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Cronache di Cammini n° 12 1 Cronache di Cammini percorsi, soste, storie nel camminare Pubblicazione semestrale del Dott. Luciano Mazzucco Direttore Responsabile Dott. Niccolò Mazzucco - Numero 12 – ottobre 2017 - Il viaggio Un percorso vissuto è sempre un viaggio. Anche quando lo si chiama in altro modo, sia fisico che virtuale o ideale. Sappiamo di grandi viaggiatori, di grandi percorsi e di grandi mete. Negli ultimi decenni, da quando il Cammino di Santiago, continuando la sua antica tradizione, ha preso una nuova forza e ha visto ogni anno aumentare il flusso dei pellegrini e frequentatori, si sono riattivate e valorizzate tante altre vie di pellegri- naggio. Attualmente constatiamo che nuove necessità hanno portato le persone a cercare diverse realtà di cammini, e fra queste i percorsi per la salute, gli scambi cul- turali fino a pensare anche a quei cammini ‘virtuali ‘che sono già ..in cammino . Riconoscendo la presenza della emulazione, delle gare e del desiderio di conquista consideriamo la necessità di non vedere disgiunto il senso della realtà e la compren- sione della vera motivazione di cammini e della loro componente interiore.

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Cronache di Cammini n° 12

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Cronache di Cammini percorsi, soste, storie nel camminare

Pubblicazione semestrale del Dott. Luciano Mazzucco

Direttore Responsabile Dott. Niccolò Mazzucco

- Numero 12 – ottobre 2017 -

Il viaggio

Un percorso vissuto è sempre un viaggio. Anche quando lo si chiama in altro modo, sia fisico

che virtuale o ideale. Sappiamo di grandi viaggiatori, di grandi percorsi e di grandi mete.

Negli ultimi decenni, da quando il Cammino di Santiago, continuando la sua antica tradizione, ha preso una nuova forza e ha visto ogni anno aumentare il flusso dei pellegrini e frequentatori, si sono riattivate e valorizzate tante altre vie di pellegri-naggio. Attualmente constatiamo che nuove necessità hanno portato le persone a cercare diverse realtà di cammini, e fra queste i percorsi per la salute, gli scambi cul-turali fino a pensare anche a quei cammini ‘virtuali ‘che sono già ..in cammino . Riconoscendo la presenza della emulazione, delle gare e del desiderio di conquista consideriamo la necessità di non vedere disgiunto il senso della realtà e la compren-sione della vera motivazione di cammini e della loro componente interiore.

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Dai Pirenei a Burgos di Enrico Marchi

Da tempo mi hanno interessato i racconti dell’esperienza del Cammino di Santiago fatti da amici e, pur non avendo motivazioni religiose, mi sono sentito at-tratto a fare questa esperienza. Le moti-vazioni sono più di una, curiosità, voglia di fare una esperienza di essenzialità e di libertà dagli schemi tradizionali, vedere posti nuovi, che ho immaginato e visto come bellissimi, conoscere persone nuo-ve, e, in ultimo, perché no, provare una sfida con me stesso. L’ occasione è arriva-ta quest’estate anche se con tempo limi-tato, dovendo restringere il cammino, al-meno per questa volta, a soli (si fa per dire) 300 km, da Saint Jean Pied de Port, nella parte francese dei Pirenei, fino a Burgos in Castiglia. Dodici tappe con un impegno giornaliero medio di 25 km (a volte 15 km ma a volte anche 30 km). Le difficoltà non sono mancate, ma erano previste, e quindi superate: dormire in comunità con le ovvie difficoltà della pro-miscuità e delle ristrettezze, partire molto presto la mattina, magari senza colazio-ne, il peso dello zaino, i dolori ai piedi, la stanchezza, le salite e le discese, la piog-gia, il caldo, i tratti a volte lunghi e mo-notoni. Questo però ha aiutato a riflette-re, dentro di me e fuori, osservare, ap-prezzare l’arte, l’architettura, le cose loca-li, diverse dal mio ambiente. Le persone

che ho conosciuto e con cui ho condiviso il cammino sono state meravigliose, pro-venienti da tutto il mondo, con cui ho potuto dialogare nonostante le barriere linguistiche: spagnoli, francesi, tedeschi, americani, australiani, canadesi, corea-ni, giapponesi, brasiliani. Tutti con la stessa meta, camminare verso Compo-stella; una occasione di tanta ricchezza umana mai capitata. E i luoghi ed i pae-saggi sono stati indimenticabili: il pas-saggio dei Pirenei, purtroppo sotto la pioggia, Roncisvalle con la superba Col-legiata, i ponti costruiti dai pellegrini, i monasteri e le grandi chiese, a Santo Domingo della Calzada, a Los Arcos, a Navarrete per citarne alcune, una più Puente La Reina

Al termine del Cammino nella

Piazza della Cattedrale a Burgos

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bella dell’altra, la chiesa templare del Santo Sepolcro a Torres del Rio, la catte-drale di Burgos. E poi i “cruceiros”, le sterminate distese di campi di grano e di girasoli, il sentiero che si snoda davanti a te per chilometri fino alle avvisaglie del prossimo paese, la tua ombra che ti ac-compagna nel cammino, lunghissima alle prime luci dell’alba, i parchi eolici impo-nenti, mai visti di tale estensione. Mi so-no chiesto, nelle lunghe riflessioni, cosa mi ha spinto in realtà a fare questa espe-

rienza, che ormai ritengo la più bella della mia vita, e cosa mi spinge inesora-bilmente a continuare il resto del cam-mino, appena possibile, fino a Santiago. La risposta credo di averla trovata su una poesia scritta sul muro di recinzione di un cementificio vicino a Najera, a me-tà del cammino nella Rioja; una forza oscura che mi chiama, indefinibile, che viene dal profondo. Solo chi sta lassù, se c’è, lo può sapere.

Polvere, fango, sole e pioggia/ è il Cammino di Santiago/migliaia di pellegrini/da più di un migliaio di anni/Pellegrino, chi ti chiama?/Quale forza oscura ti attrae ?/Non è il cammino delle stelle/né le grandi cattedrali/non è la potenza della Navarra/né il vino della Rioja/né

i frutti di mare della Galizia/né le campagne della Castilla/Pellegrino chi ti chiama ?/quale forza oscura ti attrae ?/non sono le persone

del cammino/né le usanze della campagna./Non è la storia e la cultura/né il gallo della Calzada/non è il palazzo di Gaudi/né il castello di Ponferrada./Tutto questo vedo al mio passaggio/ed è un piacere ammirare ogni cosa/ma la voce che mi chiama/la sento molto più nel

profondo./La forza che mi spinge/la forza che mi attrae/non so spiegarla nemmeno io/solo chi sta lassù lo sa.

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La Via degli Acquedotti di Luciano Mazzucco

L’approvvigionamento idrico della città di Lucca nei secoli si è avvalsa dell’-apporto del fiume Serchio e dei pozzi della piana circostante. Nel Settecento, ritenendo necessario approvvigionarsi di acqua di maggior purezza, si iniziò a progettare un sistema per portare l’ac-qua dai vicini Monti Pisani ma solo a metà del 1800 l’architetto lucchese Not-tolini, su incarico di Maria Luisa di Bor-bone riuscì a completare la complessa architettura ed il sistema idraulico per portare acqua purissima dalle numerose fonti fino a Lucca per alimentare le fon-tane cittadine. Del resto una analoga ini-ziativa aveva preso circa due secoli pri-ma (1613) la città di Pisa con la costru-zione dell’acquedotto mediceo che dal versante pisano dell’omonimo monte portava l’acqua in città. Nel lato lucchese il Nottolini costruì un acquedotto sopraelevato, sul modello degli antichi acquedotti romani e di quello pisano mediceo, sostenuto da 459 archi in mattoni. L’acqua veniva convo-gliato, alle falde del monte Pisano, in un centro di raccolta e depurazione, co-struito in stile neoclassico dorico a pian-ta circolare, conosciuto anche come

“Tempietto di Guamo”. Da lì iniziavano a susseguirsi gli archi che in circa 3,5 km arrivavano nei pressi delle mura di Lucca (vicino all’attuale stazione FS) in una ci-sterna in marmo entro un’ analoga strut-tura neoclassica (Tempietto di San Con-cordio). Erano previste due condutture separate in base alla purezza dell’acqua e alla destinazione di uso (uso privato o alimentazione delle fontane pubbliche). Condotte metalliche portavano poi l’ac-qua in città passando sotto il Baluardo di San Colombano. Dalla parte pisana, già al tempo di Cosi-mo de’ Medici, si era pensato di alimen-tare i fabbisogni della città con l’acqua pura prelevata nella Valle delle Fonti vi-cino ad Asciano sul Monte Pisano. L’ac-qua veniva depurata anche in questo caso con spurgatoi (bottinelli) e convogliata in un cisternone di raccolta e quindi immes-sa nell’acquedotto vero e proprio, soprae-levato anch’esso; la struttura conta 934 archi per un percorso di circa 6 km fino alla pisana Piazza delle Gondole. I due acquedotti, soprattutto il lucchese, sono ancora oggi sostanzialmente integri an-che se la funzione idrica è stata soppian-tata con altre condutture sotterranee. Nel

Il percorso da Lucca a Pisa attraverso il Monte Pisano (grafica 3D Garmin Trek Italia Pro)

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lato lucchese, furono abbattuti 6 archi (negli anni trenta e nel 1962 in occasione del raddoppio della carreggiata) per la-sciar posto all’autostrada A11 Firenze-Mare, come è possibile ancor oggi con-statare percorrendola. Oggi si può fare un cammino che unisce le due città toscane, lungo circa 24 Km, fruibile nei due sensi, che da Lucca scorre nella parte in pianura lungo il sen-tiero al lato degli archi dell’ acquedotto, per poi impegnarsi nella salita del monte Pisano fino alla sommità (Valico di Cam-po di Croce). La discesa dal lato pisano è abbastanza ripida e sdrucciolevole in al-cuni tratti. L’impegno per tale cammino è di almeno 8 ore ma è consigliato da alcu-ne associazioni escursionistiche locali, sia per la lunghezza, sia per l’impegnativa salita nel lato lucchese e discesa dal lato pisano, di effettuarlo in due tappe, so-stando in località Vorno dove sono pre-senti alcune accoglienze (Ostello, B&B, ecc.). La partenza è a Lucca in Via del Tempietto, poco distante dalla Stazione Ferroviaria. Passati accanto alla cisterna neoclassica di S.Concordio si percorrono i circa 3 Km che portano all’altro capo dell’acquedotto. Una passerella ci per-mette il passaggio sulla autostrada A11. Si

sale quindi nel verde, lungo i canali per la regimazione delle acque, lungo la val-le del Rio San Quirico in una zona sug-gestiva, chiamata “Parole d’Oro”, nome dato un tempo dai contadini locali im-pressionati dalle scritte con vernice do-rata che ornavano un ponte. Saliamo fino a Gallonzola per scendere poi a Vorno (km 8,4) per un eventuale sosta o ristoro. Da visitare la Pieve e apprezzare le numerose ville patrizie lucchesi. Si continua verso il valico per circa 1,5 km di strada asfaltata per poi impegnarsi nella salita (ripida) del sentiero n° 124. Arrivati al valico (m. 617 s.l.m) ci si im-mette su una strada forestale. Dopo 2 km si prende il sentiero 16 verso il Passo della Conserva, ma alla “Scarpa di Or-lando” si prende il sentiero n° 119, in discesa molto ripida, che seguendo le prese dell’acqua ci porta al “Cisternone” mediceo (oggi restaurato e aperto alle visite) inizio dell’acquedotto pisano. Si scende ad Asciano dove ci sono punti ristoro; riprendendo il cammino si pro-cede a lato dei quasi mille archi che por-tano l’acqua alla Piazza delle Gondole, dove c’è la prima fontana della città pi-sana. Nel complesso il dislivello è di 600 mt in salita e 600 mt in discesa.

Il “Tempietto di Guamo” e l’inizio dell’acquedotto verso Lucca

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Lord Byron e il giovane Aroldo di Lucia Mazzucco Il pellegrinaggio del giovane Aroldo (Childe Harold’s pilgrimage) è un po-ema di Lord Byron pubblicato tra il 1812 e il 1818. Il giovane Aroldo, più che un pellegrino, potrebbe essere de-finito un viaggiatore, ma quello che giustifica l’attribuzione datagli dall’au-tore potrebbe essere la volontà di tro-vare in quella esperienza qualcosa di simile ad un rinnovamento. Furono i viaggi che Lord Byron aveva fatto in-sieme ad un amico nell’Europa meri-dionale che ispirarono il racconto, in-fatti in alcuni passi fu colto e anche criticato un certo sapore autobiografi-co. Il libro riscosse un enorme succes-so dando all’autore tanta celebrità e nel pubblico venne a crearsi l’immagi-ne dell’ “eroe byroniano”, cioè quel ti-po di individuo che è in perenne con-trasto, che può apparire come positivo e in altri momenti negativo, professan-do un pensiero ora religioso ora ateo e comunque un animo sempre rivolto alla ricerca di emozioni nuove. Scritto nella forma della ‘strofa spenseriana’ cioè di strofe di nove versi giambici, tutti di dieci sillabe eccetto l'ultimo, il libro si compone di quattro canti . All’inizio, come ogni poema di grande rispetto, c’è una apertura con l’ invo-cazione alla musa, poi si evidenzia su-bito il tema del voler partire, distaccar-si dal proprio paese e cercare un cam-biamento di vita.

Il primo canto è dedicato alla Penisola Iberica, il secondo all’ Albania ed alla Grecia, al Belgio ed al Reno il terzo e l’ultimo, il quarto, parla dell’ Italia ed è forse il più bello; composto nel 1818 pro-prio in Italia contiene impressioni di va-rie città, monumenti e bellezze della na-tura. Nelle opere di Byron la natura ha un ruo-lo determinante perché rappresenta il luogo del rifugio, dove il protagonista ri-trova il suo modo di essere, quasi una ca-sa ritrovata dopo essere fuggito dall’op-pressione della società. Mentre i primi tre canti sono interpretati da un giovane pellegrino Aroldo, arrivato in Italia il poeta continua il racconto in prima persona.

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Molto successo è da attribuirsi all'evo-cazione di paesaggi esotici e bellezze na-turali, oltre alle citazioni e riferimenti sia alla storia passata che a quella del suo tempo, spesso a scapito della quali-tà dei versi. Canto 4 178 C'è un immenso benessere nei boschi senza sentieri, c'è estasi sulla spiaggia solitaria, c'è una quantità di forme di vita, dove nessuno interferisce, là nel mare profondo e c'è musica nel suo rombo. Io non amo di meno l'uomo, ma di più la natura; dai nostri dialoghi scappo di nascosto, da tutto ciò che

posso essere o che sono mai stato, per mescolarmi con l'universo e per sentire ciò che non potrò mai esprimere ma che tuttavia non posso nascondere. Il successo del poema ispirò il composi-tore romantico francese Hector Berlioz, che nel 1834 scrisse la sinfonia nota co-me Harold en Italie. Il pittore incisore inglese J. M. W. Tur-ner nel 1823 con la sua pittura paesaggi-stica volle rappresentare anche il poema di Lord Byron.

In cammino verso l’Alto del Perdon, fra Pamplona e Puente la Reina,

Sul cammino di Santiago

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Alla fine del IV secolo, l'editto di Teodosio – ultimo imperatore a regnare sull’Impero unificato – rese il Cristiane-simo religione unica e obbligatoria nei vasti territori sotto il suo dominio. Una delle conseguenze più visibili di tale e-ditto fu la costruzione delle grandi basi-liche cristiane, strutture che prendono il loro nome, “basilica”, dagli edifici pub-blici utilizzati come luogo di riunione del popolo e di amministrazione della giustizia. La fondazione di tali edifici ebbe un ruolo fondamentale nell’espan-sione ed affermazione del culto cristia-no. Le basiliche, infatti, avevano la fun-zione di raccogliere i fedeli ed ammini-strare i sacramenti, in particolare il rito battesimale, rito che permette l’entrata dell’individuo all’interno della comunità cristiana. È quindi facile immaginare che le chiese con battistero furono uno degli elementi fondamentali nel proces-so d’espansione della religione, non solo a livello prettamente culturale, ma an-che a livello economico e politico. Le chiese battesimali erano, infatti, centri di gestione del territorio e di captazione di risorse – basti pensare alle donazioni o alle eredità lasciate per la salvezza dell'anima. A partire da fine IV ed inizio V secolo, la lunga crisi dell’Impero romano d’Occi-dente si inasprí fino alla sua caduta. Le invasioni dei popoli germanici e le care-stie determinarono una crisi economica e produttiva in tutta la penisola, oltre a un disgregamento progressivo dei cen-tri urbani e alla dissoluzione dell’orga-nizzazione statale romana. La popola-zione si spinse gradualmente verso le campagne, fondando nuovi abitati o rioccupando antichi centri di epoca im-periale caduti in abbandono. Questi centri si consolidarono intorno a strut-ture religiose, le chiese battesimali o, appunto, “pievi”. La fondazione delle

prime pievi si deve a gruppi di missio-nari (fratres) che si stabilirono nei luo-ghi evangelizzati, ponendosi a capo del-le comunità locali. La chiesa battesima-le era l’elemento fondamentale per il consolidamento e sviluppo delle assem-blee di fedeli. Le prime pievi sorsero in zone chiave del territorio: il capoluogo del pagus (circoscrizione territoriale rurale di origine preromana), il vicus (aggregato di case e terreni appartenen-te ad un pagus), antichi luoghi di culto pagano, o in centri urbani fondati ex-novo. L'uso del termine plebs (popolo) riferito alla chiesa battesimale compare nei do-cumenti ufficiali della chiesa solo a par-tire dall'inizio del IX secolo. Tuttavia, gli storici ritengono che la diffusione della parola sia avvenuta a livello popo-lare partendo dalla Toscana all’inizio

La nascita della Pieve di Niccolò Mazzucco e Alessandro Neri

Fonte battesimale della Chiesa dei Santi Jacopo

e Antonio a Fivizzano (MS)

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del VIII secolo, dove si ebbe la massima intensità plebale, per estendersi poi alla Romagna, alle Marche, all'Umbria. In se-guito il fenomeno interessò la provincia reggiana e quella veronese. Verso il X se-colo le pievi si diffusero anche in Lom-bardia e, in misura minore, Piemonte e Liguria. Nell'Italia centro-meridionale la loro presenza fu molto limitata e non si spinse a sud del Cilento e della Puglia. Ogni pieve stabilí ben presto un proprio distretto territoriale, costituendo un pa-trimonio autonomo e occupandosi diret-tamente della formazione del suo clero: il presbiteryum. I presbiteri potevano bat-tezzare durante tutto l'anno, effettuare rogazioni, benedire persone e cose ed as-sunsero il compito di governare il clero inferiore. La pieve divenne così l’unità religiosa di base, presso la quale viveva il clero, che si occupava di officiare il culto anche nelle strutture “succursali”, ovvero le chiese suffraganee, nelle quali si svol-gevano tutte le normali funzioni liturgi-che, tranne il battesimo che aveva luogo nella pieve. Per tale ragione il complesso plebano si trovava in un luogo isolato, ma centrale rispetto al distretto amministra-to, in modo da essere raggiungibile da tutta la popolazione senza privilegiare nessun villaggio in particolare. Sebbene l’origine delle pievi si situi, come detto, tra il IV e il V secolo, il loro svilup-po si affermò in epoca longobarda, quan-do si strutturarono in un sistema organi-co. Infatti le popolazioni di stampo ger-manico si convertirono progressivamente con l'insediarsi nel territorio italiano e questo portò a grandissime opere di me-cenatismo come ad esempio quella dell'é-lite longobarda che dette luce a grandissi-mi centri monastici (solo in Toscana ab-biamo San Salvatore sull'Amiata, Badia a Passignano...ed in Italia San Vincenzo al Volturno, Farfa, Nonantola etc). Numerose parrocchie rurali di origine monastica, legate allo sviluppo dei centri benedettini, divennero pievi solo a parti-re dal periodo carolingio e comunale. È da considerare che la fondazione di molte

di queste strutture non si deve ad una opera pianificata e coordinata dal papa-to, ma ad opera di privati, ordini mona-stici o grandi proprietari terrieri. Il pa-pato, infatti, vietava di istituire battiste-ri negli oratori di origine privata. In Ita-lia, il processo di cristianizzazione delle campagne non fu promosso dai ceti do-minanti, anzi sembra che esso sia avve-nuto in opposizione al potere dell'ari-stocrazia cittadina. L'etimologia stessa della parola pieve, si riferisce alle chiese del popolo delle campagne, in contrap-posizione alle chiese urbane e alle chie-se magistrali dei signori e alla cattedra-le dalla quale dipendevano. Quindi in origine il termine non aveva un signifi-cato esclusivamente ecclesiastico, ma esprimeva anche il concetto di comuni-tà della popolazione civile. Ogni pieve, dedicata ad un santo protettore, rappre-sentava il centro ed il riferimento di una piccola società che in essa si riconosce-va. I compiti andavano, infatti, ben al di là dell’aspetto religioso. Il parroco oltre ad essere il governatore delle anime, assolveva funzioni civili e amministrati-ve: teneva i registri delle nascite, custo-diva i testamenti e gli atti di compra-vendita dei terreni. Le pievi si occupa-vano di riscuotere i tributi e raccogliere le decime; inoltre coordinavano i lavori concernenti la difesa del territorio quali bonifiche, opere di fortificazione e di

Pieve di Corsignano a Pienza (Si)

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canalizzazione, salvaguardia delle stra-de, ecc. Le pievi, attraverso la loro pre-senza architettonica, marcavano sul ter-ritorio un riferimento fondamentale, al quale si sommavano altri edifici (ospizi, cimiteri, chiese suffraganee) necessari per la vita del popolo e l’accoglienza dei pellegrini e di tutti coloro che erano in viaggio e che facevano della pieve il punto di riferimento per il loro percor-so. Per questo motivo le principali vie di comunicazione medievali (Vie Francige-ne, Via degli Abati, Via del Volto Santo, Via Romea ecc.) si snodavano toccando le città ed i borghi più importanti ma anche le pievi delle campagne; non a caso è sull’allineamento delle pievi che ancor oggi si possono individuare questi antichi percorsi. Da un punto di vista architettonico, le pievi si caratterizzano generalmente per un fabbricato inter-namente suddiviso in tre navate, con presbiterio sopraelevato ed una sola ab-side semicircolare. Tra il IX e il X seco-

lo, le pievi cominciano a essere dotate di campanili, elemento che non esisteva nelle chiese paleocristiane e bizantine. Caratteristica fondamentale della pieve sono inoltre le decorazioni, in particolare gli altorilievi raffiguranti figure diverse: animali, quali il toro, il serpente, il capro-ne, il leone, la rana, o figure fantastiche, quali uomini alati, grifoni, sirene, o anco-ra piante ed alberi, quali la vite, il fico, la palma. Si tratta sempre di raffigurazioni dall’alto contenuto simbolico, legate all’i-conografia paleocristinana e alle storie dell’Antico testamento, ma con una di-versità di influssi, dall’arte borgognona-linguadoca, ad influssi bizantini e nor-mammi a seconda della regione. Bibliografia:

Conti F -. “Abbazie, Monasteri, Eremi. Guida ai luoghi

sacri che offrono ospitalità”. De Agostini Editore. Novara

2002

AA.VV. Provincia di Siena - “I percorsi della Via francige-

na nelle terre di Siena”. Ed Le Balze. Montepulciano (Si).

2003

Naldi A.- La Toscana delle Pievi. Ed. Pacini Fazzi, 2003.

Il Cammino del Vegano di Michele Amico

Il termine “vegano” non indica niente di astronomico, come provenien-te dalla stella Vega, ma è la contrazione del termine “vegetariano”, consideran-done le prime e le ultime tre lettere. Qualcuno considera l’alimentazione ve-gana una moda, altri una follia estremi-sta: in realtà è una filosofia, uno stile di vita; semplicemente è il rifiuto di nutrir-si con alimenti provenienti dallo sfrutta-mento degli animali, evitando quindi non solo carne ma anche uova e latticini. Il viaggio di maturazione verso questo comportamento spesso ha un primo passaggio nella condotta vegetariana, che rifiuta il consumo di carne e pesce, accettando però uova e latticini, pur sempre con le molteplici varianti che ciascuno può attuare a livello personale. Le motivazioni che possono condurre una persona a raggiungere lo stile di vita

vegano possono essere molte ma essen-zialmente si restringono a due: una di na-tura salutistica e una di natura etica. Eli-minare carne e latticini significa ridurre la quantità di grassi che assumiamo, ri-ducendo drasticamente il rischio di oc-clusione delle arterie (con conseguenti ictus e infarti) e di obesità, senza parlare del rischio cancerogeno. Infatti le perso-ne vegane hanno una percentuale di obe-sità che va dal 5 al 20% in meno rispetto

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a quelle che mangiano carne e latticini. Oltre alla bilancia, anche il resto dell’or-ganismo ne risente, come l’enorme ridu-zione del rischio di contrarre il diabete. L’alimentazione vegana, che è quindi so-stanzialmente a base di cereali, legumi, verdura e frutta, riesce comunque a tro-vare in natura tutte le componenti neces-sarie ad una sana e completa alimenta-zione, comprese vitamine e proteine, ba-sta saperle cercare. Inoltre la dieta vega-na è estremamente economica: cereali e legumi forniscono lo stesso apporto pro-teico della carne ma con un costo inferio-re ed un maggior rispetto per l’ambiente, visto che il 20% dell’inquinamento deri-vante dalle attività umane è collegato agli allevamenti o al trasporto e lavorazione delle carni. Questo tipo di alimentazione non è un capriccio; in alcuni paesi è lar-gamente diffusa e sostenuta dal punto di vista culturale, come in India dove si sti-ma che le persone vegetariane siano circa il 30%, ovvero oltre 300 milioni di perso-ne. Le diete vegetariane e vegane forni-scono tutti i nutrienti in quantità adegua-te alle esigenze nutrizionali dell'organi-smo, con la sola eccezione della vitamina B12 che va assunta da integratore di fon-te batterica e della vitamina D, che non viene fornita in quantità adeguata da nes-suna dieta (quindi le raccomandazioni relative alla vitamina D sono valide per la popolazione generale). La vitamina B12 è essenziale per l’organismo di tutti gli ani-mali, uomo compreso, perché è indispen-sabile per la sintesi degli acidi nucleici e il metabolismo di proteine e lipidi. In natu-ra viene prodotta esclusivamente da alcu-ni microrganismi, principalmente i batte-ri del terreno, mentre nessun animale è in grado di produrla. Le sue fonti dieteti-che, cioè gli alimenti che contengono vi-tamina b12, sono rappresentate da cibi animali (grazie agli integratori che oggi vengono somministrati agli animali di allevamento) e dai cibi vegetali addizio-nati; nessuna pianta è in grado di produr-re questa vitamina. Chi segue una dieta priva di alimenti di origine animale può

ricorrere ad integratori che si trovano fa-cilmente sul mercato. Anche nella popo-lazione generale e a prescindere dalla dieta, si può riscontrare una carenza, in particolare in presenza di malassorbi-mento. Buona parte dei vegani tende a condividere una filosofia antispecista, un movimento sociale, che inten-de impostare su basi nuove le relazione fra la specie umana e le altre specie ani-mali. Per gli antispecisti contano le loro differenze fisiologiche nella capacità di soffrire e di averne consapevolezza, per-ciò un animale con un sistema nervoso sviluppato, come un maiale o una mucca, capace di provare sofferenza, avrebbe di-ritto a non soffrire per il nostro piacere. Basti pensare che alcuni animali da ma-cello vivono in media un decimo degli an-ni che la natura gli concede. L’impatto che lo stile di alimentazione corrente ha sulle condizione del nostro pianeta è cer-tamente disastroso: la scelta onnivora genera impronte ecologiche, di emissioni di carbonio e di consumo di acqua deci-samente peggiori di altre diete. Ovvia-mente per avere un impatto positivo sia sull’ambiente che sulla propria salute la semplice eliminazione dei cibi di origine animale potrebbe non essere sufficiente: se l’alimentazione vegana si basa princi-palmente su alimenti di origine indu-striale, estremamente raffinati, ricchi di zuccheri e grassi vegetali saturi e privi di nutrienti, allora non ci sono grandi van-taggi rispetto ad un’alimentazione onni-vora. In Italia le persone che seguono l’a-limentazione vegana sono quasi 2 milio-ni, con tendenza alla crescita; l’industria alimentare ha ormai recepito questa nuo-va tendenza, offrendo prodotti privi di ingredienti di origine animale, anche se non sempre attenti alla salute. La voglia di sperimentare per un’alimentazione più sana ha spinto per la ricerca di una cuci-na più consapevole: sono nati piatti inte-ressanti, gustosi, intriganti e molte alter-native ai comuni piatti a base di carne, che non li fanno rimpiangere per niente. Provare per credere!

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Cronache di Cammini n° 12

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Il vagabondo di Kahlil Gibran da: IL VAGABONDO Lo incontrai all'incrocio, un uomo con un mantello e un personale e un velo di dolore sul suo volto. E ci salutiamo, e gli dissi: "Vieni a casa mia ed essere ospi-te". E lui è venuto. Mia moglie ed i miei figli ci incontrarono alla soglia, e lui sorrise a loro, e loro a-mavano la sua venuta. Poi ci siamo seduti insieme al tavolo e siamo contenti con l'uomo perché c'era un silenzio e un mistero in lui. E dopo cena ci siamo riuniti al fuoco e gli ho chiesto delle sue passeggiate. Ci ha raccontato molti racconti di quella notte e anche il giorno successivo, ma quello che ora registro è nato dall'amore dei suoi giorni, anche se lui stesso era gentile e questi racconti sono della polve-re e della pazienza della sua strada. E quando ci ha lasciato dopo tre giorni non abbiamo sentito che un ospite fosse andato via, ma piuttosto che uno di noi fosse ancora in giardino e non era ancora entrato. L'ALTRO WANDERER Una volta ho incontrato un altro uomo delle strade. Anche lui era un po' pazzo, e così mi parlò: "Sono un vagabondo. Spesso mi sembra di camminare tra i pigmei della terra. E

poiché la mia testa è settanta cubiti più lontana dalla terra che la loro, crea pen-sieri più alti e più liberi.” "Ma in verità non cammino tra gli uomini ma sopra di loro, e tutto quello che pos-sono vedere di me sono le mie impronte nei loro campi aperti.” "E spesso li ho sentiti discutere e dissen-tire sulla forma e le dimensioni delle mie impronte. Poiché ci sono alcuni che dico-no: "Queste sono le tracce di un mammut che ha percorso la terra nel lontano pas-sato". E altri dicono: "No, questi sono luoghi dove le meteore sono cadute dalle stelle lontane". "Ma tu, amico mio, sai bene che non sono altro che le orme di un vagabondo". da : IL PROFETA Voi siete la via e i viandanti. E quando uno di voi cade, cade per quelli che lo seguono giacché li mette in guardia contro l'ostacolo. Ma cade anche per quelli che lo precedo-no, i quali, benché più celeri e sicuri nel loro passo non rimossero l'ostacolo.

Cronache di Cammini

Pubblicazione culturale di percorsi, soste, storie nel cammi-nare. Diffusione semestrale a stampa. Anno 7° - Numero 12 - ottobre 2017 --------------------- Direttore Responsabile: Niccolò Mazzucco Direttore: Luciano Mazzucco. Redazione: Lucia Mazzucco, Giovanna Palagi. Direzione, Redazione: Via V. da Filicaia 22 - 50135 Firenze Tel. e fax 055-679925. Cell.328-0980984 E-mail: [email protected] Sito web. http://www.cronachedicammini.com

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