OBBLIGAZIONI 2018, L’ANNO - Fondiesicav Magazine · dal 2007 al 2015 è passato da 35.128 euro a...

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anno 11 - numero 101 - febbraio 2018 OBBLIGAZIONI 2018, L’ANNO DEL TREASURY

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anno 11 - numero 101 - febbraio 2018

OBBLIGAZIONI 2018, L’ANNO DEL TREASURY

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Il potere dei Big DataGOLDMAN SACHS GLOBAL CORE® EQUITY PORTFOLIO ISIN: LU0257370246

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Per “sfruttare i Big Data” si intende la capacità di identifi care quali società potranno avere performance superiori al mercato e trarre vantaggio dai fenomeni socio-economici attraverso elaborazioni quantitative dei Big Data, effettuate con metodi analitici specifi ci per l‘estrazione di informazioni (es. dati sui consumi di beni/servizi in un certo settore economico).Messaggio pubblicitario con fi nalità promozionali. Prima dell‘adesione leggere il KIID, che il proponente l’investimento deve consegnare prima della sottoscrizione e il Prospetto disponibile sul sito Internet https://assetmanagement.gs.com/content/gsam/ita/it/advisors/homepage.html e presso gli intermediari collocatori Goldman Sachs Global Core® Equity Portfolio, Goldman Sachs Europe Core® Equity Portfolio e Goldman Sachs US Small Cap Core® Equity Portfolio sono comparti della SICAV di diritto lussemburghese Goldman Sachs Funds. Il presente documento non rappresenta un‘offerta di acquisto o sottoscrizione di quote. Prima di ogni investimento consigliamo di contattare il vostro consulente fi nanziario. Riservatezza: Nessuna parte di questo materiale può, senza il previo consenso scritto di GSAM, essere (i) riprodotta, fotocopiata o duplicata, in qualsiasi forma, con qualsiasi mezzo, o (ii) distribuita a qualsiasi persona che non sia un dipendente, un funzionario, un amministratore o un agente autorizzato del destinatario. Goldman, Sachs & Co., © 2017 Goldman Sachs. Tutti i diritti riservati. Codice compliance 84169-OTU-475246

I Big Data ci circondano e infl uiscono sulle nostre attività quotidiane: dagli smartphone ai social media, creiamo e consumiamo dati in ogni momento.

Oggi, le società e gli asset manager capaci di sfruttare i Big Data sono in grado di creare valore aggiunto per i propri azionisti e investitori.

Da oltre 25 anni in Goldman Sachs Asset Management utilizziamo la tecnologia al fi ne di creare valore aggiunto per i nostri clienti. Attraverso i Portafogli CORE® Equity, cerchiamo di sfruttare i Big Data per individuare nuove opportunità d’investimento prima che vengano scontate dal mercato.

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FONDI&SICAV febbraio 2018 3

EDITORIALE

Fare il gestore non è un mestiere facile. Uno dei tanti esempi lo si è avuto quan-do Donald Trump, dopo un anno di quasi totale inerzia, si è deciso ad abbassare le tasse alle imprese e ha mantenuto una delle sue promesse della campagna elettorale. Ovviamente Wall Street, che già da anni va come un treno, ha trovato l’ennesima occasione per festeggiare e ha continuato a mietere record. L’out-look del 2018, già buono, è diventato di

colpo ottimo.Ma, passata l’euforia iniziale, non sono mancati i primi mugugni e le prime criti-che anche molto motivate. Questa ope-razione significherà per lo stato minori introiti per circa 1.500 miliardi di dollari praticamente da subito, qualcosa come il 7-8% del Pil degli States. Questo pro-blema può essere ovviato in due modi: o tagliando brutalmente la spesa pubblica o chiedendo al mercato nuovi prestiti e di conseguenza alzando gli interessi, per di più in un momento in cui la Fed li sta già ritoccando verso l’alto.Ma tagliare la spesa pubblica comporta

dare il via a un’operazione fortemente recessiva, che è il contrario di ciò che si voleva ottenere, mentre alzare i tassi dei Treasury significa andare a mettere una bomba sotto gli equilibri di tutti i mercati del pianeta.Così chi oggi gestisce un fondo Usa (ma non soltanto) deve decidere se è il caso di seguire la massa e investire di più in America, rischiando di trovarsi col ce-rino acceso in mano, oppure se anda-re contro tutti e non puntare su Wall Street, con il pericolo di perdere grandi guadagni. Durissimo mestiere quello del gestore.

POLARIZZAZIONE, IL GRANDE PERICOLO di Giuseppe Riccardi

DURO IL MESTIERE DI GESTORE di Alessandro Secciani

In questo 2018 in cui tutti sono ottimisti c’è un pericolo di fondo enorme, che magari non si manifesterà quest’anno, ma a medio termine si farà sentire pesantemente. Questo grosso rischio è la polarizzazione. Ormai la ricchezza è in mano a un numero sempre più limitato di persone, di aziende, di classi sociali, di nazioni a scapito di gruppi che diventano sempre più deboli, sempre più poveri. Negli Usa il 50% degli utili di tutte le aziende quotate è con-centrato in 30 società (nel 1995 erano 89), le nazioni povere stanno diventando sempre più povere, a parte alcuni emergenti che crescono all’impazzata determinando altri squilibri.

Anche l’Italia nel suo piccolo non è da meno: la distanza tra Nord e Sud sta aumentando ancora e, se in Lombardia il Pil pro capite dal 2007 al 2015 è passato da 35.128 euro a 35.702, nello stesso periodo in Campania è sceso da 18.194 euro a 17.169. La classe me-dia, punto di forza di ogni società, sta sempli-cemente sparendo.Al di là dei problemi sociali che questa pola-rizzazione porta, vale a dire emigrazione da aree di miseria ad altre più ricche, intere classi sociali sempre più arrabbiate e distruttive che corrono dietro a qualsiasi populismo, scora-mento giovanile e tantissimi altri fenomeni

negativi, c’è un pericolo enorme: la concentra-zione sempre più forte su pochi protagonisti. È esattamente il contrario della diversificazione: chi ha in mano soldi e potere punta su quei pochi cavalli vincenti. Ma se qualcuno di que-sti purosangue cominciasse a correre meno o magari si azzoppasse, le conseguenze divente-rebbero terrificanti, perché ognuno di questi rappresenta una fetta enorme di ricchezza, per di più in un mondo che è sempre più correlato e dove l’effetto domino sarebbe devastante.

Il potere dei Big DataGOLDMAN SACHS GLOBAL CORE® EQUITY PORTFOLIO ISIN: LU0257370246

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Per “sfruttare i Big Data” si intende la capacità di identifi care quali società potranno avere performance superiori al mercato e trarre vantaggio dai fenomeni socio-economici attraverso elaborazioni quantitative dei Big Data, effettuate con metodi analitici specifi ci per l‘estrazione di informazioni (es. dati sui consumi di beni/servizi in un certo settore economico).Messaggio pubblicitario con fi nalità promozionali. Prima dell‘adesione leggere il KIID, che il proponente l’investimento deve consegnare prima della sottoscrizione e il Prospetto disponibile sul sito Internet https://assetmanagement.gs.com/content/gsam/ita/it/advisors/homepage.html e presso gli intermediari collocatori Goldman Sachs Global Core® Equity Portfolio, Goldman Sachs Europe Core® Equity Portfolio e Goldman Sachs US Small Cap Core® Equity Portfolio sono comparti della SICAV di diritto lussemburghese Goldman Sachs Funds. Il presente documento non rappresenta un‘offerta di acquisto o sottoscrizione di quote. Prima di ogni investimento consigliamo di contattare il vostro consulente fi nanziario. Riservatezza: Nessuna parte di questo materiale può, senza il previo consenso scritto di GSAM, essere (i) riprodotta, fotocopiata o duplicata, in qualsiasi forma, con qualsiasi mezzo, o (ii) distribuita a qualsiasi persona che non sia un dipendente, un funzionario, un amministratore o un agente autorizzato del destinatario. Goldman, Sachs & Co., © 2017 Goldman Sachs. Tutti i diritti riservati. Codice compliance 84169-OTU-475246

I Big Data ci circondano e infl uiscono sulle nostre attività quotidiane: dagli smartphone ai social media, creiamo e consumiamo dati in ogni momento.

Oggi, le società e gli asset manager capaci di sfruttare i Big Data sono in grado di creare valore aggiunto per i propri azionisti e investitori.

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EDITORIALE

DIETRO I NUMERIGrandi risultati a Tokyo

FACCIA A FACCIA CON IL GESTOREKen Leech

chief investment officer di Western Asset Management (gruppo Legg Mason)

Uno sguardo ottimista sul mondo

FACCIA A FACCIA CON IL GESTOREPascal Riegis

gestore Oddo Avenir Europe

Alla caccia di buone mid cap europee

GESTORI AZIONARI SOCIALMENTE RESPONSABILIGrandi opportunità per chi ha pazienza

GESTORI AZIONARI SOCIALMENTE RESPONSABILICrescita solida con i principi Esg

SOMMARIO

24Attenti al Treasury!OBBLIGAZIONARIO

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Numero 101febbraio 2018 anno 11

direttoreGiuseppe Riccardi

coordinamento redazionale e direttore responsabileAlessandro Secciani

vicedirettoreMassimiliano D’Amico

ufficio studiBoris Secciani

progetto grafico e impaginazioneStefania Sala

collaboratoriMassimo Avella, Stefania Basso, Rocki Gialanella, Paola Sacerdote

redazione e pubblicitàViale San Michele del Carso 1

20144 MIlano, T. 02 320625567

pubblicitàAlessandro Cervieri

[email protected]

casa editrice GMR

Viale San Michele del Carso 120144 MIlano, T. 02 320625567

stampa PINELLI PRINTING sede legale

Via Redipuglia 9,20060 Gessate (MI)sede operativa Via E. Fermi 8 20096

Seggiano di Piotello (MI)

Autorizzazione n.297 dell’8 maggio 2008 del Tribunale di Milano

immagini usate su licenza di Shutterstock.com

CONSULENTI RETI

ATTUALITÀ BITCOIN & CO.Il nuovo oro

ATTUALITÀ TECNOLOGIAIl ritorno dei sogni a carissimo prezzo

ETPUn anno d’oro per i bond

CERTIFICATEUn interesse che cresce

Dario Di Muroamministratore delegato Finanza & Futuro

La rete di un grande gruppo

Reclutamento e raccolta, i risultati e i piani per l’anno in corso

Sarà un 2018 buono come il 2017

L’impatto della Mifid II secondo Banca Mediolanum

Più che una sfida è un’occasione

CONSULENTIA 2018

Nell’anno dei cambiamenti

LIFESTYLE Enrico Bartolini, non solo la classica biografia da chef

RELAX AD ALTA QUOTAMontagne di charme

OROLOGIEberhard & Co., rivoluzionari dall’800

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6 FONDI&SICAV febbraio 2018

Il Giappone è stato la grande sorpresa del 2017, dopo un inizio d’anno stentato a li-vello economico e borsistico. A partire da settembre, però, il Sol Levante ha visto una forte accelerazione che ha sfidato le ten-sioni politiche interne ed esterne. Indub-biamente la rielezione con un autentico trionfo del premier Shinzo Abe ha contri-buito non poco a dare una scossa psicolo-gica agli investitori, sia locali, sia interna-zionali. Infatti per il momento dalle parti di Tokyo alternative in grado di portare avanti un programma di riforme altrettan-to credibile non si vedono. Ma al di là del rally borsistico che è prose-guito anche nelle prime settimane del 2018 (al termine dei primi 15 giorni di gennaio il Nikkei si trovava già in rialzo dall’inizio dell’anno di oltre il 4%), in quali condizioni è davvero la seconda economia dell’Asia, nonché la terza del mondo? Per rispondere al quesito vale la pena ana-lizzare qualche dato di base. Innanzitutto per l’anno fiscale 2017, che in Giappone è cominciato il primo aprile e terminerà a fine marzo 2018, la crescita del Pil dovreb-be posizionarsi intorno a +1,2%, un valo-re cui dovrebbe fare seguito un +1,8%. A prima vista questi numeri sembrerebbero quelli di un paese che sta entrando final-mente in una fase di mini-boom, almeno entro i limiti di quanto consentito dalla sua situazione demografica e strutturale di svi-luppo. In realtà i due esercizi 2017 e 2018 dovrebbero risultare in termini di crescita nominale del Pil più o meno identici e in-torno a quota +2,5%. A meno che, infatti, non si evidenzi un’ul-teriore forte accelerazione delle materie prime, difficilmente l’inflazione del 2017, che è stata intorno a +1,1%, verrà ricon-fermata nell’anno fiscale 2018: il consensus attualmente prevede un calo fino a +0,7%. A livello di anno solare il 2017 e il 2018, comunque, dovrebbero risultare piuttosto simili con un incremento del Pil rispettiva-mente dell’1,6% e dell’1,2%.

IN DEFLAZIONE DAGLI ANNI ‘90Anche con un Pil nominale dall’andamento stabile, però, il quadro rimane tutto som-mato molto più incoraggiante rispetto a un anno fa. Ricordiamo infatti che il Giappone è un’economia che vive dai primi anni ‘90

a cura di Boris Secciani

IL GIAPPONE DELLE MERAVIGLIE

DIETRO I NUMERI

Grandirisultati aTokyo

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Lyxor* è stato il primo, ed è il maggiore1, gestore di ETF PIR compliantSu Borsa Italiana ha quotato il Lyxor Italia Equity PIR UCITS ETF, sulle società a media ed elevata capitalizzazione, e il Lyxor FTSE Italia Mid Cap PIR UCITS ETF, sulle società a media capitalizzazione. Il costo totale (TER)2 degli ETF è, rispettivamente, di 0,35% e 0,40% all’anno. I due ETF, se destinati a un Piano di Risparmio Individuale a lungo termine (es. Deposito Titoli PIR), consentono all’investitore di beneficiare delle agevolazioni fiscali previste per i PIR3. Scopri di più su: www.lyxoretf.it/pir

* I Lyxor ETF citati sono Fondi o Sicav francesi o lussemburghesi, gestiti da Lyxor International Asset Management S.A. (qui per brevità “Lyxor”), i cui prospetti sono stati approvati dalla AMF o dalla CSSF. Per la data di approvazione si rinvia ai Prospetti.

(1) Il 1° ETF PIR Compliant è datato 3 marzo 2017 ed è gestito da Lyxor. Lyxor gestisce 2 ETF PIR con un patrimonio complessivo di 641 milioni di Euro (fonte: Bloomberg, al 29/12/2017).

(2) Il costo totale annuo dell’ETF (TER – Total Expense Ratio) non include i costi di negoziazione del proprio intermediario di riferimento ed eventuali altri costi e oneri.

(3) Questi ETF sono un investimento qualificato ai fini della normativa PIR e, al fine di beneficiare del regime fiscale agevolato, è necessario che l’investitore privato destini le azioni dell’ETF ad un Piano Individuale di Risparmio a lungo termine (PIR) attraverso l’apertura di un Deposito Titoli (o altro stabile rapporto) con esercizio dell’opzione per l’applicazione del regime di risparmio amministrato (art. 6 D.Lgs. 461 del 21/11/1997) ovvero è necessario che l’investitore privato destini le azioni dell’ETF ad un PIR eventualmente già costituito. Al fine di beneficiare delle agevolazioni fiscali, le azioni dell’ETF devono essere detenute per almeno 5 anni consecutivi.

(4) I pesi dei due indici si modificano nel tempo in funzione delle differenti performance dei due indici. Mensilmente sono ripristinati i pesi originari (25% e 75%).

Il valore degli ETF citati può aumentare o diminuire nel corso del tempo e l’investitore potrebbe non essere in grado di recuperare l’intero importo originariamente investito. Questo è un messaggio pubblicitario e non costituisce sollecitazione, offerta, consulenza o raccomandazione all’investimento. Prima dell’investimento negli ETF citati si invita l’investitore a contattare i propri consulenti finanziari, fiscali, contabili e legali e a leggere attentamente i Prospetti, i “KIID” e i Documenti di Quotazione, disponibili sul sito www.ETF.it e presso Société Générale, via Olona 2, 20123 Milano, dove sono illustrati in dettaglio i meccanismi di funzionamento, i fattori di rischio, i costi e il regime fiscale dei prodotti.

Nome ETF Indici di Riferimento Bloomberg ISINCosto Annuo

(TER)2

Lyxor Italia Equity PIR UCITS ETF25% FTSE Italia Mid Cap Net Tax

+ 75% FTSE MIB Index4 ITAPIR IM LU1605710802 0,35%

Lyxor FTSE Italia Mid Cap PIR UCITS ETF FTSE Italia Mid Cap Net Tax ITAMID IM FR0011758085 0,40%

The original pioneersContatti: www.ETF.it | [email protected] | 800 92.93.00 | Consulenti02 89.63.25.00 | Istituzionali 02 89.63.25.28 | LYXOR <GO>

MESSAGGIO PUBBLICITARIO

Il pioniere degli ETF PIR

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8 FONDI&SICAV febbraio 2018

bile) è scesa a quota 2,7%, la cifra più bassa registrata dal 1994. È notorio infatti che attualmente il paese dispone di un’abbon-danza di lavoro che in Europa appare quasi incredibile. A fine anno il rapporto fra posti disponibili e richieste aveva toccato il mas-simo storico, sfiorando quota 1,6. Si tratta di un livello che non si era visto neppure durante il precedente massimo di que-sta serie storica, nei primissimi mesi del 1990, all’inizio dello scoppio di una delle più grandi bolle economiche di sempre. In particolare nei cinque anni di Shinzo Abe è aumentata in maniera non indifferente la partecipazione all’occupazione delle don-ne giapponesi. Queste erano presenti sul mercato del lavoro in 27,7-27,8 milioni nella seconda metà del 2012. A oggi si ne sono aggiunte circa 2 milioni e attualmente vantano una partecipazione alla forza lavo-ro superiore a quella statunitense.I miglioramenti nei fondamentali si sono

una fase di deflazione: ciò significa che, a parte i momenti più vitali del ciclo econo-mico, il suo prodotto lordo nominale cal-colato in valuta locale è sempre stato ben al di sotto dei massimi fatti registrare nel 1998, poco sopra quota 530 trilioni di yen. Si tratta di un unicum nella storia moderna (almeno nel gruppo delle economie signi-ficative). La soglia è stata comunque superata nel terzo trimestre del 2017, quando l’output economico totale annualizzato è risultato di 546 trilioni di dollari. In precedenza si era arrivati vicini al precedente record sto-rico solamente a cavallo fra il 2000 e il 2001 e tra il 2006 e il 2007. Nel 2018 in totale in Giappone dovrebbe venire prodotto un Pil di circa 564 trilioni di yen. All’improvviso, dunque, non appare più irrealistico riuscire a superare la soglia di 600 trilioni nel 2020, obiettivo ufficiale del governo Abe, che fino a poco tempo fa sembrava abbastanza campato per aria.

L’ESPLOSIONE DEL TURISMOA dare energia ai successi dell’Abenomics sono quasi tutte le voci che compongono l’economia, dagli investimenti all’export. Vitalità stanno mostrando anche i consu-mi, previsti quest’anno in rialzo dell’1,4%. Una bella spinta in questo ambito si è avuta dall’esplosione dell’industria turistica, fino a pochi anni fa di dimensioni molto mode-ste. I sempre più numerosi turisti cinesi, in-fatti, in tempi recenti hanno letteralmente preso d’assalto le coste nipponiche, in par-ticolar modo nell’anno appena terminato, a causa del boicottaggio cinese nei confronti della rivale Corea del sud. Il risultato è che si è passati da 8 milioni di visitatori stranie-ri nel 2012 a 24 milioni nel 2016. Nel 2017, per il quale ancora non sono disponibili i dati definitivi, durante la stagione estiva è stata superata quota 2,5 milioni di turisti stranieri, mentre solo a inizio decennio si veleggiava intorno a 500-600 mila al mese. Sempre nel terzo trimestre del 2017 la spesa complessiva dei visitatori stranieri ha superato quota 1.200 miliardi di yen, un record assoluto per il paese.La rinnovata competitività nazionale ha portato al migliore mercato del lavoro da una generazione a questa parte: la disoccu-pazione a novembre (ultimo dato disponi-

tradotti infine in una maggiore redditività aziendale con l’Eps del Topix che dovrebbe toccare quest’anno 120 yen, a fronte dei circa 70 che si registravano nei primi mesi del 2013.

SPIRALE DEMOGRAFICACerto, il paese rimane intrappolato in una spirale demografica tremenda, con molti segmenti nell’ambito dei servizi che per-mangono arretrati e poco competitivi e molte industrie dal medio valore aggiunto legate al ciclo globale. La qualità dei posti di lavoro creata non appare da leccarsi i baffi, con pressioni sui salari minime. Ciò non toglie che oggi il Giappone sia un pa-ese che cresce il doppio di quello che vie-ne considerato il suo potenziale di lungo periodo (+0,8%) e costituisce un ulteriore tassello nel quadro della ripresa globale, invece di rappresentare una palla al piede come ha fatto per lunghi anni.

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10 FONDI&SICAV febbraio 2018

Come descriverebbe la situazione attuale?«A partire dalla seconda parte del 2016 vi è stato un certo aumento della crescita glo-bale: persino l’inflazione ha mostrato segnali di vita. La speranza ovviamente è che l’anda-mento dei prezzi abbia toccato nel 2016 il proprio minimo storico, anche se va detto che la ripresa attuale è partita da un livello molto basso. Comunque, anche psicologi-camente, sta cominciando a modificarsi il concetto diffuso secondo cui siamo in un processo di stagnazione secolare, in cui le economie sviluppate non riusciranno più a crescere significativamente. Nel 2017 l’an-damento del Pil globale ha mostrato un’ac-celerazione e pensiamo che il fenomeno possa ripetersi anche nel 2018».

Che cosa implica tutto ciò per gli asset rischiosi?«Nel corso dell’anno appena terminato non solo abbiamo visto un aumento significativo dei corsi, ma anche un forte calo della vo-latilità un po’ in tutti i mercati, sia azionari, sia obbligazionari. Ad esempio, il Vix l’anno scorso ha scambiato per buona parte del tempo sotto la soglia di 10, un valore che storicamente viene oltrepassato al ribasso raramente. Ciò è stato a mio avviso dovu-to alla trasparenza dell’azione delle banche centrali. Infatti esse non solo hanno conti-nuato a iniettare una grande quantità di de-naro, ma hanno anche sempre annunciato con grande chiarezza i loro obiettivi di poli-tica monetaria. La stessa chiarezza la stanno mostrando adesso nel tentativo di ripor-tare alla normalità tali politiche, qualora la crescita dovesse continuare a essere forte. Riteniamo che in un quadro del genere, la cautela e la trasparenza delle istituzioni mo-netarie porterà a un aumento della volatilità complessiva, che però non risulterà di ele-vate proporzioni».

a cura di Boris Secciani

FACCIA A FACCIA CON IL GESTORE

Uno sguardo ottimista sul mondo

KEN LEECHCHIEF INVESTMENT OFFICER WESTERN ASSET MANAGEMENT (GRUPPO LEGG MASON)

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FONDI&SICAV febbraio 2018 11

Che cosa distingue l’attuale ciclo economico da quelli passati?«In generale l’andamento macro nel passato è sempre stato legato a quello dei risulta-ti aziendali e quindi dei corporate bond. In questo quadro gli Usa dal 2012 al 2016 han-no vissuto anni di buona espansione relativa, in cui le performance sono state migliori di gran parte del resto del mondo, ma nel 2014 e nel 2015 si è verificata una seria divergen-za, dovuta alla debolezza globale, in partico-lar modo nell’insieme delle materie prime».

A proposito di questo argomento qual è la vostra view sul comparto energetico?«Pensiamo che questo segmento sia im-pegnato in un processo di guarigione: non abbiamo mai abbracciato le previsioni più catastrofiche che erano comuni fino alla pri-ma parte dell’anno scorso quando il petrolio scambiava ancora sotto 50 dollari. Eravamo convinti, infatti, che l’industria fosse in gra-do di ristrutturarsi e che i miglioramenti evidenti nell’andamento planetario avreb-bero portato a un più favorevole rapporto tra domanda e offerta e quindi sul medio termine a quotazioni più elevate. Peraltro l’energia è un settore spesso caratterizza-to da previsioni irrazionali, che si rivelano poi non corrette: quando nel 2014 i corsi hanno cominciato a calare, molti analisti non ritenevano realistico scendere sotto quota 80 dollari al barile, mentre fino a un anno fa molti consideravano impossibile risalire sistematicamente sopra 50, a causa della so-vrabbondanza di shale americano».

Che cosa pensate della riforma fi-scale appena varata dall’ammini-strazione Trump?«In generale si tratta di una misura estre-mamente positiva, che dovrebbe dare una grande spinta ai margini delle aziende ameri-cane, nonché ai loro profitti e al loro livello di competitività. Ciò fa sì che, nonostante gli spread siano storicamente molto bassi, quel-lo attuale non sia un ambiente che ci induce a ritenere opportune le posizioni corte sui corporate Usa lungo tutto lo spettro credi-tizio. Tra l’altro la nuova legislazione riduce anche gli incentivi a emettere nuovo debito per finanziare buyback e dividendi: è un ulte-riore sostegno al credito made in Usa».

Molti investitori, soprattutto ob-bligazionari, continuano a essere molto positivi circa le prospetti-ve delle banche. A essere favorite sono quelle europee e in primis il loro debito; condividete questa previsione?«Sì. Se torniamo indietro agli Usa del 2009, possiamo vedere che all’epoca il legislatore fece un’azione decisamente dura nei con-fronti degli istituti di credito per superare rapidamente il problema degli Npl e aumen-tare il loro livello di capitalizzazione. Il varo poi di provvedimenti come la Dodd-Frank o l’adozione della Volker rule hanno impedito che le aziende di credito andassero a ripe-tere gli stessi errori in termini di eccesso di leva in bilancio. Ciò ha senz’altro ridotto le potenzialità di profitto da parte delle ban-che, il che sicuramente non è un elemento positivo per gli azionisti, ma al tempo stesso tutto ciò ha aumentato la loro solidità, il che è un’ottima cosa per chi investe nelle loro obbligazioni. In Europa lo stesso processo è iniziato molto più tardi e anche in maniera meno intensa a causa della crisi struttura-le nelle nazioni della periferia europea. Nel Vecchio continente si tratta di un processo ancora in corso e grazie alla ripresa eco-

nomica dovremmo vedere risultati migliori, anche se storicamente si parte da un livello molto basso».

Infine qual è la vostra view sui pae-si emergenti?«Non vorrei sembrare eccessivamente ot-timista, però riteniamo che le prospettive per questo gruppo di nazioni siano torna-te a essere buone e relativamente migliori rispetto ai paesi sviluppati. La crescita glo-bale ha ripreso a essere robusta e i fattori che favoriscono gli emerging, da un migliore profilo demografico a un livello più conte-nuto di debito, sono ancora presenti. Essen-zialmente per un quinquennio, a partire dal 2013, queste piazze, a livello di ogni asset class, hanno visto un periodo di bear mar-ket dovuto ai timori di un collasso cinese che ha danneggiato particolarmente i corsi delle materie prime. Tali difficoltà hanno an-che fatto emergere le magagne strutturali di alcune economie, che non hanno approfit-tato dei tempi favorevoli per attuare alcune riforme strutturali necessarie. Oggi però vi è un chiaro processo di guarigione in corso che non dovrebbe subire particolari conse-guenze dal rialzo molto moderato dei tassi da parte della Federal Reserve».

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Con quali criteri è formato il vostro portafoglio?«Il mercato su cui investiamo è quello del-le mid cap europee. Con questa definizione intendiamo le aziende che hanno fino a 10 miliardi di euro di capitalizzazione di borsa e in questo segmento troviamo quelle che sono semplicemente le migliori società del continente, in termini di vantaggi competi-tivi e tecnologici, cultura aziendale e capaci-tà del management. In pratica cerchiamo di identificare i futuri leader mondiali nel loro campo. Alcune di queste imprese hanno ca-ratteristiche cicliche, ma, grazie alle qualità elencate, sono in grado mostrare una forte resilienza anche nelle fasi economiche nega-tive. I gruppi su cui puntiamo devono mo-strare un elevato livello di Roce (return on capital employed), almeno il 12%. Peraltro questo parametro tende a essere simile al Roe nel caso di una scarsa leva di bilancio. Vi sono infatti società che riescono a fornire un alto livello di rendimento rispetto al pa-trimonio netto grazie a un elevato grado di indebitamento, ma tendiamo a stare lontani da simili aziende. Le nostre imprese sono valutate sulla base della stima del discounted cash flow, che modella uno scenario forte-mente negativo, per fornire una stima del rischio di ribasso sul prezzo delle azioni, e anche uno scenario ottimale, per quantifica-re il potenziale al rialzo sul titolo».

Il vostro fondo è caratterizzato da un approccio bottom up, ma alla fine tendete ad avere overweight e underweight in determinati com-parti?«Sì: ad esempio, fra quelle società che possia-mo caratterizzare come cicliche tendiamo ad avere un overweight sistematico nell’It e fra gli industriali, mentre in ambito difensivo sovrappesi sono sempre presenti nei titoli legati alla cura della salute. Peraltro preciso

a cura di Boris Secciani

FACCIA A FACCIA CON IL GESTORE

Alla cacciadi buonemid capeuropee

PASCAL RIEGISGESTOREODDO AVENIR EUROPE

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un elemento: rispetto al benchmark, che è l’Msci Europe small&midcap net return, sia-mo neutrali per quanto riguarda l’esposizio-ne a ciclici e difensivi. Ciò si traduce in circa due terzi del nostro capitale allocato sempre nel primo gruppo e il rimanente terzo nel secondo».

Quale orizzonte temporale avete?«In media le azioni rimangono nel novero dei nostri investimenti per circa tre anni, il che non vuole dire che non vi siano casi in cui abbiamo detenuto singole posizioni per una quantità significativamente maggiore di tempo. Inoltre nell’arco di 12 mesi modifi-chiamo circa il 30% del nostro portafoglio, un livello che include anche l’aumento o la diminuzione di posizioni già in essere».

Vedete occasioni nell’area sud-eu-ropea?«In realtà la nostra esposizione a questa por-zione del continente è decisamente modesta. Se infatti, ad esempio, ci concentriamo sul listino spagnolo, non troviamo molte azien-de, tra le mid cap, che rientrano nei nostri criteri. Non a caso in Spagna abbiamo solo una posizione, in una società che produce software per il booking dei passeggeri sugli aerei. La clientela è costituita da compagnie aeree: di conseguenza dipendenti, infrastrut-ture e mercati di sbocco sono dislocati in tutto il continente europeo con un limitato legame con l’economia spagnola. In Italia, in-vece, vi sono molte aziende che soddisfano i criteri che cerchiamo, ma le quotazioni in questo ambito sono estremamente elevate: su alcune società industriali di ottima qualità i multipli nell’ultimo triennio si sono pratica-mente raddoppiati a fronte di fondamentali che non sono cambiati così tanto. Perciò at-tualmente la nostra posizione fra le mid cap italiane è molto limitata».

In generale tutta questa asset class ha corso molto negli ultimi anni. Ritenete che vi possano essere pe-ricoli strutturali in questo segmen-to?«Quando si parla di mid cap si intendono aziende la cui capitalizzazione borsistica può arrivare fino a 10 miliardi di euro, di conse-guenza il loro comportamento non è cosi dif-ferente dal mercato in generale. Sicuramente

le quotazioni sono elevate, particolarmente per quelle imprese tipicamente growth, e va detto che comunque in generale nell’ultimo triennio la volatilità dei nostri investimenti è stata inferiore rispetto all’equity europeo. Questa tendenza è data da una parte da un migliore mix settoriale di questa asset class rispetto al listino generale e dall’altra da un minore livello di leva nei bilanci. Nell’anno passato la volatilità delle mid cap è stata leg-germente superiore rispetto a quella dell’a-zionario europeo nel suo complesso, anche se comunque, per quanto riguarda lo Stoxx 50, il nostro portafoglio ha mostrato minori oscillazioni grazie a un più elevato livello di diversificazione».

Quanti titoli tenete in portafoglio?«Generalmente non più di 50; attualmente ne abbiamo 45 e i primi 10 costituiscono il 45% dei nostri attivi complessivi, mentre i restanti 35 coprono il 55%. Oltre alla diver-sificazione a limitare la nostra esposizione al rischio vi è anche il fatto che generalmente manteniamo almeno l’8-10% dei nostri asset in cash. Detenere riserve in liquidità relativa-

mente elevate è qualcosa che facciamo dal 2003 e che ci ha permesso di subire minori perdite nelle fasi di crisi».

Come cambia la composizione set-toriale delle mid cap rispetto alle grandi aziende?«Vi è un’ovvia differenza di peso fra i vari set-tori: nell’ambito in cui investiamo chiaramen-te c’è una minore presenza di banche, utility, società petrolifere e telecom a fronte invece di più gruppi che operano nell’industria, nella tecnologia e nell’immobiliare. Però anche in comparti che hanno sui rispettivi benchmark un peso simile si possono evidenziare signi-ficative differenze nella loro composizione. Un caso emblematico è quello della cura della salute. Tra le big cap si trovano soprat-tutto grandi aziende farmaceutiche, mentre l’equivalente delle mid è decisamente più diversificato. In esso infatti ci sono non solo società del pharma, ma anche produttori di strumenti diagnostici, realtà che lavorano nel packaging dei medicinali, imprese che offro-no soluzioni innovative a livello di radiotera-pia e altre».

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di Boris Secciani

Diversamente rispetto ai tradi-zionali criteri Esg (environmental, social, governance) con cui veni-vano gestiti gli strumenti social-mente responsabili, oggi i money manager puntano su quasi ogni segmento dell’economia e in ogni area geografica, purché le società sulle quali si investe osservino determinati parametri in termini di trasparenza, di rispetto dei la-voratori e di tutela dell’ambiente

«L’economia mondiale continua a cresce-re a un ritmo che non potrà proseguire per sempre. I livelli di biossido di carbonio nell’atmosfera non sono mai stati così ele-vati in 3 milioni di anni e contribuiscono a generare gli eventi meteorologici estremi sempre più frequenti. L’utilizzo di materia-li naturali è triplicato negli ultimi 40 anni e comporta un maggiore degrado ambien-tale e sfide crescenti sul fronte dell’inqui-namento urbano. E ancora oggi quasi un miliardo di persone vive con meno di 2 dollari al giorno, non ha accesso ad acqua pulita e soffre di malnutrizione, contri-buendo alle crescenti difficoltà legate alle politiche globali sui migranti. Gli enormi

GESTORI

AZIONARI SOCIALMENTE RESPONSABILI

Grandi opportunità per chi ha pazienza

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WOLFGANG PINNERresponsabile Sri

Raiffeisen Capital Management

Meno rischioe rendimenti più stabiliCome nasce la vostra gestione di prodotti Esg?«Il principale vantaggio del nostro processo di selezione risiede prima di tutto nel fatto che il tema della sostenibilità è veramente coerente con i processi d’investimento di Raiffeisen Capital Management. Abbiamo costruito un modo di operare all‘avanguardia, con l’integrazione fra i fat-tori Esg e quelli finanziari, l’identificazione dei rischi legati ai criteri Esg e le fonti di ricerca per il nostro processo, siano esse interne o esterne. L’esperienza del team Sri è di lungo termine. Ci avvaliamo di diversi partner e abbiamo sviluppato un dettagliato processo di engagement, ovve-ro di dialogo, con oltre 200 contatti all’anno, con imprese ed emittenti di titoli su diversi livelli. Abbiamo così raggiunto un’elevata qualità Esg del portafoglio. Il nostro processo d‘investimento sostenibile è basato su tre livelli di analisi. Il primo è incentrato sui criteri di esclusione secondo i valori Esg, come l’uso del lavoro minorile nel processo produttivo (a livello societario) oppure l’esistenza della pena di morte nel proprio ordinamento (a livello statale). Il secondo grado di analisi applica un modello proprietario che combina un ampio set di dati finanziari e sostenibili, in cui si inserisce anche il terzo pilastro, che è lo sviluppo del processo di engagement cui abbiamo accennato. L’universo d’investimento così co-stituito diventa, infine, la base per costruire il portafoglio sostenibile»

Sul piano dei criteri squisitamente di investimento come vi muovete?«Oltre ai tipi di analisi citati, ci sono la ricerca fondamentale del team Esg e quella in cooperazione con altri team di Rcm e di Raiffeisen Research. La ricerca fondamentale si focalizza sempre sul tema della qualità dei titoli. Per raggiungere un ottimo livello nei portafogli, i criteri per noi fon-damentali sono la qualità del bilancio, un business model adeguato e il posizionamento della società nel proprio settore, oltre alle cinque forze competitive di Porter».

Escludete del tutto alcuni comparti?«In generale evitiamo di escludere a priori interi settori di mercato. Ci focalizziamo quindi sull’analisi approfondita dei singoli titoli. Ciò perché riteniamo che sia possibile trovare azioni interessanti anche in settori all’apparenza più complessi dal punto di vista dei criteri Esg, come ad esem-pio Umicore, un’impresa belga che produce materie prime tramite il riciclaggio anche dei rifiuti elettronici. Ci sono in ogni caso segmenti che non rientrano nel nostro universo Esg, ossia armamenti e tabacco».

Vedete opportunità nei mercati emergenti, in particolare in Cina?«In rapporto ai mercati sviluppati il potenziale di miglioramento sembra quasi smisurato, sia a livello sociale, sia di inquinamento ambientale. Gli investimenti nei mercati emergenti sono sempre proiettati al futuro, ma l’universo sostenibile rende possibile costruire un portafoglio diversificato anche nel presente. Il livello della qualità sostenibile del portafoglio negli emerging market si trova a un grado più basso rispetto agli investimenti nei mercati sviluppati. In ogni caso, ci aspettiamo un miglioramento della qualità sostenibile e del numero dei titoli, cioè l’universo investibile. Rispetto alla Cina, il piano quinquennale è solo un esempio delle nuove diverse misure adottate dal governo volte a promuovere lo sviluppo so-stenibile. Gli immensi costi dell’inquinamento della natura causano un cambiamento di mentalità e alcune soluzioni, come l’energia rinnovabile, rendono possibile un aumento del tasso di crescita».

Quale tipo di volatilità ci si può aspettare in questi prodotti, durante le fasi di turbolenza?«Gli investimenti Esg di solito ottengono una riduzione del rischio e producono rendimenti più stabili nel tempo. Questo effetto è basato su due caratteristiche tipiche dei fondi sostenibili. In primo luogo questi strumenti si avvalgono di maggiori informazioni rispetto a quelli tradizionali, permettendo quindi di conoscere meglio l’azienda su cui si intende investire. Inoltre adottare un approccio sostenibile consente di analizzare un numero più ampio di criteri di rischio, come ad esempio i problemi ambientali o reputazionali, aumentando il valore dato al risk management del portafoglio e alla qualità delle società sulle quali si punta».

Ritenete che l’attuale direzione dell’amministrazione americana possa rappresentare una minaccia per il mondo degli Sri?«Mi sembra che la politica del nuovo presidente statunitense non sia un pericolo per il trend globale di miglioramento del significato della sosteni-bilità. Ci sono diversi stati federali che continuano a sostenere il tema, mentre il presidente Trump finora non ha mantenuto la maggior parte delle promesse fatte durante la campagna elettorale».

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investimenti della Cina in tecnologie ver-di condurranno il pianeta verso un futu-ro più pulito o il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima darà inizio a una corsa al ribasso sul fronte delle nor-me in materia di emissioni di gas serra e inquinamento?» In questo intervento di Mark Haefele, global chief invest-

MARK HAEFELEglobal chief investmentofficer wealth managementUbs Wealth Management

ment officer wealth management di Ubs Wealth Management, vi è il sunto del tema di gestione comunemente noto come fondi azionari Sri (socially responsi-ble investment). Questi ultimi hanno visto in tempi recen-ti un profondo cambiamento dei criteri Esg (environmental, social, governance) con cui operano. Fino a qualche anno fa questo tipo di prodotti era volto essen-zialmente a escludere alcuni comparti considerati particolarmente problematici, quali armi, tabacco e gioco d’azzardo, per andare a investire in maniera molto mar-cata sui produttori di energie rinnovabi-li. Un moderno fondo Sri, invece, investe su quasi ogni segmento dell’economia e in ogni area geografica, purché le società sulle quali si punta osservino determina-ti parametri in termini di trasparenza, di rispetto dei lavoratori e di tutela dell’am-biente. È interessante notare che molti grandi gruppi, specialmente quelli più in-novativi, sembrano intenzionati a investire in questo campo di loro spontanea volon-tà, senza particolari pressioni politiche.

UN’IDEOLOGIA CHE CRESCESi sarebbe tentati di liquidare l’adozione di criteri Esg come una vanità ideologi-ca o al massimo un’operazione di Pr, in particolar modo nel caso dei titani della Silicon valley, spesso bersaglio di critiche per altri aspetti. In realtà la crescita di questa filosofia di investimento e di ge-stione aziendale ormai permea anche

LISA LIMportfolio manager

Columbia Threadneedle Investments

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ALIX FOULONNEAUequity specialist del team

sustainable investorsUbs Asset Management

Cerchiamo i migliori nella sostenibilità e nei fondamentaliCome nasce il vostro approccio ai vostri fondi azionari Sri?«Storicamente il processo di investimento Sri è stato legato a un concetto di sostenibilità che porta a escludere alcune tipologie di azioni. Ad esempio, fra queste rientrano le cosiddette sin stock, in particolar modo le aziende legate al tabacco, al gioco d’azzardo e alla produzione di armamenti. Il nostro approccio è invece onnicomprensivo ed è reso possibile dall’enorme quantità di dati che sono stati generati negli ultimi anni, che noi sfruttiamo per arrivare a quello che definiamo un processo olistico di investimento. Infatti alle nostre misure proprietarie di impatto ambientale e qualità della governance accompagniamo un processo di stock picking e di gestione del rischio estremamente disciplinato».

Può specificare qualche dettaglio?«La nostra offerta si compone di quattro fondi azionari Sri. Essenzialmente escludiamo ancora diverse tipologie di aziende, che però rientrano in categorie più ampie rispetto a quelle stori-che. Oltre agli alcolici, al tabacco e alle armi, tralasciamo di allocare capitali anche nell’industria delle acque minerali, che rappresenta una fonte importante di inquinamento da materie plastiche, mentre non escludiamo a priori le compagnie minerarie, anche se attualmente non siamo investiti in alcuna di esse. Scegliamo poi i gruppi che riteniamo i migliori all’interno del proprio com-parto. Per fare ciò ci serviamo di un database continuamente aggiornato, che ormai copre oltre 10 anni: il nostro sistema di scoring è reso possibile da fornitori terzi, che elaborano oltre 300 indicatori. Molti di essi sono in realtà piuttosto oscuri e noi ci focalizziamo su circa 80 fra essi. Di solito a ogni azienda ne applichiamo circa una trentina, infatti non tutti fra gli 80 menzionati sono rilevanti per ogni gruppo: pensiamo ad esempio al trat-tamento delle acque reflue nell’industria mineraria o all’attenzione alle norme anti-riciclaggio da parte delle banche. Per esaminare i fondamentali finanziari ci serviamo di un modello proprietario articolato in quattro fasi basato sulle stime del cash flow aziendale. I nostri analisti utilizzano questo modello in tutti i 40 settori che coprono. Infine prestiamo attenzione al fatto che le valutazioni siano accettabili. Ogni società in cui inve-stiamo deve comunque risultare nel 25% migliore del proprio gruppo, sia per quanto riguarda la sostenibilità, sia sulla base dei criteri finanziari».

Il vostro approccio è bottom up: guardate anche ad alcuni mega-trend che caratterizzano la sostenibilità?«Sì, certamente, investiamo su temi di lungo periodo che riteniamo fondamentali per lo sviluppo futuro. Fra questi ricordiamo la continua cre-scita degli agglomerati urbani sul pianeta e l’invecchiamento della popolazione, che sta portando a una sempre crescente richiesta di temi che riguardano la cura della salute. Ovviamente siamo interessati al segmento dell’energia, ma non ci limitiamo solamente ai produttori della filiera delle fonti rinnovabili. Siamo ad esempio estremamente interessati a tutte le innovazioni che portano a minori consumi energetici complessivi. Ma sottolineiamo che non abbiamo esposizione a utility che producono quote sempre crescenti di energia da rinnovabili, in quanto le prospettive a livello di fondamentali non sono certo interessanti».

A livello geografico come siete posizionati?«L’eventuale overweight geografico deriva dal nostro processo di stock picking: ad esempio nel fondo dedicato ai temi di lungo periodo abbiamo una sovraesposizione all’Asia in generale e al Giappone in particolare. Il tutto però è il risultato dell’abbondante quantità di aziende che rispon-dono ai nostri criteri presenti nell’area e che rientrano nei temi di lungo periodo, in particolare la crescita dell’urbanizzazione e l’invecchiamento della popolazione».

Avete investito in azioni cinesi?«Abbiamo nello stesso prodotto citato in precedenza diversi titoli cinesi, anch’essi legati al processo di urbanizzazione e invecchiamento della popolazione. Spesso però la nostra esposizione al Dragone passa attraverso investimenti in aziende occidentali con una forte presenza sul mer-cato cinese».

Temete che vi sarà una minore attenzione nei confronti dei temi dell’economia sostenibile in futuro?«Ovviamente, quando Donald Trump ha annunciato che avrebbe ritirato gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, questa preoccupazione è diventata particolarmente diffusa fra investitori e osservatori. Non pensiamo però che il rischio politico di un cambiamento di rotta sia sostanziale. Questo perché sono le aziende stesse, al di là del quadro legislativo, che spingono verso soluzioni più sostenibili. Basti pensare a come Amazon ha annun-ciato di volere raggiungere entro 15 anni una quota pari al 50% dei propri consumi energetici da fonti rinnovabili. Si tratta di fenomeni che sono richiesti dagli stessi consumatori e che forniscono alle società innovazioni in grado di tagliare i costi, oltre che aprire nuove linee di business».

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industrie considerate ideologicamente “di destra”, come quella petrolifera che prima o poi dovrà fare i conti con il problema dei cosiddetti stranded cost, nonché nazioni come la Cina, vista (non a torto) come una realtà iper-nazionalista e dedita a un capitalismo piuttosto brutale. Oggi l’adozione di pratiche più eque e sostenibili potrebbe volere dire non solo un aggravio di costi per foraggiare vanità da tecnocrati, bensì la possibilità di dare alla luce una serie di migliorie incremen-tali, se non vere e proprie rivoluzioni tec-nologiche in grado di estendere l’accesso allo sviluppo capitalista ad altri miliardi di persone, senza sovraccaricare le risorse del pianeta oltre il punto di non ritorno. Pensiamo, ad esempio, alla possibile rivolu-zione dell’auto elettrica e ancora di più a come questo tipo di energia verrà genera-to, a nuove tecniche agricole, a forme di-verse di lavoro e a tantissimi progetti volti a rendere l’ambiente meno tartassato.

UN POTENZIALE IMMENSOCome accennato, si tratta di temi dal potenziale immenso, che in prospettiva riguardano in particolar modo i mercati emergenti. Interessante e indicativo appa-re il parere di Lisa Lim, portfolio ma-nager di Columbia Threadneedle Investments: «I fattori ambientali, so-ciali e di governance (Esg), a lungo fonte di preoccupazione nelle società sviluppate, stanno rapidamente assumendo un’impor-tanza crescente nelle economie emergen-ti. Le sfide potrebbero essere maggiori, ma

studi recenti mostrano che i gestori pa-trimoniali che investono in società impe-gnate a migliorare la propria performance Esg possono mettere a segno interessanti risultati. Venti anni fa, le economie emer-genti erano alle soglie di un boom alimen-tato dalle materie prime: un’epoca carat-terizzata dalle scavatrici che estraevano carbone dal suolo e dall’inquinamento prodotto dalle acciaierie. La mentalità sta rapidamente cambiando: le parti coinvolte, dai politici agli investitori, adottano ora un approccio più olistico nel concepire una crescita economica sostenibile. In tale contesto, l’analisi Esg offre agli investitori un prezioso strumento per esaminare le società dall’interno, valutandone la qualità, la leadership, l’orientamento strategico, le norme adottate nella prassi operativa e la capacità di rispondere alle sfide e ai rischi intrinseci nei rispettivi settori. In pratica, specialmente per quanto riguarda le gran-di economie in via di sviluppo, inglobare criteri Esg nella propria analisi finanzia-ria e dei fondamentali in qualche maniera equivale a puntare sui settori più dinamici, moderni e innovativi di nazioni come, ap-punto, la Cina».

CHI NON HA CAPITOIl problema è che finora molti investitori an-cora non sembrano avere capito le trasfor-mazioni in atto, come sembra avere dimostra-to una ricerca condotta da Hermes Asset Management: «Il sondaggio condotto tra 104 investitori istituzionali rivela che meno della metà (48%) crede che le società foca-lizzate sui criteri Esg riescano a produrre migliori rendimenti nel lungo periodo. Il dato evidenzia un drammatico calo della fiducia rispetto al 56% emerso dal sondaggio dello scorso anno; tuttavia i risultati mostrano an-che che l’86% degli investitori crede che i ge-stori dei fondi debbano incorporare i rischi di corporate governance come elemento core delle analisi di investimento». Interessante la sintesi che offre Saker Nusseibeh, chief executive officer di Hermes Investment Management: «Molti investitori sono an-corati alla persistente convinzione che per andare incontro a criteri Esg qualcosa debba essere sacrificato». Appunto l’idea che l’ap-proccio Esg è un lusso e non qualcosa che sempre di più è destinato a divenire sempli-cemente la modalità normale e razionale con cui si farà business. Per gli investitori pazienti le opportunità saranno enormi.

SAKER NUSSEIBEHchief executive officer Hermes Investment Management

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Nella piattaforma di Allfunds Bank, non sono presenti peer group dedicati esclu-sivamente a fondi con valori etici, social-mente responsabili nella scelta dei titoli o con principi Esg. Però, solitamente vengono tenuti in considerazione tutti questi aspetti per valorizzare alcune strategie rispetto ad altre: sappiamo, infatti, che nello scegliere uno strumento, se una determinata gestio-ne applica i principi Esg, il prodotto potrà avere maggiore solidità nella crescita di lun-go periodo, anche se magari viene definito come growth o con altre particolarità. Ciò significa che sono presenti fondi con criteri di selezione responsabile e sociale dei titoli in molti peer group.Per approfondire l’analisi, è stato rilevato l’ammontare degli afflussi in prodotti con questi valori compiuto da investitori italiani attraverso la piattaforma di Allfunds Bank: il totale della raccolta con questi principi or-mai ammonta a più di 2 miliardi sui 180 che viene intermediato, oltre l’1%. I fondi sono tendenzialmente equity e comprendono varie zone geografiche. Gli strumenti con criteri sostenibili presenti nella piattaforma con investimenti attivi sono circa 150.Nella nostra analisi abbiamo preso in con-siderazione quattro strategie: Pictet Cle-an Energy, Pioneer Global Ecology, Robeco Global Consumer Trend e Schroder Global Climate Change. Il periodo esaminato è i tre anni che finiscono al 31 dicembre 2017. La valuta utilizzata è il dollaro, mentre il benchmark è l’Msci World Net Return Usd, che viene considerato solo per un confronto statistico.I trend dei fondi sono di fatto simili a quelli dell’indice. Tra questi il prodotto di Pictet ha avuto un rendimento inferiore rispetto agli altri, mentre si distinguono rispetto al ben-a cura di Roberto Fenoglio,

head of investment solutions Italy

Davide Marchetti,

investment solutions consultant

Yusuf Durmaz,

senior equity fund analyst investment

research

AZIONARI SOCIALMENTE RESPONSABILI

GESTORI

Crescita solida con i principi Esg

TICKER NOME RENDIMENTO VOLATILITÀ SHARPE ACTIVE CORRELAZIONE R2 BETA ALPHA TRACKING INFO RATIO JENSEN ALPHA TREYNOR ANNUALIZZATO PREMIUM ERROR RATIO

M1WO MSCI WORLD NET TOTAL RETURN USD INDEX -0,20% 11,00%

DBDCONIA EONIA TOTAL RETURN INDEX -1,33% 8,95%

LU0280430405 PICTET-CLEAN ENERGY-IUSD 3,96% 14,43% 0,37 4,15% 0,86 0,74 1,13 4,18% 7,54% 0,55 0,03 0,05

LU0324479020 PIONEER FDS-GLBL ECOLG-IEUR 7,18% 13,39% 0,64 7,38% 0,82 0,67 0,99 7,38% 7,74% 0,95 0,06 0,09

LU0187079347 ROBECO-ROB GL CON TR EQ-DE 10,61% 12,37% 0,97 10,81% 0,81 0,65 0,91 10,79% 7,40% 1,46 0,10 0,13

LU0302446132 SCHRODER INT-G CLIM CH-CUSDA 10,13% 12,11% 0,95 10,33% 0,57 0,33 0,63 10,26% 10,72% 0,96 0,10 0,18

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chmark le strategie di Robeco e di Schroder, che hanno rapporti di efficienza migliori. A un’analisi statistica, il comparto di Schro-der sembra il migliore, se consideriamo il rischio, la correlazione con l’indice e il beta contenuto. Tutti gli strumenti hanno avuto gli ultimi quattro anni positivi, se escludiamo il -3.56% del fondo di Schroder nel 2014 e un paio di bilanci negativi di quello di Pictet, nel 2014 e nel 2015 con rispettivamente -1,64% e -11,82%.

Luciano Diana e Xavier Chollet di PICTET CLEAN ENERGYQuesta strategia ha come target di lungo periodo incrementare il valore del capitale investendo almeno i due terzi del portafo-glio in società che perseguono un obietti-vo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica: si tratta di aziende che lavorano con regole ambientali ecologiche o in sta-ti all’avanguardia. A tutto ciò si unisce una selezione dei gruppi sulla base di analisi qualitative bottom-up. Complessivamente l‘individuazione dei titoli si svolge in tre fasi: formazione delle idee, thematic screen e as-segnazione dei punteggi.Il portafoglio finale è composto da circa 50-60 titoli ed è solitamente full invested, a parte un 5% in cash mantenuto per gestire i flussi. Il benchmark di riferimento ha solo uno scopo di comparazione, ma in realtà non viene considerato. Ogni azione ha un peso iniziale del 6%; successivamente si pas-sa a un range che va dallo 0% al 9%, a secon-da dell’analisi fondamentale e ambientale.Il fondo è gestito dal team di Pictet Am’s sector and themes funds unit. I due portfolio manager sono Luciano Diana, che opera dal 2009, e Xavier Chollet, presente dal 2015; il team è supportato anche da cinque

TICKER NOME RENDIMENTO VOLATILITÀ SHARPE ACTIVE CORRELAZIONE R2 BETA ALPHA TRACKING INFO RATIO JENSEN ALPHA TREYNOR ANNUALIZZATO PREMIUM ERROR RATIO

M1WO MSCI WORLD NET TOTAL RETURN USD INDEX -0,20% 11,00%

DBDCONIA EONIA TOTAL RETURN INDEX -1,33% 8,95%

LU0280430405 PICTET-CLEAN ENERGY-IUSD 3,96% 14,43% 0,37 4,15% 0,86 0,74 1,13 4,18% 7,54% 0,55 0,03 0,05

LU0324479020 PIONEER FDS-GLBL ECOLG-IEUR 7,18% 13,39% 0,64 7,38% 0,82 0,67 0,99 7,38% 7,74% 0,95 0,06 0,09

LU0187079347 ROBECO-ROB GL CON TR EQ-DE 10,61% 12,37% 0,97 10,81% 0,81 0,65 0,91 10,79% 7,40% 1,46 0,10 0,13

LU0302446132 SCHRODER INT-G CLIM CH-CUSDA 10,13% 12,11% 0,95 10,33% 0,57 0,33 0,63 10,26% 10,72% 0,96 0,10 0,18

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analisti che coprono la parte energy efficien-cy e gas naturali. Il team e la sua esperienza sono una prezio-sa caratteristica per questo prodotto; inol-tre la flessibilità della gestione, che non usa un benchmark di riferimento per l’asset al-location, permette di esplorare nel migliore dei modi l’universo investibile e di scegliere i titoli che abbiano un impegno in tematiche di clean energy. Per questo consideriamo questa strategia come high conviction del peer new energy.

Simon Weber di SCHRODER ISF GLOBAL CLIMATE CHANGELo Schroder Isf Global Climate Change ha come obiettivo battere l’indice Msci World Nr Usd su un intero ciclo economico. La strategia non è comunque legata al bench-mark, dato che l’obiettivo della selezione

è scegliere società che sono focalizzate sui cambiamenti climatici. La convinzione del team è che la crescita di quelle imprese che tengono in considerazione i mutamenti del clima possa essere più solida e duratura. Questo strumento è stato lanciato nel 2007. La selezione si focalizza su cinque punti: ef-ficientamento energetico, basse emissioni di CO2, clean energy, trasporti sostenibili e risorse ambientali. Nell’individuazione dei titoli il gestore cerca di valutare tutti questi aspetti e l’importanza che le società danno alla ricerca e sviluppo in queste tematiche. Nella scelta delle azioni il money manager assegna uno score Esg (environmental, so-cial, governance) a ogni impresa analizzata che viene poi considerato al momento della decisione definitiva.Il portafoglio finale è composto da circa 40-60 titoli. Il tracking error è mantenuto soli-tamente in una fascia che va dal 4% al 10%. Il fondo può investire fino al 20% nei paesi emergenti, mentre il livello di cash general-mente rimane inferiore al 5%.Il gestore del fondo è Simon Weber, che vanta più di 15 anni di esperienza. Si-mon decide i titoli da acquistare e sviluppa la strategia. È supportato da due analisti, Dan McFetrich e Owen Scarrott, e usufru-isce dell’aiuto di tre team per la selezione: il climate change specialists, il global sector specialists e lo Schroder’s global and inter-national equity team. Il fondo lo consideriamo high conviction della categoria ecology per diverse ragioni: l’esperienza del manager, la dedizione alla ri-cerca di società focalizzate sui cambiamenti climatici e la convinzione di maggiori poten-zialità di crescita di queste aziende.

Christian Zimmerman e Ian O’Reilly di PIONEER FUNDS GLOBAL ECOLOGYL’obiettivo di questo fondo è ottenere una rivalutazione del capitale investendo pre-valentemente i suoi attivi in un portafoglio diversificato di azioni emesse da società che producono prodotti eco-sostenibili. Lo strumento, nonostante il bias ambientale, si confronta con l’Msci World Index.La strategia è gestita da Christian Zim-merman (lead portfolio manager) e Ian O’Reilly (co-portfolio manager). Il proces-so d’investimento è caratterizzato da uno

screening iniziale utilizzato per escludere le aziende che operano nel tabacco, nell’alcol, nelle armi, nelle scommesse e nella porno-grafia e le società che violino i diritti civili. Il secondo step è la ricerca fondamentale pura, sia tramite uno screening quantitativo, sia sulla base di approfondimenti specifici per i titoli che vengono ritenuti più promet-tenti dai gestori. Il patrimonio è investito prestando particolare attenzione ai rischi insiti nei vari strumenti: in questo lavoro vie-ne in aiuto il tool proprietario di Pioneer, che isola tutti i fattori di rischio presenti nel portafoglio. Il peso medio di una posizione è dell’1-2%, con l’obiettivo di non superare mai il 3% su un singolo titolo. Le azioni dete-nute vengono liquidate se si verificano le se-guenti condizioni: il limite inferiore di prezzo viene raggiunto, la società viola i criteri di sostenibilità del fondo, l’investment case non è più convincente, si rende disponibile una migliore occasione di investimento. Il fondo è considerato una buona second option nella categoria ecology per il proces-so di selezione e la sua esposizione anche ad aziende di dimensione inferiore.

Jack Neele e Richard Speetjens di ROBECO GLOBAL CONSUMER TRENDS EQUITIESIl fondo si prefigge di ottenere un rendimen-to del 5% annuale con un orizzonte tempo-rale di circa tre-cinque anni. Il portafoglio è costituito generalmente da 50-70 titoli che si pensa possano beneficiare di uno dei se-guenti trend: futuro digitale, mercati emer-

LE CLASSIFICHE DI CITYWIREA UN ANNO

I LEADER NEL SOSTENIBILE

1° Henning Padberg e Thomas SørensenNordea 1-Global Climate and Environment Bp Eur

2° Gabriel Micheli Pictet-Global Environmental Opportunities-P Eur

3° Luciano Diana e Alina DonetsPictet-Global Environmental Opportunities-P Eur

4° Roman BonerSwc (Lu) Ef Global Climate Invest Dt

5° Hans Peter PortnerPictet - Global Environmental Opportunities-P Eur e Pictet-Global Thematic Opportunities-I Eur

6° Jens Peers Mirova Global Sustainable Equity R/A (Eur)

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La presente scheda (“il documento”) è una presentazione preparata da Allfunds Bank S.A. (“la Banca”). Le informazioni riprodotte nel presente documento non sono e non devono essere intese come ricerca in materia di investimenti, né una raccomandazione o un suggerimento, implicito o esplicito, rispetto ad una strategia di investimento avente ad oggetto gli strumenti finanziari trattati o emittenti strumenti finanziari, né una sollecitazione o offerta, consulenza in materia di investimenti, legale fiscale o di altra natura. Il documento contiene informazioni sintetiche sulle caratteristiche e sui rischi principali di uno strumento finanziario, ha un mero contenuto informativo e riporta solo le informazioni ritenute più rilevanti per la comprensione degli strumenti finanziari e dei loro rischi. Per una descrizione approfondita dello strumento finanziario e dei suoi rischi si rimanda al KIID ed al Prospetto Informativo. Il presente documento contiene informazioni che possono differire rispetto a quelle indicate nella documentazione ufficiale in tal caso valgono queste ultime. Tutte le informazioni contenute in questo documento sono fornite in buona fede sulla base dei dati disponibili al momento in cui è stata redatta.Questo documento si basa su informazioni e fonti considerate attendibili, ma di cui la Banca non è in grado di assicurare l’esattezza, a tal fine, quindi. la Banca non è responsabile per even-tuali errori, omissioni o inesattezze. È stata adottata la massima diligenza possibile al fine di selezionare le fonti di provenienza dei contenuti. La Banca non offre alcuna garanzia, espressa o implicita, né esprime alcuna dichiarazione in merito all’esattezza, adeguatezza o possibilità di accedere a detti contenuti, alla disponibilità degli stessi o al loro utilizzo. La Banca non sarà pertanto responsabile, di nessuno dei suddetti contenuti. Le informazioni sono fornite unicamente a scopo informativo.Il trattamento fiscale applicato dipenderà dalle circostanze individuali di ciascun investitore e può essere soggetto a cambiamenti in futuro. Si prega di consultare i propri consulenti fiscali, contabili e legali. Gli strumenti finanziari presentati sono soggetti ai rischi di mercato e non c’è alcuna certezza o garanzia che gli obiettivi degli stessi siano raggiunti. Il valore degli investi-menti è soggetto a variazioni anche in virtù delle oscillazioni dei tassi di cambio. Alcuni dei principali rischi dell’investimento sono: rischi associati al territorio, rischi di non liquidità, rischi di portafoglio concentrato, rischi di rendimento del portafoglio, rischi di gestione, rischi sui derivati, rischi di prestito, rischi fiscali e rischi azionari. Questi ed altri rischi sono descritti nel prospetto informativo. I potenziali investitori devono leggere attentamente il prospetto informativo per avere informazioni sui rischi, al fine di stabilire se l’investimento è adatto a loro. I seguenti rischi possono aumentare la volatilità del prezzo del fondo, amplificando gli effetti del mercato. Si prega di tenere conto, al momento di investire, che: (i) Gli investimenti in titoli azionari sono soggetti ai rischi di mercato, alle condizioni economiche e politiche dei paesi in cui si effettuano gli investimenti e, potenzialmente, al rischio legato ai tassi di cambio valuta. (ii) Gli investimenti in titoli obbligazionari sono principalmente soggetti ai rischi sul tasso d’interesse, sul credito e sulla insolvenza e, potenzialmente, al rischio legato ai tassi di cambio valuta. (iii) Gli investimenti in absolute return e strategie alternative sono principalmente soggetti al tasso d’interesse, alla liquidità di mercato, al rischio di credito e insolvenza e,potenzialmente, al rischio legato ai tassi di cambio valuta. L’uso di prodotti finanziari come parte del processo di investimento può inoltre generare rischi relativi a restrizioni di liquidità e leva finanziaria. (iv) Gli investimenti nei mercati emergenti e/o in piccole società possono comportare un più elevato grado di rischio essendo potenzialmente più volatili rispetto a quelli effettuati nei mercati sviluppati o nelle grandi società.Le performance registrate in passato non sono necessariamente indicative di analoghe performance future. I rendimenti sono al lordo degli oneri fiscali. Il valore dell’investimento è soggetto a fluttuazioni. Il presente materiale informativo non è stato soggetto all’approvazione di alcuna autorità degli Stati Membri europei.

PERFORMANCE ANNUALI

PERFORMANCE A TRE ANNIgenti e brand famosi e riconosciuti. Gene-ralmente questo strumento è totalmente investito con un buffer del 5% in monetario per gestire flussi in entrata e in uscita. Jack Neele e Richard Speetjens ge-stiscono il comparto: entrambi hanno più di 15 anni di esperienza nel settore dell’asset management e fanno parte del thematic in-vesting team. Il processo di investimento è caratterizzato da tre step: top down, bot-tom-up e costruzione del portafoglio. La ricerca macroeconomica è concentra-ta sui settori focus del comparto. Il primo è le tecnologie digitali, in particolare nei paesi sviluppati, che stanno conquistando spazi sempre più ampi e invadendo mercati che sembravano inattaccabili, mentre negli emergenti si cerca di sfruttare la forte cre-scita dei consumi dovuta all’aumento della popolazione, anche per quanto riguarda l’in-cremento della domanda su prodotti desti-nati a clientela di alto profilo finanziario.Il portafoglio è costruito con regole abba-stanza rigide e predefinite: i pesi sono asse-gnati in base a criteri di rischio/rendimento e convinzione sul business. Ne risulta quindi un portafoglio abbastanza concentrato che tuttavia viene incrementato (in termini di posizioni) in periodi di particolare volatilità sui mercati. Un grande vantaggio di questa strategia è costituito dalla sua ricerca di tito-li tematici, legati alla crescita dei paesi emer-genti, e dall’applicazione di principi Esg. Lo status del fondo nella nostra focus list è di satellite nel peer consumer discretionary.

MSCI WORLD NET TOTAL RETURN USD INDEXROBECO ROB GL CON TR EQ DE

PICTET-CLEAN ENERGY-IUSD

SCHRODER INT-G CUM CH-CUSDA

PIONEER FDS-GLBL ECOLG-IEUR

2017 2016 2015 2014

nov. 2014 nov. 2015 nov. 2016 nov.2017

120

100

80

MSCI WORLD NET TOTAL RETURN USD INDEXROBECO ROB GL CON TR EQ DE

PICTET-CLEAN ENERGY-IUSD

SCHRODER INT-G CUM CH-CUSDA

PIONEER FDS-GLBL ECOLG-IEUR

30%

25%

20%

15%

10%

5%

0%

-5%

-10%

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Attenti alTreasury!

OBBLIGAZIONI

COVER STORY

di Boris Secciani

Nell’anno in corso i Treasury co-stituiranno la chiave di volta di tutto il mondo della finanza: dalla parte a più lunga scadenza della curva Usa dipendono le quota-zioni, assolute e relative, di quasi tutti gli asset rischiosi sul pianeta. Ma il comportamento di questo segmento è tutt’altro che scon-tato, con la Fed che sta alzando i tassi, l’economia che potrebbe avere un andamento imprevedibi-le e un appiattimento della curva che comincia a diventare molto simile a quello che si verifica nel-le fasi di recessione. In un simile contesto qualche strategia ope-rativa valida nella gestione del debito comunque ancora esiste, anche se appaiono altamente im-probabili i guadagni ottenuti negli anni passati

Il 2018 sarà con ogni probabilità l’anno dei Treasury statunitensi. L’affermazione può sembrare un po’ forte: se si considera la

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Il difficile percorso della FedIl rischio di stringere troppo i cordoni della bor-sa e causare quindi un evento recessivo appa-re evidente a Witold Bahrke, senior macro strategist di Nordea Asset Management: «La curva di rendimento Usa si è appiattita considerevolmente nel corso di quest’anno e ha attirato molta attenzione, poiché è uno degli indicatori di recessione più osservati dal mer-cato. Di norma, infatti, una curva di rendimento inversa è il segnale di una possibile contrazione dell’economia americana in un futuro non trop-po lontano. Al momento, tuttavia, ci sono ancora circa 60 punti base a separarci da un simile sce-nario e i rischi di una recessione, quindi, sono bassi, ma in aumento, almeno secondo quanto suggerisce la cosiddetta Professor Curve. Perché preoccuparsi quindi? L’appiattimento della curva di rendimento è il riflesso di condizioni di politica monetaria meno accomodanti. I tassi a breve termine (sostanzialmente i costi di finanziamento) sono saliti, mentre i valori sul lungo periodo (ovvero i potenziali rendimenti) sono oscillati all’interno di un range molto stretto. I segnali vertono quindi verso un capovolgimento del ciclo di credito che porterebbe a una minore richiesta di prestiti. A meno che la riforma fiscale di Donald Trump non riesca a sovvertire questo trend, stando alle dinamiche del ciclo di credito, nel prossimo biennio dovremmo aspettarci un rallentamento della crescita statunitense. Le probabilità di entrare in un periodo di recessione aumentano nel caso in cui i differenziali di credito abbiano raggiunto il loro minimo all’interno del ciclo. In questo senso, gli spread sul mercato high yield potreb-bero avere già raggiunto il loro nadir e non rimane quindi che chiedersi quando possa avve-nire l’inversione della curva di rendimento. Dato che nel medio periodo inflazione e crescita potenziale sembrano destinate a rimanere basse, crediamo che ci siano scarsi margini per un rialzo nei tassi di interesse a lungo termine Usa. La curva è destinata, perciò, ad appiattirsi ulteriormente, rimettendo alle decisioni della Federal Reserve la possibilità di vedere o meno un’inversione della curva stessa. Riteniamo che sia improbabile che la Fed applichi tre rialzi nel corso del 2018: due potrebbero essere infatti già sufficienti per causare l’inversione agli inizi della seconda metà dell’anno. Storicamente, ciò porterebbe a una recessione già nei primi mesi del 2019 e a un picco del mercato azionario tra i terzo e il quarto trimestre del 2018».

IL TIMORE DI UNA TENAGLIADunque una Fed che rischia, con l’ossessione di rimanere indietro rispetto ai pericoli di infla-zione finora piuttosto fumosi e di esagerare con il freno a mano, andando a confermare una teoria comune presso diversi economisti, ossia che i cicli economici non muoiono di vecchiaia ed esaurimento, bensì vengono uccisi da politiche monetarie restrittive. L’elemento un po’ impressionante è osservare nei ragionamenti il timore di una tenaglia fatta da un lato da una stagnazione economica che di fondo non se ne vuole andare con però il rischio che le misure di stimolo all’economia scatenino le danze dell’aumento dei prezzi. Un quadro che francamente sembra più adattarsi alla Bce pre-era Draghi che all’America e al mondo di oggi. Fa in effetti pensare ancora Bahrke: «Questo contesto mostra perché un ta-glio delle tasse significativo negli Stati Uniti potrebbedare il via a un immediato guadagno, ma anche a conseguenze negative nel tempo. Uno stimolo importante all’economia forzerebbe la Fed a intervenire sui tassi anche più di tre volte, portando, come già sottolineato, a un’inver-sione della curva di rendimento e a una recessione. Al contrario, i mercati potrebbero rice-vere una nuova spinta se l’istituto di Washington tornasse accomodante, con un conseguente irripidimento della curva e l’allontanamento dei rischi di una nuova recessione».

WITOLD BAHRKEsenior macro strategist

Nordea Asset management

partenza sprint con cui è iniziato l’anno per l’equity di tutto il mondo e la vera ossessione che si sta sviluppando per le criptovalute, il reddito fisso statunitense, tutto sommato, appare un tema minore. In realtà non è così: dal complesso del de-bito statunitense, in particolar modo dalla parte a più lunga scadenza della curva, di-pendono le quotazioni, assolute e relative, di quasi tutti gli asset rischiosi sul pianeta. In particolare in questi anni di tassi a zero e quotazioni azionarie decisamente eleva-te rispetto al proprio passato, a giustifi-care, anche intellettualmente, gli elevati corsi, vi era comunque l’idea di un equity risk premium ancora considerevole.

DOZZINE DI TRILIONI IN BONDPer non parlare poi di tutti quei portafogli, dozzine di trilioni, investiti in reddito fisso di vario genere, che hanno visto, imitan-do l’andamento delle curve governative, un appiattimento generale della propria struttura a termine e una compressione sempre più forte degli spread creditizi. In pratica tutta questa impalcatura dipende

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da un bull market, o quanto meno una cer-ta stabilità, dei Treasury: è infatti difficile, a essere eufemistici, pensare che con un irripidimento ribassista serio da parte dei governativi made in Usa non si avrebbe un mezzo disastro sul debito europeo, in par-ticolare italiano, che ha corsi elevatissimi, e che l’economia continui a correre.Con ogni probabilità si avrebbe un avvita-mento recessivo fatto di una spesa pub-blica sovraccaricata da maggiori interessi, un mercato immobiliare in crisi e aziende dai margini sempre più compressi, con ge-nerose perdite inflitte agli istituzionali di tutto il pianeta, che nell’ultimo decennio si sono caricati di corporate di qualsiasi ge-nere attraverso l’intero spettro creditizio.

FORSE ANCHE QUATTRO VOLTEDetto ciò, non ci si può ovviamente di-menticare del fatto che, se le cose andran-no come devono andare, nel 2018 la Fed alzerà i tassi di interesse due-tre e forse anche quattro volte e diminuirà i propri attivi per oltre 400 miliardi di dollari. In un simile contesto, tutto sommato, l’anda-mento dell’ultimo anno e mezzo è stato a dir poco miracoloso. Il decennale statuni-tense ha infatti raggiunto il proprio mini-mo storico di rendimento nell’estate del 2016, intorno all’1,36%, un valore abba-stanza assurdo e dovuto ai mesi preceden-ti di paura per l’avvio di un nuovo round di crisi finanziaria. Gli alti e bassi dell’amministrazione Trump

MARK HOLMANceo TwentyFour Asset Management

e delle possibili riforme da essa emana-te allo scopo di spingere a una maggiore crescita e a creare inflazione non hanno generato più di tanta volatilità sul mercato del reddito fisso, con il decennale che ha finito il 2017 quasi esattamente dove l’a-veva cominciato: intorno al 2,4%. Intendia-moci, non è che il 2017 sia stato privo di giri di walzer per i Treasury, però, conside-rando come erano state le settimane finali del 2016 e i primi frangenti del 2017, non sorprende che si avverta un certo senso di scampato pericolo da parte di molti gestori di obbligazionario. Una sintesi piuttosto indicativa al riguardo arriva da Mark Holman, ceo di Twen-tyFour Asset Management: «Nel-la curva dei rendimenti la nostra scelta puntava a interessi superiori dei Treasury a 10 anni, in quanto i segnali di inflazione si erano infine insinuati, ma in ultimo solo l’aspettativa di inflazione ha spostato il ti-tolo decennale al 2,62% a marzo. In segui-to, quattro previsioni consecutive inferiori alle attese riguardo ai dati sul costo della

vita mensile hanno consentito ai Treasury di tornare fino al 2,40% come da noi ri-portato, lasciandoli più o meno invariati nel corso nell’anno. La caratteristica prin-cipale da notare è stata l’appiattimento della curva dei rendimenti in dollari du-rante l’anno, coerente con questa fase del ciclo, in cui la Banca centrale sta attuando

CHARLES MCKENZIE cio obbligazionario

Fidelity International

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FONDI&SICAV febbraio 2018 27

STRATEGIE/1

La sicurezza degli investment gradeIl fatto che la Bce continui a essere fra le istituzioni monetarie più espansive al mondo, senza contare il supporto della Bank of Japan che for-nisce enormi quantità di liquidità per il carry trade globale, e la relativa stabilità attesa per i Treasury genererebbero alcune interessanti ipotesi di investimento, qualora lo scenario di continuità si dimostrasse vero. In questi ultimi anni si è diffuso il detto secondo cui “Treasuries are the new cash”, intendendo dire con questo che la politica dei tassi negativi ha costretto molti portafogli a spostarsi dalla liquidità ai governativi più sicuri imbarcando anche il rischio di duration. Oggi invece siamo di fronte a uno scenario in cui il continuo Qe della Bce, l’effetto di sostitu-zione dato dai Treasury, nonché la liquidità giapponese limitano comunque i movimenti di ritorno alla normalità di un debito del Nord Europa a rendimenti folli rispetto all’andamento del Pil nominale europeo.

UN SEGMENTO PRIVILEGIATODi conseguenza, nell’ottica di ottenere un minimo di rendimento con rischi e volatilità molto limitati, i bond investment grade europei sem-brano trovare diversi acquirenti. Indicativo appare il ragionamento Charles McKenzie, di Fidelity International: «Nel 2017 i mercati del credito hanno beneficiato di un forte dinamismo dell’economia e di un contesto favorevole in termini di tassi d’interesse. Se queste condizioni di stabilità persistessero, i segmenti a più alto rendimento del mercato dovrebbero continuare a sovraperformare, sostenuti dal carry e da un restringimento degli spread oltre gli attuali livelli. Un rischio al rialzo per i mercati è in effetti la crescente prevalenza di cautela fra gli investitori, in particolare tra gli asset manager. La questione più urgente è rappresentata dalle valutazioni elevate e la categoria investment grade rimane il segmento privilegiato, che offre una protezione adeguata per resistere ai rallentamenti economici».

LIMITARE LA DURATIONMagari su quel mercato conviene rivolgersi alle scadenze che permettono di limitare la duration, in modo tale da compensare un minimo il rischio creditizio, accompagnandole anche con una strategia tipicamente barbell per non lasciarsi sorprendere da eventuali fiammate inflative. Il team di Degroof Petercam Asset Management sostiene: «Abbiamo deciso di ridurre la sensibilità del nostro portafoglio obbliga-zionario ai tassi di interesse preferendo quindi scadenze più brevi. Ciò nonostante, non ci aspettiamo che la normalizzazione della politica mo-netaria si traduca in rendimenti obbligazionari a lungo termine drasticamente più alti. In un panorama caratterizzato da bassi tassi, proponiamo le seguenti soluzioni: obbligazioni societarie in euro ad alto merito creditizio che offrono un incremento, anche se contenuto, di rendimento e una duration spesso inferiore a quella dell’obbligazionario governativo, e bond internazionali indicizzati all’inflazione, in particolare a quella Usa».

ADDIO LAUTI GUADAGNINei termini descritti in pratica si può ottenere qualcosa dai propri investimenti in corporate senza rischiare da una parte di subire le rovi-nose conseguenze di un deterioramento dei soggetti societari più deboli dell’economia e dall’altra di affrontare sorprese negative sul fronte dell’aumento dei prezzi. Certo non è che da un simile approccio ci si possa aspettare lauti guadagni, specialmente se poi ci si concentra sulle emissioni europee. Tanto per dare un’idea di ciò che si potrebbe spuntare in questo ambito a livello globale arriva una valutazione da Andrea Iannelli, investment director obbligazionario di Fidelity International: «A chi ricerchi soluzioni orientate alla difesa del capitale, senza però rinunciare alla generazione di un flusso di reddito interessante, Fidelity propone un portafoglio obbligazionario globale e di elevato meri-to creditizio, Ff Global Short Duration Income Fund. Il comparto investe in bond societari, selezionati uno a uno a livello globale, conciliando al meglio la qualità con una duration corta, limitando quindi la sensibilità al tassi d’interesse. Questo fondo prevede la copertura del rischio di cambio e mira a erogare un flusso di reddito dell’1% annuo, che può contribuire ulteriormente alla stabilità del comparto». Come dire, appunto, che l’Ig è la nuova liquidità, anche se non va dimenticata la realtà dei fatti, ossia che si tratta di investimenti carissimi, con tutti i rischi del caso, ben sottolineati da Mark Holman, di TwentyFour Asset Management: «L’indice Ig in euro è di soli 42 punti base superiore agli asset swap con un rating medio di A3 e una scadenza di sei anni, ed è (davvero) perfettamente scontato. Si tratta di un altro settore in cui agire con cautela».

una politica restrittiva».

LONTANI DAL BEAR MARKETPer il momento, dunque, siamo lontani, ma non lontanissimi, da un avvio di un bear market obbligazionario che, partendo

dall’America, avrebbe conseguenze non delle più semplici in giro per il mondo, a meno che davvero non si ipotizzi una ri-presa al fulmicotone, che però avrebbe bisogno di una seria stretta monetaria per evitare il surriscaldamento del sistema,

un’ipotesi che è allo stato attuale poco più che una barzelletta. Lo scenario più probabile è che il 2018 si risolva in un’al-tra guerra di trincea fra pulsioni al rialzo dei rendimenti dovute al ciclo monetario e, probabilmente, anche una più acuta

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percezione dei rischi. Di ciò sembra con-vinto Charles McKenzie, cio obbliga-zionario di Fidelity International: «Il 2017 sarà ricordato come un altro anno di buoni rendimenti per il segmento del reddito fisso. I timori di una correzione dei bond sono caduti ancora una volta nel vuoto, ma sicuramente torneranno a farsi sentire nel 2018. Il 2017 è stato contrasse-gnato non tanto dall’attività degli istituti di emissione e dalla riduzione degli incentivi, quanto piuttosto dall’incapacità dell’infla-zione di rispondere all’accelerazione della crescita globale. Le banche centrali sono state indotte a eccedere in prudenza e a mantenere i tassi ridotti per un periodo

NIALL O’ LEARYresponsabile degli strategist obbligazionari Emea State Street Global Advisors

di tempo prolungato, incoraggiando tutta-via l’aumento degli squilibri finanziari. La conferma più evidente di questo fenome-no è data dal debito, attualmente a livelli record, essendo superiore al 260% del Pil globale. Negli Stati Uniti il ciclo dei tassi d’interesse sta per entrare nel suo terzo anno. È improbabile che il nuovo presiden-te della Fed voglia modificare l’approccio della Banca centrale, per cui ci aspettia-mo due rialzi dei tassi nel 2018, con un orientamento prudente da parte della Fed. I dati economici favorevoli, le vette raggiunte dai mercati finanziari e l’anda-mento laterale del dollaro dovrebbero convincere la Federal Reserve a prosegui-re per il momento nella graduale restri-zione monetaria».

TENSIONI DI SEGNO OPPOSTOLe caratteristiche delle tensioni di segno opposto presenti nel sistema hanno por-tato a un continuo appiattimento della curve dei rendimenti dei Treasury negli ultimi anni. La struttura attuale dovrebbe essere più o meno adeguata e appare im-probabile che si sprofondi in uno scenario di inversione, francamente impensabile in un contesto di economia in crescita e Fed ancora agli inizi di un moderato rialzo dei tassi. Ed è altrettanto difficile che si veda le scadenze più lontane cominciare a sfuggire di mano e iniziare un potenziale mercato ribassista. Parole rassicuranti ar-

rivano dal chief investment office di Ubs Asset Management: «Nel quadro della stretta monetaria, ci aspettiamo un moderato aumento dei rendimenti per le obbligazioni a breve e media scadenza, mentre quelle a lungo termine sono più vicine al valore equo».

ANCORATI ALLA PANCIANel concreto dei Treasury ciò significa che la fondamentale scadenza a 10 anni do-vrebbe rimanere saldamente ancorata alla pancia della curva. Ricorda infatti Niall O’ Leary, responsabile degli strategist obbligazionari Emea di State Street Global Advisors: «I prezzi dei governa-tivi Usa a maggiore scadenza, monitorati dal tasso forward 5y 5y, appare appena un

JAMES SWANSON chief investment strategist

Mfs Investment Management

ERIC WEISMANchief economist

Mfs Investment Management

GLI SPREAD DELL’OBBLIGAZIONARIO

Fonte: Bloomberg Barclays, 29 novembre 2017

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02006 2008 2010 2012 2014 2016

US investment Grade Corporate

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U.S. investment Grade Corporate (OAS) U.S. high yield corporate (OAS) Sovereign emerging markets debt (spread)

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FONDI&SICAV febbraio 2018 29

po’ elevato rispetto all’andamento del Pil nominale. Se poi ci spostiamo sui tassi a breve, vediamo che l’attuale livello dei Fed Funds è adeguato alla situazione dell’eco-nomia americana evidenziata dalla regola di Taylor». Ma a questo punto appare interessante analizzare la struttura della curva gover-nativa Usa, in particolar modo per quan-to riguarda il differenziale fra il decennale e il Note a due anni. L’andamento dello spread fra la pancia della curva e la sua componente più lunga quando scende sotto lo zero rappresenta in generale un indicatore piuttosto preciso dell’arrivo di una recessione. James Swanson ed Eric Weisman, rispettivamente chief investment strategist e chief economist di Mfs Investment Management, of-frono un interessante ragionamento: «Se andiamo indietro nella storia vi sono stati negli ultimi 50 anni solo cinque casi di in-versione nel differenziale 2-10 anni: nella seconda metà degli anni ‘70, nei primissimi ‘80, alla fine dello stesso decennio, al ter-mine di quello ‘90 e fra il 2006 e il 2007. In tutti casi si è avuta successivamente una recessione». A fine anno il differenziale si trovava in-torno a 60 punti base, il livello più bas-so appunto dalla recessione dello scorso decennio. Solamente nei primi anni di questa decade lo spread fluttuava sui 280 punti base circa. Basta ciò per fare capi-re la montagna di quattrini che i money manager del reddito fisso sono riusciti a generare con semplici strategie di carry

WOLFGANG BAUERgestore M&G Absolute Return Bond Fund

trade o anche solo di roll down, per tacere dell’effetto imponente che l’appiattimento dei Treasury ha generato sugli spread cre-ditizi. La questione attuale è di conseguen-za se un livello così ridotto rappresenta un segnale di pericolo oppure no.

L’IPOTESI OTTIMISTACome abbiamo visto, in generale il con-sensus di mercato tende a propendere per l’ipotesi ottimista. Ad esempio sempre Swanson e Weisman affermano: «Con una curva a livelli assoluti così bassi di ren-dimento è senz’altro più difficile vedere un’inversione». Questa visione non è però

condivisa da tutti per una ragione: l’eco-nomia, soprattutto sul piano dei valori no-minali, è estremamente anemica. Come si può vedere dal grafico e dall’intervento di O’ Leary di State Street Global Advisors, l’andamento attuale dei tassi controllati dalla Fed è probabilmente già intorno al li-vello corretto rispetto alle dinamiche pro-duttive, inflative e occupazionali del paese. In un contesto di questo genere non sor-prende trovare le osservazioni di Wolf-gang Bauer, gestore dell’M&G Abso-lute Return Bond Fund, che analizza che cosa aspettarsi nel 2018 dai mercati obbligazionari europei e il comportamen-

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30 FONDI&SICAV febbraio 2018

to della Fed e della Boe: «Negli Stati Uniti Jerome Powell diventerà il nuovo presi-dente della Fed. In generale, il mercato si aspetta un approccio piuttosto dovish in materia di politica monetaria, vale a dire un graduale aumento dei tassi d’interesse con due o tre rialzi all’anno. Tuttavia, c’è il rischio che la Fed rimanga significativa-mente indietro rispetto alla curva, il che potrebbe costringerla a un rialzo più ag-gressivo di quanto idealmente vorrebbe; di conseguenza, il mercato sta ora anticipan-

do questo rischio. Nel 2018 sarà fonda-mentale prestare particolare attenzione ai dati sull’inflazione negli Stati Uniti». Nel passato prossimo una simile dichia-razione avrebbe avuto senso solamente letta nei termini di timore di una ripresa della deflazione. Un paradigma in cui la più importante banca centrale del mondo si trova a percorrere un sentiero stret-to fra Pil nominale modesto, con però contemporanei rischi che il tutto possa all’improvviso infuocarsi in un aumento

STRATEGIE/2

High yield in difficoltà, ma coco in grande spolveroA questo punto che cosa ci si può aspettare dai rischi creditizi più elevati? In questo ambito, forse per la prima volta dopo anni probabilmente irripetibili, non sembra esserci un entusiasmo eccessivo per il mondo high yield. Non solo, ma c’è qualche segno di dete-rioramento dei margini proprio negli Usa, dove si possono trovare i rendimenti migliori: al giorno d’oggi chi investe si trova a gestire spread ai minimi storici rispetto al mondo investment grade, ma anche in rapporto a obbligazioni BB e B.

LE STAR DEL 2017Non sorprende che a continuare a essere preferite siano le star del 2017, che presentano ancora una buona combinazione di rendimento dato da elevato carry e generale scarsa sensibilità ai tassi di interesse: i bond subordinati bancari che, per certi versi, sembrano entrati in un’età dell’oro del debito bancario europeo. Così riassume Satish Pulle, head of financials & Abs, portfolio manager del Lyxor/Wells Capital Financial Credit Fund: «Il nostro portafoglio è fatto al 60% da coco di banche europee, più circa un 10% di subordinati assicurativi. Al mondo la capitalizzazione delle obbligazioni di gruppi finanziari con rating high yield è pari a circa 600 miliardi di dollari e i coco rappresentano circa un terzo di essi. Si tratta quindi di un mercato vasto, liquido e caratterizzato da grandi emit-tenti, sui quali ci concentriamo. Tipicamente preferiamo acquistare, per quanto riguarda gli istituti di minori dimensioni, obbligazioni di tipo tier 2».

SOPRATTUTTO IN EUROPAE buone prospettive vengono individuate soprattutto per le banche europee. Prosegue in-fatti Pulle: «I coco godono di una ripresa economica che in Europa ha ancora molto spazio per dispiegarsi, possibilmente con tassi un po’ più alti, il che è un elemento molto positivo per le banche. Queste ultime poi hanno visto negli ultimi anni un quadro legislativo deci-samente meno permissivo, il che è stato un disastro per chi ha investito nelle loro azioni, ma è invece qualcosa di ottimo per i bond holder. La ripresa europea poi sembra essersi estesa anche a nazioni con ancora considerevoli rischi politici come l’Italia: nel vostro pae-se, ad esempio, abbiamo ancora una posizione in Unicredit. Non deteniamo invece nessuna emissione di istituti statunitensi, in quanto i rendimenti sono troppo bassi e le prospettive poco favorevoli per via della politica monetaria».

dei prezzi pesante, sarebbe sembrato fan-tascienza.

FED PIÙ HAWKISHIl problema di fondo però alla fin fine è uno: nell’ultimo decennio è stato dato fuo-co a tutte le polveri disponibili nell’arsenale delle politiche monetarie globali. A essere eccezionale non è tanto il contesto econo-mico quanto quello monetario. Quest’ulti-mo, non dimentichiamolo, si sta lentamente normalizzando. Se consideriamo il pano-rama globale, la Fed sicuramente è fra gli attori principali un outlier in termini di atteggiamento hawkish; a scendere però troviamo con una diverse gradazioni la Pe-oples Bank of China, la Bank of England e giù, decisamente più dovish, la Bce e infine la Bank of Japan, che rappresenta l’estremo opposto rispetto agli statunitensi. La dire-zione però, piaccia o non piaccia, è ormai la stessa per tutti, a parte appunto forse il Sol Levante. Parole piuttosto dure al riguardo arrivano da Marco Piersimoni, senior investment manager di Pictet Asset Manage-ment: «Nel 2018 prevediamo almeno due deviazioni degne di nota rispetto alla nar-rativa predominante sviluppatasi di recente sui mercati finanziari. La prima concerne il quadro macroeconomico ed è rappresen-tata dal probabile ritorno dell’inflazione. Al momento è diffusa la convinzione che il re-gime cosiddetto “Goldilocks”, in cui a una crescita solida si unisce un’inflazione molto modesta, possa persistere. Uno scenario, quest’ultimo, ideale affinché tutte le asset class crescano di valore in un contesto di bassa volatilità. Le previsioni del mercato sull’inflazione per gli Usa, per l’area euro e il Giappone, appaiono concilianti e trac-ciano un percorso assai graduale verso la normalizzazione. Noi riteniamo, invece, che l’inflazione ritornerà globalmente su livelli normali già nel corso del 2018. La seconda sorpresa riguarderà la liquidità: nel 2017, anche in virtù della mancanza di inflazio-ne, le banche centrali hanno riversato sui mercati una liquidità eccezionale e inattesa: 2,5 trilioni di dollari, rispetto a 1,3 trilioni del 2016 e al trilione del 2015. Un’anoma-lia che difficilmente si replicherà nel 2018, durante il quale ci aspettiamo un afflusso di soli 500 miliardi di dollari, in chiara inver-

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FONDI&SICAV febbraio 2018 31

sione di tendenza».

SALIRANNO I RENDIMENTI?I tratti principali dell’ambiente in cui si va a operare sono stati dunque inquadra-ti, ma resta da chiarire un punto: quanto possono salire i rendimenti dei Treasury prima di cominciare a preoccuparsi se-riamente del fatto che potrebbe essere partito un mercato ribassista sul reddito fisso? Una previsione sul futuro della cur-va statunitense arriva da Mark Holman di TwentyFour Asset Management: «Anche se siamo convinti che i Treasury a 10 anni saliranno solo al 2,75%, mentre i Fed Fund aumenteranno altre tre volte nel 2018, a nostro avviso assisteremo a un ulteriore appiattimento rispetto alla situazione at-tuale. Un punto d’inizio per i Treasury a 10 anni del 2,40% ci offre ancora un ren-dimento negativo nel corso di un anno solare, quindi preferiremmo aspettare un rialzo dei rendimenti prima di assumerci un rischio maggiore in dollari in termini di duration».Per semplicità diciamo che, se il merca-to si portasse in un area in cui la soglia del 3% non fosse più così lontana, allora gli allarmi comincerebbero a suonare in maniera copiosa. Ovviamente con queste premesse selezionare un portafoglio ob-bligazionario in questo 2018 sarà ancora più complicato che nel recente passato.

ASPETTARSI POCO DAI BONDLa tensione evidenziata sui bond governa-tivi, in particolare negli Stati Uniti, dove

elementi contraddittori rendono stretto il corridoio in cui deve passare la Fede-ral Reserve per normalizzare la propria politica monetaria dopo oltre un decen-nio, fanno sì che nel complesso ragione-volmente non ci si possa aspettare più di

tanto da tutto l’obbligazionario. Selettivi-tà è infatti la parola più gettonata, il che avrebbe anche senso: in termini storici le performance che si sono viste nell’ultimo quinquennio sono assolutamente irripeti-bili. A meno che non si ipotizzi un nuovo new normal con una curva dei tassi pe-rennemente invertita e spread creditizi per gli investment grade di maggiore qua-lità addirittura negativi.Visto che fino a pochi anni fa l’idea che un Bund decennale potesse mostrare un rendimento a scadenza negativo sarebbe stata considerata grottesca, una situazio-ne pertanto in cui l’unica maniera per fare soldi da parte di un investitore è collezio-nare qualche cedola e sperare di ottenere un capital gain rifilando il proprio bond a prezzi ancora più assurdi, non è teoreti-camente apazzesco ritenere possibile lo scenario accennato. In fondo, se dovessi-mo scivolare in un paradigma di perenni aspettative di deflazione con un’economia

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Yield to Worst, Lhs

Duration, Lhs

Credit Spread Over Treasuries, rhs

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0.38

0.550.87 0.77

VALUTAZIONI RELATIVE DEI BOND YIELD TO WORST GLOBALI, DURATION E SPREAD RISPETTO AI TREASURY

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Fonte: Bloomberg Finance, 30 ottobre 2017

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32 FONDI&SICAV febbraio 2018

concentrata sempre più su pochi grandis-simi nomi in un ambiente fatto di curve di titoli del tesoro perennemente invertite e uno spread negativo, su alcuni corporate la prosecuzione del trend potrebbe anche materializzarsi.Per il momento però non è cosi e anzi ab-biamo visto che la Banca centrale statuni-tense si muove in un percorso per certi versi paradossale, con un livello dei tassi a breve già non così sballato rispetto all’an-damento economico, con rendimenti sulla parte lunga per fortuna bassi e stabili e con il rischio di farsi trovarecompletamen-te impreparata di fronte alla possibilità di

MARCO PIERSIMONIsenior investment managerPictet Asset Management

inflazione.Se quest’ultima riprendesse non farebbe bene a nessuno, tanto meno ai corporate di ogni genere che comunque sono cari a livelli storici. Questi timori sono ben espressi da Marco Piersimoni, di Pictet Asset Management: «Il quadro del reddito fisso si presenta variegato, con comparti in cui i livelli dei tassi sono bassi e non attra-enti, come negli Usa, aree in cui vediamo probabile l’ipotesi di un investimento in perdita: tra questi si trovano, ad esempio, i governativi europei e settori in cui le valu-tazioni non compensano il rischio assunto, come nel credito corporate. Esaminando in particolare il comparto creditizio statu-nitense è importante notare che gli Usa si trovano attualmente in una fase avanzata del ciclo economico. In questo contesto osserviamo il riaffacciarsi di pressioni in-flazionistiche insieme ai primi segnali di

FED FUNDS ATTUALI VS IL LIVELLO DATO DALLA REGOLA DI TAYLOR

FED funds rates

Taylor rule estimate

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8

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4

2

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Perc

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Fonte: Bloomberg Finance, 30 ottobre 2017

1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011 2013 2015 2017

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FONDI&SICAV febbraio 2018 33

deterioramento macroeconomico, che sono evidenti nella qualità del credito e in particolare nei prestiti agli studenti, nei finanziamenti per auto usate e nelle carte di credito».

UN FOSCO SCENARIO?Dunque in parte il timore è vedere in Usa un fosco scenario fatto di inflazione, rialzo dei tassi e quindi slittamento al rialzo del-la curva, magari con un ulteriore appiat-timento nella parte lunga e con l’avvio di un circolo vizioso di deterioramento dei margini aziendali. In effetti in America il ci-clo è avanzato e indubbiamente la riforma fiscale nel breve termine benefici ne por-terà, ma non è comunque solo cielo blu nel mondo aziendale di oltre oceano. Ricordano infatti James Swanson ed Eric Weisman, di Mfs Investment Management: «Se andiamo a osservare la percentuale di aziende dell’indice Russell 3000 che pos-sono essere definite società zombie, ossia in cui il cash flow generato è inferiore al costo del servizio del debito, scopriamo che questa quota sfiora l’8%, il livello più alto da quando esistono le rilevazioni per questo indice, ben superiore al precedente record intorno al 7% di metà del decennio precedente; inoltre la percentuale di fami-glie in difficoltà a pagare i conti della carta di credito attualmente è sui valori massimi da circa cinque anni».

ENTUSIASMI UN PO’ SPENTICon ciò nessuno vuole affermare che una nuova crisi finanziaria è alle porte: in fon-do quest’anno il mondo dovrebbe cresce-re intorno al 3,5-3,8%, con gli Stati Uni-ti forse sopra il 2,5% e una Cina che ha ripreso a mostrare grande dinamismo. Il dato evidenziato dai due executive di Mfs è però interessante: l’indice Russell 3000 raccoglie gran parte delle società quotate al di là dell’Atlantico, pesandole per capi-talizzazione. Nel complesso, perciò, corpo-rate America continua a macinare soldi e cash flow mostruosi, con una sempre mag-giore polarizzazione però fra poche grandi aziende e il resto del sistema: una dicoto-mia visibile a livello di margini di profitto.È impressionante notare che nel 1975 109 aziende fornissero la metà degli utili di tut-ti i gruppi quotati, mentre questo numero

STRATEGIE/3

Tanti driver a favore degli emergentiInfine non sorprendentemente continua a esserci interesse per gli emergenti, caratte-rizzati da un risanamento macroeconomico generale certamente non da poco, anche se pure in questo ambito nel 2018 sarà neces-saria una maggiore selettività, stando attenti specialmente a quegli emittenti particolar-mente legati al ciclo del dollaro. Ricorda infatti Claudia Calich, gestore del fondo M&G Emerging Markets Bond di M&G Investments: «Nel corso del 2017, le obbligazioni dei mercati emergenti hanno registrato buone performance e vi è una serie di fattori che dovrebbero continuare a sostenere il sen-timent positivo verso questa asset class. Tra i driver ci sono i rendimenti delle obbligazioni dei paesi in via di sviluppo, che sono oggi più elevati rispetto a quelli del debito delle nazioni sviluppate, la varietà dei governi presenti negli emerging market e il panorama delle obbliga-zioni societarie. Allo stesso tempo, guardando al 2018, è necessario valutare attentamente i rischi connessi, come quelli che possono derivare dall’aumento dei tassi d’interesse negli Stati Uniti, anche se i mercati del debito dei paesi emergenti dovrebbero continuare a resistere alla lenta e graduale stretta da parte della Federal Reserve. Inoltre, per alcune nuove econo-mie, un contesto caratterizzato da tassi americani più elevati è oggi meno sfidante di quanto sarebbe stato qualche anno fa, soprattutto per via del miglioramento delle partite correnti e delle misure volte a ridurre il livello complessivo del debito denominato in dollari Usa. Tuttavia, i tassi d’interesse statunitensi in rialzo potrebbero costituire un vento contrario per altre realtàe emergenti, in particolare quelle che dipendono maggiormente dai finanziamenti in dollari, come la Turchia».Comunque sia, la transizione degli States influenzerà un po’ tutti, anche perché si tratta del primo capitolo di un tentativo di ritorno alla normalità planetario, normalità che peraltro non ha mai contemplato i capital gain visti nel recente passato nell’alveo del reddito fisso. C’è solo da sperare che non si vada all’estremo opposto.

CLAUDIA CALICHgestore

M&G Emerging Markets Bond M&G Investments

si era ridotto a 89 nel 1995, in fondo un cambiamento non enorme; oggi, però, si è arrivati a 30. Tutti questi problemi concor-rono in qualche maniera a spegnere un po’ gli entusiasmi per tutto il fixed income sta-tunitense che, dopo la crisi dei primi mesi del 2016, ha fornito soddisfazioni spetta-colari agli investitori. Attualmente questo chiaro vantaggio re-lativo rispetto ad altre aree del mondo appare meno netto, almeno per Jérôme Teïletche, responsabile del team cross asset solutions di Unigestion: «Nel recente passato avevamo una forte pre-

dilezione per le obbligazioni statuniten-si rispetto a quelle europee. Lo scenario era infatti molto più favorevole al primo gruppo, in quanto le quotazioni delle con-troparti europee rappresentavano un’ano-malia. Attualmente siamo maggiormente neutrali: senz’altro l’Europa rappresenta ancora la medesima anomalia, però è dif-ficile tornare alla normalità scontrandosi con una Bce che è ancora parecchio ac-comodante. Allo stesso tempo comunque non vogliamo andare corti su alcun seg-mento dell’obbligazionario a causa degli elevati costi di carry».

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34 FONDI&SICAV febbraio 2018

Sul fatto che le criptovalute siano in piena bolla non vale nemmeno la pena discutere, ma ciò che è inte-ressante stabilire è se questa asset class potrà avere un avvenire an-che dopo che la bolla sarà scoppia-ta, come è successo per internet. L’elemento più interessante è che il bitcoin è una maniera di creare denaro molto costosa rispetto alla base monetaria creata dalle ban-che centrali o alla moneta-credito che esce dal sistema bancario: la sua formazione in qualche maniera avvicina questa novità tecnologica al più antico dei sistemi di scambio numerari, ossia l’oro

Il 2017 verrà senz’altro ricordato come l’an-no dei bitcoin e delle criptovalute in genera-le. Il fenomeno non è nuovo e la tecnologia che è alla base è stata generata con innova-zioni operate nel corso di decenni, al punto che già in tutti gli anni ‘10 di questo secolo l’intero segmento era apparso in crescita. Mai come nell’anno appena terminato, però, si è vista un’esplosione simile di compraven-dite in ogni parte del mondo, dal Giappone all’India, dalla Corea (pure quella del nord) all’Europa, dagli Usa all’America latina. Le criptovalute all’improvviso sono diventate un fenomeno di massa, con l’arrivo di un’e-norme quantità di investitori retail che non solo non si possono qualificare come esperti di tecnologie blockchain, ma che in generale spesso non avevano mai neppure immesso seriamente capitali sui mercati finanziari.

ANCHE AL BAR...Per inquadrare meglio il fenomeno, è inte-ressante ricordare un banale episodio: in un modesto bar della periferia milanese era in corso una discussione su ethereum, una del-le principali criptovalute. A un certo punto lo scambio di idee è stato interrotto da una persona molto giovane, sui 20 anni, che ha chiesto lumi su una nuova cripto creata da poco e caratterizzata da un innovativo me-todo di gestione dei micropagamenti. Que-sta divisa era iota, oggi una delle 10 maggiori di questo mondo per capitalizzazione. Di si-tuazioni del genere ce ne sono state milioni in tutto il pianeta e hanno alimentato una vera e propria psicosi.

Il nuovo oro

BITCOIN & CO.

INCHIESTA

di Boris Secciani

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FONDI&SICAV febbraio 2018 35

In questi termini non è difficile capire che si è delineato il classico fenomeno di bolla speculativa, con il tipico accorrere di quello che poco cerimoniosamente viene chiama-to dumb money. Non è infatti razionale un mercato in cui le quotazioni oscillano come ha fatto il bitcoin l’anno scorso. Ad esempio nei confronti dell’euro si è passati da molto meno di 1.000 a inizio anno a circa 2.600 a settembre per poi schizzare in meno di tre mesi a oltre 16 mila, per perdere rovi-nosamente in pochi giorni, scendendo sotto quota 10 mila per tornare a fine anno sopra 12 mila. Altri mercati, come il ripple, hanno visto crescite e oscillazioni ancora maggiori. È chiaro che stiamo parlando di uno stru-mento dal futuro ancora incerto, che passa dall’euforia al panico ai limiti del caos.Detto ciò, però, va specificato un elemen-to: il fatto che ci troviamo nel bel mezzo di una bolla conclamata non è di per sé ragione sufficiente per pensare che le criptovalute non abbiano davanti un futuro di crescita re-ale. Spesso, infatti, le bolle si sviluppano per-ché gli investitori vanno a pagare troppo gli investimenti sulla base dei fondamentali uni-versalmente accettati dal mondo finanziario: per avere un esempio chiaro basti pensare a quanto è cresciuto l’e-commerce dopo i di-sastri borsistici di inizio millennio. Occorre quindi capire quale possa essere il valore del bitcoin e il suo possibile futuro una volta che

sarà passata la fase di bolla.

LA SUMMA DEI FONDAMENTALIPer affrontare un simile compito innanzi-tutto bisogna un minimo capire come sono organizzate le cripto, in particolar modo intorno a quell’insieme di tecnologie cono-sciute come blockchain. L’argomento ov-

viamente è molto tecnico e in questi spazi non è possibile certo disquisire nei dettagli di hash rate, di hard e soft fork dei bitcoin, però si può offrire una summa di alcuni fon-damentali, partendo da questo riassunto ela-borato dal chief investment office di Ubs Wealth Management: «Le cripto sono state sviluppate a partire dal 1983 e sono parte del codice software che tenta di re-plicare le valute supportate dai governi che oggi utilizziamo. In ogni modo, però, mentre queste ultime sono monitorate da stanze di compensazione centralizzate e dagli istituti di credito, le transazioni in cripto sono, inve-ce, contenute e mantenute in ordine all’in-terno di un libro mastro digitale di pubblico accesso. La colonna vertebrale del network di queste nuove monete è dato dai cosid-detti minatori: individui o associazioni che usano network di computer estremamente efficienti per risolvere problemi matemati-ci decisamente complessi, in cambio di una commissione o, in alcuni casi, di una quota addizionale di criptomoneta appena creata». In pratica in maniera molto rozza nel caso dei bitcoin, quando una transazione avviene, essa prende forma attraverso dati criptati, che devono venire risolti dai cosiddetti mi-natori, che andranno quindi a confermare la

12.000.000

10.000.000

8.000.000

6.000.000

4.000.000

2.000.000

2012 2013 2014 2015 2016 2017

Tera-hash/secondo dell’hash rate della rete

L’HASH RATE DEI BITCOIN SEGUE LA LEGGE DI MOORE

Fonte: Blockchain.info, Etf Securities, dati disponibili alla chiusura del 28 novembre 2017 continua a pagina 38

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I numeri per orientarsi

BITCOIN & CO.

INCHIESTA

260miliardi la capitalizzazione in dollari di bitcoin, etherum e ripplefonte: CoinMarketCap

100.000la stima più elevata del numerodi miner di bitcoin al mondo fonte: Neighbourhood Pool Watch

38,6il consumo di elettricità del network bitcoin fonte: Digiconomist

357 le transazioni giornalierein bitcoin fonte: Bitcoin.com

mila

Twh

dati all’8 gennaio 2018

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+997% la crescita delle quotazioni dei bitcoin in dollari nel 2016 fonte: Kraken

800 la capitalizzazione complessiva di tutte le criptovalute in dollarifonte: Cointelegraph

+35.000% la crescita di ripple nei confronti del dollaro nel 2017fonte: Kraken

38,6il consumo di elettricità del network bitcoin fonte: Digiconomist

0,17%la percentuale dei consumi mondiali di elettricità da parte dei bitcoinfonte: Digiconomist

Twh

miliardi

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38 FONDI&SICAV febbraio 2018

liceità della transazione (cioè che i suddetti bitcoin appartengano a chi li ha pagati), che verrà inserita nel libro mastro digitale. Tutto ciò in cambio di nuovi bitcoin appena creati. Ma il sistema è stato concepito per fare sì che, man mano che l’utilizzo aumenta, i pro-blemi di decrittazione diventino sempre più complessi. Inoltre periodicamente il premio in nuova moneta diventa sempre più basso. Qui dunque arriviamo a un punto fonda-mentale: il mining è un’attività che sta diven-tando sempre più costosa e i cui margini di profitto dipendono dalla quotazione della cripto che si va a creare. Così fino a qualche anno fa si poteva fare mining usando la Cpu di buoni computer, poi si è passati a dovere coinvolgere la Gpu, mentre oggi il tutto av-viene con macchine specifiche chiamate Asic (le più popolari sono quelle della serie Ant-miner), collegate fra loro in pool di minatori.

UNA FONTE DI SPESAInoltre i consumi elettrici rappresentano una fonte di spesa non da poco: di recente un rapporto di un economista dell’istituto olandese Ing ha sottolineato che in una tran-sazione in bitcoin sono necessari consumi di elettricità pari a quella usata da nove case in un giorno. Di recente sono sorti diversi siti internet che tracciano l’utilizzo globale dell’intero network, sottolineando che esso, se fosse una nazione, sarebbe già nella top 60 dei consumatori mondiali. Stime ancora più allarmistiche poi sottolineano che il tas-so di incremento di energia elettrica si avvi-cina al 30% al mese, un ritmo che, se dovesse essere mantenuto, porterebbe a consumare tutta la produzione del mondo nel 2020.Queste paradossali cifre ovviamente non sono realistiche e sono comunque state contestate da altri economisti: l’idea comun-

JAMES BUTTERFILLhead of research

and investment strategies Etf Securities

ESTRARRE CRIPTOVALUTE

Una miniera molto caraUn quadro decisamente interessante sulla forma-zione della principale cripto lo fornisce James Butterfill, head of research and investment strategies di Etf Securities: «La singolarità del bitcoin deriva dalla prevedibilità della sua offerta, che è determinata dalla struttura dell’algoritmo sottostante. Quest’ultimo stabilisce che, dopo l’estrazione di un determinato numero di bloc-chi, la remunerazione dei miner si dimezza. Per il programma di estrazione dei bitcoin è stato creato un piano di remunerazione lineare, desti-nato a durare finché varrà la legge di Moore sulla crescita esponenziale della capacità di calcolo. L’e-strazione dell’ultima moneta è prevista nel 2130, ma il 99% del totale sarà tirato fuori entro il 2027. La velocità di mining potrebbe registrare un’accelerazione, ma dipende dal successo della computazione quantistica, che potrebbe teoricamente risolvere l’algoritmo del bitcoin molto più velocemente, ma anche con un consumo di energia considerevolmente maggiore. Associan-do la crescita dell’hash rate della rete dei bitcoin, che misura la velocità di mining dei blocchi, e i consumi di energia noti, possiamo elaborare una stima della spesa per l’elettricità, una misura equivalente al costo marginale di produzione spesso impiegato per valutare le materie prime. I bitcoin sono apparsi sulla scena a fine 2009 grazie all’attività di appassionati minatori sui propri personal computer, quando questo processo era redditizio, ma anche estremamente inefficien-te. In seguito i produttori hanno iniziato a commercializzare appositi “miner” chiamati Asic 6 che hanno drasticamente migliorato l’efficienza. I miner Asic sono apparsi per la prima volta nel 2013, con hash rate sempre più potenti all’uscita di ogni nuovo modello, determinando un aumento esponenziale dell’hash rate complessivo della rete grazie all’adesione di un numero sempre maggiore di minatori. Il consumo energetico di questi strumenti commerciali per l’e-strazione di bitcoin è ben noto, al pari del loro hash rate complessivo. Basandoci sul totale dei costi energetici storici, stimiamo che il consumo di elettricità sia pari attualmente a 1,5 Gw all’ora, corrispondente all’incirca a quello di 600 mila famiglie, vale a dire una spesa giornaliera di circa 3,4 milioni di dollari».

UN FUTURO PROSSIMO DI COSTI IN SALITAQuesto ragionamento porta a identificare una massa di costi certo non indifferenti già al livello attuale, per non parlare di ciò che potrebbe accadere nel futuro tutto sommato prossimo. Sempre James Butterfill continua nella sua esposizione: «Dal momento che l’hash rate futuro della rete seguirà verosimilmente la legge di Moore e che la difficoltà di mining seguirà un’evo-luzione lineare, è possibile stimare la spesa elettrica. Il diagramma a punti evidenzia la stretta correlazione fra prezzo e difficoltà di mining. Ipotizzando che la relazione storica fra la difficoltà di estrazione e i relativi costi resti valida in futuro, riteniamo che entro la fine del 2018 i con-sumi energetici raddoppieranno rispetto a oggi. Prevediamo che entro la fine di quest’anno il costo marginale del bitcoin aumenterà a 4.230 dollari o 6.500, se si considerano anche le spese per l’acquisto dell’hardware. L’allineamento fra i costi marginali e il prezzo attuale non avverrà prima della fine del 2019. Tuttavia, non più tardi dell’inizio del 2020, la remunerazione per l’e-strazione di bitcoin (come stabilito dall’algoritmo della criptovaluta) si dimezzerà, spingendo i costi marginali a circa 16 mila dollari».

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proprio in relazione all’idea del bitcoin come nuovo oro che Stefan Kreuzkamp, chief investment officer di Deutsche Bank Asset Management, costruisce un modello di valutazione: «I sostenitori del bitcoin vedono quest’ultimo come un’alter-nativa moderna e superiore all’oro. Se esso rimpiazzasse tutto il metallo giallo che è sta-to estratto finora, allora la sua quotazione rispetto al dollaro salirebbe fino a 333 mila. Se invece riteniamo che il bitcoin sostituirà solo un decimo dell’ammontare totale del prezioso, si arriva comunque a un valore di 33 mila dollari. I due asset mostrano inte-ressanti convergenze e differenze. Entrambi presentano costi di produzione piuttosto elevati, possono venire usati come copertu-ra contro un collasso del sistema monetario e la loro correlazione con altre asset class è alquanto bassa. Inoltre ambedue questi strumenti tendono a dividere l’opinione pubblica, con i sostenitori che in entrambi i casi tendono a essere spaventati da possibili provvedimenti governativi».

UN GIGANTESCO RISCHIOQuest’ultimo punto permette di sottolinea-re un altro aspetto importante: in generale le autorità pubbliche e (comprensibilmente) il sistema bancario appaiono tutt’altro che entusiasti dell’avvento delle cripto. Proprio in questo ambito, ad esempio, Ubs Wealth

que di partire da tali consumi per mettere a punto un modello di pricing di questo nuovo protagonista dei mercati mondiali appare sensata. In pratica occorre approc-ciare le criptomonete basate su blockchain con un modello simile al costo marginale di produzione usato per le materie prime. Per fare ciò occorre tenere presente quat-tro elementi: il cosiddetto hash rate, ossia la velocità con cui i miner completano un’ope-razione bitcoin, l’aumento di difficoltà pro-gressivo stabilito nel tempo, la diminuzione programmata delle ricompense e, infine, il costo delle macchine.

SOLO MEZZI DI PAGAMENTO?In pratica il bitcoin è una maniera di creare denaro molto costosa rispetto alla base mo-netaria immessa dalle banche centrali e o alla moneta-credito realizzata dal sistema banca-rio, nonostante l’aumento esponenziale della capacità di calcolo dei computer e quello solo lineare dei costi. Peraltro vi è chi non considera le cripto delle valute, bensì solo mezzi di pagamento, ritenendo pertanto non più sensato attribuirgli un valore rispetto a quanto sarebbe il processo di calcolo del pri-cing corretto di un’email. Resta il fatto però dei consumi elettrici, che in qualche maniera avvicinano questa por-tentosa novità tecnologica al più antico dei sistemi di scambio numerari, ossia l’oro. Ed è

Management sottolinea che è pressoché impossibile concepire in futuro la possibilità di effettuare la maggiore transazione di ogni sistema economico avanzato, ossia il paga-mento delle imposte, in criptomonete. Ciò crea un gigantesco rischio in termini di tasso di cambio per le aziende, che presumibil-mente limiterà l’uso di bitcoin&co. Va detto, però, che questo ragionamento si applica anche all’oro, il che però non ha impedito a quest’ultimo di sopravvivere nel suo ruolo di bene rifugio anche nei tempi moderni. Anco-ra Kreuzkamp ricorda: «Fra i due strumenti permangono profonde differenze. Innanzi-tutto la possibilità di interventi governativi pesanti, come ad esempio il divieto di pos-sesso di oro temporaneamente sviluppato nel corso del ventesimo secolo da nazioni come Francia, Germania, Regno Unito, India e Usa, che peraltro non si è dimostrato dan-noso sul lungo periodo per il metallo gial-lo. Quest’ultimo da millenni viene ritenuto prezioso in tutto il mondo, mentre i bitcoin hanno meno di 10 anni e la volontà da par-te di chi li possiede di affrontare periodi di dolorosi cali del loro valore rimane incerta. Il prezzo dell’oro ha dimostrato stabilità nel corso degli ultimi 90 anni in termini reali, no-nostante turbolenze di ogni genere. Infatti, sia l’S&P 500, sia il totale del Pil americano hanno oscillato intorno a un valore medio in relazione all’oro. Ciò è avvenuto nonostante in termini nominali sia il Pil, sia le quotazioni azionarie mostrino una forte ascesa, riflet-tendo la costante perdita di valore del dolla-ro in termini reali». Dunque il futuro del bitcoin è riuscire a ge-nerare una domanda sufficiente, tale da giu-stificare gli elevati costi di creazione, il che, ci azzardiamo a prevedere, sembra positiva-mente correlato con un’eventuale continua-zione di crescita della sfiducia da parte dei cittadini di tutto il mondo nei confronti delle istituzioni governative e del sistema banca-rio. Sarà sufficiente tutto ciò a compensare il fatto che, a differenza dell’oro, non vi è un track record di lunga durata sulla sua affi-dabilità, né l’equivalente di un mercato della gioielleria? La risposta dipenderà sostanzial-mente da una scelta di lifestyle e, diciamolo pure, anche piuttosto ideologica da parte delle moltitudini del mondo di dire di no agli attuali assetti del sistema monetario mon-diale.

CONSUMO DI ELETTRICITÀ DELLA RETE DEI BITCOIN

Fonte: Blockchain.info, ETF Securities, dati disponibili alla chiusura del 28 novembre 2017

2014 2015 2016 2017

2.500

2.500

1.500

1.000

500

megawatt

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I titoli dell’It hanno sovraperfor-mato il mercato nel corso di tutto il 2017 e nel terzo trimestre dell’an-no passato il 23% dei profitti totali delle società dell’S&P 500 è stato appannaggio delle aziende del com-parto tecnologico, con un aumento di cinque punti percentuali nell’ar-co di tre anni. Però le previsioni di trasformazione epocale del nostro modo di vivere grazie all’informa-tion technology sotto molti aspet-ti fanno ancora parte del libro dei sogni e su questa base si rischia di riportare l’intero comparto in una situazione di pericolo simile a quella dei tardi anni ’90. Occhio ai miraggi da nuova corsa all’oro

Parlare oggi in maniera razionale della tec-nologia non è semplice, sia da un punto di vista finanziario, sia prettamente sociale. Da una parte si sentono spesso allarmi campati per aria sulle possibili conseguenze nefaste di stravolgimenti di cui oggi nessuno (inclusi gli stessi imprenditori protagonisti di quella che una volta si definiva new economy) riesce a valutare del tutto le conseguenze. Dall’altra parte a volte ci si abbandona a un eccessi-vo ottimismo, che ha portato a quotazioni di borsa un po’ inquietanti. Il 2017 ha visto infatti il culmine di un processo di dipendenza dei rendimenti dell’S&P 500 dall’It come mai si era visto prima. Oggi la crescita dei profitti annuali su questo mercato si deve a un numero decrescente di aziende statunitensi, ma, se dagli utili ci spo-stiamo direttamente alle quotazioni di bor-sa, si scopre un fenomeno interessante: se consideriamo solo le azioni dell’S&P 500 che hanno chiuso in territorio positivo, vediamo che nel 2017 le 10 società con il maggiore aumento di valore in termini di quantità as-soluta di dollari hanno fornito oltre un terzo dell’incremento totale messo a segno dalle azioni del benchmark che hanno presentato una crescita. Si tratta di una cifra elevata ma, come si può vedere dal grafico, non un totale outlier statistico nel periodo che va dal 2005 a oggi: nel 2015 le prime 10 avevano toccato quota 50% e nel 2008 addirittura la soglia del 90%. L’elemento interessante è dato dal fatto che

Il ritorno deisogni acarissimoprezzo

TECNOLOGIA

INCHIESTA

di Boris Secciani

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nei 12 mesi appena terminati il comparto tecnologico nel suo complesso ha fornito un contributo percentualmente maggiore rispet-to alla top 10 generale, arrivando poco sotto il 45%; questo tipo di sorpasso nel periodo preso in esame era accaduto in precedenza solamente nel 2009. Il che vuole dire che le prime 10 maggiori aziende per aumento di valore sono soprattutto titoli tecnologici, che hanno visto comunque una preminen-za anche a livello di capitalizzazioni minori. Thomas Schussler e Andre Kottner, co-head of equities di Deutsche Asset Management, sottolineano: «L’S&P 500 è sempre stato maggiormente influenzato dalle prime 10 aziende (indipendentemente dal settore), ma la tecnologia non è mai stata

tanto dominante come nel 2017».

I RISULTATI NON DELUDONODi recente i risultati in termini di utili azien-dali e di vivacità a livello di investimenti non

hanno certo deluso, come ricorda il chief in-vestment office di Ubs Wealth Manage-ment: «La tecnologia ha anche un impatto molto reale. Nel terzo trimestre del 2017, il 23% dei profitti totali delle società dell’S&P 500 è stato appannaggio delle aziende del comparto tecnologico, con un aumento di cinque punti percentuali nell’arco di tre anni. Oggi l’hi-tech è il settore di maggiori dimen-sioni degli indici Msci Emerging Market e Msci China. Il numero di brevetti concessi è raddoppiato negli ultimi 10 anni e nell’ultimo ne sono stati rilasciati 1,2 milioni in tutto il mondo. Secondo le stime dell’Us Bureau of Labor Statistics, inoltre, nel prossimo decen-nio l’economia necessiterà del 30% in più di sviluppatori software, il lavoro ad alta remu-nerazione che registra la crescita più rapida».Dunque un It che sta aumentando il proprio peso complessivo in termini di flussi di cassa generati in America, che sono già ai massimi storici. Ovviamente il settore tecnologico Usa è il più vasto del pianeta, anche se pat-tern similari si possono trovare fra i colossi

THOMAS SCHUSSLER co-head of equities Deutsche Asset Management

CONTRIBUTO DI AZIENDE E SETTORI ALLA PERFORMANCE DELL’S&P 500

Dieci aziende con il maggiore aumento di valore

Settore tecnologico

% d

ella

cap

italiz

zazi

one

di m

erca

to d

ell’S

&P

500

90

80

70

60

50

40

30

20

10

0

Fonte: Bloomberg Finance 16 novembre 2017

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017

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asiatici, soprattutto cinesi, e pure in Europa, dove indubbiamente tutto ciò che è legato all’It pesa meno. Va detto, però, che gli investitori hanno spinto a capitalizzazioni mostruose colossi come Tencent o Alphabet o anche Samsung

Electronics per incassare un flusso di profitti futuro dagli sviluppi robusti, ma comunque non clamorosi. Achal Sultania e Quang Tung Le, research analyst di Credit Suis-se, offrono un quadro abbastanza complesso del segmento dei produttori di microchip, un

CÉSAR ZEITOUNIhead of long short equity

Candriam Investors Group gestore

Candriam Dynamix Long Short Digital Equity

Cerchiamo i futuri leader nei mercati sviluppatiNella parte lunga del vostro portafoglio, attualmente su quali titoli vi state orien-tando?«Il nostro processo d’investimento si concentra sui futuri leader del movimento di digitalizzazione e mantiene una bassa esposizione alle fluttuazioni del mercato azionario. Il nostro punto di partenza è co-stituito dai mercati in crescita e già sviluppati, dove possiamo visualizzare il panorama competitivo e la struttura di redditività. Cerchiamo aziende pioniere in una tecnologia emergente, che abbiano un proces-so di attuazione eccellente e un modello di business collaudato e che offrano un rendimento interessante agli azionisti».

Come affrontate le posizioni long in un mercato che sembra muoversi con una logica solo rialzista?«In primo luogo, investiamo per lo più attraverso una strategia di pairs trading che si attua mediante l’acquisto (long) di uno strumento finanziario e la contemporanea vendita (short) di un altro stru-mento, secondo certe quantità predeterminate. In questo modo si ottengono performance operando un arbitraggio tra le aziende leader e quelle che ne seguono le orme. Il nostro obiettivo è che le posizioni lunghe sovraperformino le corte. In secondo luogo, il nostro universo d’investimento non si limita soltanto al settore tecnologico, dei media e delle telecomunicazioni, ma si estende al fintech, alle aziende colpite dall’e-commerce, all’automotive, al settore dei beni strumentali e dei servizi alle imprese e agli individui. Questo approccio multisettoriale permette di realizzare un trading di coppia in tutti i settori interessati dalla trasformazione digitale. Ciò crea forti opportunità short in settori diversi da quello tecnologico».

Qual è la vostra posizione netta attuale?«L’attuale esposizione netta è al livello più basso del nostro range: al 16%, in quanto siamo più cauti sulle valutazioni dopo il recente rally».

Pensate dunque che siamo a rischio bolla?«Sicuramente il settore non è conveniente e si colloca nella fascia più alta della gamma, motivo per cui abbiamo ridotto la nostra esposizione. La copertura del nostro fondo è più ampia del solo settore Tmt (tecnologia, media e telecomunicazioni) e abbiamo aumentato la nostra esposizione netta nei se-guenti segmenti: a) automotive, perché pensiamo che il mercato sia troppo ribassista sulle prospettive a breve termine; b) media, in quanto ci aspettiamo qualche tipo di rimbalzo dei loro ricavi nel quarto trimestre; c) telecomunicazioni, poiché gli sforzi nella riduzione dei costi e la digitalizzazione delle loro attività (ad esempio il servizio clienti) sosterranno la crescita dell’Ebitda nei prossimi anni».

ambito produttivo che ha mostrato grande vitalità negli ultimi anni in Europa: «Continu-iamo a ritenere che l’aumento del contenuto di semiconduttori in settori quali l’auto, gli industriali e anche alcune aree del mondo consumer, grazie alla diffusione dei sensori, porterà a una domanda solida di chip. Nel 2017, per l’incremento dei volumi e della qua-lità richiesta, i fatturati, a parte l’area dei chip di memoria, hanno messo a segno un +9%. Nonostante un minimo di rallentamento dei volumi, pensiamo che per il prossimo bien-nio vedremo aumenti nell’ordine della fascia a metà della singola cifra o in quella un po’ più elevata».

«POSITIVI A BREVE TERMINE»In generale, invece, per quanto riguarda il comparto tecnologico statunitense nel suo complesso, il chief investment office di Ubs Wealth Management sostiene: «Rimaniamo positivi nei confronti delle prospettive del settore tecnologico americano a breve termi-ne. Ci aspettiamo una crescita dei profitti del 12-13% nel 2018 e un rapporto prezzo/utili di 19,3x ci sembra ragionevole. Attualmente il settore quota con un premio del 7,5% ri-spetto al mercato, contro una media del 22% a 25 anni». Insomma un’ottima situazione, ma non certo la cosiddetta singularity che molti invocano.Le previsioni di trasformazione epocale del nostro modo di vivere grazie alle tecnologie digitali, cambiamenti che indubbiamente si sono già fatti sentire, per certi versi ancora fanno parte del libro dei sogni e su questa base si rischia di riportare l’intero compar-to tecnologico in una situazione di pericolo simile a quella dei tardi anni ’90. Un riassunto della tesi esposta arriva sempre dal chief in-vestment office di Ubs Wealth Management: «La tecnologia attraversa una fase di rapido sviluppo. I computer quantistici elaborano dati a un ritmo 100 milioni di volte più velo-ce di quello dei computer tradizionali. Sulle strade cominciano a circolare le prime vet-ture autonome. Esistono auricolari in grado di tradurre decine di lingue in tempo reale. E i pionieri della tecnologia hanno mire ancora più ambiziose: gli scienziati stanno sviluppan-do pannelli solari stampabili su carta e hanno compiuto grandi passi avanti negli interventi sul Dna. Neuralink di Elon Musk si prefigge di ottimizzare il cervello umano con gli impianti

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stati ancora valutati nelle previsioni econo-miche di base. L’innovazione tecnologica sembra trovarsi a un punto di svolta positivo, rivelandosi l’elemento in grado di innescare l’incremento della produttività da tempo at-teso».Tutti sognano che la tecnologia faccia final-mente fare quel salto in avanti decisivo all’e-conomia e all’umanità in generale, ma uno scatto ancora non c’è stato e di conseguenza probabilmente gli investitori farebbero bene a guardarsi da euforie da singularity prossime venture. Può forse sorprendere che un ragio-namento di questo genere arrivi da una delle massime autorità mondiali in termini di robo-tica come Raffaello D’Andrea, professor Eth Zurich, founder Verity studios e co-founder Kiva Systems (Amazon Robotics): «Un prodotto robotico è tanto valido quanto il suo anello debole. Tutto deve funzionare perfettamente, a livello di softwa-re, di sensori e di struttura fisica. Non vedo pertanto nel futuro prossimo salti quantisti-ci in questo ambito, ma più una ricerca che andrà avanti in ogni ambito accumulando un processo di piccole innovazioni. Ad esempio un campo dove c’è molto da fare è quello delle braccia dei robot per arrivare ad avvici-narci a replicare un organo con la flessibilità e la raffinatezza sensoriale di un arto umano».

UN PASSAGGIO GRADUALEAnche negli ambiti di più immediata applica-zione di questi strumenti, come quello che viene ormai chiamato manufacturing 4.0, il passaggio sarà graduale. Ancora D’Andrea sostiene: «L’avvento dei co-bot nell’industria

neurali, nella speranza di realizzare in futuro la comunicazione telepatica. Alcuni di questi sviluppi si dimostreranno privi di sostanza. Come ci ha insegnato la bolla dotcom, una proposta visionaria non corrisponde neces-sariamente a un investimento appetibile, an-che se in ultima analisi si dimostra corretta. In certi casi i tempi di sviluppo delle tecnologie sono troppo lunghi: le società non riescono a monetizzare la propria crescita e gli investito-ri potrebbero sovrastimare l’effettivo valore di un settore».

NON SALE LA PRODUTTIVITÀ È interessante poi notare un altro fattore: a partire dai primi anni 2000, man mano che si avanzava sul fronte del progresso, aumenta-va anche il potenziale impatto positivo sulla produttività del lavoro. Dal grafico riportato, però, si vede che non è stato così: anzi de facto si è sviluppata una correlazione inversa tra la crescita della produttività del lavoro in Usa, che rappresentano una proxy di tutto il mondo sviluppato, e l’aumento della potenza di calcolo e del suo potenziale impatto. Sul perché sia successo così sono stati scritti oceani di parole, ma la questione più impor-tante è capire se si arriverà a una svolta posi-tiva. Ad esempio a essa sembra credere John Bilton, global head of multi-asset strategy di Jp Morgan Asset Management: «Mentre l’impatto dell’invecchiamento della popolazione nel lungo termine è stato ben documentato e ha portato al costante abbas-samento delle stime di crescita, il potenziale offerto dalla tecnologia e il conseguente ulte-riore incremento della produttività non sono

richiederà comunque un certo numero di anni, mentre per il futuro prossimo prevedo che addirittura aumenti il personale che lavo-ra nelle fabbriche, in quanto sarà necessaria assistenza umana per installare e fare funzio-nare correttamente questi nuovi strumenti. Nel giro di qualche decennio, però, si giun-gerà a strutture produttive completamente diverse».Lo stesso sembra valere per quanto riguarda la parte software di questo universo, ossia l’intelligenza artificiale, forse il settore più in voga in assoluto, il cui fatturato globale do-vrebbe passare da circa 80 miliardi di dollari dell’anno passato a un trilione nel 2022. An-che in questo caso Raffaello D’Andrea non vede l’immediato avvio di scenari da fanta-scienza: «Molti parlano di singularity nell’am-bito dell’Ai, però anche in questo campo si sta procedendo con un accumulo di miglio-ramenti incrementali».In un paradigma di questo genere le probabili-tà sembrano puntare, almeno nell’immediato, a una prosecuzione di un ciclo economico mediocre, con una lotta senza quartiere an-che in ambito tecnologico fra i campioni at-tuali e gli aspiranti colossi di domani, con però tempi più dilatati di quello che si potrebbe in-tuire dalla frenesia con cui i mass media a vol-te dipingono il tutto. Se questa è la realtà con cui gli investitori devono avere a che fare, va-lutazioni costose incluse, non sorprenderà la strategia che viene proposta Cesar Zeitouni di Candriam: occhio ai miraggi da nuova cor-sa all’oro. Quanto meno vale la pena attuare strategie che riducano significativamente i rischi della gara per il controllo del futuro».

JOHN BILTONglobal head of multi-asset

strategy Jp Morgan Asset Management

L’IMPATTO DELLA TECNOLOGIA

Fonte: Bloomberg Finance 16 novembre 2017

Produttivitàpotenziale rialzodello scenario base LTCMA

Produttivitàpotenziale rialzodella produttività con la tecnologia

Apple lancia iphone

Facebook si espande al di fuori del college

google.comviene registrato

amazon vende il primo libro

Microsoft lanciaWindows

Viene lanciato al pubblico il primo Web browser

Intel introduce i microprocessori commerciali

Apollo 11 atterra sulla luna

1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 2030

4,0

3,5

3,0

2,5

2,0

1,5

1,0

0,5

0

Crescita della produttività del lavoro USA% 5 anni annualizzata

Potenza di calcolo

1E+121E+111E+101E+910000000100000001000010001001010,10,010,0010,0001

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44 FONDI&SICAV febbraio 2018

Etf, Etc/Etn quotati in Italia

Emittente Etf Etc Etn

Db x-trackers - Deutsche Bank 141 9

iShares 132

Lyxor – Société Générale 149 25 24

Amundi 90

Ubs 77

Spdr Etfs – State Street 66

PowerShares – Source 55 1

ETF Securities 13 148 54

Boost/WisdomTree 24 23 31

Bnp Paribas Easy 15

Ossiam 10

Hsbc 5

Vaneck 4

Structured Invest 2

Fullgoal 1

First Trust 1

16 emittenti 785 206 109

di Paola Sacerdotein collaborazione con Borsa Italiana

IL MERCATO ITALIANO

Un annod’oroper gli Etfsui bond

ETP A fine dicembre 2017 gli strumenti quotati su Etfplus, il segmento di Borsa Italiana dedicato agli exchange traded product e ai fondi aperti quotati, si sono attestati a 1.226, di cui 785 Etf, 206 Etc, 109 Etn e 126 Oicr aperti. Nel cor-so dell’anno sono entrati nel listino 147 nuo-vi strumenti, mentre con il debutto di quattro nuovi emittenti (First Trust, VanEck, Bnp Paribas e Hsbc), il numero di provider di Etp è salito a 16. Le società di fondi aperti quotati sono salite a 30, con l’arrivo di sette nuovi gruppi. Gli asset under management degli strumenti quotati su Borsa Italiana a fine 2017 sono arrivati a 65,12 miliardi di euro, in aumento del 23,04% rispetto al 31 dicembre 2016, quando erano 52,92 mi-liardi. Di questi, 58,69 sono masse gestite in Etf e 6,15 in Etc/Etn.

RECORD DI RACCOLTALa raccolta complessiva dell’anno ha raggiun-to quota 10,82 miliardi di euro, in crescita del 168,72% rispetto al 2016, e ha segnato un re-cord storico per il mercato Etfplus. Nell’ultimo mese dell’anno gli afflussi complessivi sono stati leggermente negativi per 156,76 milioni di euro. L’asset class privilegiata dagli investitori è stata l’azionario dei paesi sviluppati, che ha registrato entrate per 129,10 milioni, seguito dall’obbli-gazionario con 18,38 milioni. Il comparto più venduto è stato l’azionario emergente, che ha visto deflussi per 167,67 milioni di euro, seguito dagli Etf di stile con un saldo negativo di 69,84 milioni e dagli Etc/Etn (-34,01 milioni)

Dati al 29 dicembre 2017

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FONDI&SICAV febbraio 2018 45

Un annod’oroper gli Etfsui bond

AUM DEGLI ETF PER ASSET CLASS

Etf azionari sviluppati 40,87%

Etf obbligazionari 41,11%

Etf azionari emergenti 7,81%

Etf style 3,92%

Altro 6,29%

Indice di commodity 5,04%

Energia 23,30%

Metalli preziosi 42,37%

Metalli industriali 1,94%

Prodotti agricoli 3,78%

Bestiame 0,03%

Etn 23,54%

AUM DEGLI ETC/ETN PER ASSET CLASS

Etf azionari sviluppati 40,87%

Etf obbligazionari 41,11%

Etf azionari emergenti 7,81%

Etf style 3,92%

Altro 6,29%

Indice di commodity 5,04%

Energia 23,30%

Metalli preziosi 42,37%

Metalli industriali 1,94%

Prodotti agricoli 3,78%

Bestiame 0,03%

Etn 23,54%

RACCOLTA NETTA PER ASSET CLASS

dicembre 2017

Azionari sviluppati Obbligazionario Azionari emerging Style Altro Totale Etf Etc/Etn Totale Etfplus

-34,01

mnl

1.500

1.250

1.000

750

500

250

0

129,10

18,38

-167,67-69,84 -32,72 -122,75 -156,76

5.398,39

700,08

278,57

9.061,03

1.593,75

10.654,78

1.068,68

1.615,29

2017

Il bilancio annuale del 2017 è comunque am-piamente positivo e la somma complessiva dei net inflow degli Etp nei 12 mesi è stata di 10.654,78 milioni. L’obbligazionario è stato le-ader indiscusso e ha segnato il record storico di raccolta con 5.398,39 milioni, in aumento del 77% rispetto all’anno precedente. Al secondo posto per raccolta gli Etf dei paesi sviluppati, con afflussi per 1.615,29 milioni, seguiti dagli Etc/Etn con una raccolta di 1.593,75 milioni.

NUMERI IN CALO A DICEMBREPer quanto riguarda gli scambi nel mese di di-cembre i numeri sono in leggero calo rispetto al mese precedente, sia per i contratti medi giornalieri (15.082 contro 16.594 di novem-bre), sia per il controvalore medio degli scam-bi (359,9 milioni di euro rispetto a 404,5 del mese precedente). Nel corso di tutto il 2017 sono stati conclusi 17.277 contratti medi gior-nalieri, in calo del 10,84% anno su anno, con un turnover medio di 384,5 milioni di euro, in discesa del 6,46% rispetto all’anno precedente. L’Etf più scambiato per contratti nel mese di dicembre è stato uno strumento sull’azionario europeo a distribuzione dei proventi, l’isha-res Euro Stoxx 50 Ucits Etf Eur Dist, seguito da due prodotti targati Lyxor sul no-stro principale indice borsistico, il Ftse Mib: si tratta del Lyxor Ucits Etf Ftse Mib Daily Leveraged, a leva doppia long, e del Lyxor Ucits Etf Ftse Mib Daily Double Short Xbr, a leva doppia short.

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46 FONDI&SICAV febbraio 2018

Un interesseche cresce

a cura di UniCredit Corporate & Investment banking

www.onemarkets.it

I TREND DI MERCATO E LE NOVITÀ

CERTIFICATE

V E D I C H I A R O, I N V E S T I M E G L I O.

MAGGIO I 2017

Nel primo articolo del 2018 vale certamen-te la pena fare il punto sui principali trend di mercato e le novità nel segmento dei cer-tificate.

I PRINCIPALI TRENDNel 2017 si è confermato con forza il trend iniziato nel 2016: la crescita dell’interesse nei confronti delle soluzioni d’investimento nella forma di certificate con cedola o con rendimento a scadenza. Come indicato dal grafico nella pagina successiva, complessi-vamente gli scambi nei certificati d’investi-mento sul mercato sono aumentati del 37%. In assoluto i più trattati sono stati i Cash Collect Certificate, con oltre 1,7 miliardi di euro; a seguire i Bonus e gli Express con cir-ca 1,2 miliardi ciascuno.Nella categoria dei Cash Collect hanno re-gistrato un incremento le emissioni caratte-rizzate da una maggiore frequenza del flus-so cedolare. In particolare nel 2017 il 46% degli strumenti di questa tipologia ha avuto la cedola mensile, il 13% trimestrale, il 23% semestrale e il 19% annuale.All’interno dei certificati Cash Collect, gli scambi si concentrano sui prodotti che of-frono una combinazione di cedole incondi-zionate e condizionate. Le incondizionate sono incassate qualunque sia il valore dell’at-tività sottostante, mentre le seconde sono liquidate purché l’attività di riferimento resti a livelli superiori alla barriera. Gli investitori sono quindi interessati alla ricerca di rendimento con i certificati Bo-nus. La grande novità dell’ultimo trimestre 2017, i Top Bonus Doppia Barriera, è stata particolarmente apprezzata per la doppia barriera di protezione, osservata solo alla data di scadenza. In termini di controvalo-re scambiato, i Top Bonus Doppia Barriera hanno superato come volumi medi mensili i Reverse Bonus Cap e i Top Bonus.Ricordiamo brevemente come funzionano. I Top Bonus Doppia Barriera consentono di ottenere a scadenza un rendimento anche in scenari di moderato ribasso. L’importo di liquidazione massimo, pari al prezzo di emissione moltiplicato per il Bonus più ele-vato, è riconosciuto nel caso in cui l’azione o l’indice di riferimento abbia registrato a scadenza un rialzo o un ribasso entro il 10% rispetto al valore iniziale. Nel caso in cui il

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FONDI&SICAV febbraio 2018 47

sottostante sia inferiore alla barriera più ele-vata, ma pari o superiore alla barriera più bassa (distante rispettivamente il 20-30% dal valore iniziale), l’investitore otterrà il prezzo di emissione maggiorato di un premio bonus, che corrisponde a un rendimento che varia dal 2% al 3% annuo. È proprio in questo se-condo scenario che risiede il vantaggio della doppia barriera di protezione. Si consideri un investimento diretto nell’azione: in caso di ribasso del 18%, un’azionista subireb-be una perdita in uguale misura, mentre il possessore del certificato non solo ottiene il rimborso del prezzo di emissione di 100 euro, ma anche un rendimento.Nel terzo scenario, in cui il sottostante è inferiore a entrambi i livelli di barriera, l’im-

porto di liquidazione replica linearmente la performance dell’attività sottostante rispet-to al suo valore iniziale, come in un investi-mento diretto nell’azionario.

LE NOVITÀIl sito internet www.investimenti.unicredit.it, punto di riferimento per le soluzioni d’in-vestimento UniCredit e per gli strumenti e servizi onemarkets, da poche settimane è stato rilasciato su una nuova piattaforma tecnologica, con una grafica completamente rinnovata e nuovi contenuti.Nell’ambito di un dialogo continuo con gli investitori, nella primavera del 2017, in colla-borazione con Doxa, è stata condotta un’in-dagine approfondita sui prodotti e servizi

UniCredit, incluso il sito internet. Lo studio ha coinvolto oltre 2.200 persone sul terri-torio italiano e ha consentito di compren-dere meglio le esigenze dei nostri clienti. Ogni suggerimento è alla base del continuo miglioramento dei nostri servizi.Ora sono a disposizione nuovi strumenti per reperire i prodotti, sia con una ricerca semplice per parola chiave o codice identi-ficativo, sia con la ricerca avanzata con nu-merosi filtri e possibilità di personalizzare le colonne da visualizzare. La pagina di dettaglio di ciascuno strumento si è arricchita di nuovi elementi, tra cui il grafico interattivo per visualizzare su diver-si orizzonti temporali sia l’andamento del prezzo del certificato e del sottostante, sia i principali livelli soglia. Per esempio, nel caso di un Bonus Cap, sono indicati livello di bar-riera, bonus e cap. In aggiunta alle caratteri-stiche puntuali di ciascun certificato, sono disponibili gli indicatori avanzati. Inoltre, è possibile visualizzare il dettaglio dei prodot-ti non più attivi, con l’indicazione dell’impor-to di liquidazione e la data di pagamento. Ogni settimana sono disponibili diverse oc-casioni di approfondimento e interazione con gli esperti e i professionisti negli incon-tri online e sul territorio. È possibile consul-tare il calendario nella sezione onemarkets/Eventi. Per restare aggiornati, l’informativa finanziaria è consultabile tramite newsletter giornaliere e settimanali, video-pillola a metà mattina con Trading Floor, flash dei trader e analisi tecnica su centinaia di sottostanti tra azioni, indici, tassi di cambio e materie pri-me. Il mercoledì appuntamento con Dealing Room su Le Fonti TV alle 11,30 e il venerdì Focus Certificate alle 11,30 su Class Cnbc. Le registrazioni dei webinar e delle punta-te sono messe a disposizione nella sezione onemarkets Tv.Tra gli strumenti a disposizione, ricordia-mo Robocertificate, per creare portafogli virtuali di certificati in pochi semplici passi e apprezzarne l’andamento nel corso del tempo con indicatori sintetici di rischio e rendimento. Anche la sezione formazione è stata ridisegnata con nuovi contenuti, esem-pi pratici, grafici e approfondimenti.Le novità non finiscono qui. Il sito è in co-stante aggiornamento con nuovi contenuti e strumenti. Scoprili su www.investimenti.unicredit.it

2015 2016 2017

4,922

6.000

5.000

4.000

3.000

2.000

1.000

0

3,248

4,442

EUR MLN

EVOLUZIONE DEI CERTIFICATI D’INVESTIMENTO SUL SEDEX MTF

CASH COLLECT EXPRESS

ALTRO

PROTECTION

BONUS

Fonte: Statistiche annuali mercato SeDeX MTF di Borsa Italiana

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I Fondi sono comparti di Investec Global Strategy Fund, un fondo OICVM strutturato come una società di investimento a capitale variabile (Société d’Investissement à Capital Variable) ai sensi delle leggi lussemburghesi. La presente comunicazione non è un invito all’investimento e non costituisce un’offerta di vendita. Prima di eventuali decisioni di investimento si consiglia di visionare il Prospetto informativo e il KIID, documento contenente le informazioni chiave per l’investitore, dove sono specificati gli eventuali rischi. I prezzi del Fondo e copie in lingua inglese del Prospetto, delle relazioni e conti semestrali e annuali e dell’atto costitutivo, e copie in lingua italiana del KIID sono disponibili presso www.investecassetmanagement.com e possono essere richieste gratuitamente a: BNP Paribas Securities Services, Via Ansperto 5, 20123 Milano. Investec Global Multi-Asset Income Fund può investire oltre il 35% dei propri asset in valori mobiliari emessi o garantiti da uno Stato membro SEE.

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FONDI&SICAV febbraio 2018 49

CONSULENTI RETI

DARIO DI MUROamministratore delegato Finanza & Futuro

«Abbiamo dato vita a diversi progetti e iniziative interessanti che, di fatto, hanno permesso a Finanza & Futuro di entrare in una fase nuova. Mi riferisco, ad esempio, alla rivisitazione della letteradi offerta per il reclutamento dei consulenti, che è stataresa più interessante da diversi punti di vista, e alla creazione di Advisory clients, una nuova divisione di Deutsche Bank in cui Finanza & Futuro recita un ruolo di primo piano»

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50 FONDI&SICAV febbraio 2018

A poco meno di un anno dalla sua nomina ad amministratore delegato di Finanza & Futuro, Fondi&Sicav ha intervistato Da-rio Di Muro, che ha sottolineato come la sinergia con il gruppo tedesco verrà raf-forzata e ha spiegato le caratteristiche del progetto Advisory clients.

Si è appena chiuso il 2017. Qual è stato il bilancio di Finanza & Futu-ro negli scorsi 12 mesi?«Finanza & Futuro ha registrato risultati particolarmente positivi in un anno che si potrebbe definire di transizione, poiché è stato caratterizzato da diversi cambia-menti, a partire dalla mia nomina ad am-ministratore delegato. Malgrado il mio insediamento sia avvenuto in un’ottica di continuità rispetto al passato, considerata la mia costante collaborazione negli anni con Armando Escalona (l’ex ad), che nel suo nuovo ruolo di vice presidente è più presente che mai, nel corso dell’anno ab-biamo dato vita a diversi progetti e iniziati-ve interessanti che, di fatto, hanno permes-so a Finanza & Futuro di entrare in una fase nuova. Mi riferisco, ad esempio, alla rivisita-zione della lettera di offerta per il recluta-mento dei consulenti, che è stata resa più interessante da diversi punti di vista, e alla creazione di Advisory clients, una nuova divisione di Deutsche Bank in cui Finanza & Futuro recita un ruolo di primo piano, com’è naturale che sia, visto l’approccio consulenziale garantito in questi 30 anni di attività. Si può dire, quindi, che il 2017 è stato un anno di costruzione, 12 mesi nei quali abbiamo gettato le basi per una solida crescita futura».

Come è cambiata la vostra lette-ra di offerta per i consulenti che guardano a Finanza&Futuro?«Partendo dal presupposto che ogni pro-posta viene calibrata ad hoc sulle caratte-ristiche e le esigenze del singolo profes-sionista, riteniamo che la nostra offerta economica standard ci posizioni in questo momento al top del settore. Nel dettaglio, tralasciando gli economic, la lettera fa leva sulle peculiarità del nostro modello di bu-siness, un sistema nel quale viene premiata più che altrove la maggiore predisposizione ad adottare una reale architettura aperta,

DARIO DI MUROamministratore delegato Finanza & Futuro

La retedi un grande gruppo

a cura di Massimiliano D’Amico

CONSULENTI RETI

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FONDI&SICAV febbraio 2018 51

un fattore che lascia un’ampia libertà di scelta ai consulenti nella selezione dei pro-dotti da inserire in portafoglio e che, specie in questo momento, rappresenta un plus ri-levante».

Quali sono invece le caratteristi-che di Advisory clients?«L’Advisory clients, in sintesi, non è altro che una strada nuova e stimolante che con-sente ai professionisti di Finanza & Futuro di attingere a tutta una serie di asset che solo un gruppo globale, solido e capace di muoversi con successo nei diversi ambiti del mondo degli investimenti come Deu-tsche Bank è in grado di assicurare loro. Ritengo che nel passato Finanza & Futuro abbia sfruttato solamente in parte questo legame, mentre con la nuova divisione l’o-biettivo è proprio cogliere appieno tutte le opportunità offerte dal gruppo. Principal-mente punteremo su un rapporto ancora più stretto tra la rete dei consulenti e le filiali di Deutsche Bank sul territorio, così che il cliente possa sfruttare al meglio que-sta sinergia sulla base delle sue specifiche esigenze. Poi ci muoveremo con maggiore intensità su tutta l’attività del credito, ren-dendo l’accesso a questo canale molto più semplice rispetto al passato. Il terzo ele-mento di novità, molto importante, è la nuova proposta nel campo dell’investment banking, un settore nel quale Deutsche Bank si caratterizza come una primaria re-altà a livello mondiale».

Qual è il suo bilancio personale a quasi un anno dalla nomina ad amministratore delegato? Quale crede che sia stato il suo maggiore contributo?«Tempus fugit: è già passato quasi un anno dalla mia nomina e il tempo è davvero vo-lato via velocemente, specie perché il lavo-ro da portare a compimento non è certo mancato. Ciò che sto cercando di fare è contestualizzare maggiormente Finanza & Futuro all’interno del gruppo. Io lavoro in Deutsche Bank da quasi 20 anni, ho opera-to per un biennio a Francoforte e ritengo di potere garantire un maggiore legame tra la rete dei consulenti finanziari presente in Italia e la casa madre. Questo è un progetto che sento cucito addosso e, secondo il mio

parere, rappresenta il vero valore aggiunto che Finanza & Futuro può vantare nei con-fronti dei competitor».

Quali strategie avete messo in campo per raggiungere nei primi 11 mesi del 2017 circa 700 milioni di raccolta netta? «A fine novembre eravamo su quelle cifre, ma crediamo di potere chiudere il 2017 vi-cini al miliardo di raccolta netta totale, in linea con il trend degli ultimi anni. Mi piace rimarcare, tuttavia, che, dopo avere sconta-to una partenza in sordina a causa dei cam-biamenti che ho spiegato in precedenza, nella seconda parte dell’anno abbiamo assi-stito a una fase scoppiettante, sia dal punto di vista dei nuovi afflussi, sia del recluta-mento, i cui risultati si vedranno già a ini-zio 2018. Posso affermare che dopo pochi mesi, sia la nuova lettera, sia la nuova orga-nizzazione, accompagnate da una direzione più puntuale e accattivante che ha reso più chiari i nostri obiettivi e i mezzi per rag-giungerli, hanno cambiato radicalmente la nostra percezione sul mercato. Dopo avere presentato queste novità dopo l’estate, già

da settembre abbiamo assistito a una de-cisa accelerazione e, non a caso, gli ultimi quattro mesi del 2017 sono stati i miglio-ri degli ultimi anni dal punto di vista della raccolta netta. Stiamo acquisendo profes-sionisti di alto standing a un ritmo elevato: come anticipato gli effetti non si vedono ancora perché ci vuole tempo per trasfe-rire i loro asset presso Finanza & Futuro, ma la partenza del 2018 sarà bruciante ed è frutto dell’intenso lavoro e delle novità avviate nella seconda parte del 2017».

Perché, secondo lei, il mondo dell’investment banking sta di-ventando così importante per le reti?«Ritengo che in questo momento le condi-zioni di mercato spingano verso una mag-giore focalizzazione su uno dei principali motori del tessuto economico italiano: la piccola e media impresa. Si è creato, anche grazie ai capitali che i Piani individuali di ri-sparmio stanno indirizzando verso le Pmi, un enorme mercato potenziale da seguire per accompagnare le aziende dal punto di vista del credito o per selezionare insieme

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52 FONDI&SICAV febbraio 2018

a loro gli strumenti più adatti per la raccol-ta dei capitali. Grazie alla nuova struttura Advisory clients abbiamo tutti gli strumen-ti per focalizzare maggiormente l’attenzio-ne sulla nostra capacità di offrire consulen-za proprio su questi temi, con l’obiettivo di fare incontrare domanda e offerta. Sono convinto che abbiamo tutti i mezzi per fare la differenza, poiché il nostro è un gruppo leader, sia nel mondo del credito, sia nel-le operazioni strutturate sul capitale delle aziende e quindi non dobbiamo inventare nulla, ma si tratta solo di mettere a terra il progetto.

Come state formando i consulenti che dovranno rispondere a questa nuova esigenza?«L’obiettivo non è certo creare alcuni in-vestment banker, ma capire quali sono le potenzialità del gruppo e le esigenze del cliente per unire le due cose. Stiamo in-vestendo molto nella formazione dei pro-fessionisti della nostra rete, sia nella parte del credito, sia in quella delle operazioni strutturate per dare una risposta concre-ta e adeguata alle nuove e più sofisticate esigenze della clientela. Se è ovvio che il consulente finanziario rimarrà il tradizio-nale custode della relazione con il cliente,

è altrettanto vero che per riuscire a garan-tire un’advisory realmente efficace in que-sti nuovi segmenti il professionista dovrà gioco forza affidarsi alle strutture del grup-po, lavorando in sinergia con loro. Abbiamo la fortuna, in sintesi, di potere contare su un motore molto potente che è stato solo parzialmente utilizzato in passato».

Quale sarà il progetto più impor-tante che Finanza & Futuro sve-lerà nel 2018?«L’idea è sfruttare maggiormente e a ogni livello le sinergie di gruppo e ampliare le linee guida impostate nel 2017. Per mette-re a terra tutti i cavalli di questo poderoso motore, lavoreremo maggiormente sulla formazione, punteremo con più decisione sul segmento del credito, imposteremo una relazione più proattiva con le filiali bancarie sul territorio e, come detto, l’in-vestment banking diverrà uno dei nostri punti di forza. Dopo avere creato l’orga-nizzazione, ora lavoreremo per sfruttare sempre più queste potenzialità. E per quan-to riguarda il reclutamento, com’è naturale che sia, ci focalizzeremo su quella fascia di consulenti che già operano in questa dire-zione; quindi, professionisti che abbiano le abilità per lavorare con l’imprenditore e

con il cliente privato in modo sempre più qualificato».

Quale target avete fissato per il primo semestre del 2018 in termi-ni di raccolta netta e nuovi inse-rimenti?«In questo momento guardiamo ai 20 mi-liardi di asset under management (al 30 settembre 2017 erano 14,21 miliardi, ndr)come l’obiettivo da raggiungere quanto prima, credo nel giro di due-tre anni. Una grossa spinta arriverà ovviamente, sia dal reclutamento (in questo senso contiamo di inserire annualmente 150 professionisti qualificati in possesso di un portafoglio dai 20 milioni di euro in su), sia dalla robusta crescita degli asset (tra il 10% e il 15% an-nuo) dei consulenti che già operano per Finanza & Futuro. Gli obiettivi sono cer-to ambiziosi, specie se consideriamo che lo scorso anno abbiamo inserito 85 nuo-vi professionisti, mentre oggi parliamo di un’accelerazione dei reclutamenti nell’or-dine del 50%. Ma, dopo ciò che abbiamo sperimentato negli ultimi quattro mesi del 2017, ritengo che il target sia assoluta-mente realistico e alla portata. Guardiamo con interesse, sia ai consulenti senior che cercano una piattaforma indipendente con

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FONDI&SICAV febbraio 2018 53

cui lavorare, anche in relazione dell’arrivo della Mifid II, sia ai dipendenti provenienti dal canale bancario, che hanno l’ambizione e la capacità di fare il salto verso una di-mensione maggiormente imprenditoriale».

A proposito di Mifid II, che cosa cambierà con la nuova normativa?«A mio avviso non muteranno molto le regole del gioco, poiché il professionista qualificato non cambierà quasi nulla del suo approccio e ciò che faceva prima con-tinuerà a proporlo anche in futuro. Sarà invece un grosso problema per il consulen-te che non ha nelle sue corde una buona preparazione sulla parte prodotti e non ha mai adottato un approccio consulenziale. In tal senso la Mifid II segna definitivamen-te uno spartiacque tra ciò che avveniva in passato e ciò che caratterizzerà invece il futuro: trasparenza e maggiore tutela della clientela».

Molti osservatori (oserei dire tut-ti...) si attendono una discreta con-trazione dei margini. Come vi siete mossi per rispondere a questo fe-nomeno e garantire ai consulenti provvigioni soddisfacenti? «Penso che sia prevedibile una contrazione dei margini, ma ritengo che il problema ri-guarderà più che altro l’industria dell’asset management, poiché la maggiore attenzio-ne sui costi spinta da Mifid II evidenzierà la scarsa efficienza di alcuni prodotti che non generano ritorni adeguati per il cliente. Ed è quindi plausibile che l’investitore si muoverà per sostituirli con strumenti a gestione pas-siva, come ad esempio gli Etf, che presentano costi molto più bassi. Per quanto riguarda Finanza & Futuro, il nostro modello di bu-siness non ha mai garantito, sia alla rete, sia ai consulenti, margini mirabolanti, poiché ab-biamo sempre creduto nella vera creazione della catena del valore, quindi con ritorni, al tempo stesso, per l’azienda, per il consulente e per il cliente. Non a caso abbiamo passa-to la seconda parte del 2017 incontrando gli advisor per spiegare loro che questa fase è ottima per giocare d’attacco, considerando che, di fatto, grazie all’architettura aperta e al controllo dei costi puntuali, noi abbiamo da sempre sposato le linee guida della Mifid II».

Non crede che l’informativa ex ante sarà la novità che spaventerà di più i clienti?«Io ritengo che il consulente preparato abbia da sempre, anche in presenza di una docu-mentazione non così puntuale, assicurato un’adeguata disclosure al cliente. C’è quindi nella pratica una semplice formalizzazione di ciò che il bravo consulente ha sempre evi-denziato agli investitori».

Cosa dobbiamo attenderci sul fron-te della consulenza a parcella da Fi-nanza & Futuro? «Stiamo investendo da almeno quattro anni su questo servizio e negli ultimi 12 mesi abbiamo assistito a un’accelerazione fortis-sima. Stiamo quindi cavalcando molto que-sto tema. Siamo a circa 1,5 miliardi di asset under advisory e sicuramente in prospettiva l’evoluzione più grande della nostra industria riguarderà la crescita ulteriore del business, poiché questo modello di servizio evita a monte qualsiasi conflitto di interesse e quin-

di mi attendo che si andrà con decisione in questa direzione. Partendo da questi presup-posti, vorremmo arrivare a numeri ancora più importanti e l’obiettivo è avere quanto prima il 30-40% degli asset in gestione sot-to consulenza. Riteniamo di avere sviluppato dal punto di vista organizzativo un’adeguata cura dei portafogli, un sistema efficiente per la selezione dei prodotti e un’ampia gamma di offerta, il tutto puntando molto sul con-trollo del rischio più che sulla performance in senso assoluto».

Un vecchio rumor sostiene che Fi-nanza & Futuro sia sul mercato. Cosa risponde?«Una risposta importante la stiamo dando con i fatti: siamo costantemente impegnati per portare Finanza & Futuro sempre più al centro della realtà italiana della consulen-za e con l’incorporazione della legal entity, che avverrà nei prossimi mesi, c’è la volontà di dare maggiore risalto al brand Deutsche Bank».

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54 FONDI&SICAV febbraio 2018

In un anno che si è rivelato per molte reti e per l’intera industria da primato in termini di raccolta netta, il reclutamento dei profes-sionisti sia dai competitor sia dal canale bancario ha rappresentato, come da tradizione, uno dei focus principali per la maggior parte del-le strutture. In ogni caso, benché i costi di inserimento siano desti-nati a surriscaldarsi, visto l’ingres-so nell’arena competitiva di nuovi player, le reti hanno già delineato i loro piani per rafforzarsi nume-ricamente. E così, non solo grazie a quest’ultimo elemento, i 12 mesi appena iniziati dovrebbero rappre-sentare nelle intenzioni degli inter-vistati un altro periodo di crescita per la raccolta e gli asset under management

Anche il 2017 si è chiuso per le reti di con-sulenti finanziari con numeri da record. Già a fine novembre scorso (ultimo dato dispo-nibile al momento della realizzazione di Fon-di&Sicav) la raccolta netta complessiva delle strutture si era assestata a 35,2 miliardi di euro, valore superiore a quanto realizzato nell’intero anno precedente (33,0 miliardi). E i comunicati stampa dei player che sono stati in grado di indicare già gli afflussi netti dell’intero 2017 potrebbero essere accomu-nati da una sola parola: record. Banca Ge-nerali, ad esempio, ha realizzato nel 2017 il migliore risultato di sempre in termini di raccolta netta e la crescita dei flussi rispetto al 2016 è stata del 21%, a quota 6,87 miliardi di euro. Cambiano le reti ma non i termini utilizzati per descrivere i risultati raggiunti: con oltre 5,8 miliardi, nel 2017 Banca Me-diolanum ha registrato il dato di raccolta in fondi e gestioni più alto di sempre, grazie anche a un dicembre molto positivo, mentre il gruppo Azimut ha registrato nel 2017 flussi netti per 6,8 miliardi, superando il pre-cedente record del 2015. Ancora una volta a guidare le strategie delle strutture che offrono consulenza finanziaria è stato il reclutamento dei migliori profes-sionisti su piazza. Negli scorsi 12 mesi, le reti Fideuram e Sanpaolo Invest hanno inserito 323 nuovi private banker, portando il numero

di Massimiliano D’Amico

Sarà un 2018 buono comeil 2017

RECLUTAMENTO E RACCOLTA, I RISULTATI E I PIANI PER L’ANNO IN CORSO

CONSULENTI RETI

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complessivo dei professionisti delle due strutture a quota 5.063. Banca Generali ha invece dato il benvenuto a circa 150 banker, generalmente profili private con portafogli medi pro capite in linea a quelli della banca, intorno, quindi, a 28 milioni di euro. Con l’in-gresso di sette nuovi professionisti nel mese di novembre, sono saliti a 100 i nuovi ban-ker inseriti nei primi 11 mesi del 2017 nella rete dei family banker di Banca Mediolanum guidata dal direttore commerciale Stefa-no Volpato. Nel dettaglio, dei 100 nuovi professionisti, 54 provengono da altri istituti di credito. «Il 2017», conferma Andrea Pennac-

«La rete di IwBank si caratterizza sempre più per la crescita qualitativa e per il sensibile incremento del portafoglio medio detenuto dai nostri professionisti, in progresso di quasi il 50% dalla fusione a oggi»ANDREA PENNACCHIAANDREA PENNACCHIA

direttore generale IwBank Private Investments

chia, direttore generale di IwBank Pri-vate Investments, «è stato un anno di grande soddisfazione per la rete dei nostri consulenti finanziari, con un patrimonio in ge-stione che si attesta ormai a quasi 10 miliardi di euro di asset complessivi e con una rac-colta netta in crescita a doppia cifra rispetto al 2016». In questo contesto anche l’azione di reclutamento ha fornito un importante contributo, con l’ingresso in IwBank Private Investments di quasi 50 nuovi professionisti. «Un’ulteriore conferma», sottolinea Pennac-chia, «della forza di attrazione del modello di servizio multicanale e specializzato della ban-ca, che fa leva su una piattaforma di soluzioni

«Mantenendo invariato il nostro indirizzo strategico, ovvero quello di coinvolgere

nella nostra squadra solo consulenti professionalizzati e

con un basso turnover precedente, stimiamo di

inserire nel primo semestre del 2018 30 professionisti

con un portafoglio medio tra 15 e 20 milioni»

MASSIMO GIACOMELLI

MASSIMO GIACOMELLIresponsabile della rete

dei consulenti finanziari Widiba

di risparmio gestito ad architettura aperta in costante evoluzione».L’azione di inserimento dei nuovi consulen-ti finanziari di IwBank Private Investments è stata, secondo l’azienda, molto selettiva e si è concentrata, anche nel 2017, sui profes-sionisti provenienti, sia da altre reti, sia dal canale bancario e dal private banking. «Nella nostra esperienza», spiega Pennacchia, «il ba-cino delle reti rappresenta ancora l’ambito principale di reclutamento, ma registriamo al tempo stesso un interesse crescente da parte dei professionisti del canale bancario e del private banking che rappresentano ormai oltre un quinto dei nostri inserimenti com-plessivi».I canali di reclutamento sono accomunati, secondo Pennacchia, dalla presenza di pro-fessionisti di elevato standing in grado di erogare servizi di consulenza professionale

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e di qualità, ma si differenziano tipicamente, soprattutto nella fase iniziale di inserimento, per composizione dei portafogli e approccio relazionale con la clientela. «Per tale motivo mettiamo a disposizione strumenti e modelli di servizio specializzati, in grado di fornire le migliori soluzioni di supporto a fronte delle esigenze dei diversi ingressi».«Nel 2017», risponde Massimo Giaco-melli, responsabile della rete dei consu-lenti finanziari di Widiba, «abbiamo inserito 38 risorse, pari al 6% della nostra rete e la metà degli ingressi è avvenuta nel nord Italia, a conferma dei nostri obiettivi di sviluppo». Ancora più nel dettaglio, 11 dei 38 nuovi professionisti ai quali Widiba ha dato il ben-venuto provengono dal mondo bancario. Negli ultimi sei mesi, invece, la rete Cheban-ca! ha registrato circa 100 nuovi ingressi che, integrandosi ai professionisti provenienti da Barclays, hanno portato a 155 il totale dei consulenti della struttura a livello nazionale. «Un traguardo importante», rimarca Duc-cio Marconi, direttore centrale consulenti finanziari di CheBanca!, «specie se si pen-sa che il progetto di sviluppo della nostra rete è stato avviato lo scorso agosto». Marconi precisa che circa il 10% dei con-sulenti di CheBanca! proviene dal mondo bancario: una percentuale che a suo avviso aumenterà in modo significativo nei prossimi mesi. «Come da tradizione», precisa il consigliere delegato di Copernico Sim, Gianluca Scelzo, «cresciamo in maniera sostenibile

e organica e anche nel 2017 abbiamo prose-guito lungo questa linea inserendo 12 nuovi professionisti: tre provenienti dai competitor e nove consulenti junior che hanno termina-to il nostro percorso di inserimento. In linea generale, non guardiamo invece con grande interesse al canale bancario poiché questi profili hanno caratteristiche ed esperienza sul campo che mal si conciliano con la filoso-fia della nostra società».

PAROLA D’ORDINE: CRESCITA Anche il 2018, se non dovessero accadere cataclismi sui mercati di cui non si hanno peraltro avvisaglie, seguirà verosimilmente le orme del 2017. In tal senso le strutture interpellate hanno pianificato intensi piani di sviluppo dei team dei consulenti finanziari e, lungo questa linea, puntano a migliorare i già ottimi dati di raccolta netta registrati lo scorso anno. «I progetti per il 2018», rileva Pennacchia, «confermano l’azione di spinta al recluta-mento realizzata nell’anno appena finito con l’inserimento selettivo di profili di seniori-ty elevata, con portafoglio adeguatamente patrimonializzato. La rete di IwBank si ca-ratterizza sempre più infatti per la crescita qualitativa e per il sensibile incremento degli asset medi detenuti dai nostri professionisti, in progresso di quasi il 50% dalla fusione a oggi». Gli attuali scenari di mercato, secondo Pennacchia, mostrano che in futuro i nuovi ingressi proverranno sempre più dal mondo dei dipendenti bancari. «Lo spirito impren-

DUCCIO MARCONIdirettore centrale consulenti finanziariCheBanca!

«Il nostro obiettivo è arrivare ad almeno 200 professionisti entro il primo semestre 2018, concentrandoci su quelle regioni nelle quali non abbiamo ancora una struttura manageriale di riferimento e una rete di punti vendita radicata»DUCCIO MARCONI

GIANLUCA SCELZOconsigliere delegato

Copernico Sim

«Puntiamo su pochiinserimenti mirati alla volta, in

modo da poterli introdurre al meglio nel nostro modo di vivere la professione, così da avere sempre il massi-mo controllo sulla qualità della

consulenza offerta»GIANLUCA SCELZO

a proseguire lungo questo trend di crescita qualitativa e quantitativa già ben avviato e destinato a durare nel tempo».E risponde Giacomelli: «Mantenendo inva-riato il nostro indirizzo strategico, ovvero quello di coinvolgere nella nostra squadra solo consulenti professionalizzati e con un

ditoriale e la volontà di crescere dal punto di vista professionale ed economico rap-presentano infatti elementi che spingono i professionisti attivi nel canale degli istituti di credito a individuare opportunità nell’ambi-to della consulenza».In merito agli obiettivi di raccolta, per il di-rettore generale di IwBank Private Invest-ments, gli ultimi dati hanno evidenziato una crescita a doppia cifra, sia delle masse, sia del portafoglio medio dei consulenti finan-ziari. «Va da sé che non ci accontentiamo di quanto realizzato finora e siamo determinati

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Azimut, la rete cresce malgrado lo scenario sia sempre più competitivo A margine della convention annuale di Azimut, che si è tenuta a Montecarlo, Paolo Martini, amministratore delegato di Azimut Capital Management, ha tracciato un bilancio dei reclutamenti 2017 e ha indicato i target per il nuovo anno. «Nel 2017», ha spiegato il manager, «abbiamo dato il benvenuto a 93 professionisti, rispetto a una media storica di 120 new entry annuali, portando il totale degli advisor a quota 1.638. Consi-derando che nell’ultimo quadriennio abbiamo inserito 500 consulenti, si è ritenuto fosse naturale fare respirare una macchina che aveva corso parecchio». Nel dettaglio, il consulente finanziario tipo inserito da Azimut nel corso del 2017 ha 42 anni, vanta il 77% degli asset investiti in fondi comuni e gestisce un portafoglio medio di 21 milioni di euro. Sul tema dei reclutamenti, il manager ci tiene ad aprire una piccola parentesi, evidenziando che, specie nell’ultimo periodo, complice l’arrivo di diversi player, lo scenario competitivo si è fatto ancora più serrato e il mercato è diventato in molti casi veramente eccessivo, poiché la competizione sul prezzo e, dunque, la sfida per accaparrarsi i migliori professio-nisti, si gioca ormai su incentivi all’ingresso che hanno raggiunto livelli al limite, nell’ordine addirittura del 2,5-3,5% per i profili di alto standing. «In uno scenario del genere, una rete solida, seria e che guarda al lungo periodo come la nostra», rimarca Martini, «si pone una serie di domande sulla reale convenienza di portare a termine operazioni di questo tipo». Il manager sottolinea che alcune reti sono disposte addirittura a superare le percentuali precedentemente indicate per avviare quelle che lui definisce mere operazioni di mar-keting. «Talora, strappare a una rete leader del mercato come Azimut un consulente di livello serve più che altro a inviare un ipotetico segnale di forza all’intero settore dell’a-dvisory finanziaria». Guardando al 2018, il manager sottolinea che il target verrà mantenuto a 100-120 inseri-menti, «stando sempre attenti più alla qualità che alla quantità dei reclutamenti. Puntere-mo sia sul canale bancario, dove c’è ancora spazio di crescita, sia sui professionisti senior provenienti dai competitor».

basso turnover precedente, stimiamo di in-serire nel primo semestre del 2018 30 pro-fessionisti con un portafoglio medio tra 15 e 20 milioni». Il manager, malgrado la crisi del sistema bancario, prevede che il 50% di nuo-vi colleghi proverrà da questo canale poiché non tutti i dipendenti saranno in grado di svolgere l’attività di consulenza in maniera totalmente imprenditoriale.«Il nostro obiettivo», ribatte Marconi, «è arrivare ad almeno 200 professionisti entro il primo semestre 2018, concentrandoci su quelle regioni nelle quali non abbiamo anco-ra una struttura manageriale di riferimento e una rete di punti vendita radicata. Vogliamo inoltre raggiungere con la sola struttura dei consulenti finanziari 1,5 miliardi di masse ge-stite. Tutti traguardi che reputo ambiziosi per questo primo anno di attività, ma ampiamen-te alla nostra portata. Oggi, infatti, l’attenzio-ne del mercato verso il nostro progetto è molto alta: la rete di CheBanca! rappresen-ta a mio avviso il primo e vero elemento di novità e di discontinuità dopo tanti anni nel settore. Ritengo che il 30% dei nuovi ingressi deriverà dal mondo dei dipendenti bancari e non solo del private banking». «Come detto in precedenza», precisa Scelzo, «vogliamo rafforzarci costantemente e senza scossoni e quindi nel prossimo biennio pun-tiamo a inserire una ventina di professionisti (otto senior, 12 junior), un obiettivo assolu-tamente compatibile con la nostra dimensio-ne e la strategia di business adottata. Non avendo mai fissato budget per i nostri pro-fessionisti legati alla distribuzione di specifici strumenti o costituito una struttura pirami-dale formata da diverse figure manageriali da retribuire, differentemente da altri player non possiamo (e non vogliamo) inserire interi gruppi di professionisti, scaricando poi i costi dell’operazione sulla clientela». Come emerge dalle parole di Scelzo, per la sim friulana, in questo senso una sorta di mosca bianca nell’industria dell’advisory, gli investimenti per ricercare i giovani talenti da avviare alla professione di consulente finan-ziario sono e saranno considerevoli. «Anche in questo caso Copernico», assicura Scelzo, «punta sulla selettività. Pochi inserimenti mirati alla volta, in modo da poterli intro-durre al meglio nel nostro modo di vivere la professione, così da avere sempre il mas-

simo controllo sulla qualità della consulenza offerta». Basti pensare che, mediamente, su 400 curricula ricevuti, Copernico propone, a grandi linee, il mandato a uno solo dei can-didati. «È nostra convinzione», prosegue Scelzo, «che un’azienda che non investe sui giovani è senza futuro e per questo motivo, ormai sei anni fa, abbiamo lanciato il progetto giovani che dal suo avvio a oggi ha permesso a 35 laureati provenienti dalle migliori università di intraprendere la carriera di consulente fi-nanziario, partendo da un portafoglio pari a zero».Nel dettaglio Copernico Sim offre nel primo

step un corso di formazione per accompa-gnare gli aspiranti consulenti al superamento dell’esame per l’iscrizione all’Albo, mentre successivamente l’azienda si impegna a forni-re loro la necessaria preparazione in campo commerciale e dal punto di vista della cono-scenza degli strumenti di investimento. «Non tutti i giovani, tuttavia, riescono a costruirsi una solida base clienti e in genere il terzo anno di attività rappresenta lo spartiacque tra chi ha un futuro in questo mondo e chi no. Mi piace sottolineare che i profili che su-perano indenni questa difficile fase, in linea di massima, riescono a costituirsi nell’arco di cinque anni un portafoglio di tutto rispetto».

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La Mifid II, considerati gli impatti che ha sull’intera industria, sarà verosimilmente il tema che catalizzerà l’attenzione degli operatori per tutto il 2018. Per questo motivo Fondi&Sicav ha deciso di intervi-stare i maggiori player per cercare di ca-pire come è destinata a cambiare la pro-fessione del consulente finanziario e come risponderanno le singole strutture al pre-vedibile calo dei margini che la normativa europea porterà con sé. Iniziamo la nostra inchiesta con il direttore commerciale di Banca Mediolanum, Stefano Vol-pato, secondo cui la Mifid II rappresenta, nella realtà, un trampolino di lancio per tutta l’industria e la maggiore trasparenza sui costi non è destinata a danneggiare i consulenti e le reti. Anzi.

Quali impatti avrà la Mifid II sull’industria della distribuzione?«Quello di dare concretamente corpo e forma a un approccio che nella realtà dei fatti dovrebbe essere già acquisito, poiché focalizza la totale attenzione dei consu-lenti sulle necessità della clientela, sull’a-deguatezza delle soluzioni, sulla maggiore trasparenza dei costi. Come accade in al-tri ambiti della nostra esistenza, anche in questo caso occorre mettersi dalla parte giusta, cioè quella del cliente. La Mifid II è, a mio parere, semplicemente un’ulteriore conferma di quello che dovrebbe essere il corretto rapporto tra il professionista e il proprio cliente. Penso, tuttavia, che la nuo-va normativa rischi di generare un po’ di confusione, in quanto l’attenzione è stata posta principalmente su un aspetto: i co-sti associati all’investimento. Concentrarsi esclusivamente su questo tema rischia di diventare fuorviante poiché i costi, in re-altà, ci sono sempre stati e un buon con-sulente sa già come fare la differenza per i propri clienti in questo ambito. Vorrei, piuttosto, che l’attenzione fosse riposta su una big picture certamente più interes-sante. Mi piacerebbe che venisse maggior-mente pubblicizzata la notizia che attual-mente in Italia la propensione al risparmio è a un livello mai visto prima (i dati dell’ul-timo rapporto Einaudi specificano che la propensione al risparmio non è mai stata così alta dal 2001, circa l’11,8% del reddito

a cura di Massimiliano D’Amico

Più che una sfida è un’occasione

L’IMPATTO DELLA MIFID II SECONDO BANCA MEDIOLANUM

CONSULENTI RETI

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FONDI&SICAV febbraio 2018 59

disponibile). Temi come la sostenibilità del tenore di vita una volta andati in pensio-ne, la protezione del capitale, la creazione di valore in un mondo a tassi zero e il passaggio generazionale non dovrebbero rappresentare rilevanti problemi per la clientela, ma al contrario si evidenziano come un’enorme opportunità per mo-strare il valore di una buona consulenza. Riassumo con una sorta di adagio: “Se hai un consulente scarso lo pagherai sempre troppo, se hai un consulente bravo non lo pagherai mai abbastanza”. Un advisor capace è infatti in grado di valutare la na-turale propensione al risparmio di ogni cliente, sa dare un nome, un budget e un orizzonte temporale a ogni suo progetto

e ne garantisce metodo e disciplina».

Secondo la maggior parte degli osservatori si assisterà a un calo dei margini. Questo fenomeno colpirà maggiormente le reti o le case prodotto?«Rispondere a questa domanda è piutto-sto impegnativo. Credo che assisteremo a una riduzione dei margini e questa sarà equamente distribuita. Tuttavia torno a ripetere quanto sia importante non foca-lizzarsi solo sul costo, ma piuttosto sulla capacità dell’intera industria (fabbriche prodotto, società di distribuzione, advi-sor) di generare valore per l’investitore. È su questo piano che, secondo me, si gioca

la vera partita. Ci saranno infatti grandi differenze tra chi saprà rispondere posi-tivamente a questa istanza e chi non sarà in grado. Inoltre, ribadisco, c’è un enorme mercato dalle grandi potenzialità che non è stato ancora del tutto esplorato dagli operatori. Presidiarlo adeguatamente sa-rebbe più che sufficiente per compensare la compressione dei margini».

Banca Mediolanum come si è mos-sa per rispondere alle nuove sfide della Mifid II?«Come dicevo, la vera differenza risiede nel fatto di potere contare su professioni-sti che siano consapevoli della loro capa-cità di generare valore. Quando si sa dove sta il valore, non si hanno più problemi. Per questo motivo continuiamo a suppor-tare la nostra rete anche con un percorso formativo fortemente strutturato. Ritenia-mo che la Mifid II rappresenti una grande occasione per Banca Mediolanum, che ha fatto della relazione con il cliente il fulcro della sua attività. Dunque, chi come noi mette la relazione al centro del proprio business non può che avvantaggiarsi di un’opportunità come questa. Non a caso, siamo partiti in anticipo sulla trasparenza dei costi ex ante e, grazie a un approccio molto diretto e chiaro, i feedback che ab-biamo avuto sono stati decisamente po-sitivi».

Gli italiani non si spaventano, quindi, quando vengono eviden-ziati dal loro consulente i costi ex ante?«Penso che tutte le parti in campo debba-no sostenere e contribuire alla diffusione di una corretta informazione che abbia la capacità di creare una vera cultura finan-ziaria per il risparmiatore, il quale, è vero, si trova in una situazione per lui nuova e spesso non è preparato adeguatamente. Tuttavia, se tutti gli attori coinvolti nelle sue scelte d’investimento (distributori, fabbriche prodotto, stampa e organi di in-formazione in generale) si impegnassero a fargli comprendere dove si trova il valore, quali sono i costi e qual è la strada più efficiente per realizzare i suoi obiettivi, il passaggio da risparmiatore a investitore consapevole sarebbe meno traumatico».

STEFANO VOLPATOdirettore commercialeBanca Mediolanum

«Siamo partiti in anticipo sulla trasparenza dei costi ex ante e, grazie a un approccio molto diretto e chiaro, i feedback che abbiamo avuto sono stati decisamente positivi»STEFANO VOLPATO

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In occasione dell’edizione di ConsulenTia 2018, che si terrà a Roma dal 6 all’8 febbra-io Fondi&Sicav ha intervistato il presidente dell'Anasf, Maurizio Bufi, che ha illustrato i principali temi che verranno affrontati nella tre giorni e ha spiegato a che punto si trova l’iter per l’avvio del nuovo Albo dei consulenti finanziari.

In questa nuova edizione della ma-nifestazione quali saranno le novità e gli elementi di continuità rispetto al passato?«ConsulenTia è ormai un riconosciuto brand di una manifestazione inizialmente circoscritta alla capitale e divenuta nel tempo un evento na-zionale. Se nelle sue prime edizioni il claim era Professionisti in capitale, oggi, crescendo ed evol-vendosi, l’evento vuole tenere conto del nuovo contesto in cui opera la consulenza finanziaria. Quest’anno abbiamo quindi optato per Il va-lore del cambiamento. Vogliamo infatti mettere a fuoco due aspetti: il cambiamento indotto e atteso dalla rinnovata cornice normativa e re-golamentare e la naturale evoluzione della pro-fessione. Il format della manifestazione rimane quello collaudato e la carne al fuoco è, come sempre, parecchia. Oltre al convegno inaugu-rale e al meeting del secondo giorno, sono previsti gli interventi degli sponsor (in aumen-to rispetto all’edizione precedente), nonché la nostra proposta di formazione. Quest’anno abbiamo deciso di ampliare l'iniziativa di educa-zione finanziaria, che è rivolta sia ai giovani, sia agli adulti. Ovviamente una riflessione partico-lare verrà dedicata all’introduzione della Mifid II, che si teme potrebbe comportare una mag-giore pressione sui margini. A questo proposi-to riteniamo che se, come prevedibile, si do-vesse andare incontro a questo scenario i costi della normativa dovrebbero essere ripartiti sui

vari soggetti che formano la catena del valore, che parte dall’industria dell’asset management e passa al mondo delle reti e vede nel consu-lente finanziario l’elemento centrale di questo sistema. In questa occasione chiamiamo quindi a raccolta tutto il mondo dell’industria per ca-pire qual è il posizionamento su questi temi, anche esaminando i risultati dell’indagine che abbiamo commissionato alla McKinsey».

Secondo lei i consulenti finanzia-ri sono pronti ad affrontare questa nuova sfida?«Il tema è complesso e il ruolo di un’associa-zione è proprio porre l’attenzione sugli impat-ti, sugli equilibri e sull’evoluzione che compor-terà l’introduzione di una nuova normativa. Cerchiamo di farlo coinvolgendo chi ha già metabolizzato questa rivoluzione e chi invece si troverà ad affrontare questa nuova evoluzio-ne. Parliamo di una cornice normativa che si inserisce, in ogni caso, in un contesto già abba-stanza strutturato e che prosegue il percorso intrapreso dalla Mifid I. Come associazione vo-gliamo affrontare questi temi confrontandoci con tutti gli attori, poiché il nostro obiettivo è evitare che la probabile riduzione dei margini pesi solo su un soggetto della catena distribu-tiva. E ovviamente mi riferisco ai consulenti. La domanda che tutti si fanno è: la riduzione dei margini colpirà maggiormente la produzione o la distribuzione? Questo è un aspetto centrale del dibattito. Secondo me il 2018, nonostante rappresenti l’anno di decorrenza della norma-tiva, sarà un periodo di transizione e non è detto che nel corso di questi 12 mesi si trovi un equilibrio definitivo».

Lei che idea si è fatto? La compres-sione dei margini ricadrà maggior-mente sui consulenti o sugli asset

manager?«Come anticipato, il mercato è alla ricerca di un suo equilibrio. Tutte, o quasi, le case di gestione hanno preso la stessa decisione, cioè sostenere direttamente i costi legati alla ricerca senza farli ricadere sulla cliente-la. Questo trend conferma una volta di più che la riduzione dei margini avrà un impatto sia sulla produzione, sia sulla distribuzione. A questo proposito, penso che l’indagine che abbiamo commissionato ci aiuterà a chiarire maggiormente le idee. Personalmente ritengo che vadano tutelati gli equilibri del mercato, le aspettative della clientela, ma anche l’operato dei consulenti finanziari che, come avvenuto in tutti questi anni, dovranno dimostrarsi capaci di assicurare un servizio ad alto valore aggiun-to alla clientela. Questo è per noi, infatti, un passaggio centrale».

Il nuovo Albo dei consulenti finan-ziari dovrebbe vedere finalmente la luce nel 2018. A che punto siamo? «Continua la fase di avvicinamento, ma questa volta abbiamo una data limite: il legislatore ha infatti fissato al più tardi al primo dicembre 2018 la deadline per l'avvio definitivo dell’Albo dei consulenti finanziari. Bisogna tenere in con-siderazione, comunque, che l’emanazione delle disposizioni di legge non basta per dichiarare concluso l’iter, perché manca ancora il quadro completo dei decreti attuativi del Ministero dell’economia e delle finanze e della Consob, la quale ha emanato a fine dicembre solo una parte del regolamento Intermediari in merito al funzionamento dell'Albo, alla vigilanza e ai criteri di rappresentatività delle associazioni dei consulenti finanziari e dei soggetti abilitati. Vista l’importanza, abbiamo deciso di appro-fondire questo tema nel corso di due specifici convegni di ConsulenTia 2018».

Nell'anno dei cambiamenti

CONSULENTIA 2018

MAURIZIO BUFIpresidente Anasf

CONSULENTI RETI

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62 FONDI&SICAV febbraio 2018

ENRICO BARTOLINI

LIFESTYLE

Non la classicabiografiada chef

Lo chef Enrico Bartolini raccon-ta in prima persona la storia del suo percorso verso l’eccellenza, presentando l’arte culinaria at-traverso la chiave di lettura che emerge dalla sua stessa cucina: «classicità contemporanea». Nei suoi piatti, infatti, la tradizione si fonde con l’innovazione, la curio-sità insaziabile, la ricerca e un’in-cessante sperimentazione, dan-do vita a sapori nuovi e al tempo stesso carichi di ricordi, dal forte impatto emozionale

«…Non so se la mia sia una belle storia, una storia interessante, giusta, o se non abbia nessuna di queste qualità. Ma è la mia e a me piace un sacco…»Questa è l’ultima frase del prologo della prima pagina del libro Enrico Bartolini classico contemporaneo e rappresen-ta appieno lo spirito dello chef: forte, ma al tempo stesso umile, riflessivo e cari-smatico, oltre che saturo di una semplici-tà spiazzante.In questo volume Enrico riesce a tra-smettere emozioni, pensieri e ricordi, con semplici parole, dosate con maestria, e racconta aneddoti che lo hanno porta-to al suo grande successo. Lo chef, che ricordiamo ha 37 anni, ha il più alto nu-mero di ristoranti stellati in Italia, e tutti premiati a pochi mesi dalla loro apertura: cinque stelle su quattro locali, due delle quali al ristorante che porta il suo nome all’interno del Mudec-Museo delle cultu-re di Milano; dopo il Casual a Bergamo nella Città Alta e la Trattoria Enrico Bar-tolini in Maremma (aperti ad aprile 2016, quasi contemporaneamente al ristorante al Mudec, e premiati pochi mesi dopo), nell’autunno 2016 Bartolini è approdato nella Serenissima, dove ha aperto il Glam, premiato dalla guida Michelin 2018 con l’ennesima stella. Il 15 novembre Barto-lini ha inaugurato la sua quinta creazione all’interno del Fico, l’ambizioso proget-to di EatalyWorld a Bologna, che, non a caso, si chiama Cinque e che vedrà lo chef collaborare con la prestigiosa associazio-ne di ristoratori Le Soste. Spiga è il suo primo ristorante all’estero aperto l’anno scorso a Hong Kong, nel cuore di Central.

a cura di Stefania Sala

e Paola Sacerdote

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Non la classicabiografiada chef

«L’esperienza è parte fondamentale del percorso», scrive Enrico Bartolini nel-le prime pagine del volume, edito da 24 Ore cultura. «L’avere assaggiato, studiato, creato, sbagliato e corretto fa la nostra cultura. Ma è ciò che assaggerò ad alimen-tare la mia curiosità». E sono proprio la curiosità, il grandissimo talento, la creati-vità e l’instancabile lavoro quotidiano gli ingredienti alla base dell’arte di Bartolini.Nella seconda parte del libro, 30 ricet-te avvicinano il grande pubblico all’ar-te culinaria di Bartolini, coinvolgendolo all’interno di un’esperienza gastronomica unica; dalle prime creazioni cucinate agli albori della carriera, a quelle di ultima generazione, come il celebre risotto alle rape rosse e salsa gorgonzola, icon dish dello chef.Il volume è dedicato a tutti i lettori aman-ti della grande cucina, delle storie di suc-cesso e dei libri da collezione; le originali immagini sono del fotografo Giò Mar-torana, che è riuscito a catturare l’es-senza di ogni singolo piatto.

In alto: interno del ristorante Enrico Bartolini Mudec a Milano

A sinistra: croccante ai pinoli,

Sopra: la copertina del libro Enrico Bartolini classico contemporaneo

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64 FONDI&SICAV febbraio 2018

RELAX AD ALTA QUOTA

LIFESTYLE

Montagnedi charme LUXURY CHALET CON VISTA

Nel cuore della Valle d'Aosta, tra le vette più alte delle Alpi, nella valle di Breuil-Cervinia, troviamo il Principe delle Nevi, con i suoi esclusivi chalet extra luxury. Il più suggestivo è sicuramente il Plateau rosa chalet, 40 me-tri quadrati affacciati sull'omonimo ghiacciaio. Per rendere più piacevole la permanenza non manca l’esclusiva Spa, con sauna finlandese all'aroma di pini freschi, bagno di vapore e rain garden di ispirazione Zen. A completare la va-canza, pranzo in terrazza con vista panoramica su Cervinia, degustando squisite specialità ga-stronomiche del territorio.

www.principedellenevi.com

a cura di Stefania Sala

e Paola Sacerdote

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GLAMOUR CHIC, CON TRE STELLE MICHELIN

Immerso in un contesto fiabesco, nel cuore delle Dolomiti, sorge l’hotel Rosa Alpina, con il suo stile alpino ricco di charme, e la cucina stellata di Norbert Niederkofler del ristorante St. Hubertus. Così Michael Ellis, direttore internazionale delle Guide Michelin, parla della cucina all’interno della Guida Michelin 2018: «I piatti rivelano la personalità dello chef. Quelli di Norbert Niederkofler, del ristorante St. Hubertus, sanno raccontare mille e una storia. I protagonisti sono la natura, la cultura e i gusti schietti e intensi delle sue montagne, la passione e la fatica quotidiana dei contadini e degli allevatori, la qualità eccelsa dei loro prodotti, le tradizioni e i metodi tramandati, il calore dei masi, il desiderio di viaggiare per im-parare e di ritornare per ritrovare il proprio stile di vita, l’impegno, la cura, la costanza che si sposano con l’entusiasmo e la leggerezza. Nei piatti di Norbert Niederkofler si gustano questi sapori, si vedono le montagne, si ascoltano queste storie. L’incontro con questa cucina non è un pasto, ma un’indimenticabile esperienza umana».

www.rosalpina.it

CASETTE DA FIABA SOSPESE TRA I BOSCHI

A soli 15 minuti in auto da Merano, all’interno di una magnifica area di una quarantina di ettari di boschi e prati privati, si trova Il San Luis – Private Retreat Hotel & Lodges, un resort alpino di charme. Il cuore pulsante della struttura è la clubhouse, con le aree dedicate al relax e alla convivialità, senza dimenticare la magnifica piscina interna, con tanto di caminetto scoppiettante a rendere l’ambiente ancora più speciale: dalla sala piscina si può inoltre raggiungere la piscina ri-scaldata esterna e la Jacuzzi, immersa in mezzo allo scenografico laghetto naturale. A disposizione degli ospiti ci sono 26 chalet vicini al corpo centrale e disposti ai bordi del lago: alcuni hanno ampie terrazze affacciate sull’acqua, altri una vista mozzafiato sulle montagne. Tutti gli chalet sono dotati di bei caminetti a legna e sauna privata per un’atmosfera deliziosamente intima e alpine-chic. Poco oltre, nascoste nel parco alpino, si trovano altre 16 casette da fiaba, apparentemente sospese sugli alberi (in realtà adagiate su pali di legno, a circa 5-10 metri da terra) per un contatto con la natura davvero unico e una privacy assoluta.

www.sanluis-hotel.com

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OROLOGI

LIFESTYLE

Eberhard & Co., rivoluzionari dall’800

a cura di Massimo Avella, maestro orologiaio

Fondata nel 1887 da Georges-Emi-le Eberhard a la Chaux-De-Fond, l'E-berhard & Co. si specializza fin dall'inizio nella realizzazione di cronografi da tasca, mentre il debutto del primo esemplare da polso risale al 1919. Si tratta di un modello di notevole impatto per quel dinamico periodo di pionierismo orologiero: a carica manuale, monopulsante (le funzioni di start, stop e az-zeramento sono gestite da un unico pulsante collocato a ore 2), con il quadrante dotato di scala tachimetrica, il fondello fissato a cernie-ra e le anse a filo saldato alla cassa per ospi-tare il cinturino, come era consuetudine per i cronografi del periodo, derivati in maniera piuttosto rudimentale dai modelli da tasca di fine Ottocento.Il perfezionamento continuo consente a Eberhard di annoverare tra le sue creazioni, negli anni ‘30 orologi a carica automatica e cronografi via via sempre più evoluti, come dimostrano i modelli a due pulsanti e l'appli-cazione del contatore delle ore sul quadrante dei cronografi da polso. Sono gli anni in cui la manifattura viene adottata dalla Regia marina militare italiana quale fornitrice di orologi de-stinati agli ufficiali.Un primato riconosciuto e confermato dalla produzione di un cronografo rattrappante, datato 1939, con il pulsante per questa fun-zione coassiale alla corona di carica e la cassa di diametro decisamente superiore alla media.Gli anni '50 vedono la presentazione dell'Ex-tra-fort, un cronografo a due pulsanti dal disegno classico, con due contatori con lan-cette Dauphine, che è contraddistinto dalla

singolare funzione del pulsante a ore 4: azio-nabile a scorrimento e non a pressione, con-sente di arrestare la lancetta cronografica e di farla ripartire tenendo conto dell'intervallo di tempo trascorso.La continuità aziendale subisce una brusca interruzione nel 1962, quando in un tragico incidente muore la nipote del fondatore. La famiglia Eberhard decide di affidare la dire-zione al management e la maison prosegue la sua attività nel rispetto della tradizione, ma sempre con un occhio di riguardo alle novità.Dopo un lungo periodo di appannamento Eberhard torna protagonista negli anni ‘80. Meritano citazioni modelli come il Tazio Nuvolari, il Traversetolo, orologio con la cassa di diametro 43 mm, l'8 Jours, che con i suoi otto giorni di carica ha aperto la strada agli orologi meccanici con autonomia di mar-cia prolungata. Questi modelli accompagnano l'importante innovazione del 2001, il Chrono 4, un cronografo rivoluzionario che modifica sostanzialmente il posizionamento dei quat-tro contatori (ai contatori cronografici si è aggiunta l'indicazione di 24 ore) allineati in orizzontale, mentre nel Temerario del 2005 i contatori sono disposti in verticale.In poche circostanze ho potuto riscontra-re un orologio altamente qualitativo, anche se sottodimensionato nei mercati secondo polso. Oggi si possono trovare segnatempo Eberhard di altissima manifattura a ottimo prezzo, destinati a un proficuo investimento. Orologi originali nel design con una loro for-te identità, tali da rendere i possessori certi di un prodotto non inflazionato!Chrono 4 130

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