Opuscolo sulle dipendenze patologiche

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ATTI DEL CONVEGNO

EDIZIONI

mondiversi

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ASP Cosenza - Ser.T. di CoriglianoVia Stevenson - Corigliano CalabroTel. 0983/885294

Comune di Corigliano CalabroSettore Servizi SocialiVia Ariella - Tel. 0983/81906

Associazione di Promozione SocialeMondiversi OnlusVia Machiavelli (Centro di Eccellenza) - Tel. 0983/885582www.mondiversi.it

Foto Copertina: Gaia Reale

Grafica: Giovanni Orlando

Finito di stampare nel settembre 2010 presso la Tipografia TecnostampaLargo Deledda - Tel. 0983.88530787064 Corigliano Calabro (Cs)

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INDICE

PREMESSA ......................................................................... pag. 7

RELAZIONE SULLA PREVENZIONE PRIMARIADELLE DIPENDENZE ............................................................» 9

LA PREVENZIONE PRIMARIA NEL SISTEMA INTEGRATO DEI SERVIZI SOCIALI DEGLI ENTI LOCALI .........................» 14

LA DIFFUCSIONE DELLE SOSTANZE DI ABUSO NEL LUOGO DEL LAVORO E PREVENZIONE .....................» 18

IL FENOMENO DELLA TOSSICODIPENDENZANELLA PROVINCIA DI COSENZA E NEL TERRITORIODELLA SIBARITIDE ..............................................................» 20

RELAZIONE ILLUSTRATIVA DEI DATI RELATIVI ALLAPRIMA ANNUALITÀ DEL CENTRO DI ECCELLENZA ..........» 31

GLI INTERVENTI PREVENZIONE DELLE DIPENDENZEPATOLOGICHE DEL PROGETTO “SISTEMA” ......................» 35

LA PREVENZIONE E LA SCUOLA ........................................» 37

LA PREVENZIONE: IL PUNTO DI VISTA DEL SERVIZIO PER LE TOSSICODIPENDENZE ............................................» 40

CONSUMO DI ALCOOL TRA I GIOVANI ...........................» 43

I PROGETTI DI PREVENZIONE SOCIALE E SANITARIA NEL CONTESTO SOCIALE .............................» 46

APPENDICE .........................................................................» 48

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PREMESSA

Gli atti qui pubblicati si riferiscono alle relazioni presentate ed agli in-terventi svolti al Corso di Aggiornamento dal titolo “Sulla Prevenzione delle Dipendenze Patologiche”, tenutosi nella sala convegni del Cen-

tro di Eccellenza per il Sociale di Corigliano Calabro il 26 febbraio 2010.Si ringrazia i relatori per la collaborazione e la professionalità mostrata e per avere con puntualità rispettato gli impegni per la buona riuscita del Corso.Si ringraziano i partecipanti per avere seguito con attenzione lo svolgimento del Corso; con l’augurio che anche questa pubblicazione possa essere da sti-molo ad applicare nelle loro attività i suggerimenti e gli imput pervenuti.Ci si auspica, inoltre, che gli atti risultino un documento utile per chi voglia ap-profondire i temi delle dipendenze patologiche e della prevenzione, conoscere la diffusione della tossicodipendenza e dell’alcoldipendenza nella Sibaritide, apprendere da alcuni esempi degli interventi e delle metodologie adottate per contrastare il fenomeno della diffusione delle droghe.Un sentito grazie, infine, al comune di Corigliano Calabro per avere consentito e cofinanziato l’iniziativa, all’ASP di Cosenza per la collaborazione costante tramite il Ser.T. di Corigliano nella gestione delle attività del progetto di Lotta alla droga “SISTEMA”, all’Albo Regionale degli Psicologi per il suo contributo e per avere voluto patrocinare l’evento.

Antonio Gioiello Presidente Associazione Mondiversi Onlus

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RELAZIONE SULLA PREVENZIONEPRIMARIA DELLE DIPENDENZE

di Antonio Gioiello(Psicologo-psicoterapeuta - ASP Cosenza - Presidente Associazione Mondiversi)

Scopo primario del convegno di oggi è quello di centrare l’attenzione sulla prevenzione delle dipendenze patologiche: cos’è? Come deve essere fat-ta? Che tipo di esito può avere?

Il mio intervento verte su quelle che devono essere le caratteristiche di un pro-gramma di prevenzione e quali principi esso debba seguire.In medicina la prevenzione è distinta fondamentalmente in tre livelli. La prevenzione primaria, che ha come fine quello di impedire che le persone si ammalino; la prevenzione secondaria, che interviene nel momento in cui un fenomeno è agli inizi del suo manifestarsi, con l’obiettivo di interromperlo ed evitare che possa evolversi e la prevenzione terziaria, che interviene quando il fenomeno patologico si è già manifestato e tenta, quindi, di curarlo. In ambito sociale, quando si parla di prevenzione si fa riferimento soprattutto a quella di tipo primario. Cioè sulla messa in atto di programmi e progetti che hanno come obiettivo “quello di impedire che le persone si ammalino”.Le dipendenze sono di diverso genere e non sono connesse solo all’assunzione e all’abuso di droghe o di alcolici, ma anche ad altri comportamenti dannosi, come la dipendenza dal gioco d’azzardo, dalla televisione o da internet. Que-ste appena menzionate sono solo alcune delle dipendenze più diffuse; e tra esse possiamo facilmente notare che solo le droghe sono considerate illegali, tutte le altre dipendenze sono legate a sostanze o atteggiamenti che nessuno vieta o penalizza, anzi in molti casi sono addirittura pubblicizzati. Si è creato così un enorme paradosso: mentre in tutti gli Stati l’azione di prevenzione delle dipendenze si fonda sul principio della “riduzione della domanda”, i mass me-dia sono impegnati abbondantemente nella propaganda di marche di sigarette, di alcoolici e ancor di più, specie negli ultimi anni, nella pubblicizzazione del gioco d’azzardo. Un fenomeno sempre più dilagante quest’ultimo, testimonia-to dalla presenza di innumerevoli sale da gioco o scommesse, nate negli ultimi anni un po’ ovunque. Ma quand’è che un atteggiamento manifesta i caratteri della dipendenza pato-logica? Vi sono diverse metodologie sulle quali ci si basa nell’individuazione delle dipendenze. La più diffusa è quella del DSM IV, il manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali. Tale manuale si fonda sulla presenza o assenza di alcuni sintomi, in base ai quali si può diagnosticare o meno una persona come dipendente. Alcuni tra questi sintomi sono:

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- la tolleranza, ovvero la necessità di un individuo di aumentare il livello di assunzione di una sostanza o di elevare il numero di ore che dedica ad una determinata attività dannosa;

- l'astinenza, ovvero il manifestarsi nell'individuo, di ripercussioni fisiche e/o mentali, quando la sostanza o il comportamento a cui è dedito, vengono a mancargli;

- la presenza di un desiderio persistente, accompagnato da tentativi infruttuo-si di indursi a non assumere determinati atteggiamenti o sostanze;

- il dedicare molto tempo ad attività volte alla ricerca della sostanza o al com-portamento di tipo dipendente;

- la riduzione o l'interruzione di attività e relazioni sociali, a causa di atteg-giamenti di tipo dipendente;

- il persistere nel proprio dannoso comportamento, malgrado ci si renda con-to che è deleterio.

Secondo il DSM IV, se un soggetto presenta tre di questi sintomi contestual-mente, ci si trova dinanzi ad un caso di dipendenza patologica. Chi opera nel sociale e nel campo della psicologia, trova scarsa soddisfazio-ne nella definizione offerta dal DSM IV, poiché non si interessa affatto della comprensione del fenomeno, ma dà un tipo di classificazione prettamente ca-tegoriale, che descrive ma non spiega. Pertanto, ho preferito cercare un’altra definizione di dipendenza patologica, trovando nel pensiero del dottor Paolo Rigliano quella che, secondo me, si avvicina di più alla realtà del soggetto in condizione di dipendenza patologica. In un suo scritto, Rigliano afferma “ogni dipendenza è volta a realizzare una nuova identità. Una forma di sé migliore, nella quale il soggetto si sente come potente e felice. In questa nuova identità, la dipendenza lo riscatta, perchè gli garantisce un’altra dimensione dell’essere, una sorta di Io-Ideale, al quale il soggetto non era mai riuscito ad arrivare prima di assumere una sostanza o un atteggiamento preciso. In definitiva, chi inizia ad assumere atteggiamenti di dipendenza, lo fa perchè trova in quel compor-tamento o nell’assunzione di una determinata sostanza, una nuova identità che gli appare migliore rispetto a quella che vive nella sua realtà quotidiana”. Questo punto di vista, a mio parere, fa comprendere meglio il senso e il signifi-cato della dipendenza. Molto spesso, infatti, ci si domanda come possa essere possibile che una persona, pur rendendosi conto di assumere atteggiamenti dannosi per sé e per la sua famiglia, perseveri nel suo fare. Il concetto espresso dal dottor Rigliano ci aiuta a comprenderne la ragione; indirizzandoci verso i motivi di fondo che spingono un soggetto a farsi del male in maniera consape-vole: la ricerca di un Io-Ideale ovvero di un Falso-Sè, che lo appaga. Ma quali fattori favoriscono l’instaurarsi di una dipendenza?Soprattutto agli inizi, vengono ignorate le conseguenze e i danni generati dalla dipendenza. Specie tra i giovani, è diffusa l’idea che assumere delle sostanze o avere dei particolari atteggiamenti sia del tutto innocuo. E si trascurano dei

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fattori fondamentali. Innanzitutto quello biologico. Non tutti siamo fatti allo stesso modo e non reagiamo tutti alla stessa maniera. Nel caso dell’assunzione di sostanze, questo fattore è molto influente. Nessuno può sapere in anticipo quella che sarà la reazione del proprio organismo all’assunzione di una sostan-za. La stessa sostanza può non dare conseguenze ad alcuni, mentre su di altri può generare effetti altamente dannosi.Altro fattore che voglio mettere in evidenza, implicato nei comportamenti di dipendenza, è quello ambientale. La cultura e le usanze di una società inci-dono in maniera profonda sugli individui, inducendoli ad intraprendere alcuni comportamenti e ad evitarne altri. Per esempio, il fatto di vedere persone che giocano nelle sale da scommesse è diventato ormai d’uso comune; grazie an-che all’immagine distorta che la televisione ne dà, questo è un comportamento sicuramente incentivato. Siamo ormai abituati a pubblicità che mostrano il gioco d’azzardo come un momento di ritrovo tra amici e stessa cosa vale per quanto riguarda gli alcoolici. Ne consegue che nella nostra società certi com-portamenti hanno consenso e sono considerati positivi, come fare scommesse o consumare bevande alcooliche. Anche laddove i comportamenti che gene-rano dipendenza non sono coadiuvati dall’aura patinata della legalità e della pubblicità, i rischi sono elevati. Faccio riferimento alle sostanze stupefacenti, che a differenza di alcool, gioco o sigarette, sono illegali. Anche in questo caso, il fattore ambientale ha un’importanza estremamente rilevante. Infatti, sebbene esista attorno a queste sostanze un generale dissenso, questo può tra-sformarsi in consenso all’interno di un gruppo, nel quale assumere determinati atteggiamenti viene considerato naturale o addirittura come un valore aggiunto alla persona. Il National Institute on Drug Abuse, un istituto di ricerca americano, ha eviden-ziato quali sono i connotati distintivi di un soggetto eventualmente predisposto ad assumere, in futuro, delle sostanze stupefacenti e quali sono, al contrario, quei tratti caratteriali che possono proteggere il soggetto da futuri atteggiamenti dannosi. Tra questi connotati distintivi, il N.I.D.A. elenca innanzitutto una pre-coce predisposizione all’aggressività: se si nota in un bambino o in un minore, un prematuro carattere aggressivo e incontrollato, secondo il N.I.D.A. questo potrebbe essere un campanello d’allarme verso dipendenze future. Viceversa un atteggiamento di calmo autocontrollo, sarebbe un fattore di protezione.Altro elemento individuato dal N.I.D.A. è la mancanza della supervisione ge-nitoriale: tanto meno una famiglia segue il proprio figlio, tanto più aumenta il rischio che questo possa assumere atteggiamenti dannosi. Al contrario, i geni-tori che si interessano della vita sociale del proprio figlio e ne seguono atten-tamente il comportamento, rappresentano un fattore di protezione dal rischio di dipendenza.Il punto culminante dell’analisi del N.I.D.A. è dato dal riscontro di due ele-menti estremamente importanti nell’ambito della prevenzione: la presenza di

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stupefacenti nelle scuole e l’ambiente dal quale si proviene. Non è raro, sentire di ragazzi che proprio durante le ore di lezione riescono a trovare il modo di assumere sostanze. Al contrario, la presenza di regole antidroga, all’interno di un istituto scolastico, è un elemento di protezione. Andando ad un altro punto, il N.I.D.A. ha riscontrato il fatto che laddove ci si trovi dinanzi ad una comunità molto povera dal punto di vista culturale e sociale, nella quale manchino strutture aggregative e luoghi di ritrovo, si è dinanzi a comunità molto fragili, i cui abitanti corrono un maggiore rischio di cadere nell’abuso di sostanze stupefacenti. In conclusione, si può affermare che i fattori che incidono sull’instaurarsi della dipendenza patologica sono: culturali, individuali, ambientali e di contesto.Quindi, quale prevenzione?Date queste premesse, vorrei analizzare gli elementi e le caratteristiche di cui devono essere dotati i progetti di prevenzione, affinchè abbiano fondamento ed efficacia. Innanzitutto un progetto di prevenzione deve: a) essere basato su teorie e modelli definiti e condivisi, ovvero deve essere

dotato di fondamento teorico scientificamente riconosciuto;b) essere fondato su una raccolta di dati analizzati approfonditamente;c) poggiare su un livello di relazione causa-effetto, ovvero andare a ricercare i

motivi che generano il problema, per andare ad intervenire sull'origine del problema stesso;

d) avere un preciso e definito target di riferimento, al quale va a rivolgersi;e) avere una struttura che indichi il proprio contenuto, il target e l'ambiente a

cui si rivolge, il modo in cui esso viene attuato.Inoltre, i programmi di prevenzione,secondo le indicazioni del NIDA, devono seguire precisi principi, ne elenco alcuni:- aumentare i fattori di protezione dal rischio;- essere indirizzati a tutte le sostanze di abuso, sia quelle illegali che quelle

legali;- essere in grado di indicare quale è il tipo di sostanza di cui si abusa maggior-

mente in una determinata comunità o ambiente;- svolgere una fondamentale azione di prevenzione nelle scuole. A tale ri-

guardo, i programmi di prevenzione per gli studenti di scuola media e supe-riore, dovrebbero aumentare le competenze scolastiche e sociali e favorire le seguenti abilità: abilità di resistenza alle droghe, ovvero formare i caratteri dei ragazzi a resistere all’uso di sostanze; rafforzare le opinioni antidroga; consolidare le posizioni personali contro l’abuso di droga. Non è sufficiente dire ai ragazzi cos’è la droga e quali sono le conseguenze che essa compor-ta, ma bisogna innanzitutto colloquiare con loro, affinchè essi si creino delle proprie opinioni in contrasto con la droga. Allo stesso modo, risulta insuffi-ciente compiere degli incontri sporadici nelle scuole, tenere dei meeting di

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un giorno, per poi dimenticare l’argomento per un anno.I programmi di prevenzione, pertanto, devono essere teoricamente fondati, a lungo termine, avere continuità e prevedere dei programmi di richiamo. Devo-no essere,inoltre, partecipati e devono coinvolgere l’intera comunità: Istituzio-ni, Chiesa, Scuole, mondo del lavoro, Terzo Settore.

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LA PREVENZIONE PRIMARIA NEL SISTEMA INTEGRATO

DEI SERVIZI SOCIALI DEGLI ENTI LOCALI

di Tina De Rosis(Dirigente Servizi Sociali - Comune di Corigliano)

La legge 328/00 “Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” è legge che nei trenta articoli di cui si compone, si colloca nel panorama legislativo nazionale come la grande sfida nella costruzione

delle politiche sociali. Perché? Perché sancisce il passaggio da servizio sociale a politiche sociali. E’ legge che, nel percorso di costruzione ed attuazione della riforma, scardina il sistema sociale tradizionale, in quanto si rivolge non più e non solo al “sociale emergente” ma al “sociale programmato”.

Le politiche assistenziali tradizionali individuavano molteplici interventi, così come svariati approcci interpretativi, tutti identificativi di come il sistema del-l’assistenza, della previdenza sociale e della sanità si è sviluppato non tanto a valere su un approccio unico di interpretazione ed individuazione di norme, ma attraverso una miriade di azioni, di norme, indirizzate a target sociali spe-cifici.La legge nazionale, e la successiva L.R n. 23/00 di recepimento, individua un disegno organico di sviluppo delle politiche sociali, in una logica che tende a razionalizzare l’esistente, utilizzando quello stesso esistente con la riconver-sione delle risorse disponibili verso obiettivi e forme organizzative nuove.Negli ultimi anni, dalle indagini e dalle rilevazioni effettuate è emerso che un numero elevato di persone fa uso di sostanze stupefacenti senza subire una emarginazione apparente; ciò rende il fenomeno più difficile da monitorare. Ed allora come si colloca il concetto di prevenzione nell’ambito della legge di riforma dei servizi sociali? Se sistema integrato di interventi e servizi sociali vuol dire rete di soggetti e risorse in una grande unica condivisione e risoluzione delle problematiche, come si colloca in questo contesto la prevenzione primaria?

“Il valore delle parole non sta in ciò che racchiudono, ma in ciò che liberano”

Giorgio A. Livraga

Per comprendere bene capiamo innanzitutto cos’è la prevenzione?

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La prevenzione è l’azione diretta ad impedire il verificarsi o il diffondersi di effetti non desiderati o dannosi. La prevenzione, come azione del prevenire, è dunque orientata da un lato verso il contenimento di fattori considerati di rischio e dall’altro verso il rafforzamento di fattori ritenuti capaci di svolgere effetti di protezione. Il concetto di prevenzione è legato al concetto di comportamento. Cos’è il comportamento? Il comportamento è il complesso coerente di atteggiamenti che il soggetto assume in reazione a determinati stimoli.Ogni individuo nel corso della propria esistenza compie un lungo percorso che può essere definito come il processo sociale/culturale/ambientale/familiare per far nascere progressivamente se stessi. La costruzione dell’identità personale è, infatti, l’insieme di elementi soggettivi ed oggettivi, di comportamenti sociali, di percorsi tortuosi e di altri paralleli, di vissuti familiari, di esperienze perso-nali e collettive. Il risultato, in sostanza, di momenti di vita e di storie vissute alla ricerca inconsapevole della formazione della personalità. Crescere vuol dire non solo diventare autonomi, ma imparare a scoprire il senso del proprio essere e del proprio operare. Il positivo esito di crescita, in questo percorso, non è affatto scontato. Ogni essere umano, in modo specifico chi attraversa la fase evolutiva, corre il rischio di “devianza”, corre il rischio dell’eccesso, della dispersione, del ripiegamento su se stesso, della mancanza di autonomiaL’obiettivo positivo è, invece, quello di realizzarsi e costruirsi come persona con una propria identità, per raggiungere l’unità personale, che significa fare sintesi e percepire come proprio il molteplice mondo circostante.Come si coniuga la prevenzione primaria con il sistema integrato di interventi e servizi sociali degli Enti Locali?

La prevenzione primaria si colloca, nel sistema integrato di interventi e servizi sociali, in un’ottica di promozione sociale, con la prospettiva di impedire o di ritardare o di controllare il verificarsi di situazioni considerate negative (la devianza, il disadattamento sociale e psichico, l’uso di droghe, la malattia, ecc..), migliorando le condizioni di vita dei singoli e dei gruppi. Da questa an-golatura la prevenzione primaria può essere definita come l’impulso ad attivare trasformazioni tese ad allontanare fattori negativi o a consolidare fattori positivi nell’individuo, nelle relazioni sociali e nella società nel suo complesso.

Ed inoltre:Le azioni di prevenzione primaria hanno un target ben definito di soggetti: i giovani, i giovanissimi, i minori, gli adolescenti, i pre-adolescenti. La prevenzione primaria ha soggetti/ elementi/risorse/ azioni correlati. Quali sono i soggetti? La famiglia, la scuola, le agenzie sociali, l’ente locale, le istituzioni pubbliche, i gruppi informali, la chiesa...Quali sono gli elementi? La strutturazione del tempo e dello spazio, il concetto

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di luogo e quello di non-luogo, il senso della vita, la ricerca del proprio esse-re...Quali sono le risorse? Tutti i soggetti e tutti gli elementi. Quali sono le azioni? Campagne informative e di comunicazione, progetti di sostegno ai singoli ed ai gruppi, momenti di ricerca e riflessione per capire il punto di arrivo della problematica.

Tre sono le direzioni da seguire in maniera congiunta tra soggetti pubblici e soggetti privati:1. INFORMARE – processo di conoscenza per evitare il rischio;2. PREVENIRE – attivare interventi ed azioni per il “tempo tra”, quel tempo

sospeso per iniziative di crescita;3. RECUPERARE – aiutare e sostenere chi nel percorso di crescita è “andato

oltre”.

Le tre direzioni devono avere un denominatore comune: non più il progetto dell’Ente Locale, della Scuola, della Associazione, della Azienda Sanitaria, ma il progetto dei giovani/il progetto della città. Dal progetto del singolo soggetto, che pure ha la sua valenza per tutte le risorse e le azioni che mette in campo al progetto dei tanti.Ed è proprio il progetto dei tanti, frutto di un processo di concertazione e par-tecipazione dal basso, che diventa sistema, parte integrante del piano di zona, documento di pianificazione strategica dello sviluppo delle politiche sociali di ogni territorio.In queste considerazioni di legame tra la prevenzione primaria, il sistema in-tegrato di interventi e servizi sociali, diventa elemento di coagulo il Piano di zona.

Il Piano di zona è: — Strumento di programmazione locale, in quanto appartiene ad ogni singolo

Distretto Socio-sanitario;— Strumento di lettura del bisogno e della domanda di una comunità, in quan-

to nel documento si rileva l’analisi del bisogno territoriale;— Strumento di organizzazione dei servizi e delle risorse; nel piano si ri-siste-

mano i processi strumentali delle risorse dell’intero territorio;— Strumento di coordinamento tra gli enti territoriali – viene attivato un pro-

cesso di intese e responsabilizzazioni tra gli enti istituzionali e non di un determinato Distretto Socio-Sanitario;

— Strumento di progettazione sociale dal basso verso l’alto, con valorizzazio-ne delle reti informali, dei gruppi sociali, e degli attori della vita quotidia-na;

— Strumento di progettazione partecipata, che attiva lo scambio ed il confron-

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to attivo tra soggetti diversi. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali è:— Garanzia di applicazione dei servizi alla persona finalizzata a garantire e

tutelare il diritto di cittadinanza;— Garanzia per la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l’efficacia

delle risorse, impedire sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte.

Il passaggio dal piano al sistema presuppone che alla base ci siano i seguenti elementi:— l’attivazione di un processo di costruzione condivisa delle politiche sociali

territoriali che individui strumenti organici di partecipazione;— l’analisi reale del bisogno territoriale che tenga conto di soluzioni integrate

per tutti;— la verifica periodica e qualitativa dello strumento di programmazione a ga-

ranzia del metodo di partecipazione;— raccordo operativo con i soggetti del territorio;— realizzazione del sistema informativo dei servizi sociali. Dal Piano al Sistema – un processo evolutivo di messa in discussione dei sin-goli a favore della collettività intera. Il piano è la storia periodica di programmazione territoriale, paragonabile alla infrastruttura di una città, in divenire nel tempo e nello spazio.Il sistema è la storia che si costruisce, paragonabile alla struttura di una città, duratura nel tempo e nello spazio.La prevenzione deve essere tema portante dello sviluppo non solo delle politi-che sociali territoriali ma delle politiche cittadine in generale, in quanto è pro-prio dalla capacità di un territorio di investire in politiche di sviluppo sociali e culturali che si misura il grado di civiltà.

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LA DIFFUSIONE DELLE SOSTANZE DI ABUSO NEL LUOGO DEL LAVORO

E PREVENZIONE

di Giuseppe De Luca(Psicologo-psicoterapeuta - Coop. Marcella - Como)

Euridice è un programma di prevenzione delle dipendenze e dei disagi sui luoghi di lavoro e ha come obiettivo quello di aumentare le competenze del lavoratore e promuovere politiche di inclusione sociale. Il progetto

nasce a Milano nel 1988, in un momento in cui più del 50% degli utenti del servizio per la tossicodipendenza era rappresentato da soggetti occupati in maniera stabile. Erano anni in cui non esisteva nessun tipo di metodologia o di intervento di prevenzione nei luoghi di lavoro e coloro che presentavano pro-blematiche legate all’assunzione di sostanze vivevano una condizione di di-scriminazione ed emarginazione. Attualmente il progetto Euridice è collocato in quasi tutti i settori lavorativi e si fonda su concetti cardine, in base ai quali:- il luogo di lavoro è considerato come una risorsa;- è necessario riequilibrare la responsabilità tra le parti sociali e contrastare la

droga; - ridurre la delega agli esperti e aumentare il livello di consapevolezza dei

lavoratori; - sviluppare azioni di solidarietà.Il progetto ha coinvolto negli anni, 15 grandi imprese, 43 medie imprese, 76 piccole imprese, per un totale di oltre 150 mila lavoratori. I risultati che si attendono dal Progetto Euridice sono l’affermazione di concetti fondamentali come quelli che la prevenzione deve essere considerata come un fattore del-l’impresa, che è necessario sviluppare continui programmi di formazione, la salute e la sicurezza sul lavoro sono una componente strategica dell’impresa. La questione che maggiormente ci interessa è quella relativa alla programma-zione di interventi di prevenzione delle dipendenze ed il punto di partenza del progetto è dato proprio dalla percezione della dipendenza da parte dei lavoratori. L’obiettivo è quello di radicare il progetto nella cultura, nel modo di sentire, di pensare e di agire dei lavoratori. L’azione di Euridice si divide in diverse fasi. Dapprima si utilizza un questionario strutturato che viene fatto svolgere a tutti i lavoratori. Successivamente si analizzano i dati e viene avviata una campagna informativa, mediante la diffusione di opuscoli, per colmare le lacune in materia di dipendenza. A seguito, inizia la fase di formazione, che riguarda un ristretto numero di lavoratori tra i 20 e i 40 anni, al fine di creare un gruppo stabile di riferimento per i lavoratori che dopo il trattamento rientra-

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no al lavoro; oppure che possono orientare i lavoratori che desiderano avere più informazioni sulle dipendenze, offrire aiuto nella realizzazione di corsi di formazione rivolti ai lavoratori genitori, riuscire a collegare la richiesta di aiuto con i servizi socio-sanitari territoriali. La valutazione dell’efficacia del progetto, viene realizzata attraverso una serie di questionari cognitivi, i cui dati vengono discussi con i partecipanti delle attività formative. Un carattere fondamentale all’interno del progetto, è quello della divulgazione, che ha come scopo quello di richiamare l’attenzione su questo problema, lungamente trascurato nella programmazione.La dimensione del progetto in Italia ha una struttura di governo che coinvolge le Aziende Sanitarie, i Comuni, le Provincie, le organizzazioni sindacali, le asso-ciazioni delle imprese, la Cooperativa Marcella ed è regolato da un protocollo di intesa. Questo modello di governo garantisce stabilità e continuità al proget-to, le cui risorse vengono rintracciate nei bilanci pubblici. Per quanto riguarda la dimensione europea del progetto, essa vede un comitato di coordinamento transnazionale composto da tutti i partner più l’Organizzazione Mondiale del-la Sanità, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la Conferenza Europea dei Sindacati, il Consiglio Europeo e il Centro Europeo di Monitoraggio delle Droghe. Il comitato ha come obiettivo quello di migliorare le metodologie di intervento verso il mondo del lavoro e di identificare nuovi paesi, nei quali estendere il modello sperimentato in Italia. Tra i risultati ottenuti, voglio rimar-care quelli relativi alle risorse umane: nei lavoratori si sono notati cambiamenti significativi nel modo di pensare e di agire nei confronti delle dipendenze da sostanze, oltre alla creazione, all’interno delle imprese, di gruppi integrati che sviluppano dialogo ed un aumento della richiesta di aiuto. È stato inoltre nota-to, un aumento dell’autostima dei lavoratori con un conseguente miglioramen-to del rendimento nel lavoro, diminuzione dell’assenteismo e degli incidenti. Il progetto Euridice è riuscito, nel tempo, a fare breccia a livello ministeriale, a conquistare alcune grandi regioni, come la Lombardia e in questo momento si sta sviluppando nella città di Taranto, dove si sta orientando verso i giovani lavoratori, il che ci ha dato la possibilità di notare una totale mancanza di con-tinuità tra i programmi di prevenzione messi in atto nelle scuole e il mondo del lavoro. Una volta uscito dalla scuola, un giovane non ha più alcun sostegno educativo in materia di prevenzione.

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IL FENOMENO DELLA TOSSICODIPENDENZA NELLA PROVINCIA DI COSENZA

E NEL TERRITORIO DELLA SIBARITIDE

di Antonietta Fiorita(Dirigente Sociologo - Rsponsabile U.O. Osserv. Dipendenze ASP - Cosenza)

L’osservatorio dell’Asp di Cosenza è deputato non solo alla raccolta dei dati, ma anche all’analisi dei bisogni, il che è alla base della prevenzione come cardine fondamentale degli interventi in questo settore. Le ultime

ricerche scientifiche dimostrano che ci sono dei fattori predisponenti alla di-pendenza, fatto che prima si ignorava e che ci rende necessario, fare delle diagnosi differenziate per poter intervenire su questa parte della popolazione, che non è così indifferenziata come di solito si crede, ma che al contrario, pre-senta delle differenze notevoli che devono essere tenute presenti da chi opera nel settore, per intervenire in maniera congrua. Tra i fattori individuati come predisponenti alla dipendenza, non c’è solo l’eccessiva aggressività, ma anche l’eccessiva timidezza oppure patologie come la ADHD, il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività. In ogni caso, si tratta di fattori da tenere sotto con-trollo dal punto di vista sanitario e sociale, con interventi appropriati. Ci sono, inoltre, i fattori afferenti al discorso di un ambiente sfavorevole, che rappre-senta un elevato rischio di future dipendenze. Si tratta di fattori già individuati, che rappresentano un’evidenza scientifica su cui lavorare. La prevenzione non consiste solo nell’informare, ma anche nell’andare a vedere quali sono i fat-tori di rischio e lavorare su di essi. Sulla base di questa concezione, abbiamo individuato una serie di indicatori che ci sono sembrati indispensabili e impor-tanti per comprendere questo fenomeno nel nostro territorio: come si è evo-luto, modificato e che tipologia di utenti si rivolgono al SERT. I dati ci dicono che nel territorio di Rossano, Corigliano e Trebisacce, i tossicodipendenti sono l’86% rispetto all’11% degli alcoolisti. Nel caso di Corigliano 82% tossicodi-pendenti contro i 18% degli alcoolisti, a Trebisacce 85% tossicodipendenti e 15% alcoolisti. È evidente, una netta prevalenza dei tossicodipendenti che si rivolgono al SERT rispetto agli alcoolisti, mentre laddove esistono servizi rivolti espressamente agli alcool dipendenti, si nota una maggiore richiesta da parte di chi ha questo problema. I soggetti vengono divisi tra soggetti in carico, che si sono già rivolti al SERT e continuano la terapia e soggetti nuovi, che per la prima volta si rivolgono al servizio. I dati relativi al 2008, ci mostrano innanzitutto che le persone già in carico, sono molto di più rispetto ai nuovi soggetti, il che evidenzia l’opera, da parte dei servizi, di riduzione del danno, dal momento che è riconosciuto il fatto

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che quando i soggetti mantengono i contatti col servizio, si innesca un fattore di protezione. Accanto a questo dato però, bisogna osservare che sono poche le persone nuove che si approcciano ai servizi. Questa diminuzione non deve far pensare ad una diminuzione del fenomeno. Piuttosto, è riconducibile al sostanziale mutamento del mercato delle sostanze stupefacenti. I SERT sono nati sull’onda della cura dell’eroinomane, un soggetto che è diminuito nel tempo, per lasciare il passo ad una nuova figura di tossicodipendente, il quale usa sostanze diverse che non vengono assunte con metodo iniettivo, il che porta il soggetto a non avvertirsi come tossicodipendente e di conseguenza, a non rivolgersi al servizio, innescando tutta una serie di rischi per la propria persona. Si tratta di un problema dalla grosse proporzioni per gli operatori del settore, che mentre da una parte vedono un fenomeno che si evolve celermen-te, dall’altra sono costretti a fare i conti con un servizio che , per questioni burocratiche, è rimasto legato al vecchio parametro di compito istituzionale, dal momento che lo Stato non è riuscito a stare al passo col tempo. Oggi, una delle sfide che i SERT devono fronteggiare, è quella di ridefinirsi e di non arran-care dietro al fenomeno, ma anticiparlo nella sua mutevolezza. Passando ad esaminare i dati del Sert di Cosenza, relativi all’anno 2007, emerge in manie-ra lampante il fatto che il fenomeno è maggiore nella popolazione maschile, tanto che la Calabria rappresenta la punta massima della quasi inesistenza del fenomeno tra le donne, forse a causa di un retaggio culturale che porta le donne meridionali ad assumere atteggiamenti di autotutela. Oltre che a pre-valenza maschile, il fenomeno vede una maggioranza di soggetti non sposati, che hanno interrotto molto presto gli studi e che, differentemente dal passato, hanno un lavoro più o meno stabile. Quest’ultimo dato, in controtendenza col passato, è legato al mutamento delle sostanze da abuso, alcune delle quali hanno una certa compatibilità con la capacità di lavorare. Stessa cosa si può notare analizzando i problemi legati alla legalità. Tra i nuovi tossicodipendenti, l’esperienza del carcere è meno diffusa rispetto al passato. Per quanto riguarda l’età di ingresso al SERT, si nota che i vecchi utenti sono giunti al servizio ad un età molto inferiore rispetto a quella di coloro che vi si rivolgono oggi. Tra i nuo-vi utenti che si rivolgono al servizio per la prima volta, si contano soggetti che hanno oltre 39 anni. Tutto ciò significa aumentare il periodo di latenza, ovvero quel periodo di tempo che intercorre tra l’inizio dell’assunzione di sostanze e la richiesta di aiuto al servizio. Si tratta di una situazione estremamente peri-colosa, dal momento che più è lungo il periodo di latenza, tanto più aumenta il rischio di morti improvvise, di situazioni di degrado e di incorrere in azioni illegali. A questo punto, è compito dei Sert, fare uno sforzo maggiore, al fine di attirare gli utenti molto prima che il problema degeneri, fare diagnosi pre-coci di tossicodipendenza e conoscere a fondo il problema per intervenire in maniera adeguata.

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RELAZIONE ILLUSTRATIVA DEI DATIRELATIVI ALLA PRIMA ANNUALITÀ

DEL CENTRO DI ECCELLENZA

di Carlo Spezzano(Dirigente Medico - ASP Cosenza)

e di Luigi Vulcano(Ingegnere libero professionista)

Il Centro d’Eccellenza, con la sua posizione centrale e le attività proposte, rappresenta una delle più valide intuizioni che abbia avuto la nostra città, che ha trasformato un vecchio rudere in un’importante luogo di aggregazio-

ne, progettazione e sede di eventi. La struttura viene quotidianamente utilizza-ta da enti, associazioni e persone fisiche, che usufruiscono della sala convegni, della sala riunione, della sala musica e del social internet point. I dati relativi alla frequentazione del Centro d’Eccellenza vedono un incremento nel tempo, con un naturale calo nei mesi estivi. Nel variegato quadro dei frequentatori della struttura, vediamo al momento, 76 associazioni e 195 persone fisiche; tra questi ultimi soggetti si nota una preponderanza di sesso maschile ed un 17% costituito da minori. Gli enti e le associazioni, sono rappresentati da un istituto religioso, da partiti politici, scuole, sindacati, terzo settore ed enti pubblici in senso lato. Il sottoscritto e l’ingegnere Luigi Vulcano hanno effettuato un monitoraggio delle attività della struttura, con cadenza trimestrale, il che ha messo in rilievo, innanzitutto, un aumento dei minori quali frequentatori del Centro, in partico-lar modo dell’internet point. Oltre a questo dato si è rilevato un consolidamento della tendenza a realizzare eventi all’interno di questa struttura, a testimonianza della necessità di spazi avvertita dalla popolazione; infatti, a cominciare da poche settimane dopo la sua inaugurazione, il Centro d’Eccellenza è divenuto il fulcro di quasi tutte le iniziative pubbliche svolte nel territorio di Corigliano. L’unico anello debole nella struttura è rappresentato dalla sala musica, a causa di un non perfetto allestimento della stanza che non risulta sufficientemente insonorizzata, fatto che crea disagio sia ai musicisti, che riscontrano problemi per la corretta produzione musicale, sia agli altri fruitori del centro che risul-tano disturbati nelle proprie attività. A tutto ciò si può comunque porre facile rimedio ricorrendo ad un’ulteriore ristrutturazione della stanza e all’applica-zione di nuovi pannelli insonorizzanti. Per quanto riguarda le sale riunioni, invece, possiamo affermare un continuo utilizzo da parte di utenti di tutte le età, compresi gruppi di adolescenti che si servono di quelle stanze per fini sco-lastici o aggregativi e che ormai, in maniera spontanea e naturale, si rivolgono

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al Centro d’Eccellenza, in quanto luogo che risponde in maniera adeguata e soddisfacente alla loro esigenza di spazi in cui riunirsi. Passando alla sala convegni, il successo del Centro appare ancora più lampante, in quanto si regi-stra, per questo servizio, una richiesta in continuo aumento da parte di diversi settori della società. Altro punto forte della struttura è senza dubbio l’internet point, dotato di quattro postazioni computer, continuamente monitorate da parte degli operatori del Centro. Nota assai dolente è, purtroppo, quella che riguarda il bilancio del Centro d’Eccellenza. Le cifre che ruotano attorno alla struttura sono estremamente modeste, mentre dei piccoli aiuti economici, da parte delle istituzioni, baste-rebbero per intensificare e aumentare le attività del Centro, che ormai rappre-senta un patrimonio collettivo.

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GLI INTERVENTI PREVENZIONEDELLE DIPENDENZE PATOLOGICHE

DEL PROGETTO “SISTEMA”

di Loredana Meringolo(Psicologo-psicoterapeuta - Associazione Mondiversi)

L’esperienza e gli studi dei fenomeni sociali ci portano oggi ad avere un concetto più ampio nel campo delle tossicodipendenze, si parla sempre più spesso di dipendenze e, soprattutto, con i soggetti in età evolutiva si

passa dal malessere al disagio alla devianza. I “policomportamenti” dei giova-ni inducono noi adulti a considerare il loro mondo in senso negativo, mentre i ragazzi raccontano se stessi con le loro difficoltà e assenza di strumenti per affrontare il problema di crescere, convivere con i loro bisogni relazionali, fa-miliari, sociali. Quando queste difficoltà di elaborazione trovano un ostacolo o un blocco e non riescono ad essere espresse in altro modo, possono portare ad una fuga da se stessi, ad una negazione delle proprie difficoltà. Ovviamente fuggire da se stessi è sempre pericoloso perché, soprattutto tra i giovani, porta a scavalcare i limiti, espone a rischi, per esempio a fare uso di sostanze illegali, a guidare in stato di ubriachezza, a non usare il casco, a ricercare il diverti-mento in comportamenti esasperati, ecc. Il rapporto tra adolescenza e sostanze psicoattive legali ed illegali, con il quale ci confrontiamo, come operatori, nella pratica quotidiana si caratterizza per nuove modalità d’uso ed abuso e si connota per la sua complessità derivante dalle numerose implicazioni di carat-tere culturale, politico, pedagogico, medico, psicologico, socio-educativo. In stretta collaborazione con i Servizi Sociali del Comune di Corigliano Calabro, comune capofila, con i soggetti istituzionali in partnerariato (Comuni di San Giorgio Albanese; San Demetrio Corone; San Cosmo Albanese; Vaccarizzo Al-banese; Ser.T.- Distretto di Corigliano Calabro; ex Asl n° 3 di Rossano; Centro per l’impiego di Corigliano Calabro; Provincia di Cosenza, Istituti di scuola Superiore; l’associazione Mondiversi - Ente gestore), si è pensato di definire il progetto denominato “SISTEMA”, elaborato e finanziato con il FNLD (Fondo Nazionale Lotta alla Droga) legge 45/99. Si tratta di un progetto di prevenzio-ne primaria, inteso a promuovere una serie di interventi che hanno lo scopo di prevenire e anticipare l’uso delle sostanze da abuso. Il Progetto, di durata triennale, si articola in due tipologie diverse di intervento:1. PREVENZIONE - Le attività di prevenzione rappresentano opportunità strut-turate di comunicazione per sviluppare conoscenze e abilità personali per “prevenire rischi” e per “stare possibilmente meglio” sia a livello personale che di gruppo, con particolare attenzione agli studenti e dunque alla classe come luogo di crescita e di confronto tra pari, accompagnati da figure educative

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adulte. Gli obiettivi generali che ci poniamo possono essere così riassunti: • facilitare nei giovani, ma anche negli adulti di riferimento la scoperta dei

fattori di rischio, fornendo strumenti di lettura, metodi di approccio e pro-cedure mirate alla riduzione delle situazioni di pericolo, di disagio e di malessere;

• promuovere il confronto sul concetto di salute e di comportamenti conside-rati a rischio in rapporto anche con il piacere e il divertimento;

• esplorare le dimensioni dell'educare in relazione alle problematiche con-nesse con la condizione adolescenziale, onde evitare che il disagio "norma-le" si trasformi in disagio patologico;

• dare la possibilità ai ragazzi di usufruire di spazi sociali attrezzati adatti ad essere utilizzati e gestiti in modo il più possibile autonomo, in cui possano essere incoraggiate ed intraprese esperienze musicali, culturali, sportive at-tività che valorizzino soprattutto l’ aggregazione. Queste attività sono state pensate e gestite, promuovendo la partecipazione attiva di un maggior nu-mero di ragazzi.

Gli interventi di prevenzione • Laboratorio musicale. L’intervento vuole offrire agli adolescenti la possibilità

di usufruire di uno spazio attrezzato dove svolgere attività musicali incorag-giandolo così verso un complemento essenziale e piacevole per lo sviluppo delle relazioni interpersonali.

• Attività Sportive. Per la salvaguardia dello stato di salute dell’adolescenza la pratica dello sport è indispensabile come azione di prevenzione. Alcuni sport di gruppo sono in grado d’unire i giovani, di creare situazioni sociali basate su interessi comuni, stima vicendevole, collaborazione.

• Gruppi di sensibilizzazione e di contrasto all’uso di droghe. L’intervento vuole essere uno specifico servizio di informazione e formazione degli stu-denti, al fine che questi possano formarsi un proprio convincimento relati-vamente al rapporto con le droghe, ai rischi ad esse connesse, nonché un momento di supporto e consulenza agli studenti attraverso la proiezione di film, immagini, siti attinenti alle tematiche trattate e la distribuzione di materiale informativo e di pubblicizzazione (opuscolo “Guida sui pericoli della cultura dell’eccesso e dell’uso delle droghe”)

2. INNOVAZIONE - L’intervento ha lo scopo, sia di favorire il miglioramento delle condizioni di vita legate alla condizione di tossicodipendenza (indiretta), sia di prevenire situazioni di aggravamento dello stato di bisogno delle donne. Inoltre ha l’obiettivo di fornire informazioni complete sulla gamma dei diritti, delle prestazioni e delle modalità di accesso al sistema locale dei servizi socia-li e al sistema dei servizi sociosanitari; conoscere le risorse sociali disponibili nel territorio in cui vivono, che possono risultare utili per affrontare esigenze personali e familiari nelle diverse fasi della vita.

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LA PREVENZIONE E LA SCUOLA

di Antonio Pistoia(Dirigente scolastico Scuola Sec. di 1° grado “A. Toscano” Corigliano Calabro)

In merito all’argomento della prevenzione, voglio partire con l’osservare che il fatto stesso che esista la scuola, rappresenta già di per sé un elemento di prevenzione.

Ciò non toglie che la scuola è chiamata a fare molto su questa materia tanto attuale e tanto delicata.Il mio primo riferimento è alla circolare ministeriale n. 362 del 22 dicembre 1992 (quindi, di ben diciotto anni fa!) avente come oggetto l’attività di preven-zione e di educazione alla salute. In questa circolare erano elencati i nuovi compiti affidati alla scuola e si affermava, con un linguaggio nuovo e diverso dal solito burocratese, che “l’impegno di rimozione che la scuola deve affron-tare in quanto istituzione della Repubblica, implica la necessità di lavorare non solo con i contenuti disciplinari e con le didattiche specifiche, ma anche con i processi, le relazioni, i significati e le motivazioni da cui dipendono il successo o l’insuccesso scolastico, la gioia, la tristezza, la voglia di vivere e di lavorare o la rinuncia, la disistima di sé, il rifiuto della vita nelle forme dell’uso di dro-ga, della fuga da casa, della devianza, della delinquenza, della violenza e del suicidio. Al piacere chimico si deve contrapporre la prospettiva di una gioia. Non basta l’informazione, perché non sempre produce gli effetti desiderati, essa va fornita con modi appropriati entro un contesto di fiducia nei valori che la giustificano e nelle persone cui ci si rivolge, di tenacia e pazienza di fronte agli insuccessi, di testimonianza della necessaria coerenza tra valori vitali, cul-turali, istituzionali”.Questa circolare ministeriale è ancora oggi di una grande attualità. Non a caso il principio n. 14 del N.I.D.A. (Istituto Nazionale sull’Abuso delle Dro-ghe, USA), si rivolge proprio agli insegnanti, affermando che “i programmi di prevenzione dovrebbero includere la formazione degli insegnanti sulle prassi da seguire per una buona gestione della classe, come ad esempio premiare i comportamenti appropriati dello studente, in modo da aiutare a incoraggiare i comportamenti positivi, i risultati, le motivazioni scolastiche e il collegamento con la scuola”.Al di là di questi riferimenti, cosa fa la scuola per affrontare il tema della pre-venzione?Innanzitutto in questi anni ha aggiornato i propri programmi. Oggi, in tutte le discipline c’è sempre il riferimento al problema delle dipendenze, all’interno dei manuali c’è molto più spazio su tali temi rispetto al passato. Da parte della scuola, poi, vi è la totale apertura ai servizi sociali e a tutte le associazio-

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ni, enti, istituzioni che si occupano di queste problematiche, con un occhio particolarmente attento ai fattori di rischio, quali le assenze dello studente, il comportamento che tiene in classe, al modo come parla (o ai suoi silenzi) con i compagni, agli atteggiamenti che ha nei confronti della scuola come istituzio-ne, all’insuccesso scolastico. Ad esempio, per noi operatori scolastici, è considerato quale fattore di rischio il fatto che una famiglia non dia troppa importanza alla scuola. Se dei geni-tori hanno l’abitudine di accompagnare i figli a scuola in ritardo e protestano contro chi è preposto a far rispettare l’orario, al ragazzo si trasmette l’idea che è indifferente se a scuola si arriva puntuale o no; e se un ragazzo vive in una famiglia nella quale il valore Cultura è relegato agli ultimi posti della propria gerarchia, è chiaro che questa situazione (che ho l’impressione sia sempre più diffusa) è per noi motivo di riflessione. Noi sappiamo che se un giovane non impara a dipendere dalla cultura e dall’istruzione, imparerà ben presto a di-pendere — con effetti a volte devastanti — da ben altro. Al di là di ciò che fa operativamente ogni giorno, la scuola è oggi chiamata a fronteggiare una delicata emergenza educativa. Ciò che più preoccupa, è il fatto che non basta semplicemente ripetere ai giovani: “No alla droga, no all’alcool”, come avviene in alcune campagne pubblicitarie. Il problema che deve affrontare la scuola è quello di accompagnare un ragazzo, in maniera convinta, a dire di sì a qualcos’altro. Questa è la nostra sfida: indicare ai giova-ni qualcosa in cui credere, offrire loro dei punti di riferimento validi.Questa per la scuola e per noi educatori è la vera prevenzione: prevenire nel senso letterale di “venire prima”, anticipare (o, almeno, saper riconoscere) quel senso del nulla, quello che Nietzsche chiama l’ospite inquietante (il ni-chilismo) che sempre più spesso si impossessa dei giovani e delle loro vite. Prevenire, per noi operatori scolastici, significa allora saper dare ai giovani tutti gli strumenti (culturali, affettivi, emotivi) per far sì che sappiano riconoscere in tempo l’abisso della noia, del vuoto emotivo, della normale disperazione, dell’incosciente insensatezza delle loro azioni…. Di recente, Paolo Crepet ha pubblicato un libro che si intitola Sfamiglia, una sorta di dizionario dedicato alle famiglie. Alla lettera C, Crepet inserisce la voce “comodità” e parla di quei genitori che, “ricorrendo a ogni possibile pate-tica forma di tutela”, preparano la strada ai figli, fanno tutto per i figli, affinché essi non conoscano nessuna minima difficoltà. Così facendo i figli cresceranno insicuri, senza nessuna stima di sé e senza nessuna responsabilità. “Se un bam-bino — scrive Crepet — cresce senza desiderio, difficilmente da adolescente conoscerà la passione, l’ardimento, la forza che spinge a sperare, progettare, intraprendere. Dal punto di vista emotivo sarà una persona a rischio di non esistenza”.La prevenzione in campo scolastico e formativo è semplicemente questo: in-segnare ai ragazzi ad avere delle passioni, l’ardimento, la speranza; insegnare

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loro la capacità di progettare e di intraprendere, la capacità di essere autentici padroni della propria esistenza.

Riferimenti normativi e bibliografici:• Circolare Ministeriale 22 dicembre 1992, n. 362 - Oggetto: Attività di pre-

venzione e di educazione alla salute -(artt. 104, 105, 106 del T.U. D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309): Progetto Giovani ‘93 e Proposte di iniziative da parte degli studenti; Progetto Ragazzi 2000; Progetto Genitori; Centri di informa-zione e consulenza; Attività d’informazione e di sensibilizzazione dei capi d’istituto; Incontri tra operatori della scuola e di enti dotati di competenze sull’educazione alla salute e sulla prevenzione delle tossicodipendenze.

• D.L.vo n. 297 del 16 aprile 1994 - art. 326 – Interventi a favore di alunni a rischio e di prevenzione delle tossicodipendenze.

• Direttiva del Ministro della Pubblica Istruzione del 18 aprile 2007 - Oggetto: Piano nazionale per il benessere dello studente: linee di indirizzo per l’anno scolastico 2007/2008.

• U. Galimberti L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani – Feltrinelli, 2007

• P. Crepet La gioia di educare – Einaudi, 2008 • P. Crepet Sfamiglia – Einaudi, 2009

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LA PREVENZIONE: IL PUNTO DI VISTA DEL SERVIZIO

PER LE TOSSICODIPENDENZE

di Anna Di Noia(Dirigente Medico - ASP Cosenza - Responsabile U.O. Ser.T. Corigliano-Trebisacce)

Il cervello del giovane è in rapido accrescimento, come tutto il resto del suo organismo. Ma il cervello è un organo con valenza diversa, la cui crescita è soprattutto qualitativa. Nel mentre aumenta il suo numero di cellule, acqui-

sisce nuove competenze, permettendo al giovane di esprimere il suo essere in maniera completa e complessa. Fare prevenzione sui giovani significa perciò favorire la crescita di un cervello sano che possa esprimere tutte le sue po-tenzialità. Diversi studi effettuati in materia dimostrano che fino ai 22 anni, età in cui il cervello raggiunge la sua maturità, si creano numerosi collegamenti tra le cellule nervose ed una serie di connessioni a livello corticale. Tutte le cellule in fase replicativa sono molto sensibili all’azione di sostanze esterne. Le droghe e tutte le sostanze attive sul sistema nervoso sono in grado non solo di determinare modifiche nella sintesi di neuromediatori, ma anche di creare modifiche neuroplastiche adattive, cioè di modificare lo sviluppo del cervello umano in crescita interferendo con l’assetto biochimico e con lo sviluppo della personalità. Recenti teorie sulla dipendenza suppongono che un soggetto assuma sostanze psicoattive a seguito dell’apprendimento di com-portamenti che sono diventati abitudine e per questo sfuggono al controllo cosciente e alla capacità di valutazione del rapporto costo-benefici. Nell’ap-prendimento di tali comportamenti un ruolo fondamentale svolge il sistema di gratificazione dopaminergico encefalico. Potremmo pertanto definire la di-pendenza come sindrome del comportamento che in individui predisposti si instaura progressivamente, mediante fasi subentranti nelle quali rivestono un ruolo determinante le modificazioni neuroplastiche indotte sul cervello dalle droghe. Questi comportamenti variano dall’uso occasionale, all’uso regolare, all’uso compulsivo e derivano dalle modifiche neurobiologiche che modifica-no la sintesi dei neuromediatori. L’abuso di sostanze è perciò l’evento finale di un lungo percorso che non ne-cessariamente sfocia nella dipendenza: ci si può fermare in fasi precedenti; c’è chi fa uso di droga una sola volta nella vita, c’è chi va oltre e passa da un uso sporadico ad un uso frequente, fino a che le modifiche neuroplastiche in-dotte dalla sostanza divengono tali da portare alla dipendenza, le cui caratteri-

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stiche sono la tolleranza, la dipendenza fisica con la sindrome d’astinenza, la dipendenza psicologica, il cosiddetto craving, determinante nel rinforzo d’uso e nelle ricadute.Voglio fare il punto su due sostanze il cui uso è purtroppo molto diffuso, anche tra i giovani: Cannabis e Cocaina. La cannabis è in grado di determinare nel giovane la sindrome amotivazionale, una sorta di incapacità a progettare nel medio e lungo termine, condizione estremamente negativa per chi sta costruendo la propria vita. E’ una droga trasversale, cioè usata da chi fa uso cocaina, alcol, eroina,... perché ha azione ansiolitica.La cocaina è una sostanza i cui effetti dannosi sulla salute sono purtroppo sottovalutati. Il suo uso peraltro è in crescita anche nel sesso femminile per il suo potere anoressizzante. Essa è causa di psicosi e gravi depressioni perché è in grado di determinare lo svuotamento di neuromediatore nei neuroni stimo-lanti cerebrali. E’ causa di morte improvvisa nei giovani. Il Testo Unico 309/90 delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti sottolinea il concetto di pericolosità sociale delle droghe: tutte le sostanze psi-cotrope sono dotate della medesima pericolosità, sia quelle prescrivibili, come i farmaci psicoattivi, sia le sostanze illecite.All’inizio degli anni ’90 il problema droga era ancora principalmente legato al-l’uso di eroina ed al boom delle patologie legate all’assunzione della sostanza per via endovenosa, quali epatite e Hiv. Da allora il mercato delle sostanze si è diversificato, virando lentamente e progressivamente verso le sostanze eccitan-ti. Anche se il mercato dell’eroina è andato progressivamente riducendosi, la principale richiesta di intervento da parte del Ser.T., il Servizio per le Tossicodi-pendenze, resta la dipendenza da oppiacei: erroneamente gli stimolanti quali la cocaina, le pastiglie, la stessa cannabis, non sono considerati sostanze dan-nose per la salute per le quali sarebbe opportuno sottoporsi ad un programma terapeutico al Ser.T. La dipendenza da sostanze psicoattive è una malattia ad eziopatogenesi multifattoriale; ciò significa che diversi elementi concorrono a determinarla: fattori genetici, fattori ambientali, il mercato delle sostanze che è sempre pronto a dispensare interessanti novità anche attraverso internet. I Ser.T. hanno il compito istituzionale di fare prevenzione primaria, secondaria, terziaria.Il T.U. 309/90 norma la prevenzione primaria che viene effettuata nei CIC, (Centri d’Informazione e Consulenza) attivati nelle scuole secondarie di se-condo grado. Ma interventi di prevenzione a carattere informativo vengono altresì attuati nelle scuole secondarie di primo grado. La prevenzione secon-daria viene attuata su coloro che hanno già avuto contatto con le sostanze, quali le persone inviate dalla Commissione Medica Locale Provinciale o dalla Prefettura, attraverso l’attuazione di programmi terapeutici specifici.

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Prevenzione secondaria è la terapia farmacologica integrata da programma psico-socio riabilitativo realizzata su chi si è ammalato di droga.L’accesso al Ser.T. è volontario, non prevede liste d’attesa, né prescrizione, né pagamento di ticket. La famiglia gioca sicuramente un ruolo determinante sia nell’ avvicinamento al Ser.T., perché spesso sono proprio i familiari che si recano a prendere le pri-me informazioni ed accordarsi per poi ritornare con il paziente. Essa risulta di fondamentale importanza poi nella fase riabilitativa ai fini della buona riuscita del programma terapeutico.Nella nostra esperienza abbiamo potuto notare che, se la tossicodipendenza è una patologia prettamente maschile, sono invece soprattutto le donne a soste-nere i loro familiari nel progetto di riabilitazione. Per questo motivo abbiamo elaborato ed attuiamo il progetto “Ninfea” a sostegno delle donne che sosten-gono i loro uomini che presentano questa patologia.La Relazione Annuale al Parlamento sullo Stato delle Tossicodipendenze ci indica che c’è una diversa età di inizio uso per le diverse sostanze, che è di 16 anni per la cannabis, 20 e 21 rispettivamente per oppiacei e cocaina. Tale differenza si ritrova anche nell’età di primo trattamento: cannabis 24 anni in media, cocaina 32 ed eroina 33. Ciò significa che in media, chi fa uso di op-piacei resta fuori da un trattamento fino a 13 anni , arriva al Ser.T. intorno ai 30 anni e vi resta in trattamento per circa 4 anni.Le persone in carico ai Ser.T. in Italia si ritiene siano 45% del totale che si sti-ma abbiano problemi di dipendenza da sostanze psicoattive. Esiste infatti una categoria sulla quale bisogna far luce, quella delle persone che fanno uso di sostanze ma non ritengono necessario, né opportuno rivolgersi ai Ser.T. Alcuni di essi fortunatamente vengono riconosciuti, ad esempio quando vengono fer-mati per infrazione del codice della strada per guida in stato di ebbrezza alcoli-ca o da sostanze, ed inviati al servizio per attuare un programma riabilitativo.Fare prevenzione sui giovani significa educarli, condurli sulla giusta via e per fare questo è necessario l’intervento della famiglia, la scuola, le agenzie educa-tive, la chiesa, le associazioni. I ragazzi vanno informati sui gravi rischi per la salute e sociali che derivano dall’uso di sostanze psicotrope e occorre iniziare precocemente, a partire dalle scuole elementari. I giovani necessitano di sti-moli positivi atti a riempire il vuoto che potrebbe portarli ad accontentarsi di desiderare ciò che trovano e non a cercare e trovare ciò che desiderano. Per tutto questo noi operatori del Ser.T. impegniamo ogni giorno le nostre energie e la nostra professionalità, con dedizione.

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CONSUMO DI ALCOOL TRA I GIOVANI

di Agata Maria Salimbeni(Dirigente Medico ASP - Cosenza)

L’uso e l’abuso di alcool tra i giovani è un fenomeno preoccupante e in forte crescita sia a livello internazionale sia nazionale. Studi statistici evi-denziano che un numero sempre crescente di giovani eccede nel consu-

mo di alcolici e che va abbassandosi l’età del primo approccio alla sostanza. Secondo le statistiche, in Italia abbiamo un triste primato: l’età di inizio è fra le più basse in Europa, circa 12 anni. Questa abitudine è incoraggiata dalla diffusione degli alcool pop, bevande che sono spacciate come innocue perchè colorate, col sapore di frutta, dolci e frizzanti, ma pur sempre alcoliche.In Italia, dal 1998 al 2003, sono aumentate per entrambi i sessi le prevalenze dei consumatori teenager (14-16 anni) di super alcolici (+24,4%), di aperitivi alcolici (+46,1%) e dei consumatori fuori pasto (+50%); nel caso di queste ul-time due tipologie di consumo le variazioni maggiori si registrano per il sesso femminile.Nel nostro paese l’uso e abuso di alcool è sottovalutato rispetto all’uso delle altre sostanze psicoattive, perchè caratterizzato da un’ambivalenza di fondo, legata alla sua appartenenza alla categoria degli alimenti e ad un’immagine storico-culturale che lo vede come sostanza di uso comune, diffuso in tutti gli strati sociali e associato a momenti conviviali, alla gioia e al divertimento. In Italia sono 1.500.000 gli alcolisti, 4 milioni i bevitori problematici, 36 milioni i bevitori e 40 mila i decessi all’anno, correlati all’alcool. (Tab.1)

Tra i giovani italiani, la statistica del 2006, ha evidenziato che nella fascia di età tra i 12 e i 15 anni, abusano di alcoolici il 2%; nella fascia di età tra i 18 e i 25 il 12%, e che gli alcolisti sopra i 14 anni sono il 10%. (Tab. 2)

L’alcol in Italia (indagine Eurispes)

Numero di adulti di età > 15 anni

Alcolisti 1.500.000

Bevitori problematici 4.000.000

Bevitori 36.000.000

Decessi alcol-correlati all’anno 40.000

TAB. 1

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Un giovane su quattro tra 15 e 29 anni, in Europa, muore a causa dell’alcool, primo fattore di rischio di invalidità, mortalità prematura e malattia cronica nei giovani. Tra il 40 e il 60% di tutte le morti nella regione europea dovute a ferite intenzionali e accidentali sono attribuibili (ricerca dell’Organizzazio-ne Mondiale della Sanità per l’Europa) al consumo di alcool che costa, nel complesso, alla società una quantità pari al 2-5% del Prodotto interno lordo. Nella fascia d’età tra 18 e 25 anni, viene evidenziata un’elevata incidenza di patologie traumatiche correlate all’alcool, un preoccupante aumento delle vio-lazioni di legge, nonché dell’abuso contemporaneo d’alcolici ed altre droghe.Tutto ciò avviene anche perchè sono cambiate le modalità di consumo delle bevande alcooliche, che risultano sempre più sganciate dal modello culturale mediterraneo, caratterizzato da consumi moderati e legati ai pasti ed è sempre più orientato verso un modello di consumo nordico, di “binge drinking”, in cui l’alcool viene consumato fuori pasto in modo eccessivo e con l’intenzione di ubriacarsi pesantemente. L’atteggiamento degli adulti della nostra società è ancora poco chiaro agli occhi degli adolescenti, ai quali si dice che l’alcool è una droga, ma lo si può reperire con facilità, tanto che l’84,3% dei giovani dice di non avere alcun problema a procurarselo, anzi a volte è proprio in casa che essi entrano in contatto con l’alcool, come attesta il fatto che il 71% dei minori consuma alcool tra le mura domestiche. Problema notevole è anche quello legato alla pubblicità degli alcolici. Uno dei principali ostacoli ad una corretta informazione e comunicazione sui rischi e i danni causati dall’alcool è rap-presentato dalle pressioni sociali al bere e dall’azione dei mass media e delle pubblicità che inneggiano al suo uso, associando immagini di successo al con-sumo di alcool, servendosi in molti casi, di testimonial famosi. Tutti ricordere-mo senz’altro, Valentino Rossi nella pubblicità di una birra o George Clooney in quella di uno spumante, senza il quale non gli era permesso accedere alla festa. Gli spot televisivi presentano le bevande alcooliche come ingredienti ir-rinunciabili per divertirsi. Sappiamo bene, però, che nell’adolescenza, occorre evitare del tutto l’uso dell’alcool perchè l’organismo dei giovani non è ancora capace di metabolizzarlo e perchè maggiore è il rischio dell’abuso. Nell’anno scolastico 2008/9 il SERT di Rossano-Cariati, ha svolto, nel distretto di Cariati, un programma di iniziative mirate alla sensibilizzazione e all’infor-

I giovani e l’alcol in Italia (2006)

Adolescenti (12 –15 anni) 2 %

Giovani (18 -25 anni) 12 %

Alcolisti (sopra i 14 anni) 10 %

TAB. 2

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mazione sui problemi derivanti dall’abuso di alcool nei giovani in due scuole medie superiori. (Tab. 3)

Dai questionari svolti da 515 studenti tra i 14 e i 20 anni è venuto fuori che: l’87% degli studenti beve abitualmente alcolici; la bevanda preferita è la birra, seguita dal vino, dai superalcolici e dagli alcool pop; l’età di inizio è quella dei 12/13 anni; il 59% degli allievi dell’ultimo anno dice di essersi ubriacato una o più volte nell’ultimo anno, senza un motivo preciso. Abbiamo chiesto anche quale motivazione davano a questo voler bere e soprattutto ubriacarsi. A questa domanda, il 31% ha risposto: per sballare; il 23%: perchè mi piace la sensazione; il 22%: per curiosità. Il dato circa i luoghi, nei quali si beve più frequentemente, vede: 30% alle feste, 21% in pizzeria, 19% in discoteca, il 17% in casa. Tenuto conto del modesto campione di popolazione giovanile intervistata, è possibile dedurre dai risultati della ricerca, che il consumo di alcol nei gio-vani del territorio di Cariati, è in linea con la media dei dati statistici nazionali, sia per età di inizio che per le modalità. L’assunzione di bevande alcoliche avviene soprattutto nelle situazioni di divertimento ed è vista come una com-ponente dei momenti di svago.Tutto ciò significa che c’è troppa disinformazione sui danni dell’alcool nell’or-ganismo dei giovani. Viene concesso a loro troppo facilmente di bere, benchè sia tossico per il loro organismo. Sappiamo, infatti, che l’alcool viene meta-bolizzato dal fegato, per mezzo di alcuni enzimi. Sappiamo altrettanto bene, però, che il corpo umano non possiede un corredo enzimatico completo fino ai 18/20 anni, il che significa che l’etanolo, non ridotto in sostanze più tollera-bili, circola per più tempo e in modo più nocivo nel corpo dei più giovani. A questo dobbiamo aggiungere il fatto che il cervello umano non termina il suo processo di maturazione fino ai 21 anni e quindi si trova esposto a interferenze che ne minano il suo normale sviluppo organico e funzionale.

Popolazione studentesca totale 515

Questionari elaborati 494

Età degli studenti 14 -20 anni

Maschi 232

Femmine 283

Studenti Liceo Scientifico Totale 340; Femmine 203; Maschi 142;

Questionari Liceo 340

Studenti IPSIA Totale 170; Femmine 80; Maschi 90;

Questionari IPSIA 154

TAB. 3

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I PROGETTI DI PREVENZIONE SOCIALE E SANITARIA NEL CONTESTO SOCIALE

di don Giacomo Panizza(Presidente Comunità Progetto Sud)

Quando si discute di prevenzione, spesso si è portati ad identificare dei precisi destinatari o delle precise patologie e molti programmi di prevenzione si rivolgono a soggetti giovanissimi. In realtà, si dovrebbe

allargare il cerchio degli adolescenti e dei giovani, poiché la prevenzione non è diretta solo a loro, come non è limitarsi ad insegnare dei trucchi su come non cadere nei comportamenti che inducono dipendenza dalle sostanze stupefa-centi: la prevenzione è anzitutto la prefigurazione in ciascuno di un sogno, di un ideale per la vita.La prevenzione non si fa solo con persone o categorie che si ritengono a ri-schio, ma anche con coloro che possono aiutare coloro che sono a rischio. Occorre “aiutare gli aiutanti”, educare gli educatori, formare i formatori, poli-ticizzare i politici.Purtroppo in Calabria, per quanto attiene la prevenzione, si è ancora molto legati a rigide tipicità, e questa immobilità culturale impedisce alle istituzioni la riprogettazione di servizi capaci di lavorare a 360 gradi, a più dimensioni, ad attrezzarsi per affrontare il nuovo fenomeno delle polidipendenze. In Calabria, ad esempio, non sono ancora autorizzati servizi che offrano la possibilità di curare la comorbilità o doppia diagnosi, realtà nella quale intervengano una pluralità di figure professionali, uno staff complesso. Sarebbe arrivato il mo-mento di dire anche in questa terra: no alle mono-risoluzioni, no a operatori costretti a lavorare come singoli e pensati come onnipotenti. È tempo che la Calabria dia avvio a un sistema dei servizi che sia maggiormente integrato e non semplificato, che delle persone prese in carico tenga presente la dimen-sione sociale e sanitaria e culturale e spirituale. Tutte le dimensioni umane giocano come risorsa, come forza per l’uscire dalla dipendenza, e chi lavora deve dare sempre più competenza ai propri servizi.Ma alla Calabria bastano le competenze attuali dei suoi servizi? Mi duole do-ver far notare che dopo le lotte per l’ottenimento di una legge sulle dipenden-ze, dopo la prima fase di entusiasmo, sia arrivata una situazione di stallo della politica che ha prodotto abbandono dei servizi necessari, unita alla tendenza a criminalizzare coloro che fanno uso di sostanze, facendo così una lotta al dro-gato piuttosto che una lotta alla droga. Noi operatori sociali, sanitari ed edu-cativi siamo chiamati ad avere un approccio riabilitativo e non punitivo. Noi lavoriamo per la sicurezza sociale con persone che la nostra professione non consente di ridurre a criminali o malati: anche quando sono coinvolte in situa-

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zioni di criminalità, di malattia, e di discriminazione, le trattiamo da persone che hanno residue, poche o tante risorse psicologiche o volitive o materiali o altro, e che vengono abbandonate a sé stesse. Se uno studente lascia la scuola, non avrà carenze anche la scuola? I numeri alti della mortalità scolastica, sono da addebitare esclusivamente a disvalori e pigrizie dei giovani?Il lavoro sociale ha un ventaglio di obiettivi, e nei confronti delle dipendenze patologiche non si mette in conto solo quello della guarigione, ma anche quel-lo dell’accompagnamento e della crescita dell’individuo, che molte volte ed in maniera errata viene considerato infantile anziché un adulto. Ogni corretto intervento riabilitativo deve invece valorizzare e attivare le risorse e le respon-sabilità delle persone che vengono prese in carico.In Italia serve sostenere i progetti di prevenzione ma, affinché divengano effi-caci, c’è bisogno di avere sui territori una regia unitaria capace di capitalizzare i saperi delle diverse figure professionali; c’è bisogno di costruire finalmente quel sistema integrato dei servizi che ci manca; e di avere politici capaci di governare e amministrare per il bene comune, che è costituito dai servizi delle dipendenze esistenti e di quelli ancora da completare.

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APPENDICE

LE LINEE GUIDA DELLA PREVENZIONE (Basate sulle evidenze scientifiche

e di comprovata efficacia, divulgate dal NIDA)

Principio 1 - i programmi di prevenzione dovrebbero aumentare i fattori pro-tettivi e ridurre i fattori di rischio.

Principio 2 - i programmi di prevenzione dovrebbero essere indirizzati a tutte le forme di abuso di sostanze: dall’uso di una sola sostanza al poli-abu-so; l’uso di sostanze legali come l’alcol o illegali (marijuana) da parte dei minorenni; l’uso inappropriato di sostanze ottenute legalmente (inalanti e psicofarmaci).

Principio 3 -i programmi di prevenzione dovrebbero adattarsi al problema d’abuso specifico della comunità locale, modificare i fattori di rischio e rafforzare i fattori protettivi identificati.

Principio 4 - i programmi di prevenzione, per accrescere la loro efficacia, do-vrebbero considerare i fattori di rischio specifici della popolazione desti-nataria, quali l’età, il genere e l’appartenenza etnica.

Principio 5 - i programmi di prevenzione rivolti alle famiglie dovrebbero favo-rire i legami e le relazioni familiari, includere l’insegnamento delle abi-lità genitoriali; promuovere lo sviluppo, la discussione e l’applicazione delle regole, diffondere informazioni sulle droghe.

Principio 6 -i programmi di prevenzione possono essere attuati in età prescola-re intervenendo sui fattori di rischio per l’abuso di droghe quali: compor-tamento aggressivo, scarse abilità sociali e difficoltà scolastiche.

Principio 7 -i programmi di prevenzione per le scuole elementari dovrebbero puntare a migliorare il rendimento scolastico e l’apprendimento socio-emotivo per far fronte ai fattori di rischio, come l’aggressività precoce, scarsi risultati e abbandono scolastico. L’educazione dovrebbe concen-trarsi sulle abilità di autocontrollo, consapevolezza emotiva, comunica-zione, abilità sociali di problem-solving.

Principio 8 -i programmi di prevenzione per gli studenti di scuola media e superiore dovrebbero aumentare le competenze scolastiche e sociali, e favorire le seguenti abilità: abitudine allo studio e al sostegno scolastico, comunicazione, relazioni tra pari, auto-efficacia e assertività, abilità di resistenza alle droghe, rafforzamento delle opinioni anti-droga e conso-lidamento delle posizioni personali contro l’abuso di droga.

Principio 9 -i programmi di prevenzione rivolti alla popolazione generale, in

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momenti di transizione cruciali come il passaggio alla scuola media, possono produrre effetti favorevoli anche in famiglie e ragazzi ad alto rischio. Tali interventi non separano i gruppi a rischio dalla popolazione generale e, quindi, riducono l’etichettamento e promuovono il legame con la scuola e la comunità.

Principio 10 – l’associazione di due o più programmi di prevenzione, come programmi destinati alle famiglie e alle scuole, risultano più efficaci di un singolo programma.

Principio 11 - i programmi di prevenzione per la comunità rivolti a più destina-tari, ad esempio scuole, club, organizzazioni religiose, media, sono più efficaci quando sono coerenti tra loro.

Principio 12 -quando le comunità adattano i programmi ai bisogni, alle regole o alle differenti realtà culturali, dovrebbero mantenere gli elementi prin-cipali dell’intervento originale basato sulla ricerca, che includono: strut-tura (organizzazione e struttura del programma), contenuti (informazio-ni, abilità e strategie del programma) e attuazione (come il programma è stato adattato, realizzato e valutato).

Principio 13 - i programmi di prevenzione dovrebbero essere a lungo termine con interventi ripetuti (cioè, programmi di richiamo) per rinforzare gli obiettivi di prevenzione originari. Gli studi dimostrano che i benefici de-rivanti dai programmi di prevenzione nelle scuole medie diminuiscono se vengono meno i programmi di follow-up nella scuola superiore.

Principio 14 -i programmi di prevenzione dovrebbero includere la formazio-ne degli insegnanti per una buona gestione della classe, per es. la gra-tificazione dei comportamenti appropriati degli studenti. Tali tecniche incoraggiano il comportamento positivo degli studenti, il rendimento, la motivazione allo studio e il legame con la scuola.

Principio 15 -i programmi di prevenzione sono molto efficaci quando impie-gano tecniche interattive, come gruppi di discussione e giochi di ruolo in cui i ragazzi interpretano il ruolo dei genitori, che permettono il coin-volgimento attivo nell’apprendimento sull’abuso di droghe e rafforzano le abilità.

Principio 16 -i programmi di prevenzione basati sulla ricerca possono essere economicamente vantaggiosi. Recenti studi americani dimostrano come ad ogni dollaro investito nella prevenzione corrisponda un risparmio fino a 10 dollari per il trattamento dell’abuso di alcool e altre sostanze.

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