Nuto Revelli - Quaderno 4

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La Fondazione Nuto Revelli onlus nasce il 9 gennaio 2006, a due anni dalla scomparsa di Nuto Revelli – scrittore, partigiano e ricercatore della memoria contadina – nella convinzione che il modo migliore di ricordarlo sia di farne conoscere l’opera e, se possibile, di continuarla.

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Presidente: Marco Revelli

Direzione: Beatrice Verri, Chiara Gribaudo

Segreteria: Leoreta Ndoci

Consiglio di Amministrazione:Antonella Tarpino,Francesca Pasquero,Livio Berardo,Michele Calandri,Gastone Cottino,Eugenio Meinardi,Stefano Macocco,Luigi Schiffer,Alberto Valmaggia,Cristina Ricchiardi,Mario Cordero

MAI TARDI-ASSOCIAZIONE AMICI DI NUTOCorso C. Brunet, 1 – 12100 CUNEOTel. +39 0171 692789 • E-mail: [email protected]

Promossa dalla Fondazione Nuto Revelli onlus, è nata nel gennaio del 2007, per mantenere vivi l’opera e gli ideali di Nu-to Revelli, promuovendo iniziative culturali e politiche che rinnovino l’impegno a favore della Giustizia, della Libertà, del-la Democrazia e della Pace e permettano a tutti di partecipare in occasioni di incontri e di dibattiti. Regolata da uno Statuto, è un’associazione senza scopi di lucro ed apartitica. Vi possono aderire, mediante iscrizione da rinnovare annualmente, tutte le persone che ne condividano le finalità (cosìcome enti pubblici, istituzioni culturali e associazioni). I suoi organi sono l’Assemblea generale, che nomina il Consiglio Direttivo: esso è composto da nove membri, dura in ca-rica tre anni ed al suo interno nomina un Presidente.Le cariche sono gratuite.

L’attuale Consiglio Direttivo è composto da:

Presidente: Aldo Barberis

Consiglieri: Alberto Bosi, Nino Costantino, Chiara Gribaudo, Chiara Rota, Federica Meinardi,Giovanna Piovano, Paolo Tonini Bossi, Anna Rizza (vicepresidente)

Invitati permanenti: M. Vittoria Mulazzano

Fondazione Nuto Revelli onlusCorso Carlo Brunet, 1 - 12100 CUNEOTel. +39 0171 692789E-mail: [email protected]

[email protected]

Partita Iva: 03162540045

La Fondazione Nuto Revelli onlus nasce il 9 gennaio 2006, a due anni dallascomparsa di Nuto Revelli – scrittore, partigiano e ricercatore della memoriacontadina – nella convinzione che il modo migliore di ricordarlo sia di farneconoscere l’opera e, se possibile, di continuarla.

La Fondazione non ha scopi di lucro, è apartitica, ed è ispirata ai valori del-la democrazia e dell'antifascismo; essa persegue esclusivamente finalità disolidarietà sociale, in particolare nell'ambito della tutela, promozione e va-lorizzazione del patrimonio storico e della ricerca storico-scientifica di parti-colare interesse sociale.

Laboratorio Didattico Territoriale:Nino Costantino,Bruna Giraudo,Federica Meinardi,Maria Vittoria Mulazzano,Giovanna Piovano,Anna Rizza.

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l concorso "Ricordando Nuto" è, come i lettori di questa rivista già san-no, l'appuntamento che la Fondazione aspetta e prepara con più pas-sione durante tutto l'anno. L'attenzione che le nuove generazioni, e gli

studenti in particolare, rivolgono ai temi cari a Nuto Revelli è la nostra ragiond'essere e l'entusiasmo con cui ogni anno tantissime classi rispondono alla"chiamata" del bando ci sprona a lavorare sempre di più per coltivare e tenereviva questa attenzione. Ancora di più oggi, in un momento in cui una crisi di-sperata soffoca il nostro territorio, ripercuotendosi su tagli assai pesanti dasopportare per le scuole e per le Onlus come la nostra, pensiamo che valgala pena di alimentare quegli ideali di sensibilità, di condivisione dei microcosmidi ogni uomo: per capire la sofferenza altrui e se possibile per alleviarla. Il ban-do di quest'anno, "Ritratti", ha avuto il pregio di indagare a fondo questi mi-crocosmi e ci ha svelato un mondo di straordinaria sensibilità dei ragazzi neiconfronti delle proprie figure di riferimento: madri, padri, amici per la vita. Maanche nei confronti di figure storiche di donne - come era stato suggeritodall'inaugurazione estiva dell'Archivio "L'Anello forte" di Paraloup - vere o, in al-cuni casi, immaginate. Ma dunque, se oggi una ragazza giovane riesce an-cora a "mettersi nei panni" di una staffetta partigiana e a rivivere, come sullasua pelle, comprendendola a fondo, quella scelta di allora, vuol dire che larinascita della nostra società non è una speranza, ma una certezza. Vorrem-mo invitare quella ragazza a Paraloup, l'8 settembre, in occasione del secon-do appuntamento del ciclo "La scelta" (www.paraloup.it) per farle leggere quel-le sue parole così belle, perché riecheggino ancora, da quelle baite, parolecristalline portatrici di memoria, di una memoria custodita, rielaborata e pron-ta a resistere ancora.

Beatrice VerriDirettrice Fondazione “Nuto Revelli” onlus

Dai nostri ragazziuna speranza per il futuro

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hi, leggendo le testimonianze de “Il mondodei vinti”, de “L’anello forte”o, ancora, quellede “ La strada del Davai” non si è immaginatola scena, non sì è trovato proiettato nelle po-

vere baite in cui Nuto Revelli intervistava i suoi con-tadini? O non ha immaginato i volti dei suoi testimo-ni resi così vivi e caldi dalla sua straordinaria capa-cità di restituircene i tratti più caratteristici, le loro an-sie, le loro vicissitudini, la loro vita insomma? O, an-cora, non ha pensato a come queste donne e uo-mini sono finalmente diventati tali dopo essere stati,da sempre, soltanto volti anonimi o, peggio, numerida sfruttare, da mandare a farsi massacrare nelleguerre folli, a “servire la patria” o di cui ricordarsi sol-tanto durante le campagne elettorali? È uno dei tanti e diversi modi in cui Nutoci ha insegnato a vedere nella folla delle persone che ci circondano un signifi-cato profondo, un ruolo specifico, l’umanità. Ed è esattamente ciò che hanno col-to i ragazzi che, guidati dai loro insegnanti o autonomamente, hanno partecipatoalla quarta edizione del concorso “ Ricordando Nuto”, intitolato, appunto “ Ritratti”.Leggendo o analizzando i diversi lavori prodotti dagli studenti, abbiamo visto sfi-lare sotto i nostri occhi centinaia di donne e uomini, ragazze e ragazzi, personecomuni e personaggi storici o dell’attualità, accomunati dal fatto di essere, o es-sere stati, centrali, un punto di riferimento per molti bambini e bambine o ado-lescenti.Dovendo fare un bilancio dell’edizione di quest’anno, dobbiamo dire, innanzitutto,che, la partecipazione è cresciuta in qualità e quantità e la Giuria si è trovata indifficoltà nell’assegnare i premi. Ciò è avvenuto, evidentemente, nei casi in cui igiovani hanno voluto cogliere l’occasione per provare a riflettere, a guardarsi den-tro, dare il proprio contributo critico. Ed è questo che ci interessa veramente: lavoce pulita, il punto di vista personale, lo sguardo scomodo, provocatorio a vol-te, delle giovani generazioni. Quello sguardo che ha caratterizzato tutta l’operae la vita di Nuto Revelli a cui vogliamo avvicinare i giovani e alla cui crescita cul-

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sulle tracce di revelliper scoprirela significatività delle persone

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turale lui teneva tanto. In secondo luogo ci preme sottolineare che, nonostantela situazione finanziaria della nostra onlus sia, a dir poco, critica, abbiamo volu-to dare risalto ai lavori presentati al concorso, attraverso una mostra e la rivista“ Quaderni del Laboratorio didattico”. La prima sarà allestita a Paraloup e saràinaugurata alla presenza, speriamo, dei ragazzi e degli insegnanti che ne sonostati gli artefici. La seconda vedrà la luce in formato elettronico sul nostro sitowww.nutorevelli.org e su dvd, ma non sarà stampata come gli scorsi anni perché,purtroppo, l’Editrice Esperienze, che finora ci pubblicava i “Quaderni” finanzian-doci totalmente o parzialmente l’iniziativa, ha chiuso i battenti e le nostre finan-

ze, nonostante l’intervento provvidenziale di “Mai tardi – Associazione ami-ci di Nuto”, non ci hanno permesso ulteriori spese. Non ci rimane che rin-

graziare chi ci ha dato una mano, partendo innanzitutto dal-la Fondazione CRC che, come sempre, ciha fornito il contributo finanziario più co-spicuo. Grazie, poi all’assessore allacultura Alessandro Spedale e allaCittà di Cuneo che ci sostiene e ciappoggia, alla Libreria “Stella Ma-ris” e alla ditta di autolinee “B e B”di Roccasparvera che ci favoriscononelle spese.Il grazie più grande, in ogni caso,lo rivolgiamo a voi, studenti einsegnanti che, con la vostra par-tecipazione, date senso al no-stro lavoro.

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Nino Costantino Coordinatore Laboratorio

didattico territorialeFondazione “Nuto Revelli”onlus

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■ 1. Elisa SAMPO’ 5ª C – IIS “Arimondi - Eula” - Savigliano

■ 2. Michela MONDINO 5ª A - LST - IIS “Vallauri” - Fossano

■ 3. Cinzia CETERA 5ª A - LST - IIS “Vallauri” - Fossano

■ 1. Elisabetta VAGO 3ª G - Liceo Artistico “Ego Bianchi” - Cuneo

■ 2. Sara DE LUIGI 5ª C - Liceo Scientifico “Peano” - Cuneo

■ 3. Marek DAGMARA 4ª FIG. - Liceo Artistico “Pinot Gallizio” - Alba

Menzione speciale per:

■ Pietro BRIZIO e Klodian FRANJA (Big e Klow)3ª mecc. “Cnos-Fap”, Fossano

■ Alberto AUDENINO 3ª FIG. - Liceo Artistico “Pinot Gallizio” - Alba

Primo Premio Pari merito:■ Classe 2 G - Scuola media “Piumatti - Craveri - Dalla Chiesa”, Bra

■ Classe 3 F - Scuola media Unificata - via Sobrero - Cuneo

Menzione speciale per:

■ Classe 3ª C Scuola Media - I.C.S. “Beppe Fenoglio”Bagnolo Piemonte

■ Classe 1ª A Scuola Media – Ist. “Andrea Fiore” – Cuneo

■ Classe 3ª B Scuola Media - I. Comprensivo – Revello

SUPERIORI – SEZIONE SCRITTI – PRIMI TRE CLASSIFICATI

SUPERIORI – SEZIONE OPERE GRAFICHE, PITTORICHE,SCULTOREE, FOTOGRAFICHE, VIDEO

PRIMI TRE CLASSIFICATI

SCUOLE SECONDARIE DI PRIMO GRADO

i vincitori Ricordando Nuto

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Giuria concorso “Ricordando Nuto - Ritratti”

Piera BRUSASCAPreside Scuola Media

Domenico CHIESAPres. Forum Regionaleper l’Educazionee la Scuola del Piemonte

Paola GAZZOLA MEINERIInsegnante di materie artistiche, pittrice

Cinzia GHIGLIANOIllustratrice, fumettista

Irene MILETTOReferente Innovazionedidattica Fondazione CRC

Anna RIZZAVice Presidente Associazione “Mai tardi”Amici di Nuto

Alessandro SPEDALEAssessore alla cultura Comune di Cuneo

Beatrice VERRIDirettrice Fondazione “Nuto Revelli” onlus

Primo Premio Pari merito:■ Classe 5ª Scuola Elementare Madonna delle GrazieI.C. Borgo S. Giuseppe - Cuneo

■ Pluriclasse unica Scuola Elementare - ViolaDirezione Didattica Ceva

Menzione speciale per:

■ Classi 4ª e 5ª Scuola Elementare “Nuto Revelli”Piano Quinto – I.C. “ Lalla Romano”- Demonte

■ Classe 5ª Scuola Elementare “Nuto Revelli” Villar S.Costanzo - Dir. Didattica - Dronero

IIS “Vallauri” – FossanoLiceo “Arimondi” – SaviglianoLiceo Artistico “Pinot Gallizio” – AlbaLiceo Artistico “Ego Bianchi” – CuneoCnos-Fap - Fossano

Istituto “Andrea Fiore” - Cuneo

SCUOLE PRIMARIE

i vincitori Ricordando Nuto

SCUOLE SEGNALATE PER LA PARTECIPAZIONE

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1º premio ex aequo

SCUOLAPRIMARIA

la motivazionel testo presentato dagli alunni della pluriclasse di Viola è la sintesi delle intervisteche gli scolari hanno fatto alle loro nonne sul lavoro delle donne in montagna. La giuria ha apprezzato, in modo particolare, la sincerità, la spontaneità e l’im-

mediatezza dell’espressione, sia linguistica che grafica, con cui i bambini hanno riela-borato le testimonianze raccolte.

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Pluriclasse unicaScuola Elementare

VIOLAMaestri: M. Giorgio Ferraris - Renata Maestro

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1º premio ex aequo

SCUOLAPRIMARIA

la motivazionel lavoro multimediale presentato dagli alunni della classe quinta del plesso di Ma-donna delle Grazie è il frutto di una ricerca avente come obiettivo la riflessione sul-la nostra storia recente.

Le testimonianze di nonni e bisnonni ritraggono, con brevi pennellate, le ansie, le aspi-razioni e le situazioni che hanno caratterizzato il loro tempo e che noi, grazie a questolavoro, possiamo rivivere.

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Classe 5ªScuola Elementare

MADONNA DELLE GRAZIEIC. BORGO SAN GIUSEPPE CUNEO

Maestre: Silvia Ghibaudi - Serena Marchisio

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1º premio ex aequo

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SCUOLA SECONDARIADI 1º GRADO

ur nella specificità del-la loro diversa sceltacomunicativa, sia la2ª G della Media

“Piumatti-Craveri-Dalla Chie-sa” di Bra, che la 3ª F dellaScuola Media Statale Unifi-cata di Cuneo, hanno sa-puto interpretare con ori-ginalità e profondità il te-ma del Concorso “Ricor-dando Nuto”.Guidati con intelligenzadalle insegnanti, i ra-gazzi hanno infatti con-dotto una importanteriflessione sulla signifi-catività delle personeche camminano alloro fianco o chehanno conosciutoattraverso i massmedia, scoprendo“l’uomo” che si ce-la dietro ogni bio-grafia.Ne emergono Ritratti toc-canti e originali, tratteggiati con sempli-cità e taglio personale, frutto di un lavoro se-rio di ricerca, riflessione e discussione che han-no contribuito alla maturazione e alla cresci-ta della classe.

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la motivazione

Classe 3ª FScuola Media Statale Unificata

VIA SOBRERO - CUNEOProf.: Simona Gastaldi - Beatrice Piovano

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PrEMESSaGente “comune”,persone famose,scienziati, sportivi, politici, cantanti...donne e uomini che abbiamo incontratoattraverso i giornali,la televisione, i libri, a scuola.O che hanno percorso con noi un tratto di vita.il loro modo di agire, di pensare,le cose che sono riusciti a farespesso ci hanno colpito o fatto sognare.attraverso questo progetto vogliamo farli conoscere,motivando il perchè della nostra scelta.

ritrattialex ZaNarDi - pilota automobilistico, atleta, conduttore televisivo

Luciano LiGaBUE - cantante

alessandro BOrGHESE - cuoco

alessandro DEL PiErO - calciatore italiano

Liu XiaOBO - docente universitario, Premio Nobel per la Pace

Frances HODESON BUrNEtt - scrittrice inglese

Steve jOBS - informatico, cofondatore della apple

Vigor BOVOLENta - pallavolista italiano

Cristina MaNCiNi - maestra scuola elementare

alex HaLEY - scrittore statunitense

Marco SiMONCELLi - pilota motociclistico

isabelle CarO - modella

Martin LUtEr KiNG - politico, leader dei diritti civili

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1º premio ex aequo

ur nella specificità della loro diversa scelta comunicativa, sia la 2ª G della Me-dia “Piumatti-Craveri-Dalla Chiesa” di Bra, che la 3ª F della Scuola Media StataleUnificata di Cuneo, hanno saputo interpretare con originalità e profondità il te-ma del Concorso “Ricordando Nuto”.

Guidati con intelligenza dalle insegnanti, i ragazzi hanno infatti condotto una importanteriflessione sulla significatività delle persone che camminano al loro fianco o che han-no conosciuto attraverso i mass media, scoprendo “l’uomo” che si cela dietro ognibiografia.Ne emergono Ritratti toccanti e originali, tratteggiati con semplicità e taglio personale,frutto di un lavoro serio di ricerca, riflessione e discussione che hanno contribuito alla ma-turazione e alla crescita della classe.

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la motivazione

SCUOLA SECONDARIADI 1º GRADO

Classe 2ª GScuola Media “Piumatti - Craveri - Dalla Chiesa”

BRAInsegnante Paola Chegai

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1º premio

la motivazioneingendo il ritrovamento di un diario partigiano e prendendo spunto dalle biografiedi donne che presero parte alla Resistenza, Elisa Sampò dà vita ad un emozio-nante Ritratto di donna.Il lavoro unisce il rigore della ricerca storica alla buona capacità di rielaborare,

mentre la consapevolezza dell’importanza del tema trattato trova facile via espressiva gra-zie ad una lingua corretta, matura e scorrevole.

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Elisa SAMPÒ Classe 5ª CLiceo “Arimondi-Eula” SAVIGLIANO

SCUOLA SECONDARIADI 2º GRADO

Venerdì 8settembre 1943L’estate è agli sgoccioli e l’au-tunno dà i suoi primi segni: lefoglie degli alberi iniziano adingiallirsi e le persone ad ac-quietarsi, anche quelle più euforiche e determi-nate avvertono come sia giunto il tempo di ral-lentare i ritmi ancora in parte frenetici, anche senon così frenetici come quelli primaverili; io NO,so di per certo che non voglio calmarmi, non in-tendo lasciare che quei vermi dei Tedeschi e deiFascisti ci prosciughino il cervello, ci privino nonsolo della polpa ma anche del succo che ci rendegrandi: la nostra individualità.Spesso mi domando a cosa serva scaldarsi tanto,perché intanto i più forti sono loro, sono loro chehanno in mano le redini della situazione, e noi sia-mo solo dei poveri illusi, che urliamo “al lupo” pursapendo che coloro che ci ascoltano sono più be-stie del lupo stesso…o forse non urliamo nean-che più, siamo ormai rassegnati a un destino checi appare inevitabile; eppure deve esserci un mo-do, dobbiamo poter agire, fare qualcosa per fer-marli! Io non mi arrendo, non è da me…non per nul-la i miei mi hanno permesso di studiare, ma per es-sere consapevole di cosa mi capita intorno, guar-dare la realtà con un occhio critico, non lasciar-mi sopraffare dalla mentalità comune, né dalleloro “opere di lecchinaggio”; le loro luride tesse-re del partito, che se le tengano! Preferisco ave-re la mia dignità che uno stupido pezzo di cartautile solo a creare alienazione e uniformità dipensiero…A volte mi chiedo perché io, così giovane, che do-vrei essere spensierata, divertirmi alle feste di

paese, conoscere ragazzi eimparare ad accudire una ca-sa, io mi intestardisca tantosu questo argomento… forseperché pregiudica il mio fu-turo? O semplicemente persentirmi un’avventuriera? O

forse per dimostrare all’umanità che anche ledonne sanno farsi valere… Magari per le lavate dicapo di papà? Lui e i suoi ideali... bah, non so, l’uni-ca cosa che so veramente è che intendo sacrifi-care gli svaghi per combattere questa situazione,queste sabbie mobili, in cui siamo immersi fino alcollo, e dalle quali non riusciamo a uscire se qual-cuno non ci tira fuori…il segreto sta nel prende-re in mano le redini del cavallo e usarle a nostrofavore, credo, per uscire dalla melma che ci op-prime…

Domenica17 settembre 1943La fa facile il prete a dire di comportarci da cri-stiani, quando lì fuori, nel mondo reale, ci sono mi-gliaia di poverini che soffrono, e noi qui a parla-re, blaterare e ancora parlare! Io non riesco aformulare delle teorie, non riesco a seguire i die-ci comandamenti, perché li trovo inattuali, nonpiù adatti ai nostri tempi…come si può dire “nonuccidere” quando le persone muoiono come le for-miche calpestate dai passanti? Come possiamo“ricordarci di santificare le feste” quando è giàtanto se ci ricordiamo di salvaguardare le nostrevite e di concederci un po’ di svago ogni tanto, tol-to al lavoro e alla protesta sociale…come possia-mo “non pronunciare falsa testimonianza”, se con-

Frammentidel diario

di una partigiana

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tinuamente ci propinano menzogne, ci ingannanoper i loro sporchi obiettivi? Sono piuttosto titu-bante, e mi sento colpevole quando metto piede inchiesa, perché so di non crederci realmente, emi sembra di ingannare me stessa e gli altri…Og-gi Beppe mi ha portato un sacco pieno di calzini darammendare, quelli della sua formazione, poi sta-sera andrò da Nina a prendere dei vestiti usati,sciarpe e maglioni, perché si avvicina la stagionefredda, e i nostri partigiani hanno bisogno di sta-re al caldo. Neta mi ha raccontato che la scorsasettimana ha ospitato in casa due feriti e li ha cu-rati, poveri ragazzi…se penso che potrebbero es-sere miei compagni di scuola mi si accappona lapelle…mai più avrei pensato ad una situazione si-mile! Io, però, mi sento di non fare abbastanza!Sento spesso parlare di donne che rischiano la vi-ta per fare le “staffette” e portare messaggi im-portanti, organizzano agitazioni nelle piazze, pren-dono in consegna le armi e le tengono nascoste nel-le loro case. Vorrei anche io contribuire, darmi dafare, non possiamo arrivare ad una situazione co-sì drastica da permettere loro di catturarci edeportarci altrove!

Lunedì25 settembre 1943Ho capito una cosa importante oggi: noi donne,così come tutti gli oppressi, non combattiamo so-lo contro il Fascismo, ma anche e soprattuttocontro la disuguaglianza e l’ingiustizia. E allora misono chiesta: “Se lottiamo contro l’iniquità, per-ché contribuiamo a uccidere degli individui?”.In fondo non si può sconfiggere la guerra fa-cendo la guerra, e Tedeschi o Fascisti che sia-no sono pur sempre degli uomini, per quantoodiosi e riprovevoli…già, perché se io lottassipensando di avere davanti un altro me stessoprobabilmente non gli infliggerei dei dolori, néproprio vorrei lottare! Sono davvero combattu-ta, non so come comportarmi, se reagire o ri-manere statica come un vegetale, senza meriti,ma nemmeno senza colpe sulla coscienza…caspi-ta però, ho solo diciannove anni, non puoi Diolasciarmi tutta questa responsabilità sulle spal-le, non so reggerla, finirò per essere schiaccia-ta dal fardello dei rimorsi…aiutami, non sai quan-to io abbia bisogno di te!

Mercoledì4 ottobre 1943Oggi Nelia mi ha fatto riflettere dicen-do queste esatte parole: “Tanto gli uo-mini sono pieni di loro, tanto le donnepreferiscono tacere”. Sono parole sante!Le donne agiscono perché è il cuore chele spinge a fare così, e spesso collabo-rano in silenzio, senza pretendere nessunriconoscimento particolare, felici di ve-dere il sorriso sul volto di coloro chehanno aiutato; gli uomini (non sempre,così come ci sono delle eccezioni anche incampo femminile) fanno e strafanno perrincorrere la gloria, pensando che la no-torietà porti con sé anche la felicità,quando invece lascia un grande vuoto

Alessia DuttoEgo Bianchi - CUNEO

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dentro, perché ci si rende conto che le personeche più amavi ora sono come schifate dalla tuafama, annichilite di fronte ai tuoi palesati obiet-tivi superficiali.Ebbene, sempre in seguito a questo discorsocon Nelia, ho maturato una decisione: da ora inpoi mi spenderò il più possibile per gli altri,ascoltando solo la voce del cuore e non quelladella coscienza… d’altronde non posso continua-re a rimanere inerte, una posizione la devo pren-dere, o con o contro i nemici, sempre se si pos-sa parlare di nemici…e io non riesco più a tolle-rare di veder soffrire coloro che amo. Sono ap-pena tornata da una svolta: mi sono iscritta alpartito comunista, e ho dato la mia disponibili-tà a compiere una missione piuttosto delicata:tenere la lista dei nomi partigiani per qualchetempo; han detto che sono la più indicata perchésono “nuova” e nessuno sospetterà di me…fannosempre così, per ingannare i nemici, natural-mente facendoci prima giurare di restare fedeli,e non parlare persino a costo della nostra stes-sa vita. Mamma me l’ha detto oggi:”Rosanna, tistai mettendo in un bel pasticcio!”, ma io sono piùche convinta delle mie scelte. Ho messo la listanel potagè, nel cassetto, quello per la legna, fa-cendo bene attenzione a non bruciare quei fogli(sarebbe un vero disastro!)…e anche questo dia-rio è lì, cosicchè nessuno potrà incolparmi senon ha le prove.

Domenica8 ottobre 1943 - mattinoOggi è il mio compleanno: sono felice, perchéDio mi ha concesso di seguire le mie inclinazio-ni anche in questo periodo così turbolento; stoproseguendo gli studi per diventare maestraelementare, la mia aspirazione sin da quandoero una bambina. Sono però assalita da una pre-occupazione, magari infondata (lo spero!!!): ieri,mentre tornavo da una missione, mi è sembratodi essere pedinata, ed è stato tremendo, te loassicuro…non volevo aumentare il passo per nondare l’impressione di essere colpevole, ma nellostesso tempo sentivo crescere l’ansia dentro dime, sudavo freddo e stringevo al petto i libri discuola, anzi, li stritolavo! Giuro che se non fos-si stata vicino a casa me la sarei fatta sot-to…forse non ti rendi conto della grandezza del-la mia responsabilità: dovevo portare bombe earmi alla formazione di Giuanin e avevo il tuttoin una valigia, di quelle che uso normalmente peri sussidiari. Camminavo per la strada consapevolee per questo decisa a fare il tutto velocemente,quando a un tratto ho visto due uomini in bor-ghese a poche decine di metri da me…subito hofinto indifferenza, poi vedendo che continua-vano a seguirmi ho cercato di prendere vie tra-verse, facendo tappe in negozi e passando anche

a far visita a delle conoscenti. Da Nina mi sonofermata un bel po’, e quando sono uscita gli in-seguitori non c’erano più…che spavento! Oggipomeriggio vado a comunicare tutto ai partigia-ni; per qualche tempo non svolgerò più nessun in-carico, è più sicuro così…

Domenica8 ottobre 1943 - seraGiuanin mi ha detto che siamo in pericolo, io e lo-ro! Sono stata un’irresponsabile, e adesso nepaghiamo tutti le conseguenze… se solo avessiaspettato qualche ora non sarei in questa si-tuazione. Credo che mi perquisiranno la casa,domani… ma prima devo assolutamente restitui-re la lista dei partigiani!

Rosanna venne arrestata la sera stessa, mentreusciva di casa per andare dall’amica Nina e ac-cordarsi sul punto di ritrovo con i partigiani…nonebbe il tempo di concludere le sue riflessioni, mariuscì ad avvertire in tempo Nina perché bru-ciasse la lista nel potagè…l’amica trovò questipensieri e ne fece tesoro, considerandoli unapreziosa testimonianza dell’animo combattivo eprodigo di Rosanna.

Questi fatti sono inventati, ma potrebbero es-sere reali. Ho preso spunto dalle biografie didonne che collaborarono nella Resistenza (inparticolare dalla vita di Rosanna Rolando), svol-gendo un ruolo fondamentale. Intendo con que-sto mio scritto ricordare che tutte coloro che siimpegnarono nella lotta partigiana affrontaronoprima di tutto delle battaglie interiori, nel pren-dere le difficili scelte di vita che rendono lorodelle persone grandi, e noi orgogliosi di averlecome connazionali.

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Michela MONDINO Classe 5ª LSTIIS “Vallauri” FOSSANO

i sa, una bimba ado-ra il proprio papà: laprima figura maschi-le che entra nelle

nostre vite e forse l’unica checi accompagna per sempre. Luic’è, non c’è bisogno di chiamar-lo, di cercarlo, lui è sempre lì, con da una parte undito alzato per rimproverarti e dall’altra un cac-ciavite per aggiustare ogni gioco che, con la “dol-cezza” tipica di una bambina, distruggi o smonti.

Il mio però, come direbbero tutte del resto, è piùspeciale. È mio. Non fa un lavoro importante, nongestisce nessuna impresa famosa e non viaggiaper il mondo rappresentando una banca; lui fal’operaio fuori casa e l’operaio in casa. Si svegliapresto ogni mattina, al suono di una vecchia sve-glia che ormai non sente più nessuno se non lui!Scende dal letto, si infila gli zoccoli e avviandosiverso la cucina li fa sbattere contro il telaio del-la porta della camera, ed è a questo punto che cisvegliamo noi! Prende un caffè al volo e poi si di-rige verso il bagno, tappa santa e intoccabile,corredata ovviamente da una o due sigarette. Siinfila cappotto e cappellino (soffre il freddo allatesta) e salta sul furgone, diretto al lavoro. Ave-te presente quei personaggi che la mattina alle5.00 girano per Cuneo e, oltre a tenere strade,piazze e cassonetti puliti, vi svegliano? Ecco, lui èuno di questi. Di preciso non so quanto tempo siache lavora lì, ma sono tanti tanti anni. Il suo so-gno non era di certo questo: avrebbe voluto farnascere e veder fiorire un’azienda importante, aconduzione famigliare, collegata ad un agriturismoche portasse in tavola ogni giorno le sue verduree la pasta fatta in casa come preparava mia non-na. Ricordo ancora quando era convinto e sogna-va ad occhi aperti: vivevamo in una cascina gigan-tesca e ogni giorno che passava si inventava qual-cosa di diverso! C’era stato il periodo delle capre,quello dei conigli, dei piselli con i pomodori, dei pol-li, della produzione industriale di conserva o di pe-peroni: le aveva provate tutte. La sera, dopo ce-na, vicino alla sua amata stufa, si metteva a dise-gnare e a progettare la ristrutturazione di ogniparte della casa: il fienile sarebbe diventato ilristorante, il magazzino una stanza per far sta-

gionare formaggi e salami, poiavremmo avuto bisogno di unnuovo portico, un nuovo recin-to, un nuovo fienile. Avevo si eno quattro anni quando d’esta-te lo accompagnavo ovunque emi raccontava dei suoi sogni,

dei progetti che aveva da quando si era sposato.Pian piano però io crescevo, accanto a me eraspuntato un altro Mondino e i bisogni di tutti sta-vano cambiando. Così, accantonando il suo sognotrovò quel lavoro e non si tirò sicuramente indie-tro.

Sa tirarsi su le maniche, sa fantasticare e tornarecon i piedi per terra, sa adattarsi e farti cre-scere. E sa insegnarti tutto questo. Sono cre-sciuta con i suoi occhi azzurri che brillavano, pie-ni di gioia ed entusiasmo, le sue mani grandi cheimpastavano la pasta del pane e la stendevano atreccia, perché così era più buona; sono cresciu-ta con le sue braccia forti che mi alzavano fino aposarmi sulle sue spalle, con i suoi capelli casta-no chiaro che si lasciava pettinare ogni volta chedecidevo di essere una pettinatrice. Sono cre-sciuta nascondendo bocconi di pane sotto il piat-to a fine pasto che poi lui, puntualmente, scopri-va e mi faceva mangiare prima di permettermi dialzarmi dal tavolo, facendo sempre scarpetta per-ché il cibo non si spreca e si deve assaggiare sem-pre tutto prima di dire: “Non mi piace!”. Sonocresciuta guardando le stelle con lui nelle sered’estate, girando scalza per casa per far respirarei piedi. Sono cresciuta con un papà che probabilmentenon mi ha mai letto una storia e non ha mai giocatoalle Barbie con me, non mi ha mai riempita di com-plimenti e non è mai andato in giro a sottolineareche “Quella lì è mia figlia”. No. Lui lasciava chesbattessi il naso ovunque, che mi facessi male,che imparassi crescendo e crescessi a colpi diesperienze mie, non sue. Lasciava che imparassi acavarmela da sola, che chiedessi una mano soloquando era strettamente necessario, ma io avreidovuto esserci, sempre e comunque a disposizio-ne di tutti. Mi ha insegnato a mangiare “buono”, anon lasciare mai da parte il pane e a tirarsi su lemaniche: non bisogna essere tirchi, ma bisogna sa-

Il papà chenon gioca

con le bambole

S

2º premio

SCUOLA SECONDARIADI 2º GRADO

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Nicolò LincianoEgo Bianchi - CUNEO

per rinunciare a qualcosa per ottenere qualco-s’altro, perché nessuno ti regala nulla.

Intendiamoci, mi viziava, magari non mi riempivadi coccole ogni sera, non mi ergeva su un piedi-stallo, ma le volte in cui volevo un’altalena e unoscivolo o un pony...beh...li ho avuti! Per i primi nonho dovuto attendere molto, lui ama tutto ciò cheè costruire, montare, progettare e una primave-ra me li sono trovati verniciati di rosso fuori ca-sa. Per il pony, invece, ci sono voluti un po’ di me-si, un po’ di pazienza, un po’ di capacità di convin-zione, un po’ di occhioni dolci … e la fortuna che lovolesse anche lui!

Dopo aver svegliato tutta Cuneo, comunque, tor-na a casa, mangia pranzo e si fa il suo sonnellinopomeridiano, fondamentale data l’ora a cui si sve-glia ogni mattina. Io non so come faccia, si cori-ca sul divano, mentre mia madre sparecchia il ta-volo, noi giochiamo o guardiamo la TV e in cinquesecondi già russa. La sua teoria è: “Chiudi il chia-vino”. Non pensare a niente, hai qualche problema?Cancellalo momentaneamente e riposati perchése non lo fai sicuramente non lo risolvi e nemme-no ti riposi, ergo sarebbe una perdita di tempo!Dopo il suo secondo caffettino e la sua secondatappa in bagno, inizia il suo secondo lavoro: l’ope-raio di casa.

Non ha permesso a nessuno di distruggere com-pletamente i suoi sogni, vuoi perché cerca di di-fenderli, vuoi perché alla fin fine portano co-munque soldi a casa e un secondo stipendio più omeno sicuro.

Quante cose ha cercato di insegnarmi:, l’impor-tanza della natura, della cura di ogni suo singoloprodotto, sono cresciuta con l’idea che la verdu-ra surgelata fosse verdura andata a male e che isucchi fossero scarti di frutta!

Adoro la sua aria saggia, la sua capacità di saperdare una spiegazione a tutto, di saper arrivare alperché delle cose; adoro la sua pazienza inesi-stente, la sua voglia di fare cose sempre nuove.

Adoro le sue mani, perché alla fin fine è solo gra-zie a quelle se ogni sera posso preparare la car-tella, dopo aver studiato su una scrivania, avermangiato cena in una casa accogliente, calda epiena di gente. Adoro la sua testa, sono pazzadella sua testa, perché è sveglia, intelligente,perché mi ha permesso di diventare quel che so-no, di crescere con degli ideali e di pormi dellepriorità, delle idee che potrò sempre cambiare erimescolare nel corso della vita, mi ha permessodi aprire gli occhi… e di sognare.Lui non sa tutte queste cose, non ricordo nemmenol’ultima volta che l’ho abbracciato o l’ho ringraziatoper qualcosa. Non ci siamo mai coccolati troppo,abbiamo sempre e comunque mantenuto una cer-ta distanza, che mi ha permesso di imparare quel-lo che è il rispetto per i più grandi, per chi sta so-pra di me.

Non ti leggerò questo tema, papà, non voglio ve-derti mentre fingi con non curanza di socchiude-re gli occhi per nascondere qualche lacrima. No,mi sentirei anche un po’ a disagio …Ma ricordati,sempre, ogni volta che ti deludo con qualche brut-to voto o con qualche sfogo adolescenziale, ri-cordati che io ti voglio bene… perché sei il mio pa-pà e mi hai insegnato tanto.

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Cinzia CETERA Classe 5ª LSTIIS “Vallauri” FOSSANO

"Modello"Sfogliando un qualsiasivocabolario trovo scritto:

1 Termine di riferimento ritenuto valido comeesempio o prototipo e degno d'imitazione; co-sa o persona assunta come soggetto per un ri-tratto, un disegno, una costruzione ecc. SINesemplare, campione: un m. da imitare; pren-dere a m. qlcu. o qlco.

2 (f. modella) Uomo che per professione posaper artisti (pittori, scultori); uomo che indos-sa capi d'abbigliamento per fotografie, sfila-te di moda ecc.; indossatore: fare il m.

• In funzione di agg. inv., di persona, degno di es-sere ammirato, esemplare: studente m.; di at-tività, struttura e sim. che funziona, è orga-nizzata in modo esemplare: un asilo m.

Ebbene, tu per me, sei nulladi tutto questo...

Quando sei piccola tutto ti sembra incantevole,splendido, addirittura magico.E così vedi anche le persone che ti circondano; inparticolare la tua famiglia.La mamma non sbaglia mai.Il papà sa tutto.La sorellina è brava.In pratica hai un visione distorta - quasi utopisti-ca - della realtà.

Crescendo però, impari a vedere le cose per comesono realmente; in questo modo le cose cambiano.Ti accorgi così, che quel mondo tanto ideale in cuivivevi, in realtà è solo una finzione, una tua fin-zione.

E così per me è stato...21 ottobre 2002;mio padre viene a mancare,

si spegne, passa a miglior vita;in sintesi muore.In una simile situazione, la gente non fa che mo-strarsi disponibile e ripetere quelle insensate einutili frasi di circostanza.

Condoglianze

Mi spiace, era un brav’uomo

Tuo padre era eccezionale

Gli volevano tutti bene

Ma tu sei piccola, non lo sai, e ci credi.Cresci quindi con la convinzione che tuo padre siaquell'uomo tanto brillante di cui ti hanno tutti par-lato.Per anni non fai altro che volergli assomigliare,tanto da essere contenta quando ti paragonano alui, anche negli aspetti negativi; ogni richiamo alui ti rende fiera.Cerchi di immedesimarti in lui il più possibile, in mo-do tale da mantenerne vivo il suo ricordo.Le lancette dell'orologio della vita scorrono ine-sorabili, e ormai è solo questione di tempo primache tu scopra la verità.L'assimili a piccole dosi, quasi per caso!Ti capita infatti di sentire parlare tua madre conpersone di famiglia; lei racconta la sua storia eovviamente quella di tuo padre.Ma questa volta il tono è diverso; anche l'espres-sione è differente: sul suo volto non è infatti di-pinto quel ricorrente sorriso amaro di chi ricordacon nostalgia, ma al contrario vi è rabbia, quasi di-sprezzo...Tu non ci vuoi credere, cerchi di dare un senso al-le cose che dice, non vuoi dare retta a quelle parolecosì dure e cariche d'odio.Ed è così che la notte, anziché pensare ai ragazzi,alle amiche, alle feste ed ai tipici problemi adole-scenziali, ti interroghi su chi fosse stato vera-mente tuo padre.Non sai distinguere il vero dal falso.Cerchi quindi di fare affidamento alla tua memo-ria, ma questa sembra tradirti; in pochi anni pareaver fatto tabula rasa di ogni suo ricordo.Oramai non ricordi più nemmeno il tono della sua vo-ce, il suo profilo: la cosa ti irrita e ti sconcerta!

Tutto quelloche non devo essere...

3º premio

SCUOLA SECONDARIADI 2º GRADO

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Prendi una sua foto fra le mani, la osservi cercandodi memorizzare ogni dettaglio del viso nella tuamente.E proprio guardando la sua immagine, non riesci acredere che quell'uomo possa aver causato deiproblemi alla tua famiglia.Ti autoconvinci quindi che tuo padre sia stata unabrava persona, con solo qualche piccolo, banaledifetto.Continui a volergli bene e a prenderlo come mo-dello.Gli anni scorrono veloci, le cose cambiano di nuo-vo, travolgendoti.Il rapporto con tua madre muta: ti rimprovera piùspesso, ma questo è normale!Ciò che non ti aspetti è che, colta dalla rabbia, tirinfacci tutta la sua frustrazione - ai tempi re-pressa - nei confronti di tuo padre.Per la prima volta essere paragonata a lui non ti dàalcun senso di soddisfazione, anzi, ti crea doloree fastidio.In tutta la tua vita non hai mai associato gli er-rori alla figura di tuo padre, e farlo ora ti diso-rienta.

Cerchi ancora giustificazioni, ma le parole di tuamadre sono sincere e convinte.Non menteLa campana di vetro in cui ti eri rifugiata si in-frange, improvvisamente.Sei confusa. Non sai cosa fare!Ti accorgi così, che quella persona, che per tantianni era stata il tuo punto di riferimento, in real-tà non era nulla di quello che pensavi.Ti senti persa, sconfitta.E lì che a mente lucida decidi.

...Io non voglio diventare come lui...

Ormai la tua opinione nei suoi confronti è cambiata,ma non smetti comunque di volergli bene.Ora hai un nuovo obiettivo; far in modo di cancel-lare ogni sua azione errata con qualche tuacorretta.Sarai la sua seconda chance, quella che tutti me-ritano, ma che lui non ha potuto giocarsi per unignobile scherzo del destino.Per farlo però, dovrai ricordarti di lui come tut-to quello che non devi essere...

Camilla BertoniLiceo Artistico“Pinot Gallizio” ALBA

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1º premio

la motivazionea freschezza della composizione è frutto del sapiente uso del co-lore e della coerenza formale che guidano la giovane artista nelsuo lavoro pittorico. Elisabetta Vago, ritraendo un soggetto co-

mune come il viso di una bimba, riesce a trasmetterci le emozioni diquel volto, uscendo dal figurativo ed entrando con maestria nell’in-terpretazione grafica.

L

Elisabetta VAGOClasse 3ª D

Liceo Artistico “Ego Bianchi” CUNEO

GRAFICASUPERIORI

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Page 32: Nuto Revelli - Quaderno 4

ovevi fare quelloche dicevano… ilfascismo era ter-ribile… Le mae-stre però erano

buone, loro sono sempre state buone…”“Saba fascista… al sabato ci vestivamo, avevamo ladivisa…ci facevano istruzione….”“Mi sono fatto un nascondiglio… una tomba nellastalla… ci ho messo delle tavole sopra, poi ho pre-so delle pietre piatte e le ho messe sopra, fino al-la mangiatoia, ho lasciato un buco…che potevo en-

trare dentro e mettermi al sicu-ro. ..poi l’ho coperta con la pagliae il fieno… Un bel giorno i tede-schi arrivano a cercarmi, io ero acasa, avevano una spia… Io ho avu-

to il tempo di andare sulla piana dove avevo il fie-no. Lassù c’era un buco…dove facevo passare ilfieno nella stalla… Mi sono buttato giù! Ho tiratola pietra e, via sotto… poi ho preso la pietra el’ho tirata sopra e c’era la paglia… e io sotto. (I te-deschi) han girato tutto. Ah la baionetta, la met-tevano nel fieno per cercarmi…”

“Dframmenti

dall’intervista

2º premio

Sara DE LUIGI Classe 5ª CLiceo Scientifico “Peano” CUNEO

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Page 33: Nuto Revelli - Quaderno 4

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Un giovane di 19 anni

consapevole della propria scelta.

Un giovane

contro la propria generazione,

obbedire,

combattere.

Un ribelle che infrange

l’obbligo del servizio militare,

che è costretto ad

abbandonare i propri cari.

Uno spirito coraggioso

che ha detto NO

al Fascismo.

Un uomo che ha fatto

la Resistenza.

Un partigiano,

lo chiamavano

‘Celu’.

Page 34: Nuto Revelli - Quaderno 4

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3º premio

Marek DAGMARA Classe 4ª a Fig.Liceo Artistico “Pinot Gallizio” ALBA

“coesistenza”

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menzioni speciali

Pietro BRIZIOe Klodian FRANJA (Big e Klow) 3ª mecc.

“Cnos-Fap” FOSSANO

Alberto AUDENINO 3ª FIG. Liceo Artistico “Pinot Gallizio” ALBA

Classe 3ª C Scuola Media I.C.S. “Beppe Fenoglio”BAGNOLO PIEMONTE

Classe 1ª A Scuola Media Ist. “Andrea Fiore”CUNEO

Classe 3ª B Scuola Media I. ComprensivoREVELLO

Classe 4ª e 5ª Scuola Elementare “Nuto Revelli”PIANO QUINTO

I.C: “Lalla Romano”DEMONTE

Classe 5ª Scuola Elementare “Nuto Revelli”VILLAR SAN COSTANZO Dir. Didattica DRONERO

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Alessia Negro Classe 5ª A LSTI.I.S. “G. Vallauri” FOSSANO

osso Malpelo,tre soldi un ca-velo!”, “Pel di ca-rota vieni qui!”,“Testa rugena

cosa fai?” …”Alessia, mi prendono in giro perché ho i ca-pelli rossi!” “Non ti preoccupare Fontina, non devi far-ci caso!” Ecco le nostre prime conversazioni, mentre siattraversava il bruco mela, con una felpa con il cap-puccio addosso e un paio di Superga ai piedi. Non so ilperché, alla scuola materna ti ho sempre chiamata co-sì, con il nome di un formaggio…vai a studiarla, la psi-cologia infantile! Non ho molti ricordi di quei tempi, senon alcune foto davanti alle torte di compleanno con lefacce più strane e improponibili, con sorrisi a ventidenti, o forse no, qualcuno in meno e qualche fine-strella in più… Si va alle elementari, non eravamo inclasse insieme. Nonostante ciò non siamo mai e poi maimancate agli appuntamenti del martedì pomeriggio daldentista, la mitica Chiara, che con molta pazienza ci havoluto aggiustare il sorriso, perché le foto di comple-anno fossero migliori. Abbiamo iniziato a vederci dirado, io con i miei impegni nel nuoto agonistico, tu conkarate, danza, sci e chi più ne ha più ne metta, dunquesono aumentate le distanze tra noi. Passano gli anni, fre-quentiamo insieme le scuole medie: siamo le tipiche‘compagne di classe’, quelle che si salutano e hanno unrapporto a scuola…al di fuori di essa, più nulla. Ci di-vertiamo tra i banchi, parliamo, scherziamo, ma tu sei

troppo timida per aprirti e cercare diinstaurare un legame più solido e

intimo. Non ricordo precisamen-te in quei periodi come fosserole cose tra noi…ma, come scris-se Cesare Pavese, “Non si ri-

cordano i giorni, si ricorda-no gli attimi.” So che al se-condo anno delle medie,tenevamo un diario doveabbiamo scritto le no-stre preferenze suicompagni di classe, sul-

le prime cotte, su chiaveva gli occhi piùbelli e chi era piùsimpatico; insom-ma, discorsi da

pre-adolescenza. Poi è tempo delliceo, capitiamo in classe insie-me, un’altra avventura ci atten-de: le distanze si riducono, e conil passare del tempo si azzerano.

Gli anni scorrono via veloci, siamo sempre più legate esempre più diverse, tanto che molti si stupiscono edomandano: “Come fate a stare bene insieme voi due?!”Bella domanda…forse è proprio grazie alla nostra di-versità che non ci stanchiamo mai di imparare l’unadall’altra, tu riflessiva, introversa, riservata, timida…insilenzio arrivi ai tuoi obiettivi grazie alla tua forza divolontà che imponi sulla pigrizia. Sorridi quando ti tro-vi in difficoltà, e ti prendono per maleducata se non ri-spondi in modo adeguato, non sanno che nascondi soloil tuo imbarazzo. Mi freni quando esagero, mi dai unaspinta quando mi fermo; mi fai ragionare quando agireid’impulso, e mi fai sbagliare, perché sbatta il naso e ca-pisca da sola. Quanti progetti insieme, quante aspet-tative di sabati sera in discoteca, o sul divano a guar-dare un DVD; quante liste abbiamo fatto, i nostri fa-mosi ‘elenchi’: spesa, vestiti da mettere in valigia, pro-grammi per organizzarci il pomeriggio.“Io con te riesco ad essere naturale e non mi vergognodi niente, perché non mi giudichi!” mi hai detto un gior-no. Ed io riesco ad amarti, perché il rapporto con te mifa solo del bene, perché non ci sono conseguenze ne-gative, anche quando per qualche ora non ci sopportia-mo, anche quando una delle due è felice e l’altra de-pressa, anche quando tu vuoi studiare, io non ti lascioe ti infastidisco irritandoti… E poi ci ritroviamo a so-gnare insieme, a perderci in mille paranoie da non uscir-ci più, a guardare cartoni Disney alla vigilia di Natale ab-buffandoci di cioccolatini! Senza ‘ti voglio bene’, sen-za ringraziamenti mielosi, sei arrivata ad essere unadelle persone più importanti, quarta nella mia rubricadopo mamma, papà e sorella. Ci sei nella foto davanti al-la torta dei 18 anni, e come all’asilo continuiamo ad in-dossare felpe con il cappuccio e Superga nei piedi...Tu, con i tuoi capelli rossi e il naso con la gobba comequello di Dante, con gli occhi del colore dei capelli…conle lentiggini sulle guance sparse qua e là, e i rotoli sul-la pancia che tanto non vorresti avere…mi hai insegna-to tanto, e stai continuando a farlo ogni giorno. Grazie,cara dolce amica. - Quando voglio immensamente benea qualcuno non ne rivelo mai il nome, è come cederne unaparte.

“RCIUFFO ROSSO,

LENTIGGINI E ROTOLI

PROSA - GRAFICAaltri finalisti

Monica Franco: Il soffocamentio femminilePinot Gallizio - Alba

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Page 37: Nuto Revelli - Quaderno 4

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Elena FERRERO Classe 5ª A LSTI.I.S. “G. Vallauri” FOSSANO

l vento muove dolce-mente i rami del grossopino, l’acqua scorre len-tamente nella vasca, do-ve un tempo mia nonna

lavava i panni, e il pastore tede-sco cercava un po’ di fresco sot-to le grosse ortensie ai lati della panca di legno.Chiudo gli occhi e respiro l’aria fresca e profu-mata, godendo di tutta quella pace. E’ incredi-bilmente bello potersi fermare, rilassarsi, permettere ordine nei propri pensieri. Non mi sonomai accorta di quanto ne avessi bisogno, fino aquando non ho affrontato la vita da liceale, chemi impone: la necessità di organizzazione e difissare brevi traguardi per raggiungere l’obiet-tivo finale, senza mai potermi fermare. Il tem-po scorre tra le dita senza che abbia la possi-bilità di accorgermene. Non sempre riesco apredisporre tutti gli impegni nel modo miglioree a volte qualche particolare mi sfugge, ri-schiando di mandare in crisi tutto il duro lavo-ro che cerco di svolgere. Nove mesi sotto stress,uno stress che costruisce, che prepara al futu-ro, a quando sarà necessario riuscire a vivere dasoli e senza una guida ferrea, ma pur semprestress!Sento molto spesso la necessità di riflettere e diritagliarmi un momento per me, per ordinare lamente e capire me stessa e il mondo che mi cir-conda; l’ho sempre trovato indispensabile e ne-cessario per poter scegliere nel modo migliore!Quando ero più piccola, e avevo parecchio tem-po libero, non mi accorgevo di avere questo bi-sogno, mentre ora, che la vita è diventata piùfrenetica, a volte avverto la testa che si ab-bandona e capisco che devo lasciare che la men-te vaghi, srotolando i lunghi fili dei pensieri chestanno diventando troppo aggrovigliati.Non sempre è facile sciogliere le enormi ma-tasse di idee che ho in testa, ma qualcuno, tan-to tempo fa, mi ha svelato silenziosamente itrucchi; nessuno lo ha sentito, nemmeno io, mai nostri occhi si sono intrecciati e i suoi pensie-ri sono diventati i miei come solo noi possiamofare!Aiuto la nonna a sparecchiare il tavolo e, dopouna mezz’ora scendo in cortile; so già dove tro-varlo. Oltrepasso l’arco di ginestre e mi ritrovotra canne che sorreggono pomodori e viti, midirigo verso la vasca dei pesci e lo trovo. E’ li, statogliendo le erbacce tra i fagiolini. Mi sorride emi chiede come sto. Mi siedo vicino all’acqua echiacchieriamo, ma i nostri discorsi sono inter-

vallati da lunghi silenzi, silenzidolci nei quali mi perdo a pensa-re e ad osservare.La solita canottiera azzurra a ri-ghe, i soliti pantaloni beige, il so-lito cappello di paglia e il solito vi-so sorridente, nulla di più, non è

necessario nient’altro, nemmeno le parole.Oggi non sono più una bambina, sto diventandouna donna, ma il rapporto con mio nonno è par-ticolare, sarà che è l’unico nonno che ho cono-sciuto, sarà che io sono la sua unica nipote e sa-rà che lui ha sempre desiderato una bambina, manessuno può eguagliare l’importanza che ha avu-to ed ha quell’uomo nella mia vita.Ci siamo sempre completati: io gran chiacchie-rona e lui silenzioso, io, espansiva e vulcanica, ca-pace di esprimere tutti i miei sentimenti, lui,silenzioso e riservato, tende a rimanere compo-sto, ma ho sempre saputo che dietro a quel mo-do di fare c’era un gran cuore.Ammiro il suo carattere, sono stata capace dipercepire i suoi sentimenti più nascosti, graziealla nostra intesa speciale.Mi ha insegnato che le persone possono avere ca-ratteri molto differenti tra di loro, ma questonon significa che non si possa instaurare un rap-porto particolare. Più di ogni altra cosa, peròmi ha insegnato che nel silenzio si nascondono leemozioni più pure e profonde. Da piccola spen-devo interi pomeriggi con lui, in quell’ orto, chemi pareva enorme, io che mangiavo ribes e carotee lui che curava le sue piante, spesso bastava re-stare vicini per comunicare, per farci capirequanto uno teneva all’altra.Oggi l’orto è diventato più piccolo, il pastoretedesco non c’è più, ma il grosso pino, l’acquache scorre sì e a me basta sedere su quella pan-ca in legno al suo fianco, appoggiando la testa al-lo schienale e chiudendo gli occhi, per sentire dinuovo quelle emozioni profonde. Invecchiandosi è addolcito ancora e capita spesso che il suobraccio scivoli sulla mia spalla e che io possaaccoccolarmi sul suo petto, respirando il pro-fumo intenso che solo lui ha, come facevo dapiccola quando avevo sonno e potevo stringermia lui, addormentandomi davanti alla TV.Grazie a lui il silenzio non è più un qualcosa chemi spaventa, ma un rifugio dove posso rilassar-mi e lasciarmi trasportare dalle emozioni e ognivolta che posso mi piace sentire quel profumo vi-cino, perché mi fa sentire a casa, in quella casache considero solo nostra anche se non gliel’hodetto mai!

IMi insegnòl’importanzadel silenzio

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AlessandroDE GIORGI(impaginazione)

Simone RAMELLO(testi)

Classe 2ª DLiceo Scientifico“L. Cocito” ALBA

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P O LV E R E A L L A P O LV E R E , C E N E R E A L L A C E N E R E

S I M O N E R A M E L L O

Impaginazione e grafica: Alessandro De GiorgiImmagini appartenenti alle famiglie De Giorgi e Ramello

Liceo Scientifico “L. Cocito”, Alba (CN)Classe 2 D, a. s. 2012/2013

3

P!ma le"era # Lucia Ravoni, 2 se"embre 1947

Ciao, Matthew,

mi chiamo Lucia, e sono la tua nuova corrispondente. È stata un’idea del mio

maestro, Alberto, che sai, è un uomo tanto bravo e gentile. Ha detto che parlare

con gente fuori non mi avrebbe mica fatto male. Io ho tredici anni, abito in Pie-

monte, in un paesino della Langa (sai cos’è la Langa? Spero di sì, è un bel posto)

che si chiama Novapetra. Mia madre dice che viene dal latino, ma lei il latino non

l’ha mai studiato, invece il maestro Alberto sì, ma non gli ho mai chiesto cosa signi-

fica. Ho un po’ paura, perché è buono e gentile, ma ha una cicatrice molto brutta

su un occhio, che mi spaventa un po’. Ci ha raccontato che gliel’ha fatta un tede-

sco, durante la guerra. Io, della guerra, non ricordo mica tanto, ero piccola. Cioè,

avevo dieci anni, nove, però non mi ricordo tanto. Ricordo una cosa sola, ma non

so se voglio raccontartela, perché è la mia prima lettera, e non penso sia bello par-

4

larti di cose così brutte come la guerra. Insomma, mi ricordo di quando ci fu un

allarme perché dei tedeschi volevano buttarci addosso delle bombe, e allora siamo

scappati sotto terra, nel rifugio del villaggio di Sant’Alberto, perché Novapetra è

piccolo, non ha un suo rifugio, allora siamo fuggiti nel paese vicino. Io sono stata

bene, là dentro c’era tanta gente, si stava un po’ stretti, ma in fondo non era brut-

to, c’erano dei signori che ci hanno detto che era normale, che non ci volevano far

male, che volevano solo avvertirci. Io non ci credo molto, ma ormai è passata, sia-

mo felici. Abito nei boschi della Nera, vicini a Novapetra, e mio papà ha una casci-

na. Ci sono molti animali, e tanti campi, dove lavorano i miei genitori e dove lavo-

ro anch’io, anche se sono giovane e sono una bambina, devo aiutarli.

Penso che per questa lettera possa bastare, ti saluto, Matthew, spero che sia sta-

ta interessante, aspetto una tua risposta.

Polvere alla polvere, cenere alla cenere

S I M O N E R A M E L L O

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Page 39: Nuto Revelli - Quaderno 4

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Ieri il maestro ci ha portati a vedere un posto vicino a Sant’Alberto, dove era ca-duta una bomba, e c’era un buco per terra, e una pietra con su scritto i nomi dei morti, di quelli che lavoravano in quel campo dove era caduta la bomba. C’era scrit-to « Morti per la libertà », ma non so, questa libertà si deve per forza conquistare con la morte, contro le bombe dei nemici? Mi sembra un po’ brutta questa libertà.

Fra i morti c’era anche Roberto Ravoni, che era mio zio ed era simpatico, aveva anche viaggiato in America, ma poi era tornato qui, perché gli mancavano le nostre terre. E qui è morto. È molto triste come cosa, ma è così, noi non possiamo farci niente, no?

7

Terza le"era # Lucia Ravoni, 25 #cembre 1947

Ciao Matthew, come va?

Qui è Natale, e io sono contenta.

Le ultime settimane sono state difficili: mamma non è stata bene. Il dottore l’ha

chiamata in un modo strano, che non ho capito, era qualcosa come gobba, ma mia ma-

dre non ha problemi alla schiena, non ne vedo, nemmeno alla sera quando si cambia

per andare a dormire. Quindi, ho dovuto lavorare di più nei campi, perché papà è vec-

chio e stanco, e mio fratello non è ancora abbastanza grande. A proposito, si chiama

Matteo, che secondo il maestro è il tuo stesso nome, solo in italiano.

Sono triste al pensare che tu abbia perso tua mamma nella guerra. Mi spiace moltis-

simo per te.Io non so cosa farei senza mia madre Maria, le voglio troppo bene. Anche a mio pa-

pà, ma a lei di più, anche se non dovrei, è brutto preferire papà o mamma.

Gigi ieri mi ha detto una cosa, ha detto che la guerra era finita, ma che i tedeschi ci

volevano ancora male, e che presto sarebbero spuntati dalle montagne e ci avrebbero

uccisi. Io non lo sopporto, Gigi: dice sempre cose brutte, cattive, che non voglio sentire.

Stanotte, nei miei sogni, c’erano tedeschi con gli occhi rossi che ci sparavano addosso.

Ma me l’ha detto il maestro e anche mia mamma, che ormai i tedeschi sono lontani,

l’Europa li odia, sono cattivi, hanno fatto male anche a voi, lassù, in Inghilterra. Mio

papà ha detto anche che i tedeschi non sono figli di Dio, sono figli del diavolo.

Mi sa che è vero, e io ci ho pensato. Se continuiamo a farci la guerra, non morire-

mo tutti? È così sbagliato andare tutti d’accordo? Non so, non penso sia giusto che alla

fine tutti diventino cenere, e la Terra, vuota, sarebbe molto triste. Ma basta argomenti

tristi.

Come hai passato il Natale? Spero bene. Ti hanno fatto dei regali? È passato Gesù

Bambino? Qui tutto bene, le feste sono il mio momento preferito, non si lavora, in casa

si è tutti più felici e la mamma fa una torta buonissima, e cantiamo tutti assieme, prima

della Messa di Mezzanotte.

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Qua$a e ultima le"era # Lucia Ravoni, 8 febbraio 1948Matthew, è passato tanto, vero?

Purtroppo negli ultimi tempi non ho potuto scrivere, non avevo tempo.

Il sei gennaio, l’Epifania, che tutte le Feste si porta via, mia mamma è stata ma-le. Era pallidissima, il medico l’ha portata via, in ospedale, a Cuneo. Non so come stia, mio papà è su, con lei.

Ho dovuto tenere io la fattoria, dovevo lavorare, dovevamo pagare mia mam-ma in ospedale, ci servivano soldi. E io ho solo quattordici anni, ma alla fine ho la-vorato, perché dovevo farlo per la mia famiglia.

Da Novapetra è arrivato zio Giuseppe, che sta da noi e gestisce le cose di soldi, che io non so fare.

Maestro Alberto, che anche se non vado più a scuola, ogni tanto mi viene a far visita a casa, ha detto che mia mamma ha una brutta malattia, la gotta, ma forse guarirà.

Io ho pregato con mia nonna tutta la notte, ogni giorno. Spero guarisca davve-ro.

(La lettera si interrompe, riprende un largo spazio dopo.)

! ! ! ! ! 5 marzo 1948Ciao, Matthew. Non ho concluso la vecchia lettera, te la mando con questa.

Mia madre è morta. Sì, è successo. Non so perché, hanno detto che era troppo vecchia per guarire.

Il Signore l’ha accolta in cielo fra gli angeli, e ora mi guarda da lassù.

Papà è tornato, ma ormai è davvero stanco, non riesce più a lavorare. Sembra che zio Giuseppe rubasse dei soldi dalla cassa della famiglia, allora l’ha cacciato, ma non riesce più a lavorare. Ha dovuto vendere la fattoria, sai? Siamo andati a

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vivere a Novapetra, da mia nonna Pia, e io l’aiuto nell’orto dove prende le cose che vende al mercato. Siamo un peso su di lei, ma non possiamo farci nulla, mio papà ha sempre fatto il contadino, non sa che fare, ormai è troppo vecchio.

Io e Matteo l’aiutamo: vendiamo la frutta e la verdura al mercato.

Ormai è questa la nostra vita.

Da te come va? Tutto bene? È il nuovo anno, è tutto a posto? Spero di sì, dam-mi una buona notizia, ti prego. Essere felice per te sarebbe abbastanza.

Lucia

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Seconda le"era # Lucia Ravoni, 26 o"obre 1947

Caro Matthew,

ho letto la tua risposta, è stato bello sentire mentre il maestro Alberto me la tradu-

ceva. Non sapevo che lui sapesse l’inglese, sai? Sono contenta che ti sia piaciuta la

mia lettera. Sono corsa subito a casa, e subito ho iniziato a scriverne un’altra, questa.

Sei felice? Sono un po’ stupita: lì vai a scuola, anche a quattordici anni? Forse la scuo-

la lì è diversa. Io non sono potuta più andare a scuola, perché non debbo più, debbo

lavorare. Mia madre dice che i contadini non hanno le stesse possibilità dei ricchi,

perché il Signore ha dato loro d’esser umili e di lavorare tanto. Non so se sia una bel-

la cosa, ma non importa, piuttosto mi hai detto che anche lì c’è stata la guerra. È sta-

ta brutta? Mio padre ha detto che gli inglesi erano contro Hitler e contro il Duce, e

che erano stati attaccati di più, più di noi. Ma è possibile? Poverini, siete disgraziati,

dovete aver avuto dei danni enormi! Tu stai bene, vero? E anche la tua famiglia?

Non voglio preoccuparmi, pregherò per voi.

Ieri, è stato il mio compleanno, ho compiuto quattordici anni.

Quello stupido di mio fratello mi ha anche detto che sono una vecchina, come la

nonna, ma forse non è un male, mia nonna è tanto buona e se essere vecchine è esse-

re buone, allora io lo voglio. Ho passato stamattina a giocare a prendersi con mio fra-

tello e Anna, Chiara, Gigi. È un ragazzino di Sant’Alberto, che viene qui perché i

suoi sono i proprietari della macelleria di Novapetra, secondo mia mamma è di una

famiglia ricca, ma non mi sembra così cattivo. Al pomeriggio, ho aiutato mia madre

nel campo, perché sono grande e debbo farlo, altrimenti non sono d’aiuto alla fami-

glia, e non è una cosa bella. Tu lì aiuti i tuoi? Fallo, perché Dio ci ha detto “rispetta il

padre e la madre”, e quindi dobbiamo aiutarli, anche se ci costa fatica o non ne ab-

biamo voglia.

Ma non voglio annoiarti.

Page 40: Nuto Revelli - Quaderno 4

Eleonora BRAMARDI Classe 4ª N Istituto Magistrale “E. de Amicis” CUNEO

to girovagando per casae mi ritrovo nella nostrastanza. Mi guardo intor-no e vedo le sue chitar-re, i loro lucenti colori e

le loro corde ancora vibranti dopol’ultimo tocco leggero del migliorchitarrista del mondo. I dischi impolverati deiBeatles e Stevie Ray Vaughan appesi al muro rac-contano la sua giovinezza. Prendo in mano i micro-foni che per anni hanno continuato e continuano adamplificare la sua voce, e come una bambina mi im-magino una rock star e canto a squarciagola; poi misiedo dietro la batteria e sfioro leggermente itamburi riproducendo un piacevole ritmo cardiaco.Le riviste di musica sono sparse ovunque e poi miavvicino in un angolo alle mie chitarre, le guardo emi chiedo: “Diventerò mai brava come mio padre?”,ovviamente non posso saperlo, ma quello che ècerto è che mi ha trasmesso un dono insostituibi-le: l’amore per la musica. Ѐ una passione che ci le-ga fin da quando ero piccola e che cresce con noi.Per me mio padre è il miglior chitarrista del mon-do, è il mio idolo e vorrei tanto diventare come lui.Con quest’ultima espressione non mi riferisco so-lo all’aspetto musicale, ma anche alla persona cheè mio padre. Se dovessi scegliere un luogo a cui pa-ragonarlo, penserei alla vetta di una montagna,dove regna il silenzio, la pace, solo un soffio di ven-to ti scompiglia i capelli e vieni invaso da una sen-

so di libertà immenso. Ecco, credoche lui sia la persona più pacificache io conosca, riesce a mantene-re la calma anche di fronte a unproblema, non si fa prendere dalpanico, ragiona e cerca di trovareuna soluzione. Ѐ molto taciturno,

le giornate trascorse insieme sono governate dalsilenzio, ma non importa, perché in quell’assenza diparole è racchiuso tutto. Con lui vengo travolta daquel senso di libertà che cancella la paura di direquello che penso; posso rimanere in silenzio tuttoil tempo senza essere sommersa di domande, per-ché lui aspetta il momento in cui io vorrò parlare,lascia a me la scelta di come affrontare la mia vi-ta, consigliandomi, ma senza incidere sulla mia de-cisione e cercando di farmi ragionare sui miei er-rori. Adoro inoltre la sua ironia, le sue battute, ilsaper rendere buffa ogni cosa, trovandosi piùvolte a dover affrontare la serietà di mia madrema anche questo affronto diventa divertente, è unmodo per provocarla e ridere tutti insieme.Mi sento grande a parlare con lui; soprattuttoquando discutiamo su argomenti seri,e scambian-doci le nostre idee, la maggior parte delle voltemolto simili, rispettiamo e accettiamo quelle del-l’altro, anche se contrarie alle nostre. Amo il suomodo di farmi ragionare sugli errori, non c’è biso-gno di urla che ti creano angoscia e portano subi-to le lacrime agli occhi, ma è sufficiente un rim-

provero, che mi porta a ragionare e a capire do-ve ho sbagliato.La passione per la musica lo rende sempre gio-vane: ha cinquantadue anni, ma sembra ancora unragazzino, non invecchia mai, anche se qualchefiocco di neve sulla sua chioma corvino, inizia acomparire. Per lui le sue chitarre sono come sefossero le sue donne e le tratta come delle prin-cipesse; quando suona entra nel suo mondo etutto ciò che lo circonda non ha più importanza.La prima volta che abbiamo suonato insieme so-no stata travolta da una sensazione unica: era-vamo in armonia nella stessa melodia! Non trovoparole per descrivere questa emozione, ma quel-lo che so è che la nostra musica mi pulsava den-tro e i miei occhi si sono riempiti di lacrime.

SDiventeròmai comemio padre?

Giulia OttaEgo Bianchi - CUNEO

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PROSA - GRAFICAaltri finalisti

Page 41: Nuto Revelli - Quaderno 4

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Martina MASSUCCO 3ª A LSSA I.I.S. “G. Vallauri” FOSSANO

Il fatto che sto per raccontare èrealmente accaduto e ha comeprotagonista la mia bisnonna Te-resa.La storia è ambientata in una ca-scina di Savella, una frazione di Trinità, nella pri-mavera del 1945, quando i partigiani fuggivanonelle campagne perché ricercati dai Nazisti.Dato che la mia bisnonna Teresa è morta da alcu-ni anni e mia nonna Giovanna era molto piccola al-l’epoca, ho consultato anche altre fonti indirette,mia madre e mia zia, che avevano ascoltato il rac-conto direttamente da lei. Teresa era una donnasolare, allegra, astuta e altruista; pare che aiu-tasse sempre chi aveva bisogno e affrontava la suavita senza mai lamentarsi.Viveva assieme alla sua famiglia composta da mianonna di sette anni all’epoca dei fatti, una sorel-la più piccola, mio bisnonno e altri parenti.Un giorno, tornando a casa dalla Santa Messa tut-ti assieme, videro aggirarsi nel cortile due perso-ne sconosciute.Inizialmente pensarono che fossero dei ladri odei Nazisti che volevano perquisire la casa, poiscoprirono che erano due partigiani in fuga. Dopo averli fatti entrare e aver offerto loro delcibo, si fecero raccontare la loro storia.- Si chiamavano Manuele e Marino- mi ha raccon-tato mia nonna Giovanna - Cercavano un luogodove nascondersi. Un gruppo di nazisti avevasterminato tutti i loro compagni e loro erano gliunici sopravvissuti. Avevano tentato di fuggire,ma erano stati visti e inseguiti fino in questa zo-na, poi erano riusciti a far perdere le loro trac-ce. I Tedeschi però li stavano ancora cercando e,probabilmente, avrebbero setacciato ogni casa,stalla e cascina della zona.

Teresa accettò di aiutarli e pensò a un luogo do-ve nasconderli. I miei parenti vivevano in una ca-scina bifamiliare composta da una casa adiacentead un fienile e ad una stalla. La casa era dotata diun sottotetto non visibile dall’esterno a cui erapossibile accedere solo dall’interno del fienile.L’ingresso era posto in alto e per raggiungerlo bi-sognava utilizzare una scala o arrampicarsi suimucchi di fieno. Mia bisnonna fece entrare i due partigiani in quelsottotetto e poi, tutti insieme, sistemarono al-l’interno alcuni fasci di fieno in modo che sem-brasse pieno. Dopodiché ne coprì l’ingresso riem-piendo tutto il fienile. Ovviamente aveva lasciatoloro del cibo, perché sarebbero rimasti là sopraper un po’ di giorni.Teresa aveva poi detto alla piccola Giovanna che i

due se n’erano andati; in questomodo se i Nazisti avessero cerca-to di spaventarla, lei, nella sua in-nocenza di bambina, non avrebberivelato il luogo in cui erano na-

scosti.I giorni passavano e nessuno si faceva vedere. I miei parenti stavano già pensando di lasciarliuscire quando si seppe che, a Genola, alcune per-sone avevano nascosto dei partigiani. I Tedeschi,per rappresaglia, avevano chiuso tutti coloro cheerano coinvolti nella faccenda all’interno di unacasa, che poi avevano incendiato, bruciandoli vivi.Questo fatto fece comprendere a tutti la gravi-tà della situazione e l’enorme pericolo che stava-no correndo. Teresa aveva accettato di aiutare idue giovani senza pensare troppo a cosa sarebbesuccesso se fossero stati scoperti. I due uomininascosti percepirono il disagio che stavano fa-cendo vivere alla famiglia, ma non ebbero il tem-po di andarsene: pochi giorni dopo i Tedeschi bus-sarono alla porta.Entrarono e, senza troppi complimenti, fecerouscire tutti e iniziarono a frugare ovunque. Rove-sciarono gli armadi e svuotarono ogni cassetto in-curanti degli oggetti che, pezzo dopo pezzo, di-struggevano . Mentre questi mettevano a soqqua-dro la cascina, la famiglia assisteva in silenzio.Bastava veramente poco per farsi scoprire: unamezza parola, un’esitazione, uno sguardo verso ilsoffitto…Dopo aver perquisito tutta la casa e la stalla, pas-sarono al fienile. Mia nonna mi ha raccontato chela situazione era molto tesa, c’era tanta paura.Una paura giustificata dalla consapevolezza chepoteva essere finita da un momento all’altro. Chepotevano essere fucilati tutti, o bruciati vivi, co-m’era avvenuto a Genola. Dopo aver tirato giù nu-merosi fasci di fieno, i Tedeschi conclusero che nelfienile non c’era nessuno e non pensarono minima-mente che qualcuno si potesse nascondere nel sot-totetto, poiché non era visibile dall’esterno. Quin-di se ne andarono, portandosi via numerosi viverifaticosamente guadagnati dal duro lavoro nellecampagne. Dopo qualche giorno se ne andaronoanche i due partigiani, ringraziando per l’ospitali-tà, la generosità e il coraggio.Teresa, coraggiosa, astuta, materna e altruista,aveva trovato un modo per salvare quei due uomi-ni dal loro destino di morte certa, tutelando lapropria famiglia e raccontando un’innocente bugiaalla figlia pur di salvarle la vita. Nella sua sempli-cità, questa donna, ha compiuto un gesto eroico dicui non amava parlare.

Teresae i partigiani

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Matteo CARAMIA Classe 5ªA LST I.I.S. “G. Vallauri” FOSSANO

a chiave fa scattare laserratura … entro nellacasa di mio nonno. La lu-ce diafana della veran-da, che illuminava fati-

cosamente il tuo volto pallido, così familiare ed au-torevole, mi regala ancora l’immagine di te: lo sguar-do spietato di un soldato, che di battaglie ne avevaviste davvero tante, e non solo quelle riportate sui li-bri di storia! E poi quel tuo particolare naso aquilino,e quelle labbra sottili, che esprimevano la tua natu-ra, così elegante, pragmatica e studiosa; e la presenzaaustera dei tuoi, ormai radi, capelli canuti, che fa-cevano di te un nonno a tutti gli effetti, con le rughesulla fronte e l’espressione ormai stanca. Un nonnomeraviglioso!Muovo pochi passi nella sala da pranzo adiacente al-la veranda, e mi siedo qualche minuto proprio sullapoltrona rossa che così volentieri occupavo da bam-bino, quando sulle mie piccole mani poggiava quella Di-vina Commedia, che oggi non utilizzo più, perché pos-sa rimanere intonsa e perché, come un ricettacolo diricordi, continui a serbare i momenti trascorsi con te,senza accumularne altri! Anche se non eri laureato,né avevi frequentato il liceo, possedevi una culturaencomiabile, che faceva di te davvero un venerandoper qualsiasi ascoltatore; conoscevi i racconti mito-logici della Bibbia, dell’Iliade e dell’Odissea; aveviuna conoscenza della letteratura italiana che spaziavafino ai giorni nostri. Però era la Divina Commedia, cheamavi così tanto e che hai fatto amare anche a me,il tuo libro prediletto! Declamavi con piacere le sof-ferenze del Conte Ugolino, lo spirito d’avventura diUlisse, la ferocia di Caronte e, ora, grazie a te, ho im-parato anch’io ad entrare in simbiosi con quei versi,

che ho prima amato che studia-to. Sollevo gli occhi dal pavimen-to e mi stiracchio per il lungo mo-mento trascorso in una posizionericurva e meditabonda, e penso

alla tua scoliosi, che ti rendeva un po’ più basso e fi-sicamente insicuro, ma faceva emergere tutta la tuasenilità, anche nella sua accezione più drammatica: latribolazione fisica non intaccava, però, neanche mi-nimamente l’aura autoritaria e venerabile, che dav-vero ti apparteneva. Non eri più agile come una vol-ta, nonno, e le gambe non ti permettevano più discorrazzare sui tetti, ma la tua sola presenza era ca-rismatica: ricordo ad esempio quando, davanti aduna classe, di fin troppo vivaci ed insubordinati bam-bini di quinta elementare, hai raccontato le avventurevissute durante la Resistenza, con un tono di voce pa-cato e sommesso rispetto a quello squillante e ner-voso delle maestre, e neanche un fanciullo, neancheil più irrequieto, per più di un’ora, è riuscito a disto-gliere lo sguardo dalla tua figura venerata, che do-veva ricorrere però alla spalla di una maestra per di-scendere le scale, e al bastone per camminare fino acasa. La fragilità che l’età ti imponeva, non attacca-va il potere del tuo sguardo!Percorro il corridoio, e arrivo in una delle camere daletto di casa, dove, di tanto in tanto, solevi suonarel’organo; eh sì nonno, un’altra passione che è arriva-ta fino a me e, il merito, apparentemente, è di nuo-vo tuo! Ricordo ancora con nostalgia le note di “TuScendi Dalle Stelle”, presa a mo’ di valzer, che le tuedita affusolate ed eleganti intonavano con sicurez-za, in un modo mai uguale a se stesso, per testimo-niare la tua personalità originale!La mia visita in casa dei nonni volge ormai alla con-clusione e, uscendo dalla camera da letto in fondo alcorridoio, quella con l’organo, mi avvio verso la por-ta d’ ingresso, passando a fianco di un armadio; l’an-ta è accidentalmente aperta, tanto da permettermidi scorgere il lembo verde di una fodera di stoffa,che custodisce la sciabola da ufficiale di mio padre,meritata da lui in sede di leva militare; l’arma mi fapensare nuovamente, alle tante prove che hai dovu-to superare, durante quella guerra terribile, assur-da più di tutte le altre... continuo a camminare, e lacasa vuota sembra restituire il suono dei tuoi passi;ritorno davanti

Luna passeggiatafra i ricordi

Clara SagliettiLiceo L. Cocito - ALBA

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Paolo BERGIA 4ª A LST I.I.S. “G. Vallauri” FOSSANO

ono tante le persone im-portanti e significativenella mia vita che ho avu-to modo di conoscere tra-mite la scuola, lo sport, il

gruppo o ancora le vacanze, ma quel-le alle quali sono più legato sono sen-za dubbio i componenti della mia famiglia. La mia nonsi può definire una famiglia “normale”, perché un an-no dopo il loro matrimonio i miei genitori hanno de-ciso di entrare a far parte della comunità Papa Gio-vanni XXIII. Insieme a questa scelta i miei hanno de-ciso di accogliere ragazzi e adulti con disabilità o pro-blemi famigliari, perciò io ho molti “fratelli” e “so-relle” di età diverse. Tra queste c’è in particolare unaragazza che è andata in cielo pochi mesi fa che ha vis-suto nella mia famiglia per più di vent’anni: France-sca. Francesca è nata in Lombardia e all’età di solo unmese è stata colpita dalla meningite che l’ha porta-ta a un’invalidità totale e permanente riconosciuta al100%.Eppure Francy ha sempre lottato contro le enormidifficoltà che aveva di fronte con quel sorriso indi-menticabile, con la sua semplicità e l’enorme voglia divivere che ha sempre trasmesso.Francy aveva un viso angelico definito dai suoi linea-menti finissimi, i suoi capelli erano castani e mossi:io adoravo quei capelli, tanto che spesso mi fermavoper accarezzarglieli, mentre mi perdevo nei suoi oc-chi sognanti e spensierati. Ogni volta che mi fermavoper darle un bacio o per porgerle una carezza non po-tevo non innamorarmi del suo sorriso. La sua dol-cezza e la sua delicatezza erano in grado di farmi di-menticare i problemi e le preoccupazioni: era come seogni volta mi prendesse per mano e mi staccasse da-gli affanni e dalla fretta. Amava la musica, l’attività in piscina e la compagniadi amici, dispensava sorrisi a chi si avvicinava e le da-va attenzione. Adorava i peperoni e il gorgonzola,ma ciò che la faceva impazzire era il budino al cioc-colato.Per me è stata come una sorella maggiore perchéanche se non parlava e non poteva fare quasi nulla dasola era sempre felice: quando ero stanco o arrab-biato mi bastava guardarla per ricevere uno sguar-do profondo e dolce in grado di risvegliarmi. Graziea lei ho capito che le cose più importanti della vita nonsono i vestiti o i soldi, ma le piccole cose, proprio co-me il suo sorriso immenso. “Ogni persona, piccola o grande, che passa nella no-stra vita è unica, lascia sempre un po’ di sé e prendeun po’ di noi.” Francy ci ha donato tanto. Il silenzio erala sua parola, i suoi sorrisi erano abbracci, il suo

sguardo era speranza.Con lei è nata la nostra famiglia, per-ché è arrivata a casa nostra nel 1992quando i miei genitori erano appenaentrati in comunità. Grazie a lei, pa-pà e mamma hanno imparato ad es-sere genitori. Lei ci hai preceduto e

insegnato ad essere figli e fratelli. Negli ultimi gior-ni della sua vita, mentre era in ospedale si è senti-ta l’assenza del suo silenzio e lo spazio fisico cheoccupava, poco più grande di una carrozzina, ha la-sciato la casa vuota. Non potrò mai dimenticare l’ultima volta che l’ho vi-sta: era una domenica pomeriggio, il cielo era grigio,ma si respirava una dolce brezza primaverile che,pochi giorni dopo, avrebbe lasciato spazio all’afa e alcaldo estivo.Stavo tornando da una visita presso un carcere di To-rino con la mia squadra di calcio e mi stavo prepa-rando psicologicamente per incontrare mia sorellain ospedale: ricordo alla perfezione il momento incui scesi dal treno alla stazione di Savigliano. Da lìraggiunsi a piedi il reparto dove Francy era ricove-rata: quel viaggio durato pochi minuti mi parve eter-no. Sentivo il bisogno di correre dal lei per salutar-la un’ultima volta, anche se non accettavo il fattoche non avrei più potuto fare nulla per lei. La mia te-sta era pervasa da paure, preoccupazioni, ansia, cam-minavo veloce con il cuore in gola e cercavo, anche seinutilmente, di dimenticare le sue condizioni di salu-te. In quella struggente valanga di emozioni provavoa ricordare i momenti più belli passati con lei, leesperienze più divertenti e ridicole. Mi venne in men-te un episodio accaduto quanto avevo otto o noveanni che non potrò mai scordare. Ero andato con lamia famiglia ad un incontro dei genitori della Comu-nità, quanto al termine della riunione dissi a mia ma-dre: “Non ti preoccupare, porto io Francy fino allescale!” mamma mi lasciò la carrozzina ed io la spinsifino a poco prima del gradino, ma non mi resi contodi essere andato troppo avanti, perciò Francy caddeper la rampa di scale (fortunatamente breve) e siprocurò un taglio vicino al sopracciglio. Per fortunabastarono pochi punti per rimarginare la ferita. Ioero tremendamente mortificato e pensavo che non miavrebbe mai perdonato. Invece, il giorno dopo, miregalò un sorriso così grande che riuscì a spazzare viaogni mia preoccupazione.Mentre ero avvolto da questi pensieri arrivai nelcorridoio dell’ospedale. Il reparto in cui era Francynon permetteva la visita a più di due o tre persone,perciò nella stanza c’erano solo i miei genitori. L’attesa mi stava uccidendo, guardavo la lancetta

SL’unicità

di un ritrattosemplice

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dell’orologio e osservavo il tempo che scorreva via ve-loce, ogni singolo secondo era seguito dal trepidan-te battito del mio cuore e da un’intensa carica diadrenalina che mi stava invadendo. All’improvviso sentii la porta aprirsi e i miei genito-ri mi dissero di entrare: mi dovetti infilare dei cal-zari e un camice. Feci pochi passi per raggiungere ilsuo letto. Ricordo bene l’istante in cui la vidi, perchéin quel momento il monto intorno a me si fermò. Tut-te le emozioni, le tensioni e l’adrenalina che avevo ac-cumulato svanirono come una singola goccia di piog-gia in una furiosa tempesta. La vidi lì, su quel letto,con il viso rinchiuso in una maschera per l’ossigeno ele mani insolitamente distese e calde; respirava mol-to lentamente.E l’immagine più potente che io abbia mai visto: lamacchina e le flebo che l’aiutavano per il respiroerano insignificanti di fronte alla sua immensa deli-catezza. E stato struggente vedere quel corpicino così fragi-le e indifeso, ma al tempo stesso Francy mi ha di-mostrato con estrema semplicità che ha trascorso lasua vita serenamente andando al di là dell’indiffe-renza e dei pregiudizi della gente. Spesso è capita-to ai miei genitori di doversi confrontare e scontra-re con chi non capiva come loro potessero darle tan-te attenzioni, sentirla loro figlia sapendo che da lei,che non parlava e non si muoveva, non avrebbero maipotuto ricevere l’affetto che le trasmettevano.

Quando abbiamo spiegato al nostro fratellino chelei si era addormentata, guardandola, ci siamo resiconto che era proprio così. Lei non è andata via, hasemplicemente chiuso gli occhi a questa terra, perriaprirli in quell’angolo di Paradiso che già qui pregu-stava.Lei guardava in alto e sorrideva. Noi cercavamo di ca-pire cosa guardasse, chissà cosa vedeva.Lei non ha portato un messaggio, lei era il messaggio!La sua semplicità, il suo sorriso sincero hanno semi-nato nella vita di chi incontrava un amore speciale.Dobbiamo ringraziare per gli abbracci e le carezze,per gli sbagli che ci hanno permesso di migliorare, perla sua risata travolgente e per la sua infinita pa-zienza. L’unica cosa per cui abbiamo pregato appenaè mancata era che potesse iniziare un nuovo cammi-no lassù con le sue gambe. Nella Bibbia c’è un pensiero bellissimo che afferma:“Alla sera della vita ciò che conta è avere amato”. Leil’ha vissuto pienamente. Ora che non c’è più mi sonoaccorto davvero di quanto fosse importante per mee per tutti noi Francesca, della figura straordinariache è stata, di tutto ciò che ci ha insegnato! Pur-troppo la sua assenza è pesante, ma è bellissimo pen-sare che in questo momento è in un posto migliore aguidarci e proteggerci. Devo ammettere che pocodopo che Francy era mancata, ho pensato che non cisarebbe più stato nessuno di così particolare e spe-ciale nella nostra famiglia, perché era difficile ac-cettare dopo vent’anni la sua assenza. Eppure misbagliavo: ad agosto i miei genitori hanno ricevuto unarichiesta di accoglienza per un ragazzino rumeno di13 anni affetto da una malattia degenerativa, la Gan-gliosidosi. Questo nostro nuovo “fratello” è davverospeciale, perché è molto simpatico, spontaneo, ma so-prattutto ha una risata inconfondibile, bella comequella di Francy. Prima del suo arrivo pensavo chenessuno potesse essere così importante come Fran-cy, o comunque ero convinto che nessuno fosse ingrado di sostituire il suo sguardo, la sua dolcezza eil suo sorriso. Per fortuna il nuovo angelo che è en-trato a far parte della nostra famiglia ha spazzatovia tutte queste mie false convinzioni; sono convin-to che Francy rivive in questo nostro nuovo fratelloper starci vicino e non lasciarci mai soli.Da quando Francy se ne è andata non passa giorno incui io non alzi lo sguardo al cielo per ringraziare diaverla conosciuta. Spesso mi perdo ad osservare lenuvole e a contemplare l’immensità del cielo, e unadolce sensazione affiora in me, perché la immagino asguinzagliare tutti gli angeli più tremendi per nondarci pace e per permetterci di vivere al meglio la no-stra vita.

Marco SalomoneLiceo Ego Bianchi - CUNEO

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1) Parla delle origini della tua famiglia e delle suecondizioni economiche.

Donalisio: - La mia famiglia ha origini in campagna,i miei genitori avevano un casolare vicino al San-tuario della Sanità a Savigliano. Noi avevamo sem-pre avuto il compito di prenderci un po’ cura delsantuario, dell’oratorio e degli altri locali, per-ché il fratello di mia nonna era stato il rettoredella chiesa, quindi noi eravamo un po’ i custodi.Mio padre aveva due fratelli che erano bravi inmeccanica e quindi guadagnavano qualcosa ripa-rando i primissimi macchinari agricoli. Poi, dopo lacrisi degli anni ’30, ci siamo trasferiti in città e imiei due zii hanno aperto un’officina. Abitavamovicini alla chiesa di Sant’Andrea in una casa gran-dissima, eravamo una famiglia allargata comeadesso non ce ne sono più: abitavamo tutti insie-me, le tre famiglie di mio padre e i miei zii, e giàsolo noi eravamo dodici fratelli. Si mangiava, sidormiva e si viveva tutti insieme. Avevamo la for-tuna di possedere un piccolo orto nel giardino checi forniva un po’ di verdure.

Testa: - Io sono nato a Marene il 4 aprile del1927. La mia famiglia era composta da mio padreGian Maria, mia madre Francesca e nove figli, An-drea, Giovanni, Bernardo, Antonietta, Agnese,Teresa, Giovanna, Luisa ed io. Mio padre si erasposato due volte, dal primo matrimonio eranonati i primi quattro figli, dal secondo cinque, fracui io.Vivevamo a Cavallermaggiore, Cascina “Prajas”.La mia famiglia affittava dal parroco della chie-sa di Cavallermaggiore circa settantacinque gior-nate di terreno e possedeva circa trenta muc-che. Naturalmente non mancavano galline, ana-tre, qualche maiale, porcellini d’india, un cavallo datiro e due buoi. La mia infanzia è stata bella, era-vamo in tanti, e anche se si mangiava poco e si la-vorava parecchio, tra noi c’era una bella armonia.Mio padre era molto severo, ma non mi ha maipicchiato. Noi bambini non mangiavamo a tavola,d’estate ci sedevamo sul gradino della porta ed’inverno su una panca, solo gli adulti si sedevanoa tavola. Ogni giorno si mangiava la polenta a pran-zo e la “panada” a cena con qualche verdura. So-lo nei giorni di festa la carne di coniglio o pollo; a

Carlo Bertolini, Paolo Brero,Luca Donalisio, Dario Ferrero,Alberto Givo 1ª B LST

Liceo scientifico “Arimondi-Eula” SAVIGLIANO

a città e la campagna sono sempre stati due universi della vita umana molto diversi, ma sem-pre in costante relazione l’uno con l’altro. Abbiamo imparato dalla Storia che uno solo non po-trebbe esistere se non insieme all’altro. Forse solo al giorno d’oggi le cose stanno cambian-do, con un’intensa urbanizzazione che fa sì che le città crescano in modo spropositato di gior-no in giorno, sempre più grandi, per poter ospitare una fetta via via più consistente della po-

polazione mondiale, tanto che ormai non si parla più di città ma di metropoli e megalopoli. I vecchi ag-glomerati urbani si espandono fino a fondersi tra loro e dare vita a vere e proprie conurbazioni, chilo-metri e chilometri di sconfinate vie abitate. Da parte sua anche la campagna è mutata profondamen-te, perché, vedendosi sottrarre sempre più spazio dalle zone urbane, le pratiche agrarie e di allevamentostanno diventando sempre più intensive, cambiando verso una sempre maggiore meccanizzazione especializzazione. Per mettere a confronto questi due mondi differenti e in continua evoluzione e per capirne meglio i mu-tamenti nel corso della storia più recente, abbiamo deciso di scavare nel passato più vicino a noi,ovve-ro nell’ultimo secolo, ispirandoci al modello di Nuto Revelli e usando come fonti non archivi storici mauomini, menti che hanno vissuto in prima persona gli avvenimenti di un’epoca che ormai sta scomparen-do e che possono farli rivivere anche a noi attraverso i loro ricordi. Abbiamo deciso di scrivere questa doppia intervista a due dei nostri nonni che appartengono agli an-tipodi della città e della campagna, rispettivamente Giuseppe Donalisio e Giovanni Battista Testa, perfarci trasportare dalle loro parole in un viaggio nei ricordi del passato.

LI nonni... il passato..."

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dire la verità si mangiava da sfa-marsi solo quando ammazzavamo ilmaiale per fare i salami, e quandoi salami erano fatti si potevanomangiare solo nelle occasioni spe-ciali.

2) A che età hai iniziato a lavora-re e quale era il tuo impiego ?

Donalisio: -Ho lavorato alla Fiat,in acciaieria, per 25 anni. Il miolavoro penso di essermelo guada-gnato alla scuola di avviamento pro-fessionale, perché dopo i tre annidi studio normale io e mio fratelloFilippo abbiamo continuato, conmolti sacrifici, per altri due anni inmodo da ottenere un diploma inpiù, che ci ha permesso di trovarelavoro molto facilmente: al mio re-parto ero l’unico con quel diploma! Sono entrato al-la Fiat nel ‘55, all’ inizio mi avevano affibbiato auno dei reparti di confino, cioè quelli più infimi, do-ve lavoravamo alla pulitura di tutti i macchinari edell’altoforno, e lì c’erano polveri, fumi e gas a nonfinire, proprio come quelli che adesso fanno tan-to scandalo all’Ilva di Taranto. Quando arrivò poiil direttore Valletta, che rivoluzionò la Fiat cam-biando molti posti di lavoro, passai un po’ di anniin officina centrale, dove lavoravamo per un po’tutto quello che arrivava come ordine (per esem-pio molte volte mettevamo i cerchioni alle ruotedei treni) e infine mi mise nel reparto di manu-tenzione, dove sono rimasto come operaio per 13anni. Ho fatto un anno da “intermedio”, cioè quel-li che non erano né operai né impiegati, una via dimezzo. Per diventare impiegato Fiat ho dovutofrequentare dei corsi di meccanica e oleodinami-ca, dopodiché, diventato impiegato, sono rimastoalla manutenzione e lavoravo praticamente con lestesse persone di prima, ma avevo uno stipendiomolto più alto. Per tutti i 25 anni ho lavorato aturni, cioè con i giorni della settimana divisi intre turni, per sei giorni alla settimana mentreuno rimaneva il nostro giorno libero, che però nonera sempre la domenica ma ruotava ogni setti-mana.

Testa:-Dall’età di sei anni ho incominciato a lavo-rare, inizialmente d’estate andavo al pascolo conmio fratello Bernardo. Da più grande ho incomin-ciato a lavorare nei campi, a bagnarli e a racco-gliere il grano e il mais. Il lavoro era molto duroperché durava tutto il giorno, soprattutto d’esta-te, mentre d’inverno l’unico impiego era quello dimungere le mucche e impagliare le sedie, perciò cisi svegliava sempre molto presto, al sorgere delsole. Nonostante la fatica mi è sempre piaciuto fa-re il contadino perché anche se è un lavoro duro,ti fa sentire libero, e vedere i raccolti crescere

dà molta gioia. Un anno in cui sonoriuscito a malapena a sfamare i mieifigli, il padrone della cascina, Vit-torio Bonadè Bottino, con il qualeavevamo un bel rapporto di stima,mi ha proposto di andare a lavora-re alla Fiat, mi offriva anche unabella mansione, ben remunerata.Ma io, confrontandomi con mia mo-glie Caterina, ho deciso di rimane-re contadino, perché non avrei sop-portato un lavoro senza libertà. Hosempre avuto un bel rapporto con ilpadrone della cascina. Alla domeni-ca, dopo la messa, lui veniva achiacchierare con noi. Ci sedeva-mo davanti a casa e parlavamo di unpo’ di tutto. Un anno mi sono am-malato di “febbri maltesi”, una ma-lattia che si prende dalle mucche, e

non potendo lavorare era un bel problema. I mieivicini di casa facevano a turno per venire ad aiu-tarci e così i raccolti sono stati salvi. Era propriocosì, tra vicini ci si aiutava tanto.

3) Racconta come le innovazioni tecnologiche han-no cambiato il tuo lavoro nel corso degli anni.

Donalisio: -Diciamo che fino agli anni ’70 il no-stro lavoro era stato sempre abbastanza manua-le, erano molti gli operai che tagliavano, piegava-no, estrudevano il ferro con tenaglie, mole, pres-se e molti altri macchinari comandati a mano. Larivoluzione più grande per noi è stata l’oleodina-mica. Al reparto di manutenzione per la primavolta avevamo dei cabinati con quadranti e lan-cette che ci indicavano che i valori fossero tuttinella norma. Così potevamo sapere con precisionein quali parti dei macchinari si erano verificatidei guasti, mentre prima se c’era qualcosa chenon andava dovevamo controllarli tutti, andavamoa “orecchio” per trovare i problemi. Io i veri e pro-pri macchinari completamente robotizzati non liho mai visti, ma l’oleodinamica era già un grandepasso in avanti. L’avvento degli impianti mecca-nizzati ha permesso di ridurre un po’ il numero dioperai necessari, ma non è stato un taglio drasti-co come quello degli anni della robotizzazione,perché c’era la grande differenza che un tempo lepersone rimaste senza lavoro non erano messe incassa integrazione o licenziate, ma venivano man-date a fare i “lavori ausiliari”, dove c’era ancorabisogno di manualità.

Testa:- Il lavoro nei campi era completamentemanuale ad eccezione della mietilega e della fal-ciatrice che venivano attaccate ai buoi per la mie-titura e il taglio dell’erba da fieno. Verso il ‘50 ab-biamo comprato il primo trattore e a seguire l’im-ballatrice e il gira fieno. Abbiamo comperato an-che la radio. Si stava un po’ meglio, ma capitava-

Giovan BattistaTesta

PROSA - GRAFICAaltri finalisti

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no le annate dove la grandine distruggeva tutto ilraccolto, o le mucche si ammalavano, non esiste-vano le assicurazioni e il veterinario costava pa-recchio. D’inverno se non c’era il latte da vende-re non c’erano altre risorse, è anche capitato chemangiassimo il gatto perché non c’era niente altro,oppure facevamo delle trappole per catturare ipasserotti, che poi mangiavamo con la polenta.Nel ‘55 circa abbiamo comperato l’automobile, nel‘60 la lavatrice, nel ‘70 il frigorifero e il gas, nell’‘80 il forno e il telefono.

4) Come trascorrevi il tuo tempo libero?Donalisio:- Il più grande problema del mio tempolibero è stato che, avendo il giorno libero cheruotava ogni settimana, spesso mi ritrovavo il so-lo a essere a casa nei giorni normali mentre tut-ti i miei amici facevano festa sempre alla dome-nica. Durante il periodo in cui lavoravo in fabbri-ca mi ero trasferito a Settimo Torinese. Qui pas-

savo molto del miotempo libero nel-l’ambiente dellaparrocchia del mioquartiere. Alla do-menica, dopo lamessa delle nove,a volte vi tra-scorrevo tuttoil giorno tra

pranzi, partite a carte, e rimanevo anche per se-guire le attività sportive. All’oratorio eravamoarrivati ad avere ben tredici squadre di calcio, co-sì spesso i tornei di pallone alla domenica si pro-lungavano fino al tardo pomeriggio. Nella nostroquartiere abitava anche un famoso ex-calciatoreche aveva militato addirittura nella Juventus,quindi lui era un po’ il capo di tutti gli allenatori,coordinava tutte le attività sportive dell’oratorioe, visto che aveva molti amici e contatti tra i cal-ciatori famosi, a volte li invitava con noi in par-rocchia per far divertire i bambini; così ho avutomodo di vedere di persona moltissimi calciatori fa-mosi dei miei tempi. Il calcio era una mia grandepassione. Appena potevo andavo allo stadio a ve-dere giocare la Juve e anche dopo che è nato miofiglio Paolo ho sempre continuato a portarlo allostadio, abbiamo visto molte partite tra cui alcu-ni incontri di coppa dei campioni e un’amichevolecon i brasiliani dove ho potuto vedere di personagiocare il grande Pelé. Poi, quando comprai la pri-ma macchina nel ‘65, una 500, spesso nel mio gior-no festivo andavo a trovare i miei fratelli a Savi-gliano. Anche dopo che misi su famiglia continuaia usare spesso la macchina nei giorni di festa permuovermi dalla città, portavo spesso i miei figli emia moglie in montagna, i posti più gettonati era-no il Canavese e Superga.Un altro modo in cui ho trascorso il mio tempo li-bero è stato il lavoro che facevo per conto di un

Michelangelo GiacconeEgo Bianchi - Cuneo

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mio amico che possedeva una delle prime fabbri-che di penne Bic, che mi lasciava i pezzi di plasticada assemblare per montare le biro e io le co-struivo insieme a mia moglie. In questo modo po-tevo guadagnare qualcosina in più da aggiungere almio stipendio.

Testa: - Gli unici momenti di svago erano la festadel paese, dove ci riunivamo nel cortile della chie-sa, mangiavamo e festeggiavamo tutti insieme; ilCorpus Domini era comunque un’occasione per ri-posarmi dal lavoro dei campi. Inoltre il proprie-tario della cascina organizzava tutti gli anni ad ot-tobre i giochi della località “Prinotti” durante iquali si giocava a bocce per le stradine del parco,al tiro alla fune e si partecipava all’albero dellacuccagna; poi si festeggiava e il vincitore venivapremiato con una coppa. Io ho vinto due o trevolte. Un’altra festa era la polentata di Carneva-le, nel pomeriggio i bambini andavano di cascina incascina a cantare e in cambio ricevevano delleuova con cui preparavamo una frittata che man-giavamo la sera insieme alla polenta. Nelle sered’inverno ci riunivamo con i vicini nella stalla al cal-do, i maschi giocavano alle carte (tre sette, sco-pa, pinacola, scala quaranta), le donne lavoravanoa maglia e i più vecchi raccontavano le storie sul-le masche.Ho sempre avuto la passione per il calcio e hoavuto la fortuna di poter incontrare di personamolti giocatori famosi perché l’autista del pro-prietario della cascina lavorava anche per la Ju-ventus. Ho conosciuto Dino Zoff, Giampiero Bo-niperti, Marco Tardelli e Gaetano Scirea.

5) Come è stato il rapporto con tua moglie?Donalisio.- Ho conosciuto mia moglie a Savigliano,nel ’55, nella chiesa di S. Andrea. Allora fre-quentavo ancora l’oratorio ed eravamo divisi tramaschi e femmine, ma fuori da lì abbiamo inizia-to a vederci. Ci siamo sposati proprio a S. An-drea nel ’58 e dopo il matrimonio abbiamo offer-to a tutti gli invitati un rinfresco in quella cheadesso è la sala di palazzo Taffini, che allora ap-parteneva alle suore “Rosine” e che ci era stato la-sciato come locale per il ricevimento. La serastessa del giorno del matrimonio un mio amico ciaveva accompagnato in macchina a Torino doveavevamo preso il treno per Roma. Per noi allora èstato un viaggio di nozze grandioso e ho tanti beiricordi dei giorni passati con mia moglie nellagrande capitale d’Italia.

Testa: - Ho conosciuto mia moglie Caterina Ber-gese a Racconigi nel ‘54 al matrimonio di mia so-rella con suo fratello. Nel ‘57 mi sono sposato, co-me regalo di nozze i proprietari della cascina cihanno regalato una giornata a Torino, era la pri-ma volta che visitavo la città e ne sono rimastomolto impressionato: ho visto per la prima volta i

grandi palazzi e le fabbriche, mi è piaciuta moltoTorino, ma ho anche capito che non avrei mai po-tuto viverci e lavorarci. Io e mia moglie ci siamosempre voluti bene e ce ne vogliamo ancora oggidopo cinquantasei anni che stiamo insieme.

6) Come ha cambiato la vita della tua famiglia ilboom degli anni ’50?

Donalisio:- Delle conseguenze del grande Boomdel ’50 mi ricordo che il cambiamento più eviden-te in città si poteva notare nelle strade che siriempivano sempre di più di automobili, perché sistava bene economicamente e tante famiglie ini-ziavano a potersi permettere qualche comodità inpiù, come anche i primi elettrodomestici. In quelperiodo tutti erano fin troppo ottimisti sull’eco-nomia, di sicuro è per questo che siamo arrivati al-la situazione critica di oggi. Un esempio erano i co-siddetti stipendi a “scala mobile” durati fino all’88,cioè che aumentavano di pari passo con l’aumen-tare dell’inflazione, il mio era di quel tipo. Inoltreio sono anche andato in pensione molto presto,sia perché c’erano ancora le pensioni di anzianitàsia perché in quegli anni la scolarità era moltobreve e quindi si incominciava a lavorare giovani edi conseguenza si andava in pensione presto.

Testa:- Le più importanti le ho già dette nell’in-novazione tecnologica, ma un’altra cosa molto im-portante portata dal boom degli anni ’50 è statala “centrifica”, grazie ad essa riuscivamo a irrigarei campi e quindi i raccolti erano più abbondanti, an-che se il lavoro era aumentato perché mi toccavabagnare la notte.

7) Come hai vissuto gli anni della guerra?Testa:- Io non ho combattuto la guerra sul fron-te, solo mio fratello Bernardo è partito soldato,è andato in Grecia e poi è tornato e mio fratelloAndrea è morto di polmonite prima di partire.Anche per chi era a casa era dura. Spesso veni-vano i partigiani a razziare cibo, oppure le cami-cie nere a cercare nei pagliai i disertori o i par-tigiani nascosti, e distruggevano tutto il fienile. Anoi avevano preso il cavallo, se l’erano portato viasenza dire nulla, e noi guai a banfare. Anche se eroancora un bambino mi aveva molto colpito la vi-cenda della maestra del Boschetto, una località vi-cino a noi: aveva fatto la spia ai fascisti, i parti-giani erano andati a prenderla a scuola, davanti atutti i bambini l’avevano rapata a zero, poi l’ave-vano portata nel bosco, l’avevano picchiata e vio-lentata e poi impiccata al Motturone. Ricordo chei miei compagni di catechismo che andavano ascuola da lei, non avevano parlato per più giorni. Miaveva anche molto impressionato quando era ca-duta una bomba sulla ferrovia, se ci penso misembra ancora di sentire il tonfo, sembrava chedovesse scoppiare tutto il mondo.

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Silvia OGGERO 4ª C IIS “Arimondi-Eula ” SAVIGLIANO

agazza mia, figlia imma-ginaria, Gesù alla tua etàaveva già fatto molto.Anzi, tutto. Perché pur-troppo non l'hanno la-

sciato continuare.Tu invece pensi di non aver fattoniente. Eppure sei una combattente. Con te sonostate prese iniziative di lotta aperta, manifesta-zioni per ottenere maggiori razioni alimentari,per rivendicare il rilascio di ostaggi civili, per farfuggire i prigionieri durante i trasporti. Hai ga-rantito collegamenti tra le brigate e il manteni-mento di contatti tra i soldati e le famiglie. Per-correvi chilometri in bicicletta, a piedi, talvolta incorriera e in camion, pigiata in un treno insieme albestiame per portare notizie, trasportare armi e

munizioni, sotto la pioggiae il vento, tra i bom-

bardamenti e i mi-tragliamenti, conil pericolo ognivolta di caderenelle mani deinazifascisti .Sfidavi tortu-

re, dolori, strazi, pur di mettere insalvo molti feriti e sbandati. Eribrava nel camuffare armi e muni-zioni: quando venivi fermate daitedeschi con addosso qualcosa dicompromettente, riuscivi spessoad evitare la perquisizione, di-

chiarando compiti importanti da svolgere. Non solo pensavi ad un futuro di pace, a difendertidalle bombe e dalla fame, ma ti sei anche prepa-rata a lottare contro le ingiustizie e le disparitàtra maschi e femmine.Peccato che il tuo contributo alla resistenza nonsia stato mai adeguatamente riconosciuto.Qualcuno negli ultimissimi mesi della guerra hatentato di fare una canzone per te, ragazza.“O partigiana, sarai sovrana, il mondo intero losguardo su di te. La pistola alla cintura, il mo-schetto fuor di sicura. Alto là, chi va là, parolad'ordine o non si passerà.”. Il tuo compito era quasi sempre di portaordini odi esploratrice e in quelle mansioni le armi ti ser-vivano più per allarme e difesa, che altro. Nonc'era molto tempo per la poesia e per i canti. An-che Bella ciao per te è venuta dopo.Cosa sognavi in quei mesi? Cosa speravi per dopo?

R O Partigiana,sarai

sovrana...?

Nicole Vivaldo - BaltimoraPinot Gallizio - Alba

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Da dove ti veniva la forza per sopportare tanti di-sagi? Il primo sogno era sicuramente far finire la guer-ra, perché tutti sognavano per prima la cosa la pa-ce. La pace, la fine di quella sofferenza: questaera il primo desiderio, il primo sogno. Un sogno cheera una cosa sola con quello di sconfiggere i fa-scisti e i tedeschi. Fascisti e nazisti erano i tuoinemici, perché non solo erano responsabili dellaguerra e delle tue sofferenze, ma erano la per-sonificazione stessa della guerra. Le loro crudel-tà insensate ne erano la prova. Poi c'era la speranza di un mondo diverso. Avevila certezza che in un'altra parte della terra fos-se stata realizzata una società giusta, senza pa-droni, proprio quella immaginata con “il sol del-l'avvenire” dai padri. La forza di rischiare combattendo o aiutando ve-niva proprio da questi due sentimenti: la voglia dipace e l'avversione al nazifascismo.Tutti sognavano. Per te ragazza, su tutti i desideriprevaleva quello di essere meglio considerata, piùrispettata e avere gli stessi diritti di ogni altroessere umano. Era un po' nebuloso questo tuo de-siderio, ma sentivi di non essere da meno dai ma-schi, sia in casa, che nei campi, ai torni, sul trat-tore, negli uffici o nelle scuole. Non volevi più

essere considerata meno di niente, o quasi.A volte volgo lo sguardo all’attualità, al governo,alla storia sociale in generale. Qualcuno rivolge ate il suo pensiero? Cosa mai potranno dire a tuonome? Non sei trasparente, hai lasciato un'im-pronta, eppure. Non pretendi di ricevere adula-zioni, ma almeno un riconoscimento, un merito.Basta con questa resistenza taciuta. L'Italia èuna repubblica democratica nata dalla resistenza.Nella repubblica tutti i cittadini sono uguali. Tu seiuguale ai partigiani, sei importante come loro, an-che se hai visto donne che si univano alla festa,cantando e ballando i motivi americani, in voga, mache non potevano sfilare insieme agli uomini.Qualcuno pensa che ci sia, nei confronti delledonne che hanno partecipato alla Resistenza, unmisto di curiosità e di sospetto. E' comprensibi-le che una donna abbia offerto assistenza a unprigioniero, a un disperso, a uno sbandato, tantopiù se costui è un fidanzato, un padre, un fratel-lo. L'ammirazione e la comprensione diminuiscono,quando l'attività della donna sia stata più impe-gnativa e determinata da un a scelta individuale,non giustificata da affetti e solidarietà familia-ri. Per ogni passaggio trasgressivo, la solidarietàdiminuisce, fino a giungere all'aperto sospetto eal dileggio.

Dunque, perché continuano a fare tantafatica a vederti?E allora non resta che farti sentire ra-

gazza, mi raccomando. In tutte le formeche credi. Ma senza far male a una mosca,per carità. Questo paese ha bisogno dicure. Anche delle tue.

Annalisa TortoneEgo Bianchi - Cuneo

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Valentina CHIAVAZZA 3ª L Liceo Scientifico “Arimondi-Eula ” Sez. RACCONIGI

Cara mamma, ti scrivo queste semplici parole con la speranza di riu-scire ad esprimere almeno una parte dell’affetto cheprovo per te. Ti scrivo con l’inchiostro scuro, indelebi-le, perché le mie parole restino impresse sulla cartachiara, così come le emozioni che ogni giorno tu mi re-gali sono impresse nel mio cuore, che a te riserva sem-pre la parte migliore!Parlare di te non è semplice, o meglio, lo sarebbe se tufossi soltanto la donna che mi ha messa al mondo ecioè mia “madre”, ma tu sei prima di tutto mia amica eperciò, quando parlo a te, mi rivolgo alla mia “mamma”.Forse, lo sarebbe anche se tu fossi una semplice “mam-ma” e non la donna eccezionale che ti dimostri quoti-dianamente, nonché la donna più importante della miavita! Parlare di te non è semplice, anzi è complicatissi-mo, perché complicatissimo è parlare delle emozioniche riempiono e alimentano l’esistenza di una persona,la mia.Dunque, cosa dire di te? Quale aggettivo o sostantivopotrà mai essere abbastanza nobile per descrivere ladonna più importante al mondo? Non saprei proprio,ma ora proverò a pensarne qualcuno. Tanto per comin-ciare, sei molto sensibile. Sei capace di commuovertiper ogni cosa, anche la più piccola, come un fiore chesboccia, un gabbiano che plana sull’acqua, il rosso di untramonto. Ed ecco che i tuoi occhi si riempiono di la-crime, lacrime che trattieni a stento e con moltissimafatica, perché hai un cuore grande e la capacità diemozionarti ancora come un bambino. Sei dolce e af-fettuosa. Sai bene che, a volte, per aggiustare qualcosache è andato un po’ storto basta una carezza o un ba-cino, una stretta di mano o un abbraccio e non servo-no grandi gesti o paroloni perché, nella maggior partedei casi, il gesto più umile e semplice si rivela essere ilrimedio più efficace. Sei precisa, meticolosa e un pochino “maniaca” dell’or-dine; riordinare la casa con te è uno scambio di battu-te in una commedia. La parte è sempre la stessa, tu edio che riassettiamo insieme: tu, precisina, riordini tut-to e lasci la casa splendente come un gioiello Io, più di-sordinata, per quanto con il massimo dell’impegno (e tigarantisco che ci metto tanta buona volontà), non ot-tengo il risultato che voglio, anche se so che ai tuoi oc-chi ciò che conta davvero è l’aver condiviso insieme unlavoro e quattro chiacchiere. E i rimproveri fanno par-te della “commedia”!Sei orgogliosa, tutto quello che hai avuto e che hai dal-

la vita, l’hai costruito con le tue mani, perché dover di-re “Grazie!” a qualcuno implica un debito di ricono-scenza che, se è nei confronti delle persone sbagliate,rischia di stringerti il collo come una corda. Sei determinata e coraggiosa, lotti con ambizione percercare di raggiungere sempre qualcosa di più alto e peroffrire il meglio ai tuoi cari, compreso il meglio di te.Ogni giorno ti presenti al lavoro con un sorriso, anchenei momenti più difficili, e torni a casa con una risataallegra da regalare a chi, fra noi, si sente peggio di te.Hai un grande spirito di sacrificio e, pur nelle difficoltà,non ti arrendi; come dici sempre tu “La vita ha un co-sto ed è sacrificio e fatica”, ma a te la fatica non spa-venta, anzi ti fai continuamente in quattro, perché letue figlie sono una delle cose più care che hai e vuoi cheabbiano un futuro da favola.Prediligi la cultura “dell’essere” a quella “dell’apparire”,per te l’aspetto non conta affatto, l’unica cosa impor-tante è avere un cuore grande. Proprio per questo mo-tivo gioisci delle piccole cose che ti dona la vita comeuna tazza di tisana fumante e una partita a carte tut-ti insieme, una serata abbracciati sul divano a guarda-re un film o una domenica al mare accompagnata daisorrisi delle persone che ami.Ti ammiro molto mamma! Ti ammiro per il tuo coraggio,per il tuo sorriso, la tua determinazione, la tua forza,la tua tenacia. Ti ammiro per le tue sagge parole, chedispendi sempre al momento giusto, e per i tuoi silen-zi, per tutto ciò che sei e per quello che non sei... . Nonti cambierei per nulla al mondo! Sei la persona che miconosce meglio, ti basta uno sguardo e mi capisci, conun sorriso mi conforti e con una buona parola mi con-sigli, sei la mia guida, il mio esempio. Conosci i miei de-sideri, i miei sogni e con una mano mi sollevi fino alcielo perché possa accenderli come stelle, mentre conl’altra mi proteggi dalle meteore che cercano di ab-battermi.Sono orgogliosa di essere tua figlia e, da grande, mi ba-sterebbe assomigliarti anche solo un pochino. A te,mamma, dovrei regalare qualcosa di unico, straordina-rio, ma nulla sarebbe abbastanza unico o straordinario.Perciò, anche se non basta, a te va il mio immenso “Gra-zie” e tutto l’affetto che provo. A te dedico tutto il miopassato, il mio presente e il mio futuro, perché tuttociò che sono e che sarò è anche merito tuo! A te dedi-co la mia vita e ti dico “Grazie di esistere!”.

Ti voglio bene!Vale

“La parola più bella sulla labbra del genere umano è “Madre”e la più bella invocazione è “Madre mia”.

E’ la fonte dell’amore, della misericordia, della comprensione, del perdono.Ogni cosa in natura parla della madre”.

(Kahlil Gibran)

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PROSA - GRAFICAaltri finalisti

Valeria GILETTA 5ª C I.I.S. “Arimondi-Eula” SAVIGLIANO

l ruolo sociale della don-na durante il secolo scor-so è mutato notevolmen-te e una delle cause èsenza dubbio lo scoppio

dei due conflitti mondiali. Nel cor-so del ventennio fascista, la donnaviene vista come colei che “ha il dovere” di parto-rire “figli da destinare al servizio della Patria”. In-vece durante la Prima e la Seconda Guerra Mon-diale, la figura femminile diventa colei che può edeve sostituire il marito o i figli e a volte en-trambi nel lavoro agricolo, lasciando da parte l’im-magine della custode del focolare. Inoltre, neglianni della Resistenza italiana, sono state molte lefigure femminili che si sono distinte nella lottapartigiana.Questi sono anni particolarmente difficili ancheper il Monregalese, zona dove vissero le donnedelle quali vorrei parlare.

Le prime sono figure femminili che, avendo scel-to di abbandonare la loro vita comune e a volte an-che brillanti carriere lavorative e operare per le-nire le sofferenze altrui con servizi e preghiere,vivevano nella Casa Madre delle Suore Missionariedella Passione Villavecchia, nei pressi di VillanovaMondovì. Madre Maria Margherita Lazzari fu lafondatrice del convento e con le sue missionarie,suor Carla, suor Caterina e suor Ignazia si occu-pò, su incarico del vescovo di Mondovì Mons.Briac-ca, del Santuario di S. Lucia non distante dallaCasa Madre. Dal 1943 al 1945 il santuario diven-tò punto di appoggio e rifugio dei partigiani dellavallata. Di notte, verso mezzanotte, piccoli grup-pi di giovani scendevano dalle montagne fino alsantuario dove suor Carla e suor Ignazia, che vi vi-vevano quasi stabilmente, erano pronte per darloro vitto, medicine, vestiario e anche armi. SuorCaterina, giovane e forte, spesso anche da solasvolse il servizio di staffetta partigiana, percor-rendo il sentiero che collegava il convento con ilsantuario, con la corona in mano portando in spal-la tutto ciò che serviva per i partigiani. Per MadreLazzari questi erano momenti di incredibile an-goscia: quante notti insonni, quante ore di trepi-dazione al pensiero che le sue suore si trovavanotra continui pericoli. Eppure fu sempre pronta asoddisfare ogni richiesta per venire incontro allenecessità del prossimo, lavorava, pregava e ri-schiava la vita sua e della sua comunità per i gio-vani partigiani braccati dal nemico. Per loro, adesempio, preparò un dolce delizioso da offrire a

Natale usando tutta la scorta dizucchero del convento. Ma la buo-na suora confessò che lo fece perfar sentire vicine ai partigiani inquel giorno le loro madri, le lorofidanzate, le loro famiglie con qual-cosa che ricordasse le loro case.

L’esercito tedesco nel 1945 prese di mira il San-tuario di S. Lucia e il gruppo di partigiani fu co-stretto a trasferirsi a Torino. Ma anche alloranecessitavano dell’aiuto delle suore. Il 20 aprile1945 suor Carla De Noni fu incaricata di portareda Villanova a Mondovì un sacco di viveri che poisarebbe stato inviato a Torino. Durante il viaggio,poco prima di arrivare a Mondovì, il trenino sulquale si trovava fu mitragliato e lei fu ferita mor-talmente alla spalla, al petto, e alla faccia. Vistoche la sua morte era imminente, suor Carla vennetrasferita dall’ospedale al convento di Villavec-chia. Madre Lazzari addoloratissima per le enor-mi sofferenze della sua suora, radunate le altreconsorelle, nella cappella pregò per ottenere un mi-racolo con l’intercessione di Padre Rinaldi al qua-le lei era devota. Suor Carla si riprese e quando ilmedico curante le venne a far visita, impallidendo,non potè che constatare che si trattava di un in-tervento soprannaturale. Suor Carla fu insignitadell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Re-pubblica e della Medaglia d’argento al valore mili-tare, riconoscimenti che la “suora miracolata” vol-le condividere con le consorelle missionarie suorCaterina e suor Ignazia. Non fu facile conciliare laregola ecclesiastica con lo spirito pratico dellavita quotidiana, tanto più quando la vita diventaguerra e morte. Madre Maria Margherita e le suesuore ci riuscirono e vinsero la loro battaglia di fe-de, di amore, operando là dove infuriava la guer-ra, dando una grande lezione di pace per i giusti eper chi nel giusto non era.

Sempre nel Monregalese, più precisamente a Fon-tane, l’ultimo paesino in cima alla Val Corsaglia,hanno vissuto alcune donne delle quali la storianon sarà mai scritta in nessun libro, ma che non sicancellerà nella memoria dei miei famigliari. MariaVinai, abitante in frazione Revelli, nel 1943 ospi-tò in casa sua Salvatore, un giovane sardo “sban-dato” dopo l’armistizio, senza comando e senzaconforto. Maria (mia bisnonna materna) lo accol-se nella sua casa e fino alla fine della guerra lotrattò come uno dei suoi quattro figli, pur sapen-do il rischio che correva a causa dei rastrella-menti tedeschi.

ILA DONNADELLA

MONTAGNA

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Marta SalomonePinot Gallizio - Alba

Anna Vinai, invece, viveva in borgata Filippi quan-do suo marito Silvio, un giorno di marzo del 1944,fu prelevato da un gruppo di soldati tedeschi e ob-bligato a far loro da guida su per le montagne cir-costanti. Anna rimase da sola a casa con le suequattro figlie e la sua grande angoscia può esse-re paragonata a quella di Madre Maria Margheri-ta Lazzari. Il marito di Anna tornò sano e salvo perla gioia della sua famiglia. Poi la guerra finì e lebambine crebbero. Caterina, la maggiore, (mianonna materna) iniziò giovanissima a contribuire almantenimento della famiglia perché la montagna èstata da sempre molto avara nei confronti deisuoi abitanti. Toccava a lei aiutare il papà Silvionella produzione del carbone, nel periodo autun-nale, che poi veniva venduto. Sempre Caterina sirecò più volte, in dicembre, a raccogliere le olivein Liguria: la modesta paga spesso consisteva inolio. Poi Caterina si sposò e dai Filippi si trasferìin borgata Revelli. Anche qui si continuò a fare iconti con l’avarizia della montagna. Infatti, quan-do in estate il marito Giovanni si recava in alpeg-gio con il bestiame, toccava a Caterina e a suasuocera occuparsi della cura dei campi e della pro-duzione del fieno per l’inverno. Allora Caterina ela suocera partivano al mattino appena la rugiadascompariva, perché altrimenti era pericoloso cur-varsi sui pendii, con la piccola falce conficcata

nella cintura del grembiule, le calze di lana arro-tolate sugli scarponi che, oltre a facilitare il cam-mino, avevano il compito di proteggere da eventualispiacevoli incontri con le vipere. Dopo tre o quat-tro giorni di estenuante lavoro, se il tempo era cle-mente, il fieno era pronto da portare a casa. Neltardo pomeriggio si vedevano arrivare le due don-ne con le “gnoche” sulla schiena; camminavano tan-to gobbe sotto quel peso, che se ne intravedeva-no solo le gambe e non era possibile riconoscerle.Posata la “gnoca”, sollevate da quel peso, Cateri-na e Maria si sedevano sul muretto di fronte al fie-nile e asciugandosi il sudore, scostavano di un po’il foulard che raccoglieva i capelli; allora il profu-mo del fieno si espandeva in tutta borgata Revel-li. Dopo l’estate arrivava l’autunno e così mia non-na e sua suocera si dedicavano alla raccolta dellecastagne, che per anni ha rappresentato una verafonte di guadagno, anche se modesto per le fami-glie di Fontane e di tutta la Val Corsaglia. Sotto icastagni si raccoglievano i frutti con dei ditali distoffa per proteggere le dita dalle spine dei ric-ci. Le mani delle donne di montagna erano grosso-lane, possenti, sembravano quasi maschili e non sisa spiegare come facevano, nelle sere d’inverno,durante le veglie a produrre lavori rifiniti magni-ficamente con l’ago, con l’uncinetto oppure con iferri da lana. Gli anni passano e la montagna sem-

bra diventare sempre più avara verso i suoiabitanti, soprattutto in quelle zone dove il tu-rismo non è praticamente arrivato.Caterina, madre di una famiglia numerosa, èstata costretta a lasciare Fontane e migrarecon il marito in pianura, ma il suo cuore restasempre legato a quei luoghi che, anche se nonhanno mai regalato nulla ai suoi abitanti, sonodagli stessi amati come si ama la propria ter-ra natia. Oggi, le donne che abitano per tuttol’anno a Fontane si contano ormai sulle dita diuna mano e sono tutte impegnate in opere di vo-lontariato (allestimento di un museo etnologi-co, raccolte di poesie in dialetto, lavori ma-nuali per beneficenza) per sostenere la picco-la comunità montana e per non permettere chevengano dimenticate altre donne che alla mon-tagna hanno dedicato la loro

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