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Indice: Gli occhi specchio dell’anima: p.2 La mia esperienza dello scambio: p.2 L’anima del fotografo: p.3 Il nostro sguardo attraverso la fotografia: p.4 Il mondo in uno sguardo: p 4 Un ultimo e rapido sguardo: p.5 Unosguardo sul mondo p.6-7 Chi era la Gioconda: p.8 Lo sguardo all’arte: p.8 Uno sguardo alla poesia: p.9 5 anni in poche righe: p.10 Expedite, ho vinto io p.10 Ragazze sotto schok: p.11 Primi in Piemonte!: p.12 Supplemento d’anima: p.13 Scambi: p.14-15 Campioni tra noi: p.16 Giornata d’atletica: p.17 Ghiaccio al cloro: p.18 Ipse dixit: p.19 Concorso: p.20 Porporato in 5 foto: p.20 Appello: p.21 Photogallery: p.22 Periodico degli studenti del Liceo ‘Porporato’ di Pinerolo - Anno XIII, n.4, Maggio 2011 www.liceoporporato.it/studenti/onda/onda_d'urto.htm ins. resp. Antonio Denanni/Joram Gabbio Valentina Garetto

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N.4 Giornale degli studenti del Liceo Porporato

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Indice: Gli occhi specchio dell’anima: p.2 La mia esperienza dello scambio: p.2 L’anima del fotografo: p.3 Il nostro sguardo attraverso la fotografia: p.4

Il mondo in uno sguardo: p 4 Un ultimo e rapido sguardo: p.5 Unosguardo sul mondo p.6-7 Chi era la Gioconda: p.8 Lo sguardo all’arte: p.8 Uno sguardo alla poesia: p.9 5 anni in poche righe: p.10

Expedite, ho vinto io p.10 Ragazze sotto schok: p.11 Primi in Piemonte!: p.12 Supplemento d’anima: p.13 Scambi: p.14-15 Campioni tra noi: p.16 Giornata d’atletica: p.17

Ghiaccio al cloro: p.18 Ipse dixit: p.19 Concorso: p.20 Porporato in 5 foto: p.20 Appello: p.21 Photogallery: p.22

Periodico degli studenti del Liceo ‘Porporato’ di Pinerolo - Anno XIII, n.4, Maggio 2011

www.liceoporporato.it/studenti/onda/onda_d'urto.htm ins. resp. Antonio Denanni/Joram Gabbio

Valentina Garetto

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Se a ciascun l’interno affanno / si leggesse in fronte scritto,/ quanti mai, che invidia fanno, / ci farebbero pietà! Così scriveva Pietro Metastasio, scrittore di melodramma del XVIII secolo: potessimo legge-re nella mente e nel cuore degli altri, scopriremmo mondi che mai avremmo immaginato: co-sì scoveremmo anche in coloro che più invidiamo fatiche e debolezze. Ma uno sguardo penetrante è anche molto altro: accorgersi di chi ci sta affianco, offrire uno sguardo d’intesa, di passione, di complicità o di empatia. Abbiamo provato ad avventurarci nel mondo degli sguardi. Sono speciali gli sguardi dei poeti, quelli degli artisti, quelli dei musicisti. A loro uno sguardo preferenziale in questo numero. Senza dimenticare lo sguardo della fotografia, sagace e puntuale. Nel caleidoscopio di sguardi della giornata di atletica ci siamo tutti. E poi gli sguardi sul mondo, che ci aiuta-no a non affogare nel gorgo del nostro piccolo, ma a guardare all’orizzonte. Ma lo sguardo più importante è quello sull’anno trascorso, fatto di delusioni e gioie, croci e delizie. Tutto questo ci aiuta a crescere, e a gettare un fresco sguardo all’estate: possa portare serenità, riposo e freschezza a tutti gli abitanti del Porporato-mondo.

JG

Gli occhi sono lo specchio dell’anima Considerando il fatto che questo numero tratta l’argomento “sguardi”, non si poteva non parlare degli occhi: prota-gonisti dei nostri sguardi. Come molto spesso si dice, gli occhi sono “lo specchio dell’anima”, essi infatti riflettono il nostro carattere e in base al loro colore si distinguono differenti tipologie di personalità. Innanzitutto le colorazio-ni più diffuse sono il marrone e il blu, che hanno varie sfumature come grigio, castano, azzurro e verde, e poi ci so-no gli occhi verdi e marrone scuro. Generalmente, i possessori degli occhi blu sono persone con un’ampia profondità interiore (infatti il blu è simbolo di calma e serenità), che sono spesso ricche di idee e hanno una natura sia passionale che equilibrata. Gli occhi castani chiari, rispecchiano un carattere estroverso, esuberante pieno di interessi e vivace, mentre quelli castano scuro indicano un elemento con una volontà ferrea e, inoltre, queste persone, hanno un controllo emotivo e una sicurezza di gran lunga superiorerispetto agli altri. Gli individui con occhi celesti o verdi rivelano una ten-denza al lato sentimentale della vita, ispirano, a chi li ascolta, calore e sincerità. Sono spesso soggetti a cambiamen-ti di umore e diventano facilmente preda delle emozioni proprie e altrui. Infine, se il vostro interlocutore, ha gli occhi grigi, fate attenzione: i soggetti con questa caratteristica (non molti per fortuna) hanno una personalità attenta e indagatrice, ma non solo, poiché sono noti per una durezza d’animo che li porta spesso ad essere freddi con chi gli sta attorno!

Greta Gontero 4ag

LA MIA ESPERIENZA DELLO SCAMBIO Il secondo anno di liceo è un anno molto intenso...c'è lo spettacolo, il delf, ma soprattutto lo scambio con una scuola francese, oltre, ovviamente, all'infinità di verifiche e interrogazioni! Lo scambio è essenziale per chi vuole imparare una lingua straniera. Parlare il francese in prima persona, con persone madrelingua, è stato molto utile per il nostro apprendimento del francese. Vi racconto come l'abbiamo vissuto noi della 2AL... all'inizio non sapevamo nemmeno se si poteva fare, metà della classe non era d'accordo perché preferiva fare il soggiorno, ma noi che avevamo dato il nostro sì, sapevamo benissimo che non fare lo scambio sarebbe stata un'opportunità buttata via. Alla fine abbiamo deciso di farlo ed è presto arrivato il momento di sapere il nome del nostro corrispondente: qualcuno ha tirato un sospiro di sollievo leggendo che il/la proprio/a corrispondente aveva più o meno il suo stesso carattere, altri sono rimasti un po' delusi, perché non hanno trovato niente in comune tra il proprio e il carattere del corrispondente. Poi è arrivato il momento di conoscerli e, dopo un breve imbarazzo iniziale, ci siamo trovati benissimo insieme. Ognuno di noi aveva il corrispondente a casa sua e così ognuno di loro ha “assaggiato” un piccolo pezzo della nostra quotidianità. Qua in Italia ci siamo divertiti moltissimo, ma il bello doveva ancora venire. Il 25 marzo siamo partiti, direzione Nancy. Nel viaggio era molta la paura di andare nella famiglia del nostro corrispondente, ma quando siamo scesi dal pullman, abbiamo rivisto i nostri amici e l'ansia si è un po' attenuata. Tutti quanti ci siamo trovati bene nelle famiglie e abbiamo notato molte differenze tra la loro e la nostra vita. Soprattutto la scuola era molto diversa, con gli orari molto lunghi e il cambio delle aule ogni ora. Consiglio a tutti questa esperienza, perché è un'emozione che non si scorda facilmente ed aiuta moltissimo per la pronuncia e l'apprendimento di nuove parole. Non si sa mai, magari anche io stessa potrò fare di nuovo un'esperienza simile, anzi, lo spero vivamente!

Giada Aliverti 2 AL

Nelle pag 14-15

ampi servizi sugli scambi

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Oggi tutti fotografano: scattare fotografie é divenuta una operazione semplicissima che si compie quasi in automatico; basti pensare al fatto che le macchine fo-tografiche più diffuse sono ormai contenute all'interno dei cellulari, oggetti che portiamo costantemente con noi, e quindi scattare una fotografia é un banale gesto quotidiano, come telefonare o, me-glio ancora, inviare un sms. Ma questo comporta un rischio: smarrire lo sguardo del fotografo. Cosa contiene in sé di particolare questo sguardo? Henry Cartier-Bresson, uno dei più grandi fotografi del Novecento, sosteneva che foto-grafare era mettere sulla stessa linea l'occhio, la mente, il cuore. Ri-flettiamo su questi elementi. L'oc-chio é l'organo della visione, é ciò che ci permette di comporre una im-magine; la mente é il progetto, é ciò che permette la costruzione di una immagine rispettando certe regole, estetiche, comunicative, psicologi-che, culturali; il cuore é l'emozione, ciò che agisce in profondità al no-stro interno, che ci muove e com-muove. Lo sguardo del fotografo é dunque questo: visione, pensiero, emozione.

Proviamo a esplorare una famosa fotografia scattata negli anni Trenta in U.S.A. da Dorothea Lange, una fotografa che documentò le conse-guenze della grande depressione che seguí la crisi del '29. Vediamo una madre con in braccio un bambi-no mentre lo sta allattando. Ma la madre non guarda il suo bambino, lo sguardo é rivolto verso il basso; gli occhi sono due fessure incavate,

due rughe profonde che riprendono le linee verticali che tagliano la fron-te di questa giovane madre e quelle che disegnano un arco che congiunge il naso alla bocca; é co-me se lo sguardo fosse rivolto all'in-terno di se stessa, ma senza vedere nulla se non un vuoto, un profondo vuoto interiore. Del bambino vedia-mo solo parzialmente il viso, schiac-ciato contro il seno della madre: più che nutrirsi sembra sia soffocato da questo contatto, e questa sensazione viene accentuata dalla mano sinistra del bimbo, che non si capisce bene se si stia aggrappan-do o se cerchi al contrario di allonta-nare la madre. Vestiti, oggetti, sfon-do, parlano di una desolazione as-soluta. Lo sguardo della fotografa ha raccontato una storia. Dorothea Lange ha costruito questa scena, scegliendo un angolo di ripresa, un momento, una relazione. Noi pos-siamo vedere in questa scena anche secoli di rappresentazioni religiose, della Madonna con il piccolo Gesù; in particolare é possibile uno straordinario parallelo con un disegno di Michelangelo, un disegno appena abbozzato in cui lo sguardo dolente della giovane Ma-donna é perduto lontano, come sor-preso e sospeso in una lontananza temporale, più che spaziale, forse un presentimento del destino a cui é condannato il figlio che si sta ag-grappando ma che nello stesso tempo é come schiacciato sul seno materno. Cosa significa questo? Che la Lange ha consapevolmente voluto imitare Michelangelo? No, niente affatto, ma semplicemente che lei, in quanto fotografa, ha sa-puto comporre l'immagine mossa dalla memoria culturale (la Lange, come molti grandi fotografi, é stata un'attenta appassionata di storia dell'arte), dalla volontà di raccontare una storia, dall'esigenza di docu-mentare un grande evento storico. In una parola, la Lange ha pensato la fotografia, il suo sguardo ha riuni-to estetica, etica, psicologia. Ma lo sguardo del fotografo presen-ta un'altra caratteristica fondamen-

tale. Noi che guardiamo una fotografia vera (non una istantanea senza spessore) non vediamo solo la scena rappresentata nell'immagi-ne (la madre che allatta il figlio, il soldato ucciso da una pallottola ne-mica, l'eroe della rivoluzione che guarda lontano...) ma possiamo anche intravedere qualcosa dell'anima del fotografo. É come se lo sguardo del fotografo non si limitasse a posarsi sulla realtà, ma la costruisse con la sua macchina e quindi, in questa operazione, rivelasse qualcosa di se stesso. É uno sguardo che si riflette in se stesso, che apre uno spiraglio verso

l'interiorità, e quindi chi guarda ini-zia anche un dialogo con l'anima del fotografo. Certamente bisogna saper leggere, bisogna avere l'umil-tà e la pazienza (soprattutto la pa-zienza) di mettersi in ascolto, biso-gna accettare di creare il silenzio dentro di sé per accogliere ed esse-re in grado di scorgere quei deboli riflessi che rivelano la voce interiore del fotografo. Non é affatto una esperienza facile, ma puó diventare una esperienza di arricchimento interiore. E soprattut-to puó aiutarci a costruire un nostro sguardo, più profondo, articolato e consapevole, sia sul mondo che ci circonda sia su quello che custodiamo nella nostra interiorità.

L’anima del fotografo Di Giulio Ameglio

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Il nostro sguardo attraverso la fotografia. Usiamo la fotografia per catturare attimi, persone, gesti. Filtriamo la realtà attraverso l’obbiettivo, e il bello è che ognuno ha uno sguardo diverso sul mondo: chi nota il dettaglio, chi la scena nel suo insieme, chi i colori. Sicuramente, se avete questa passione o se, anche per caso, avete mai scattato foto, sarete rimasti insoddisfatti guardando una foto che non ritraeva fedelmente il paesaggio mozzafiato che avevate davanti. Come la luna. E’ uno degli esempi che mi vengono in mente per primi: ho fatto tantissime foto a lune fantastiche che sono risultate mediocri. Ogni volta che le riguardavo dicevo: “Ooh, ma per favore! La luna è molto più bella di così!” Ecco, la fotografia non è una tecnica semplice. Secondo me è importante capire prima di tutto perché fotografiamo, che cosa vogliamo cogliere. Ad esempio, ad una festa posso focalizzare la mia attenzione sui miei amici se voglio ricordi personali, mentre sull’evento in generale se voglio dare un’idea della serata a chi non c’era. In un altro tipo di fotografie poi è importante capire che cosa vo-gliamo dire. Nella fotografia così come in ogni forma d’arte, credo che una delle maggiori ambizioni sia quella di riuscire a trasmettere a chi osserva le stesse emozioni che proviamo noi. Come possiamo rendere in arte le nostre sensazioni di quel mo-mento? Come lasciar trasparire la nostra visione del mondo? Da un lato è la tecnica a venirci in aiuto, dall’altro anche un patrimonio di conoscenze comuni co-me la simbologia. Infatti, sulla percezione della realtà, influiscono anche la nostra cultura e la so-cietà in cui viviamo.Noi occidentali leggiamo le immagini da sinistra a destra, esattamente co-me siamo abituati a leggere i libri. Così una linea che parte dall’alto a sinistra e arriva in basso a destra è una discesa, mentre una che parte dall’angolo destro in alto e finisce a quello opposto è una salita. Non è così per chi è stato abituato a leggere e scrivere da destra a sinistra. Ci sono inoltre campi in cui è il nostro inconscio a percepire ciò che l’immagine, nell’intenzione del creatore, vuole trasmettere. Pensate alla pubblicità: quante volte la nostra mente viene ingannata da abili pubblicitari che ci lasciano vedere l’aspetto che loro desiderano di un certo prodotto? Scommetto che avrete già notato la ricorrenza di un certo colore -come il rosso- per attirare l’attenzione, o di abbinamenti che ricordano il prodotto in questione. Insomma, ognuno può provare a catturare la propria realtà attraverso questo strumento che è la fotografia, e a trasmettere un messaggio a chi lo osserva. Oggi è semplice, grazie a macchine sempre più professionali e telefoni pronti a documentare quello che ci sta attorno. Si dice che siamo nella civiltà dell’immagine e che il futuro del giornalismo stia proprio qui: nelle nostre tasche, e nella nostra capacità di connetterci con il resto del mondo in pochi minuti per trasmettere ciò che vediamo. Ognuno di noi può esprimere la pro-pria opinione, il proprio sguardo sul mondo attraverso le immagi-ni, e sempre di più ci stiamo rendendo conto di questa nostra pos-sibilità. Elisa Garis

IL MONDO IN UNO SGUARDO

Uno sguardo è un misto di parole, gesti, emozioni e sensazioni. In uno sguardo è racchiuso tutto il potere della comunicazione che gli esseri umani, e non solo, posseggono. Infatti, anche se non ne siamo coscienti e non ce ne accorgiamo, noi comunichiamo in ogni momento della giornata, da quando ci svegliamo fino a quando andiamo a dormire. Gli occhi, la bocca, l'espressione del viso sono tutti elementi che usiamo per comunicare. Eppure nessuno ci fa caso, tutti sono troppo occupati a pensare ai dilemmi personali per accorgersi che le persone intorno a loro hanno anche i propri problemi, anche se non lo urlano al mondo. Lo dice proprio Gianluca Grignani, cantautore milanese, nella sua canzone

“ S g u a r d i ” , terzo singolo del suo ultimo album “Natura U m a n a ” : <<Ma agli sguardi della gente, ci hai mai fatto caso tu? Proprio quello che non dice, che non

dice ma che sente e poi fa finta di niente>>. Voi ci avete mai fatto caso? Noi esseri umani, in fondo, siamo una razza unica: proviamo le stesse emozioni, le stesse paure, ma forse siamo troppo egocentrici per riuscire ad ammettere di essere tutti sullo stesso livello. Tornando a Grignani, nella canzone citata poco fa ci racconta una piccola storia degli sguardi: parla di una madre che non vuole più vedere per non soffrire, di un uomo che fatica per riuscire a mantenere la famiglia e di un bambino, che non fa ancora domande e crede che il mondo sia tutto una favola. Parla di persone qualunque, come se fossimo noi. Infine, chiude la sua canzone con la seguente frase: << Siamo come una moneta, lanciata su questo pianeta >>. Il cantante, in questa metafora, paragona chiaramente ciascuna persona ad una moneta, cioè una piccola creatura rispetto al nostro enorme pianeta. Quello che vuole fare intendere è che nessuno di noi può prevedere il proprio futuro, perché nessuno può sapere con che faccia atterrerà la moneta.

Giada Aliverti 2AL

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Un ultimo e rapido sguardo… Di Irene Ambricco (IC SU)

Monique scostò le lenzuola dell’ letto, poggiò i piedi sul pavimento gelido, ascoltando i respiri del fratellino e dei genitori, che dormivano, quieti, nel altra stanza. Nel buio indossò un corto e luccicante tubi-no nero che accentuava le sue sensuali forme, si truccò, e raccolse i lunghi capelli scuri in una fluente coda di cavallo e infine indossò le bellissime scarpe scure con il tacco dodici prese di nascosto alla madre. Poi, scese le scale, rabbrividendo ad ogni scricchiolio, nel terrore di essere scoperta. Miao… Miao… Moni-que si giro allarmata, verso il suo gatto miagolante, che stava per smascherare la sua fuga e pregandolo di smettere, usci di casa. Svoltò l’angolo e là trovò un bellissimo ragazzo ad attenderla, non lo conosceva da molto, tutto era iniziato una festa e tra una cosa e l'altra, senza neppure rendersene conto, si erano messi insieme. <<Paul, sei bellissimo vestito elegante!>> il ragazzo arrossì, non era abituato ai complimenti della giovane, infatti raramente concedeva le sue opinioni sul mondo maschile. <<Andiamo... altrimenti Clio troverà una scusa per non farci entrare!>>. Lei ridacchiò, Clio era l’ex di Paul, nonché l'organizzatrice della festa a cui si stava imbucando, per non parlare del fatto che da quando Moni-que e lui si erano fidanzati non le rivolgeva più la parola, nonostante in passato fossero state molto amiche. La villa era enorme, ma la festa si sarebbe svolta nel suo giardino, siccome l’ultima volta che Clio ne aveva organizzata una, gli ospiti le avevano distrutto letteralmente la casa e di conseguenza, i suoi genitori le avevano proibito di farne altre al suo interno, tuttavia non era un problema, infatti possedevano un vero e proprio parco. La musica era assordante e tutti gli invitati si erano accalcati attorno al banchetto del cibo e delle bevande affiancato da un mixer, utilizzato da un attraente Dj circondato da un gran numero di ragazze. I due fidanzati si rifugiarono a chiacchierare in un angolo, per evitare la gente. Lui parlava, ma Monique lo ascoltava appena, annuendo ad ogni sua imprecazione, con la testa altrove. Faticava a credere che non ci fosse un secondo fine per l'invito fatto a Paul, da parte della sua ex a quella festa, dopo due mesi che non gli rivolgeva più la parola lo aveva invitato, no, qualcosa non quadrava, probabilmente lo desiderava di nuovo per sé e lei era pronta a impedire che accadesse. Era per questo che si era autoinvitata e non avrebbe permesso che lui rinunciasse a lei per una zotica come Clio... <<Mony, vado a prendermi una birra. Vuoi qualcosa?>> lei si riscosse, sorpresa dal sentirsi chiamata. <<Prendimi una Cola, ti aspetto qui. Vai pure. Non ti preoccupare.>>. Appena Paul si allontanò, ritorno ai suoi pensieri, persa nei suoi contorti ragionamenti su come tenersi Paul. Sentì un movimento provenire da dietro un cespuglio. Guardò in quella direzione, allarmata, ma si trattava semplicemente di un bellissimo cagnolino bianco <<Mi hai spaventata cuccioletto>> mormoro abbassandosi per accarezzarlo. Mentre un rumore di passi, si faceva si strada dietro di lei . <<Sei già tornato!? >> dichiarò sorpresa mentre si voltava. Non si trattava di Paul, come si aspettava... era un uomo con degli occhi grigi e penetranti che la osserva con un sorriso agghiacciante. << Tu... sei... mia!>> il tono raccapricciante di quelle parole rimbombò nella sua mente come un allarme e istintivamente… gridò. L'urlo, il grido, rimase nascosto dal volume altissimo della musica e nessuno, le venne in soccorso. Cercò di correre, di scappare, ma inciampò, il tacco di quelle splendide scarpe si ruppe, condannandola. Monique si accasciò. Lui si abbassò e la guardò, in modo diretto, negli occhi. Quello sguardo fu l’ultima cosa che vide. Quegli occhi l’ultima immagine immagazzinata nella sua memoria. Quel vestito così bello divenne il suo suda-rio... perché in quel istante, il coltello che l’uomo teneva nascosto dietro la schiena, e che lei aveva notato solo in quel momento, penetrò a fondo, nella sua tenera e candida carne. Monique rimpianse di essersi così ostinatamente imbucata alla festa. L'uomo le diede un ultimo e rapido sguardo e si allontanò dandole le spalle...

...volete scegliere il finale?… scovatelo nelle ultime pagine….

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Il grattacielo più alto… ...e il suo lato più buio

Il Burj Khalifa, grattacielo più alto del mondo, è stato re-centemente inaugurato a Dubai e ha attirato nella splendida città migliaia di visitatori. Con oltre 100 piani, vanta la moschea e la piscina più alte del mondo, accompagnate da altri elementi di lusso come per esempio un enorme e splendido campo da golf. L’architettura è americana, il design europeo e la manodopera (schiavizzata) è sud-asiatica: infatti per la sua costruzione, sono stati impiegati 500mila operai, dei quali la gran parte è composta da migranti provenienti da India, Pakistan e Bangladesh; e sono proprio loro i “protagonisti” del triste episodio che è accaduto. Il fatto risale a un po’ di tempo fa, il 2010, quando furono contati circa mille operai indiani morti e oltre sessanta incidenti avvenuti sul posto di lavoro. Si scoprì inoltre che questi lavoratori erano mantenuti come degli schiavi in “campi di lavoro” che li ospitavano (e li ospitano tuttora) e li vedevano faticare

molto duramente per 18 ore al giorno e senza stipendio per mesi, sotto lo sguardo dei ricchi e potenti sceicchi. Come detto in precedenza, questi uomini sono ancora bloccati nei campi di lavoro a Dubai, perché quando dovevano migrare verso la città in cerca di lavoro si sono indebitati con degli strozzini per pagare i biglietti, ma non avendo avuto lo stipendio rego-lare per mesi e mesi, non potevano saldare il debito. Gli usurai non si sono fatti scrupoli a minacciare di uccidere membri della famiglia o lo stesso operaio, che, non potendo tornare in patria e neanche uscire dai campi di lavoro, è rimasto bloccato come un topo a Dubai. Ma la cosa più impensabile, purtroppo, è che i turisti ignari dell’accaduto, vengono incantati dalle spiagge bianche, dai grattacieli che fanno a gara per superarsi in altezza, dal lusso… ma non possono immaginare minimamente le disuguaglianze che sono alla base di tutto ciò e che tengono letteralmente in piedi questi colossi di vetro e fastosità che spiccano in una delle città più belle e ricche del mondo.

Greta Gontero 4^A ginnasio

Uno sguardo sul mondo

Qui Emirati Arabi

10 MONTHS IN THE U.S.A La prima cosa che ho pensato quando sono uscita dall’aereoporto e` stata:”Oh mamma e` tutto enorme!”. Sul serio, all’inizio tutto sembrava gigantesco rispetto

all’Italia: le strade e gli alberi, le nuvole, il cielo, le macchine, i bicchieri...le persone! Ma ora ci ho fatto l’abitudine, come tante altre cose. So che puo` sembrare strano ma in que-sta parte del mondo le cose sono moooooolto diverse rispetto all’Italia! “Diverso” non vuol dire “sbagliato”, al contrario e` una delle cose più interessanti del vivere per cosi tanto tempo in un paese straniero. All’inizio non sai mai cosa aspettarti, dalla scuola a una cena, dalla chiesa agli amici…tutto va in un modo diverso rispetto a come l’avresti immaginato, e a co-me eri abituato. Ma dopo il primo periodo cominci a entrare un po’ nella mentalità del posto, e ti senti un po’ meno spaesato. Durante questi mesi ho vissuto a Puyallup, una citta` nello stato di Washington, con una famiglia che mi ha accolto come se mi conoscessero da sem-pre. I genitori sono molto giovani e hanno due bambini fantastici, uno di tre e uno di quattro anni. La scuola e` molto diversa da quella italiana, per molti aspetti piu` divertente. Du-rante le lezioni si fanno un sacco di lavori di gruppo e i professori spiegano quasi sempre con Power-Point o lavori interattivi. Il rapporto con gli insegnanti è molto amichevole. continua nella pag. seguente

Qui USA

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Uno sguardo all’inferno

Mumbai, India. Entrando in uno dei suoi lussuosi alberghi il nostro sguardo non potrà non scrutare con ammirazione la ricca, sfarzosa e bellissima città in potenziale espansione, che non tarderà ad entrare nell’alta società mondiale. Ma non è solo questa la realtà di Mumbai, basta far scorrere i nostri occhi verso un'altra finestra e sarà un altro il panorama che vedremo, quella di Dharavi. Quest’immensa baraccopoli è l’emblema della povertà: le strade sono sporche, l’aria puzza e l’igiene è praticamente inesistente; la malaria, la tubercolosi e la diarrea sono malattie comuni quan-to la nostra influenza: 3000 sono gli abitanti, i “dannati” di questo inferno che vengono ricoverati ogni giorno. “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” è lì che si trova la peggiore baraccopoli del mondo. Fra i vicoli stretti, fra i liquami di fogna che scorrono, i bambini giocano e non è così facile rendersi conto del fatto che è proprio in quella realtà che esiste una città industriale molto importante non so-lo per Mumbai, ma per l’intera India. Industrie di ceramica,industria immobiliare, di sapone, tutte queste realtà si accalcano sulle baracche in lamiera e qualche rara casa più lussuosa: un vero puzzle a cui l’occhio fa fatica ad abituarsi. Grazie alla forza e alla determinazione di più di 700 mila persone che cercano di costruirsi un futuro migliore, Dharavi ha un PIL da 1 miliardo di dollari,che fa gola alla classe media industriale che non accenna a lasciare un po’ di posto anche ai negozianti più intraprendenti: i diritti dei lavoratori di questa fogna a cielo aperto sono alienati e nonostante la volontà di emancipazione, uno stipendio di 100 rupie (circa 4 euro) al giorno, non permette nemmeno di comprare i sogni più modesti. Questa realtà è difficile da immaginare quanto osservarla, con il senso di impotenza che ci pervade preferiamo evitare il discorso cambiando canale quando qualche documentario ne riporta le tristi im-magini, far finta che questa situazione non sia un nostro problema. NON PARLO, NON SENTO, NON VEDO.

Elena 4ASoc

Uno sguardo sul mondo Qui India

Durante la stagione invernale hofatto ginnastica artistica nella squadra della scuola. Anche se all’inizio ero un po` spaventata perche` c’era allenamento tutti i giorni, sono stata molto contenta di avervi partecipato. Mi è servito a far nuove conoscenze e a essere coinvolta nelle attivita` della scuola.Adesso invece sto facendo atletica, giusto per smaltire un po’ del “salutare” cibo americano! Partecipare alle iniziative della Chiesa Cattolica di Puyallup è stato (tra incon-tri, volontariato, weekend sulla neve, ecc..) un altro modo per fare molte bellissime esperienze e incontrare gente di tutti i tipi. Tutte le volte che dico “I’m italian”, la gente rimane stupita e mi guarda come fossi una specie di super-eroe che vive nel posto migliore della Terra. Questo loro amore per l’Italia è dimostrato anche dalle infinite insegne con nomi (solo NOMI, perché il cibo non ha niente a che vedere con quello italiano!) di cibi italiani. Questo e le tante cose italiane che mi sono mancate, mi hanno aiutato ad apprezzare tutte le cose belle del mio paese, che prima non consideravo o addirittura diprezzavo.L’High School, i fast-food, gli sport, i balli, e tutte le cose tipiche americane sono divertenti e sono molto contenta di avere avuto la possibilita` di viverle. Ma la cosa di cui sono piu` grata di quest’anno in America e` che il mio modo di vedere le cose e` cambiato, ora sento che posso giudicare in maniera piu` libera, senza essere troppo condizionata da pregiudizi e stereotipi. E` stata un’ esperienza fantastica e, nonostante le paure e le fatiche, sono molto contenta di averla iniziata.

Sara Innocenti

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CHI ERA LA GIOCONDA?

Parlando di sguardi nell’arte, non si può non pensare alla Gioconda: dipinto di Leonardo da Vinci a partire dal 1503, questo ritratto probabilmente ci mostra donna Lisa moglie del Giocondo ed è

stato oggetto di una lunga serie di viaggi mentali… ehm… interpretazioni critiche, nel corso di tutta la storia. Il motivo? Nessuno di noi ha un’idea certa di chi rappresenti (e soprattutto perché). Infatti, il riferimento a Lisa è semplicemente un’ipotesi derivata da uno scritto del Vasari: la descrizione corrisponde, se non fosse per il fatto che ci si riferisce alle sopracciglia della ragazza… che sulla Gioconda non ci sono! Dunque, le ipotesi a questo punto sono due: o il Vasari ha scritto il commen-to al quadro prima che Leonardo lo ridipingesse (si pensa che sia stato rifat-to circa 4 volte), oppure il ritratto che noi conosciamo come Monna Lisa non rappresenta realmente Monna Lisa. La prima ipotesi è sostenuta da una serie di particolari del quadro, come il velo che la donna indossa (Lisa aveva appena partorito, ed era consuetudine che le neo-mamme portassero un ve-lo del genere), ma se fosse vera non ci si spiegherebbe perché Leonardo non l’ha consegnata al committente e se la sia portata in Francia. Soprattutto, non si potrebbe spiegare nemmeno la straordinaria somiglianza tra la parte superiore del viso della Gioconda (occhi e fronte) con quello dell’autoritratto di Leonardo, o perché la parte sinistra del volto sia visibilmente più giovane di quella destra. E’ possibile che questo sia un autoritratto di Leonardo in vesti femminili, magari dipinto per polemizzare con il rivale Michelangelo (che aveva l’abitudine di dipingere personaggi maschili molto effeminati e personaggi femminili invece molto mascolini)? In ogni caso, ci deve essere un motivo dietro quello sguardo “ambiguo”, soprattutto perché Leonardo ci tenne a evidenziarlo mettendo le iniziali del suo nome nella pupilla sinistra della donna. In perfetto stile da critico d’arte, ci terrei a salutare tutti voi con un capra! Capra! Capra! CAPRA! CAPRA! CAPRA! CAPRA!

Lorenzo, II A Cl

Gli sguardi: Intervista alla Prof. sa Derro, insegnante di arte.

Quale importanza ha secondo lei lo sguardo nell’ arte?

Lo sguardo in arte è fondamentale in quanto ha una valenza comunicativa importantissima poiché le opere non hanno voce, non possono comunicare ed è principalmente attraverso esso che quindi ci parlano. In qualunque opera lo

sguardo assume questa funzione, sia che si tratti di sguardo efficace che arriva all’osservatore e da cui emergono determinati sentimenti, sia che invece lo sguardo appaia vitreo, imperturbabile o spento. Secondo la sua personale opinione, quali sono gli sguardi più significativi dell’arte antica e moderna? Così, di getto, mi vengono in mente due opere in particolare dove, secondo me, lo sguardo è significativo: l’”Annunciazione” di Leonardo e “La pubertà” di Munch . Nella prima opera emerge una forte comunicazione di sguardi e di gesti; il quadro parla anche se non ha voce e se i personaggi non sono concreti ai nostri occhi. Se tracciamo un’immaginaria linea, una traiettoria visi-va, notiamo che Maria comunica con lo sguardo verso l’angelo, lo scruta con tranquillità e con la consapevolezza di far parte di un piano più grande; inoltre a livello di gesti è in una posizione di apertura: la mano sollevata tesa e aperta indica accettazione serena anche a un destino che le è stato imposto. L’angelo, benché abbia il capo e il corpo chini, la osserva, le comunica cosa accadrà. La seconda opera può essere definita agghiacciante: essa rappresenta una ragazza, non ancora adolescente, ma neanche più bambina, privata quindi dell’ingenuità e del candore infantile; non essendo ancora donna non possiede nemeno la consapevolezza della perso-na matura. Il soggetto appartiene alla preadolescenza e come tale il suo corpo sta subendo dei cambiamenti, la ragazza non riesce a controllare questa situazione, anzi è la natura che prende il sopravvento. Comincia a vergognarsi del suo corpo, si sente a disagio. L’ombra alla sue spalle indica probabilmente il presagio di un destino doloroso e il letto candido richiama l’età infantile. Lo sguardo è rivelatore. Cito per ultimo un autore che concentra molti dei suoi quadri sulla centralità dell’occhio e sul senso della vista, Van Gogh. Ne “La ronda dei carcerati” l’artista ritrae l’interno di un carcere delimitato da mura di mattoni. Il pubblico percepisce l’afflizione dei prigionieri, la mancanza di libertà, l’oppressione. Il carcerato in primo piano rivolge all’osservatore uno sguardo angosciato ed è stato riconosciuto come un autoritratto dello stesso autore, che così vuole denunciare il suo stato di assoluta reclusione ed abbandono.

Continua nella pag. seguente

UNO SGUARDO ALL’ARTE

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Quando la realtà va oltre uno sguardo Quando si scrive una poesia molte volte la si scri-ve per se stessi, infatti, all’interno di essa, in ogni parola, verso, frase si na-sconde una parte del autore, le sensazioni provate in quel momento, i ri-cordi cha ha riportato alla luce, i pensie-ri… tutte queste cose sono celate in espressioni che possono essere capite a pieno soltanto dal poeta, alcune poesie sono più semplici da interpretare altre più difficili. La bellezza di quest’arte sta proprio in questo… ognuno leggendole ve-de qualcosa di diverso, qualcosa che appartiene solamente a lui, non all’autore. Di conseguenza ogni analisi, ogni commen-to può essere giusto quanto sbagliato. In questa bella poesia "Ho sceso, dan-doti il braccio" di Eugenio Montale,

dedicata alla moglie defunta, ( Drusilla Tanzi, una scrittrice italiana del 900) il poeta esprime il senso di vuoto pro-vato dopo la sua morte e rimpiange il tempo passato insieme, in quanto, anche se hanno vissuto a lungo in compagnia, questo periodo della sua esistenza gli sem-bra sia durato troppo poco. E ripensa al viaggio, ovve-ro alla sua vita, alle trappole, i tranelli e alle ingiurie di chi non è capace di capire che la realtà va oltre a quello che si vede. Infine esprime la sua gratitudine verso "Mosca" ,il nomignolo di Drusilla datole affettuosamente dal marito, che anche se miope o forse proprio per questo, gli ha insegnato a guardare oltre a quello che si trova sotto i suoi occhi.

Irene Ambricco Icsu.

UNO SGUARDO ALLA POESIA Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale. Ho sceso, dandoti il braccio, almeno milioni di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr'occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.

Eugenio Montale

Quali artisti, quindi, possono definirsi promotori dello sguardo in arte? Determinare quale artista sia stato il più abile a raffigurare le espressioni dei soggetti è molto complicato in quanto l’iter dello sguardo in campo artistico ha origini molto antiche. Basti pensare all’ arte greca: un esempio significativo che di primo acchi-to mi viene in mente è il “Laocoonte”. L’opera apparve un’esagerazione rispetto ai canoni scultorei dell’ epoca: lo sguardo agitato di questo uomo è però assai comunicativo. Ci trasmette il dolore fisico dell’ essere prigioniero di due mostri marini ma soprattutto il dolore psicologico e spirituale nel vedere i propri figli morire. In seguito, in epoca medievale lo sguardo di-viene meno incisivo, meno distintivo e, soprattutto nei mosaici bizantini, perde la propria espressività. Anche nei secoli a ve-nire è difficile delineare la figura di promotore: come già detto, la raffigurazione dello sguardo è uno degli elementi di mag-giore importanza che non può essere scollegata con l’arte figurativa. Perciò, possiamo accennare ad artisti nelle cui opere vi è un gran gioco di sguardi. Impossibile non citare “La nascita di Venere” di Botticelli. Proprio questo artista infatti incentrerà i propri dipinti sui risvolti simbolici degli sguardi soprattutto di donne: la Venere in particolare, pur essendo consapevole della propria bellezza, tradisce nei propri occhi un lieve velo di malinconia, poiché sa che il dono della bellezza ben presto svanirà, lasciandola a fare i conti con la vecchiaia. Allo stesso modo. Cito ancora Tiziano, nel suo dipinto “la Venere di Urbino”: la donna raffigurata, al corrente del proprio fascino, si lascia guardare, si lascia ammirare. Eppure non è passiva, ma dal canto suo ci osserva, ci fissa con sguardo seducente. Lucrezia e Selene, I A classico

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5 anni in poche righe Francesca 5°A/L

Anche per quest'anno siamo arrivati all'ultimo numero del nostro giornalino. Questo significa che per me sarà l'ultimo articolo che scriverò perchè la mia avventura al liceo sta per concludersi. Il tanto temuto esame di maturi-tà metterà la parola FINE a questi cinque anni di vita in parte vissuti tra le mura del Porporato. Sembra quasi di non aver vissuto i timori che hanno accompagnato tutti i primini al suono della prima campanella del liceo: il nuovo ambiente, i nuovi professori, i nuovi compagni, le materie fino ad allora sconosciute e, per chi come me uti-lizza i mezzi per raggiungere la scuola, l'incognita di sapersela cavare tra orari e fermate, contando solo su sè stessi. Tutte le piccole ansie, comprese quelle di mamma e papà, sembrano essere state cancellate da cinque anni intensi. La mia vita al Porporato è scivolata via tra molto impegno e molto studio e un buon numero di esperienze che hanno contribuito a farmi crescere. Il ricordo corre subito alla mia pria uscita da primina: una faticosissima ar-rampicata che aveva come obiettivo socializzare con i nuovi compagni. Da lì in poi si sono susseguiti il soggiorno stu-dio a Chambéry, un fantastico soggiorno in famiglia a Cambridge ed infine la tanto sospirata gita in Germania che, seppur con un anno di ritardo, è arrivata ad allietare la mia primavera da maturanda. Si sono poi distribuite du-rante gli anni tante altre opportunità: la collaborazione con questo giornalino, che mi ha fatto scoprire un'inso-spettabile vena giornalistica; la disponibilità ad un'ado-zione a distanza, alla quale ha partecipato tutta la classe, rinnovata ogni anno; la preparazione agli esami di certifi-cazione linguistica; la partecipazione alla trasmissione televisiva “Per un pugno di libri” che, col sostegno del nostro professore di italiano e la collaborazione degli altri insegnanti, ha permesso a tutta la classe di lavorare unita. Meritano sicuramente un cenno nei miei ricordi le ben cinque giornate di atletica e le ben cinque corse campestri che, per una non sportiva come me, sono state affrontate con grande sacrificio, ma sempre con grande tenacia e impegno. Tappa fondamentale per chi frequenta il corso linguistico è stato senz'altro lo spettacolo multilingue or-ganizzato in seconda che ha trasformato tutti noi in attori, registi e costumisti. Certo in questi cinque anni ci sono stati anche momenti più difficili, quelli che spesso si presentano quando è necessario mettere d'accordo le esi-genze di più persone. È comunque un bilancio positivo quello che mi si è presentato alla mente durante la scrittura di questo articolo: esperienze e opportunità che si sono fuse e dalle quali spero di aver colto il meglio. Il prossimo settembre un pensiero correrà ai cancelli di que-sto istituto che si apriranno alle nuove leve, mentre io sa-rò proiettata verso chissà quale nuova avventura, sicura che ciò che ho vissuto e imparato in questi cinque anni mi accompagnerà per sempre.

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Expedite, ho vinto io!! Cinque anni di Porporato visti da una schiappa

Di Lara De Marchi 3B Cl Quando sono arrivata qui, lo ammetto, mi aspettavo di trova-re Gardaland! Colpa sicuramente di mia sorella che, da in-guaribile secchiona, mi aveva preannunciato il liceo classico come il paradiso del divertimento e dei dieci, e da come ne parlava lei dietro a quei banchi si faceva solo questo. Io la vedevo che parlava di quanto non ascoltasse mai du-durante le lezioni e mi sventolava sotto il naso il suo libretto, e quindi, nella mia testolina presuntuosa, mi prefiguravo già un futuro radioso. “Può fare di tutto”, “ha un buon cervel-lo” erano le frasi con cui mi avevano salutato le medie, e io già mi aspettavo un liceo stampo scivolo gigante da acquapark. Potete immaginare quanto mi sembrò fredda l’acqua della piscina quando arrivò il mio primo quattro, di greco ovviamente, e quando quello chiamò a raccolta tutti i suoi parenti si raggelò del tutto. E furono lì che cominciarono i

dubbi. Quel dieci che mia sorella mi sbandierava quotidianamente davanti si fece vedere solo a marzo, se non contiamo quelli nati dalle somme degli altri voti! Ragazzi, posso garantirvelo, passare da secchiona a schiappa è veramente brutto. Prima sei in continua corsa per lo scudetto, poi arranchi senza fiato in zona salvezza. All’inizio ti disperi, poi te ne fai una ragione e poi torni a disperarti! Ed è stato alla seconda disperazione che ho cominciato a met-terci la grinta, a consumare le pagine di quei libri che non mi entravano in testa, a riempire di post-it

tutto ciò che mi si presentasse davanti, a evidenziare feroce-mente tutte le regole che la grammatica ha creato, a sognare di notte le declinazioni, a farmi flebo di caffè, a maledire con tutto il cuore quei manuali, il Bottin di greco e l’Expedite di latino. Non ci crederete, ma è stato proprio in quei momenti che ho cominciato ad amare ciò che stavo facendo, che ho capito cosa il Porporato veramente fosse. Qui non avrei mai brillato, qui avrei imparato ad accendermi, a lottare in ogni momento per quel tanto ago-gnato sei, a respirare l’aria della sfida. Ci ho messo cinque anni, ho invocato divinità estinte, inventato rituali propizia-tori, odiato tutti coloro che mi trovavo davanti, ma finalmente ora tutto forse ha un senso. Dentro queste mura ho trovato degli amici, alcuni sono ancora al mio fianco, altri mi hanno buttato come carta straccia, ho coltivato sogni, alcuni senza meta altri nel cassetto, ho riso fino alle lacrime, ho pianto fino allo spasimo, ho conosciuto idee, ho confrontato opinioni. Ho conosciuto Nietzsche, ho detestato Hegel, ho guardato il cielo azzurro della Grecia e maledetto Platone e i suoi costrutti. Il bagno all’ultimo piano ormai sa tutto il mio programma di studi, perché gliel’ho ripetuto alla nausea nei cambi d’ora, e sa che ho urlato dietro a frasi incomprensibili, scagliato in aria dizionari, lottato ogni anno dietro alla calcolatrice e ai suoi problemi. Questo liceo l’ho vissuto tutto. L’ho occupato, l’ho studiato, ci ho cantato e ballato dentro, ci ho passato tutti i pomeriggi possibili, persa dietro a passioni senza regole e a versioni senza senso. Continua a pag. 21

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Dovessimo dare una valutazione sulle nostre competenze in termini di partecipazione, consapevolezza degli impegni, capacità di rapportar-si con gli altri, di organizzazione e metodo di lavoro e di studio, po-tremmo dire che partecipiamo con attenzione e interesse quando l’argomento ci piace; durante le le-zioni ci piacerebbe intervenire, ma a volte siamo frenate dalla timidezza. Nelle varie attività, io Sara mi impegno in maniera costan-te, lavoro in modo accurato sia a ca-sa sia a scuola; io Veronica a casa eseguo gli esercizi, ma non sempre studio. A volte, ci dimentichiamo di rispettare le consegne. Qualche volta io, Veronica, mi sento richiamare dall’ insegnante perché parlo o sono distratta; spesso io, Sara, mi sento richiamare perché disturbo e non ho un comportamen-to adeguato. Con gli altri io Veronica impiego un po’ di tempo a fare amicizia e mi trovo bene solo con alcuni compa-gni; a me, Sara, riesce difficile fare amicizia e spesso rimango da sola. Nell’ organizzazione e nel metodo di studio e di lavoro, io Sara, faccio fatica a organizzare e portare a ter-mine un’attività da sola: imparo me-glio se lavoro sotto la guida dell’ insegnante e riesco a fare meglio un esercizio se qualcuno mi aiuta; di

fronte ad un errore di solito chiedo spiegazioni all’insegnante. Io penso che gli errori possano aiutarmi ad imparare. Ho difficoltà a capire spiegazioni e ad applicare regole e conoscenze. Capisco meglio una spiegazione se è accompagnata da immagini e im-paro meglio se provo a ripetere con le mie parole ciò che ho capito; rie-sco ad esprimermi meglio se cono-sco i concetti da utilizzare. Fuori dalla scuola mi è capitato di usare e mettere in pratica le conoscenze acquisite in classe: ad esempio l’educazione alimentare mi sta aiutando a riflettere e mi sono convinta a non mangiare fuori pasto. A scuola ho imparato a conoscere il valore del denaro e a riflettere sul senso della vita. Quando mi interrogano, riesco ad esprimermi se l’insegnante mi fa delle domande; così verifico la mia conoscenza dei contenuti. Il livello che ho raggiunto nelle mie conoscenze secondo me è sufficien-te: riesco a svolgere i compiti e le esercitazioni ma con qualche incertezza e generalmente ottengo risultati sufficienti nelle verifiche e nelle interrogazioni. Io Sara penso che imparare sia importante. Io posso imparare anche se il lavoro è difficile; mi piace ca-pire, fare esperimenti; mi piace esprimere le mie idee parlando; mi piace leggere storie e da quest’anno mi sono iscritta al prestito bibliote-cario alla civica dei ragazzi di Pine-rolo che frequento spesso. Ciò che amo di più a scuola è il laboratorio di pensiero, il laboratorio della GAM di TORINO, il corso di patti-naggio e l’intervallo. Io, Veronica capisco meglio una spiegazione se ascolto con attenzione e metto in pratica ciò che ho appreso in classe. Riesco ad esprimermi meglio se conosco i

concetti da utilizzare e imparo me-glio se lavoro con un compagno. Riesco a fare meglio un esercizio se vedo come si fa e di fronte ad un er-rore di solito riprovo con più attenzione. Quando l’insegnante spiega, capisco quasi sempre e nelle attività didattiche ( esercitazioni, interroga-zioni, ecc...), riesco a esprimermi se l’insegnante mi fa delle domande. Quando svolgo un’esercitazione ( scritta, grafica, orale, ecc... ), ap-plico generalmente le conoscenze e le regole, ma desidero avere confer-ma dall’insegnante. A scuola riesco a collegare le conoscenze apprese nelle diverse discipline, ad esempio tra Storia, E-conomia e Matematica. Quest’anno ho imparato a compilare assegni, a capire come nacquero le banche e a confrontare i panieri dei prodotti di periodi diversi calcolando l’aumento dei prezzi. Verifico la mia conoscenza dei contenuti quando svolgo i compiti a casa e considero il livello dei contenuti appresi solo sufficiente ( riesco a svolgere i compiti e le e-sercitazioni ma con qualche incertezza e generalmente ottengo risultati sufficienti nelle verifiche e nelle interrogazioni ).

SARA e VERONICA, 3AS

RAGAZZE SOTTO SHOCK!!!!! :) un’esperienza scolastica AUTOVALUTAZIONE

Chiara Marchisio

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Primi in Piemonte!

Da diversi anni ormai la nostra scuola è impegnata nel campo della sensibilizzazione nei confronti del problema mafioso, e quest’anno si è anche avuta la partecipazione al concorso indetto

dall’associazione “Giovanni e Francesca Falcone” che riguarda proprio questo tema: abbiamo dunque intervistato le due classi + 1 (I B cl e III B Ling + Stefano della IV A Spp) che hanno partecipato al progetto.

Chapeau a tutti per l’impegno e i progetti realizzati, e un complimento speciale alla I B Cl, che è risultata PRIMA IN PIEMONTE (purtroppo la notizia è arrivata dopo la realizzazione dell’intervista) e si è dunque guadagnata la minicrociera Genova-Palermo! In che cosa consiste il progetto? I B Cl: Qualche tempo fa è arrivato nelle classi il bando del concorso indetto dall’associazione “Giovanni e Francesca Falcone”, che intende premiare i progetti degli studenti riguardo il problema della mafia in Italia. I lavori potevano avere diversi formati: canzoni, video, racconti, fotografie, poster, ecc., e saranno giudicati da una giuria. Gli autori dei primi classificati di ogni regione saranno portati il 26 maggio in nave da Genova a Palermo, dove sarà premiato il lavoro migliore. Raccontateci il vostro lavoro. I B Cl: Noi abbia-mo deciso di unire molti formati: abbiamo realizzato un video in cui un gruppo di noi ballava su una musica (composta sempre da noi) mentre una voce fuori campo leggeva un testo. Quest’ultimo è molto breve ma incisivo, e ha la particolarità di essere in antitesi con ciò che viene mostrato: rappresenta il punto di vista mafioso, proprio mentre le ballerine del video (con maschera bianca, in quanto abbiamo pensato che la mafia assoggetta tutti senza alcuna distinzione) sono “manovrate” dai malavitosi (maschera nera) come dei burattini. Dopo qualche minuto, una ragazza si ribella al suo burattinaio, ma dato che è l’unica a farlo viene eliminata dai mafiosi. In questa sequenza il video è in banco e nero. In seguito, le ballerine capiscono che solo insieme possono combattere il sistema: riescono a slegarsi, a scacciare i mafiosi e a colorare la scena. Stefa-no: Il progetto mi è stato proposto dalla professoressa Tribolo, ed all’inizio l’idea era quella di far cantare un testo rap da alcuni miei amici. Tuttavia ci sono stati alcuni problemi ed allora il progetto si è trasformato in un disegno: vicino al testo che ho scritto c’è la rappresentazione di una persona angosciata con a fianco una “bestia”, che rappresenta la mafia e sta urlando. Sullo sfondo poi si trovano i ritratti di Falcone e Borsellino e il cartello dell’autostrada Palermo-Capaci, dove è avvenuto l’attentato. III B Ling: Noi abbiamo preso un len-zuolo bianco, che è il simbolo della protesta contro la mafia, e abbiamo posto su di esso due serie di foto, che rappresentano il percorso della mafia e quello della vita, in parallelo. Il percorso della mafia poi termina con una frase di Falcone, che recita: “la mafia è un fenomeno umano, e come ogni fenomeno umano è destinato a finire”. Le foto sono state tutte scattate da noi, e mentre le foto della vita erano a colori, quelle rappresentative della mafia erano in bianco e nero. Perché avete scelto di raccontare in questo modo il proble-ma mafioso? I B Cl: Abbiamo scelto questa modalità principalmente perché ha dato a tutti la possibilità di collaborare al progetto: dato che in classe siamo in molti, in questo modo abbiamo potuto dividerci in ballerini, coreografi, musicisti e scrittori. Stefano: L’idea iniziale era un testo rap perché avrei voluto avvicinare la realtà giovanile al problema, soprattutto perché saranno i giovani a doverlo affrontare e combattere in futuro. III B Ling: Un progetto “materiale” e visivo ci sembrava più incisivo. Inoltre, volevamo

realizzare qualcosa che avesse un impatto immediato nei confronti dello spettatore. Quale pensate che sia la portata di questo problema oggi? I B: Abbiamo fatto molte discussioni in classe, anche con la professoressa Turri che ci ha presentato il progetto, e in più alcuni di noi fanno parte del presidio di “Libera” pinerolese. Per quanto possiamo dire, il problema mafioso si sente oggi come si sente ormai da tanto tempo, ma la sua gra-vità sta aumentando: bisogna imparare ad accettare che il mafioso non è più il classico “boss siciliano”, ma lavora anche in aziende importanti in tutta Italia e in tutta Europa. Per esempio, l’estate scorsa è stata confiscata una cascina a dei camorristi di Volvera, e i membri di “Libera” a cui è stata consegnata l’hanno trovata completamente distrutta. Stefano: La mafia è un problema presente in ogni uomo oggi: nel testo, e anche nel dise-gno, si parla appunto dell’angoscia che si trova in ogni persona e del fatto che il sistema

criminale è radicato all’interno delle coscienze. Purtroppo forse c’è questa idea generale che sia un problema legato soprattutto all’Italia meridionale, ma non è così: è qualcosa che è in tutta Italia e in Europa. III B Ling: Pensiamo che il peso della mafia oggi sia molto grande, e che sia presente in qualsiasi tipo di attività: per questo è uno dei maggiori limiti all’espressione delle nostre idee. Non ci sono confini di nord e sud o di nazione, ma siamo tutti dentro questo problema. Pensate che si possa risolvere? Se sì, come? I B Cl: Principalmente crediamo che si possa risolvere attraverso l’aumento della consapevolezza. Troppo spesso purtroppo il problema mafioso è visto come distante, ma in realtà è presente, come abbiamo detto prima, anche in realtà molto vicine a noi. Se ognuno ne fosse consapevole e facesse la propria parte, il sistema della mafia potrebbe essere distrutto. Per esempio, se tutti sapessero che il mercato della droga è completamente in mano alla criminalità organizzata ci penserebbero una volta in più prima di acquistarne. Non basta però semplicemente partecipare alle manifestazioni contro la mafia, serve un impegno sociale più attivo.

Sopra i diciotto

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SUPPLEMENTO D’ANIMA Il gruppo di Amnesty International del Porporato

Stefano: Secondo me il modo migliore di risolverlo è attraverso l’informazione. Anche l’educazione gioca un ruolo importante: la gravità del problema mafioso deve essere insegnata non solo in famiglia, ma anche all’interno della scuola, perché è una malattia della società e bisogna distruggerla. III B Ling: potrà essere risolto solo quando le persone vorranno davvero fare qualcosa per risolverlo. Non serve far parte di cortei ed associazioni e poi una volta finite queste dimenticarsi completamente del problema. Avete giornali/siti internet che consigliereste per documentarsi sulla criminalità organizzata? C’è stato qualche dato o aneddoto che vi ha colpito? I B Cl: Come sito internet c’è quello del presidio di Libera Piemonte, per quanto riguarda i libri ci sono spesso degli incontri alla libreria “Volare” che riguardano questo tema. Un aneddoto che di sicu-ro colpisce, e che fa capire quanto la criminalità organizzata sia presente anche al nord, è che il primo comu-ne sciolto per mafia si trova in Piemonte, e non è nemmeno molto lontano da Pinerolo. Stefano: Un fatto che mi ha colpito è stata la confisca della cascina a Volvera: l’anno scorso mi sono iscritto a Libera, e questa associazione mi ha aperto gli occhi su quanto la criminalità organizzata sia radicata nella nostra zona. Mi ha poi colpito l’incontro di Libera a Milano in cui hanno letto i nomi di tutte le vittime di questa criminalità: siamo stati per più di un’ora sotto la pioggia prima che questa lista finisse. III B Ling: In realtà quello che ci ha colpito di più è stata proprio la frase di Falcone che abbiamo utilizzato all’interno del progetto. Pensiamo che sia importante la speranza che questo fenomeno finisca, e inoltre che nessuno sia convinto che sia un problema solo di altre persone. Un’ultima domanda: supponendo che un mafioso legga queste righe, che cosa vorreste dirgli? I B Cl: I mafiosi hanno la consapevolezza che quello che fanno è sbagliato, ma per la loro convenienza preferiscono comunque continuare a farlo. Non crediamo che sia giusto uccidere qualcuno che non sia d’accordo con te, e nemmeno che sia giusto subordinare il benessere (non solo la vita) delle altre per-sone alla propria convenienza. Stefano: Secondo me hai perso, perché ti sei fatto divorare da questa bestia che hai dentro. Anche se ti senti un uomo di successo sei un fallito, e provo pena per te. Sembra quasi che il tuo interesse principale sia far del male alle altre persone, come se la bestia si cibasse dei sogni degli altri. In poche parole, mi fai schifo. III B Ling: Dovrebbe capire che ciò che fa danneggia tutti, e che alla fine non porta dei vantaggi nemmeno a lui: questo sistema non fa altro che portare sofferenza.

Lorenzo e Stefano, II A Cl

Non è facile immedesimarsi nelle emozioni e nelle sofferenze quotidiane di chi ogni giorno vede violati i propri diritti. Am-nesty International ha chiesto di provare a farlo, per dare voce a chi non ha più la forza di parlare, attraverso un concorso ri-volto ai ragazzi dai 14 ai 19 anni dal titolo "Raccontare i diritti umani!" Il concorso è scaduto il 30 di aprile, ma le testimo-nianze della traccia sono fonte di meditazione e di riflessione anche per chi non vi ha partecipato. Eccole! "... prova a scrivere un breve racconto, una poesia o una can-zone, ispirandoti a una delle seguenti tracce: 1) Sono Maria. Ho quindici anni e vivo in un campo rom alla periferia di Roma. 2) Mi chiamo Ehsan. Vivo in Iran e sono omosessuale. 3) Mi chiamo Marisela. Ho ventisei anni. Vivo a Ciudad Jua-rez con mia madre e mia sorella. Sono stata violentata da un poliziotto che ora è in libertà. 4) Sono Adrian. Ho venticinque anni. Sono rinchiuso nel car-cere russo di Ekaterinburg dove ho subito torture da parte dei

poliziotti. 5) Sono Lubna. Ho cinquant’anni. Vi-vo in Sudan. Ho osato indossare i pantaloni e ho subito la pena della fu-stigazione. 6) Mi chiamo Eric. Ho diciassette anni e vivo a Bujumbura. Sono orfano e vivo rubando. 7) Sono Adam. Ho quarant’anni. Vivo in Somalia. Avevo un terreno ma i signori della guerra me l’hanno confiscato. 8) Mi chiamo Bahiyah. Ho vent’anni. Vengo dalla Nigeria ma vivo a Torino dove sono costretta a prostituirmi. 9) Sono Bablì. Ho trent’ anni e vengo dal Mali. Ora vivo a Milano dove spaccio per mantenere la mia famiglia nel mio paese d’origine. 10) Sono Sefu. Ho dodici anni. Vivo in Congo. Sono un bam-bino soldato. A nove anni ho ucciso per la prima volta".

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Due segnalazioni per questa rubrica di Libera Il 26 aprile, a Torino, si sono svolte le udienze preliminari del processo Minotauro. Libera Piemonte ha seguito e conti-nua a seguire con grande interesse l’evento e 4 mesi fa ha pre-so la decisione di costituirsi parte civile nel processo. La pre-senza di Libera è molto importante, poichè è l’espressione della società civile che si pone a fianco di tutti coloro che so-no stati lesi da attività mafiose. Libera per bocca della sua coordinatrice regionale, Maria Josè Fava, si unisce all’appello del commissario antimafia Roberto Tricarico, auspicando che

altri enti si costituiscano parte civile al processo. Quest’anno al Liceo "G.F Porporato’’ era stato indetto un concorso in occasione del ventennale della strage di Capaci, dove poteva essere presentato qualsiasi lavoro di classe. La classe I-B classico ha partecipato con un progetto molto inte-ressante, che ha visto la partecipazione di tutti i componenti in ruoli diversi. La classe, con la supervisione delle professo-resse Turri e Nevache, non solo ha partecipato al concorso... ha vinto! Pertanto una delagazione della I-B si recherà a Pa-lermo. (ndr: resoconto nella pag. precedente)

Il Gruppo Libera contro le mafie

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Quelle chance cet échange ! È domenica mattina del 25 marzo, finiamo i preparativi, e siamo pronti alla partenza prevista per le 14 del pomeriggio stesso... L' adrenalina scorre nel corpo, le emozioni e i timori anche, ma noi ...siamo felici, euforici. Il nostro primo scambio insieme, la 2 D linguistico, 22 ragazzi, 22 amici. Eccoci, tutti nel contro viale della stazione, siamo pronti a partire ! Abbiamo delle valigie grandi, enormi, e noi, tra un abbraccio ai genitori e una foto ricordo della partenza iniziamo a salire su quel piccolo pul-lman. Dopo 4 ore di viaggio, il tanto aspettato arrivo al liceo francese. Le “nostre” famiglie erano lì ad attenderci, e come pacchetti ci hanno prelevati. Abbiamo passato una settimana fantastica, immersi nella lingua e nella cultura francese. Abbiamo visitato musei, frequentato le lezioni con gli studenti francesi e abbiamo oltretutto avuto modo di imparare meglio la lingua. È stata un' esperienza fantastica, sia a livello istruttivo, sia per le uscite e le attività divertenti che abbiamo fatto. Ci siamo trovati tutti molto bene nelle famiglie, tant'è vero che il sabato mattina, il 31 marzo alle ore 9, quando dovevamo partire e dire ai nostri corrispondenti e alle “nostre” famiglie Arrivederci o ma-gari Addio è stato molto difficile. Abbiamo vissuto con loro una sola settimana, ma è bastata a far nascere forti legami di amicizia. Piangevamo quasi tutti, sapevamo che un' esperienza così fantastica sarebbe stato difficile riviverla.

Erica Jazbec 2DL

Il mio soggiorno in Svizzera Sion –Savièse 28/01/2012 05/04/2012 Mi ricordo ancora il primo lunedì mattina al “Lycée Collège De La Planta”…avevo un appuntamento con il preside, il vice preside e con Mme. Maschietto, la professoressa che si occupa di tutti gli scambi. Ho avuto immediatamente una buona impressione, un po’ come fossi a casa. Alle 8.20 è il momento di entrare nella mia nuova classe e seguire la prima lezione; penso che sia in quel momento che il mio soggiorno è davvero iniziato. Ho avuto la grande fortuna di essere accolta subito e da tutti come un’amica e non come una straniera, ho cominciato a parlare con l’uno e con l’altro e dopo una settimana ero già amica con tutti, sentivo di cominciare a far un po’ parte della 2C. Certo, non era tutto così semplice! Le prime settimane sono state abbastanza difficili: dovevo integrarmi nella mia famiglia, nella mia classe, presentarmi ai professori, cercare di capire il più possibile, fare i compiti e le verifiche …tutto allo stesso tempo ! Senza contare che c’erano delle lezioni che capivo (per esempio storia, francese e inglese) e di cui avevo già trattato gli argomenti nel mio liceo, ma c’erano anche le lezioni che non capivo bene, a causa del modo di parlare del professore (matematica), dell’argomento troppo difficile (tedesco) o semplicemente perché non amo molto la materia (geografia) Ciò che è stato anche molto interessante al di fuori delle lezioni è l’organizzazione del liceo, che per alcune cose è completamente diversa dalla nostra: mentre il “liceo Porporato” è solo un liceo, una scuola, il “lycée La Planta” può essere per gli alunni un po’ co-me una seconda casa….dalle sette del mattino, fino alle diciannove la sera si può restare nel liceo, in biblioteca per esempio o ai numerosi tavoli della hall, per fare i compiti o leggere un libro. Il liceo è inoltre fornito di una mensa, molti laboratori di chimica, biologia, informatica ecc…e (cosa che da noi è completamente diversa) delle “salles d’examen” , ovvero, le “classi di verifica” . Noi siamo abituati a fare le nostre verifiche in classe, da loro è il professore che deve scegliere un’aula, tra le due disponibili, per la sua classe. Concludendo, questa esperienza scolastica mi ha aiutata a capire che la scuola non è dappertutto la stessa e che possono esistere modi diversi di organizzare le cose, senza essere l’uno più giusto dell’altro, e perché no, mi ha aiutata anche ad apprezzare di più certe che cose che credevo scontate e a trovare delle idee per migliorarne delle altre.

Ilaria Tuninetti 3 BL

Dedichiamo queste pagine ai soggiorni-studio, fiore all’occhiello del linguistico

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È noto che il miglior modo per apprendere una lingua sia quella di vivere, anche se per un breve periodo di tempo, in un Paese in cui la si possa parlare. Se a questo aggiungessimo la presenza di persone della nostra stessa età, quest’esperienza diventerebbe decisamente unica. Ed è proprio quello che è successo a noi nel mese di marzo, grazie all’opportunità che la scuola offre ogni anno ad alcune classi del Linguistico. La nostra classe, infatti, ha avuto la possibilità di prendere parte ad uno scambio con alcuni studenti del Liceo “Edouard Herriot” di Voiron, una città non molto lontana da Grenoble nella regione Rodano-Alpi. Il primo impatto con i corrispondenti non è stato positivo per tutti. Prima di scendere dal pullman, alcuni di noi avevano paura di dover trascorrere una settimana con gente sconosciuta, non sapendo soprattutto il modo in cui comportarsi con la famiglia ospitante. Ma questa situazione è potuta migliorare facilmente, cominciando a far conoscenza e stringendo amicizia. Non si può nascondere il fatto che, il giorno dopo il nostro arrivo in cui ci ritrovammo davanti al liceo per iniziare le lezioni, non fossimo felici di rivedere i nostri compagni di classe. Infatti dimostrammo così tanta gioia da attirare l’attenzione degli altri studenti fran-cesi che, da quel giorno, ci chiamarono semplicemente “les italiens”.

Gli studenti della classe 2El

IL MIO SOGGIORNO IN SVIZZERA

Durante il soggiorno di media durata in Svizzera ho avuto l’opportunità di entrare a contatto con una società completamente nuova ed interessan-te. Ho vissuto per dieci settimane in una fami-glia che abitava a Savièse, un piccolo villaggio di 6000 abitanti, nel cantone Vallese della Sviz-zera francese. Io, come stipulato in precedenza dagli accordi tra il professor Guillot e la profes-soressa Maschietto della Svizzera, avevo già ospitato nei mesi di ottobre, novembre e metà dicembre, la mia corrispondente, Maelle. Fortunatamente i suoi famigliari erano già abituati ad avere corrispondenti e ragazzi alla pari in casa e perciò non ho riscontrato alcun problema di tipo relazionale. Con questa famiglia sono riuscita ad applicare molto bene la lingua francese perché, essendo già abituati a situazioni del genere, sapevano come prendermi, e, avendo comunque una buona base di francese, sono riuscita a farmi capire già dall’inizio. Per quanto riguarda la mia vita a Savièse, ho avuto l’occasione di conoscere gran parte delle persone del paese grazie a delle serate che la madre della mia corrispondente organizzava per integrare gli immigrati. Questi appuntamenti erano molto interessanti perché erano organizzate dalla chiesa ed illustravano inizialmente le vite dei personaggi che presentavano e poi veniva allestito un banchetto con le pietanze tipiche dei paesi illustrati. Inoltre ho avuto l’opportunità di assistere alle numerose feste di carnevale organizzate nei vari paesi. Esse erano composte da balli, sfilate, banchetti e molta euforia. Il carnevale da loro inizia il giovedì e si conclude solamente il martedì se-guente con la festa più colorata e particolare a Miège. Sfor-tunatamente, data la mia partenza, non ho potuto festeggiare Pasqua insieme a loro ma sono riuscita comunque ad impa-rare moltissime cose a proposito delle loro tradizioni e festività religiose. In effetti sono soliti festeggiare nel mese di giugno/luglio la Fête-Dieu, una festività conosciuta da tutto il mondo, ma che in Svizzera è conosciuta come quella di Savièse. Ho avuto modo di studiare questa tradizione e ciò che mi ha colpita di più è la presenza di molto spirito di iniziativa e molta voglia di partecipazione da parte dei giovani. Per di più, grazie alla bellezza e alla disponibilità di innu-merevoli piste sciistiche, ho anche imparato a sciare in sole tre lezioni. Per quanto riguarda i cambiamenti tra Italia e Svizzera, ho notato che i pregiudizi che noi abbiamo verso gli svizzeri in

realtà hanno basi fon-date. I pul-lman sono sem-pre e per-

fettamente in orario, sempre puliti e ben organizzati; la mentalità delle persone è molto rigida, dedita al lavoro e si tramanda che in ogni svizzero in realtà vi sia un poliziotto. Inoltre è molto evidente che si riponga molta più responsa-bilità nei bambini forse anche per il fatto che non sono frequenti furti, sequestri o problemi di questo genere. Oltre a questo le persone sono molto ecologiste; per esem-pio molti uomini d’affari, maestre e molti bambini girano per la città con il monopattino per non inquinare troppo l’ambiente e per destreggiarsi più facilmente nel traffico. Infine, per quanto riguarda il sistema scolastico, non ci sono enormi differenze dal nostro; le classi non usano fare come nelle scuole americane, dove gli studenti cambiano aula e i professori rimangono stabili, ma fanno esattamente come in Italia; le differenze fondamentali sono nella durata delle ore, 45 minuti ciascuna, nella ripartizione delle ore durante la giornata e nei metodi di valutazione. In effetti gli studenti vanno a scuola quasi tutti i giorni fino alle 4 e mezza, ma comunque hanno pause molto lunghe nell’arco di tutta la giornata. Per quanto riguarda le valuta-zioni vengono valuti su una scala dal 2 al 6 a differenza dell’Italia. In conclusione posso affermare che questo soggiorno di media durata mi ha aiutato molto nell’ applicazione della lingua francese,ma mi ha anche dato la possibilità di rela-zionarmi con persone di culture differenti e soprattutto con abitudini diverse dalla mia, ma tutte positive.

Giulia Paschetta 4CL

Per motivi di tempi di stampa non è stato possibile dar conto del soggiorno della II B L, a Tarare (Lione). Il

soggiorno s’è concluso il 12/5

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Artisti e campioni tra noi Eccoci il nostro consueto appuntamento con gli sportivi del Porporato! Abbiamo intervistato Martina Barral, pallamanista della 4B pedagogico. Come/quando hai iniziato a giocare a pallamano? Ho iniziato a giocare a pallamano in prima media, quando la scuola media che frequentavo (la”Brignone”) aveva una squadra per le gare sportive con le altre scuole della zona. A livello agonistico, visto le poche squadre nella zona, ho dovuto aspettare la terza media quando insieme ad altre ragazze appassionate di pallamano ci siamo unite e abbiamo fatto una squadra. Secondo te come mai è uno sport poco conosciuto e praticato in Italia? Gli unici sport che si possono definire seguiti e conosciuti in Italia sono il calcio per i maschi e la pallavolo per le femmine, già molto meno il basket e solo negli ultimi anni il rugby. Gli altri in parte non sono neanche considerati se non in eventi come le Olimpiadi o i mondiali. Tutto ciò che viene trasmesso in televisione è strettamente legato agli sport detti prima, solamente pochi canali e non i principali trasmettono partite di pallamano come di altri tantissimi sport, e tutto ciò è molto penalizzante. Non molti come detto sono a conoscenza di questo sport; e allora puoi spiegarci come si gioca a pallamano? Quali sono le regole fondamentali? Innanzitutto questo sport mette a confronto due squadre di sette giocatori (sei giocatori più il portiere). Il campo è costituito dalle due aree dei rispettivi portieri; la linea dei nove metri da dove vengono battuti i falli e la linea di centro campo. La partita è suddivisa in due tempi di trenta minuti ciascuno e lo scopo del gioco è segnare più punti possibili. Le regole più importanti sono: il pallone non può essere tenuto per più di tre secondi in mano, non si possono fare più di tre passi consecutivi senza passarlo ad un altro giocatore o farlo rimbalzare e non si può smettere di palleggiare e ricominciare senza averla passata. Nessun giocatore può entrare nell'area del portiere e nei falli più gravi vengono concessi i rigori che si battono dai sette metri. È impegnativo conciliare allenamenti con gli impegni scolastici? Quanto ti alleni alla settimana? Conciliare impegni sportivi con impegni scolastici non è mai stato molto impegnativo, so gestirmi molto bene. Credo che dopo anni che giochi trovare il giusto orario sia per una cosa che per l'altra venga automatico. Quest'anno mi alleno due volte (martedì e venerdì) a settimana per due ore.

Sabrina Circosta, 4B Pedagogico

Un altro sport poco noto è l’equitazione. Spazio a Marta Grondana, l’amazzone della 1°A classico. Allora Marta, come ti sei avvicinata all’equitazione? Ho iniziato questo sport a 7 anni, grazie ai miei genitori che, data la mia passione per i cavalli, avevano deciso di regalarmi alcune lezioni di prova. Non immaginavo che non

avrei più smesso! Dopo tutti questi anni di allenamento, hai già gareggiato a livelli agonistici? E se si, in che tipo di competizioni? Certo che si, sono quattro anni ormai che partecipo a gare di salto ostacoli. Con la mia cavalla siamo riuscite a gareggiare nella categoria B110, cioè gare in cui l’altezza massima degli ostacoli è un metro e dieci. Prima invece facevo gare con i pony, con cui sono riuscita a vincere i campionati regionali. In tutto questo tempo immagino tu abbia costruito un rapporto particolare con la tua cavalla, non è così? A dir la verità gareggio con questa cavalla solamente da un anno ma devo ammettere che nonostante ciò, in questo anno, ab-biamo creato una buona intesa fra noi. Prima, infatti, montavo un pony che avevo in affidamento ma che ho dovuto lasciare per passare a cavalli più grandi. Com’è stato per te questo passaggio? È stato ottimo! Diciamo che pony e cavalli sono completamente diversi, sia come gestione che come movimenti. Mi aspettavo un passaggio molto più difficile, ma sono sicura di poter dire che apprezzo molto di più montare la mia cavalla che un pony! Permettimi un’ultima domanda, quali sono per te i pro ed i contro di questo sport? E soprattutto lo consiglieresti ad altri? Vi sono tanti pro quanti contro. Sicuramente uno dei pro è la sensazione di libertà che si prova quando si è sul cavallo. Un altro magnifico elemento è il rapporto che si instaura fra il cavallo ed il cavaliere che li porta ad intendersi anche solo attraverso minimi gesti. Andare a cavallo, a mio parere, insegna anche ad essere responsabili, dato che un cavallo necessita di molte cure ed attenzioni. I contro penso siano più che altro fisici. Anche se può non sembrare così, andare a cavallo può essere veramente pericoloso ( io per esempio mi sono rovinata il ginocchio). Inoltre esistono anche dei contro sul piano affettivo, quando per esempio bisogna lasciare un cavallo con cui si era raggiunta una certa affinità. Sicuramente io consiglio questo sport a tutti quelli che hanno voglia di impegnarsi in qualcosa che sarà davvero importante nella loro crescita. Grazie mille del tempo che ci hai dedicato e buona fortuna per tutte le tue gare future!

Tre secondi e... Goal!

E siamo a cavallo!

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La gara di salto in lungo che vedeva impegnati i ragazzi dopo una prova li-bera nei tre salti di qualificazione, si è svolta senza irregolarità; ogni tanto c’era qualche salto nullo, ma nel complesso è andata bene. I ragazzi sono stati suddivisi in quattro categorie a seconda dell’età e del sesso . Le classi terze “allievi e al-lieve” le classi quarte e quinte “juniores maschile e femminile”. Tra i tanti che saltavano ottenendo

risultati nella media hanno stupito alcuni che lasciata la pedana di stacco come tutti gli altri hanno poi preso il volo ottenendo misure sorprendenti e lasciando tutti stupefatti. Gli artefici di questi salti, che si sono qualificati con i risultati migliori sono stati: allieve femminili: Passet Alessia 4.32 m- allievi maschili: Vignacastris Claudio 4.78 m; juniores femminili: Fertitta Veronica 4.06 m - juniores maschili: Durando Federico 5.20 m

In generale nella giornata tra le tante specialità e tanti partecipanti è stata notata un po’ da tutti Salvai Cecilia che nella staffetta di classe ha eseguito uno scatto velocissimo. Infatti ha permesso alla squadra che gareggiava con lei di passare dall’ultimo al primo posto, erano tutti stupiti.

Che dire? I dati parlano da soli, sono stati sicuramente bravissimi, e forse il Sole ha dato una mano per il conseguimento di questi bellissimi risultati. Nelle varie specialità i migliori qualificati sono stati: nell’alto: allieve Mao Erica 1.35m - allievi Cavallero Davide 1.45 m -juniores femminili Ariello Serena 1.45 m juniores maschili Garofalo Federico 1.55m; nel peso:allieve Mao Erica 8.11 m -allievi Peiretti Gabriele 9.83-juniores femminili Malosti Federica 9.34 m -juniores maschili Talluto Luca 11.48 m; nella velocità:allieve Boccardo Martina 00‘11”89 - allievi Cavallero Davide 00’12”68 -juniores femminili Salvai Cecilia 00’13”52 -juniores maschili Vaudagna Andrea 00’12”21;

nel mezzo fondo veloce (400 mt):allieve Damiano Laura 1’15” -allievi Chiappero Emanuele 1’08”84-juniores femminili Zamara Lucrezia 1’17” -juniores maschili

Custodero Tommaso 00.56”93;

nei 1000 mt:allieve Zo

Anna 4’19” -allievi Peretti Gabriele 3’00”-juniores

femminili Pagetto Tamara 3’35” -juniores maschili Ba-

rale Andrea 00’57”92;

negli ostacoli:allieve Faolot-to Giulia 00’22”67 -allievi Combina Alberto 00’20”44 -juniores femminili Lovera Martina

00’19”80 -juniores maschili Vaudagna Andrea 00’18”09.

Stano Serena e Messina Sandra

Salto in alto Gli atleti erano preparati e motivati. Per

quanto riguarda le ragazze l’altezza massima era

di 1,55 m, mentre per i ragazzi era di 1,65 m.

Teoricamente la giornata del salto in alto dove-

va essere organizzata dividendo o due gruppi,

maschile e femminile, in altri due sotto gruppi,

ma per mancanza di tempo e per sovrapposizio-

ne di altre discipline nello stesso orario non si è

tenuta questa suddivisione. Rispetto all’anno scorso, i candidati erano meno

numerosi, anche perché molti si sono ritirati a

gara iniziata. C’è anche da dire che rispetto

all’anno passato il tifo è stato molto caloroso e

incitante. Speriamo che un altr’anno ci siano più

“vincitori che vinti” e che partecipino molti altri

allievi della nostra scuola.

PESO

Fortunatamente in questa mattinata trascorsa al campo

di atletica “Martin” il tempo ci è stato favorevole e ci ha

permesso di effettuare serenamente le varie prove, pren-

dendoci anche qualche pausa per rilassarci sotto il sole.

Io ed alcune mie compagne abbiamo aiutato gli

insegnanti a misurare le prove del getto del peso

effettuate dagli studenti delle classi terze, quarte e quin-

te. La gara si è svolta contemporaneamente su tre pedane,

una per i ragazzi e due per le ragazze.

Questa disciplina, come tutti gli altri anni, è stata, insie-

me alla corsa di velocità, la più scelta dalle ragazze del

Liceo, che hanno dato il meglio di se’ effettuando tre

lanci ciascuna con un peso da 3 Kg. (5 Kg. per i ragaz-

zi) ottenendo risultati discreti.

Nel tempo trascorso insieme abbiamo avuto modo di

chiacchierare e fare nuove amicizie, mantenendo però

la concentrazione e l’impegno, fondamentali per avere

una buona prestazione.

Paola Piana 3Dsp

Giornata di atletica Impressioni dal campo

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Secondo fischio. Salgo sul blocco e osservo colei che mi ha fatto compagnia per molte ore in tutti questi anni e che ora si è trasformata nella mia peggior rivale. L'idea che tra pochi istanti saremo solamente io e lei, l'acqua, mi provoca un brivido lungo tutta la schiena che distoglie per un secondo la concentrazio-ne sul mio obiettivo primario: qualificar-mi per le finali che si svolgeranno nel pomeriggio. Al via scatto automatica-mente in avanti e poco dopo mi ritrovo in acqua. Da quel momento tutte le mie pre-occupazioni si sono dissolte e l'unico mio pensiero è di dare il massimo per rag-giungere l'obiettivo per cui ho speso ore e ore di allenamento. Sento braccia e gambe doloranti, il fiato divenire man mano più affannoso e l'arrivo mi sembra sempre più lontano. Quando la mia mano tocca il muretto del traguardo, sono esau-sta, guardo immediatamente l'ordine d'ar-rivo sul tabellone e realizzo affranta che non ho concretizzato la meta cui mi sono prefissata. Punteggio:50.20. L'atleta prima di me ha appena terminato la sua esibizione e ora è arrivato il mio mo-mento. Ripasso velocemente tutti i dettagli della coreografia e mi concentro sull'obiettivo su cui lavoro da diversi mesi. Lo speaker annuncia il mio nome, entro in pista e dopo qualche istante sento le prime note della musica che mi accompagnerà per tutta l'esibizione. La tensione all'inizio è molto alta, ma dopo il primo salto eseguito alla perfezione, riesco a controllarla meglio. Rivolgo lo sguardo verso il mio allenatore che, grazie alla sua solita compostezza, riesce a trasmettermi un senso di sicurezza. Eseguo altri passi, salti e trottole previsti nella coreografia con molta precisione, concentrandomi sui diversi elementi che devo svolgere. Con la coda dell'occhio vedo sulle tribune tutte le persone a me più care che sono qui apposta per me perché sanno che tengo molto a questa gara. Quell'attimo di distrazione causa un errore nel momento più importante dell'esibizione, provocando in me un senso di smarrimento. Invece che provare a rimediare nei passi successivi, continuo a pensare a quel singolo sbaglio, determinando così negativamente l'esito della gara. Fini-ta la coreografia aspetto il punteggio da parte della giuria, sapendo però che non sarà all'altezza delle mie aspettative. Il risultato è, come previ-sto, disastroso e tutte le mie speran-

ze sono vanificate. Esco sfinita e amareggiata dalla vasca e vado dalla mia allenatrice per sentire il suo giudizio e capire dove avevo sbagliato. Quella delusa non sono solamente io, anche lei aveva delle aspet-tative molto alte nei miei confronti: rie-sco a capirlo dalle sue parole. Mi correg-ge qualche errore tecnico e poi cerca di incitarmi a non mollare, nonostante la gara andata male. Mi dirigo verso il mio allenatore insoddisfatta per il risultato ottenuto e allo stesso tempo impaurita dalla sua prevedibile reazione. Mi domanda co-sa mi passa per la testa dopo tutto l'impegno impiegato e i sacrifici fatti. Non so davvero cosa rispondere, so solamente che mai avrei immaginato di provare una delusione così grande. La mia allenatrice è sicuramente una fi-gura di riferimento ed ogni suo consiglio o parere è molto prezioso, infatti cerco sempre di concretizzarlo. Capita però che lo sconforto per una competizione andata male sia talmente grande da mettere in dubbio le ragioni che mi spingono a sacrifici quotidiani, anche relativamente agli impegni scolastici. Incastrare sport a livello agonistico e scuola non è infatti semplice e richiede davvero molti sacrifici. Per questo, talvolta, mi soffer-mo a pensare alle motivazioni che mi portano ad affrontare tutti questi sforzi ogni giorno, soprattutto paragonando il mio “stile di vita” a quello della maggior parte dei ragazzi della mia età. Dopo aver ascoltato le urla e le criti-che del mio allenatore, il mio sconforto e la mia delusione sono aumentati. A cosa è servito tutto ciò? Ore e ore passate sul ghiaccio, tante rinunce e sacrifici fatti per quest’unica gara per poi vanificare tutto a causa di una distrazione. Sarebbe molto più semplice se non dovessi affrontare tutti i giorni questo grande impegno, potrei dedicare più tempo al divertimento e agli amici. “Non ho alcuna intenzione di mollare, di buttare via tutto il lavoro fatto, di arrendermi nonostante le tante delusioni ricevute e soprattutto di abbandonare una passione che coltivo ormai da molto tempo. Devo lottare con le unghie e con i denti per raggiungere il mio obiettivo.” Sento il fischio del giudice e salgo sul blocco di partenza, la tensione è tanta, ma la determinazione nell’ottenere finalmente un risultato soddisfacente pre-vale su ogni altro timore. Guardo davanti a me e vedo il luccichio provocato dal riflesso del sole sull’acqua che assomiglia quasi ai movimenti di una danza. La

riconosco, ora so di essere finalmente a casa e non la vedo più come una rivale, ma bensì come un’alleata. Fischio di par-tenza, ora comincia la sfida, ma non con le mie rivali, con me stessa, devo riuscire a dimostrare quanto realmente valgo. Nuoto pensando solamente alla rabbia provocata da quella gara andata male riuscendo a mettere la fatica in secondo piano. L’arrivo è li, a quindici metri da me, sono esausta, ho braccia e gambe infuocate per lo sforzo, ma non mollo, questa volta no. Giunta al traguardo os-servo immediatamente il risultato della gara sui tabelloni: ce l’avevo fatta, avevo vinto. Ma non perché ero arrivata prima, nemmeno seconda ne tanto meno terza, avevo vinto la sfida con me stessa, avevo superato timori e difficoltà e migliorato il mio personale. Ero soddisfatta di me stes-sa pur non avendo una medaglia al collo. Il mio allenatore mi ha sgridato molto, ma non mi devo tirare indietro. Devo concretizzare i suoi consigli e dimostrare a tutti, ma in primo luogo a me stessa, di cosa sono capace. Entro in pista , questa volta il ghiaccio sotto di me non mi spaventa, anzi mi rassicura, quasi fosse una madre, un’amica o una sorella cui so di poter far affidamento. Lo speaker annuncia l’inizio della mia esibizione. Trottole, salti, passi tutto va come deve anda-re, invece di concentrarmi unicamente sul risultato finale, penso prima di tutto a divertirmi trasmettendo la mia passione per questo sport ai giudici che mi osservano attentamente. Finisco la gara soddisfatta, perché finalmente ero riuscita a vedere il pattinaggio non più come un dovere ma come una passione. Quando gli impegni scolastici richiederanno più tempo, dovremo abbandonare le nostre passioni, ma ciò non significa che tutte le ore spese ad allenarci siano state inutili. Lo sport infatti, ci ha insegnato a perseguire un obiettivo e a non arrenderci fin quando non l’abbiamo raggiunto, nonostante gli ostacoli che si possono incontrare. Ci ha insegnato a combattere piccole battaglie quotidiane, non solo contro le nostre avversarie ma anche contro noi stesse. Ci ha insegnato a rialzarci dopo una sconfitta e a ricominciare a lottare. Ma soprattutto ci ha insegnato a mettere sempre il cuore in ciò che facciamo, credendoci fino infondo. Beatrice Martin e Alice Rossanese

Ghiaccio al sapore di cloro

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IPSE DIXIT

• Ragazzi ma scusate,io abito in palestra tutti i giorni. (Martinale) • Allora le prime due colonne sì facoltamente la terza. (Usseglio) • Fra tutti quelli che risponderanno entro cinque minuti sarà sorteggiata una lavatrice usata.(Baraldi) • Bravi ragazzi vi siete fatti gabbare da Gabbio.(Gabbio) • A quanto pare io e Albarello siamo come Stursky e Hutch oppure Stanlio e Onlio,

dipende dai punti di vista. (Borghese) • Stiamo parlando di turchi ottomani che non sono una specialità di scimmie con otto

braccia.(Baraldi) • Quel giallino color cacca di piccione malato è la nuova conquista di Cesare.

(Gabbio) • Qui invece ci sono i centauri che non sono metà uomo e metà motocicletta.(Baraldi) • ….E vengono morsi dalle arpie che non sono le vostre amiche antipatiche.(Baraldi) • Se i voti sono abbassati vediamo di salirli.(Maressa) • Dubito quando gli stupidi fanno cose intelligenti…ti destabilizza la cosa. E’ un po’

come vedere il tuo gatto che si mette a cucinare. (Borghese) • Io non sono multitasking,io sono onetasking,riesco a tirare fuori una cosa alla volta dalle tasche. (Catasso) • A mio figlio di sette anni gli abbiamo…veramente sa che glie l’ha portato Babbo Natale,comunque ha ricevuto l’I-PED.

(Catasso) • Il linguaggio che utilizza in questo…ok c’è qualcuno che mi sta ascoltando? No,così per sapere.(Picotto) • Va bene passila ad Angela. (Priolo) • E poi subentra la vecchiezza. (Picotto) • Sarti leggi la seconda senza parlare. (Maressa) • A lei non cambia niente perché Ulisse non è ancora tornato,sto coppolone.(Gabbio) • Bongioanni (quasi al termine della lezione): "Ragazzi ma la smettete di fare lo zaino?? Dovete per caso guidare il pul-

lman?! • Priolo:" Come diresti un euro in inglese?" Alunno. " Prof, ma è una domanda tranello, vero? Perchè in Inghilterra

non esiste l'euro.."

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Un odore di disinfettante la circondava e le lenzuola rigide toccavano la sua pelle, infastidendola, ma era un bene, significava che lei, Monique, era viva, significava che l’uomo cattivo non l’aveva uccisa. <<Si sveglierà? È in coma ormai da tre giorni…>> sentì la voce di Paul chiedere a qualcuno nella stanza. No, non voleva fare preoccupare il fidanzato e suoi genitori, non desiderava che il fratellino si dimenticasse di avere avuto una sorella viva e non un essere più simile a un vegetale che a un essere umano. No! Doveva svegliarsi! Apri gli occhi e il buio l’avvolse, sbatte le palpebre ma lo scenario non cambiò. <<Clio, va a chiamare i suoi genitori, la mia ragazza si è svegliata.>> Paul si rivolse a lei <<Finalmente, eravamo tutti preoccupati. Come va amore?>> Monique non rispose. Se il suo fidanzato e Clio erano lì significava che era giorno, perché non vedeva nulla? Perché solo il buio? Era salva, ma qualcosa non andava. Poi la realtà le cadde addosso, pesante come un macigno. Era diventata ceca.

• Qual odore nauseante, tipico degli ospedali, lo infastidivano e odiava aver dovuto aspettare per ore che fosse iniziato l’orario per le visite, ma infondo, non le importava. Voleva solo accertarsi che Monique, la sua ragazza, stesse davvero bene, dopotutto era viva per miracolo. La ragazza apri gli occhi e vide un soffitto bianco e finalmente entrambi trassero un sospiro di sollievo, per fortuna era viva e stava bene.

• Un dolce profumo, si percepiva nell’piccolo locale in cui si trovava, sulla sua lingua, un sapore aspro simile a quello della caramella al limone che aveva mangiato la sera precedente, prima di andare a dormire. Monique urlò, e fradicia, si alzo a sedere. No! Non era morta. Era ancora viva e vegeta. Infondo aveva ragione sua madre. Era meglio che la smettesse di guardare film Horror prima di andare a dormire.

• La pioggia cadeva fitta e la bara in mogano scese a fondo nella fossa. Le lacrime velavano i visi delle sue amiche e delle sue ex compagne di classe. La madre nascosta in un angolo, in preda ai singhiozzi, stringeva a se suo figlio. <<Mamma, quando torna a casa mia sorella?>> chiese innocente e curioso il bambino, generando, così, un'altra pioggia di lacrime, sulle guance della donna. <<Non torna …>> mormorò Paul.<<Non torna…Monique, è andata in paradiso.>>

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Concorso fotografico

“Porporato in gita in 5 foto”

È stato indetto il concorso fotografico “Porporato in gita in 5 foto” a-perto a tutti gli studenti

dell’Istituto. In palio per i vincitori ci saranno buoni per l’acquisto di li-bri e stampa in grande formato delle proprie fotografie.

Per partecipare occorre inviare 5 foto, poste in sequenza per raccontare “… una storia significativa della gita” all’indirizzo mail [email protected] entro il 22 maggio 2012.

Il nome del file di ogni foto dovrà essere un codice identificativo com-posto dalle prime 3 lettere del cognome, le prime 3 lettere del nome ed il numero progressivo come nell’esempio : (Foto di ROSSI MARIO) = ROSMAR1, ROSMAR2, ecc.

Per ulteriori informazioni rivolgersi ai proff. Ameglio e Boasso.

Concorso Cortometraggi

Il Liceo Porporato ha 150 anni, ma non li dimostra In occasione delle celebrazioni per il 150° dalla sua fondazione, il Liceo Porporato bandisce un Concorso per Cortometraggi dal titolo “Il Liceo Porporato ha 150 anni ma non li dimostra”: 1. Il concorso è aperto gli allievi iscritti al Liceo Porporato nell’anno scolastico 2011-2012 che vi parteciperanno in gruppi di tre studenti. Ogni gruppo ha la facoltà di presentare un’unica opera filmata. 2. Il tema a cui attenersi è : “Il Liceo Porporato, una finestra aperta sul mondo”. 3. Le opere dovranno essere conformi ai seguenti parametri: a. Cortometraggio di fiction compreso tra 8 e 10’ b. Lingua prevalente: italiano, ma possono essere inseriti anche testimonianze o documenti in lingua straniera 4. Saranno ammessi al concorso solo film completi della “Scheda di presentazione” allegata al presente bando, che dovrà pervenire alla Presidenza del Liceo Porporato entro il 31/05/2012 nella quale dovranno essere indicati chiaramente nome e co-gnome degli autori, classe e Indirizzo frequentati, dati anagrafici, residenza, reperibilità. 5. Le opere dovranno essere presentate su supporto digitale dvd o cd in formato video. I materiali dovranno essere consegnati entro il 30/09/2012, in involucri non deformabili, alla Presidenza del Liceo Porporato, via Brignone, 2, Pinerolo. Sul supporto dovranno essere indicati chiaramente titolo dell’opera e nomi degli autori. Le spese di realizzazione dei materiali saranno a cari-co dei partecipanti. 6. Il Comitato organizzatore declina ogni responsabilità per eventuali danni alle opere durante la proiezione. 7. I materiali non saranno restituiti ed entreranno nel patrimonio della Mediateca del Liceo Porporato che li terrà a disposizione di chi ne abbia interesse. 8. La giuria effettuerà la preselezione delle opere per verificarne preventivamente e a suo insindacabile giudizio la rispondenza al tema e la realizzazione tecnica. 9. Le opere preselezionate saranno proiettate durante le celebrazioni per il 150° del Liceo Porporato che si terranno a Pinerolo dal 10 novembre 2012. Una giuria di esperti, i cui nominativi saranno resi noti in seguito, selezionerà tre cortometraggi che sa-ranno premiati durante la cerimonia di chiusura. 10. La partecipazione al concorso è gratuita. 11. Gli autori sono responsabili dei contenuti delle opere inviate e della diffusione – per mezzo di esse – di musica non originale protetta da diritti d’autore e di musica e/o immagini originali. I partecipanti al concorso autorizzano l’Ente organizzatore (Comitato Porporato 150), ai sensi della legge 675/1996, al tratta-mento dei dati personali e ad utilizzare il loro nominativo e relativo indirizzo per gli usi connessi alla manifestazione. Il titolare dei dati personali inviati sarà l’Ente promotore. La partecipazione al concorso implica l’accettazione integrale del presente bando. (le schede di presentazione sono reperibili online all’indirizzo: http://nuke.liceoporporato.it/Portals/0/Aprile 2012/allegati_concorso_150anni.doc)

Bando

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Strappa una pagina della tua agenda e donala all’Associazione Ali d’Argento (www.alidargento.org/) L’Associazione Ali d’Argento è formata da genitori del Pinerolese che hanno perso i figli in un incidente stradale.

Questa Associazione ha deciso di donare alla città di Pinerolo un monumento sull’incidentalità stradale e la vita.

Parte di quest’opera verrà realizzata riportando in modo amplificato la pagina di uno scritto giovanile, che può essere un post-it, un semplice foglio, un ritaglio, un pezzo di carta qualsiasi… che contenga un qualunque pensiero, quello che si vuole o piace (non inerente al tema)

Questo foglio deve appartenere alla propria quotidianità e dovrà rima-nere anonimo.

Lo scultore ha fatto appello al nostro Liceo per una collaborazione di noi studenti alla realizzazione dell’opera.

Chi vuole collaborare e donare una pagina del proprio diario o qualsiasi altro scritto, anonimo, può depositarlo nella scatola azzurra che si trova in Centro Stampa (1 piano) della sede del Liceo.

Grazie per la collaborazione!

* Il progetto è realizzato con il patrocinio del Comune di Pinerolo

Appello

Bando

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Lo ammetto, sono passati tanti anni, tante verifiche e tante pagine, ma il perfetto (di greco) non l’ho ancora imparato. Eppure, tra tutti i ragazzi da dieci che conosco, dubito che ci sia qualcuno che ha capito il greco come l’ho capito io, che ha amato il latino quanto l’ho amato io. In cambio conosco criceti che capiscono la matematica meglio di me! Tutte le ore passate sui libri, tutti i post-it, tutte le versioni sbagliate mi hanno insegnato cose che chi non ha mai rischiato non capirà mai. Poiché non mi entravano, ho studiato quelle lingue fino a quando si è capovolto il tutto: non ero più io a studiare loro, ma loro a parlare a me. E quando questo è cominciato, mi si è aperto un mondo. Quei libri che avevano attentato alla mia sop-portazione mi hanno rivelato delle bellezze che nessun altro può capire. Mi hanno insegnato il significato di un amico, e senza Cicerone non avrei mai scoperto che tesori mi circondano, mi hanno mostrato la natura, la gioia, che non si può ca-pire la bellezza della luna senza aver parlato con i versi di Leopardi, che non si riescono a concepire l’odio, la passione, se non si respirano le parole di Euripide, che non si ama il mondo se non si vive negli scritti di chi lo ha già capito. Questo mi ha insegnato il Porporato, e gliene sarò in eterno grata. Mi ha insegnato a lottare, e a capire in fondo qual è il traguardo: non era quel dieci (che comunque non fa schifo), era l’universo che si celava in quelle lettere! Mi ha insegnato che, in fondo, il mondo è una versione: incomprensibile e destinata alla tragedia, ma aperta a infiniti si-gnificati diversi, in cui puoi perderti seguendo l’alito delle parole, in cui il risultato può essere visto solo alla fine, e di si-curo non da noi. Il mondo è incomprensibile, è ostico, è solo eccezioni e niente regole, ma non è un ostacolo insormontabile. Come una ver-sione, può essere affrontato se si possiedono le armi giuste. Il foglio protocollo ora è la strada, la penna le mie azioni, il vocabolario tutti i miei sogni, che mi spiegano come sopravvi-vere, ma la cosa più importante è la grammatica, che non mi è mai entrata in testa, e di cui ora capisco il senso. La grammatica tutta è la mia vita, le mie esperienze, le mie regole, le mie paure, le mie incertezze, tutti i caffè nelle mie vene, tutte le mie lacrime, tutte le penne consumate, tutti i fogli accartocciati, tutte le giornate di sole passate sopra i libri, tutti i miei amici, tutti gli sguardi disgustati di chi non si fida di me, tutti i sorrisi di mia madre, tutti gli scappellotti della Turri, tutti gli incoraggiamenti della Ferrero, tutti gli urli della Nevache,tutti i consigli della Giacone, tutte le esperienze della Long, e gli aneddoti di Fumero, gli amorevoli occhioni della Derro, la fiducia della Losano, le istruttive occhiatacce della Toscano, tutti i miei compagni che mi odiano e quelli a cui alla fine mancherò, le mie amiche, che saranno sempre nel mio cuore, i dieci di mia sorella, questi muri gialli, quelli azzurri della succursale, questi cinque anni che il Porporato mi ha regalato. Alla fine ho capito tutto questo, e lo devo solo al Porpi! Ho passato cinque anni e, se Atena me la manda buona, tra tre me-si sarò fuori di qui, e, detto tra noi, le coniugazioni dei verbi ancora non me le ricordo; Expedite, ho vinto io!

Lara 4/5Bginn, 1/2/3B classico

Page 22: onda durto maggio 2012