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Salome, magnifica Lolita e la danza dei vecchioni - LA... http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/spettacol... 1 von 1 28.02.2008 11:58 "Salome" di Struss al Teatro Regio di Torino HOME SERVIZI RICERCA METEO DOSSIER MULTIMEDIA RADIO LAVORO LEGALI TUTTO AFFARI SPETTACOLI 11:58 Giovedì 28/2/8 OPINIONI POLITICA ESTERI CRONACHE COSTUME ECONOMIA TECNOLOGIA CULTURA&SPETTACOLI SPORT TORINO ARTE BENESSERE CUCINA MODA MOTORI SCIENZA SCUOLA TEMPO LIBERO PERIODICI 28/2/2008 (7:59) - LIRICA Salome, magnifica Lolita e la danza dei vecchioni GIORGIO PESTELLI La nota più forte di questa Salome torinese, sicuramente da non perdere, è forse l'interpretazione del soprano tedesco Nicola Beller Carbone: al suo esordio italiano nell'opera di Strauss si è presa dal pubblico del Regio un uragano di applausi, rispondendo a ogni chiamata con serpentinate reverenze in perfetto stile liberty. Strauss, si sa, pensava alla sedicenne sottile e viperina di Wilde, ma la voleva con una voce da Isotta wagneriana: donde lo scoglio della danza «dei sette veli», punto decisivo della vicenda, un tempo aggirato sostituendo pingui cantanti con la controfigura di una ballerina provvista di «physique du rôle». Invece la Beller Carbone fa tutto da sola e lo fa benissimo: voce espressiva, penetrante e all'occasione capricciosa col suo «air enfantin», e grande appello fisico in scena: giovane, bella, e danzatrice flessuosa e affascinante. Lo spettacolo era molto atteso, specie per la regìa in odore di scandalo dell'infaticabile Robert Carsen: con le scene di Radu Boruzescu l'azione si svolge nel sotterraneo di una banca, fra pareti di cassette di sicurezza, mentre ai piani superiori si aggirano fra tavoli da gioco tipi di ogni risma, simboli di una società agli ultimi giorni; a questa corruzione, oltre a Jochanaan, Carsen oppone anche una positività di Salome, la cui attrazione per l'irsuto profeta non è tanto perversione, quanto richiamo di un nuovo mondo che sta sorgendo e affascina la donna come l'ignoto. L'idea non è nuova, ma Carsen la spinge all'estremo con la sua scaltrezza teatrale, l'abilità a muovere i personaggi, l'efficacia delle luci di Manfred Voss e qualche felice trovata che coglie spunti ironici dello stesso Wilde quando rasenta la parodia della materia decadentista. Il suo dovere trasgressivo Carsen lo compie in particolari esteriori: Salome in tenuta da ginnastica e pedalini, in stile Lolita; lo striptease trasferito agli attempati frequentatori della banca-bisca, una sorta di pazzo capovolgimento della storia di Susanna e i vecchioni. Qualche volta il gusto del regista è inferiore alla sua abilità teatrale, come quando si vede giocare a palla con la testa mozzata (c'è già in Atta Troll di Heine, ma con altra leggerezza); ma l'unica cosa che è difficile passargli per buona è quella di far morire Erodiade al posto di Salome: in un'opera che rappresenta la corsa di una perversione al suo precipizio, se alla fine non si vede Salome schiacciata dagli scudi, dov'è il senso del tutto? Alla guida della direzione musicale Gianandrea Noseda è molto bravo a non lasciarsi intimidire da tanta esuberanza visiva: la partitura di Strauss continua a essere il punto di riferimento di ogni suggestione, con la solennità a largo giro melodico del profeta e la nevrotica irrequietudine del mondo attorno: così Noseda ha condotto l'orchestra del Regio a precisioni e finezze ragguardevoli, frutto evidente di un intenso lavoro di preparazione. Resta da dire che la forza unitaria dello spettacolo, accolto con applausi per tutti, e d'inconsueto calore, si regge ancora sulla scelta perfetta di tutti i personaggi, oltre quello della protagonista: la coppia regale, Peter Bronder e Dagmar Peckova, con lo straordinario realismo delle loro risse odiose, l'autorità di Mark S.Doss quale profeta Jochanaan e l'estatico Narraboth di Jörg Dürmüller; ma in quest'opera i personaggi sono una miriade, e tutti caratterizzati, per cui non possiamo che elogiarli tutti insieme: e qui bisogna ringraziare ancora il regista, che in questa azione di fusione-emulsione ha una delle sue facoltà maestre. «Salome», Torino, Teatro Regio *** ULTIMI ARTICOLI SPETTACOLI MINISERIE SU RAIUNO L'ultima volta del Maresciallo Proietti CULTURA L'ebreo ingombrante SPETTACOLI LIRICA Salome, magnifica Lolita e la danza dei vecchioni CULTURA PATRIMONIO COMUNE Cento film per fare gli italiani PUBBLICITA' SPAZIO DEL LETTORE BLOG! tutti i blog CATTIVA MAESTRA UN LETTORE AL CINEMA Presidenziali USA 2008 “No you can’t&rd... Straneuropa Marco Zatterin Effetto Radiohead sul clima Diritto di cronaca Flavia Amabile Con i barboni in corsia PUBBLICITA' Fai di LaStampa la tua homepage P.I.00486620016 Copyright 2008 Per la pubblicità Scrivi alla redazione Credits & partners Aiuto Cerca

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"Salome" di Struss al Teatro Regio di Torino

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ARTE BENESSERE CUCINA MODA MOTORI SCIENZA SCUOLA TEMPO LIBERO PERIODICI

28/2/2008 (7:59) - LIRICA

Salome, magnifica Lolitae la danza dei vecchioni

GIORGIO PESTELLILa nota più forte di questa Salome torinese,

sicuramente da non perdere, è forse

l'interpretazione del soprano tedesco Nicola

Beller Carbone: al suo esordio italiano nell'opera

di Strauss si è presa dal pubblico del Regio un

uragano di applausi, rispondendo a ogni chiamata

con serpentinate reverenze in perfetto stile

liberty. Strauss, si sa, pensava alla sedicenne

sottile e viperina di Wilde, ma la voleva con una

voce da Isotta wagneriana: donde lo scoglio della

danza «dei sette veli», punto decisivo della vicenda, un tempo aggirato sostituendo pingui cantanti con

la controfigura di una ballerina provvista di «physique du rôle». Invece la Beller Carbone fa tutto da

sola e lo fa benissimo: voce espressiva, penetrante e all'occasione capricciosa col suo «air enfantin», e

grande appello fisico in scena: giovane, bella, e danzatrice flessuosa e affascinante.

Lo spettacolo era molto atteso, specie per la regìa in odore di scandalo dell'infaticabile Robert Carsen:

con le scene di Radu Boruzescu l'azione si svolge nel sotterraneo di una banca, fra pareti di cassette di

sicurezza, mentre ai piani superiori si aggirano fra tavoli da gioco tipi di ogni risma, simboli di una

società agli ultimi giorni; a questa corruzione, oltre a Jochanaan, Carsen oppone anche una positività di

Salome, la cui attrazione per l'irsuto profeta non è tanto perversione, quanto richiamo di un nuovo

mondo che sta sorgendo e affascina la donna come l'ignoto. L'idea non è nuova, ma Carsen la spinge

all'estremo con la sua scaltrezza teatrale, l'abilità a muovere i personaggi, l'efficacia delle luci di

Manfred Voss e qualche felice trovata che coglie spunti ironici dello stesso Wilde quando rasenta la

parodia della materia decadentista. Il suo dovere trasgressivo Carsen lo compie in particolari esteriori:

Salome in tenuta da ginnastica e pedalini, in stile Lolita; lo striptease trasferito agli attempati

frequentatori della banca-bisca, una sorta di pazzo capovolgimento della storia di Susanna e i vecchioni.

Qualche volta il gusto del regista è inferiore alla sua abilità teatrale, come quando si vede giocare a palla

con la testa mozzata (c'è già in Atta Troll di Heine, ma con altra leggerezza); ma l'unica cosa che è

difficile passargli per buona è quella di far morire Erodiade al posto di Salome: in un'opera che

rappresenta la corsa di una perversione al suo precipizio, se alla fine non si vede Salome schiacciata

dagli scudi, dov'è il senso del tutto?

Alla guida della direzione musicale Gianandrea Noseda è molto bravo a non lasciarsi intimidire da tanta

esuberanza visiva: la partitura di Strauss continua a essere il punto di riferimento di ogni suggestione,

con la solennità a largo giro melodico del profeta e la nevrotica irrequietudine del mondo attorno: così

Noseda ha condotto l'orchestra del Regio a precisioni e finezze ragguardevoli, frutto evidente di un

intenso lavoro di preparazione. Resta da dire che la forza unitaria dello spettacolo, accolto con applausi

per tutti, e d'inconsueto calore, si regge ancora sulla scelta perfetta di tutti i personaggi, oltre quello

della protagonista: la coppia regale, Peter Bronder e Dagmar Peckova, con lo straordinario realismo

delle loro risse odiose, l'autorità di Mark S.Doss quale profeta Jochanaan e l'estatico Narraboth di Jörg

Dürmüller; ma in quest'opera i personaggi sono una miriade, e tutti caratterizzati, per cui non possiamo

che elogiarli tutti insieme: e qui bisogna ringraziare ancora il regista, che in questa azione di

fusione-emulsione ha una delle sue facoltà maestre.

«Salome», Torino, Teatro Regio

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"Salome" al cabaret

Salomedramma musicale in un attodi Richard StraussLibretto di dal dramma omonimo di Oscar Wilde tradotto da Hedwig LachmannPrima rappresentazione: Dresda, Hofoper 9 dicembre 1905Edizione Fürstner/Schott, Mainz

Teatro Regiopiazza Castello 215Torino011881524129 febbraio 2008

Nicola Beller Carbone è una Salome bella, sa recitare molto bene l'idea di lolita preparata per leidal regista Robert Carsen, e quando deve danzare la danza terribile, il coreografo PhilippeGiraudeau le fa fare poche falcate da vamp scatena feromoni, soprattutto le fa spalancare legambe, e mostrare le belle cosce su tacchi alti di scarpissime dorate: questo climax di un regiaambientata dallo scenografo Radu Boruzescu nell'immenso ma claustrofobico smagliante caveaudi un casinò (geniale che la cisterna del prestante Jochanaan di Mark Doss sia la supercassaforte!) inventa intorno al magistrale Erode di Peter Bronder (nanetto maniaco sessuale cheriprende la danza clou con la videocamera che proietta sul video-wall dettagli sexy della sbavatafigliastra) e alla pacchiana megera Erodiade di Dagmar Peckova un drappello di vecchiacci eosceni travestiti che trasforma il capolavoro fulminante di Richard Strauss in una fenomenaleanticipazione dell'espressionismo cabarettistico di Kurt Weill o Alban Berg: è Gianandrea Noseda,molto brillante a guidare una molto buona Orchestra del Teatro Regio di Torino, ad aver scovatoin partitura ogni corrispondenza con la visione intelligente di Carsen? Com'è e come non è,quando un capolavoro del repertorio te lo trovi scuoiato e palpitante come cosa contemporanea,si è di fronte a quanto di meglio si può chiedere al teatro d'opera oggi. Anche se il regista mettenudi alla danza sei laidi cortigiani, si permette infine di lasciare andar via in sottoveste nel desertola impazzita Lolita sbaciucchiante il decapitato capo, fa ammazzare da Erode l'ex cognata madredella figliastra, pazienza, perché in fondo ci mette anche un po' di Pasolini e Eschilo.

Daniele Martino

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Torino - Teatro Regio: Salome

La recensione

Nel dicembre 1906 Torino e Milano si contesero la première italiana della Salome: il 22 a dirigere i complessi del Regio c’era Richard Strauss in persona, ma Arturo Toscanini aprì al pubblico la prova generale del giorno prima alla Scala… e così l’arabesco liberty del clarinetto con il quale principia l’opera risuonò per la prima volta all’ombra della Madonnina. Altri tempi: un avvenimento musicale aveva grande risonanza “mediatica”! Oggi sappiamo invece come stanno, mestamente, andando le cose… La nuovissima Salome torinese rappresenta la punta di diamante della stagione del Teatro Regio: la presenza contemporanea del direttore musicale Gianandrea Noseda sul podio e di Robert Carsen in cabina di regia sembrerebbe sulla carta una garanzia. Torno quindi senza indugio a quelle otto biscrome che aprono il primo capolavoro operistico straussiano. “Wie schön ist die Prinzessin Salome heute nacht!” canta Narraboth, con la voce chiara e squillante di Jörg Dürmüller e il paggio di inconsueta presenza scenica e vocalmente sicuro di Manuela Custer risponde “Sieh die Mondscheibe, wie sie seltsam aussieht”. CHOC! Ci troviamo presumibilmente a LasVegas, nel caveau di una casa da gioco. Narraboth, il capo delle guardie del corpo, sta esaminando il grande monitor sul quale vengono trasmesse le immagini delle telecamere a circuito chiuso connesse ai piani superiori dove tra tavoli verdi, mazzi di carte e roulettes gli invitati si dilettano nel gioco d’azzardo. Siamo nel Casinò gestito da Erode econsorte! Salome la vediamo inquadrata di tanto in tanto sullo schermo: pare svogliata, indifferente, avulsa dal clima festaiolo che accompagna la brigata dei debosciati, assorta. Quando scenderà nel caveau di lì a poco per cercare “aria più respirabile” (“Hier kann ich atmen”), in un ambiente non propriamente luminoso e “areato” ma anzi lucidamente metallico, opprimente, con le pareti completamente rivestite da cassette di sicurezza e sulla destra una grande cassaforte aperta piantonata dagli scagnozzi del patrigno (dinamiche e funzionali le scene di Radu Boruzescu), intenderemo che disagio e malessere sono intimi, interiori: ella non appartiene a “quel” mondo, un mondo corrotto, vacuo, un mondo che le ha anche sottratto il padre. Salome si presenta in maglietta nera, fuseaux neri a tre quarti e anfibi. Una ribelle di oggi! Possiamo così cogliere anche esteriormente il conflitto profondo che rode il suo animo. Nicola Beller Carbone inizia con dedizione una prestazione che non sarà mai al

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risparmio, e la notevole presenza scenica –la fragilità, l’ insicurezza di Salome ma anche la sua caparbietà, la cocciutaggine, i sentimenti di ritorsione e rivalsa vengono esaltati dalla sua performance- compensa ampiamente qualche lieve insicurezza nel registro più acuto. Il soprano tedesco, in questo che è il suo debutto italiano assoluto, si impone subito per intensità, incisività e temperamento. Davvero una lieta sorpresa! La voce di Jochanaan proviene dall’interno del grande oblò, dalle profondità inaccessibili del forziere, uno spazio misterioso, forse sconosciuto alla stessa Salome a giudicare dallo sguardo indagatore verso il monitor sul quale viene ingrandita l’immagine verdastra di un luogo impenetrabile e decisamente angosciante. “Jauchze nicht, du Land Palästina” minaccia il profeta con la voce stentorea e indubbiamente carismatica di MarkDoss. Salome ha un sussulto che sembra risvegliarla dalla persistente apatia. Finalmente qualcuno osa affermare cose nuove, cose che nessuno aveva mai osato affermare prima; finalmente Salome ha qualcosa di importante da ascoltare; finalmente qualcuno dice ciò che ella avrebbe da tempo voluto sentirsi dire. E Salome è talmente “presa” dalla voce di Jochanaan da mitizzarne, da aureolarne la sua apparizione. La cassaforte ora si apre completamente per permettere l’uscita del profeta. Le luci radenti magistralmente manovrate da Manfred Voss e la suspence creata senza effettismi o ridondanze da Gianandrea Noseda ci preparano al colpo di scena.La cassaforte si spalanca, ma Jochanaan comparirà sullo sfondo della scena, nel frattempo dischiusasi, fra dune desertiche sotto un cielo terso. Stiamo vedendo con gli occhi di Salome! Una Salome sempre più affascinata, conquistata, sedotta. Lo desidera, lo brama, lo vuole, cerca di toccarlo, lei ragazzina viziata che ha sempre avuto tutto. Eppure questa volta deve fare i conti con un’entità superiore, una forza imperscrutabile che la attrae irresistibilmente. “Der in der Wüste und in den Häusern der Könige gekündet hat”: il motivo delle quarte discendenti in orchestra è un cumulo di tensione e Noseda è bravo a restituircelo affilato come una lama di coltello. Un terribile anatema, un’apocalisse si abbatte sull’uditorio. Saltiamo dalla sedia! Nicola Beller Carbone ha una voce timbricamente suadente, non voluminosissima - Noseda si è accollato il difficilissimo compito di alleggerire la possente e densissima trama sinfonica, mai peraltro rischiando di venir meno in quanto a tensione interna e chiarezza- e riesce sempre a trovare un accento appassionato, fraseggio interessante, e poi l’intonazione è perfetta (sentire, a metà circa della terza scena, l’invocazione “Jochanaan” cantata sul terribile intervallo di undicesima diminuita discendente); con il prosieguo della recita anche il

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registro acuto acquista sicurezza. Quando Jochanaan torna nella sua buia prigione - Doss è commosso e anche discretamente morbido in “Er ist in einem Nachem auf dem See von Galiläa” mentre descrive la predicazione del Figlio dell’Uomo in Galilea- Salome prima lo segue con lo sguardo stranito poi striscia come un rettile curioso ed impaurito fino al gradino che immette nella grande cassaforte. Momento di grande emozione e suggestione! Durante il secondo intermezzo orchestrale l’Orchestra del Teatro Regio (al gran completo con quasi cento elementi in buca) è guidata da Noseda con virtuosismo in un procedere dal ritmo incalzante, ma comunque sempre ben definito. L’idea che Robert Carsen persegue con lucidità e rigore maniacale, determinata da un’indagine psicologica finissima e capillare, non senza una certadose di ironia (i mille particolari potranno essere apprezzati soltanto vedendo lo spettacolo dal vivo) èormai chiara: Erode ed Erodiade sono due plutocrati,corrotti e viziosi, circondati da un codazzo di depravati che vivacchiano senza scopo se non quello di aumentare il capitale. L’entrata in scena di Erode e della sua disgustosa compagnia resta paradigmatica, tutti agghindati (efficaci e curatissimii costumi di Miruna Boruzescu) con abiti dai colori sgargianti in abbinamenti improbabili -lussuosamente argentato quello del Tetrarca, un istrionico e svettante Peter Bronder, viscido, ambiguo e pusillanime, dalla voce ferma e sonora, mentre la sua signora, una Dagmar Peckova con qualche disomogeneità timbrica ma comunque straordinariamente a suo agio nella parte, era in abito lungo dorato tutto lustrini e paillettes- preceduti dalla servitù acconciata un po’ all’egiziana e un po’ in stile “antica Roma”, seni al vento e petti virili palestrati, servitù che in un battibaleno trasforma il vuoto e freddo caveau in un inquietante salone delle feste con sedie, poltrone, tavolini di gusto decisamente kitsch. Ma mai come in questo caso il kitsch è parso così appropriato! Salome accucciata sul bancone all’estrema sinistra del palcoscenico, testa bassa, un po’ imbronciata, assente, non vuole farsi coinvolgere da questo mondo di cartapesta. Lo rinnega. Toccante il momento in cui Salome in piedi e di spalle fissa la luna virtuale proiettata sullo schermo, quasi un soffio di natura, un anelito di libertà in quel mondo claustrofobico di morti viventi. E nella “Danza dei sette veli” vediamo come la sempre più strafottente e trasgressiva figlia di Erodiade, abbigliata provocatoriamente come l’odiata madre -stesso vestito e stessa parrucca- saprà tirare le fila di quella che diventerà a breve una vera e propria orgia del voyeurismo più dissoluto. Erode infatti si eccita non tanto perché sta assistendo ad un “normale” spettacolo di strip-tease, ma la sua esaltazione sessuale si accende quando inizierà a

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riprendere con la videocamera ciò che si sta svolgendo sotto ai suoi occhi e cioè Salome che gioca duro provocando sette vecchi depravati (che alla fine rimarranno “loro” completamente nudi). A suggellare il tutto ecco, sull’accordo di la minore che chiude la Danza, il dissacrante bacio stampato dalla figlia sulle labbra della madre, un’Erodiade sempre più sbalordita e disorientata! Da vedere! Davvero geniale la coreografia curata da Philippe Giraudeau! Noseda ci mette del suo per rendere credibile la narrazione nel nuovo contesto drammatico, sottolineando alcuni passaggi e stringendo in altri -come ad esempio l’inizio della Danza eseguito quasi meccanicamente, quasi fosse musica da film muto, a commento dell’esilarante scena in cui gli ospiti cercano sgomitando di prendere i posti migliori per assistere allo spettacolo hard. E il voyeurismo continuerà - siamo o non siamo nella società dominata dal Grande Fratello? - anche nel momento della decapitazione del Battista con il gruppo degli invitati al completo che si trasferirà con un che di automatico, come fosse la cosa più normale di questo mondo, nella zona più segreta del caveau oltrepassando l’oblò della cassaforte, dopo aver sfondato il cordone di sicurezza delle guardie. E proprio perché tutto si deve “vedere” altrimenti non esiste, non è reale, Carsen non rinuncia a mostrarci la testa mozzata di Jochanaan. La tiene una donna, simbolo atavico del peccato, rappresentante in questo caso del gruppo degli ospiti che ormai sembrano essersi compattati in un corpo unico, una specie di mostro strisciante, feroce e brutale, e la esibisce crudamente ad una sempre più smarrita Salome. Robert Carsen parteggia per la giovane, infantile e incolpevole. Sì, Salome NON COLPEVOLE! La sua folle richiesta pare situarsi a metà strada tra la sfida generazionale (ma non dimentichiamo che Erode ed Erodiade si sono anche macchiati del ferale delitto per sbarazzarsi di suo padre) ed un innocente gioco puerile. Non c’è tracciadi perversione alcuna. E quando la giovane si troverà la testa del Profeta fra le mani si accorgerà troppo tardi, come succede spesso ai bimbi, che il giocattolo si è irrimediabilmente rotto! Il lungo monologo finale di Salome è un banco di prova irto di difficoltà per la protagonista. Nicola Beller Carbone termina in crescendo la sua ottima prestazione. La voce, penetrante, corre con naturalezza, pare ben appoggiata ed è omogenea nei complicati passaggi di registro che costellano questa pagina: si va nel giro di poco dal Si b sopra il rigo al Sol b sotto. Dopo il fatidico bacio Salome esce di scena con la testa di Jochanaan sollevata sulla propria, esce sullo sfondo che si apre lentamente per accoglierla fra le dune sabbiose e il cielo terso del suo subconscio, in una sorta di assoluzione-redenzione finale. Una catarsi! E quando Erode urla il suo ultimo “Man töte

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dieses Weib!” gli astanti, dopo un attimo di smarrimento, si dirigono minacciosi su una esterrefatta Erodiade, vera anima nera della vicenda. Parti di fianco eccellenti con una menzione particolare per il primo Nazzareno commosso e molto musicale di Roberto Abbondanza e il primo soldato di bella presenza timbrica di Vladimir Baykov. Questa Salome è destinata a lasciare il segno, ma proprio per questo anche a dividere. Complimenti dunque ad un teatro “italiano” che ha avuto il coraggio di credere in un’operazione che certamente qui da noi trova ancora il pubblico un po’ impreparato. Peraltro qui al Teatro Regio di Torino si è trattato di un trionfo! Un’ultima riflessione: questa è la prima volta che Carsen monta un suo nuovo allestimento in Italia e Robert Carsen è unanimemente considerato dalla critica mondiale un “numero uno”…

Massimo Viazzo

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02 März

L'incantata innocenza della perversione

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E' inutile negare che il principale interesse del nuovo allestimento della "Salome" di Richard Strauss allestita al Teatro Regiodi Torino fosse dato dalla regia di Robert Carsen, il geniale e provocatorio regista canadese che tornava nel teatro subalpino dopo i successi raccolti gli scorsi anni. Attese che non sono andate deluse. L'aproccio del regista canadese all'opera straussiana presenta numerosi punti di interesse, non tanto nella posticipazionedella vicende in un casinò contemporaneo (e nel quale si riconosceva con facilità il Cesar Palace di Las Vegas con gliinservienti in abiti egizi e romani), quanto nella costruzione stessa dello spettacolo, secondo un tratto caratteristicodi Carsen. A fare da scenario all'opera era infatti un claustrofobico caveau, una prigione metallica nella quale il mondo esterno filtrasolo attraverso alcuni monitor, una lussuosa oppressione di una società senza valori, schiava delle proprie ricchezze. In questocarcere eterno l'unico libero è Jokanaan, il portatore di un messaggio diverso. Al suo apparire le pareti metalliche si aprono suun deserto orientale, la natura, la vita, la storia entrano in questo pozzo chiuso in cui il nulla genera i peggiori mostri. Icostumi ribadiscono l'alterità di Jokanaan al mondo circostante, ai pacchiami vestiti di Erode e dei suo cortigiani si opponel'austero abito orientale del profeta, quasi uscito da un dipinto medioevale. Oltre al profeta esiste solo un'altro elemento di positività: quello rappresentato da Salome. La principessa è un'adolescenteribelle, viziata e infelice, cresciuta in un mondo corrotto che ha respirato fin da bambina ma alla quale non si sente appartenere e attratta da Jokannan non per semplice capriccio ma per una sostanziale comunanza di fondo nell'odio verso la coppia Erode-Erodiade e nella ricerca di qualcosa di diverso. Per una volta il loro duetto è un autentico duetto d'amore, è lascoperta per Salome che esiste qualcosa di diverso dall'abbiezione in cui è cresciuta. E' praticamente impossibile raccontare uno spettacolo così ricco di idee, spunti, sollecitazioni, pare quindi preferibileconcentrarsi su alcuni momenti topici. La "danza dei sette veli" è forse il momento centrale dello spettacolo risolta da Carsemin modo scioccante capace di rendere lo scandalo della prima. Spinta da Erode a danzare la principessa entra in scenavestita, pettinata e truccata esattamente come la madre, nel momento in cui devo ricorre ad una seduzione squallida - bendiversa da quella spontanea, ingenua, più da bambina piagnucolosa che da donna fatele usata nei confronti di Narraboth -imitata automaticamente la madre ma allo stesso tempo le grida tutto il suo disprezzo. Intorno alla sua danza lasciva, colmadi esplicite provocazioni ma di scarse nudita, si scatena un orgia senile che Erode riprende morbosamente con una telecamera- le cui immagini sono proiettate sui monitor di controllo. Un gruppo di sette vecchia si denuda - in qualche casointegralmente - incapace di contenersi di fronte alle provocazioni della fanciulla. Un orgia inquitante e macabra che ricordacerte pagine di Svetonio, immagine di un'imanità abbruttita e senza dignità (ironicamente potremmo dire rappresentazionedella gerontofilia che alberga in tanti melomani, ma qui stò scherzando,ben più pregnanti gli obiettivi del regista) Altro momento di straordinario suggestioni il finale, Salome bacia la testa di Giovanni in un autentico momentod'amore, quasi ne assume la forza morale, quel bacio crea una nuova Salome. A quel punto le pareti si aprono, ricompare ildeserto di Giovanni in cui Salome - vestita solo di una sottoveste-tunica, totalmente altera rispetto agli altri e in qualche modo prossima alla semplicità di Jokanaa) si addentra, libera dalla prigione in cui è vissuta mentre al grido di Erode "Mantote dieses Weib" i convitati si avventano su Erodiade (per altro il libretto non indica quale donna). Uno spettacolo di tale complessità non è facile da portare in porto, a volte viene a mancare una conseguenza logica fra levarie parti del palcoscenico (se durante la danza quello che compare sui monitor è ciò che filma Erode come si spiegano i seninudi che a tratti compaiono quando Salome rimane in sottoveste e non mostra mai maggiori nudità). In altri momenti ilregista si fa prendere la mano e si lascia andare a soluzioni du gusto molto dubbio (due travesti nel quintetto dei giudei che disputano di teologia, gli invitati che palleggiano con la testa del Battista), che non arrivano però a compromettere la forzadell'insieme. Ho trovato straordinaria la direzione di Noseda che rinuncia alle esplosioni telluriche ed esalta la rarefatta atmosfera dimolti passi, una "Salome" dolcissima ed ipnotica, perfettamente in linea con l'idea che Carsen ha della protagonista. Cast di ottimo livello. Nicola Beller Carbone dona a Salome una voce molto bella, una prescenza scenica ideale ed un notevole talento di attrice, semplicemente perfetta nel delineare una ragazza viziata, sostanzialmente ingenua e infantile nell'uso del suo micidiale potere di seduzione. Vocalmente tende a schiacciare sugli estremi acuti ma in queste repertorio qualche nota nonpulita non inficia la riuscita del personaggio. Mark M. Doss è uno Jokhanaan nero, vocalmente e scenicamente imponente, dotato di un'innata autorità sacerdotale. PeterBroder delinea un Erode ansiogeno e nevrotico, incapace di reggere le sue responsabilità. La Peckova è un Erodiadevolutamente grossolana e sguaiata (personalmente preferisco una lettura diversa del personaggio) ma di grande carisma. Inoltre entrambi cantano molto bene le rispettive parti, cosa non comune. Ben delineati - e soprattutto molto ben cantati - lo stupito Narraboth di Jorg Durmuller e il paggio (in questo caso agente disicurezza) di Manuela Custer, per una volta giustamente virile così che l'affetto che lo lega a Narraboth appare piùcompagnonage militare che gelosia di un'amante respinta, come troppo spesso capita. Spettacolo di grande forza, capace di colpire cuore e mente. Consiglio a chi avesse la possibilità di andarlo a vedere, ne valela pena.

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mercoledì 05 marzo 2008, 07:00

di Lorenzo Arruga Vota Risultato

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Mahler incantevole Elettra e Salome digrande intensità

Chi lo sa, se sapremo mai perché, ma in questi giorni i tedeschi delNovecento storico ci bombardano con serate da un'ora e mezzo e piùsenza intervallo, salutati da applausi strepitosi. Ha cominciato il Wozzeck alla Scala; poi Daniele Gatti, che lo sta dirigendo, ha sciorinato la competenza nella composizione musicale e il carisma crescente, nella Sesta Sinfonia di Gustav Mahler, coacervo di dolcezze e di disperazioni, per il pubblico milanese della Filarmonica.

E intanto a Firenze e a Torino, pronubo Robert Carsen regista, si presentano le due crudeli ed angosciate principesse di Strauss, Elettra e Salome.Elettra è nera da vedere, donne vestite di nero tra le nude paretid'un contenitore nero. C'è un rettangolo aperto, piccolo, in mezzo alpalcoscenico. E ci son luci livide o infuocate. C'è un coro muto didonne che si muove come in un rito da tragedia greca: si ammucchiano e sparpagliano e si ricompongono in cerchio ripetendo con sincronia in immagini precise i gesti dell'eroina che deve vendicare il padre ucciso dalla madre e attende invano il fratello. Seji Ozawa, giapponese minutino ed in età rispettabile, scatena violenzainesorabile all'inizio, nella pienezza cruda chiesta all'eccellente orchestra del Maggio Musicale, e poi è sopraffatto dalla dolcezzastranita del colloquio tra i fratelli, come vissuto in un tempo remoto, e perentorio nella tragica danza liberatoria finale. Susan Bullock, Elettra, ci sta abituando a riscoprire grandi personaggi con unanuova intensità ; Agnes Baltsa è la madre, con tutta la sua autoritàtagliente; Matthias Goerne è il fratello, e un Oreste così sembravenire dal mondo di Ibsen o di Britten, pacato, intimo, forte. E tuttoè memorabile.Salome di Torino è irraccontabile. I segni si affermano e si contraddicono, le idee si lascianosprofondare nelle immagini in una specie di visionarietà decadente assorbita dall'impeto vitale dellamusica e dal suo frangersi in richiami misteriosi. Gianandrea Noseda sta portando l'orchestra del Regio a una forte convinzione, e sospinge a dovere il tenore Peter Bronder e Mark S. Doss, Erode e Giovanni un po' troppo sempre stentorei, Dagmar Perckova, Erodiade petulante e protettiva. Ma ecco: il mondo arido e lussurioso di Erode un caveau d'una banca, nelle immagini dei Boruzescu, e lacisterna da cui viene la voce di Giovanni Battista imprigionato è nel forziere, dietro all'enorme portacircolare; a un bancone le immagini accostate di schermi televisivi possono comporsi nel ritratto di Salome giovinetta o in una luna solitaria. Salome è una lolita capricciosa. Quando Salome vorrebbesuo Giovanni, la parete del fondo si apre ed egli appare nel deserto; per la famosa danza dei sette veli, la ragazzina si traveste da diva e a spogliarsi non è lei, che ha comunque erotismo da vendere,ma goffi uomini coinvolti. Non crederemmo che esistesse Nicola Beller Carbone, se non l'avessimo ascoltata e vista: invece esiste, fenomeno meraviglioso, e teniamocela cara.

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Frankfurter Allgemeine Zeitung vom 08.03.2008 Seite 39

E-Paper http://www.faz.net/IN/INtemplates/faznet/default.asp?tpl=epaper/re.a...

1 von 1 08.03.2008 05:48

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Turin. Teatro Regio. 24-II-2008. Richard Strauss (1864-1949) : Salomé, drame musical en un acte, livret d’Hedwig Lachmann d’après le drame éponyme d’Oscar Wilde. Mise en scène : Robert Carsen. Chorégraphie : Philippe Giraudeau. Décors : Radu Boruzescu. Costumes : Miruna Boruzescu. Lumières : Manfred Voss. Vidéo : Dario Cioni. Avec : Nicola Beller Carbone, Salomé ; Peter Bronder, Hérode Antipas ; Dagmar Pecková, Hérodiade ; Mark S. Doss, Jochanaan ; Jörg Dürmüller, Narraboth ; Manuela Custer, le page d’Herodiade ; Roberto Abbondanza, Thomas Gazheli, les nazaréens ; Nicola Pamio, 1er juif ; Cristiano Olivieri, 2ème juif ; Karl Michael Ebner, 3ème juif ; Ulfried Haselsteiner, 4ème juif ; Nikolai Karnolsky, 5ème juif ; Vladimir Baykov, Robert Holzer, les soldats ; Vladimir Jurlin, un Cappadocien ; Daniela Valdenassi, un esclave. Orchestre du Teatro Regio, direction : Gianandrea Noseda. ・ C’est un tonnerre d’applaudissements qui salue l’extraordinaire Salomé de Richard Strauss du Teatro Regio. Des applaudissements et des bravos qui s’adressent indifféremment aux chanteurs ou au chef d’orchestre jusqu’au moment où apparaît le véritable héros de la soirée : le metteur en scène canadien Robert Carsen. Alors, le public lui offre un triomphe. Un triomphe largement mérité. Sa conception de Salomé est un chef d’œuvre d’intelligence, d’humour et d’ironie. En choisissant de transposer la légende biblique de Saint-Jean Baptiste dans l’univers contemporain du Caesar’s Palace de Las Vegas, Carsen plonge le spectateur dans la réflexion. Quelle différence entre le roi Hérode d’il y a 2000 ans et les richissimes magnats hantant ce temple de plaisirs ? Dans la froide et grise salle des coffres du palace, des éphèbes coiffés de casques romains dorés à crêtes rouges et des jeunes femmes aux seins nus transfèrent, sous l’œil de gardes de sécurité, l’argent et les valeurs des joueurs du casino qu’un mur de téléviseurs montre en train de s’affairer autour des tables de jeux. Derrière la grande porte circulaire à combinaison du coffre-fort principal s’échappent les prophéties de Jochanaan, prisonnier d’Hérode, le tout-puissant du lieu. En survêtement noir, Salomé fuit l’ambiance de la salle de jeux et les assiduités de son beau-père Hérode. Les parois aluminium des coffres lui servent de havre de paix. Enfant gâtée, à qui rien ni personne ne résiste, elle convainc les gardes de libérer Jochanaan pour son seul plaisir de le contempler. Alors comme les remparts de Jéricho, les murs de coffres s’écartent alors pour s’ouvrir sur un paysage de dunes d’où s’avance un majestueux Jochanaan, homme du désert vêtu d’une djellaba noire. Image superbe, prémices de l’émotion qui sourd de la rencontre de Jochanaan et de Salomé. Si Robert Carsen imagine une Salomé-Lolita passant de la jeune femme rêveuse et capricieuse, consciente de la fascination qu’elle opère sur les hommes à la femme psychotique en proie à la folie meurtrière, il possède en Nicola Beller Carbone une interprète d’exception. Se pliant parfaitement aux besoins du drame, splendide, sculpturale, elle construit son personnage avec une sensibilité attachante. D’abord la voix. Câline alors qu’elle tente d’arracher un baiser des lèvres de Jochanaan, blanche lorsqu’elle sombre dans sa folie naissante d’obtenir la tête de cet homme qui se refuse à elle, triomphante lors qu’elle tient dans ses mains la tête de Jochanaan. Grande straussienne, dominant la partition avec une maestria remarquable, la jeune femme est une actrice au corps gracile et mouvant.

S’il ne devait rester qu’une seule image de la formidable Salomé mise en scène par Robert Carsen, «sa» danse des sept voiles de Salomé demeure inoubliable. Mélange de sexe, d’ironie, de pathétique, Carsen projette les fantasmes sexuels dans une vision renversée de cette danse. Alors qu’Hérode demande à Salomé de danser pour lui, la jeune femme entame sa chorégraphie lascive devant le magnat et ses invités. Entraînant derrière ses mouvements caressants les spectateurs les plus âgés de l’assemblée, ils perdent peu à peu leur sang-froid, pour s’immiscer dans la danse érotique de Salomé. Éperdus de désirs, ils se déshabillent entièrement alors que Salomé tournoie en combinaison légère. Quand cessent ses arabesques, les voici nus, pitoyables et décharnés, pauvres fous ramassant leurs vêtements à la hâte, honteux de leurs fantasmes. Autour de cette Salomé habitée des démons de son triste marché, le ténor Peter Bronder

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campe un Hérode autoritaire. Son assise vocale lui confère la brutalité du rôle sans jamais qu’il ne tombe dans la caricature. Au besoin même, le voici doucereux invitant Salomé à la danse, ou introverti devant les foudres de d’Hérodiade, son épouse. L’expression vocale du rôle d’Hérodiade s’inscrit dans l’implication profonde de la prosodie. Dans le rôle d’Hérodiade, délaissant la vocalité de conservatoire au bénéfice de l’expression théâtrale, la mezzo-soprano Dagmar Pecková s’insinue à ravir dans le caractère revanchard, colérique et vicieux de son personnage. Le succès de cette production doit aussi compter pour beaucoup sur la direction musicale de Gianandrea Noseda. Dirigeant un excellent Orchestre du Teatro Regio, il tire de cette musique expressive des accents orchestraux admirables. Passant de la solennité qui accompagne les prophéties de Jochanaan, au lyrisme des rêves lunaires de Salomé, à l’explosion tonitruante des orgies d’Hérode au langoureux sublime de l’air final de Salomé, le chef italien s’affirme comme l’une des plus belles baguettes de l’art lyrique. Près de deux heures de passion musicale et scénique, sans entracte, la Salomé sublimée de Robert Carsen se construit autour d’une tension continuelle qui trouve son paroxysme dans les ultimes paroles d’Hérode à l’encontre de Salomé : «Tuez cette femme !». Une soirée chargée d’un engagement artistique sans limites, qui plonge le spectateur au cœur du drame. Un spectacle total qui doit être repris au Maggio Fiorentino et au Teatro Real de Madrid, lors de prochaines saisons. Crédit photographique : Ramella&Giannese ã Fondazione Teatro Regio di Torino Rédacteur : Jacques Schmitt pour ResMusica.com le 03/03/2008