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D omenica La di Repubblica spettacoli Fenomeno White Stripes ANGELO AQUARO e JIM JARMUSCH i sapori Salmone, il pesce divenuto tartina LICIA GRANELLO e PIERO OTTONE cultura Genova ’60, l’estate della rivolta FILIPPO CECCARELLI e WANDA VALLI l’incontro I demoni di Peter Stein ANNA BANDETTINI l’immagine Gli ex voto tra medicina e fede JENNER MELETTI GIORGIO BOCCA A che punto è il lavoro, la condizione operaia in una fabbrica di automobili? Una trentina di anni fa, quando cominciai a occuparmene come giorna- lista, l’automazione, l’impiego delle macchine in- telligenti stava cambiando il modo di fare l’auto- mobile e tutti, padroni e sindacati, andavano in cerca di questo miracoloso nuovo modo. Ci si rese conto in breve che non esisteva un modo totalmente nuovo di fare l’automobile, sia nelle fabbriche di auto di alta qua- lità come l’Alfa Romeo, sia di auto per il mercato di massa come la Fiat. C’era però un modo per fare lavorare gli operai ed era quello di eliminare i reparti più faticosi e sgradevoli: la verniciatura, la cro- matura, le presse. (segue nelle pagine successive) MICHELE SERRA Alfa cent’anni Il lungo viaggio dell’automobile che ha fatto del Made in Italy una questione di stile DOMENICA 13 GIUGNO 2010/Numero 279 L’ AlfaRomeo compie un secolo: tanto ci separa dal- la nascita dell’automobile moderna. Le sue fab- briche, i suoi operai, i suoi ingegneri, i suoi mo- delli sono stati protagonisti riconosciuti di quel- lo sfibrato — e appassionante — mito novecen- tesco che è la velocità. Un’Alfa rossa che fila sulla strada facendo vibrare le stoppie, come nel memorabile canto di Dalla-Roversi, non può mancare nell’affresco dell’epopea metal- meccanica italiana e mondiale. Altre case hanno avuto maggiore fortuna industriale, poche uguale forza d’immagine: in tutti i sen- si, perfino in senso politico, se è vero che gli operai di Arese furono, nei tumultuosi Settanta, gli operai per antonomasia. Una ventina di loro finì, negli anni, in Parlamento sui banchi della sinistra. (segue nelle pagine successive) FOTO GETTY IMAGES Repubblica Nazionale

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DomenicaLa

di Repubblica

spettacoli

Fenomeno White StripesANGELO AQUARO e JIM JARMUSCH

i sapori

Salmone, il pesce divenuto tartinaLICIA GRANELLO e PIERO OTTONE

cultura

Genova ’60, l’estate della rivoltaFILIPPO CECCARELLI e WANDA VALLI

l’incontro

I demoni di Peter SteinANNA BANDETTINI

l’immagine

Gli ex voto tra medicina e fedeJENNER MELETTI

GIORGIO BOCCA

Achepunto è il lavoro, la condizione operaia in unafabbrica di automobili? Una trentina di anni fa,quando cominciai a occuparmene come giorna-lista, l’automazione, l’impiego delle macchine in-telligenti stava cambiando il modo di fare l’auto-mobile e tutti, padroni e sindacati, andavano in

cerca di questo miracoloso nuovo modo. Ci si rese conto in breve che non esisteva un modo totalmente

nuovo di fare l’automobile, sia nelle fabbriche di auto di alta qua-lità come l’Alfa Romeo, sia di auto per il mercato di massa come laFiat. C’era però un modo per fare lavorare gli operai ed era quellodi eliminare i reparti più faticosi e sgradevoli: la verniciatura, la cro-matura, le presse.

(segue nelle pagine successive)

MICHELE SERRA

Alfacent’anni

Il lungo viaggio dell’automobileche ha fatto del Made in Italy

una questione di stile

DOMENICA 13GIUGNO 2010/Numero 279

L’AlfaRomeo compie un secolo: tanto ci separa dal-la nascita dell’automobile moderna. Le sue fab-briche, i suoi operai, i suoi ingegneri, i suoi mo-delli sono stati protagonisti riconosciuti di quel-lo sfibrato — e appassionante — mito novecen-tesco che è la velocità. Un’Alfa rossa che fila sulla

strada facendo vibrare le stoppie, come nel memorabile canto diDalla-Roversi, non può mancare nell’affresco dell’epopea metal-meccanica italiana e mondiale. Altre case hanno avuto maggiorefortuna industriale, poche uguale forza d’immagine: in tutti i sen-si, perfino in senso politico, se è vero che gli operai di Arese furono,nei tumultuosi Settanta, gli operai per antonomasia. Una ventinadi loro finì, negli anni, in Parlamento sui banchi della sinistra.

(segue nelle pagine successive)

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Repubblica Nazionale

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la copertinaAlfa cent’anni

Un secolo di uomini e motori

Era il 24 giugno 1910 quando al Portello di Milanonasceva l’Anonima Lombarda Fabbrica AutomobiliDai lampi futuristi della Mille Miglia all’ingresso in casa Fiat,oggi del Biscione visconteo resta intatta la leggendaChe racconta di coupé, spider, sprint e pantereChe hanno diviso gli italiani e fatto innamorare il mondo

(segue dalla copertina)

Quando gli operaidell’Alfa arrivavanoin corteo, voleva di-re che la classe ope-raia contava moltodi più del suo sala-

rio. Milanese fino al midollo, lacasa del Biscione visconteo è mi-lanese anche nella sua genesispuria (Milano è stata, nel secoloscorso, un ineguagliabile ricetto-re di talenti e idee “forestieri”).Tutto nasce da un francese, mon-sieur Darracq, che prova a co-struire automobili a Napoli. Gli vamale, perché le prime strade car-rozzabili sono soprattutto nelcentro-nord, e sale a Milano dovetrova subito un drappello di sociinteressati all’impresa. Rilevanola ditta e danno vita, il 24 giugnodel 1910, all’Anonima LombardaFabbrica Automobili, il cui acro-nimo Alfa rimanda a una dichia-rata volontà di primogenitura:tutto comincia da noi, che siamol’Alfa. Pochi anni dopo un altronapoletano, l’ingegner Romeo,

vicino di capannone dell’Alfa alPortello, entra in società e com-pleta il marchio, che è dunque,geneticamente parlando, am-brosiano e partenopeo in partiuguali.

Ma i legami con la Campaniadella più milanese di tutte le fab-briche non finiscono qui. Nel1932 l’Iri, che assume il controllodell’Alfa, apre la fabbrica di Po-migliano d’Arco. Lo scopo — losviluppo industriale del Sud — èlo stesso che dà l’abbrivio, in annia noi molto più vicini, alla sfortu-nata avventura dell’Alfasud. (An-cora peggio andò con l’indimen-ticabile Arna, la vetturetta Alfa-Nissan che merita un posto d’o-nore tra le adorabili racchie del-l’automobilismo italiano, quasisullo stesso piano della Fiat Du-na).

Tornando alle origini: la primavera Alfa fu la 24 Hp, con vocazio-ne corsaiola subito coronata dal-la vittoria, nel 1911, nella gloriosaTarga Florio, la corsa d’auto piùantica del mondo: comincia sul-le Madonie il mito agonistico delBiscione, che proseguirà conAscari, Campari, Brilli-Peri, Bor-

zacchini, fino all’apice dei dueprimi campionati mondiali dellanascente Formula uno, vinti dal-l’Alfa di Farina e Manuel Fangionel 1950 e nel 1951. Ma è negli an-ni Trenta, con “Nivola” Nuvolari,la Mille Miglia, la nascita dellaScuderia Ferrari (il CavallinoRampante è una costola dell’Al-fa), che si consolida l’epica dellemacchine prodotte al Portello.Morte e vittoria segnano il per-corso, i circuiti stradali e gli auto-dromi di tutto il mondo sono ilteatro di una forsennata rincorsaalla potenza meccanica, incan-descenze da tenere a bada, giu-stezze meccaniche da tarare adarte, pistoni e cilindri che si mol-tiplicano per equilibrarne il dina-mismo, motori sempre più raffi-nati e telai che cercano il puntod’equilibrio tra leggerezza e ro-bustezza. Le officine, ancora al-l’oscuro dei miracoli dell’elettro-nica, sono ancora più prossimealle botteghe di fabbro che ai la-boratori ipertecnologici di ades-so, e per studiare l’aerodinami-cità valgono la mano e l’esperien-za del disegnatore, non ancora lagalleria del vento.

La storia industriale dell’Alfanon riuscirà mai a distaccarsi daquesta indelebile impronta spor-tiva, che a tratti le è pesata comeuna sorta di complesso di supe-riorità. Le Alfa degli italiani, dasempre, comprese le piccole ci-lindrate, sono macchine che allu-dono allo sport, a costo di esserevelleitarie.

Non per caso nel pantheon delBiscione rifulgono i coupé e glispider, la Giulietta Sprint, il Duet-to, bassi di cintola e sgommanti,vere icone del grande boom eco-nomico italiano, tanto che per undiffuso equivoco molti sono con-vinti che la decapottabile del Sor-passo sia un’Alfa (non possa cheessere un’Alfa...), mentre è unaLancia.

Nella chiacchiera sui motori,quasi tanto diffusa e tenacequanto quella sul calcio, gli alfistisono certi di rappresentare un’a-ristocrazia di fatto, gli anti-alfistigiocano la carta di una sospettaburinaggine, la stessa, del resto,che grava su tutte le auto sportivedel pianeta, specie se di coloresgargiante, guidate col gomitofuori dal finestrino e dotate di

MICHELE SERRA

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LE SPERIMENTAZIONINel 1971, nuove vittorie

Con l’Alfasud per la prima

volta la casa si misura

con la trazione anteriore

I SUCCESSIL’Alfetta diventa la berlina

degli anni Settanta. Nel 1975

la vittoria del mondiale marche

segna un nuovo successo

6C 2500GP TIPO P2

ALFASUD ALFETTA 164

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13GIUGNO 2010

24 HP

LE PRIME VITTORIENel 1923 la targa Florio,

nel 1924 il Gp di Lione

Nel 1933, intanto,

l’Iri acquista l’Alfa Romeo

Girai la chiave dell’accensione, il motorefece “vroom” e fu amore al primo udito

Devo dire che mi divertii moltissimo a guidare quel Duetto rosso durante

la produzione del film! Rappresentava la quintessenza dell’Italian Style, l’esotismo,

il diverso e il desiderio di fuga

DUSTIN HOFFMAN

Al volante di un’Alfa Spider Duetto ne “Il laureato” (1967)

(Testo raccolto da Silvia Bizio)

LE ORIGINIL’A.L.F.A. nasce a Milano

il 24 giugno 1910. Nel 1918

l’ingresso del napoletano Nicola

Romeo “completa” il marchio

Repubblica Nazionale

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Il gusto per il lavoro ben fattomiracolo dell’aristocrazia operaia

GIORGIO BOCCA

(segue dalla copertina)

Eravamo nei primi anni Ottanta e l’intero apparatoproduttivo — imprenditori, ingegneri, sindacalistiriformisti e sindacalisti rivoluzionari — si misero a

cambiare il modo di fare l’automobile scoprendo però cheesso restava la novità, meravigliosa ma anche tremenda,della rivoluzione industriale, un mutamento a cui nessunopoteva opporsi.

Una trentina di anni fa, quando incominciai a occupar-mi della cosa tremenda e meravigliosa che era una fabbri-ca di automobili, si era appena usciti dal periodo pazzo de-gli autunni caldi, del «canto del cigno» della classe operaia,come diceva Renato Curcio, della sua ultima feroce e ro-mantica ribellione alla sudditanza, agli interessi superioridella finanza e della tecnica. Allora Cesare Romiti, l’ammi-nistratore delegato della Fiat, era l’uomo di punta dei con-servatori, del ritorno all’ordine e all’inevitabilità dello svi-luppo. «Il processo in corso — mi disse — è di quelli obbli-gati e irreversibili, come la fine della navigazione a vela e ilpassaggio a quella a vapore. Prima o poi il sindacato ope-raio doveva accettare la realtà del mercato mondiale. Io nondico che il carnevale e l’anarchia degli anni Settanta sianostati decisivi per il ritorno alla ragione, dico che siamo staticostretti ad anticipare l’automazione al punto che oggi sia-mo fra le fabbriche più avanzate del mondo. La rivoluzionetecnologica creerà dei problemi enormi, i prossimi anni sa-ranno durissimi, ma cosa si poteva fare altrimenti, come erapossibile sopravvivere all’anarchia, alle mense alternative,al commercio ambulante nei reparti, ai bordelli fra quattrocassoni con le prostitute assunte come operai e quelli dellaChen Po Ta che bastonavano i capi officina e organizzava-no gli happening, le merende sui prati di Mirafiori e simpa-tizzavo con il terrorismo, con i “compagni che sbagliano”ma che compagni restano?». Non furono solo le avanguar-die sindacali a coltivare i sogni e le utopie del Sessantotto,ci fu in tutto il mondo una rivoluzione sociale che si so-vrappose a quella produttiva. Ma aveva ragione Romitiquando diceva che la svolta, il ritorno alle necessità dellaproduzione, non fu solo la marcia dei quarantamila quadriFiat o la paura di perdere il posto di lavoro. Diceva bene Ro-miti: «Oggi chi lavora nella Fiat è per la sfida tecnologica, perla produttività, per il cambiamento “sulle nostre gambe”».

O forse più semplicemente c’è stata in quegli anni alla Fiate all’Alfa il ritorno a una cultura operaia razionale, consciache senza produzione non c’è ricchezza da distribuire, e an-che il ritorno all’attaccamento al lavoro ben fatto e il rifiutodelle utopie autolesioniste come il diritto al salario distac-cato dal lavoro.

Diverso il discorso sulla vendita o svendita dell’Alfa Ro-meo alla Fiat. Negli anni Settanta l’Alfa Romeo era un’a-zienda sana, la vendita delle sue auto era in crescita, lo sta-bilimento di Arese cominciava ad essere stretto. Ampliar-lo? No, i danni dell’immigrazione caotica dal Meridioneerano pesanti, meglio fare uno stabilimento al Sud. Vennescelta l’area di Pomigliano d’Arco, già fornita di servizi, e intre anni furono pronti gli stabilimenti e il nuovo modello,l’Alfasud. Un miracolo di progettazione industriale, la crea-zione di un personale addestrato nei centri di riqualifica-zione di Napoli e di Caserta. A questo punto interviene ilmodo di far politica clientelare del tempo a creare una dif-ficoltà dopo l’altra. Prima gli uffici di collocamento esigonol’assunzione di pregiudicati, malati, gente che abita a cen-to chilometri dalla fabbrica. Poi il potente onorevole Gul-lotti intima che «se non si fa uno stabilimento ad Avellinol’operazione Alfasud è sospesa». Nei ricordi di GiuseppeLuraghi, l’allora amministratore dell’Alfa Romeo, quelli fu-rono giorni da incubo. Si era nel pieno di una crisi petroli-fera, dunque dell’auto, e l’onorevole Gullotti pretendevaper il suo collegio elettorale una nuova fabbrica di auto co-me si trattasse di un’edicola di giornali. «Corro a Roma —dirà Luraghi — per chiedere all’Iri e a Petrilli di impedirequella follia e mi dicono: “Vedi Luraghi, tu sei un bravissi-mo tecnico, ma nel mondo della politica non sai muoverti.Dì di sì, dì che lo farai lo stabilimento ad Avellino e poi ri-manderemo le operazioni all’infinito”». Luraghi se ne tor-na a Milano avvilito, ma le amarezze non erano finite. Di lìa poco il presidente dell’Iri, Petrilli, gli propone: «Ad Aresesono entrate in produzione le Alfette. Perché il montaggionon lo fai fare ad Avellino?». Luraghi gli risponde: «Perchédovrei licenziare cinquemila operai ad Arese e triplicare icosti. Perché mi chiedi di affossare l’Alfa». Il resto della sto-ria è noto: l’Alfa è stata svenduta alla Fiat, il progetto di unavendita alla Ford è saltato, Luraghi e Di Nola, il suo succes-sore, sono morti.

clacson bitonale. Superiore all’invidia sociale,

l’alfista preferisce dilungarsi, dasempre, sul primato tecnologicodel Biscione, tanto che per annianche i digiuni di tecnica dovet-tero sorbirsi lunghe digressionisul mitico ponte De Dion, unmarchingegno che consente unapiù armoniosa distribuzione del-la potenza sulle due ruote traen-ti, ovviamente le posteriori: per-ché le Alfa Romeo, come tutte lesportive vere, sono a trazione po-steriore, o almeno lo sono statequasi a oltranza fino a che i van-taggi dell’anteriore non lo hannoimposto anche in catena di mon-taggio.

Obbligata dai tempi a fare iconti con l’automobile di massa,l’ambiziosa Alfa ha retto il con-fronto per molti anni, si è data dafare per inscatolare nella produ-zione di serie il significato sporti-vo del marchio, producendo ber-line muscolose come la miticaGiulia, prima “pantera” della po-lizia di Stato, la 1750, l’Alfetta, la164. Auto “per famiglia” che peròtendevano a soddisfare le vanitàprestazionali del driver, grintose

e dalla marmitta sonora. Negli anni faticosi della gestio-

ne statale, poi in quelli del fataleingresso nel grande monopolioFiat, l’Alfa ha disperatamentecercato di rimanere se stessa, cioèun marchio d’avanguardia co-stretto ai compromessi (e nell’ul-tima fase alle ristrettezze) di unsettore produttivo sempre più“normalizzato” dalla massifica-zione del trasporto privato. Certonon è stato facile, non sarà facile,per l’Alfa, rimanere Alfa. Dai lam-pi futuristi della Mille Miglia allachiusura prima del Portello, poidi Arese, il peso dei cento anni divita si fa sentire. Ma la leggenda,ben al di là degli aspetti produtti-vi, delle cifre, dei piani aziendali, èancora intatta: cercate su internet(per strada vederne una è più rarodi un’apparizione mariana) laformidabile Alfa Romeo 8C, unmostro di bellezza prodotto inpochi esemplari, motore Masera-ti V8, 450 cavalli per quasi cinque-mila di cilindrata. E’ una meravi-glia, costa una fortuna, non servea niente, è solo una delle miglioriautomobili mai prodotte.

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 13GIUGNO 2010

IL BOOM ECONOMICOLa Giulietta, simbolodel boom, diventala capostipite di una nuovaserie di auto di successo

LA CRISINegli anni Ottanta la crisi:la casa è messa in venditanell’86. La Ford viene esclusadall’offerta, vince la Fiat

LA NUOVA FASELa 147 viene eletta autodell’anno 2001 e diventail simbolo Alfa del nuovomillennio

IL RITORNOIn queste settimaneè stata lanciata sul mercatola nuova GiuliettaTestimonial Uma Thurman

IL LIBRO

Si intitola Cuore sportivoil volume fotograficodi Lorenzo Ardizio che Mondadori manda in libreria per il centenariodell’Alfa Romeo (320 pagine, 350illustrazioni, 65 euro)

DUETTO

147 GIULIETTA

GIULIETTA

IL CAMPIONEIn questi anni, le vittoriedi Tazio Nuvolari portanoil nome dell’Alfa Romeonel mondo

IL SOGNO ITALIANOGli anni Sessanta segnanol’affermazione sul mercatointernazionale. Il Duettoprotagonista nel film Il laureato

Repubblica Nazionale

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ASTI

Il dottor Mario Alfani, cardiologo e presidentedell’Ordine dei medici, prende in mano unatavoletta. «Questo ex voto del 1898, sigla Br16657, è quello che più mi colpisce. Il malato

a letto guarda alla sua sinistra, verso l’alto. Lì c’è unaMadonna circondata da angioletti. Prega e invocaun miracolo. A destra del letto c’è invece il medico,in abito nero — i medici allora erano sempre vestitidi scuro — che non guarda il malato ma appoggia lemani su un tavolino e abbassa la testa, sconsolato.Non sa più che fare. Tutti noi medici abbiamo vissu-to momenti come questo, quando senti dentro l’an-goscia perché hai capito che per il paziente non puoipiù fare nulla. Per fortuna questo è un ex voto: se latavoletta è stata portata in un santuario, vuol dire cheil malato è guarito».

In terra astigiana è nata una strana alleanza: me-dici e sacerdoti (che per centinaia d’anni sono anda-

ti d’accordo come ghibellini e guelfi) si sono messiassieme per studiare gli ex voto portati nei santuarinegli ultimi sette secoli. «Siamo stati spinti dalla cu-riosità. Come ci hanno visto, e giudicato, i nostri pa-zienti? Le tavole sono una microstoria che parte dalMedioevo e dentro ci siamo anche noi. Per questoabbiamo chiesto al progetto culturale della diocesidi collaborare a questo studio. Le tavole sono stateraccolte e osservate una a una. Presto apriremo unamostra ma già ci siamo riuniti a convegno: come me-dici, storici e teologi abbiamo guardato il nostro pas-sato come in uno specchio».

Settecento tavole, quasi tutte su legno. Camicibianche e tonache nere sono partiti da qui per stu-diare il rapporto fra «fede e salute» e riflettere sulla«religiosità popolare nella cura della malattia e nellaprofessione medica». «Nelle tavole — dice il dottorAlfani — c’è il racconto della medicina che piano pia-no riesce a dare risposte sempre più precise. All’ini-

Croce, docente di teologia — c’è un certo rispetto peri medici ma non manca una vena di pessimismo. NelSiracide, II secolo avanti Cristo, si parla bene di que-sta professione ma si ricorda che la guarigione è sem-pre dono del Signore. E si aggiunge: “Chi pecca con-tro il proprio creatore cada nelle mani del medico”.Ancor più pesante, nel Vangelo, la notazione di Mar-co sulla donna colpita da perdite di sangue da ormaidodici anni: “Aveva molto sofferto per opera di mol-ti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcunvantaggio, anzi peggiorando”».

«Le icone sono davvero anche la storia della ma-lattia e della medicina», dice il presidente dei medi-ci. «Nei primi secoli, quasi tutti i malati sono nei loroletti, a casa loro. Andare all’ospedale, per chi era ab-biente, era un affronto. Voleva dire che si era messimolto male e anche che non c’erano più i mezzi peressere curati a casa propria. Ci sono anche le stanzedelle case dei poveri, con letti stretti e nessun mobi-le. Poi appaiono le prime “camerate” da ospedale, ealcune sono quelle del nostro nosocomio astigiano,che trovò posto in un ex convento. Quando i letti af-

fiancati sono tre o quattro, e tutti i degenti appaiononelle stesse condizioni, significa che la grazia chiestaera quella di guarire da un’epidemia, come colera,peste o vaiolo. Si nota, in queste tavole, anche la cro-nologia dei rimedi trovati dalla scienza medica: sipassa dall’impiastro allo sciroppo, dalla pillola all’i-niezione, e in un ultimo “Deo Gratias” di pochi de-cenni fa, appare anche la flebo. I medici un tempo ve-stiti di nero, nel secolo scorso cominciano ad usare ilcamice bianco e accanto a loro appaiono prima lesuore e poi le infermiere».

Le icone raccontano anche l’infortunistica, so-prattutto quella del lavoro. «Ci sono il barocciaio tra-volto dal cavallo, il contadino incornato dal toro, ilmuratore che cade dall’impalcatura. Ci sono gli in-cidenti strani: questo bambino, ad esempio, è statobeccato a un occhio da un pavone. Questa bambinaè stata scottata dall’acqua bollente. Buoi e cavalli la-sciano il posto alle macchine a vapore, poi alle auto-

Fin dal Medioevo le tavolette donate dai malati “per grazia ricevuta” raccontanosecoli di sofferenze e di speranze. Affidate a camici bianchi e tonache nereChe oggi studiando questi documenti riflettono sul rapporto tra scienza e fede

l’immagineGuarigioni

JENNER MELETTI zio non era così. Questo paziente con la testa rotta,ad esempio, è solo fasciato. Invoca i santi, non ha al-tra speranza, anche perché nella stanza non c’ènemmeno il medico. Ma in tante tavole anche noisiamo presenti perché chi sta male invoca un dop-pio aiuto, il nostro e quello del cielo. Ma quasi tuttele immagini sembrano spaccate in due. Il pazienteguarda verso l’alto, dove fra nuvolette e angeli ap-

paiono i protettori, e anche i parenti, quasi sempreinginocchiati, guardano nella stessa direzione. Ilmedico è invece accanto al letto e volta le spalle al-l’immagine sacra. Nessuno lo guarda, nemmeno ilpaziente. Ma resta comunque lì, a portare il suo aiu-to terreno».

Non è mai stato facile il rapporto fra medicina e re-ligione. «Nella sacra scrittura — dice don Vittorio

Il prevosto e il dottore

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13GIUGNO 2010

Le icone sono anchela storia della malattiae della medicina

L’infermo prega e invocail miracolo, il medicoabbassa la testa sconsolato

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 13GIUGNO 2010

vano nelle chiese oggetti di cera simbolici, un con-tro-dono alla grazia ricevuta. «Gli ex voto — dice ildocente — sono un documento culturale, un mes-saggio codificato per testimoniare credenze, paure,speranze. Se ne ricavano informazioni interessanti.Per esempio nella diocesi di Brescia — e secondo iprimi esami anche qui ad Asti — si è scoperto che gliex voto per malattia coprono la metà del materiale fi-

no al principio del secolo Ventesimo, poi decresco-no forse per i progressi della medicina, mentre au-mentano quelli per incidenti sul lavoro, collegati conlo sviluppo dell’industria e della meccanizzazionedelle campagne».

Nei santuari gli ex voto recenti sono ormai mo-sche bianche. «Questo succede — dice don Alessan-dro Quaglia, architetto che cura i beni culturali della

curia vescovile — perché la pietà si è affievolita nelnostro popolo. Un tempo c’era il Padreterno a pen-sare a tutto, ora ci sono i medici». Il presidente del-l’ordine dei camici bianchi non è d’accordo. «Gli exvoto sono soltanto cambiati. Un tempo si andavadall’artista del paese per fare dipingere una tavolet-ta di ringraziamento per il santuario, adesso si fannodonazioni alla Lega antitumori o ad altri enti di ri-cerca». Erano specialisti anche i santi, in questa ter-ra. «Il santo al quale qui da noi sono titolate più chie-se — ricorda il teologo don Vittorio Croce — è SanRocco, invocato contro la peste di uomini e di ani-mali. Segue San Sebastiano, ucciso a colpi di freccia,protettore contro tutte le malattie del corpo e dellospirito. Sant’Antonio abate o del porcello viene in-vocato a protezione delle stalle ma anche dei cri-stiani, contro il fuoco detto appunto di Sant’Anto-nio. Sempre San Sebastiano e San Grato difendonodalla grandine, Santa Lucia protegge gli occhi, SanDefendente contro tutti i mali, Sant’Apollonia con-tro il mal di denti, San Biagio contro il mal di gola,Santa Libera è invocata per la fecondità e la prote-

zione dei neonati... Nel Vangelo Gesù guarisce mol-te malattie: lebbra, sordità, mutolezza, cecità,zoppìa (da poliomelite?), paralisi, idropisia, emor-ragia, febbre, pazzia. Di lui la gente dice: “Ha fattotutto bene: ha fatto udire i sordi e parlare i muti”. Ge-sù “guarisce”. Stranamente, non conforta i malaticon quelle che noi chiamiamo “consolazioni di fe-de”, elevando la loro mente nella speranza del pre-mio eterno, invitando a considerare il significatopositivo della sofferenza come stimolo al penti-mento dei peccati. Noi, per lunga tradizione asceti-ca, per secoli abbiamo poi considerato la malattia ela sofferenza come una grazia in se stessa. Io credoche il Concilio Vaticano II abbia trovato la giusta sin-tesi: “L’uomo gravemente infermo ha bisogno, nel-lo stato di ansia e di pena in cui si trova, di una graziaspeciale di Dio per non lasciarsi abbattere, con il pe-ricolo che la tentazione faccia vacillare la sua fede”».

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mobili e ai trattori. Guardando le date, si scoprequando nelle nostre campagne è apparsa la primatrebbiatrice. Ma ci sono quadri in cui non sono rac-contati nessuna malattia evidente e nessun inci-dente: questa tavoletta numero 6661 mostra unapersona semplicemente seduta su una seggiola ac-canto al letto, testa bassa, volto triste. Credo che que-sta sia la prima rappresentazione di un problema og-gi tanto diffuso: la depressione».

La rassegna degli ex voto alla fine consola il dottorAlfani. «In fondo si capisce che chi invoca la guari-gione si affida alla Madonna e ai santi ma anche anoi. Il medico è sempre stato indispensabile. Cam-biano le terapie ma il rapporto medico-paziente èsempre fondamentale. Io penso che la fede possaaiutare e integrare il nostro lavoro. Non credo a uneffetto placebo della fede ma in certi casi — quandoil malessere non è solo fisico ma psicologico o psi-chico — il rapporto con il medico e la fiducia che siripone in lui diventano fondamentali. E per recupe-rare tranquillità ed equilibrio anche la preghiera aun santo può dare un aiuto. Una preghiera non ri-

para una frattura e non elimina una cirrosi, ma sap-piamo che la personalità umana è complessa e noicamici bianchi non abbiamo nessun monopolio».

«In molte tavolette — racconta Renato Bordone,ordinario di Storia medioevale all’Università di To-rino — la figura del medico compare fra i protago-nisti della scena, occupando una parte dello “spa-zio terreno” insieme al malato e ai suoi familiari. Lo“spazio celeste” è riservato invece al protettore (Ma-donna o santo), per lo più avvolto da un nimbo sa-cro o da nuvole. Sebbene in qualche caso medico efamiliari compaiano schiena contro schiena — l’u-no pensoso, rivolto al malato, gli altri rivolti al santo,quasi ignorando il medico — è chiaro che la presen-za del medico nel quadro rientra anch’essa nell’ot-tenimento della grazia: in un certo senso è ricono-sciuta la sua collaborazione al “miracolo”».

Gli ex voto hanno iniziato ad apparire nella se-conda metà del secolo Tredicesimo. Prima si porta-

alla sfida degli ex voto

LA PESTEPer scongiurarela peste tra gli uominie tra gli animaliviene invocatoSan Rocco

CORPO E SPIRITOSan Sebastiano,ucciso a colpidi freccia, proteggecontro tutte le malattiedi corpo e spirito

IL FUOCOSant’Antonio abatesi invoca a protezionedelle stalle, e controil fuoco detto appuntodi Sant’Antonio

I DENTIÈ Santa Apollonia,la martire romanacolpita alle mascelle,che dà sollievoal mal di denti

TUTTI I MALISan Defendenteprotegge da tuttii mali, Santa Luciaguarisce gli occhie San Biagio la gola

LA FECONDITÀA Santa Liberasi chiede la fecondità,ma anchela protezionedei neonati

Lebbra, sordità, febbri,mal di denti. E un’infinitavarietà di incidenti sul lavoro

“Chi invoca la salvezzasi affida alla Madonnae ai Santi, ma anche a noi”

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Repubblica Nazionale

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lano il sole. «Scimmia di luce e di follia» la definirà molti anni do-po Paolo Conte, poeta della canzone. La città vive una calma ap-parente. Ma ci sono già stati cortei e scontri con la polizia: il 25 è ilgiorno della prima manifestazione, il 28 giugno Sandro Pertini,con il discorso del bricchettu(del fiammifero) dà il via all’incendiofinale. Tutto è incominciato quasi un mese prima, il 2 giugno, fe-sta della Repubblica. Gli ex partigiani si incontrano a Pannesi, sul-le alture sopra Genova, lo stesso posto da dove sono partiti per an-dare a combattere in montagna. Giorgio Gimelli, ex partigiano,nel 1960 è presidente provinciale dell’Anpi. È lui a parlare con Um-berto Terracini, amico di Gramsci, compagno di prigionia di Per-tini a Ponza, poi deputato eletto in Liguria per il Pci. Terracini è sta-to il presidente dell’Assemblea costituente, è sua la firma, nel di-cembre del 1947, sotto il testo della Costituzione. Quel giorno, aPannesi, Terracini di fronte a tremila persone lancia la mobilita-

zione. Il resto dell’Italia ignora quanto sta per accadere, il governominaccia di mandare l’esercito e spera che tutto finisca così. Il tamtam, invece, avvolge la città. A tenere i contatti tra Roma e Geno-va, sono la Cgil attraverso la Camera del lavoro, e soprattutto l’An-pi, l’associazione dei partigiani.

I protagonisti saranno i giovani, i ragazzi con le “magliette a stri-sce”, operai, portuali, moltissimi studenti dell’università. ParideBatini, leader dei portuali scomparso un anno fa, nel giugno del1960 ha venticinque anni, è uno di quelli con la maglietta a strisce:«Le portavamo tutti, perché costavano poco» spiegò l’unica voltain cui ruppe il silenzio su quei giorni. Raccontò, Batini, che il 30 giu-gno ’60 fu la rivolta dei giovani: «Il miracolo economico lo stavanocostruendo sulla nostra pelle, noi volevamo giocarci il futuro». Inprefettura tentano una mediazione. Fulvio Cerofolini, ex sindacosocialista di Genova, poi deputato, ora è presidente provincialedell’Anpi: «Il prefetto propose di spostare il congresso del Msi aNervi e a noi di manifestare al Righi, sulle alture, una specie di an-ticipazione della teoria degli opposti estremismi». Che non passa.

Per il 30 giugno la Camera del lavoro prevede uno sciopero disole due ore, ma due giorni prima, il 28, sono la passione e la fogaoratoria di Sandro Pertini di fronte a ventimila persone a scaldaregli animi. Il futuro presidente della Repubblica ricorda gli idealiche hanno unito l’Italia: «Libertà, giustizia sociale, amor di patria.Noi siamo decisi a difendere la Resistenza. Lo consideriamo unnostro preciso dovere: per la pace dei morti e per l’avvenire dei vi-vi, lo compiremo fino in fondo. Costi quel che costi». Così andrà.

Il 30, quei pochi delegati del Msi che si presentano negli alber-ghi vengono respinti, i tassisti li lasciano nei posti più impensati,sui tavoli dei ristoranti ci sono volantini antifascisti. Il corteo par-te un po’ in anticipo. Raccoglie, via via che attraversa la città, unafolla di centomila persone. In piazza della Vittoria arriva l’ordinedi scioglimento. Molti ritornano in piazza De Ferrari, ma c’è an-che chi non si muove da lì. Il nucleo di polizia della Celere di Pa-dova è schierato con le jeep e prova a mandar via la gente, a parti-re da chi si è arrampicato sulla fontana al centro della piazza. Unodi questi è Giordano Bruschi, allora aveva trentacinque anni, erasegretario dei marittimi della Cgil: «Dopo il primo carosello, io conmolti altri, finisco nell’acqua, mentre le camionette vengono po-steggiate sotto i portici», là dove oggi c’è la macchia. Le cariche sisusseguono, si fugge lungo i vicoli, e lì la polizia si ritrova impo-tente. Bruschi: «La gente tirava vasi, acqua calda e olio dalle fine-stre», i poliziotti risalgono in piazza De Ferrari, proprio mentre al-meno in cinquemila, soprattutto portuali e operai, vanno all’as-

a macchia è ancora lì, rossastra, a due passi dal palazzo del-la Regione, in piazza De Ferrari, cuore di Genova. Hannoprovato a ripulirla nel tempo, più e più volte, ma senza riu-scirci. Quasi che la storia volesse lasciare un suo segno. Lamacchia è quel che rimane di una camionetta della Celeredi Padova rovesciata e incendiata dai manifestanti, il 30 giu-

gno del 1960. Il giorno in cui Genova brucia, si ribella, si rivolta con-tro il Msi, fresco alleato del governo Tambroni, che vuole tenerenella città medaglia d’oro della Resistenza il suo congresso il 2 lu-glio. E vuole che a presiederlo sia Carlo Emanuele Basile, l’uomodelle torture alla Casa dello studente, l’uomo che nel 1944 fece de-portare milleseicento operai delle fabbriche e del porto.

Genova non ha dimenticato. È una calda giornata d’estate, il 30giugno 1960, c’è maccaia, quel tempo umido con le nubi che ve-

WANDA VALLI

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13GIUGNO 2010

L

Cinquant’anni fa la città si ribella al congressodel Msi. Ex partigiani, camalli, studentisi infiammano alle parole di Pertini:

“Difendere la Resistenza, costi quel che costi”. Il 30 giugnola Celere di Tambroni viene travolta dai “ragazzi con le magliettea strisce”. È in quelle giornate che si disegnerà il futuro dell’ItaliaTra aperture alla sinistra e tentazioni autoritarie

CULTURA*

Genova’60

La lunga estatedella rivolta

LA MOSTRA

Per i cinquant’anni dai “moti di Genova”una mostra fotografica dal 16 giugnocurata dalla Camera del lavoro di GenovaNella sala incontri della Regione Liguria sarà esposto anche materiale d’archiviodell’Istituto Ligure di Storia della Resistenzae dell’Età contemporanea, dell’Archiviocentrale dello Stato, della bibliotecauniversitaria di Genova e della biblioteca“Luciano Lama” di Roma

Repubblica Nazionale

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Leoni in piazzavolpi a Palazzo

FILIPPO CECCARELLI

Fu questodei moti di Genova e del luglio ’60, «a mio pa-rere — come scrisse Aldo Moro nel suo memoriale dalcarcere delle Br — il fatto più grave e minaccioso per le

istituzioni intervenuto a quell’epoca». Tale il clima, dopo itre morti di Melissa, Palermo, Catania e i cinque di ReggioEmilia; tanto angosciosi i boatos dopo la tregua proposta asorpresa dal presidente del Senato Merzagora e il simulta-neo sventolio di dossier tra potenti democristiani, specie daparte dello stesso presidente del Consiglio Tambroni, cheper qualche giorno l’allora segretario della Dc preferì dor-mire fuori casa. Giulio Andreotti, del resto, che rispetto aMoro aveva meno ragioni di temere, più che l’aria di golpesi è poi divertito a descrivere la scena «da film americano»dei ministri della sinistra Dc che acrobaticamente cercava-no di consegnare le loro lettere di dimissioni nelle mani diTambroni, il quale a sua volta ingaggiò i più ingegnosi eser-cizi fisici per non accoglierle. Perché come spesso accade inItalia c’era il dramma, la rabbia e la paura, ma anche da ri-dere: così una sera, durante una riunione a piazza del Gesù,quando dalla strada risuonò un improvviso rumore di ca-valli al galoppo, un anonimo notabile diede voce al comunesentimento: «Non saranno mica venuti ad arrestarci?».

E insomma: insorta Genova, emanganellati dalla Celere parecchideputati comunisti a Porta San Pao-lo, lo scudo crociato non smetteva ditraccheggiare di fronte alla scelta delcentrosinistra, Tambroni lasciavamaliziosamente capire di sapere tut-to di tutti («Li conosco uno per uno eal momento giusto li metto a posto»)e il presidente della RepubblicaGronchi, terrorizzato dal primigeniocomplotto comunista, con tale grot-tesca insistenza pretese un aumentodella vigilanza da indicare i requisitidegli agenti di Ps da disporre a tuteladella sua persona: «Di alta statura,complessione atletica e rotti — reci-tava la formula — a tutti gli sport».

Di queste strambe e turbinose ma-novre, di questo carosello che arrivò alambire anche la Santa Sede e la Cei,che non mancarono di mettere incampo dispute pure di ordine dottri-nale, fece alla fine tesoro l’altro caval-lo di razza della Dc: Amintore Fanfa-ni, il grande sconfitto di due anni pri-ma, in tale frangente chiamato a unadelle sue consuete, repentine e impe-tuose resurrezioni.

In realtà già prima della fatidicaestate genovese, «il Rieccolo», comedi lì a poco l’avrebbe designato IndroMontanelli, aveva cominciato in gransegreto a tessere la sua trama per apri-re le porte al Psi con l’ovvia collabora-zione di La Malfa e Saragat. Il dato ri-marchevole, e se si vuole pure signifi-cativo degli usi e costumi della PrimaRepubblica è che l’imminente gover-no Fanfani — poi detto «delle conver-genze democratiche» o secondo lapiù metafisica lectio morotea «delle convergenze parallele»— venne comunque prefigurato in un pranzo tenutosi inuna remota trattoria dell’Acqua Acetosa, “Da Giggetto il Pe-scatore”; dove quella piovosa domenica, insieme agli illustricospiratori erano capitati almeno un paio di giornalisti, ol-tre all’incolpevole figliola del presidente Tambroni, che poiera la vittima designata di quella conviviale congiura.

Seguirne con gli occhi di oggi le logiche politiche e le tat-ticissime sottigliezze tattiche è praticamente impossibile,se non vano. Con ragionevole semplificazione, a mezzo se-colo di distanza, è abbastanza evidente che a partire dallasollevazione antifascista di Genova si giocò in Italia una par-tita di leoni e di volpi, un passaggio che combinava ruggiti dipiazza e tagliole di palazzo. Di quel luglio anche sanguino-so scrissero a caldo Carlo Levi e Pier Paolo Pasolini, AntonioDelfini vi dedicò una poesia (Genova è in rivolta, Torino

ascolta), mentre il giovane Fausto Amodei compose unacanzone destinata a diventare celebre, Morti di Reggio Emi-

lia. Ma nel cuore del potere e nel suo immaginario quellamezza insurrezione, proprio in quanto favorì l’affermarsidel centrosinistra, rimase inscritta anche come un poten-ziale pericolo: di qui probabilmente la redazione del con-troverso Piano Solo da parte dell’Arma dei carabinieri.

Dotatosi di un suo quasi personale servizio segreto, ma asua volta spiato dal Sifar che riferiva a Moro, Tambroni nonaveva né le intenzioni né la stoffa per portare alle estremeconseguenze l’avventura autoritaria. Allo stesso modo l’al-lora leader del Msi, Arturo Michelini, mancava di statura perinserirsi in quel gioco rischioso. La stessa storiografia di de-stra (a cominciare dal saggio di Adalberto Baldoni, Due vol-

te Genova, Vallecchi, 2004) appare piuttosto tiepida, se nondubbiosa, rispetto all’ipotesi che se la sommossa di Genovanon avesse impedito quel congresso, il Msi avrebbe antici-pato il processo di costituzionalizzazione del neofascismocompiuto da Gianfranco Fini con An tra il 1993 e il 1995.

Vero è che la storia non si fa con i se. Fra gli angosciosi pre-sentimenti di Moro, gli arguti ricordi andreottiani e la rapi-nosa abilità di Fanfani ce n’è abbastanza perché Genova re-sti nella memoria collettiva, con la sua energia anche glo-riosa, ma anche, come succede, con le sue ambiguità.

GLI SCONTRISopra,il quartieredi Portoriabloccatodai cavalli di frisiaNella foto grande,gli scontriin piazzaDe Ferrari

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salto delle jeep. Vengono sollevate di peso dai camalli, gli scarica-tori del porto, e rovesciate. Il comandante della Celere finisce nel-la fontana, lo salvano i portuali e i partigiani, lo portano in un bar,a prendere un caffè.

Quando lo scontro sembra diventare sanguinoso, Giorgio Gi-melli va in Questura a parlare con il commissario Costa. Insieme,il partigiano e il commissario, corrono in via XX Settembre dove lagente ha eretto barricate. Lì c’è anche Raimondo Ricci. Avvocato,oggi presidente nazionale Anpi, ricorda: «Le prime cariche, la gen-te che lanciava tavolini e seggiole. C’erano i lacrimogeni, ci copri-vamo con i fazzoletti». Alla fine si riesce a convincere tutti ad an-dare a casa. In prefettura si tratta. Il centro della città resta presi-diato. All’una di notte, il segretario della Cgil, Pigna, annuncia: «Ilcongresso del Msi è stato annullato». Genova ha vinto ancora.

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I COMIZISopra, il discorsodi Ferruccio Parria Genova dopo gli scontriSotto: Sandro Pertini parlaalla folla il 28 giugno 1960in piazza Vittoria;due immagini degli scontrinelle strade di Genova

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 13GIUGNO 2010

Repubblica Nazionale

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36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13GIUGNO 2010

NEW YORK

L’uomo che in Italia viene ricordato per il “Po popo po po po” degli stadi l’altra sera era in pri-ma fila alla Casa Bianca mentre BarackObama accoglieva Paul McCartney che

cantava per la sua Michelle — ovviamente «Ma belle». Stra-no destino per una rockstar: diventare famoso per unacanzone, Seven Nation Army, storpiata in un tormento-ne che fu cantato perfino da Totti, e per di più nel teatropiù antirock del mondo, Sanremo. Ma Jack White — ilrocker celebrato in un film insieme a U2 e Led Zeppelin (ItMight Get Loud) e adesso vincitore perfino di un bigliettod’invito alla Casa Bianca — con le stranezze ci va a nozze: dovelo trovate un tizio così innamorato della sua barista da sposarla erubarle il cognome?

I White Stripes nascono così, in quella Detroit fine anni Novanta incui il padrone si chiamava Eminem e il rock era stato sfrattato dal rap.Jack Gillis conosce Meg White. Le ruba il nome e le chiede di sposarla eunirsi a lei in una band che in realtà è soltanto un duo. E quella per amo-re impara pure a suonare la batteria. Non basta. Per farsi pubblicitàJack e Meg si spacciano per fratello e sorella. La pantomima fun-ziona così tanto che sotto sotto il dubbio resta ancora. E funzionaanche la scena tutta rigorosamente rossa e bianca, da bandieraamericana, in cui i White Stripes incartano tutti gli show e le co-pertine dei loro dischi. Strano anche questo, no? Non è finita. Nelpieno del successo Jack mette in stand by il duo e sperpera il suogenio in rivoli di progetti alternativi. Oggi canta e suona in alme-no altre due band, The Raconteurs e Dead Weather, che fra l’altrohanno un bel disco in uscita in questi giorni, Sea of Coward, e quandonon è in giro per il mondo si rintana nella casa di Nashville per dedicarsial suo nuovo lavoro: produttore discografico.

A proposito: non è anche strano che viva a Nashville? La storia del rock è fat-ta di movimenti dalla periferia al centro. Jack ha scelto la strada opposta: e da quel-la Detroit che comunque resta una piccola capitale (anche se decaduta per la crisi del-l’auto) se n’è andato a vivere nella provincia del Tennessee. Per giunta nel regno del-la musica che sembrerebbe agli antipodi del suo rumore: il country.

Naturalmente il gioco del “contiamolo strano” potrebbe andare avanti a volontà.Per esempio Jack White, che pure è nato nel ’75, odia Internet. Al settimanale ingleseNmeha detto: «Il nemico della musica? Internet. Internet e la tua mamma». Del restoè old fashion in tutto: è stato il primo a rilanciare il vecchio vinile, e utilizza solo stru-menti d’epoca. Una passione per il vintage che divide con una delle donne più belledel mondo: sua moglie. Perché dopo aver mollato la povera Meg agli inizi di carriera— nel live Under Great White Northern Lights si sente lei che piange e nel dvd si vedelui che si alza dal pianoforte e l’abbraccia — oggi Jack ha impalmato la modella KarenElson. Che per vivere con lui ha lasciato le passerelle di New York e ha aperto un ne-gozio di abiti vintage in Tennessee — salvo poi, quest’anno, naturalmente con lo zam-pino di Jack, dedicarsi anche lei alla musica e sfornare un album ipnoticamente re-trò, The Ghost Who Walks, presentato davanti a mezzo stato maggiore di Vogue.

Anche il libro che celebra la tournée storica del decennale, che come il cd live sichiama Under Great White Northern Lights, e il dvd che da poco uscito in Italia, UnderNova Scotian Lights, oltre a fare andare fuori di testa con quel gioco di nomi nei titolisono la testimonianza dell’ennesima stranezza. Per celebrare il loro compleanno iWhite Stripes si imbatterono in un tour mai tentato da nessun gruppo: toccare tutte leterre del Canada, “la straordinaria frontiera alle porte di casa”, dall’oceano ai ghiac-ciai. Sfido che nel bel mezzo la piccola Meg dovette dare forfait: era sull’orlo di una cri-si di nervi. Ma anche qui: le rockstar solitamente esplodono fatte di droga e di sesso, iWhite Stripes implosero per essersi andati a cacciare nella natura incontaminata.

L’ultimo episodio che Jack racconta divertito è il concerto con una nota sola ese-guito davanti a milleduecento persone. Davvero: una nota sola. Un “Mi” e basta. Saràmica più strano che diventare famosi col “po po po po po po”.

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ANGELO AQUARO

Due fenomeniper una nota sola

“Po po po po po....”. Il loro tormentone ha invaso gli stadi del calcio mondialeMa Jack e Meg sono anche molto altro

Marito e moglie, fratello e sorella e infine soltanto “ex”, ora vengonoinvitati alla Casa Bianca e celebrati in America con un libro fotograficoe un dvd. Come si conviene anche alle più anomale tra le rockstar

SPETTACOLI

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 13GIUGNO 2010

La coppia che fa musicacon la materia dei sogni

JIM JARMUSCH

Il libro di fotografie di Autumn de Wilde, The WhiteStripes: Under Great White Northern Lights si ac-compagna all’omonimo film (o viceversa). Sono

entrambe testimonianze della tournée dei White Stri-pes del 2007 in «ogni provincia e territorio canadese»,per lanciare il loro album Icky Thump. Ma immaginoche queste cose già le sappiate…

A me interessa molto in che modo entrambi questidocumenti siano fatti a partire dal medesimo materia-le genetico: la strana e insolita tournée di una band; l’ir-refrenabile spirito dei White Stripes; il loro look; la lorogamma di colori, così sorprendentemente limitata; leammalianti peculiarità delle location e dei posti; le per-sonalità distintive di Meg e Jack, in quel loro archetipoperfettamente bilanciato fatto di yin-yang/ragazzo-ragazza/sorella-fratello; e naturalmente la loro musi-ca, da cui tutto dipende.

Chissà come, tuttavia, come per altro gli stessi Mege Jack, questi due documenti formano il loro rapportoyin-yang. L’ovvia differenza è che il film di EmmettMalloy è fatto di azione, suono e luci, mentre le foto-grafie di Autumn de Wilde sono fatte di immobilità, si-lenzio e luminosità. La più grande differenza, in ognicaso, è dovuta alla prospettiva e a tutte le altre qualitàpiù impercettibili che la determinano. Da questo libroho avuto la forte ed entusiasmante sensazione chequeste fotografie non avrebbero potuto essere scatta-te da nessun altro.

Non ho mai incontrato Autumn de Wilde, ma il suolavoro, in modo pressoché sognante, è penetrato infondo alla mia anima da qualche tempo. Le immaginiche coglie (o crea) si distinguono per il loro modo squi-sito di perdere ogni interesse per l’aspetto “realistico”della loro creazione. La realtà è un punto di riferimen-to preciso per i nostri sogni, ma questi possono propa-garsi soltanto quando il nostro subconscio colora fuo-ri dalle linee. I White Stripes riescono a fare ciò con laloro musica. Autumn de Wilde con le sue immagini. Idettagli minori diventano altrettante soglie, ma ciò ac-cade senza forzatura alcuna, e l’elegante singolaritàdelle sue percezioni non ha interesse alcuno ad attira-re l’attenzione su di sé.

Quindi questa è la testimonianza di Autumn de Wil-de della grandiosa tournée in Canada dei White Stri-pes. Vi compaiono Meg, e Jack, e aeroplani, vecchie au-tomobili, bizzarri panorami, piste da bowling e barcheda pesca, casse di attrezzature e cavi, camerini e palco-scenici, rosso e nero, batterie e chitarre…. Ci sono leombre delle cose che non è stato possibile riprenderecon una telecamera, ombre che forse soltanto Autumnde Wilde riesce a vedere — e forse soltanto attraverso lamacchina fotografica dei tempi in cui andava a scuola,caricata con una pellicola magica.

Il testo è tratto dal libro “The White Stripes: Under Great White Northern Lights”,

edito da Chronicle Books © Chronicle Books(Traduzione di Anna Bissanti)

L’ESORDIOFormatisi nel 1997a Detroit, i White Stripessono Jack White (voce,basso, chitarre, tastiere)e Meg White (batteria, voce)Il primo album, che portail nome del duo, è del ’99

IL LOOKFino al 2000 sono maritoe moglie, ma fingonodi essere fratello e sorellaIl nome e il look (due coloridominanti, rosso e bianco)sono ispirati alle caramelletanto amate dalla batterista

IL SUCCESSONel 2000 esce De Stijl, l’annodopo White Blood CellsElephant (2003) è l’albumdel successo, lo stessoche contiene il brano SevenNation Army usato dai tifosiitaliani come inno da curva

GLI ULTIMI ALBUMNel 2005 hanno pubblicatoGet Behind Me Satan,due anni dopo Icky ThumpDopo tre anni di silenzioquest’anno è uscitoil disco live Under GreatWhite Northern Lights

OGGIJack ha sposato la modellaKaren Elson e suonacon le band Raconteurse Dead Weather. Meg apparesulle copertine di dischi altruied è sposata con JacksonSmith, figlio di Patti

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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LE COPERTINE DEI DISCHIDa sinistra, i dischi Icky Thump(2007), The White Stripes(1999) ed Elephant (2003)Sotto, altre due immaginidi Jack White e Meg White

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i saporiControcorrente

Ideale nelle cene fredde e per gli aperitivi,amato dai nutrizionisti per il suo apportodi Omega3, versatile in cucina. È un validosostituto della bistecca e da tempoha perso lo status di cibo di lussoIn estate gustarlo diventa quasi un dovere

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13GIUGNO 2010

SalmoneI

l pesceche diventò tartina. Non c’è buffet, cena in pie-di, aperitivo (ricco) o rinfresco con annessi vassoi dibocconcini che prescinda dal triangolo di pancarrécon adeguata fettina di salmone affumicato. Ma il Fre-goli del mare sa anche supportare convalescenze estomaci delicati come nessun altro: un trancio di sal-

mone al vapore non si nega (quasi) a nessuno, a maggior ra-gione da quando il suo status gastronomico è stato declassa-to da cibo di lusso ad alternativa vincente della bistecca.

Più che la capacità di spesa, poté l’allevamento. Rispetto aspiriti liberi come il tonno (che ancora non si riesce a far ri-produrre in cattività) il salmone è molto più accondiscen-dente. Vive e si riproduce dove altri pesci mai lo farebbero.Non è la nobiltà alimentare a fargli difetto. Al contrario, il sal-mone è adorato da nutrizionisti e dietologi, anche grazie allafine dell’equazione peso uguale quantità di calorie, definiti-vamente scalzata dal concetto di qualità delle calorie intro-dotte. E in quanto a qualità, il salmone non è secondo davve-ro a nessun pesce: merito della ricchezza di acidi grassi a ca-tena lunga (Epa e Dha) della serie degli Omega3, che proteg-gono il sistema cardiovascolare e più in generale ritardanol’invecchiamento cellulare. Due porzioni di salmone alla set-timana e la vita migliora: peccato che solo un italiano su cin-que incameri la quota di Omega3 necessari (circa un gram-mo e mezzo al giorno).

Forse, il problema sta proprio nell’accessibilità. Nella no-stra memoria, il salmone è il pesce magico, guizzo argentatotra le acque dei fiumi (meglio se dell’Alaska, dove gli orsiaspettano con l’acquolina in bocca). È l’istinto a spingerli a ri-salire lo stesso fiume in cui sono nati, per andare a deporre (oa fecondare) le uova. Uno sforzo immane, dopo almeno cin-que anni trascorsi in mare aperto, che finita la riproduzionequasi sempre li porta a morire di sfinimento. Se il salmone èun pesce atletico, le tecniche di allevamento cercano di sur-rogare l’attività fisica, che assicura carni sode e sane, attra-verso flussi d’acqua controcorrente. Il guaio è che spesso laquantità di pesci per metro cubo d’acqua, pur fissata per leg-ge, ha come risultato una scia infinita di salmoni che nuota-no uno attaccato all’altro, girando in tondo. A questo, si ag-giungono mangimi non sempre ineccepibili e l’inquina-mento marino, connesso sia alle scorie dei pesci, sia agli an-tialghe riversati nelle acque.

Una volta di più, benedetto sia il biologico. Nelle bio-farm,ormai ampiamente diffuse tra Norvegia e Irlanda, il rappor-to pesci-acqua scende drasticamente da venticinque a diecichili per metro cubo, i mangimi sono biologici, il nuoto neimega-recinti, posizionati in luoghi di forti correnti naturali,è mediamente pari a seimila miglia l’anno (più o meno comeper i salmoni selvaggi), nessuna luce artificiale ad accelerarei processi di crescita.

Una volta comprata la vostra bella bustina, apritela e la-sciate il salmone affumicato respirare fuori dal frigo almenoun’ora prima di gustarlo. Essendo un pesce grasso, rispar-miategli il burro e spalmate il pancarré con poca panna mi-scelata con yogurt magro, una macinata di pepe bianco, pro-fumo di timo. Tocco finale, qualche goccia di limone, anchelui biologico naturalmente.

Un pesce di nome tartinaLICIA GRANELLO

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Le uova deposte

da una femmina

4000La lunghezza massima

di un esemplare

150 cm

AffumicatoIl re delle tartine è il fruttodi una lunga lavorazione,che comincia con evisceramento e salatura in salamoia o a secco. Poi, esposizioneal fumo di legni pregiatia temperature controllate(metodo a freddo)

TartareSolo carni freschissimeper la preparazionedel battuto al coltello e insaporitonella versione classicacon vinaigrettedi extravergine delicato,limone, erba cipollina e un po’ di pepe bianco

Al vaporeSvincolato dall’obbligodi preparazioni elaborate –merito delle carni grassee saporite del pesce – il salmone viene esaltatodalla cottura più delicataA tavola si serve con una maioneseacidulata a parte

MarinatoIl trancio crudo riposa ventiquattro ore coperto da una miscela di sale,zucchero ed erbe,che gli sottraggono l’acqua in eccesso. Ripulitoe asciugato, si taglia in fettine sottilissime,da condire con vinaigrette

ArgentoIl cohoo è riconoscibilegrazie alla pelle bianco-argentata punteggiata di blu. Ha dimensioni più ridotte (50-60 cm)e carni aranciate, menopregiate dei suoi fratelli

RossoIl sockeye misura pocomeno del salmone atlanticoe vanta coloriche variano dal verdeall’azzurro. Per le sue carnisode è molto utilizzatonell’industria conserviera

AtlanticoIl salmo salar, dorso bruno-olivastro e fianchiargentati, è la varietàpiù consumata nel mondo,grazie agli allevamentiArriva a 80 centimetriCarni rosee e consistenti

RealeIl più poderoso e pregiatotra i salmoni – detto ancheRed King o Chinook –può superare i dieci chilidi peso. Ha il dorsoverdastro e le sue carnisono morbide e aranciate

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 13GIUGNO 2010

Dal fiume all’oceanouna vita per tornare alle origini

PIERO OTTONE

Quando andavo in giro per il mondo, un amico goloso mi chiedeva di portargli le ghiot-tonerie del luogo in cui mi recavo. Dalla Russia, è scontato, voleva il caviale (ma sul ca-viale bisognerebbe aprire un capitolo a parte: non è più lo stesso di una volta, ed è mol-

to difficile reperire quello che si serviva in tavola, in coppe ghiacciate, quando ero a Mosca).Dall’Inghilterra voleva la grouse, e se non sapete che cos’è lo spiegherò la prossima volta.Dalla Francia, qualche pâté. E dalla Scandinavia, il salmone. Ma quale salmone? La rispo-sta è complessa.

Finora sono stato un ignaro fruitore. Adesso, per scrivere queste brevi note, mi sono fattouna cultura, e ho scoperto che questo pesce è una creatura meravigliosa. Si riproduce nei fiu-mi, nei grandi fiumi del Nord, quindi nell’acqua dolce. Ma poi si trasferisce in mare, perchésente il desiderio (come lo capisco!) dei grandi spazi, degli oceani immensi, e dopo un sog-giorno nell’estuario per abituarsi al nuovo ambiente, nuota per migliaia di chilometri (lui, es-sendo creatura marina, penserà migliaia di miglia). Salvo ritrovare, miracolosamente, il fiu-me, non un fiume qualsiasi ma quello di origine, proprio quello: finalmente ritorna al luogodov’era nato, per riprodursi. Non è miracoloso? Dopo avere appreso queste brevi nozioni,trovo che è molto triste allevarlo, come si fa nel Nord, in grandi gabbie: le fattorie del salmo-ne. Ma lui si vendica. Il salmone di allevamento è, gastronomicamente, tutto un’altra cosa.

Capisco anche perché l'amico di cui ho detto voleva il salmone comperato in Norvegia oin Danimarca. Perché in quei paesi si trova ancora quello selvatico. In una versione speciale:è chiamato “salmone bianco del Baltico”, è grigio argento, ed è prezioso, come attesta il prez-zo. Nessuno vieta di affumicare anche questa specie, così come si suole affumicare quello diallevamento. Ma sarebbe un delitto. Conviene metterlo in tavola ancora fresco, entro un paiodi giorni dopo che è stato marinato con le erbe indicate dagli esperti. Si racconta anche unastrana leggenda. Si afferma nei paesi del Nord che gli svedesi solevano seppellire il salmone,e conservarlo sotto terra per un anno, prima di mangiarlo. Ma può darsi che si tratti di una sto-riella messa in giro dai danesi e dai norvegesi. Fra scandinavi amano farsi qualche dispetto.

Che cosa ci beviamo? Non ricordo quale vino offrisse l’amico di cui ho detto, quando met-teva in tavola il salmone che gli portavo dal Nord. Immagino che uno chablis o una vernacciasiano ugualmente adatti. Ma non disdegnerei una vodka ghiacciata: quella (a differenza delcaviale) è sempre buona.

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Le calorie presenti

in 100 grammi

180Calorie in 100 grammi

di affumicato

142

Alla grigliaLa modalità più ascetica,

che penalizza la maggioranza

dei pesci, non corrompe

le carni del salmone, protette

dalla loro composizione grassa

A coté, un’emulsione di olio

ed erbe aromatiche

ma anche del semplice limone

itinerariPer la marinaturadel salmone, Sotohiro Kosugi,proprietariodi un piccolo,straordinario ristorantenewyorchese, "Soto",utilizza sale grosso, aceto

e una serie di carte assorbentigiapponesi di diverso spessore

Lerwick (Gran Bretagna) Osterf Jord (Norvegia)Clare Ireland (Gran Bretagna)Le costa selvagge e scoscese

delle isole Shetland, con le loro acque

cristalline, agitate dalle correnti

del nord Atlantico, ospitano alcuni

meritevoli allevamenti “organic”,

con annessi laboratori di lavorazione

DOVE DORMIREKVELDSRO HOTEL (con cucina)

20 Greenfield Place

Tel. 0044-1595-692195

Doppia da 145 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIAREHERRISLEA HOUSE (con camere)

Veensgarth, Tingwall

Tel. 0044-1595-840208

Sempre aperto, menù da 25 euro

DOVE COMPRAREFRAMGORD

5 North Ness Business Park

Tel. 0044-1595-746660

Un fiordo di placida bellezzatra Bergen e Voss, su cui si affacciano i borghi di Modalen,Osterøy and Vaksdal: è il paradisodella pesca al salmone, tra fiumi puliti e battute in mare

DOVE DORMIREFJORDSLOTTET HOTEL Fotlandsvåg Tel. 0047-56-395090 Doppia da 150 euro

DOVE MANGIAREKVAMSTAUSTETSjøreiser Tel. 0047-56-598055Sempre aperto, menù da 40 euro

DOVE COMPRAREFISKETORGET Bergen Tel. 0047-55-552000

A quattro miglia dalla terraferma,nell’Irlanda occidentale, questaincantevole, minuscola isola ospitapoco più di cento abitantie un allevamento di acquaculturabiologica. Tra i pochi al mondo

DOVE DORMIREGRANUAILE HOUSEWestport Tel. 00353-98-26250Doppia 120 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIAREO’ GRADY’S The HarbourTel. 00353-98-22991Chiuso giovedì, menù da 30 euro

DOVE COMPRARECLARE ISLAND ORGANIC FARMCarrollwhollyTel. 00353-98-26430

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le tendenzeGioco di squadra

Da Armani a Dolce e Gabbana a Calvin Klein,i Mondiali in Sudafrica accendono il tifodegli stilisti. Che per l’occasione hanno creatosneaker, abbigliamento intimo, borse, orologi e gioielliRigorosamente vestiti di bianco, rosso e verde

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13GIUGNO 2010

Anche la moda va nel pallone. Siè appena alzato il sipario suiMondiali di calcio che si svol-gono in Sudafrica, e per un me-se gli appassionati di tutto ilmondo seguiranno le sessan-

taquattro partite disputate da trentaduesquadre in gara per conquistare la Coppa piùambita. Che, per la prima volta, avrà una cu-stodia realizzata da Louis Vuitton.

Il calcio mondiale accende l’animo dei fandel pallone e scatena il marketing griffato.Dalle sneaker all’intimo, dagli orologi alleborse, tutto si “veste” con i colori della ban-diera italiana e di quella del Sudafrica. Non c’èstilista che non abbia reso omaggio a questoevento sportivo. In testa ci sono DomenicoDolce e Stefano Gabbana. Sono loro che han-no disegnato le divise della Nazionale. Il blu èil colore chiave della giacca a due bottoni coni rever a lancia, da portare con camicia biancae cravatta jacquard. Il tutto accompagnato daocchiali da sole a goccia con il tricolore sul bat-tente. Il cuore dei Dolce e Gabbana batte perla Nazionale. E anche per l’ultima campagnadell’underwear hanno scelto come modellicinque calciatori top, come Antonio di Nata-le, Vincenzo Iaquinta, Claudio Marchisio, Fe-derico Marchetti e Domenico Criscito, foto-grafati da Mariano Vivanco, tutti in mutandee super fisicati.

Tra gli stilisti più attenti agli eventi sportivi,un posto speciale spetta a Giorgio Armani. Perl’Emporio ha realizzato una collezione di ac-cessori per i fan della Nazionale che voglionoessere anche ambasciatori dello stile made inItaly. Il mini guardaroba dello sportivo-chiccomprende una maglietta, un boxer, una cin-

tura, un paio di sneaker e vari modelli di bor-se da viaggio. Nel ricco mercato degli og-

getti che inneggiano ai Mondiali, lesneaker si aggiudicano la fetta più

consistente del business. Sichiama “Freedom”, il mo-

dello Pirelli Pzero con i colori dellabandiera sudafricana. Gli stessi che sonodipinti a mano sulle scarpe di Santoni e suquelle di Paciotti. Ma nel “Mondial look” ci so-no anche Alberto Guardiani, Superga, Geox,Nero Giardini, Kickers e le mitiche Crocs cheadottano i colori dell’Italia. Per i più snob,Alexander ha creato scarpe classiche stringa-te realizzate con le stesse tecniche di cucituradei palloni di calcio. Lotto va oltre e lancia l’u-nico scarpino da calcio senza lacci che debut-ta sui campi da gioco proprio in occasione deiMondiali. Tra gli slip non potevano mancarequelli di Dirk Bikkembergs, i boxer con stam-

pa football tricolore di Intimissimi e la colora-tissima collezione di Calvin Klein. E ancora:quelli di Yamamay, di Fila e di Ralph Laurencon tanto di polo e di scudetto dell’Italia.

E per dire “forza azzurri” ci sono anche gliorologi. Dal modello super economico di TooLate a quello con le bandiere dei paesi prota-gonisti della Coppa del mondo di ToyWatch,fino a quelli tricolore di Carlo Pignatelli e diAdidas. Morellato ha creato il bracciale per iMondiali con le boule in cristallo coloratomentre il gioielliere Recarlo ha usato smeral-di, diamanti e rubini per gli anelli, dedicati al-le signore che faranno il tifo e andranno inspiaggia sfoggiando shopping bag tricolori,

firmate Furlao Pineider.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Se il tricolorediventa glamourLAURA ASNAGHI

PIRELLI PZEROSi chiamano“Freedom”le sneakerche Pirelli Pzerodedica al Sudafrica,il paese che ospitai Mondiali di calcio

SUPERGALe classiche scarpe

da ginnasticaSuperga in tela

di cotone si tingonodi bianco, rossoe verde: i colori

della bandiera italiana

DOLOMITEEcco il giubbinoreversibile, chiusodalla zip, creatoda DolomiteDa una parte è biancoe dall’altro ha i coloridella bandiera italiana

EMPORIO ARMANIBorse da viaggioe tracollecon la bandieraitaliana, cinturee sneakerÈ la collezioneEmporio Armani

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