspicò il placarsi dell’evento eruttivo. Fra le altre autorità citiamo l’allora ministro del-la Protezione Civile Nicola Capria, il Prefetto Domenico Salazar, l’Assessore Regionale all’Agricoltura Giovanni Bur-tone. Durante l’emergenza si formò spontaneamente un Comitato cittadino che colla-borò con l’Amministrazione Comunale e con le autorità competenti. Durante i primi tre mesi dell’anno Zafferana potè stare tranquilla: i primi interventi ebbero i risultati sperati; grazie all’argine ar-tificiale si riuscì a tampona-re l’avanzata della lava. Ma

improvvisamente l’8 aprile la lava riuscì a superare e ad aggirare il muraglione. Scattò nuovamente l’emergenza.Il Consiglio dei Ministri dichiarò lo stato di emer-genza, attribuendo ampi po-teri al Ministro della Prote-zione Civile. Furono erogati i primi fondi, e furono presi importanti decisioni di inter-vento fra cui la costruzione di piccoli sbarramenti sotto Por-tella Calanna per controllare l’avanzare della lava; l’inter-vento di elicotteri americani per sganciare grossi macigni in cemento armato all’in-gresso del condotto lavico; la predisposizione di un piano di sgombero per il centro abi-tato. Intanto la popolazione allarmata portò in processio-ne la statua della patrona, la Madonna della Provvidenza, affinchè ancora una volta, come già avvenuto duecen-to anni prima, si avverasse il

miracolo. Nel frattempo la colata, scendendo impetuosa, distrusse le prime case colo-niche, i primi boschi e i po-meti. Verso la fine di maggio, fra il 26 e il 29, si riuscì a far tracimare la lava, attraverso l’Operazione Tappo, nel ca-nale artificiale che era stato scavato. Da quel momento Zafferana fu salva in quanto la lava si riversò all’interno nella Valle del Bove.Il 31 Maggio l’emergenza cessò. In tale occasione gli abitanti decisero di erigere a Piano dell’Acqua una stele votiva con la statua della Ma-donna della Provvidenza, che fu poi realizzata in marmo di Carrara da Dino Gualtieri e inaugurata il 13 Novembre 1994. Ogni anno, il primo sabato di giugno, la gente della cittadina vi si reca in pellegrinaggio per ringrazia-re la Vergine per lo scampato pericolo.

NEL 1992 ZAFFE-RANA FU MESSA IN PERICOLO DA UN’ERUZIONE.

GLI INTERVENTI. LA FEDE DELLA POPOLAZIONE. LA CRONACA DI

QUEI GIORNI DRAMMATICI

di Giuseppe Russo

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Quattro domeniche all’insegna dei sa-pori e dei profumi

dell’Etna, dei funghi edella salsiccia, delle castagne e delle pere, dei dolci tipici… e na-turalmente del vino.È questa l’Ottobrata di Zafferana. Ma è anche artigianato, folklore, spettacoli musicali,mostre di pittura, di pietra lavica, e di fotografia.Alla tradizionale “vetrina”, articolata in circa settecento stand, quest’anno si aggiungo-no delle novità che consolida-no questa sagra d’autunno che ogni anno porta nel paesino etneo oltre 500mila visitato-ri: due“varianti” che arric-chiscono uno dei più impor-tanti eventi enogastronomici della Sicilia. Di cosa si trat-ta? “Abbiamo pensato – dice Angelo Di Mauro, presidente dell’Ottobrata – di allargare la manifestazione anche al sa-bato. Come? Attraverso la ga-stronomia (approntata,come sempre, nell’apposito spazio),

e la degustazione di prodotti tipici all’interno dello storico Palazzo municipale. Questo per dare la possibilità ai turi-sti di usufruire di un ‘assaggio’ di Ottobrata anche il giorno prima”. È da diversi anni che a Zafferana si discute di inse-rire il sabato come momento

di preparazione al clou dome-nicale.“E’ un esperimento – spie-ga Di Mauro –, se va bene lo ripeteremo e lo arricchiremo nei prossimi anni”. “Un’altra novità – afferma il presidente– è costituita dalla gestione uni-ca della gastronomia, affidata

a chef professionisti,diplomati alla Scuola alberghiera. Il fine è quello di garantire, a parte la genuinità dei prodotti, una preparazione, un confeziona-mento e un’igiene adeguati alle esigenze dei visitatori non solo italiani, ma anche euro-pei”.

I SAPORI DELL’OTTOBRATA

Zafferana

di Norma Viscusi

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Quella mattina ave-vo oltrepassato il centro abitato di

Bronte e transitavo dalla strada per Randazzo, in ter-ritorio di Maletto. Davanti a me un paesaggio tra i più belli dell’Etna: la campagna incontaminata, dove il po-sto dei pistacchi situati più a

valle, veniva preso dalle viti, dalle querce, e da diverse va-rietà di albero da frutto; una vallata che si perdeva a vista d’occhio, inframezzata qua e là da buoi, da mucche, da pecore, da capre, da pastori che guidavano il pascolo e

L’ANIMA DELVULCANO

UNA PASSEGGIA-TA ALLA RICER-

CA DEI SEGRETI, DELLA CULTURA

E DEI PERSO-NAGGI DELL’ET-NA. “IMPROVVI-SAMENTE FRA BRONTE E MA-

LETTO...”di Luciano Mirone

(Segue nelle pagg. successive)

Foto Giuseppe Mirone

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Ottobre-Novembre 2012 L’Informazione8

(Continua dalla pag. precedente)

da qualche cane che aiutava il padrone a dirigere la man-dria; una vallata che si perde-va ai piedi del vulcano, il qua-le, visto da quaggiù, assume una conformazione diversa rispetto al versante di Nico-losi, che a sua volta ha una conformazione diversa rispet-to a quello di Zafferana e di Linguaglossa. Qui l’Etna ha le sembianze di un massiccio himalayano, pieno di ghiac-ciai e di catene montuose, qui alla fine di agosto, quan-do la terra è arsa dalla calura, quando la sera prende il po-sto del giorno, mentre i co-lori dell’imbrunire “tingono” di arancione l’intera vallata, dalle viscere del terreno si sprigiona una nebbiolina che fa apparire surreale ogni cosa, tutto perde forma e ti sembra di vivere in una dimensione senza tempo.Quella mattina, invece,

mentre transitavo da quel-la strada, vedevo che il sole tiepido inondava la valle e la luce azzurrognola dava forma alle cose, i colori d’autunno addolcivano il paesaggio ca-ratterizzato dal giallo delle stoppie e dal rosso dei ram-picanti. E mentre osservavo tutto questo pensavo: ci sono paesaggi belli, e paesaggi che fanno battere il cuore. Que-sto è un paesaggio che fa battere il cuore. Quando vivi una situazione del genere, succede sempre che di quel luogo vuoi conoscere tutto, la gente, la cultura, gli usi e i costumi, insomma l’essenza. Certo, non si potrà conoscere

tutto, ma intanto senti l’esi-genza di scoprire una parte di quell’anima.Improvvisamente svoltai a destra e mi inoltrai per la campagna, alla ricerca di qualcuno e di qualcosa che ancora non sapevo bene cosa fossero.Trovai un’antica casa contadi-na, dove degli uomini erano intenti a vendemmiare. Rac-coglievano l’uva, l’accatasta-vano nelle ceste e la scarica-vano in un torchio dal quale fuoriusciva del mosto che aveva il colore del sangue. “Cerca qualcuno?”. Non sa-pevo cosa dire. Alla fine decisi di dire che mi trovavo in quel posto perché volevo osservar-lo, volevo conoscere le gente che popolava quella vallata. La gente di queste contrade è particolarmente ospitale, genuina anche. Non ho mai trovato persone di qui arrab-biate o corrucciate per qual-cosa, sempre sorridenti, alle-gre e solari, sempre pronte a

regalarti qualcosa. “Lo vuole un bicchiere di mosto?”, disse il proprietario. L’uomo entrò, prese un bicchiere di vetro e lo riempì del succo d’uva che nel frattempo affluiva dagli scolatoi. Era dolcissimo. Un distillato di uva e di sole, di terra e di muschio appena spremuto dai grappoli che intanto cedevano altro succo sotto la pressione del ferro. Per terra, sotto un’immensa quercia, era distesa una rete sulla quale si depositavano le ghiande, cibo preferito dai maiali. “Abito in campagna”, disse il capociurma. “Lavoro la terra trecentosessantacinque giorni l’anno, non mi posso lamen-tare”. Era un uomo ospita-le. Fece una pausa e pescò un’ispirazione: “Sa che que-sto lavoro non lo cambierei con nessun altro?”.Bastarono questi pochi indizi affinché mi facessi un’idea di ciò che cercavo. Salutai e pro-seguii il cammino.Poco più avanti una masseria. Al centro la casa in pietra lavi-ca. Attorno gli animali. Fuori il proprietario, l’agricoltore Vincenzo Portale, classe 1933, di Maletto, esponente di una civiltà contadina che in que-ste contrade non è cambiata

PASSEGGIANDO SULL’ETNA...

Foto Giuseppe Mirone

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rispetto a cento o trecento anni fa. Portale alleva di tut-to, mucche, capre, pecore, galline, maiali, un mulo e un asino. Coltiva la vite e in que-sto momento sta facendo il vino, mentre nell’aria si sente il suono dei campanoni legati al collo delle vacche. Dentro un pentolone pieno di mosto riscaldato dal fuoco, ci sono alcune essenze per aromatiz-zare il vino: carrube, fichi sec-chi e scorze d’arancia. Appoggiati a un muro, alcuni attrezzi antichi per lavorare la terra. Sembrano usciti da un museo della civiltà contadi-na, invece sono vivi, gli ara-tri di legno e quelli di ferro, Portale li usa ancora, come li usavano i suoi avi tanti secoli fa. “Un aratro lo faccio tira-re dal mulo, l’altro da due buoi. Servono per dissoda-re il terreno. Li ho costruiti con queste mani”. Con quale legno li ha costruiti? Lui in dialetto arcaico risponde: “’U cerru”. “Un cedro?”. “U lignu

va, commu ‘u chiammati? ‘U ruru… Commu ‘u chiam-ma? Un cerru…”. “Cos’è ‘u cerru?” “U ruru. Niautri ‘u chiammammu accussì. ‘U cezzu…, a cerza”. Alla fine scopro che ‘u cerru, ‘u ruru, ‘u cezzu e ‘a cerza, è la quer-cia. Gli aratri, quindi, si fan-no con il legno di quercia. La punta è foderata di ferro e si chiama “massa”, serve a mo-vimentare il terreno. Le altre parti sono “’u rintari” e ’a scocca”, che viene legata agli animali. Posteggiato poco più in là c’è il carretto. “Si lei veni quarchi jurnu, ‘u ‘mpa-iamu cu mulu, nni mintimu chi me niputi ‘lla supra e nni facemu ‘na caminata”. Signor Portale, da quanto tempo lavora in questa cam-pagna? “Na vita. Haju fat-to sempri ‘u contadinu, di quant’havi chi nascìu ‘nfina ad ora. Puru me patri facìa ‘u contadinu e ‘u patri di me patri. Da matina‘nfina ‘a sira. A sidici anni ieva a Regalbu-

tu a metiri ‘u frummentu. ‘U me titulu di studi? Niente, non sacciu leggiri”. Ades-so il vecchio Portale si gira e prende un altro attrezzo: “u balancinu”. È un arnese di ferro: serve a bilanciare il peso quando l’aratro è legato all’animale. Abita qui o al suo paese? “A Malettu. Sempri llà. Partevumu a matina,dui e tri cristiani supra ‘a mula, e turnavumu ‘a sira. Ora vaju e vegnu ca machina. Parlannu cu rispetto, ‘i me figghi non volunu chi caminu ca mula,

si vergognano un pocu. Ma a voli sapiri ‘a virità? Iu non mi vergognu. Mi vergognu se m’attaccunu, se m’arrestu-nu”. Perché non è andato a scuola? “Perché non si putiva, all’epoca erimu poviri. Semu novi figghi, comu si putiva iri ‘a scola?”. Una volta come si viveva in campagna? “Era ‘na vita sacrificata, zoccu capitava ‘nni manguiavumu, un pezz’’i pani e un pocu d’acqua. Poi facivumu a ricotta, all’apertu, ma ora non chiù, a liggi non ‘u permetti”.

PASSEGGIANDO SULL’ETNA...Quadretti

Foto Giuseppe Mirone

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Una nuova pianta di pistacchio che abbia il sapore e la

fragranza del prezioso frut-to di Bronte, anche se coltiva-ta alle calde temperature della Piana di Catania o di qualsia-si altro luogo del mondo. È la sfida lanciata da Salvo ed Enzo Grassia, padre e figlio, titolari dell’omonima ditta di Bronte, da molti anni specia-lizzata nella produzione delle piante di pistacchio. “Cari agrumicoltori sicilia-

ni”, dicono all’unisono, “dato che la coltivazione delle aran-ce non è redditizia come un tempo, perché non provate col pistacchio? Noi l’abbiamo fatto: i risultati sono eccel-lenti”. Soprattutto se si pensa che un chilo di arance lo pa-ghi a 20 centesimi, mentre un chilo di pistacchio a 10 Euro. E se si pensa che un ettaro di superficie, annualmente, può rendere circa 40 quintali di pistacchi essiccati.La filosofia dei Grassia è questa: “In fin dei conti provare non nuoce. E non costa molto. Con pochi sol-di installi delle piantine e in poco tempo vedi i risultati”.Di cosa si tratta? “Finora il pistacchio di Bronte (quello di Bronte, intendiamoci!) è stato possibile coltivarlo sol-tanto nel nostro territorio,

con una raccolta fatta ad anni alterni per non alterare il sa-pore del prezioso frutto”. Secondo la tradizione, infatti, il pistacchio di Bronte vie-ne raccolto ad anni dispari. Un’usanza che si tramanda da padre in figlio e che ha una motivazione logica. A parere degli agricoltori, nell’anno di non raccolta, il terreno e la pianta acquistano quei sali minerali necessari per tra-smettere al frutto quelle qua-lità organolettiche uniche al mondo.“Sarà il terreno, sarà il micro-clima – dicono Enzo e Salvo Grassia –, fatto sta che pistac-chi migliori di questo non ne esistono in tutto il mondo. Dopo anni di prove, di espe-rimenti, di test siamo riusciti a realizzare una pianta au-toctona e resistente al clima

torrido, il cui frutto si può raccogliere sia negli anni pari che negli anni dispari. Questo dà la possibilità ai produttori di abbattere i costi e di gua-dagnare moltissimo, evitan-do l’importazione dall’Iran, dalla Grecia e dagli altri Pa-esi. Perché? Perché nei terreni pianeggianti la manodopera è molto meno costosa rispetto ai terreni lavici e perché ogni anno c’è la possibilità di rac-cogliere”.Ma vediamo come questi due “pionieri” della nuova coltivazione del pistacchio brontese sono riusciti a cre-are la nuova pianta. “Si tratta di un ibrido”, spiegano. “Un ibrido ottenuto dall’incrocio di due portainnesti del pi-stacchio”. È venuto fuori un arbusto con caratteristiche straordinarie.

UNA NUOVA PIANTA CHE RE-SISTE ALLE TEM-PERATURE TOR-

RIDE. A CREARLA ENZO E SALVO GRASSIA. UN

APPELLO: “ALLA PIANA SPIANTA-TE GLI AGRUME-TI E PIANTATE I

PISTACCHI”di Barbara Contrafatto

“Una pianta con porta-mento eretto per favorire la lavorazione meccanizzata, con il vantaggio di una frutti-ficazione molto veloce (circa tre anni) rispetto ai tempi di maturazione della pianta tra-dizionale che per fruttificare impiega oltre un decennio”.Tutto qui? “Assolutamente

no. La nuova coltura è resi-stente a molte malattie (com-preso il ‘marciume radicale’) ed è idonea a stanziarsi nei terreni irrigui come quelli della Piana di Catania”. Possiamo considerarla una svolta? “Certamente. Non ci saremmo spinti a fare simili dichiarazioni. La nostra ditta

produce piante di pistacchio da sempre, se siamo arrivati a questo punto lo dobbiamo alla nostra serietà, alla nostra tenacia e alla nostra volontà di migliorarci. La nuova pianta di pistacchio è il risultato di tanti anni di lavoro per poter dare una svolta all’agricoltura siciliana”.

LA “RIVOLUZIONE” DEL PISTACCHIO DI BRONTEFoto a sin.: Enzo e Salvo Grassia in una piantagione di pistacchio colti-vata in pianura. In alto: impianto di irrigazione di pistacchi. In basso a sinistra: Enzo e Salvo Grassia nel loro vivaio di Bronte.

Periodico di attualità, varietà, sport e costume

L’Informazione

Direttore responsabileLuciano [email protected]

Hanno collaboratoBarbara ContrafattoAngelo ContiNorma Viscusi

Progetto graficoLuciano Mirone

FotoGiuseppe MironeArchivio L’Informazione

Impaginazione e StampaTipolitografia TMvia Nino Martoglio, 93Santa Venerina (CT)Tel. 095 [email protected]

Sede: via Fiume, 153 - Belpasso (CT)Tel. 095 917819 - 347 [email protected]

Registrazione del Tribunale di Catanian. 10/2000 dell’11/04/2000

L’Informazione è presente a:Catania, Acireale, Adrano,Belpasso, Biancavilla, Bronte, Giarre, Motta S. Anastasia,Nicolosi, Paternò, Pedara,Ragalna, S.M. Licodia, Santa Venerina, Trecastagni,Zafferana Etnea.

Bronte

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Una nuova pianta di pistacchio che abbia il sapore e la

fragranza del prezioso frut-to di Bronte, anche se coltiva-ta alle calde temperature della Piana di Catania o di qualsia-si altro luogo del mondo. È la sfida lanciata da Salvo ed Enzo Grassia, padre e figlio, titolari dell’omonima ditta di Bronte, da molti anni specia-lizzata nella produzione delle piante di pistacchio. “Cari agrumicoltori sicilia-

ni”, dicono all’unisono, “dato che la coltivazione delle aran-ce non è redditizia come un tempo, perché non provate col pistacchio? Noi l’abbiamo fatto: i risultati sono eccel-lenti”. Soprattutto se si pensa che un chilo di arance lo pa-ghi a 20 centesimi, mentre un chilo di pistacchio a 10 Euro. E se si pensa che un ettaro di superficie, annualmente, può rendere circa 40 quintali di pistacchi essiccati.La filosofia dei Grassia è questa: “In fin dei conti provare non nuoce. E non costa molto. Con pochi sol-di installi delle piantine e in poco tempo vedi i risultati”.Di cosa si tratta? “Finora il pistacchio di Bronte (quello di Bronte, intendiamoci!) è stato possibile coltivarlo sol-tanto nel nostro territorio,

con una raccolta fatta ad anni alterni per non alterare il sa-pore del prezioso frutto”. Secondo la tradizione, infatti, il pistacchio di Bronte vie-ne raccolto ad anni dispari. Un’usanza che si tramanda da padre in figlio e che ha una motivazione logica. A parere degli agricoltori, nell’anno di non raccolta, il terreno e la pianta acquistano quei sali minerali necessari per tra-smettere al frutto quelle qua-lità organolettiche uniche al mondo.“Sarà il terreno, sarà il micro-clima – dicono Enzo e Salvo Grassia –, fatto sta che pistac-chi migliori di questo non ne esistono in tutto il mondo. Dopo anni di prove, di espe-rimenti, di test siamo riusciti a realizzare una pianta au-toctona e resistente al clima

torrido, il cui frutto si può raccogliere sia negli anni pari che negli anni dispari. Questo dà la possibilità ai produttori di abbattere i costi e di gua-dagnare moltissimo, evitan-do l’importazione dall’Iran, dalla Grecia e dagli altri Pa-esi. Perché? Perché nei terreni pianeggianti la manodopera è molto meno costosa rispetto ai terreni lavici e perché ogni anno c’è la possibilità di rac-cogliere”.Ma vediamo come questi due “pionieri” della nuova coltivazione del pistacchio brontese sono riusciti a cre-are la nuova pianta. “Si tratta di un ibrido”, spiegano. “Un ibrido ottenuto dall’incrocio di due portainnesti del pi-stacchio”. È venuto fuori un arbusto con caratteristiche straordinarie.

UNA NUOVA PIANTA CHE RE-SISTE ALLE TEM-PERATURE TOR-

RIDE. A CREARLA ENZO E SALVO GRASSIA. UN

APPELLO: “ALLA PIANA SPIANTA-TE GLI AGRUME-TI E PIANTATE I

PISTACCHI”di Barbara Contrafatto

“Una pianta con porta-mento eretto per favorire la lavorazione meccanizzata, con il vantaggio di una frutti-ficazione molto veloce (circa tre anni) rispetto ai tempi di maturazione della pianta tra-dizionale che per fruttificare impiega oltre un decennio”.Tutto qui? “Assolutamente

no. La nuova coltura è resi-stente a molte malattie (com-preso il ‘marciume radicale’) ed è idonea a stanziarsi nei terreni irrigui come quelli della Piana di Catania”. Possiamo considerarla una svolta? “Certamente. Non ci saremmo spinti a fare simili dichiarazioni. La nostra ditta

produce piante di pistacchio da sempre, se siamo arrivati a questo punto lo dobbiamo alla nostra serietà, alla nostra tenacia e alla nostra volontà di migliorarci. La nuova pianta di pistacchio è il risultato di tanti anni di lavoro per poter dare una svolta all’agricoltura siciliana”.

LA “RIVOLUZIONE” DEL PISTACCHIO DI BRONTEFoto a sin.: Enzo e Salvo Grassia in una piantagione di pistacchio colti-vata in pianura. In alto: impianto di irrigazione di pistacchi. In basso a sinistra: Enzo e Salvo Grassia nel loro vivaio di Bronte.

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Bronte

Foto Giuseppe Mirone

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Ottobre-Novembre 2012 L’Informazione12

“OLTRE” PETER PANNon è Peter Pan, è ol-

tre. Non è un folle, è oltre. Non è una per-

sona geniale, è oltre. È Ignazio Barbagallo, un “bambino” di quasi cinquant’anni che gioca con la vita e si diverte a pren-derla in giro. Se vedi un tizio che durante una festa in ma-schera (naturalmente organiz-zata da lui, non a carnevale, ma in piena estate) sale a bordo di una macchina e si catapulta a mare con tutta la macchina, è lui, Ignazio Barbagallo. Se vedi un tizio dentro una bara, con le mani incrociate e il ro-sario tra le dita, e un gruppo di persone che piange, è lui, Ignazio Barbagallo. Se vedi un tizio vestito da prete che con-fessa le vecchiette di Acireale, è lui, Ignazio Barbagallo. Lui in carne e ossa, la fantasia che supera la realtà, la vita che di-venta un eterno carnevale, il colore che ravviva il grigiore

quotidiano. Ma anche se ti ca-pita di guardare su “You tube” L’uomo che sussurrava alle gal-line, Quattro matrimoni e un verbale, Il discorso di fine d’an-no del Presidente Emerito, è senz’altro lui.Ignazio Barbagallo vive ai piedi dell’Etna, nella bella azienda agricola “Blandano” ereditata dai genitori. Una struttura di inizio Ottocento col palmento, la jistenna in pietra lavica, la casa col pavi-mento in cotto, le volte affre-scate, e tanti galli miniaturiz-zati che raffigurano lo stemma di famiglia. Ignazio è famoso anche per

le sedici macchine – specie le Fiat Seicento e le Seicento Multiple – che, assieme all’ex moglie Giovanna, si diverte a dipingere: scene che lui stesso definisce “porno comiche”. I lettori devono perdonare il linguaggio un po’ scurrile di questo articolo, ma non si può pubblicare un’intervista ad Ignazio Barbagallo prescin-dendo dal suo modo colorito di esprimersi. E allora partiamo da una di queste macchine. L’urlo di Tarzan. Raffigurato sulla fian-cata di un furgoncino, Tarzan sulla liana. Aggrappata agli attributi di Tarzan c’è Jane:

“Tarzan pottimi ‘a casa”. E lui che urla: “A ceeeeeedda…”. Il tenore dei dipinti raffigurati nelle altre auto è, più o meno, questo.Ora immaginate un corteo di macchine così durante un matrimonio, di notte, in via Etnea, a Catania. A bordo, un esercito variopinto di gen-te che canta, che suona, che fa buddellu. Traffico bloccato, gente impazzita, a un certo punto arriva la polizia a sirene spiegate. Documenti. Ignazio Barbagallo esibisce patente e libretto. In questura, lei e i suoi amici. Il matrimonio è falso, lo sposo e la sposa sono dei single quarantenni, falsi anche loro, falsi i costumi, fal-si i testimoni, falsi gli invitati, tutti impenitenti giocherelloni che sembrano usciti dal film Amici miei. Tutto inventato da quel matto di Ignazio per passare una notte folle a Cata-

nia. Diecimila Euro di multa per schiamazzi notturni. E ora ‘cchi facemu? Fortunatamente c’è l’avvocato che salva la si-tuazione. “La mia fortuna – dice – è di essere amico di un legale che mi evita di farimi fari minchiate. I magistrati mi conoscono, non mi mandano sotto processo, sanno che fini-rebbe a farsa”.Ora immaginate questo cin-quantenne brevilineo, con un fisico da ventenne, il quale, dopo aver calcato i campi di calcio di mezza Sicilia – tra gli altri, Acireale e Paternò in serie D –, continua a giocare in Promozione col Santa Ve-nerina, immaginate mentre inframezza i suoi allenamenti quotidiani con la sua vita da contadino, la potatura della vite, la ‘nsuffarata delle foglie, la raccolta delle olive, la siste-

LE FOLLIE DI IGNAZIO BARBA-

GALLO, FAMO-SO PER I SUOI

SCHERZI E PER LE SUE MACCHI-NE FANTASMA-

GORICHEdi Luciano Mirone

mazione del palmento, la rac-colta delle uova, la cura delle galline, delle capre, degli asi-ni, dei tacchini, dei maiali, dei pavoni, dei gatti e di un sacco di altri animali che ci sono in azienda. E immaginate come una persona del genere viva in assoluta sintonia con lo scher-zo. “Ho una mia orchestra, la Stamu fitennu band, un corteo colorato che segue gli sposi all’insegna dell’allegria e del bordello più assoluto. Da tempo mi chiedono di fare questi spettacoli a pagamento, ma non se ne parla assoluta-mente, diventerebbe un lavo-ro, non mi divertirei, finirebbe ‘u bellu. Coinvolgo un sacco di amici, mi aiutano a fare i costumi, a saldare, a costruire macchine, cappelli, mantelli. In quei giorni si ferma tutto, ci perdo un bel po’ di soldi, ma ci divertiamo”. “Questa casa è stata costrui-ta dai miei avi. La mia fami-glia paterna è di Viagrande, mio padre era un docente di Chimica all’Università di Ca-tania, uno degli enologi più

bravi della Sicilia. Mio nonno materno, Ettore Giuffrida, era un famoso otorino”. “Io, pur essendo laureato in Agraria, non ho seguito le orme di famiglia. Ho avuto sempre la passione per il lavo-ro in campagna. Produco vino ma bevo pochissimo, non sono neanche un fumatore. Sono un grande appassionato della coltivazione della vite, ma sempre a modo mio, non rispetto canoni, regole, coltivo in base al tempo, al mio istin-to, agli scherzi che devo fare. Non mi affido a un enologo. In azienda vengono ogni gior-no scolaresche in visita per assistere al ciclo della vendem-mia, per vedere gli animali e il modo di lavorare la terra”. “A un certo punto della mia vita mi sposai. Io? Sposar-mi? In verità non volevo, Gio-vanna sì. Posi una condizione: ‘Mi sposo in Chiesa solo se facciamo uno scherzo’. In un primo momento lei accettò, quando seppe dello scherzo s’arricaccàu. Qual era lo scher-zo? Dovevamo uscire dalla chiesa e salire in Vespa com-

pletamente nudi. Alla fine ci sposammo in municipio”.“Spesso mi chiedono: Ignazio, come sei riuscito a sposarti? La domanda andrebbe po-sta diversamente: com’è che Giovanna è riuscita a stare quattro anni con te? In realtà la mia ex moglie proviene da una famiglia più pazza di me, l’unico lucido ero io, venivo considerato quasi noioso. Lei è normale, da quando è nato nostro figlio è diventata molto matura, sono io ad essere ri-masto uguale”. “Adesso sto progettando una struttura, il Grande Museo della Stupidità: dentro ci metterò di tutto, le macchine dipinte, le invenzioni più stra-ne, gli scherzi più pazzeschi, e poi i costumi, i manichini, i video. Lo farò gestire ai miei adepti. Sì, lo confesso, ho de-gli adepti di un certo livello mentale, ballerini pazzi, can-tanti streusi, insomma gente un pochettino disturbata però simpaticissima. Chi entra al Museo non paga; viene pa-gato da me, 20 centesimi a persona”.

Personaggi

Foto Giuseppe Mirone Foto Giuseppe Mirone Foto Giuseppe Mirone

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Ottobre-Novembre 2012L’Informazione 13

“OLTRE” PETER PANNon è Peter Pan, è ol-

tre. Non è un folle, è oltre. Non è una per-

sona geniale, è oltre. È Ignazio Barbagallo, un “bambino” di quasi cinquant’anni che gioca con la vita e si diverte a pren-derla in giro. Se vedi un tizio che durante una festa in ma-schera (naturalmente organiz-zata da lui, non a carnevale, ma in piena estate) sale a bordo di una macchina e si catapulta a mare con tutta la macchina, è lui, Ignazio Barbagallo. Se vedi un tizio dentro una bara, con le mani incrociate e il ro-sario tra le dita, e un gruppo di persone che piange, è lui, Ignazio Barbagallo. Se vedi un tizio vestito da prete che con-fessa le vecchiette di Acireale, è lui, Ignazio Barbagallo. Lui in carne e ossa, la fantasia che supera la realtà, la vita che di-venta un eterno carnevale, il colore che ravviva il grigiore

quotidiano. Ma anche se ti ca-pita di guardare su “You tube” L’uomo che sussurrava alle gal-line, Quattro matrimoni e un verbale, Il discorso di fine d’an-no del Presidente Emerito, è senz’altro lui.Ignazio Barbagallo vive ai piedi dell’Etna, nella bella azienda agricola “Blandano” ereditata dai genitori. Una struttura di inizio Ottocento col palmento, la jistenna in pietra lavica, la casa col pavi-mento in cotto, le volte affre-scate, e tanti galli miniaturiz-zati che raffigurano lo stemma di famiglia. Ignazio è famoso anche per

le sedici macchine – specie le Fiat Seicento e le Seicento Multiple – che, assieme all’ex moglie Giovanna, si diverte a dipingere: scene che lui stesso definisce “porno comiche”. I lettori devono perdonare il linguaggio un po’ scurrile di questo articolo, ma non si può pubblicare un’intervista ad Ignazio Barbagallo prescin-dendo dal suo modo colorito di esprimersi. E allora partiamo da una di queste macchine. L’urlo di Tarzan. Raffigurato sulla fian-cata di un furgoncino, Tarzan sulla liana. Aggrappata agli attributi di Tarzan c’è Jane:

“Tarzan pottimi ‘a casa”. E lui che urla: “A ceeeeeedda…”. Il tenore dei dipinti raffigurati nelle altre auto è, più o meno, questo.Ora immaginate un corteo di macchine così durante un matrimonio, di notte, in via Etnea, a Catania. A bordo, un esercito variopinto di gen-te che canta, che suona, che fa buddellu. Traffico bloccato, gente impazzita, a un certo punto arriva la polizia a sirene spiegate. Documenti. Ignazio Barbagallo esibisce patente e libretto. In questura, lei e i suoi amici. Il matrimonio è falso, lo sposo e la sposa sono dei single quarantenni, falsi anche loro, falsi i costumi, fal-si i testimoni, falsi gli invitati, tutti impenitenti giocherelloni che sembrano usciti dal film Amici miei. Tutto inventato da quel matto di Ignazio per passare una notte folle a Cata-

nia. Diecimila Euro di multa per schiamazzi notturni. E ora ‘cchi facemu? Fortunatamente c’è l’avvocato che salva la si-tuazione. “La mia fortuna – dice – è di essere amico di un legale che mi evita di farimi fari minchiate. I magistrati mi conoscono, non mi mandano sotto processo, sanno che fini-rebbe a farsa”.Ora immaginate questo cin-quantenne brevilineo, con un fisico da ventenne, il quale, dopo aver calcato i campi di calcio di mezza Sicilia – tra gli altri, Acireale e Paternò in serie D –, continua a giocare in Promozione col Santa Ve-nerina, immaginate mentre inframezza i suoi allenamenti quotidiani con la sua vita da contadino, la potatura della vite, la ‘nsuffarata delle foglie, la raccolta delle olive, la siste-

LE FOLLIE DI IGNAZIO BARBA-

GALLO, FAMO-SO PER I SUOI

SCHERZI E PER LE SUE MACCHI-NE FANTASMA-

GORICHEdi Luciano Mirone

mazione del palmento, la rac-colta delle uova, la cura delle galline, delle capre, degli asi-ni, dei tacchini, dei maiali, dei pavoni, dei gatti e di un sacco di altri animali che ci sono in azienda. E immaginate come una persona del genere viva in assoluta sintonia con lo scher-zo. “Ho una mia orchestra, la Stamu fitennu band, un corteo colorato che segue gli sposi all’insegna dell’allegria e del bordello più assoluto. Da tempo mi chiedono di fare questi spettacoli a pagamento, ma non se ne parla assoluta-mente, diventerebbe un lavo-ro, non mi divertirei, finirebbe ‘u bellu. Coinvolgo un sacco di amici, mi aiutano a fare i costumi, a saldare, a costruire macchine, cappelli, mantelli. In quei giorni si ferma tutto, ci perdo un bel po’ di soldi, ma ci divertiamo”. “Questa casa è stata costrui-ta dai miei avi. La mia fami-glia paterna è di Viagrande, mio padre era un docente di Chimica all’Università di Ca-tania, uno degli enologi più

bravi della Sicilia. Mio nonno materno, Ettore Giuffrida, era un famoso otorino”. “Io, pur essendo laureato in Agraria, non ho seguito le orme di famiglia. Ho avuto sempre la passione per il lavo-ro in campagna. Produco vino ma bevo pochissimo, non sono neanche un fumatore. Sono un grande appassionato della coltivazione della vite, ma sempre a modo mio, non rispetto canoni, regole, coltivo in base al tempo, al mio istin-to, agli scherzi che devo fare. Non mi affido a un enologo. In azienda vengono ogni gior-no scolaresche in visita per assistere al ciclo della vendem-mia, per vedere gli animali e il modo di lavorare la terra”. “A un certo punto della mia vita mi sposai. Io? Sposar-mi? In verità non volevo, Gio-vanna sì. Posi una condizione: ‘Mi sposo in Chiesa solo se facciamo uno scherzo’. In un primo momento lei accettò, quando seppe dello scherzo s’arricaccàu. Qual era lo scher-zo? Dovevamo uscire dalla chiesa e salire in Vespa com-

pletamente nudi. Alla fine ci sposammo in municipio”.“Spesso mi chiedono: Ignazio, come sei riuscito a sposarti? La domanda andrebbe po-sta diversamente: com’è che Giovanna è riuscita a stare quattro anni con te? In realtà la mia ex moglie proviene da una famiglia più pazza di me, l’unico lucido ero io, venivo considerato quasi noioso. Lei è normale, da quando è nato nostro figlio è diventata molto matura, sono io ad essere ri-masto uguale”. “Adesso sto progettando una struttura, il Grande Museo della Stupidità: dentro ci metterò di tutto, le macchine dipinte, le invenzioni più stra-ne, gli scherzi più pazzeschi, e poi i costumi, i manichini, i video. Lo farò gestire ai miei adepti. Sì, lo confesso, ho de-gli adepti di un certo livello mentale, ballerini pazzi, can-tanti streusi, insomma gente un pochettino disturbata però simpaticissima. Chi entra al Museo non paga; viene pa-gato da me, 20 centesimi a persona”.

Personaggi

Foto Giuseppe Mirone Foto Giuseppe Mirone Foto Giuseppe Mirone

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Ottobre-Novembre 2012 L’Informazione14

il glutine, pur avendo molti problemi”.L’intolleranza al glutine è connessa alle abitudini ali-mentari di oggi?“E’ una situazione che si è evidenziata grazie a studi recenti. Un esame per un paziente affetto da celiachia, come detto, può dare risul-tati negativi in merito all’in-tolleranza al glutine. Oggi si è capito che la ‘glutensensiti-vity’ riguarda almeno il 6 per cento della popolazione su scala mondiale. Purtroppo oggi siamo molto indietro sullo studio della celiachia, che viene riconosciuta come malattia rara”. Il glutine in quali alimenti è contenuto?“Nel grano, nell’avena enell’orzo. È una molecola molto resistente: la collosi-tà e l’elasticità della mollica di pane è dovuta al glutine. Preparando il pane con fa-rina senza glutine si ha una maggiore sfarinatura della mollica”.Esiste una dieta per limita-re i danni?

“Oggi ci sono pizzerie e ri-storanti pronti ad affronta-re questo problema. Basta eliminare il glutine e molti sintomi si risolvono. Ov-viamente non è consigliato il fai da te. Bisogna andare sempre dal medico. Occorre necessariamente dimostrare che l’assunzione del glutine è responsabile della sinto-matologia. E questo si fa at-traverso la medicina basata sull’evidenza”.Se una persona ha dei sin-tomi come quelli descritti, cosa deve fare?“Una visita specialistica in quanto non tutti i casi sono uguali. Ci sono soggetti che presentano lievi disturbi, al-tri che presentano disturbi più complessi. È necessaria una visita clinica, quindi un percorso diagnostico che si chiude con una diagnosi e con delle decisioni cliniche che possono essere di natu-ra farmacologica o dietetica. Grazie all’Irma si possono eseguire delle analisi impor-tanti senza ricorrere ad inva-sive indagini endoscopiche”.

come degli oppioidi, produ-cendo malesseri di vario tipo a un soggetto ignaro, il quale si sottopone agli esami per la celiachia, che risultano ne-gativi. L’Irma dà la possibi-lità di effettuare dei percorsi diagnostici molto innovativi che il più delle volte risolvo-no questi problemi”.Che differenza c’è fra la celiachia e l’intolleranza al glutine?“La celiachia è caratterizza-ta da un’atrofia dei villi, per cui il soggetto va incontro a una serie di disturbi legati prevalentemente al cattivo assorbimento dei nutrienti, quindi ha magrezza, diarrea, osteoporosi e tante altre pa-tologie del sistema immuni-tario, compreso il rischio più elevato di linfomi intestinali. Nella ‘glutensensitivity’ non c’è nulla di tutto ciò: i villi sono perfettamente normali, il soggetto che fa un’esofago-gastro-duodeno-scopia non evidenzia particolari patolo-gie, quindi spesso viene clas-sificato ‘negativo’ per celia-chia e continua a consumare

Recentemente presso l’Istituto ricerche medico ambientale

di Acireale (Irma) si è svol-to un importante convegno sulla Sindrome da ipersensi-bilità chimica multipla, con relatori prestigiosi come il prof. Ottaviano Tapparo di Monaco di Baviera e il prof. Fiorenzo Marinelli del Cnr di Bologna, grande esperto di onde elettromagnetiche. Nell’ambito del Convegno, l’Irma ha presentato i dati relativi alla ‘Glutensensiti-vity’, i quali dimostrano gli effetti del glutine in alcuni soggetti. “Abbiamo diversi casi di pa-tologia da glutine non stret-tamente correlati alla celia-chia”.Il prof. Giovanni Tringali, direttore dell’Irma di Acirea-le, è lapidario. “I sintomi da glutine – dice – sono i più svariati, dalla sonnolenza alla cefalea, dall’emicrania alla depressione, dalla depres-sione post parto alle colon-patie. La gluteomorfina a la caseomorfina si comportano

L’INTOLLERANZA AL GLUTINEIl prof. Giovanni Tringali parla di una delle patologie dell’era moderna. Le cause e le cure.

L’Irma di Acireale punto di riferimento per una diagnosi efficace e per lo studio delle allergopatie

Medicina

Nella foto da sinistra: la presidente regionale Anna Maria Scollo e nazionale Francesca Orlando dell’associazione “Amica”, la ricercatrice Chiara De Luca dell’Idi di Roma, la relatrice Angela Stiro dello Iom, il direttore scientifico dell’Irma. Giovanni Tringali, il ricercatore Fiorenzo Marinelli dell’IGM-CNR di Bologna e il Clinico di Monaco Ottaviano Tapparo esperto in ipersensibilità ambientale. Foto a destra: il prof. Giovanni Tringali, direttore dell’Irma

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Ottobre-Novembre 2012L’Informazione 15

Socio BIOSISTEMA s.c.r.l. BIONETWORK

ISTITUTO ISCRITTO ALL’ALBO NAZIONELE DEI LABORATORI DI RICERCA – Decreto MIUR n° 1417 GU n° 160 del 12/07/05 Progetto “Bionetwork” realizzato con il cofinanziamento dell’Unione Europea e dello Stato Italiano [decreto n° 1765/ric. del 19/22/2007 – Fondo per lo Sviluppo Regionale (FESR), Fondo Sociale Europeo (FSE) e Fondo di Rotazione (FDR)],

POLIAMBULATORIO: ALLERGOLOGIA, ANGIOLOGIA, ENDOCRINOLOGIA, DIABETOLOGIA, EMATOLOGIA, GINECOLOGIA, GENETICA, NEUROLOGIA, TRATTAMENTO OBESITA’ ED ENTEROPATIE, ECOGRAFIE.

94 agg. 01.12.2011- Gli esami specialistici dell’I.R.M.A. consentono di ridurre le indagini invasive.

Se spesso si assumono antiacidi o sono presenti fastidiosi disturbi dopo i pasti, è probabile che si tratti di una sindrome dispeptica. In tal caso non è preoccupante ma occorre porre una diagnosi sicura. Finora il solo test diagnostico disponibile è la gastroscopia, che si effettua introducendo nello stomaco, attraverso la bocca o il naso, un tubo sottile e flessibile con all’estremità una piccola telecamera che consente al medico di osservare l’interno dello stomaco. Il GastroPanel è un esame non invasivo che tramite prelievo di sangue fornisce informazioni sullo stato della mucosa gastrica evitando in prima istanza la gastroscopia.

La calprotectina fecale è un ottimo indice di infiammazione intestinale e qualora associata a SAA, IgA, IgG ASCA, IgA e IgG AGA, ricerca immunologica del sangue occulto nelle feci, consente in prima istanza di poter evitare la colonscopia.

Il PCA3 è un nuovo esame di oncologia molecolare che consente di ridurre in circa il 70% dei casi riduce la biopsia prostatica. L’I.R.M.A. è l’unico Istituto Clinico-Diagnostico che lo effettua in Sicilia Orientale.

Infine la flussocitometria tramite test su basofili e linfociti consente di evitare il ricovero ospedaliero effettuando in modo sicuro e affidabile gli esami per valutare le farmacosensibilizzazioni che possono indurre pericolose reazioni anafilattiche. N.B. in caso di sospetta neoplasia le indagini endoscopiche devono essere effettuate.

LE PRESTAZIONI DELL’IRMAMedicina

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