Numero 92 - novembre 2016 Euro 2 › documenti › nostop_92.pdf · entrambi scaduti il 31/12/2014)...

44
Numero 92 - novembre 2016 Euro 2.00 Periodico FILT-CGIL Nazionale

Transcript of Numero 92 - novembre 2016 Euro 2 › documenti › nostop_92.pdf · entrambi scaduti il 31/12/2014)...

N u m e r o 9 2 - n o v e m b r e 2 0 1 6 E u r o 2 . 0 0

P e r i o d i c o F I L T - C G I L N a z i o n a l e

Primo Piano

SO

MM

AR

IO

Il servizio fotografico è stato realizzatoda Franco [email protected]

Primo Piano 2

3

16

28

Tempo Presente

In Linea

Spazio Aperto

Il territorio come bene comune

Legge di Bilancio e pensioni

Brescia dopo la Crisi.Quale Agenda urbana?

Ambiente e SicurezzaSistemi di Gestione e Modelli Organizzativi

Diritti e dignità delle persone con disabilità

Il rapporto complicatotra partito e sindacato:un caso non solo inglese

31Sguardi e TraguardiFar parlare l’esperienza femminile

L’intervista a Wanda Tommasi

35FinestreLa Street art

dalla terra alla luna“Stranieri alle porte”

di Zygmunt Bauman

Leggete e moltiplicatevi!

Trasporti, tante novitàe altrettante criticità

Per la Logistica una nuova strategia

L’agonia del TPL nel Lazio

Logistica del Veneto, un decenniodi sviluppo

Una riflessione sull’applicazionedella Legge 146 nei trasporti

Enav: se cambia l’impresa devonocambiare le relazioni sindacali 

2

Primo piano

Questo scorcio di fine 2016 si annunciaper i trasporti foriero di complesse e, inalcuni casi, critiche novità. Da un puntodi vista strategico, le più importantiriguardano il Piano della Portualità edella Logistica e connessi provvedimentisu investimenti infrastrutturali.Da un lato, infatti, prosegue l’impostazio-ne per l’evoluzione normativa sul riasset-to del sistema portuale nazionale che,dopo l’entrata in vigore del relativodecreto attuativo della Legge Delegasulla Pubblica Amministrazione (cosiddet-ta “Madia”), deve ora vedere la nomina,attraverso decreti del Ministro delleInfrastrutture e Trasporti, delle 15 neona-te Autorità di Sistema Portuale (in sostitu-zione delle Autorità Portuali). A seguire,la definizione dei diversi decreti checompleteranno l’operatività del nuovoassetto istituzionale, anche in coerenzacon le norme comunitarie di settore.Dall’altro lato, la legge di Bilancio 2017dovrà definire il quadro poliennale dellerisorse destinate agli investimenti infra-strutturali e sviluppare la normativa,nonché le risorse, relative all’incentiva-zione del riequilibrio modale dei traspor-ti (dalla strada verso mare e ferro), acce-lerando quanto già, in piccola parte, atti-vato nel 2016.Ancora in attuazione della “Madia”, sembraormai prossima l’entrata in vigore delD.Lgs. sui servizi pubblici locali. L’iter con-sultivo con i pareri della Conferenza delleRegioni, del Consiglio di Stato e delle com-petenti Commissioni di Camera e Senato èpraticamente concluso. Le numerose osser-vazioni e, in diversi casi, le critiche, mosseda più parti al testo originario dello schemadi decreto, rendono al momento incerti icontenuti del testo definitivo, a questopunto di esclusiva competenza del CdM.Questo decreto che darà compimentoall’insieme della legge delega sulla P.A.,avrà un notevole impatto sull’assetto nor-mativo, e, in prospettiva, su quello indu-striale, in particolare per quanto riguarda iltrasporto ferroviario sovvenzionato (lungapercorrenza “universale”, regionale, ferro-vie concesse) ed il Tpl. Segmenti peraltrosottoposti al Regolamento CE 1370/2007 eal D.Lgs. sulle società partecipate pubbli-che recentemente entrato in vigore.

Sulle situazioni aziendali si annuncianosul piano nazionale le vicende Alitalia,Gruppo FSI e Anas. Alitalia ha da tempo reso noto “a mezzostampa” che il Piano Industriale 2014,varato in occasione dell’acquisizione del49% della proprietà da parte di Etihad, stasignificativamente fallendo gli obiettivi. Ildestino dell’azienda è di nuovo ad unbivio, dopo solo due anni dal salvataggioche, va ricordato, aveva a sua volta segui-to la fallimentare operazione del 2008 dei“capitani coraggiosi” aggregati da Berlu-sconi, che portò alla completa privatizza-zione di Alitalia. Occorre già una nuova,urgente ricapitalizzazione, ma allo statonon è affatto chiaro se alle dichiarazioni divolontà in tal senso da parte di Etihad cor-risponderanno le analoghe disponibilitàdegli altri soci. Compagine societaria chevede in campo alcuni “reduci”, Poste e idue principali istituti bancari italiani, que-sti ultimi peraltro, fin dal 2010 anche nellaveste di creditori. Corrispondenza nellaricapitalizzazione tra Etihad e gli altrisoci, in quanto il socio extracomunitarionon può eccedere nell’attuale quota diproprietà della compagnia pena la deca-denza per Alitalia della certificazionecomunitaria europea. Complesse, anche se in uno scenariomeno difficile, si presentano le vicendedel Gruppo FSI e, in parziale connessionecon esso, di Anas. FSI ha predisposto unambizioso Piano Industriale su un inusua-le arco temporale (2017-2026). Si è avvia-to il confronto in sede ministeriale e, aseguire, in sede aziendale, per approfon-dirne dettagliatamente i contenuti, inparticolare per il periodo breve e medio(3-5 anni), su volumi di attività, diretteed esterne, relative dinamiche occupa-zionali, investimenti, assetto societario.Proprio con riferimento a questo, partico-lare rilievo assume il tema delle modalitàper la cessione ad investitori privati diuna parte di minoranza dell’attuale pro-prietà in capo al Ministero dell’Economiae la contestuale quotazione in Borsa. IlDPCM del dicembre 2015 prevedeva lacessione di un massimo del 40% della pro-prietà dell’intero Gruppo. A fine settem-bre, l’Ad di FSI ha invece annunciato chel’operazione, equivalente in termini

finanziari, dovrebbe concentrarsi sulperimetro riferito ad una costituendanuova società, appositamente scorporatada Trenitalia, che conterrebbe le attivitàdi trasporto passeggeri “a mercato”.Fonti governative hanno confermato inoccasioni pubbliche che questa modalità,diversa da quella prevista dal DPCM, èeffettivamente allo studio. Analoga iniziativa le Federazioni confede-rali di categoria intendono sviluppareparallelamente su Anas, che intanto, peròrischia di subire, per effetto della leggedi Bilancio, un’ulteriore proroga del bloc-co delle assunzioni e il conseguentedegrado delle già difficili capacità opera-tive fondamentali. Per quanto riguarda la contrattazionenazionale, sono in corso le trattative peril CCNL Mobilità/Attività Ferroviarie (con-testuali al rinnovo dell’integrativo FSI,entrambi scaduti il 31/12/2014) e delCCNL Logistica, Trasporto Merci e Spedi-zioni (scaduto Il 31/12/2015), nonché lapredisposizione della piattaforma sinda-cale per il rinnovo del CCNL TrasportoAereo (in scadenza a fine 2016). Sulprimo, dopo le occasioni di possibile chiu-sura, si registra un eccesso di tatticismoda parte di Agens e di FSI, che continua-no a non dare risposte praticabili sul deli-catissimo tema della clausola socialenegli appalti dei servizi e, conseguente-mente, impediscono di portare la tratta-tiva nella fase finale della definizionedelle parti economiche.Assai più difficile continua invece ad esse-re il rinnovo del CCNL Merci, dove il ritar-do finora accumulato è dovuto, nel merito,alle mancate risposte datoriali, anche inquesto caso, in materia di clausola socialenegli appalti, ma soprattutto al perdurantetentativo delle rappresentanze dell’auto-trasporto di sganciarsi dall’attuale filieracontrattuale unica e alla resistenza dellerappresentanze della cooperazione a rima-nervi in maniera coerente ed organica.Infine, la piattaforma sindacale del CCNLTA, nato nel 2014, dovrebbe vedere la luceentro novembre e, restando ai temi gene-rali, si caratterizzerà su un’ulteriore fasedi armonizzazione e unificazione dellediscipline specifiche vigenti nei rispettiviCCNL preesistenti.

PR

IM

O

PI

AN

O

di Alessandro Rocchi, Segretario Generale Filt-Cgil

Trasporti, tante novitàe altrettante criticità

3

Tempo presente

I terremoti del 24 Agosto e del 30 ottobre (pur diversi perimpatti) ci dicono molte cose: ci parlano della generosità di unpopolo e della grande efficienza dei lavoratori pubblici (vigilidel fuoco, personale medico, forestale, protezione civile) e ciparla di quanto una politica per la messa in sicurezza del terri-torio sia stata più oggetto di convegni che non parte di unastrategia economica e industriale di medio termine.Quel vero e proprio “Piano per il Lavoro” di cui il nostro siste-ma avrebbe bisogno.Dobbiamo allora ripartire dai fondamentali, connettendo unavisione del territorio con una più ampia volontà di incidere suimodelli di sviluppo esistenti, sui limiti che essi hanno palesato.Concetto chiave: il territorio è una risorsa pubblica di interes-se strategico, il territorio è un bene comune che deve esseretutelato e valorizzato. La tutela e la manutenzione del territorio,la messa in sicurezza antisismica degli edifici, l’efficientamentoenergetico degli stessi, a partire dagli edifici pubblici, la tuteladel patrimonio artistico e culturale, sono le “grandi opere” di cuiha bisogno il nostro Paese.Quadro sommario: i comuni interessati da aree ad alta criticitàidrogeologica sono 6.633, pari all’81,9% dei comuni italiani. Il9,8% della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica.Le aree ad alta criticità idraulica sono pari a 12.263 Km², quel-le soggette a criticità idraulica sono pari a 23.903 Km², per unapopolazione esposta di 6.154.011 abitanti, mentre altri 5,8milioni vivono sotto minaccia. I fenomeni franosi interessano,invece, 1.001.174 abitanti; il 24,9 % è interessato da aree arischio frana; il 18,6 % da aree a rischio alluvione; il 38,4 % daaree a rischio sia di frana sia di alluvione. In 5 regioni il rischiocoinvolge il 100% dei comuni. I due terzi delle aree esposte arischio interessano centri urbani, infrastrutture e aree produtti-ve e oltre 6 milioni di italiani vivono in 29.500 chilometri qua-drati del nostro territorio, considerati a elevato rischio idrogeo-logico con una spesa di oltre 1 miliardo di euro all’anno, da 20anni, per riparare disastri annunciati, ovvero dieci volte superio-re a quanto servirebbe per prevenire.Se fotografiamo il nostro Paese da un punto di vista sismico, circa3000 terremoti oltre la soglia del danno hanno colpito il nostroterritorio nell’ultimo millennio, oltre 200 dei quali distruttivi;negli ultimi due secoli i terremoti hanno causato circa 160 milavittime (85.000 delle quali dovute al terremoto di Reggio Calabriae di Messina del 1908); dal 1900 a oggi si sono verificati 21 terre-moti con intensità superiore o uguale al IX grado MCS, (in mediaun terremoto disastroso ogni 5/6 anni); i danni economici e leconseguenze sul patrimonio storico, artistico e monumentale sonostati ingentissimi. Per la sua particolare posizione geografica e

con il 68% del territorio esposto a rischio sismico, il 66.8% dellapopolazione abita in territori sismici (zona 1, 2, 3).I costi dei rischi: dal rapporto ANCE/CRESME, “Lo Stato del Ter-ritorio Italiano 2012, Insediamento e rischio sismico e idrogeolo-gico”, precedente agli ultimi eventi dell’Agosto 2016, si deduceche il costo complessivo dei danni provocati dai terremoti e daglieventi franosi e alluvionali dal 1944 al 2012, rivalutato in baseagli indici Istat al 2011, supera i 240 miliardi di euro, circa 3,5miliardi l’anno. Ovviamente in queste stime (come nelle succes-sive) non compaiono gli ultimi eventi di quest’anno.Aggiungiamo, infine, un ultimo dato relativo alla stima di degra-do del patrimonio edilizio privato a rischio sismico: si stima infat-ti che oltre 100 mila siano gli alloggi a rischio rientranti nell’edi-lizia storica nelle grandi città; oltre 400 mila gli alloggi a rischiorientranti nell’edilizia storica nel resto del territorio nazionale esono circa 800 mila gli edifici con più di 40 anni di vita. A questiandrebbero aggiunti gli edifici caratterizzati da degrado perragioni costruttive (boom edilizio anni 60, edifici abusivi multi-piano) per altri 2 milioni circa di unità abitative.

di Alessandro Genovesi, Segretario Generale Fillea-Cgil

Il territorio come bene comune

TE

MP

O

PR

ES

EN

TE

La tutela e la manutenzione del territorio, lamessa in sicurezza antisismica degli edifici,l’efficientamento degli stessi, a partire dagliedifici pubblici, la tutela del patrimonioartistico e culturale, sono le “grandi opere”di cui ha bisogno il nostro Paese.

Tempo presente

TE

MP

O

PR

ES

EN

TE

4

Per questo la prevenzione e la programmazione devonoassumere una visione integrata:

1 tenendo insieme prevenzione del dissesto idrogeologico eprevenzione sismica;

2 tenendo insieme politiche per la riqualificazione e rigenera-zione del costruito con le politiche di riduzione del consumodel suolo (obiettivo il “consumo zero”);

3 tenendo insieme all’interno di un unico corpo normativo (unaLegge quadro specifica, un vero e proprio Testo Unico, magaricon poche norme, ma chiare e che semplifichino la stratifi-cazione di leggi e decreti con cui oggi facciamo i conti) tuttele fasi connesse sia all’essere pronti ad affrontare le calamitàsia agli interventi immediati successivi ai disastri ambientali.Un’unica rigorosa e comune cornice giuridica per affrontare siala fase straordinaria, sia la fase di ricostruzione vera e propria.Il tutto in forte coordinamento con le politiche e le norme cheregolano la prevenzione;

4 individuando le risorse e gli interventi di sistema, sia quellistrategici a medio periodo che quelli più a breve (guardandogià alla prossima legge di stabilità per il 2017 che pure, sulpunto specifico, registra novità positive). In tale direzioneessenziale è il tema della legalità, a partire dalla messa inessere di tutti quegli strumenti già sperimentati per contrasta-re sia le presenza mafiose sia i fenomeni di corruzione.

Nel dettaglio alcune proposte che sono al centro del nostro con-fronto con il Governo al tavolo della c.d. “Casa Italia”.

FARE SISTEMACreazione di una struttura di Coordinamento nazionale per gliinterventi, con poteri sostitutivi in caso di inerzia conclamatadelle istituzioni locali o dei soggetti istituzionali preposti, in coe-renza con le scelte assunte dal Governo, in materia di “tagliatempi”. Un’idea potrebbe essere quella di costituire un’unicaStruttura di Missione, ricomprendente anche il dissesto idrogeolo-gico e scuole sicure, esclusivamente dedicata alle politiche diprevenzione (e relativi interventi) per il territorio, coordinata daPresidenza del Consiglio e dal Ministero delle Infrastrutture, conla partecipazione della Conferenza Stato-Regioni e dell’Anci.

FONDO NAZIONALEIncremento del Fondo per la prevenzione del rischio sismico (di cuiall’articolo 11 della legge 77/2009), con attuazione di un Pianostraordinario per il completamento della mappatura sismica entroi prossimi 12-24 mesi. Il Fondo potrebbe agire, anche e soprattut-to, per favorire la cessione crediti all’impresa, con strumenti finan-ziari, trasparenti e tracciabili. Occorre certo rafforzare lo stru-mento delle Esco per l’energia, ma anche la bancabilità dei credi-ti privati per cessioni ad imprese private. Si può fare un accordo traGoverno, CDP, ABI per favorire le imprese edili a prendere i credi-ti ceduti? Cosa impedisce che un eventuale fondo di garanzia perinterventi antisismici possa svolgere funzione di garanzia di ultimaistanza per il sistema bancario, che accetta di contabilizzare increditi alle imprese il credito privato ceduto dal cittadino/condo-mine, sapendo che il rientro avviene in 5 anni (come un BOT abreve termine e con il costo del denaro negativo)?

DETRAZIONIQui la proposta di legge Finanziaria va nella direzione giusta,anche accogliendo suggerimenti e proposte che come Fillea-Cgilabbiamo avanzato. Vogliamo riconoscere merito al Governo, a DeVincenti e a Del Rio. Bene la conferma per le ristrutturazioni, conuna positiva modifica delle percentuali per risparmio energeticoe per bonus sismico, con diversificazioni in proporzione al miglio-ramento - energetico o di classe sismica - degli edifici. Bene l’al-largamento anche alle zone sismiche 3. Importante aver resostrutturale il credito a 5 anni per gli interventi su condomini e diaver messo “dentro il bonus” anche le spese per la certificazionesismica (primo passo per poter chiedere che il Fascicolo del Fab-bricato sia dentro le spese rimborsate). Positivo l’allargamentoanche al sismico della possibilità di cedere crediti (per affronta-re il tema degli incapienti), con un rientro in 5 anni e non più in10. Finalmente si rafforza sull’energetico il controllo ENEA (echiediamo che tale principio del controllo ex post sia poi estesoall’anti-sismico), questo per controllare il mercato dei certificatibianchi oggi, del fascicolo domani. Ora servono due atti per poter far partire bene il “nuovo motore”:introdurre il “Libretto unico del fabbricato antisismico, energeti-co e del rumore”, ad opera di professionisti abilitati; favorire unsistema (noi proponiamo di usare un Fondo di Garanzia, ma siamoaperti ad altre soluzioni) per favorire realmente la cessione deicrediti e accelerare i conferimenti in caso di condomini. Sulle proposte di “sostenibilità” della cessione dei crediti abbia-mo detto la nostra. Permettetemi di spendere qualche parola inpiù sull’OBBLIGO DEL LIBRETTO UNICO DEL FABBRICATO (o FASCI-COLO): chiediamo che in questa legge di stabilità se ne avvii lasperimentazione almeno in caso di compravendita di immobili,con penalità economiche (multe) per venditori, acquirenti edintermediari/notai o con la nullità dell’atto. Tra l’altro, sarebbea costo zero per le finanze pubbliche e potrebbe, appunto, esse-re inserito tra le spese detraibili fiscalmente in caso di bonus.

5

Tempo presente

Sarebbe non solo una incentivazione reale all’utilizzo dei bonus,ma una grande operazione di cultura civica e di “mappatura”.

INVESTIRE SU RICERCA ED INNOVAZIONE NEI MATERIALIOccorre incentivare la ricerca applicata sui nuovi materiali (dailegni ingegnerizzati ai nuovi materiali metallici fino ai nuovi com-posti cementizi e alle tamponature in laterizio) che, per l’altotasso di resistenza/flessibilità meccanica e/o per la minore massa,sono di per sé a maggior impatto anti-sismico. E, soprattutto,hanno costi al metro quadrato più bassi. Si tratta allora di agirepremiando le Università (premialità nei trasferimenti pubblici) e leimprese che stanno investendo in brevetti sui nuovi materiali. Que-ste spese potrebbero essere equiparate ai super ammortamenti peril digitale (perché anche questo è il “nostro digitale”).

LE REGIONI ED I COMUNI DEVONO FARE LA PROPRIA PARTEVanno rilanciati i Programmi Regionali di previsione e Prevenzione(di cui alla legge 225/92) redatti sulla base degli indirizzi statali,che dovranno in più prevedere obbligatoriamente una parte speci-fica “per la continuità economica produttiva e la messa in sicurez-za del sistema produttivo”. Inoltre, vanno ridefiniti gli usi del ter-ritorio in relazione alle mappe di vulnerabilità e degrado, preve-dendo aree di rispetto indisponibili alle costruzioni, con revisionedelle norme urbanistiche relative all’uso del territorio, con l’obbli-go di mappatura dei rischi ai fini della VIA (valutazione di impattoambientale), preventiva ai Piani di Governo del Territorio.

LEGALITÀ, TRASPARENZA, VALORIZZAZIONE DEL LAVOROOgni politica “industriale” che punti alla qualità non può prescin-dere da una scelta chiara a favore di un mercato del lavoro sano.E qui possiamo, con Avvisi Comuni ad hoc, con interventi in sededi rinnovo del CCNL, usando il sistema bilaterale, decidere alcu-ne cose che andrebbero in questa direzione:● escludere i voucher dal settore dell’edilizia, non solo negli

appalti;● prevedere il Durc per congruità a tutti i lavori pubblici o che

godono di un’agevolazione pubblica, compresi quindi i benefi-ciari dei bonus energetico e antisismico;

● prevedere in capo al Sistema Bilaterale delle Costruzioni la cer-tificazione dei contratti applicabili all’interno dei cantieri;

● riconoscere il contratto collettivo dell’edilizia, e più in genera-le “il contratto di cantiere”, al fine di garantire ai lavoratori lemigliori condizioni normative, salariali e soprattutto di sicurez-za, oggi garantite dall’iscrizione al sistema delle Casse Edili,estendendolo alle stesse P. Iva. Sulla sicurezza – lo abbiamoribadito il 7 novembre da ultimo – non possiamo più scherzareo avere atteggiamenti buonisti;

● ripristinare la durata del Durc a livello trimestrale, con obbligodi presentazione sia in fase di esecuzione sia durante i diversiSAL, per le opere più complesse;

● rafforzare la qualità d’impresa, attraverso il meccanismo della“patente a punti”, al fine di favorire le imprese che più inve-stono in sicurezza e salute dei propri dipendenti.

Il tutto sostenendo la qualificazione dell’impresa, anche agendosull’Ape Agevolata. Può sembrare un tema avulso da questadiscussione, ma se vogliamo favorire concretamente un ricambiogenerazionale nel nostro settore puntando ad una forza lavoro piùistruita, con migliaia di tecnici giovani in grado di sostenere il“cambio di ciclo tecnologico” e l’industrializzazione del cantiere,non è possibile che l’accesso all’Ape Agevolata sia consentitoall’operaio edile con 36 anni di contributi e con 6 anni continua-tivi. Perché, di fatto, non ve ne sono.

EDUCARE E SENSIBILIZZAREOccorre che le popolazioni e gli amministratori siano molto sen-sibilizzati e educati ad un modello di prevenzione e gestione del-l’emergenza, al fine di ridurre il rischio di perdite di vite umanee governare, comunque, la fase successiva alla calamità con mag-giore consapevolezza e partecipazione attiva. Per questo propo-niamo di: istituire le Conferenze dei Cittadini Attivi a tutti i livel-li di attività di protezione civile praticati sul territorio, chiamatea partecipare alla formulazione dei “piani di soccorso e di prote-zione civile”; promuovere campagne di sensibilizzazione e diffu-sione della conoscenza dei rischi del territorio e dei piani di soc-corso immediato (cd piani d’emergenza) e protezione civile,anche con l’istituzione di URP regionali e locali di protezione civi-le. Infine, come in altri Paesi dell’Unione Europea, va istituita la“Giornata del rischio”, una giornata dedicata nelle scuole, neiluoghi di lavoro, nei consigli comunali per conoscere i rischi maanche le scelte che si vanno compiendo in termini di prevenzionenel proprio territorio.

Tempo presente

TE

MP

O

PR

ES

EN

TE

6

Il tavolo di confronto tra le Organizzazioni sindacali confederalie il Governo, sul sistema Previdenziale, ha avuto inizio il 24maggio scorso e si è concluso il 28 settembre con la firma di un“verbale di sintesi” contenente una serie di misure, molte dellequali positive sulle quali vi è stata condivisione, altre, comel’Ape volontaria, sulle quali la Cgil ha espresso un giudizio arti-colato e numerose criticità, infine altri punti che rappresenta-no la cosiddetta Fase 2 per i quali il confronto dovrà riprendereal più presto.Questo risultato, giudicato complessivamente positivo, dopoanni in cui il confronto con il sindacato era giudicato inutile daparte del Governo, deve ascriversi alla caparbia volontà di per-seguire dei risultati, di esserci mobilitati contro la legge Forne-ro, presentando una piattaforma unitaria sulla quale si è discus-so e di aver avviato una nuova stagione di relazioni sindacali checi auguriamo positiva.La Fase 1, della quale vedremo i contenuti punto per punto, chedeve trovare conferma nella prossima legge di Bilancio, riguar-da una serie di interventi che avranno vita a partire dal 2017 enecessitano di coperture finanziarie immediate. L’esborso per le

casse dello stato si aggira tra 1 miliardo e 600 milioni di euroe 2 miliardi di euro per il solo 2017. L’esborso complessivo saràdi 7 miliardi di euro in tre anni. La Fase 2, finalizzata alla ripresa del tavolo di confronto, prevedeun intervento più di prospettiva per correggere le parti maggior-mente negative del sistema contributivo che riguarda e riguarde-rà, in particolare, tutti coloro che hanno cominciato a versare icontributi dopo il 1 gennaio 1996. Per la prosecuzione della tratta-tiva sono già stati individuati gli argomenti e, in particolare, si par-lerà di giovani e di come risolvere il problema delle pensioni basse,attraverso l’introduzione di un meccanismo di solidarietà per unapensione contributiva di garanzia, che oggi non esiste. Si parleràdel rafforzamento della previdenza complementare, della flessibi-lità in uscita tra i 62 e i 70 anni di età, del riconoscimento del lavo-ro di cura ai fini previdenziali, di rivedere il meccanismo della spe-ranza di vita per determinati lavori, di come separare la previden-za dall’assistenza e, per i pensionati, di rivedere il meccanismo diadeguamento annuale dei trattamenti pensionistici in essere. I contenuti delle misure che andranno in vigore dal prossimoanno ci hanno già permesso di aprire delle falle in alcuni principi

Legge di Bilancio e pensioni di Fulvia Colombini, Collegio di Presidenza Inca

7

Tempo presente

No tax area È uniformata la no tax area (importo sul quale non sono pagate letasse) tra lavoratori dipendenti e i pensionati con oltre 74 anni;l’importo è stabilito per tutti in 8.125 euro annui per redditi fino a55.000 euro annui. Si creano modesti recuperi economici, ma sitratta di una misura di equità.

Quattordicesima sulle pensioni È una conquista importante. Si tratta di un vero e proprio aumentoper le pensioni più basse attraverso, da un lato, la maggiorazionedella quattordicesima per coloro che già la percepiscono perchéhanno una pensione pari a 1,5 volte il minimo (circa 750 euro lordedi pensione al mese) e l’allargamento della platea per coloro chehanno una pensione fino a 2 volte il minimo (circa 1.000 euro lordeal mese) che in precedenza non la percepivano. La quattordicesimaè riconosciuta con importi diversificati per scaglioni di contribuzio-ne: fino a 15 anni di contributi versati, da 15 anni fino a 25 anni,oltre 25 anni e l’importo é crescente. Partenza da 336 euro per ilprimo scaglione, 420 euro per il secondo, 504 per il terzo. Coloroche hanno pensioni fino a 2 volte il minimo percepiranno le cifreindicate, coloro che hanno pensioni fino a 1,5 volte il minimo avran-no gli importi maggiorati di 100, 120, 150 euro.

Cumulo gratuitoPotrà essere superato il problema della ricongiunzione onerosa deicontributi per coloro che hanno versato in più gestioni (per esem-pio: lavoratori pubblici, lavoratori privati, gestione separata percollaboratori). Dal prossimo anno attraverso il cumulo gratuito ogniFondo Previdenziale calcolerà la quota di pensione maturata che poiaffluirà a formare un’unica pensione e tutti gli anni versati, nellediverse gestioni, potranno essere utilizzati per raggiungere il requi-sito contributivo e di età. Riguarderà circa 80.000 persone.

Lavoratori precoci Sono considerati tali i lavoratori che possono vantare 12 mesi di con-tribuzione prima di aver compiuto 19 anni. Per loro basteranno 41anni di contributi per andare in pensione, senza alcuna penalizza-zione in ragione dell’età più giovane. Le categorie cui si applicheràsono i disoccupati senza ammortizzatori sociali, coloro che hannocondizioni di salute che determinano disabilità, coloro che svolgonoattività gravose, coloro che svolgono lavoro di cura nei confronti diun parente disabile di primo grado. L’elenco dei lavori gravosi saràinserito nella legge di Bilancio.

Lavori usuranti Questi lavori sono regolati dal D.L.67/2011. Le novità introdottesono: l’eliminazione della finestra di 12/18 mesi prevista, per cuiqueste persone potranno andare in pensione da subito senza doverattendere la finestra; il congelamento della speranza di vita a par-tire dal 2019; l’eliminazione dell’obbligo a svolgere il lavoro usuran-te nell’ultimo anno di lavoro. Con questi cambiamenti la platea siallargherà sensibilmente.

APE - Anticipo Previdenziale Consente di andare in pensione fino a 3 anni e 7 mesi prima di rag-giungere il requisito di età per la pensione di vecchiaia previstoin 67 anni e 7 mesi e quindi uscire dal mondo del lavoro a 64 anni.Ve ne sono tre tipi:APE volontaria Su questa misura la Cgil ha espresso un giudizio negativo perché sitratta di una misura finanziaria che non risponde alla necessità diflessibilità. Si tratta di una scelta personale che è attuata attraver-so la richiesta all’INPS di un prestito oneroso, per pagare la pensio-ne anticipata e che dovrà essere rimborsato in 20 anni, pagandodegli interessi e stipulando un’assicurazione sulla vita per evitarerisvolti negativi ai propri eredi in caso di premorienza.Ape AgevolataIn questo caso, i costi sono interamente a carico dello Stato fino a unapensione di 1.350 euro mensili. È’ prevista per particolari categorie dilavoratori e lavoratrici: disoccupati in assenza di reddito; presenza didisabilità; lavoro di cura verso parenti disabili di primo grado convi-venti; svolgimento di lavori gravosi. Il Governo chiede però un ulterio-re requisito e cioè, nei primi tre casi, il richiedente deve aver versatoalmeno 30 anni di contributi; nel caso di svolgimento di lavori gravosiservono 36 anni di contributi. La Cgil ha espresso contrarietà sul requi-sito contributivo perché riduce la platea dei possibili beneficiari. APE per le imprese Si tratta della stessa misura descritta sopra, i cui costi sono intera-mente a carico dell’impresa, che potrà accedere per i propridipendenti dopo la stipula di un accordo tra azienda e sindacato.Si tratta quindi di una specie di prepensionamento .

RITA Rendita integrativa anticipata Si accompagna all’APE volontaria e consentirà di utilizzare gliaccantonamenti nel Fondo di Previdenza Complementare per finan-ziare una parte di Ape volontaria, alleggerendo la necessità del pre-stito verso le banche.

della riforma Fornero che sembravano inamovibili,come il blocco della speranza di vita per le categoriedei lavori usuranti, il tetto di 41 anni di contributi suf-ficiente, senza penalizzazioni, per accedere alla pensio-ne per i lavoratori precoci, il riconoscimento del con-cetto che non tutti i lavori sono uguali, i primi ricono-scimenti al lavoro di cura per chi assiste un disabile,parente di primo grado, convivente. Si tratta di importanti risultati che, aldilà della valenzaimmediata per le categorie e i settori richiamati, inseri-scono un grimaldello che ci auguriamo consentirà nelprossimo futuro di modificare ulteriormente e in modostrutturale le legge Fornero. Ora la parola passa al Governo e al Parlamento, che devo-no trasformare in norme esigibili i contenuti del soprarichiamato “verbale di sintesi” attraverso l’approvazionedella legge di Bilancio che inizierà l’iter di discussione eapprovazione nei prossimi giorni.

AVVERTENZA: Si tratta di misure difficili e complicate, quindi è bene rivolgersi al Patronato Inca per saperne di più e poter farele proprie scelte in modo consapevole.

Misure previste per il 2017

TE

MP

O

PR

ES

EN

TE

8

Tempo presente

Brescia dopo la Crisi.Quale Agenda urbana?di Oriella Savoldi, Segretaria Camera del lavoro Brescia

È questo il titolo del Seminario Internazionale promossodalla Camera del Lavoro a Brescia, il 23 settembre scorso,in collaborazione con il Dipartimento Architettura e StudiUrbani (DAStU) del Politecnico di Milano, impegnato datempo in una riflessione su territori metropolitani e agen-de urbane, in particolare sulla city-region del Nord Italia,su metropoli e città medie.

L’iniziativa si colloca nell’ambito del percorso di promozione delPiano per il lavoro, già declinato a livello locale, considerati glieffetti socio-economici, ambientali e culturali provocati dallacrisi prolungata e strutturale intervenuta dal 2008. La Camera del Lavoro di Brescia, infatti, nell’insufficienza e nellaframmentazione delle scelte adottate a livello locale da parte deidiversi protagonisti istituzionali, economici, sociali e accademici,ha inteso promuovere l’avvio di una ricerca con l’intento di con-dividere confronto e iniziative efficaci per un nuovo respiro del-l’economia locale da cui tanto dipendono i livelli occupazionali,la condizione del lavoro e il suo riconoscimento in termini di redi-stribuzione di reddito e diritti. La crisi ci ha consegnato aspetti inediti, per i quali non esistonosoluzioni già date o titolarità esclusive; effetti che, per essereaffrontati efficacemente, chiedono alle diverse realtà di metterein gioco la rispettiva parzialità per uno sforzo sinergico che con-senta innanzitutto una visione comune della città futura e, con-testualmente, l’adozione di un’agenda condivisa di interventiattraverso ripensate forme di cooperazione, di confronto-contrat-tazione costruttiva, per la trasformazione dello spazio urbanonell’ottica di un nuovo sviluppo.Brescia non è una città ferma; vale in ambito sociale, politico, eco-nomico e produttivo. Non mancano ricerche e sperimentazione dipercorsi condivisi, atti a individuare le scelte da adottare (1).La sensazione, tuttavia, nella realtà parcellizzata e frantumatacome quella che stiamo vivendo dove prevalgono derive indivi-dualistiche e particolarismi spinti, è che l’assenza di una visioned’insieme non favorisca il riposizionamento strategico dellanostra città per riscattarla dalla crisi e dalle sacche di inerzia chepure ci sono.La crisi ha fatto e sta facendo emergere una nuova questioneurbana caratterizzata da diverse criticità: impoverimento diffuso;disoccupazione; salari poveri; nuove disuguaglianze; radicalizza-zione dei problemi ambientali e connessi al cambiamento clima-tico (ancora troppo sottovalutato quando, invece, potrebbediventare l’elemento trainante di nuovo sviluppo economicoe sociale all’interno di contesti e luoghi di lavoro più vivibili);

riorganizzazione spaziale delle pratiche sociali; impoverimentodei servizi; diminuzione delle risorse economiche e finanziariedisponibili (pubbliche e private), anche in contesti storicamentepiù forti come quelli delle città e regioni del Nord. Nuovi vuoti urbani si formano sotto il peso della crisi prolungatae strutturale che si sommano alle aree dismesse, quando noninquinate, ereditate dalla precedente fase di deindustrializza-zione negli anni Settanta e Ottanta e, in Italia, dal più recentedeclino industriale.Il tutto, secondo studi e analisi autorevoli disponibili, mentre siprofilano più in generale processi di ricentralizzazione verso legrandi aree metropolitane e, al contempo, di impoverimento deiterritori intermedi, dopo la delocalizzazione residenziale e indu-striale degli ultimi decenni e le città intermedie, non meno diquelle più grandi, sono investite da migrazioni e dal loro portatodi vecchi e nuovi bisogni. Ciò premesso, il Piano per il lavoro si sviluppa sull’idea che learee svuotate o dismesse da più tempo rappresentano un’enormequantità di spazi-risorsa da riutilizzare e rimettere a reddito; ilche rappresenta una occasione per individuare interventi di svi-luppo e innovazione territoriale attraverso un modificato approc-cio alla gestione e pianificazione delle città, non schiacciato sullamera ottimizzazione della rendita fondiaria, all’interno di unripensato rapporto pubblico-privato. In questa prospettiva, l’obiezione quasi scontata che per qualsia-si intervento mancherebbero le risorse, è fuorviante; non perchéla questione di come reperire i finanziamenti necessari non siaimportante o vada sottovalutata, ma in quanto senza un’idea pro-gettuale e un’agenda programmata è difficile attivare qualsiasistanziamento.In questo contesto, Brescia, per la tradizionale cultura del lavoroe dell’impresa e per le attuali dinamiche socio-economiche e diutilizzo degli spazi urbani, si presenta simile ad altre città euro-pee di media dimensione. Per queste città intermedie è sempre più prioritaria l’attivazione dipercorsi di ricerca condivisa per la definizione degli scenari entro iquali collocare il loro riposizionamento e nuovo sviluppo, guardando

(1) a Brescia, l’istituzione dell’Urban Center per iniziativa dell’Amministrazione comunale bresciana, il progetto “Brescia più, città del benessere ambientale 2020” della Camera di Commercioe su proposta della locale Associazione industriale, compreso il Documento per lo sviluppo territoriale possibile e sostenibile scaturito dal confronto unitario, non scontato, di CGIL, CISL e UIL.

9

Tempo presente

con lungimiranza ben oltre i confini urbani - per Brescia, comunalio provinciali - nel confronto con territori configurabili in scale diver-se secondo le questioni, o degli interventi progettuali da affrontarenell’ambito di traiettorie dispiegate fra locale e globale. Senza farla facile e dare nulla per scontato, è evidente che l’esi-to della trasformazione urbana in atto sull’onda della crisi, maanche delle riforme istituzionali (pensiamo all’abolizione delleprovince o alla novità rappresentata dalle città metropolitane, aldefinirsi di aree vaste, più auspicate che realmente considerate,o la ridefinizione in Lombardia dei bacini del TPL, la Riformasanitaria) richiede una riflessione approfondita, su significati eobiettivi, e di più, su quali forme, metodi e procedure sia guada-gnabile una visione entro la quale delineare l’agenda di un nuovosviluppo urbano. Le potenzialità per innescare questo percorso ci sono: Brescia èfra i principali centri urbani del Nord Italia, in un contesto ter-ritoriale storicamente caratterizzato da una forte specializza-zione produttiva, da una agricoltura importante, industrializza-ta ma dove non mancano culture biologiche, e, come ci ha ricor-dato Floating Piers del Lago d’Iseo, da un ricco e variegatopatrimonio paesaggistico e ambientale e dai relativi distrettieno-gastronomici.E si colloca “naturalmente” nel corridoio urbano tra Torino e Trie-ste, oltre che fra città europee, con la possibilità di pensarsiall’interno di una dimensione spaziale e produttiva ben più ampiadella sola area urbana.Diventa dirimente guadagnare un innovativo scenario strategico,fondato sulla valorizzazione delle risorse locali, la capacità diinvenzione e progettazione, l’abilità e l’intelligenza nel lavoro enell’intrapresa, alzando lo sforzo per percorsi coinvolgenti lediverse e importanti realtà che animano la vita sociale, istituzio-nale ed economica della città.La convinzione che è possibile, come lo è stato per altre realtàurbane europee, ha favorito nell’ambito del seminario il confrontocon altre esperienze europee invitate a raccontarsi nell’evidenzadei risultati già realizzati all’interno di straordinari laboratori pro-gettuali, quali sono state le IBA (Internationale Bauausstellung) -

letteralmente “Esposizione Internazionale “di Architetture Costrui-te” - per la trasformazione di aree importanti come Emscher Parknella regione della Ruhr, in Germania, su cui insistono più di 5milioni di abitanti e di “Parksdat” nei Paesi Bassi che ha coinvolto23 “comuni” abitati da più di duecentomila abitanti. L’ Internationale Bauausstellung (IBA) nasce agli inizi del XX secolointercettando in maniera costante le tendenze e i cambiamentidel progetto urbano e architettonico in Europa e annovera ad oggi

Da comunicazione: The IBA Parkstadt di Jo Coenen (Eindhoven Universityof Technology)

Tempo presente

TE

MP

O

PR

ES

EN

TE

10

più esperienze, la cui particolarità consistenella ricerca di una visione futura da assumerequale nucleo di indagine per sperimentare eapplicare interventi trasformativi delle realtàurbane dismesse, degradate e da recuperare. Qui, il confronto con una visone futura da rea-lizzare rappresenta un motore di accelerazionein grado di porsi e sollevare le questioni daaffrontare, indagando potenzialità e prospetti-ve delle aree interessate, attraverso l’inevita-bile coinvolgimento pieno degli attori presentinei diversi territori e della popolazione. Alla base del percorso sviluppato da IBAEmscher Park (320kmq) è stato il deficit dellasituazione urbana, economica ed ecologicicanella Ruhr e la necessità di promuovere un pro-gramma di trasformazione strutturale nellaregione, lungo il fiume Emscher.L’implementazione è stata attivata dal governoregionale investendo una società privata per ilcoordinamento del progetto. Le decisioni sonostate assunte da 20 consigli locali (800 Kmq, 2.3milioni di persone); le norme definite per la pre-sentazione e competizione fra i diversi progettihanno avuto e tuttora mantengono un caratteretrasparente e vincolante; garantita è l’intera-zione permanente con governi, stakeholderslocali (associazione di ciclisti, ambientaliste,architettoniche, Associazione per la protezionedei bambini, di madri sole, gruppi locali e regio-nali per la conservazione della storia industria-le) e popolazioni locali, attraverso una informa-zione permanente, discussioni pubbliche edeventi durante tutte le fasi di progettazione e realizzazione. Oggetto di trasformazione e risanamento sono: il paesaggio(320 kmq), nuovi e vecchi edifici industriali, canali fognari aper-ti (250 km), parchi per città verdi, sistemi di mobilità a neutro-emissioni, sistemi idrici, protezione del clima, aumento dell’effi-cienza energetica e pianificazione a lungo termine di eventi

regionali con carattere nazionale e internazionale. Sono circa 120 i progetti realizzati a oggi, con un investimento di2 miliardi di euro, interni a un programma aperto e perfezionabi-le fino al 2026, nella convinzione che il miglioramento della qua-lità urbana e delle infrastrutture verdi crei benefici economici,sociali ed ecologici.

Da comunicazione: The IBA Emscher Park di Gherard Seltmann (GSE Project)

Da comunicazione: Fabrizia Berlingieri (Technische Universiteit Delft)

11

Tempo presente

Più recente, invece, l’avvio di IBA Par-kstadt, il cui programma nell’arco tem-porale dal 2014 al 2030 si propone inter-venti innovativi di ristrutturazione urba-na (fabbricati industriali, paesaggio, retiidriche, di comunicazione, corridoi eco-logici, aree agricole), conservazionerigenerata, costruzioni sostenibili, rea-lizzazione di laboratori culturali e arti-stici, con 50 progetti già approvati attra-verso il coinvolgimento e la trasparenzapropri della tradizione IBA, da realizzareentro il 2019.Dentro questa tradizione si è costituitarecentemente a Venezia l’IBA di Vienna e,se le volontà concorrono, non è da esclu-dere, come la Cgil locale sta auspicandoattivamente, che fra le città intermedie sipossa candidare anche Brescia con un pro-gramma di innovazione urbana ben piùampio dei confini comunali.Se un IBA Brescia diventerà possibile, saràinteressante, come abbiamo suggerito airelatori che abbiamo ascoltato nel Semi-nario, quantificare la creazione di posti dilavoro, nonché il portato innovativo diqualità e riconoscimento del lavoro.Da comunicazione: The IBA Parkstadt di Jo Coenen (Eindhoven University of Technology)

La materia ambientale e quella della sicu-rezza sul lavoro costituiscono ormai temiparticolarmente “caldi” per l’impatto che,in ambito penale, possono avere sulla vitadelle società. La crescente sensibilizzazio-ne verso tali materie deriva, in parte,anche dall’eco mediatica correlata a pro-cessi di rilevanza nazionale (si pensi aiprocessi nei confronti della Thyssenkrupp,dell’Ilva, o dell’Eternit).Principale punto di riferimento normativo,in tale settore, è il D.Lgs n. 231 del 2001e, in particolare, l’art. 25 septies (inseritocon L. 3 agosto 2007, n. 123 e, successiva-mente, sostituito dal D. Lgs. 9 aprile 2008,n. 81), rubricato “omicidio colposo o lesio-ni gravi o gravissime commesse con viola-zione delle norme sulla tutela della salutee sicurezza sul lavoro” e l’art. 25 undecies(inserito con D.Lgs. 7 luglio 2011, n. 121,recentemente modificato con l’inserimen-to di ulteriori fattispecie di reato, dallaL. 22 maggio 2015, n. 68), rubricato “reatiambientali”.Nelle materie citate, oltre al continuoaggiornamento normativo e al difficilecontemperamento di discipline diverseche nel Modello devono trovare un equili-bro, si pone l’ulteriore problema del rilie-vo, in ambito penale, dei sistemi di certi-ficazione (ISO 14000 per i sistemi di gestio-ne ambientali; OHSAS 18001 per i sistemidi gestione della sicurezza e la salute neiluoghi di lavoro, etc.). Il tema si è manife-stato in materia di sicurezza e in materiaambientale, nonché in specifici settori,quale, ad esempio, quello sanitario, in cuici si è dovuti interrogare sul valore deisistemi di accreditamento JCI (Joint Com-mission International), nel caso di proces-si per colpa medica a carico di operatori

del sistema sanitario. Di primo impatto, anche alla luce di quan-to disposto dal T.U. Sicurezza, si potrebberitenere sufficiente, ai fini della valutazio-ne dell’esimente in sede penale, in caso dicommissione dei reati, l’adozione di unsistema di gestione certificato. Così non è. Sebbene l’adozione del Model-lo e dell’eventuale Sistema di Gestioneabbiano in comune più di un fattore (comei meccanismi di audit e l’adozione volonta-ria, eccezion fatta per le imprese a rischiodi incidente rilevante, di cui al D.Lgs. n.334/1999 “Seveso”, oggi D.Lgs. 105 del2015, tenute obbligatoriamente ad adotta-re un sistema di gestione) e, pur condivi-dendo l’obiettivo di valorizzare l’apparatoorganizzativo della società e di rendere

efficace il monitoraggio sui presidi volti atutelare la sicurezza e l’ambiente, i dueinsiemi, pur intersecandosi, non coincidono.Infatti, in estrema sintesi, il Modello orga-nizzativo prevede qualcosa di diverso esicuramente più dettagliato, rispetto alsistema di certificazione.Punto di riferimento imprescindibile peranalizzare l’argomento è l’art. 30 del D.lgs.n. 81 del 2008. Tale norma espressamenteprevede, nella Sezione relativa alla valu-tazione dei rischi, che il Modello debbaessere adottato ed efficacemente attuato,assicurando un sistema aziendale perl’adempimento di tutti gli obblighi giuridi-ci relativi: a) al rispetto degli standardtecnico-strutturali di legge concernentiattrezzature, impianti, luoghi di lavoro,agenti chimici, fisici e biologici; b) alleattività di valutazione dei rischi e di predi-sposizione delle misure di prevenzione eprotezione conseguenti; c) alle attività dinatura organizzativa, quali emergenze,primo soccorso, gestione degli appalti, riu-nioni periodiche di sicurezza, consultazio-ni dei rappresentanti dei lavoratori per lasicurezza; d) alle attività di sorveglianzasanitaria; e) alle attività di informazione e

Ambiente e SicurezzaSistemi di Gestione

e Modelli OrganizzativiLaura Bacchini, avvocato

Tempo presente

TE

MP

O

PR

ES

EN

TE

12

A partire da questo numero, dedichiamo uno spazio a riflessioni eapprofondimenti di carattere giuridico, sia penale che civile, conparticolare attenzione ai temi del lavoro.Ringraziamo lo studio dell’Avvocato Sergio Vacirca, che da annicollabora con la Filt nazionale, per i contributi che ci fornirà oci aiuterà a ricercare.

13

Tempo presente

formazione dei lavoratori; f) alle attivitàdi vigilanza con riferimento al rispettodelle procedure e delle istruzioni di lavoroin sicurezza da parte dei lavoratori; g)all’acquisizione di documentazioni e certi-ficazioni obbligatorie di legge; h) alleperiodiche verifiche dell’applicazione edell’efficacia delle procedure adottate.Il modello deve altresì prevedere, secon-do quanto disposto dalla stessa norma incommento: idonei sistemi di registrazio-ne dell’avvenuta effettuazione delleattività suindicate; per quanto richiestodalla natura e dimensioni dell’organizza-zione e dal tipo di attività svolta, un’ar-ticolazione di funzioni che assicuri lecompetenze tecniche e i poteri necessariper la verifica, valutazione, gestione econtrollo del rischio, nonché un sistemadisciplinare idoneo a sanzionare il man-cato rispetto delle misure ivi indicate; unidoneo sistema di controllo sull’attuazio-ne del medesimo e sul mantenimento neltempo delle condizioni di idoneità dellemisure adottate. La norma, dopo aver enucleato i requisi-ti minimi del Modello, in materia di sicu-rezza, giunge poi a un’indicazione che,se non attentamente esaminata, potreb-be apparire fuorviante: “in sede di primaapplicazione”, i modelli organizzatividefiniti conformemente alle Linee guidaUNI-INAIL per un sistema di gestionedella salute e sicurezza sul lavoro (SGSL)del 28 settembre 2001 o al British Stan-dard OHSAS 18001:2007 si presumonoconformi ai requisiti di cui al relativoarticolo per le parti corrispondenti.Agli stessi fini, ulteriori modelli di orga-nizzazione e gestione aziendale, sempresecondo la disposizione in commento,possono essere indicati dalla Commissio-ne consultiva permanente per la salute esicurezza sul lavoro, la quale elaboraprocedure semplificate per l’adozione el’efficace attuazione dei modelli di orga-nizzazione e gestione della sicurezzanelle piccole e medie imprese. Tali pro-cedure sono state emanate con il Decre-to del Ministero del lavoro, della salutee delle politiche sociali, promulgato il13 febbraio 2014. Tuttavia, è bene chiarire che né le Lineeguida né le certificazioni possono rivesti-re, ex se, in sede penale, capacità esimen-te. Anche in materia di sicurezza sul lavo-ro, l’inciso “in sede di prima applicazione”è determinante in tal senso.Inoltre, sebbene i protocolli comportamen-tali previsti nell’ambito della certificazionedebbano essere richiamati e integrati nelModello, vi sono delle rilevanti lacune inmateria penale del Sistema certificato.È di tutta evidenza l’assenza, nei Sistemidi Gestione, di qualsiasi riferimento al

ruolo dell’Organismo di Vigilanza e alsistema di flussi informativi verso taleorgano, che si ricorda dover essere dotatodi poteri di iniziativa e di controllo, non-ché al sistema disciplinare. Ebbene, proprio ai fini del D. Lgs. 231 del2001, l’Organismo riveste un ruolo di fonda-mentale importanza per la vigilanza sullaefficace attuazione del modello, comeespressamente previsto dall’art. 6 delDecreto e non appare in alcun modo sosti-tuibile, quanto meno agli effetti penali.Si segnala un significativo arresto di meri-to, che, proprio in materia di sicurezza, haritenuto idoneo a scriminare la societàcoinvolta in un processo penale per omici-dio colposo il modello organizzativo adot-tato (Tribunale di Ancona, sezione penale,13 marzo 2015). In tal caso, un sistema dicontrollo “a tenaglia” (con un Organismodi Vigilanza che si era potuto avvalere,grazie ad un budget autonomo, di un con-sulente destinato ad adempiere la funzio-ne di controllo, insieme al Responsabiledel Servizio di Prevenzione e Protezione,in uno con le verifiche effettuate dall’en-te certificatore) ha fatto sì che i giudicivalutassero non integrati i requisiti dell’in-teresse o vantaggio dell’ente. A fronte delpatteggiamento del datore di lavoro, lasocietà è stata, così, prosciolta.Vi è, inoltre, un ulteriore profilo. Sussisteun rischio di scollamento tra l’attenzioneagli aspetti di natura sostanziale dei siste-mi di gestione e quelli di natura formaleimposti in materia penale. Il riferimento,in quest’ultimo caso, è al sistema di dele-ghe e procure. La presenza di sistemi digestione della sicurezza conformi alle

Linee Guida Uni Inail o alla certificazioneOHSAS18001 non pone, ad esempio, alriparo dall’assenza di chiarezza circa l’at-tribuzione di competenze o prerogative afigure tipiche del Sistema di prevenzione eprotezione (nella prassi, ci s’imbatte spes-so in procure speciali inidonee a integrarei requisiti propri dell’istituto della delegadi funzioni, consistenti nel trasferimentodi poteri deliberativi, di organizzazione,gestione e controllo e nel riconoscimentodi un’autonomia di spesa necessaria allosvolgimento delle funzioni delegate). Anche in materia ambientale, laddovenon esiste norma analoga all’art. 30 delT.U. Sicurezza, deve rilevarsi come isistemi di gestione eventualmente adot-tati dagli enti non possano in alcun modomettere al riparo la società dal coinvolgi-mento in processi penali.In conclusione, per evitare rischi di naturapenale, gli organi gestori devono adottareun Modello Organizzativo che soddisfi irequisiti di cui all’art. 6 del Decreto, affi-dando il compito di vigilare sul funziona-mento, sull’efficace attuazione e sull’os-servanza dello stesso all’Organismo di Vigi-lanza avente le caratteristiche delineatedalla norma. A questo proposito occorresottolineare che le procedure del Sistemadi Gestione rivestono un ruolo di fonda-mentale importanza nel presidiare le areea rischio e, di fatto, tutelare la salute deilavoratori e l’ambiente. Esse, tuttavia,devono essere integrate da un sistemadisciplinare ad hoc e da una rete di flussiinformativi in grado di minimizzare real-mente i pericoli individuati in sede di ela-borazione del Modello.

Tempo presente

TE

MP

O

PR

ES

EN

TE

14

A Firenze si è tenuta, il 16 e 17 dicembre, laV Conferenza Nazionale sulle Politiche per ledisabilità, atto conclusivo di 3 anni di lavorosvolto dall’Osservatorio Nazionale, un organi-smo istituito ai sensi della legge 3 marzo 2009n.18 e presieduto dal Ministro del Lavoro edelle Politiche Sociali. Tale organismo lavoraper l’inclusione dei diritti sociali delle perso-ne con disabilità ed ha anche funzioni consul-tive e di supporto tecnico scientifico perl’elaborazione delle politiche nazionali inmateria di disabilità, con particolare riferi-mento a: attuazione della Convenzione ONU,siglata a New York nel 2006; predisposizionedi un programma biennale per la promozionedi diritti e l’integrazione delle persone condisabilità in attuazione della legislazionenazionale e internazionale; raccolta dei datistatistici e realizzazione di studi e ricerchesul tema. Partecipanti: membri effettivi connomina decretizia; associazioni rappresenta-tive disabilità; Conferenza Stato Regioni;ANCI; UPI; CGIL-CISL-UIL-UGL; Confindustria,Rete Imprese.Il programma d’azione presentato si com-pone di otto linee di intervento; qui cilimitiamo a citarne alcune: revisione delsistema di accesso, riconoscimento/certi-ficazione della condizione di disabilitàe modello di intervento del sistemasocio/sanitario.

La convenzione ONU per i diritti delle per-sone con disabilità introduce un approccioculturale, scientifico e giuridico che impo-ne una revisione normativa anche nellalegislazione italiana: no al riconoscimentodella percentuale d’invalidità basata sullaperdita di capacità e valutata da una pro-spettiva sanitaria; sì a un riconoscimentofunzionale valutato sulle capacità residue,potenzialità, il tutto finalizzato agli inter-venti di Welfare in base anche all’età(adozione sistemi ICF e ICCD10).Il lavoro rappresenta UNA tappa fonda-mentale dell’inclusione sociale. La legge68/99 ha introdotto la metodologia delcollocamento mirato. Dall’ultima relazio-ne al Parlamento risulta elevato il rappor-to tra avviamenti al lavoro e nuove iscri-zioni, il numero di disoccupati è circa752.000 (il 51,2% nel Sud).

Politiche, servizi e modelli organiz-zativi per la vita indipendente el’inclusione nella società.La sperimentazione in questi anni ha pro-dotto diversi risultati positivi come: pro-getti volti all’assistenza diretta, incentiva-zione sulla domiciliarità contro l’istituzio-nalizzazione favorendo l’autonomia perso-nale. Ma anche criticità: scarse risorsefinanziarie alle Regioni; criteri per gli

aventi diritto legati più a elementi sanita-ri che a elementi di esclusione sociale(anziani); scarso coordinamento e concer-tazione tra i vari servizi (sociali-educativi-sanitari-socio-sanitari).

Cosa può fare il Sindacato? Nelle Regioni, nei tavoli di concertazione,lavoriamo su diversi punti. Tre le tipologie di azione, coerentementecon la definizione dei livelli di assistenzasanitaria e sociale alla persona con disabi-lità e tenendo conto delle indicazioni giàformulate dalla legge 328/2000 all’art.24:sostegno al reddito, interventi assistenzia-li, interventi volti a facilitare i processi diinclusione. Le formule allocative devonoprevedere un aumento percentuale dellerisorse destinate ai processi di inclusionesociale che costituiscono lo strumentoprincipale per assicurare dignità alle per-sone e rendere “produttiva” la spesa.Inoltre, dobbiamo agire per la difesadella legge 68/99, dei suoi principi fonda-mentali e della sua metodologia basatasulla valorizzazione delle capacità lavora-tive anche attraverso forme di sostegno epercorsi mirati. Non dimenticando dirichiedere controlli e verifiche nelleimprese che non ottemperano agli obbli-ghi di legge.Le nostre proposte per modifiche legislati-ve: sopprimere l’art. 9 del DLgs 138/11(compensazione tra aziende che abbianopiù sedi); modificare la legge sul lavoroper permettere ai lavoratori che hannouna malattia invalidante acquisita duranteil periodo lavorativo di rimanere al lavorocon orario ridotto o flessibile; rendere piùdiffuso l’utilizzo del telelavoro per agevo-lare i disabili che hanno difficoltà a rag-giungere il posto di lavoro.

Piano dei sogni?La nostra testardaggine ha preteso unaconvenzione Onu; abbiamo lavorato conconvinzione e serietà, nella mediazione diinteressi e bisogni anche corporativi, manon abbiamo mai abbandonato il tavolo. I nostri sono obiettivi realmente raggiun-gibili con sinergie tra enti preposti; dob-biamo lavorare molto perché la società siapra sempre più verso la diversità e si

Diritti e dignitàdelle persone con disabilità

di Nina Daita, Responsabile nazionale politiche disabilità CGIL

15

Tempo presente

adegui con mezzi strutturali, culturali,innovativi a una sana accoglienza. Il Sin-dacato unitariamente è direttamentecoinvolto nell’elaborazione di strategieper la sua attuazione, sia con suggerimen-ti di tipo legislativo, sia nella contratta-zione, sia nei tavoli di concertazione, siacon protocolli di intesa con Enti e associa-zioni per azioni progressive.

ConcludendoBisogna ritrovare passione e azione pro-gettuale per un “futuro abile” per tutti.Il lavoro è importante anche per le perso-ne con disabilità complesse, poiché pertutti: mancanza lavoro = mancanza di cit-tadinanza = mancanza di partecipazione albene comune.Va ribadito che è impellente ristrutturare iservizi per tutta la collettività e considera-re la disabilità nelle politiche sociali, perla mobilità, per il lavoro e l’equità.È una speranza di cambiamento, ma per farsì che si avveri dobbiamo impegnarci tuttiperché è in gioco la dignità. Ripartiamo daqui, per impedire che si torni ai caporalati,alle insicurezze, all’oppressione dei deboli.Ripartiamo da qui, insieme arriveremo aquel mondo di convivenza pacifica, senza

disuguaglianze, ingiustizie; ma ognuno dinoi faccia il proprio dovere nell’eserciziodella partecipazione democratica, controla carità pelosa o il falso pietismo, aspi-rando legittimamente al proprio diritto allavoro e alla propria dignità. La CGIL hadato a tutti questa opportunità.

Svegliamo le nostre coscienze e, come sidiceva una volta, marciamo verso lalibertà e l’emancipazione delle personecon disabilità. La forza dei deboli hasempre prevalso sulla sicumera dei forti,e questo non è una speranza, ma unacertezza.

TUTELE INDIVIDUALI, ACCORDI COLLETTIVI, FONDI SANITARIPREVENZIONE E CURA, RICOVERO, INTERVENTI CHIRURGICI, ASSISTENZA A DOMICILIO:

PER LA FAMIGLIA, PER IL LAVORO, PER I GIOVANI

LA TUA SALUTE NELLE MANIDI CHI SI PRENDE CURA DI TE

www.mutuacesarepozzo.org

CURA DI TEDI CHI SI PRENDENELLE MANILA TUA SALUTE

CURA DI TEDEI PRENDE

NELLE MANILA TUA SALUTE

arePo

DI

PREVENZIONE E CU

TUTELE INDIVIDUALI, ACCORDI COLLETTIVI, FONDI SANITIn tempo di crisi, è una bella differenza.alle spese sanitarie dei suoi assistiti, trattandoli da Soci e non come clienti.

è una sCesarePozzoo

CURA DI

I TEI TE

URA, RICOOVERO, INTERVEOV

VIDUALLI, ACCORD ACCOsi, è una bbella differendei suoi assistiti iti, trattandoli società di mutuo soccorssoccorso c

TE

nza

ENTI CHIRURGICI, ASSIST

TUTELE INDIVIDUALI, ACCORDI COLLETTIVI, FONDI SANITnza.dch

IO:DTENZA A DOMICILIO

ARIS ARNDI SANITTA

AMIGLIA, PER IL LAPER LA F

cesarua

VORO, PER I GIOVAMIGLIA, PER IL LA

AORO, PER I GIOVVA

.mutuacesarepozzo.org

ANI

In linea

IN

L

IN

EA

16

Se dovessi provare a identificare l’ambitonel quale dovremmo profondamenteaggiornare la nostra analisi e rivederealtrettanto profondamente le strategiecontrattuali e organizzative nel prossimofuturo, non avrei dubbi nel farlo corri-spondere al settore merci e logistica.Lo dico dal punto di vista di una categoriache a livello lombardo, sin dalla conferen-za di organizzazione del 2007, ha puntatol’attenzione su questo segmento e chepure oggi deve misurarsi con un’evoluzio-ne ulteriore che dobbiamo essere capacidi interpretare perché è a rischio la pre-senza del sindacato confederale in questocomparto produttivo.La trasformazione del sistema produttivocon l’introduzione di modelli organizzati-vi “toyotisti”, la generalizzazione delconcetto di “zero scorte” o “just intime” e un orientamento sempre piùmirato al consumatore, lo sviluppo dipiattaforme commerciali quali Amazon(ma non solo), hanno profondamente cambiato i parametri divalutazione di un prodotto. Per intenderci, il successo di unmaglione non è più esclusivamente legato alla qualità del mate-riale utilizzato, alla fattura, alla bellezza del modello maanche, e in misura sempre crescente, al tempo con il quale turiesci a consegnarlo al consumatore finale.A questa valutazione, che può avere carattere globale, si aggiun-ge la specificità del nostro Paese che rappresenta, per posizionegeografica, una enorme piattaforma logistica di collegamento delmondo con l’Europa. Potenziale mai del tutto sfruttato, aggiun-go, se si pensa alla inadeguatezza del sistema infrastrutturalecomplessivo di cui ancora oggi soffriamo. Il sistema della logistica non è più periferico rispetto alla filieraproduttiva, ma ne è parte integrante e sempre più fondamentale.Una cartina di tornasole valida riguarda l’attenzione in ascesa chegli scioperi e i blocchi riscuotono sulla stampa, nelle sedi istituzio-nali, nelle Aziende. Sempre di più il concetto di “garantire la mobi-lità delle merci, al pari di quella delle persone” sta prendendopiede in molte riflessioni da parte delle Aziende e rischia di tradur-si in interventi legislativi sul diritto di sciopero di cui si trova segnoanche in alcune recenti posizioni della Commissione di Garanzia.Siamo però di fronte ad una profonda contraddizione tra la cen-tralità del settore e la sua condizione reale. Infatti, al valore stra-tegico del comparto dovrebbe corrispondere un grande poterecontrattuale dei lavoratori. Così non è. Prova ne sia la grande dif-ficoltà nel rinnovare il contratto nazionale e, più in generale, lacondizione non positiva sia del segmento più numeroso dei lavo-ratori, costituito da cooperative di facchinaggio e drivers chesono quelli che svolgono effettivamente il lavoro, sia, elementodi novità degli ultimi anni, dell’autotrasporto.

Una contraddizione che il sindacato confederale deve riuscire asuperare mettendo in campo strategie adeguate, altrimenti,come sta succedendo, altri se ne faranno interpreti trovando viedi uscite parziali e pericolose.Brevemente. Com’è noto, in Italia il settore è strutturato conpoche grandi multinazionali (non italiane) che hanno il controllodella parte più ricca del processo, godono dei maggiori ricavi ma,nella stragrande maggioranza dei casi, non svolgono direttamenteil lavoro che è assegnato a un mondo di imprese e consorzi assolu-tamente frammentato inquadrabile in tre diversi macrogruppi: fac-chinaggio, drivers, autotrasporto. Tale frammentazione, prevalen-temente, non ha effetti positivi sul piano dei costi per i commit-tenti che pagano più o meno la stessa cifra che però, a causa deitanti passaggi di appalto e subappalto, non si trasforma in salarioadeguato per i lavoratori. Non è neanche funzionale al sistema pro-duttivo, che non registra livelli di efficienza maggiori rispetto a chisvolge quelle lavorazioni “in house”. Esso, invece, si presta molto,come dimostrato dalle inchieste di questi anni, sia alle infiltrazio-ni della criminalità organizzata sia alla gestione di sistemi comples-si di evasione fiscale. In alcuni casi, tale frammentazione della pro-duzione era funzionale a favorire l’illegalità. Più in generale, però, questo sistema ha prodotto, e forse questoera l’unico obiettivo, una diminuzione del potere sindacale. Ilavoratori sottoposti a continui cambi di appalto che, si noti, nonhanno quasi mai un legame con l’aumento o diminuzione dellaproduzione o con un cambiamento dei processi produttivi, sonooggettivamente più ricattabili e meno sindacalizzabili. Il risultato è un settore in cui, ad esclusione dei dipendenti diret-ti dei grandi player del mercato (DHL, TNT, Fedex, UPS ecc.), lacondizione dei lavoratori è indubbiamente difficile. Non solo dal

Per la Logisticauna nuova strategia

di Stefano Malorgio, Segretario Generale Filt-Cgil Lombardia

17

In linea

punto di vista salariale, ma anche sul piano della condizionegenerale, anche in ragione della grande presenza di cittadini stra-nieri. Forme di caporalato che nulla hanno da invidiare a quellodel settore agricolo, sfruttamento e ricatti che superano il peri-metro del “magazzino”, soprusi e arbitrarietà nelle scelte.In questi anni la FILT Lombardia ha raccolto centinaia di testimo-nianze che ci hanno portato a pensare che spesso la legalità siferma alle porte d’ingresso dei grandi centri logistici. L’elemento di novità, invece, è rappresentato non solo dalla mas-siccia presenza dei sindacati autonomi della galassia Cobas, inrealtà ormai piuttosto consolidata, ma dalla funzione che essisvolgono all’interno del settore. La loro strategia verte su tregrandi direttrici.Sul piano contrattuale si punta a preservare il “netto in busta”per i lavoratori, con una strategia molto più efficace della solaapplicazione del Ccnl i cui istituti sono soggetti a tassazione fisca-le e contributiva più onerosi per le Aziende e, a volte, meno inte-ressanti per lavoratori che spesso sanno già che non utilizzerannoquei contributi anche per l’assenza di Patti bilaterali con i loroPaesi di Origine.Da un punto di vista organizzativo, invece, queste organizzazionisindacali attuano veri e propri accordi con i capi comunità pre-senti nelle diverse realtà. Figure di leader che in alcuni casi svol-gono funzioni di caporali e che si ritrovano quindi ad avere coper-tura da una sigla sindacale che magari li nomina anche RSA. Le forme di lotta, invece, sono oramai consolidate. Quando scel-gono un obiettivo, di solito una realtà dove la nostra organizza-zione è presente, e decidono di “bloccare” lo fanno indipenden-temente dal numero di iscritti presenti all’interno, usando sog-getti estranei a quella realtà produttiva, spesso costituiti da cen-tri sociali o da lavoratori espulsi da altre cooperative. Innumere-voli sono gli scontri violenti tra lavoratori che chiedono di poterlavorare e sindacato autonomo. Fatti che spesso, anche nellanostra organizzazione, hanno dato vita a giudizi errati dettati dauno schema classico “scioperanti Vs crumiri” superato in genera-le ed errato nel merito del settore. L’obiettivo dei Cobas, invece, con una tecnica che non esito adefinire ricattatoria, è spesso quello di far assumere questo per-sonale dandogli anche funzioni di responsabilità interne che con-sentono ovviamente la sindacalizzazione forzata dei lavoratori.Quello che provo a sostenere è la funzionalità di queste organizza-zioni sindacali al mantenimento del modello produttivo che deter-mina quelle contraddizioni sopra descritte. Non si spiegherebbe

altrimenti perché molto spesso siano le stesse cooperative a chie-dere l’intervento o l’opposizione dei Cobas rispetto ai processi diinternalizzazione del lavoro che potrebbero invece, se ben calibra-te, essere risolutive. In sostanza, la forza delle lotte, che indubbia-mente essi sono stati capaci di mettere in campo, ha agito soloall’interno della singola realtà produttiva con risultati che hannocontribuito ad aumentare le tante contraddizioni e senza modifica-re l’assetto del sistema, anzi amplificandone le storture.L’incremento della rappresentatività del sindacato confederale nelcomparto della Logistica non è quindi soltanto una questione di con-correnza sindacale, ma è essenziale se si vuole intraprendere unpercorso che porti quel segmento nell’alveo di una piena legalità. Per questo abbiamo bisogno di rafforzare ulteriormente la nostrastrategia applicando pienamente ciò che fa già parte della nostraelaborazione su quattro piani.Contrattuale. Bisogna dichiarare chiusa la stagione delle deroghe,che non hanno più senso di esistere, pretendendo la piena applica-zione del Ccnl, anche agendo sulla leva del coinvolgimento pienodelle committenze con le quali i rapporti devono essere commisu-rati allo stato in cui versano i lavoratori degli appalti.Organizzativo. La forza del sindacato confederale, e della Filt-Cgil in particolare, sta nella sua presenza diffusa nel territorio enelle aziende. Nonostante ciò, spesso siamo stati battuti dal sin-dacato autonomo proprio sulla capacità di tenere unite le verten-ze in realtà differenti. Tutto questo è successo soprattutto acausa del nostro sistema di regole interne, fatto di autonomie eperimetri territoriali, che poco si adattano a un mondo comequello della logistica. Penso, ad esempio, alla macro-area che siestende tra Lombardia ed Emilia o tra Lombardia e Veneto. Allostesso tempo, abbiamo bisogno di un forte coordinamento nazio-nale rispetto alle scelte contrattuali fatte sui singoli territori. Sitratta di definire quindi, da un lato un sistema che adegui le tito-larità contrattuali alla vera geografia del sistema produttivo, dal-l’altro una regolata cessione di sovranità alle strutture superioriper valorizzare al massimo la nostra capacità di essere organizza-zione e, diciamolo, ripristinando un sistema di solidarietà che cifaccia sentire tutti meno soli rispetto alle enormi difficoltà.Politico. È evidente che un settore che ha questo assetto e que-sti problemi ha necessità di regole e di leggi adeguate perché, seè pur vero che in alcuni casi quelle esistenti non sono attuate, esi tratta quindi di richiamare tutti alla necessità dei controlli, inaltri esse vanno adeguate alla fase attuale. Solo a titolo di esem-pio, si pensi al senso originario delle cooperative di lavoro, con lalegislazione di supporto conseguente, e all’utilizzo distorto chene è fatto attualmente. Per punti: un codice degli appalti privatiche provi ad allargare alcune esperienze del settore pubblico;l’adeguamento delle norme sulla cooperazione con riferimento inparticolare alle garanzie sulla tenuta patrimoniale e sul piano delloro “fallimento”; norme che spingano sulla gestione dei cambi diappalto in tavoli che vedano la presenza delle istituzioni ispetti-ve e di controllo e delle committenti, in modo da verificare lagenuinità dell’appalto entrante e di quello uscente.Culturale. Quanto prima ho descritto si realizza esclusivamentese siamo in grado di far diventare “egemone” la nostra lettura delsettore, delle sue dinamiche e delle sue contraddizioni contra-stando quella delle altre forze in campo che è fuorviante e fun-zionale al mantenimento della situazione. Questo significa fareun investimento economico e organizzativo concreto su questoversante, producendo inchieste, promuovendo convegni, puntan-do all’apertura di un rapporto specifico con la stampa, usandoogni possibile “fatto” che accade per squarciare il velo che avvolgequesta realtà. Quello che è successo recentemente a Piacenza,con la morte di un lavoratore durante un presidio sindacale, sep-pure di USB, è stata un’occasione non colta pienamente dallaquale ripartire per migliorare.

In linea

IN

L

IN

EA

18

Il trasporto pubblico nel Lazio è in agonia.Le aziende pubbliche Atac di proprietà delcomune e Cotral della regione, seppureper motivi diversi, non sono certo unmodello virtuoso di gestione e i serviziofferti alla cittadinanza sono spesso sca-denti. Il resto delle aziende del settorepresenti nella regione si collocano, perefficienza e qualità, molto al di sotto dellamedia nazionale. Non serve focalizzarsioggi sulle responsabilità, avendolo fattospesso in passato; la situazione è cosìdrammatica che dobbiamo agire il più infretta possibile trovando soluzioni condivi-se a tutela del lavoro e della qualità del-l’offerta. La sfida che abbiamo è quella didimostrare che si può fare impresa pubbli-ca improntata a efficienza e qualità.

Il settore da un punto di vista normativo(i decreti Madia e lo schema relativo aiservizi pubblici) vive una fase di incertez-za e le incognite del futuro sono in questomomento più delle certezze. In questoquadro generale bisogna andare avanti erivisitare l’impostazione del modello digoverno della mobilità partendo necessa-riamente dalla realtà.Ogni anno, il trasporto pubblico nel Lazio(servizi ferroviari e su gomma, pubblici eprivati) muove 340 milioni di vetture – km,trasportando circa 1,6 miliardi di passeg-geri. L’offerta maggiore è quella relativaal trasporto pubblico urbano che assorbe,in termini di vetture, circa il 69% del tota-le. Il Trasporto urbano chiaramente ha unnumero di passeggeri trasportati all’annodi circa l’85% del totale, con Roma cheassorbe circa il 77% della domanda di tra-sporto pubblico. Come si può capire ladomanda è alta, ma l’offerta è scadente.La popolazione pendolare nella RegioneLazio è pari al 48,2% collocandosi al disopra della media nazionale, che corri-sponde al 47%. Risultano 2,5 milioni glispostamenti giornalieri della popolazioneresidente del Lazio così ripartiti: Roma concirca 1 milione e 800 mila, Latina con circa227 mila, Frosinone con circa 214 mila,Viterbo con circa 125 mila e Rieti con circa64 mila (dati che fanno riferimento però al2011). Nella Regione Lazio esiste un feno-meno di pendolarismo scolastico e lavora-

tivo che vede nella Capitale il maggiorecentro di attrazione. Nonostante le esi-genze dei cittadini che quotidianamente sispostano, le risorse del servizio di traspor-to pubblico non sono sufficienti a coprirela domanda, quindi la maggioranza dei cit-tadini, oltre il 55%, usufruisce di mezzi pri-vati per gli spostamenti; questo determinail riversamento di molti veicoli sulle stra-de, congestionando il traffico e contri-buendo ad alti livelli d’inquinamento.Il TPL ha diversi problemi dovuti sicura-mente all’attuale organizzazione del ser-vizio, alla peculiarità del territorio, al rap-porto nefasto e improduttivo tra politica eaziende, alla congestione quasi permanen-te nella Capitale e nella sua area metropo-litana e sui principali centri urbani e capo-luoghi di provincia.Nel Lazio c’è una sovrapposizione tra lineedi trasporto pubblico e percorsi ferroviari,in un caos mai governato; i cittadini non sifidano del trasporto pubblico, non solo perla mancanza di puntualità ma anche per ilservizio scadente, in tutto questo i costiper la collettività sono elevati. L’adduzio-ne al trasporto ferroviario con mezzi ditrasporto pubblico su gomma, che eral’obiettivo principale di Cotral, è un con-cetto poco radicato che non si è maisviluppato coerentemente; l’attenzionedella politica poi si è concentrata su temi

L’agonia del TPL nel Laziodi Eugenio Stanziale, Segretario Generale Filt-Cgil Roma Lazio

La sfida è per un trasportopubblico regionale efficien-te e di qualità, riducendol’influenza negativa dellapolitica sulla gestione chetanti guai ha prodotto, inuna logica di organizzazioneterritoriale della mobilitàpiù vicina alle comunità, aicittadini, ai pendolari, aituristi e alle loro esigenze.

19

In linea

che nulla hanno a che vedere con unmodello di mobilità sostenibile, più adesempio a pensare ai parcheggi di scam-bio, che però incentivano l’uso dell’auto-mobile, che a offrire un servizio di quali-tà; in più, l’integrazione tariffaria tra iservizi di trasporto pubblico non è maistata completa ed estesa a tutta la Regio-ne, se ne parla da anni ma non si è maifatto nulla. La mobilità a Roma e nel Lazio ha bisognodi un profondo e strutturale rinnovamentoperché può diventare architrave di unanuova rinascita della regione. La mobilitàva progettata sull’urbanistica e sui flussireali di spostamento dei cittadini da e versoRoma. Bisogna offrire ai cittadini un siste-ma di mobilità che, attraverso la rinunciaall’uso del mezzo privato, comporti uncambiamento radicale dell’organizzazionedei trasporti per una ottimizzazione e unarazionalizzazione dell’offerta dei servizi.Oggi dobbiamo capire che il problema nonè l’obbligo di bandire le gare per affidare ilservizio o la ripartizione in lotti dei bacinidi mobilità, ma arrivare a questo con azien-de pubbliche che, in piena autonomia deci-sionale e gestionale, siano in grado di sod-disfare la grande domanda di mobilità cheesiste e deve essere esaudita, progettando,in una visione politica di più ampio respiro,una mobilità sostenibile costruita sulle esi-genze del cittadino e non sui privilegi esugli interessi dei pochi. La politica e chigoverna la città e la regione dovrebbeavere questo come obiettivo. Noi ci siamopiù volte spesi immaginando un’azienda ditrasporto pubblico regionale. Questo peròieri quando le condizioni erano ancora posi-tive, oggi ci preoccupa lo stato comatoso incui versa Atac.Al di là delle polemiche più o meno strumen-tali, alla mancanza di visione, all’inerzia

degli interventi necessari, tutto dovuto alprovincialismo e alla mediocrità del con-fronto politico, all’incapacità manifestadella dirigenza, l’azienda è allo sbando.Nell’anno in corso abbiamo avuto più dicentosessantamila guasti sui mezzi, oltre il50% delle uscite giornaliere rientra nellerimesse, su un parco macchine virtuale di1920 vetture ne escono attualmente soltan-to 1170, 350 sono fuori servizio, e oltrecento bloccate per fermi amministrativi,incidenti e altro; a oggi si sono perse corseper un equivalente di otto milioni di euro.Le line ferroviarie in concessione e le metrohanno guasti giornalieri e corse soppresse, itreni, anche loro con una notevole anziani-tà di servizio, hanno necessità di cure con-tinue e di una manutenzione profonda,oltre che di interventi strutturali sullalinea. La mancanza di manutenzione è il

problema dei problemi: non si fa perchénon ci sono più pezzi di ricambio, si è anda-ti avanti cannibalizzando gli autobus guastima ormai non c’è più niente da prendere.Atac, con i suoi dodicimila addetti, rappre-senta un patrimonio economico e socialedella città e va salvaguardata e sviluppata;ha bisogno urgentemente di rinnovare laflotta e di investire nelle infrastrutture.Atac rischia purtroppo di continuare a per-dere in competitività e risorse.Preoccupante è la situazione finanziariadell’azienda che ha un debito accertato dicirca un miliardo e trecentomila euro, haun passivo finanziario di 80 milioni di euroaccertati al 31 dicembre 2015 e una crisidi liquidità mensile. Nell’immediato,per portare il bilancio a pareggio nel 2016,ci vorrebbero circa 150 milioni, comprensi-vi anche delle risorse ormai improcrastina-bili per la manutenzione. Bisogna agire nelbreve periodo, per non abbandonare Atacin questa stagione difficile e programmarenel medio e lungo periodo, analizzando iflussi esistenti e quelli potenziali per unamigliore articolazione dell’offerta e unamigliore qualità dei servizi.Il resto del trasporto pubblico locale vive inuna perenne difficoltà, non solo economicaper la riduzione delle risorse, ma anche perscelte campanilistiche più legate alle poli-tiche di consenso del territorio che alle esi-genze reali del servizio. Cotral, in partico-lare, soffre l’intervento della politica suiterritori e l’anzianità dei mezzi; tutto que-sto produce una pesante condizione per chilavora e un servizio non soddisfacente perla comunità. Il consorzio ROMAtpl, invece,nato per alleggerire il trasporto pubblicodella capitale, è diventato un carrozzoneche ha preso i vizi delle aziende pubbli-che, pur essendo privato. Nonostante un

In linea

IN

L

IN

EA

20

costo del lavoro più basso e condizioni con-trattuali favorevoli, non riesce a erogare unservizio all’altezza e garantire retribuzionicerte ai lavoratori. Basti ricordare quanto èsuccesso nel mese di novembre 2015 quan-do, per il mancato pagamento degli stipen-di, si è bloccato il servizio con pesanti disa-gi per la cittadinanza.Noi crediamo che ci sia bisogno di unaprogrammazione infrastrutturale cheserva alla città e sia di stimolo a uno svi-luppo sostenibile della mobilità nel Lazio.Noi siamo pronti a fare la nostra parteperché, al di là di quello che si narra, ilavoratori e le lavoratrici del trasportopubblico locale complessivamente intesosono un patrimonio di competenze, espe-rienze, conoscenze e risorse utili pergestire al meglio questa fase e rilanciareil ruolo del trasporto pubblico nella cittàregione di domani. In questi anni siamo stati inondati di pro-poste, scenari e soluzioni ma, nonostantequesta produzione continua, anche di qua-lità, tutto è rimasto fermo. I tanti pianidella mobilità e del trasporto, i convegni incui tutti a parole si mostrano convinti dellanecessità di un cambio di paradigma nonhanno mai prodotto un effetto positivo.Ogni confronto si è arenato davanti all’in-capacità della politica di agire in concreto,alla resistenza al cambiamento e allanecessaria perdita di privilegi da parte ditutti gli attori del settore, compreso il sin-dacato. Anche noi dobbiamo fare una pro-fonda autocritica perché ci siamo lasciaticoinvolgere in relazioni industriali, basatesu un modello superato fatto di scambi pergarantire i privilegi aziendali, che in realtàgarantivano più i vertici aziendali e la poli-tica locale che i lavoratori, a scapito delmerito e delle competenze. Senza renderciconto di quello che stava avvenendo nella

società, e quindi dentro le aziende, conl’avversione alla politica e ai modelli dirappresentanza ordinari, che ha visto lavittoria del movimento cinque stelle aRoma, che nasce da un rifiuto sistemico aquesto modo di intendere i rapporti con lapolitica e i suoi soggetti di rappresentanza.Il sindacato è stato (è) percepito comecasta e soggetto di conservazione; nonsiamo stati in grado di leggere i cambia-menti e abbiamo ignorato la necessità ditrasformare l’organizzazione del lavoro perfar fare un salto di qualità alla rappresen-tanza sindacale nel mondo del trasportopubblico locale.I tanti piccoli sindacati, alimentati dallaproprietà e dall’azienda, che un giorno sì el’altro pure proclamano scioperi impropo-nibili solo per affermare in questo modo laloro esistenza in vita, hanno fatto il resto,dando l’idea di aziende ingovernabili e

sottoposte al potere di veto del sindacato.Un sistema così complesso funziona solo seogni parte svolge in autonomia il proprioruolo: la proprietà, l’azienda, il sindacato.Invece, spesso e volentieri, il relazionismo,malattia della decadenza politica romana,ha prodotto il risultato di questa disorga-nizzazione regolata che è sotto gli occhi ditutti. In questo contesto, ha buon gioco chiritiene che le aziende municipalizzatedevono essere privatizzate. Se oggi doves-simo fare un referendum tra i cittadiniromani, la stragrande maggioranza vote-rebbe a favore della privatizzazione delleaziende municipalizzate. La strada cheabbiamo davanti è quella di un’azienda dimobilità integrata concepita su un territo-rio di aria vasta e non tra i confini del GRA.Il territorio metropolitano richiede unlivello di pianificazione di area vasta, ingrado di connettere le reti di trasportolocale con la trama del trasporto regionalesu ferro e su gomma, in un rapporto siner-gico tra aziende del trasporto pubblico equelle private per rispondere tempestiva-mente alle trasformazioni economiche esociali del territorio, con uno sguardoattento alle polarità di interconnessioneinternazionale, ora poste in comuni diversie tra di loro scollegate, tutto questo in unalogica di sistema ispirata a un’idea forte dimobilità sostenibile.La sfida quindi è per un trasporto pubblicoregionale efficiente e di qualità, riducendol’influenza negativa della politica sullagestione che tanti guai ha prodotto, in unalogica di organizzazione territoriale dellamobilità più vicina alle comunità, ai citta-dini, ai pendolari, ai turisti e alle loro esi-genze. Non sfugge, però, che questo richie-de un’azione politica forte e la capacità delsindacato di porsi come soggetto di cambia-mento, sapendo che anche per noi ci saran-no da fare delle scelte dolorose.

21

In linea

L’elenco delle molte questioni aperte nel settore del TrasportoMerci e della Logistica nel Veneto, che in più occasioni abbiamoevidenziato, è lungo e per molti aspetti simile ad altri territori.In 10 anni la crisi ha profondamente cambiato gli assetti impren-ditoriali nel settore, ridefinito le filiere economiche e le lorocompetitività. È stato fondamentale il ruolo che come Filt e comeCGIL abbiamo svolto in questi anni per tutelare i diritti dei lavo-ratori e la sicurezza sul lavoro, per gestire le crisi e i drammioccupazionali, puntando alla competitività/produttività delleimprese nel mercato e non sulla esclusiva riduzione del costo dellavoro che, come è a noi noto, non è mai stata utile a salvareoccupazione e aziende rispetto ai fattori della crisi. Voglio evidenziare cosa stiamo proponendo oggi, in questa fase,come Filt e come CGIL del Veneto, quali sono i nostri obiettivi ecome intendiamo raggiungerli.Il manifatturiero di questi anni ha fortemente ridimensionato leattività dello storico settore del facchinaggio industriale soprat-tutto nei territori di Venezia e Vicenza, i grandi interporti venetihanno mantenuto la loro centralità economica e sociale riorganiz-zandosi, mentre è avanzata la filiera della logistica dei servizi neiprocessi di terziarizzazione delle altre tipologie produttivesoprattutto commerciali. C’è stato un forte reinsediamento delle più importanti impresedella grande distribuzione, con l’apertura di molti iper/super-mercati anche dentro cittadelle commerciali, determinando ungrande fattore di sviluppo economico e sociale, anche se ambien-talmente si è realizzata una cementificazione disastrosa delterritorio, le cui conseguenze aggravano pesantemente il suoequilibrio idrografico. A questo si affiancala crescita dell’e-commerce e un insedia-mento crescente dei corrieri espressi e ditutte le tipologie legate alla filiera.I vari committenti per anni hanno scarica-to sull’anello più debole della produzione,appunto la logistica, la competizione suicosti del servizio e il costo del lavoro èstato, e continua a essere, la questionecentrale su cui nel mondo degli appalti,con le cooperative spurie, le piccoleimprese fittizie, o un sistema tariffarioinadeguato a garantire i minimi diritti ailavoratori, si fa la competizione.Negli ultimi anni, una consapevolezza deilavoratori soprattutto migranti che, dopomolti anni di sfruttamento, attraverso ilconflitto sindacale anche aspro, si posso-no conquistare diritti e migliori condizio-ni retributive, ha determinato un feno-meno di forte conflittualità e vertenze inmolte realtà produttive, che non intaccail problema complessivo sul sistema irre-golare e degli appalti. Abbiamo come Filt alzato il tiro verso le

Istituzioni, a cominciare dal confronto con la Regione Veneto.Riteniamo fondamentale che la Regione assuma il ruolo di pro-grammazione e regia per affrontare il tema della competitivitàdel territorio nel settore merci e logistica e adegui il Piano Regio-nale dei Trasporti a tale scopo. Il Primo Piano Regionale dei Tra-sporti della Regione Veneto risale al 1990. Il secondo PRT è statoredatto e pubblicato sul BUR nel 2005 ed è in attesa di approva-zione del Consiglio Regionale da 11 anni.Questo ha comportato la mancanza della programmazione e dellaresponsabilità pubblica e politica sul settore, sulla gestione dellacrisi in questi anni e sul suo futuro, soprattutto in una regionecome il Veneto tra le più importanti economicamente e social-mente del Paese. Ciò riguarda complessivamente tutti i settoridel trasporto e del territorio. Il prevalere dell’interesse di“campanile” rispetto all’interesse di produttività del sistema hapermesso a grandi infrastrutture come gli interporti, il porto diVenezia e i tre aeroporti, di crescere nella propria filiera e nelleloro specificità, ma non si è avuta una crescita di produttivitàcomplessiva del territorio, soprattutto nelle merci e nella logisti-ca, tanto da affrontare la crisi di questi 10 anni in modo diversodalle altre situazioni e altri territori. Partendo dalla modifica degli assetti imprenditoriali e sociali delterritorio di questi anni, in modo particolare sul settore dellalogistica, abbiamo aperto un confronto con la Regione Veneto permettere al centro le molte problematiche: gli appalti; lo sfrutta-mento dei lavoratori e i loro diritti; il tema della legalità.Lo abbiamo fatto unitariamente come categorie dei trasporti ecome CGIL, CISL e UIL e da circa un anno ci confrontiamo ad un

Logistica del Veneto,un decennio di sviluppo

di Renzo Varagnolo, Segretario Generale Filt-Cgil Veneto

In linea

IN

L

IN

EA

22

“tavolo permanente regionale sulla logisti-ca” con tutti gli attori del sistema istituzio-nale, economico e sociale.Abbiamo l’obiettivo di definire, entroqualche settimana, un protocollo di intesacon Regione Veneto, CGIL, CISL e UIL, Cen-trali Cooperative, INPS, INAIL e DTL, chediventi una delibera di Giunta Regionaleaperta all’adesione di Confindustria,Federdistribuzione e altre associazioniimprenditoriali, sul tema della legalitànella logistica e negli appalti.Sinteticamente i punti sono:● definizione di un modello di “governan-

ce” regionale contro l’illegalità parten-do dall’applicazione e controllo dellaregolarità sulla contribuzione assicurati-va e previdenziale, e sulle condizioni disicurezza dei lavoratori;

● un tavolo permanente della Logisticaper il monitoraggio degli appalti regio-nali sul settore, di concerto con gliOsservatori Provinciali, e inoltre cometavolo di confronto sulle vertenze dellalogistica su richiesta delle parti.

● tutela dell’occupazione e contrasto al “dumping sociale” neicambi di appalto, a partire dalla sostenibilità del corrispetti-vo contrattuale rispetto al costo del lavoro previsto dal CCNLLogistica e Trasporto Merci;

● inserimento della clausola sociale nei cambi di appalto qualeobbligo per l’appaltatore;

● misure/sistema premianti (appositi contributi e fiscalità regio-nale) per le imprese che sono in regola.

Di certo un protocollo di intesa non è una legge, ma per laLogistica in Veneto è un inizio e sarebbe paradossale che leparti che sostengono il tema della legalità e dei diritti, allaprova dei fatti, non lo sottoscrivessero o non lo applicassero.Oltre questa possibile intesa è aperto un confronto sul temapiù generale degli appalti, non solo della logistica, ma pertutti i settori, da parte di CGIL, CISL e UIL.

Nel frattempo, come Filt del Veneto abbiamo rilanciato la nostrainiziativa sindacale con un documento sulla logistica, approvatodal Comitato Direttivo, che definisce le linee strategiche dellanostra azione nel Veneto e nei territori, organizzandoci con uncoordinamento regionale composto dai responsabili e segretariche seguono il settore. L’azione di coordinamento ci ha permesso di seguire le filierecommerciali delle vertenze degli appalti in tutte le provincie eha prodotto un maggiore coinvolgimento di tutti i compagni/e,cui è corrisposto un forte impegno di lavoro, ma anche un’ac-cresciuta nostra capacità di rappresentare il settore e lottareper i diritti dei lavoratori. Soprattutto in questi mesi, la ripre-sa del conflitto sindacale ha caratterizzato la nostra azione neicambi di appalto come nei diritti dei driver, contro sfruttamentoe dumping sul costo del lavoro.

Intendiamo contrattare le condizioni dilavoro e salvaguardare i diritti dei lavora-tori con accordi regionali di filiera, cheevitino dumping tra le stesse imprese supiù provincie in più magazzini e tuttiriconducibili allo stesso committente o,addirittura, provare ad avere omogeneitàdi diritti per tutti i lavoratori veneti negliappalti, per evitare il dumping tra gli stes-si committenti. Questo sia nei corriericome nella grande distribuzione e, perfar tutto ciò, è fondamentale partiredall’applicazione del CCNL Logistica eTrasporto Merci nel settore della Logistica.Certamente è necessario quanto prima ilrinnovo del contratto che, pur nella suacomplessità, rappresenta il punto di riferi-mento centrale dei diritti dei lavoratorinel settore. Deve essere aggiornato pro-prio rispetto ai cambiamenti di questi annie deve centrarsi sul valore del lavoro, suidiritti che non sono merce di scambio peraggiudicarsi gli appalti. I committenti, disettore e non, devono rendersene conto,altrimenti la nostra risposta sarà determi-nata quanto la nostra ragione.

23

In linea

Un anno di osservazione del calendario degli scioperi e degliinterventi sul sito della Commissione di Garanzia ha stimolatoriflessioni e contribuito alla definizione delle priorità di azioneda parte della Filt e della Cgil. Questo per porre rimedio allariduzione sostanziale e progressiva degli scioperi, data dacontinue nuove procedure e interpretazioni che si traducono inuna limitazione del diritto di sciopero. Stabilire degli interventi su un tema di tale importanza, a partireda un’osservazione diretta delle carenze strutturali della discipli-na e della pratica quotidiana dell’azione vertenziale, non è piùrinviabile, soprattutto in occasione del cambiamento di Presidenzae di gestione della Commissione di Garanzia.Analizzando i fatti, da un punto di vista generale, si evidenziaprima di tutto la questione della rappresentanza sindacale. Inalcuni settori, più che in altri, si ha una moltiplicazione della pre-senza di sigle minori che, per acquisire e allargare il loro consen-so o nella ricerca di un ruolo negoziale con le controparti, sonoin perenne stato di vertenza e di proclamazione di sciopero. Èquesto il caso del Trasporto Aereo, sia in Enav sia nei grandi vet-tori italiani, del Trasporto Ferroviario, sia passeggeri che cargo, oil caso del TPL a livello di impresa. Gli effetti sono diversi:● una costante saturazione del calendario degli scioperi;● il concretizzarsi di plurimi interventi della Commissione di

Garanzia, per numerose infrazioni alla legge, alle regolamen-tazioni provvisorie o agli accordi, con una produzione eccessi-va di delibere, spesso indotte dalle aziende, che rischiano diorientare la disciplina verso un irrigidimento o vere e propriedistorsioni che, di fatto, riducono il diritto di sciopero (è il casodegli esattori in autostrade, il caso di alcune delibere del tra-sporto ferroviario, il caso della definizione dei voli garantiti neltrasporto aereo, ecc.);

● sulla produzione di tali delibere non è sempre possibile inter-venire come Filt-Cgil, proprio perché spesso non chiamati incausa direttamente, quindi ne risente la stessa opportunitàemendativa in seno alla Commissione.

Nei settori privati si cominciano ad avere difficoltà vertenziali, inquanto l’adesione agli scioperi proclamati dalla Filt-Cgil, è note-volmente ridotta a causa dei vincoli della norma in tema di pre-sidi minimi da garantire e della continua instabilità dell’organicoin forza nelle imprese. La precarizzazione del rapporto di lavoro,

sempre più spesso senza protezioni sociali e normative, ostacolauna spontanea e sicura partecipazione allo sciopero. Inoltre, sultema dei presidi minimi si pone sempre più all’attenzione la que-stione della mancata condivisione tra le parti, sia in forma diaccordo definitivo, sia in occasione della singola azione di sciope-ro, delle quantità di lavoratori da tenere in servizio e, di conse-guenza, un eccessivo numero di comandati unilateralmente dalleaziende. Su questi aspetti spesso il sindacato fa ricorso alla Com-missione che, tuttavia, raramente sanziona l’impresa.Si realizza, inoltre, un’altra contrazione del diritto di sciopero neisettori con regolamentazione provvisoria, che prevede fasce digaranzie del servizio durante l’azione, poiché in tema di defini-zione dei tempi per il rientro in servizio a fine sciopero o a ridos-so della fascia di garanzia, la Commissione tende, già dalla pre-cedente Presidenza (e al momento non ci sono segnali di discon-tinuità nel merito), ad avere un orientamento di sostanziale ridu-zione dei tempi in favore della regolare ripresa dell’attività.Resta da segnalare la questione della concentrazione degli scio-peri nel trasporto aereo e del frequente intervento del MIT intema di precettazione.Il 14 luglio 2015 e il 17 giugno 2016, a seguito di quella che il MITha giudicano un’eccessiva concentrazione degli scioperi del set-tore nella stessa giornata, la Filt, insieme ad altre numerose

Una riflessione sull’applicazionedella Legge 146 nei trasporti

di Valeria Mizzau, Responsabile Legge 146 Filt-Cgil nazionale

Nei settori privati si inizia ad avere difficoltàvertenziali, in quanto l’adesione agli scioperiproclamati dalla Filt-Cgil è notevolmente ridottaa causa dei vincoli della norma sui presidi mini-mi da garantire e della continua instabilità dellaforza lavoro nelle imprese. La precarizzazionedel rapporto di lavoro, sempre più spesso senzaprotezioni sociali e normative, ostacola unaspontanea e sicura partecipazione allo sciopero.

In linea

IN

L

IN

EA

24

sigle, è stata convocata dal Capo di Gabinetto per quello che èstato inizialmente definito un tentativo ulteriore di conciliazionedelle vertenze plurime in corso e che, di fatto, si è tradotto inuna precettazione della quasi totalità degli scioperi proclamati.A luglio 2015, il nostro versus MistralAir fu l’unico dei 9 scioperi arestare in piedi, più che altro perché era oggettivamente quellomeno lesivo del diritto alla libera circolazione dell’utenza.Il 17 giugno 2016, non è stato precettato solo quello di USB ver-sus Meridiana, perché proclamato contro la procedura di licenzia-mento collettivo. Solo dopo vittoria fortuita di ricorso al TAR,anche quello della LICTA e UNICA versus ENAV è stato confermatodalla sentenza e, con l’aggravante di essere libero da servizi mini-mi condivisi o semplicemente imposti da ENAV, ha riscontrato unamaggiore adesione.Questi sono due episodi di cui si è a conoscenza perchéerano scioperi nazionali in corso, proclamati dalla Filt, maun maggiore approfondimento sulla questione potrebbeportarci a riscontrare una prassi tra promozione della con-centrazione in Commissione di Garanzia e intervento diprecettazione da parte del Ministero dei Trasporti, ben piùdiffusa e non solo relativa al trasporto aereo.Gli esperti giuridici del Coordinamento sul diritto di sciope-ro confederale denunciano una prassi consolidata dallavecchia Commissione (e anche qui purtroppo non sono notediscontinuità di comportamento), la pratica di evitare iformali interventi immediati ai sensi dell’art.13 lettera d)Legge 146/90 e s.m.i., attraverso contatto diretto e tele-fonico con i sindacati proclamanti a livello locale. Insostanza, i funzionari della Commissione di alcuni settoritendono ad adottare procedure informali per agevolare evelocizzare la soluzione dei problemi per alcune irregolari-tà nella proclamazione, principalmente infrazioni inerenti

alla rarefazione oggettiva dell’azione di sciopero e spesso riscon-trano una reazione collaborativa anche da parte della Filt.La Cgil segnala che questa prassi informale è deleteria per il dirit-to e che ogni comunicazione con la Commissione di Garanzia debbalasciare traccia scritta di intervento e di soluzione per ovvie ragio-ni di natura giuridica, ma anche per motivi più strettamente dinatura politica. Lo spostamento della data di uno sciopero devesempre trovare un riscontro oggettivo, soprattutto nei casi in cui laproclamazione è fatta per vertenze di un certo rilievo, ossia quel-le in cui naturalmente la Filt-Cgil è in prima linea: licenziamenticollettivi, brusche interruzioni di trattative negoziali di rinnovo,ritardi nei pagamenti delle retribuzioni dei lavoratori, ecc… In tuttiquesti casi, la motivazione dello spostamento deve essere palese eformale, in modo che sia chiara anche per i lavoratori, le cui istan-ze si stanno rappresentando nella specifica vertenza. Lo scioperoappartiene anche e soprattutto a loro.In realtà, la Filt-Cgil dovrebbe porsi l’obiettivo primario di nonricevere mai né telefonate, né provvedimenti formali dalla Com-missione di Garanzia. Un’osservazione attenta dei provvedimentiadottati, in quest’ultimo anno, mostra che la quasi totalità degliinterventi è per infrazioni in tema di rarefazione oggettiva, inmisura minore per violazione dei periodi di franchigia, estesi, invia eccezionale, quest’anno dal Protocollo per il Giubileo dellaMisericordia. Una più rigorosa valutazione, prima della proclama-zione di un’azione di sciopero, sia del calendario aggiornato sulsito della Commissione, sia delle franchigie ordinarie e straordi-narie che siano, potrebbe portare a una riduzione sostanziale ditali interventi. Uno sforzo congiunto e in completa collaborazio-ne con ogni livello della Filt-Cgil, in difesa del diritto di sciopero,perché per ogni azione della Commissione, per ogni provvedimen-to 13/d adottato, per ogni procedimento di valutazione aperto,una parte, seppur piccola, di quel diritto potrebbe essere indebo-lita o cancellata. Un’ultima questione da trattare in conclusione, ma non di mino-re rilievo. È di fondamentale importanza agire sulla Commissionedi Garanzia, soprattutto in alcuni settori, in modo incisivo e deter-minato, per spingere la nuova Presidenza e i nuovi Commissari arecuperare quel ruolo super partes e contemperante di diritticostituzionali, il più delle volte divergenti e contrapposti, quelruolo che, come emerge chiaramente da alcuni orientamentiassunti nella precedente gestione, in taluni casi si è smarrito osemplicemente indebolito sotto le spinte di lobby politiche e/oindustriali. Un sindacato, come la Filt e la Cgil, che riconosce econsacra il suo ruolo di rappresentante di diritti e interessi col-lettivi dei lavoratori, può e deve agire per ripristinare condizionidi equità in seno all’organo garante dell’art.40 della costituzio-ne, seppur all’interno dei servizi pubblici essenziali.

25

In linea

L’espressione ‛relazioni industriali’ rivelauna particolare origine, storica e culturale:l’esperienza di regolazione del conflittoindustriale nella tradizione anglosassone. Relazioni: costituisce un termine consonoalla natura della società civile, un termineche individua un rapporto non occasionalefra soggetti, dotato di continuità, e implicauna qualche forma di scambio (volontario) enon semplicemente un rapporto di potere. Industriali: industry in inglese, identificatutti i settori di attività (compresi quellidel terziario).In nuce, con il termine relazioni industria-li s’intende l’attività di produzione dinorme relative all’impiego del lavorodipendente e alle controversie che da taleimpiego derivano; esse sono sviluppate trasoggetti collettivi e costituiscono la lororete di relazioni. Questa disciplina si svi-luppa negli ambienti anglosassoni che, purentro differenze storiche notevoli, sonocaratterizzati da una lunga continuità.Un modello socio economico che, malgra-do tutte le contraddizioni in esso contenu-te, sviluppa la prevalenza dell’organizza-zione pluralistica dei rapporti sociali e dei

conflitti fra gruppi di interesse.Condizioni che non si sono verificate nel-l’esperienza italiana. Le caratteristicheoriginarie del nostro decollo industrialehanno impedito un’affermazione gradualema continua delle relazioni industriali. Ilperiodo fascista, con la rottura di unmodello di relazioni industriali ancoradebole e scarsamente istituzionalizzato,ha impedito il consolidarsi di una tradizio-ne. Una società autoritaria non potevaaccogliere una dialettica sociale o addirit-tura di classe al proprio interno, sceglien-do il modello delle corporazioni tutte ade-renti e derivate dall’idea di stato/regime. È molto semplice inquadrare uno schemadi analisi entro il quale è possibile ricom-prendere le vicende delle relazioni indu-striali: esso può essere rappresentato conun modello input-output.Input il modello comprende i conflitti, lerivendicazioni, le domande di ogni genereconnesse al rapporto di lavoro dipendenteOutput il modello comprende le norme, leregole più o meno formalizzate che gover-nano gli stessi rapporti. Fra le due voci operano gli strumenti e le

procedure predisposti dai sistemi di rela-zioni industriali per la trattazione e lacomposizione delle controversie. Fra que-sti strumenti e procedure il posto fonda-mentale è assunto dalla contrattazionecollettiva, senza la quale esisterebbe ilpuro rapporto di forza datore dilavoro/lavoratore. L’efficacia di un sistema di relazioni indu-striali si vede soprattutto dalla sua capacitàdi riduzione del conflitto e delle tensioni,entro uno spazio temporale dato più o menolungo. In altre parole, il conflitto in uscitadovrebbe essere minore di quello in entrata.

Le relazioni industriali in Italia Come detto in precedenza, il nostro paesenon ha potuto sviluppare una cultura direlazioni industriali analoga ad altripaese. In questo vi è la nostra originalità(con aspetti positivi e negativi).In primis siamo entrati in ritardo, rispettoagli altri paesi europei, nell’epoca dellaRivoluzione industriale; successivamentela nascita del fascismo ha bloccato sulnascere un modello appena costituitosi.In Italia assistiamo alla nascita e allo svilup-po di un modello associazionista che metteal centro la tutela e la garanzia in caso dieventi imprevisti (infortunio, malattia etc).Con il tempo questa libertà associativaproduce straordinarie novità destinate acambiare le forme del diritto, sia privatosia pubblico. Il dialogo tra imprese e rap-presentanze del lavoro si avvia versoun’inedita forma del contrattare in modocollettivo. Nessuno ritiene indispensabilel’intervento dello stato, demandando taleprerogativa alle parti interessate. Un ruolopredominante è assunto dalla dottrinasociale della chiesa, che crede fermamen-te nei corpi intermedi e nelle loro espres-sioni politiche e sociali. Luigi Einaudi espo-se chiaramente questo concetto: occorreche l’autonomia privato-collettiva delleparti sociali regoli le relazioni di lavoro inun contesto che non ignori le dinamicheeconomiche. Nella stagione dei governiDe Gasperi-Einaudi si assiste alla nascita diun modello di sviluppo che segnerà persempre la nostra repubblica.

Enav: se cambia l’impresadevono cambiare

le relazioni sindacali�di Andrea Cisternino, Rsa Filt Enav

In linea

IN

L

IN

EA

26

Il Piano Marshall europeo, la stretta mone-taria per consolidare il cambio, la stabiliz-zazione dei prezzi, le politiche regionalidel Mezzogiorno crearono le condizioni perrendere il paese in grado di avere unapotente crescita economica e rendere pos-sibile conquiste prima non possibili.È in questo clima che ha preso forma esostanza quella che oggi riconosciamocome l’età d’oro delle relazioni industrialiitaliane. Questa esperienza terminerànegli anni ‘60, cadendo sotto i colpi dellespinte provenienti dal mondo della sini-stra, le continue contrapposizioni internedella democrazia cristiana, la volontà poli-tica di intravedere modelli diversi da quelliatlantisti e filo americani, la necessità diaffrancarsi dalla figura ormai ingombrantedella chiesa cattolica.Tutto questo porterà all’affermazione diun modello statale di tipo partitico/ buro-cratico che avrà come conseguenza la per-dita di terreno delle istituzioni parlamen-tari rispetto ai partiti che diventano lasede del potere di un intero sistema.Il sistema liberal democratico, che avevagarantito lo sviluppo del paese e dellerelazioni industriali cosi come le avevamoconosciute, non é più in grado di fornire ilsostegno necessario. L’età d’oro della con-trattazione collettiva e della grande auto-nomia delle parti durerà fino agli anni ’70,lasciando il passo a una maggiore influen-za regolatrice dello stato. Saranno le stes-se parti, infatti, a ritenere più� convenien-te mettersi sotto la protezione dello Stato,limitando la propria autonomia. Autono-mia che le stesse parti decidono di rimet-tere al centro nelle reciproche relazioni a

partire dagli anni ‘90, in un crescendo diaccordi che arrivano ai giorni nostri e chedisciplinano minuziosamente le dinamichedelle relazioni industriali.

Gli ultimi accordi degli anni 2000 Corre l’anno 2009 e un accordo a due Cisle Uil dà il la per un nuovo viatico dellerelazioni industriali. Il 2011 sarà l’anno disvolta con la successiva partecipazionedella Cgil che inserirà gli opportuni corret-tivi e le necessarie garanzie anche a segui-to della nota vicenda Fiat Pomigliano eMirafiori. Sono anni di forti tensioni, si pre-sentano vicende che mostrano il pienoscollamento del sistema, con gravi riper-cussioni di carattere politico, economico esociale. Tutto ciò mentre il paese attraver-sa un periodo di grave crisi economica,crisi inserita nella più ampia europea.Come sempre la Cgil si pone come elemen-to centrale e di garazia nel panorama sin-dacale e industriale del paese. L’accordoriveste una notevole importanza, non soloper quanto riguarda le relazioni industrialima incide fortemente nel campo economi-co. Tale accordo dà un segnale forteinfluendo positivamente anche sui mercatirafforzando la posizione economica del-l’Italia. Rapporto chiaro tra contrattonazionale e aziendale, rappresentanze uni-tarie, referendum dei lavoratori, clausoladi tregua ridisegnano in modo chiaro unadisciplina che non poteva più attendere.Il 2014 è l’ultimo atto di questo lungo per-corso che, partendo dal citato accordo del2011, passando per il protocollo d’intesadel 2013, regola in modo trasparente ilconcetto di rappresentanza e rappresenta-

tività con la relativa titolarità della con-trattazione in azienda.E ancora presto per capire gli effetti e laportata di queste novità sul panoramanazionale, ma almeno ora disponiamo diun formidabile strumento che può rilancia-re le relazioni industriali del nostro paese.L’auspicio è che le organizzazioni confede-rali lo utilizzino al meglio, evitando ilrischio di cadere nell’autoreferenzialità,rappresentando pienamente le istanze delmondo del lavoro e di una società checambia con fin troppa rapidità.

L’ultima frontiera delle relazioniindustriali in Italia, il caso EnavIn italia il processo di privatizzazionecomincia nel 1992, data importante chesegna l’inizio della seconda repubblica.In quel contesto si decise, al fine di otti-mizzare le aziende pubbliche e di ricavareliquidità, di mettere sul mercato assetimportanti.Le normative garantivano, comunque, ilcontrollo da parte dello stato utilizzandodei meccanismi giuridici/societari.I processi di privatizzazione si sono susse-guiti in Italia quasi interrottamente da allo-ra, non sempre con risultati soddisfacenti.La relazione della corte dei conti del 2010,infatti, recitava testualmente: “si eviden-zia una serie di importanti criticità, chevanno dall’elevato livello dei costi soste-nuti e dal loro incerto monitoraggio, allascarsa trasparenza connaturata ad alcunedelle procedure utilizzate in una serie dioperazioni, dalla scarsa chiarezza del qua-dro della ripartizione delle responsabilitàfra amministrazione, contractors ed orga-nismi di consulenza al non sempre imme-diato impiego dei proventi nella riduzionedel debito”.In questo contesto, unito ad un clima diassoluta novita mondiale, si è mossa la pri-vatizzazione di Enav. L’unico service provi-der ATM del mondo a sperimentare un veroprocesso di collocazione sul mercato di unaquota rilevante del proprio capitale socia-le con quotazione sul mercato azionario.Una sfida avvincente che il movimento sin-dacale è riuscito a comprendere e, secon-do noi, a vincere. Grazie anche alla pecu-liarità del servizio offerto e vista l’enormeattenzione sul piano mediatico, le OO.SS.di categoria e di Enav sono riuscite in unintento unico nel panorama nazionale.Molte altre volte il tentativo è stato fattoma non è andato a buon fine. La costitu-zione di un organismo paritetico Azienda-Sindacato che, con funzioni consultive e digaranzia, si inserirà nei processi aziendaliè oggi una realtà in Enav spa.L’organismo Paritetico di garanzia, forma-to dai segretari nazionali e da verticiaziendali, è la sede deputata alla consul-

27

In linea

tazione preventiva ed obbligatoria in meri-to alle linee strategiche deliberate dalcda, con particolare riferimento a quelleche abbiano influenze sulle condizionieconomiche e sull’occupazione.In particolare, la consultazione preventivaverterà sulle seguenti tematiche:● principali progetti d’investimento e

core business;● ristrutturazioni e/o modifiche di portata

generale dell’organizzazione del lavoro;● innovazioni tecnologiche e operative di

particolare livello.Ferma restando l’autonomia dell’organi-smo, l’azienda dovrà convocarlo preventi-vamente rispetto all’implementazionedelle azioni di competenza sui predettiprocessi. L’azienda procederà all’illustra-zione delle tematiche oggetto dei lavoricon modalità tali da consentire alla OOSSla formulazione di pareri, valutazione e/oindicazioni non vincolanti.A conclusione dei lavori sarà disposta unanota congiunta che riporti le posizioni all’am-ministratore delegato che fornirà formaleriscontro convocando, se necessario, l’orga-nismo per un ulteriore approfondimento.Questo accordo, malgrado sia ancora lonta-no dai processi di relazioni industriali distampo tedesco, è un passo avanti notevo-le rispetto alle nostre dinamiche nazionali.Troppo spesso nel nostro paese si parla dimodelli di relazioni industriali diverse dalleattuali, ma nessuno si impegna a disporregli opportuni cambiamenti normativi.Nel contesto dato e con le regole attualiabbiamo prodotto un risultato moltoimportante e certo in controtedenza, chesperiamo possa essere all’altezza del com-pito cui siamo chiamati.

La scommessa è relativa alla nostra capa-cita con Enav di far sì che diventi utilestrumento di gestione dei processi in anti-cipo rispetto alla loro attuazione. È un punto di inizio perché riteniamo chepossa essere un esempio per estenderequesta modalità di relazioni industriali adaltre aziende non solo del settore. Diven-tando la testa d’ariete per le future quan-to mai necessarie modifiche legislative sultema. Riteniamo, infatti, non piu procra-stinabile un modello di relazioni industria-li che si sganci da un modello basato esclu-sivamente sul conflitto. Atteggiamentiantagonistici, motivi di opposizione edestraneità, continue manifestazioni con-flittuali non sono più sufficienti ad unmodello di relazioni industriali che deve

anticipare i processi, a maggior ragioneladdove i processi finanziari che investonol’economia tendono a spostare anche fisi-camente i punti di decsione in economia.La partecipazione dei dipendenti alle sortidell’impresa è la chiave di volta. La loroinclusione nelle dinamiche di impresa e nonla loro esclusione, la loro possibilità di gesti-re unitamente con il datore di lavoro i pro-cessi che li riguardano e non subirli sic etsimpliciter, questo è l’obiettivo cui tendere.La reale comprensione dei fenomeni eco-nomici e societari porterà ad una visionenuova, non piu incentrata esclusivamentesul profitto fine a se stesso ma contribuiràallo sviluppo di un nuovo modo di vederel’attività di impresa che metta al centro illavoro, la persona e la sua volontà.

Il frutto del mio benessere, un’assicurazione UniSalute

UniSalute, un nuovo modo di guardare all’assicurazione

Quando si parla di salute èmeglio essere chiari. Con i PianiSanitari UniSalute hai maggiorecomfort in caso di ricovero, visi-te tempestive e più opportunitànella scelta del medico.UniSalute offre coperture sanita-

rie vantaggiose per il settore tra-sporti su gomma, ferro, mare, ariae per i lavoratori dei porti e del-le agenzie marittime.Affidati ad UniSalute, l’assicu-razione che pensa a farti starebene, sempre.

www.unisalute.itnumero verde 800 114444

SP

AZ

IO

A

PE

RT

O

Spazio Aperto

28

La natura estremamente provinciale del dibattito politico in Ita-lia impedisce molto spesso di indirizzare lo sguardo al di là deiconfini nazionali. La relazione, spesso conflittuale, tra sindacatoe partito è uno di quei temi che, a torto, molto spesso si ritieneessere tipico del nostro Paese e del sistema politico-sindacale ita-liano. In realtà, com’è logico aspettarsi, determinati fenomenisono comuni a molte democrazie occidentali specialmente in queicontesti caratterizzati da una presenza storica di partiti politici eorganizzazioni sindacali (e corpi intermedi in genere) nel tessutoeconomico e produttivo. Il Regno Unito rappresenta senza dubbiouno di quei Paesi dove il partito laburista, le unions affiliate e non(al partito) hanno avuto un peso storico non indifferente nell’in-dirizzare molti dei processi economici e sociali che hanno carat-terizzato UK nel ‘900. La breve ricerca condotta nel Norh-Est inglese nell’Ottobre del2015, su richiesta della Camera del lavoro metropolitana di Firen-ze, partiva proprio da considerazioni opposte a quelle fin quielencate e, in altri termini, si fondava sulla genuina curiosità dicapire come “gli altri” hanno affrontato situazioni che ai nostriocchi sembrano dei veri e propri vicoli ciechi. In termini metodo-logici si tratta di 15 interviste semi-strutturate realizzate tra isindacalisti (9) del North-Est, in particolare nella zona del Tysidee alcuni parlamentari (6, da qui in poi MP) del Labour eletti nel-l’area. L’obiettivo, in parole povere, è lo studio del complicato econflittuale rapporto tra il Labour Party e le Trade Unions territo-rialmente riferito al nord-est inglese, tradizionalmente molto“red oriented” nella distribuzione del voto in Uk. Per rendereancor più chiaro il contesto storico, potremmo dire che la fase

vissuta nella sinistra britannica al momento della ricerca coinci-de con l’elezione di Corbyn a segretario del Labour all’indomanidella sconfitta del partito guidato da Ed Millebrand, il 7 Maggiodel 2015. Descrivere il contesto è fondamentale per tornare, inseguito, sulla dimensione politica e generale del rapporto traUnions e Labour. Tuttavia è fondamentale non perdere di vista ilfuoco della ricerca: il rapporto tra Unions e Labour dalla Tatcherfino a Corbyn passando per Tony Blair. La Tatcher è il punto disvolta di ogni racconto dei diversi sindacalisti intervistati. La Ladydi ferro rappresenta un vero e proprio spartiacque che ridefinisceper sempre il ruolo del sindacato, essenzialmente ridimensionan-dolo molto. In termini numerici le Trade Unions britanniche,prima della Tatcher, contavano su circa dodici milioni di members(iscritti) mentre oggi gli iscritti al sindacato in Uk sono esatta-mente la metà. Ma non sono i numeri (se pur spietati) a definireil peso di questa sconfitta del sindacato. Più dei numeri sono le parole dei sindacalisti intervistati a descri-vere quegli anni. Anni fatti di scioperi infiniti, di scontro frontalecon la Premier britannica e, infine, gli anni della sconfitta e delreflusso che prendono forma all’interno di un mutato clima del-l’opinione pubblica ormai avverso alle battaglie delle unions (lapiù famosa è quella dei minatori che bloccarono i trasporti pergiorni fino alla resa incondizionata). La vittoria di Tony Blair (ilprimo mandato) si colloca esattamente all’indomani dei diecianni più duri vissuti dalle unions e dalla working class in Uk e rap-presenta quindi una vera e propria liberazione. Certo, i giudizi dei sindacalisti intervistati sono diversi e moltoarticolati: i sindacalisti del settore pubblico, ad esempio, ricono-

scono al primo Blair di aver finanziato ilsettore pubblico e il NHS (sistema sanita-rio britannico) dopo anni di tagli, ma rim-proverano un atteggiamento poco “con-certativo” rispetto ai sindacati e unasostanziale azione unilaterale, se pur posi-tiva, del governo. I responsabili del setto-re privato sono ancora più netti e conte-stano già al primo governo Blair una effet-tiva continuità di politica economica conla Tatcher: “Blair è nemico delle unions equindi nemico dei lavoratori” sintetizza ilresponsabile del sindacato degli edili(UCATT). Ancor più nel dettaglio e assu-mendo la prospettiva delle unions affilia-te (che hanno un rapporto organico e sta-tutario con il Labour), risulta evidente chegli anni del blairismo sono stati vissuti daisindacati dal punto di vista di una mino-ranza asserragliata che provava a mante-nere una prospettiva socialista in un parti-to inebriato dalla ricetta socio-economicadenominata terza via (che anche in parte

Il rapporto complicatotra partito e sindacato:un caso non solo inglese

di Giuseppe Martelli

Spazio Aperto

29

della sinistra italiana raccoglierà consensi). Come conferma unesponente di spicco di UNITE, il sindacato con più iscritti in Uk eaffiliato al Labour: “Gli anni di Blair al governo sono stati unatortura... anche con i nostri era difficile giustificare certe scel-te... ci dicevano cosa combinavamo dentro al Labour ed era dif-ficile tenere insieme le due cose, fare confitto era complicato ela destra del partito ci schiacciava”. La destra del partito avevaquindi una netta maggioranza e tentava di allontanare il Labourdal legame storico con il sindacato, mentre una sparuta minoran-za guidata dal parlamentare McDonnel tentava di salvare ad ognicosto una relazione con le unions mantenendo contatti con i sin-dacati sul territorio. I dieci anni del blairismo hanno quindi segnato una frattura pro-fonda tra il partito e il movimento sindacale. Sono stati anni discambi di accuse reciproci e costanti tentativi di de-legittimazio-ne dell’avversario. Ma, nonostante tutto, non si è mai giunti allarottura e per capirne il motivo è utile tornare sul livello territo-riale ovvero nell’area del Tyside, tra New-castle e Edimburgo. Intervistando, infatti,i responsabili delle unioni territoriali(NETUC- North-Est Trade Union Company)emerge una fitta rete di relazioni tra MPeletti nei collegi della zona e sindacalistilocali. Una rete di contatti che previene,ad esempio, lo scontro frontale nelle fasidi conflitto tra amministrazioni locali aguida Labour e sindacati e predilige quin-di un confronto meno formale ma piùsostanziale. I sindacalisti intervistati rac-contano di campagne elettorali a sostegnodegli MP del territorio e, soprattutto,descrivono gli ultimi anni di opposizionecongiunta al governo Tories guidato daCameron. Come ricorda ancora il sindaca-lista di UNITE: “La selezione dei candida-ti... bè la facciamo anche noi all’internodel partito. J. D. che intervisterai domaniora è al Parlamento Europeo, lavorava alcentro studi di UNITE e l’abbiamo soste-nuta prima dentro al Labour contro il can-

didato blairiano e poi naturalmente con i nostri voti alle elezio-ni”. Un rapporto quindi che non si è mai interrotto e che ha man-tenuto, soprattutto a livello locale, una forte complicità fondatasulla ragionevole attesa che, prima o poi, gli equilibri internisarebbero cambiati. E, infatti, l’elezione di Corbyn e la battagliacongressuale (dove le unions contano per ¼ sul risultato finale)hanno rappresentato il momento di svolta soprattutto per leunions che, dopo anni difficili, sono tornati alla guida del partitononostante le moltissime difficoltà interne. Sintetizzando inmaniera brutale si potrebbe dire che, a distanza di venti annidalla rivoluzione blairiana, i ruoli nel partito risultano invertiti edè la destra del partito a mal-sopportare un segretario essenzial-mente socialista. Ma il quadro delle relazioni tra partito e sindacato dipinto fin quimancherebbe di colore se non si offrisse spazio alla sostanza delledivergenze che hanno segnato il periodo blairiano e, successiva-mente, la ritrovata armonia portata dall’anziano leader laburista.

SP

AZ

IO

A

PE

RT

O

Spazio Aperto

30

Su cosa litigavano le unions e il Labour negli anni di Blair?Essenzialmente su due cose, secondo gli intervistati: inprimo luogo, sulla visione generale del sindacato che,secondo il Premier di allora, era diventata invasiva oltremodo e antistorica nei contenuti. Come ben sintetizzatoda uno degli intervistati “Blair si vergognava del nostrorapporto”. Ma è forse il secondo elemento a rendere pro-fonda la frattura perché riguarda il corredo genetico deidue attori in campo; in poche parole, Blair intendeva ilprocesso di de-industralizzazione britannico compromessoe irrecuperabile per via della de-regulation operata dallaTatcher ma, soprattutto, per via della globalizzazione che,spiegata con le parole di un MP “ha reso più convenientecostruire barche in Croazia piuttosto che qui”.Dall’altra parte, le unions recriminavano contro il governolaburista di allora chiedendo più concertazione, più atten-zione ai processi di de-industrializzazione e, sopra ognicosa, come sottolineato da molti intervistati, a Blair sirimproverava il fatto di non aver messo mano alle leggicontro i sindacati approvate dalla Tatcher (Trade UnionAct, che tra le altre cose rende difficile l’esercizio del diritto disciopero) e di non aver ri-nazionalizzato alcuni servizi essenzialicome le ferrovie che la Lady di ferro aveva (s)venduto nel decen-nio a guida Tories. Ma chi ha ragione? La risposta affidata alleparole degli intervistati è tutt’altro che netta e forse del vero c’èda ambo le parti. È senz’altro vero che il New Labour avevaabbandonato (anche fisicamente) i luoghi di lavoro e la prospetti-va della working class come punto di vista privilegiato (anche seelettoralmente la base elettorale del Labour a guida Blair rimarràquella tradizionale formata dalla ordinary class), cercando inmaniera disordinata di reagire al liberismo imperante della Tatcher.Dall’altra parte, le unions difendevano naturalmente i lavoratori e

si battevano (lo fanno ancora oggi) contro la de-industrializzazio-ne, ma le strutture sindacali erano diventate molto burocratichee molto distanti dai luoghi di lavoro. Sempre con le parole degliintervistati: “Bè forse il sindacato ha le sue colpe, forse doveva-mo capire prima che il lavoro stavo cambiando e capire prima chemolti hanno confuso il sindacato per un luogo dove cercare lavo-ro e non per difendere i lavoratori”. Occorre precisare che talifenomeni hanno lasciato segni pesantissimi nel DNA della sinistrabritannica: le unions sono sostanzialmente poco rilevanti e forte-mente presenti soltanto nel settore pubblico mentre il Labourdeve recuperare molto terreno (Scozia) per tornare a contendereil governo del Paese ai Tories.In sintesi, dalle parole degli intervistati, dalla raccolta delle testi-monianze e dalla ricostruzione storica di alcuni eventi si evinceche, in fondo, il rapporto tra Labour e unions è un po’ come unrapporto di coppia ben descritto dal ministro ombra per i rappor-ti con le unions nominato da Corbyn e che descrive questo trava-gliato rapporto come segue “Lasciarsi... noo siamo come quellefamiglie dove si litiga e ci si lancia i piatti, ma alla fine non ci silascia mai. Non esiste un Labour senza unions”. In sostanza, il rapporto descritto è un percorso articolato fatto dialti e bassi, ma che in alcuni casi produce effetti positivi come lavariabile impazzita Corbyn, che ha sostanzialmente raddoppiatogli iscritti al Labour in un solo anno e, in generale, ha rivitalizzatoi giovani che soffrono più di tutti la crisi per via della mancanzadi case a prezzi accessibili, di alte tasse universitarie ecc.Una battuta per concludere. Se a qualche lettore accorto venissein mente una qualche similitudine tra quanto descritto e l’attualefase politica di scontro tra Cgil e Renzi non siete strani e non statemale. Semplicemente certe cose accadono quando si smette diguardarsi l’ombelico e si butta lo sguardo oltre noi stessi. L’Italianon è Uk e certamente le due situazioni non sono sovrapponibili,ma alzare il capo e domandarsi come gli altri affrontano determi-nati problemi è una buona pratica per uscire dai vicoli ciechi edisegnare strade nuove.

*questo articolo è un estratto del paper (draft) “Una storia condivisa unfuturo incerto – la relazione tra Labour Party e Trade Unions nel North-Estinglese.” frutto di una ricerca sul campo realizzata nell’Ottobre del 2015.

Giuseppe Martelli (1985). Laureato in Scienza della Politica edei Processi Decisionali presso l’Università degli Studi di Firenze.Attualmente è dottorando presso la Luiss Guido Carli, Roma conuna Tesi di Ricerca sul voto personale nel Sud.

31

Sguardi e traguardi

Da qualche tempo mi sono ritrovata a scri-vere di storia cercando di far parlarel’esperienza femminile da una posizione diascolto1.Per fare un esempio, voglio parlare di LedaAntinori, su cui ho condotto una ricercacon Maria Grazia Battistoni2, per riportaresulla scena pubblica la vita di una ragazzapartigiana di cui nella sua stessa città,Fano, era rimasto noto solo il nome. Il miodesiderio era di avvicinarmi alla sua veritàumana, oltre che a quella fattuale.La vita di Leda si è consumata in un brevearco di tempo: dal 17 febbraio 1927 al 3aprile 1945. Mentre la sua casa diventavaun punto di riferimento importante per laResistenza fanese durante l’occupazionetedesca, lei aderì alla Resistenza rivelandocoraggio e determinazione. Non era spintada alcun bisogno di sottrarsi ai bandi di

arruolamento della repubblica di Salò.Trasportava messaggi, armi, stampa clan-destina, lungo la vallata del Metauro finoalla Gola del Furlo; faceva anche parte deiGruppi di Difesa della donna, che offriva-no assistenza ai combattenti ma erano perle donne anche spazio di confronto su que-stioni relative alla propria condizione fem-minile e al loro futuro. Fu arrestata il 20luglio 1944 mentre trasportava armi, comescrisse nel diario che poté appena abboz-zare: mentre la mattina io Luciano Ilvio egli altri portavamo dei fucili e rivoltellenel nostro comando che si trovava a Feni-le, fummo fermati dai tedeschi. I mieicompagni sono fuggiti e io per non farliprendere mi son consegnata a loro. Con-dannata a morte dopo una serie di interro-gatori e carcerazioni in varie località, inseguito ad un bombardamento sulle carce-ri bolognesi riuscì a fuggire e a far ritornoa Fano, attraversando il fronte. Distruttafisicamente per le violenze subite e le sof-ferenze durante la fuga randagia per lecampagne dell’Emilia Romagna, morì ditubercolosi poco dopo il suo ritorno. Avevada poco compiuto 18 anni e al suo funera-le partecipò una folla commossa. Nellasua città Leda è stata ricordata come

una vittima della barbarie nazifascista. Ricostruendo la sua storia ci siamo accor-te che c’era anche altro. Pur molto giova-ne, Leda era stata capace di scelte deter-minate che aveva più volte rivendicato: lainiziale disubbidienza civile a un regimeche aveva disciplinato le coscienze; ilsacrificio per far fuggire i compagni; tace-re sotto tortura i loro nomi; il rifiuto diessere liberata per non provocare rappre-saglie alla popolazione di Novilara; larichiesta finale fatta alla famiglia di nonfare vendette pur conoscendo i suoi dela-tori. Leda aspirava dunque a un modo divita sottratto alla violenza che aveva spe-rimentato, era consapevole che, anchedopo la sua fine, ogni guerra si allunga sulfuturo e non finisce mai. Scegliendo diinterrompere la catena dei lutti affermavala sua ricerca di libertà, che non era soloquella da un’occupazione straniera e dal-l’ideologia fascista, ma una libertà femmi-nile intesa come misura per sé: una prati-ca orientata alla vita, impensata in uncontesto dominato dall’uso della forza. Mi sono accostata alla storia di Leda conla modalità di ascolto di sé e delle altreche le donne hanno imparato nel femmi-nismo degli anni Settanta. Mi sono nutri-ta di quello che altre donne mi hannoofferto in un passaggio di intelligenzefemminili tra generazioni: la memoriaorale della sorella di Leda, Iva; una ricer-ca svolta negli anni ’80 da alcune inse-gnanti fanesi; il lavoro delle storiche chedalla metà anni ’70 hanno iniziato aricercare le testimonianze delle partigia-ne; la modalità di incontro con le testi-moni della Shoah appresa da DanielaPadoan; le indicazioni sviluppate in lun-ghi anni di ricerca e pratica di confrontodalla Comunità di ricerca storica fondatada Marirì Martinengo, diventata recente-mente “Comunità di storia vivente”; lesollecitazioni derivanti dal lavoro di AnnaBravo sulle storie di sangue risparmiato,a cui abbiamo sottoposto il nostro lavoro.Coniugando rigore di ricerca e rapporto diempatia, dalla tessitura delle fonti orali,bibliografiche e d’archivio, è nata unanarrazione diversa e sono emersi trattioriginali di signoria femminile.

di Anna Paola Moretti, ricercatrice

Far parlare l’esperienza femminile

SG

UA

RD

I

E

TR

AG

UA

RD

I

1 Cfr. M.G. Battistoni, R. Giomprini, A.P. Moretti, M. Moretti, La deportazione femminile. Incontro con Irene Kriwcenko. Da Kharkov a Pesaro: una storia in relazione, Assemblea legislativadelle Marche, 2010; A.P.Moretti, La guerra di Mariulì, bambina negli anni Quaranta, Il Ponte vecchio, 2012

2 A.P. Moretti, M.G. Battistoni, Leda. La memoria che resta, ANPI sezione Leda Antinori, Fano, 2015

Biografie di donne da rico-struire e interrogare, comenella storia di Leda Antinori.La memoria è un processorelazionale.

Sguardi e traguardi

SG

UA

RD

I

E

TR

AG

UA

RD

I

32

Se Leda avesse avuto il tempo di scrivere lasua storia, sarebbe riuscita a eludere imodelli narrativi che spesso hanno imbriglia-to la narrazione di sé di tante partigiane? Negli anni ’50 della Guerra fredda, lasocietà italiana espresse sospetto e con-danna verso le donne che, trasgredendo airuoli imposti, avevano partecipato allaResistenza ed erano state anche deportatenei lager. Il fenomeno non fu solo italiano,ma europeo, testimoniato anche dallecombattenti sovietiche3. In quel climaregressivo e repressivo gran parte dellepartigiane adottò un racconto convenzio-nale che escludeva emozioni e sentimentie si nascose dietro il riassestamento gene-rale della memoria. Per la difficoltà di farcorrispondere vissuto e rappresentazione,per la difficoltà a simbolizzare le proprieazioni, la perdita di memoria avvenne perle donne anche all’interno del ristrettocerchio familiare4. Molte si chiusero nelsilenzio. Iniziarono un racconto diversosolo quando furono sollecitate da altredonne5; il femminismo si è posto comespartiacque per la dicibilità dell’esperien-za femminile.Finché la Resistenza fu vista come un fattoprevalentemente militare, l’azione delledonne, dispiegata in gran parte senzaarmi, rimase quasi invisibile per la storio-grafia. Relegate a fiancheggiatrici di sup-porto, furono loro tributati ringraziamentigenerici e rituali. Il riconoscimento delruolo strutturale avuto dalle resistenti ini-ziò negli anni ’90, quando la resistenzacivile si affacciò come nuova categoria

interpretativa. Oggi, a settant’anni dagliavvenimenti, mancano ancora studi gene-rali sulle donne che hanno fatto la Resi-stenza e le motivazioni che le avevanospinte ad agire sono ancora troppo spessoricondotte a categorie inadeguate. Sappiamo bene che alla radice della nostracultura patriarcale, e delle istituzioni chequesta ha sviluppato, c’è la separatezzadell’ambito assegnato alle donne. Quandoè accaduta qualche loro imprevista irru-zione sulla scena pubblica, le donne sonostate incluse senza voce, interpretate,senza lasciar spazio a ciò che esse sapeva-no e pensavano di sé e del mondo. Per lepartigiane si è utilizzata la categoria dellaemancipazione e a misura del loro corag-gio è stata posta la virilità. Letture esterne, che diventano un rim-picciolimento dell’esperienza femminile,in un’ottica di concessione e omologazio-ne maschile. Non a caso, il termineemancipazione non si usa per i maschi, ameno che non si tratti di popoli coloniali.Infatti, l’emancipazione era un istitutodel diritto romano, in base al quale ilfiglio otteneva l’estinzione della possibi-lità di essere venduto; erano gli schiavi aessere emancipati. L’emancipazionesegnala un percorso di accesso ai dirittiche non restituisce soggettività, la possi-bilità a ciascuna/o di dire cosa prova, leproprie motivazioni e inclinazioni, qualelibertà cerca, né il valore di chi, donna ouomo, ha capacità cuore intelligenza daspendere nella realizzazione di sé e anchea beneficio della convivenza comune.

La forza della soggettività rende vivi econcreti fatti e idee e mantiene la storialegata alla vita. Di fronte a donne chehanno attraversato eventi cruciali, oltre aldesiderio di tributare loro giustizia, sorgeil bisogno di indagare la loro esperienzaper illuminare il nostro presente, così cari-co di contraddizioni e di sangue. Ma ognivita femminile, anche “comune” (“viteinfinitamente oscure” le aveva chiamateVirginia Woolf), non più relegata nel priva-to e interpellata, ha in sé la potenzialitàdi farsi ponte per farci accedere alla com-prensione della storia più ampia. Questamodalità di fare storia è stata scelta inmolte ricerche condotte da donne, per lopiù in ambito non accademico6. Accade spesso, di fronte a protagonisteormai scomparse, di avere a disposizionesolo scarse fonti che parlino di loro. Pos-siamo però ricreare il contesto in cui vis-sero perché da quella cornice risaltino leloro tracce e poi attuare consapevolmenteun incontro di memoria e storia, in unascolto partecipato delle voci che si sonoespresse; possiamo apprendere dallanostra memoria e dalla nostra esperienzaper porre con responsabilità interrogativia quelle vite di donne rimaste per lo piùnell’oblio e aver cura di quello che allafine si disegna come loro lascito e ci resti-tuisce la loro passione. Credo anche che abbiamo necessità di farincontrare le storie delle varie donne checi sono state compagne di viaggio e dareforma a una rete: non solo per far emerge-re figure dimenticate, ma entrare in con-tatto noi che facciamo ricerca e confron-tarci; una trama di relazioni per tenereinsieme storia e politica, affinché ci siauna storia non più mutilata, ma finalmen-te costruita anche con la presenza dei sog-getti femminili e intessuta dei sentimentiche uomini e donne provano.

3 Cfr. S. Aleksevich, La guerra non ha un volto di donna, Bompiani 20154 Cfr. I. Carrone, Le donne della resistenza. La trasmissione della memoria nel racconto dei figli e delle figlie delle Partigiane, Infinito, Formigine 2014.5 Cfr. A.M. Bruzzone, R. Farina, La Resistenza taciuta. Storie di dodici partigiane piemontesi, Bollati Boringhieri, 2016, la prima edizione è del 1976.6 Esempi recenti di ricerche su partigiane: L. Artioli, Storia delle storie di Lucia Sarzi, Corsiero, 2014, e anche A. Cocolli, N. Pagni, A R. Tiezzi, Norma Parenti. Testimonianze e memorie, effegi 2014.

Anna Paola Moretti - Ricercatrice sto-rica per passione, è stata tra le fon-datrici nel 1985 dell’associazioneCasa delle donne di Pesaro, dove haorganizzato seminari di storia, lingui-stica, politica delle donne; collaboradal 2007 con l’Istituto di storia Con-temporanea della Provincia di Pesaroe Urbino organizzando incontri eseminari su storia e memoria delladeportazione femminile.

33

Sguardi e traguardi

Vuoi presentare la Comunità di Diotima ai nostri lettori?

Diotima nacque nel 1984 presso l’Università di Verona comecomunità di sole donne amanti della filosofia e interessate a ren-dere conto della differenza sessuale nel lavoro del pensiero. Lafondazione di Diotima era stata preceduta da un’esperienza dicirca due anni di lavoro “politico”, sul modello della pratica fem-minista dell’autocoscienza e con l’impegno di commentare unnumero di “Sottosopra”, una rivista della Libreria delle donne diMilano: il gruppo politico si chiamava “Fontana del ferro”, dalnome della via in cui si svolgevano le nostre riunioni. Animatricidi entrambe le iniziative furono soprattutto Luisa Muraro e Chia-ra Zamboni; io partecipai a entrambe fin dall’inizio. Tuttavia,quando l’esperienza di Fontana del Ferro si concluse e conte-stualmente nacque Diotima, alcune donne si fecero da parte ealtre, impegnate nella ricerca filosofica, si aggiunsero. Pensammo che, visto che la filosofia su cui ci eravamo formateaveva una chiara impronta maschile ed era segnata da un’omo-sessualità socio-simbolica, cioè dal fatto che gli uomini si rivolge-vano prioritariamente ad altri uomini come interlocutori, esclu-dendo le donne, noi potevamo dar vita a una filosofia in cui noidonne ci saremmo rivolte preferenzialmente ad altre donne comeinterlocutrici privilegiate. All’inizio, escludemmo di fare riferi-mento a pensatori maschi, ad eccezione di quei pochi su cui cieravamo formate e che avevamo profondamente interiorizzato, emettemmo in primo piano lo scambio di pensiero vivo fra noi, inpresenza, dando così autorità alla parola delle altre, e tenendocome riferimenti teorici le pensatrici femministe, soprattuttoquelle della differenza sessuale che ci avevano preceduto, fra cuiLuce Irigaray. All’inizio, il lavoro era faticoso e molto di ciò checercavamo di dire risultava oscuro, ma gradualmente, nelloscambio fra noi, emersero dei temi che cominciarono a prendereforma: innanzitutto il pensiero della differenza sessuale, poi larelazione con il mondo, la pratica femminista del partire da sé,l’autorità femminile e molti altri. I primi anni furono caratterizzati dalla centralità di Luisa Muraro,alla cui autorità quasi tutte si riferivano, quasi sempre per accor-darvisi, talvolta invece per entrare in conflitto, in conflitti diffi-cili e dolorosi. Nella centralità di Luisa, nella sua eccessiva auto-rità, c’era qualcosa che funzionava: l’autorità fra noi non circo-lava, si fissava su una sola. Una faticosa riflessione su questaimpasse portò in seguito ciascuna di noi a farsi carico della pro-pria stessa autorità; l’autorità cominciò così a circolare più libe-ramente, in un tessuto di relazioni più mobile e fluido. A quelpunto, considerammo il “fare diotima” semplicemente come ilnome delle relazioni fra noi: ciò vuol dire che l’autorità è nellerelazioni e non in possesso di una singola. Attualmente e già da diverso tempo Luisa Muraro si è fatta daparte rispetto al lavoro di Diotima, la cui responsabilità ricadeora soprattutto su Chiara Zamboni, ma anche su ciascuna di noi.Fin dall’inizio, e questo continua tuttora, di Diotima fanno partedonne amanti della filosofia, ma non necessariamente accademi-che: alcune sono interne, altre esterne all’università. Diotima siriunisce all’università di Verona, ma non ha uno statuto né un’or-ganizzazione formale di alcun tipo: vive solo finché è vivo il desi-derio di coloro che ne fanno parte. Il suo lavoro si struttura con

riunioni a cadenza mensile, cui si aggiungono due volte l’anno deiritiri filosofici di due giorni, animati da un’intensa discussione.Ogni anno, in autunno, i temi su cui stiamo lavorando sono pre-sentati al Grande seminario, che è aperto al pubblico, donne euomini. Nel corso del tempo, alcune donne si sono allontanate daDiotima e altre, spesso più giovani, se ne sono aggiunte, cosicchéattualmente c’è una buona presenza di giovani donne, accantoalle fondatrici.

Come nasce l’idea del Seminario di quest’anno e comes’inserisce nel percorso che Diotima vuol fare?

L’idea del Seminario di quest’anno è emersa, come succede quasisempre, nel ritiro filosofico che abbiamo fatto a fine giugno. Inrealtà, gran parte della discussione in quel ritiro verteva sullaquestione della competenza simbolica, cioè su come si arrivi amaturare un proprio punto di vista sulla realtà e a prendere posi-zione a partire da sé e non secondo idee già confezionate.

L’intervista Wanda Tommasi Comunità di Diotima

Tuttavia, ci è sembrato che un Seminario sulla competenza sim-bolica sarebbe risultato troppo astratto e probabilmente pococomprensibile per chi sarebbe venuto ad ascoltarci. Luisa Mura-ro, che non partecipa alle riunioni mensili di Diotima ma ai ritirisì, ha allora proposto il tema della violenza, su cui aveva giàriflettuto nel suo libro Dio è violent (Nottetempo, Roma 2012).Dopo qualche perplessità, dovuta al fatto che questo tema siallontanava molto da quanto si era discusso fino a quel momen-to, la proposta è stata accolta: il tema della violenza è, infatti,di grande attualità, sia per i numerosi casi di violenza patita dadonne di cui ci danno quotidianamente notizia le cronache siaperché quella attuale è una società attraversata da molta violen-za, una violenza che abita anche dentro di noi e che merita diessere interrogata. La riflessione sulla violenza s’inserisce in unpercorso di confronto di Diotima con questioni di attualità checoinvolgono le donne: nelle riunioni dello scorso anno abbiamodiscusso molto della gestazione per altri (il cosiddetto utero inaffitto) e delle unioni civili e abbiamo rilanciato la prospettivadella differenza sessuale nel conflitto tuttora aperto con le teo-rie gender e queer.

Puoi illustrare i contenuti del Grande Seminario?

Posso solo immaginare a grandi linee quello che ne emergerà, dalmomento che io non sono fra le relatrici del Grande Seminario diquest’anno (5 lezioni nei mesi di ottobre e novembre). Nelladiscussione di preparazione al Seminario, eravamo partite dallaviolenza sulle donne, una violenza che oggi è registrata puntual-

mente dai mass media e per cui è stato recentemente coniato iltermine “femminicidio”, ma che in realtà viene da molto lonta-no e che ha accompagnato tutta la storia del patriarcato: allenostre spalle c’è una lunga storia di misoginia, cioè di odio versole donne, che va dalla loro emarginazione dall’umano e dal loroschiacciamento sul lato “animale” e dalla loro lunga esclusionedalla sfera politica fino alla caccia alle streghe e oltre. Oggi, ilriacutizzarsi della violenza sulle donne è come un colpo di codadel patriarcato morto o morente: è legato probabilmente al fattoche molte donne ormai si sottraggono ai ruoli tradizionali cheesse ricoprivano nell’ordine patriarcale. Tuttavia, non c’è solo la violenza sulle donne. Il Seminario trat-terà della violenza in tutta la sua ampiezza e pervasività, comedismisura che precede e va di pari passo con l’umanità. La vio-lenza accompagna fin dall’inizio l’esperienza dell’essere umano:basti pensare, sulla scia di Melanie Klein, al rapporto di amore eodio – aggressività, rabbia, violenza – che la creatura piccolaintrattiene con la madre, amata ma anche odiata perché non èsempre a propria disposizione. Basti pensare alla violenza all’ori-gine delle società e del sacro secondo alcune ipotesi antropologi-che, fra cui quella di René Girard. Nel campo delle teorie politi-che, secondo Thomas Hobbes è lo Stato, il Leviatano, a detenerelegittimamente il monopolio della violenza, sottraendone l’eser-cizio in prima persona ai singoli per evitare la guerra di tutti con-tro tutti che ne sarebbe la conseguenza inevitabile. Questo pre-supposto della teoria politica moderna può essere messo indiscussione, chiedendosi se davvero solo lo Stato possa detenereil monopolio della violenza. Hannah Arendt distingue opportuna-mente la violenza dal potere, dalla forza e dall’autorità; tutta-via, possiamo constatare che spesso si verifica nella realtà unacommistione di potere e violenza. Ancora oggi molta violenza attraversa e pervade le nostre socie-tà, installandosi anche dentro le nostre anime. Qualcosa ce nedobbiamo pur fare e soprattutto qualcosa ne dobbiamo dire,sapendo che la violenza si scatena quando vengono meno lemediazioni o quando il linguaggio, la prima e più importantemediazione, prolifera troppo e gira a vuoto senza avere più effi-cacia e allora, spesso, subentra la violenza. Siamo convinte chele donne siano capaci di un ascolto attento della violenza propriae altrui perché sono consapevoli della possibilità della violenzamaschile sul proprio corpo. Speriamo anche di aver guadagnato,grazie alla fiducia che circola nelle relazioni fra noi e con altredonne, un punto di avvistamento sulla violenza sufficientementedistaccato da poterla guardare accogliendo questo fatto dolorososenza farcene travolgere. Altrimenti, se ne fossimo travolte, nonci sarebbe possibilità di parola, ma solo mutismo. Fare parola epensiero in fedeltà alla differenza femminile sulla violenza, siaquella patita sia quella che ci attraversa, ci abita e che noi stes-se possiamo esercitare, è la scommessa all’origine di questoGrande Seminario.

Sguardi e traguardi

SG

UA

RD

I

E

TR

AG

UA

RD

I

34

Wanda Tommasi vive a Verona, dove insegna filosofia all’u-niversità. Fin dalla fondazione, fa parte della comunitàfilosofica femminile “Diotima”, con cui ha elaborato il pen-siero della differenza sessuale. Nella sua ricerca, ha privile-giato l’opera di Simone Weil, cui ha dedicato due volumi, equella di altre pensatrici contemporanee.Fra le sue pubblicazioni: I filosofi e le donne (Tre lune,2001), Etty Hillesum. L’intelligenza del cuore (Messaggero,2002), La scrittura del deserto (Liguori, 2004), María Zam-brano. La passione della figlia (Liguori, 2007), Oggi è unaltro giorno. Filosofia della vita quotidiana (Liguori, 2011),e Ciò che non dipende da me. Vulnerabilità e desiderio nelsoggetto contemporaneo (Liguori, 2016).

Finestre

35

La Street art è un fenomeno globaleormai inarrestabile, da Nord a Sud, in Ita-lia e nel mondo. Da diversi anni ha coloniz-zato le città, dalle periferie al centro, ali-mentando ciò che è nota come Gentrifica-tion, che i sociologi della città ci spieganoin breve come i cambiamenti urbanistici esocio culturali nelle periferie urbane,attraverso lavori di restauro degli immobi-li e interventi mirati di arte urbana, cheinducono in primis un miglioramento del-l’area degradata, poi a far affluire nuoviabitanti benestanti e quindi a fa aumenta-re i prezzi delle abitazioni, con il conse-guente allontanamento degli abitanti loca-li a basso reddito, che non possono piùpermettersi di risiedervi. È accaduto unpo’ ovunque, da Roma, Milano, Berlino,Parigi, New York e fa parte dell’espansionenaturale delle città ed è qualcosa che nonsi può arginare come le migrazioni ed ètemuto da molti perché visto come lo stra-volgimento della natura originaria delluogo. Stiamo arrivando al punto che lastreet art è usata per impreziosire condo-mini di lusso, come accade già in America,e fa alzare le quotazioni degli immobili. Iniziamo col precisare che nell’accesodibattito in corso il termine riqualifica-

zione urbana, molto amato dalle ammini-strazioni pubbliche, è stato già concet-tualmente superato nelle conversazionitra architetti, urbanisti e addetti ai lavoricon rigenerazione, dal momento cheriqualificare sembrerebbe implicare lanegazione della qualifica che un luogo hagià di per sé; mentre rigenerare rispetta laforma che un luogo ha, come riflesso dellasua storia, ma che si rinnova attraversoazioni migliorative. Così come il termine Street art ha lasciatoil posto per un certo periodo sui giornali,siti, dibattiti, a quello di Urban art, per poiritornare in auge e ri-appropiarsi del suoterritorio semantico, in analogia con glieterni ritorni tra figurativo e astratto chedimostrano che in arte nulla si crea che nonsia già stato creato ma, semmai, si reinven-ta, così è diventata illusione dividere artedi strada dall’arte urbana poiché si riferi-scono ad un’unica realtà in continua evolu-zione di cui entrambe fanno parte. Volendo fare una sintesi in poche righedella storia della street art: iniziamo dal-l’invenzione dei graffiti nelle grotte dalpaleolitico in poi ad opera dell’uomo pri-mitivo, passando ai dipinti ad affresco deimuri delle chiese medioevali e rinascimen-

tali pensati per essere comprensibili alpopolo, attraverso il muralismo messicanodi Rivera, Orozco e Siqueiros con cui si vei-colavano messaggi politici, facendo unsalto a New York tra anni ‘70 e ‘80, consi-derata patria putativa della graffiti art,nei quartieri disagiati come il Bronx perdar voce a parte della popolazione allorainvisibile, ai messaggi politici anni ‘70,all’affermazione della street art nella suaevoluzione dall’illegale al legale, dallalotta alle crew (così si chiamano i gruppidi writers uniti in squadre) con la creazio-ne di veri e propri reparti di polizia peridentificarli e arrestarli e le spese dellepubbliche amministrazioni per ripulire lecittà, alle commissioni ufficiali di artepubblica e di muralismo da parte dellestesse amministrazioni che prima contra-stavano i vandali. Abbiamo così ricostruitovelocemente molti secoli di storia, perdare una traccia a chi si avvicina per laprima volta a tale materia, sperando diincuriosirlo e stimolarlo ad approfondireautonomamente. Nella fase storica in cui ci troviamo è arri-vato il momento di iniziare a parlare oltreche di storia della street art, soprattuttodi critica della street art e chiederci setutto quello che è prodotto su muro puòessere considerato arte o vada fatta unadistinzione tra le prime sperimentazioni,le prove accademiche e le vere e proprieespressioni artistiche riuscite o il vandali-smo. Per questa ragione, sentendo l’esi-genza di approfondire argomenti di cui siparlava ancora troppo poco, ho ideato gliUrban Talks a Roma, realtà già esistentein altre capitali europee, dove al MuseoCarlo Bilotti di Roma in contemporanea

di Simona Capodimonti, storica dell’arte

La Street artdalla terra alla luna

FI

NE

ST

RE

Finestre

FI

NE

ST

RE

36

alla mostra fotografica Urbs Picta diMimmo Frassineti, nel 2016 sono stati invi-tati a parlare artisti, curatori, fotografi,addetti ai lavori, architetti sociologi eappassionati intorno alle tematiche apertesull’arte urbana. C’è stata la partecipazio-ne ai sei incontri in programma di oltreottocento persone e questo dato rendel’idea dell’urgenza di parlare di tali argo-menti e dell’interesse crescente. Anche unistituto prestigioso come la Treccani si èinteressata all’argomento dedicando alcu-ne voci dell’Enciclopedia al fenomeno eorganizzando nella sua sede alcune con-versazioni con artisti e ospiti sull’argo-mento. Quando la contemporaneità èdocumentata, sembra avere la facoltà diesistere.Iniziamo a capire quali sono quindi gli ele-menti caratterizzanti dell’arte di strada.Sicuramente è un fenomeno sia Local cheGlobal. Nasce nella periferia, nella borga-ta che nobilita e aiuta a migliorarnel’estetica e si diffonde nel mondo. Glistreet artists sono ormai viaggiatori inter-nazionali, chiamati a realizzare “pezzi”ovunque. È un’arte democratica, che simostra a tutti, un museo a cielo apertodove non occorre pagare un biglietto,ma sicuramente è preferibile avere alcuneconoscenze storico artistiche per com-prendere meglio le tante citazioni chesono fatte e il background culturaledell’artista.Si stanno diffondendo in tutta Europa degliStreet art walking tours, negli Stati Unitie nel resto del mondo già una realtà con-solidata da tempo, dove partecipano deci-ne di appassionati seguendo un espertoche li guida alla scoperta dei murales perla città. Perchè il bello non è solo trovaremurales, spesso nascosti in posti improba-bili, ma soprattutto conoscere i quartieri

dove a volte non si è mai stati e, in unaparola, far cadere i pregiudizi verso leperiferie e riappropriarsi di un territoriosentendolo proprio. Ecco quindi che lastreet art offre un’occasione di trasforma-re una passione in un lavoro e di creareeconomie di scala con ricadute positive sulterritorio, come è accaduto nel quartiereromano di Tomarancia, a seguito di unintervento di arte pubblica con ventitrèmurales dipinti da artisti internazionali,dove gli abitanti del luogo hanno creatoun’associazione di quartiere per racconta-re con visite guidate periodiche, al vastonumero di persone accorse, i dipinti allepareti delle case dell’Istituto Case Popola-ri. Inoltre, in molti casi la street art ha unafunzione sociale, non solo in relazione al

miglioramento del territorio, ma ancheeducativa quando sono fatti dei progettiche si rivolgono alle scuole e ai bambini,coinvolgendoli in laboratori che li stimoli-no a creare il loro murale e a conoscerel’arte attraverso il gioco.Ogni progetto, oggi murale, perfino ognitag (la firma con il proprio nome che i wri-ters scrivono su muri, treni, stazioni)dovrebbe essere pensata in relazione alterritorio cui si rivolge, perché l’azionestessa che ogni artista fa di creare emostrare la sua opera su muro è già laprima azione di critica d’arte che egli fa,esponendo e imponendo la sua opera alpubblico e suscitando emozioni e reazioni. Un tema sensibile, e ancora poco sentito,è che l’artista, come ogni lavoratore cheoffre il suo talento, ha il diritto di esserepagato. Invece, troppo spesso si chiamanogli artisti chiedendo loro di dipingere gra-tuitamente, rimborsando solo il costo deicolori e delle materie prime. Questa prati-ca molto diffusa, per fortuna, in tanti casi,sta lasciando il passo all’abitudine allacuratela, alla progettazione, e all’accessoa finanziamenti municipali o europei. Sfatiamo l’idea dell’artista bohémien nel-l’immaginario collettivo che vive ai margi-ni del sistema contestandolo. La maggiorparte di loro sono, infatti, persone prepa-rate e qualificate come ingegneri, grafici,comunicatori, esperti di nuove tecnologie,spesso manager di se stessi che si organiz-zano da soli mostre, appuntamenti, tra-sferte, o talvolta si affidano ad agenti. Molto spesso gli artisti si trasformano anchenei curatori dei loro progetti, essendo tal-mente dentro il processo, quasi una gestio-ne abituale per molti sia per risparmiare siaper evitare influenze esterne, ma è unapratica che andrebbe evitata per non per-dere credibilità e differenziare le compe-tenze tra curatore e artista, che aggiungaqualità e la giusta distanza critica. C’è poi il tema delle tecniche. Facendoun rapido excursus per i neofiti dellamateria, oltre la classica bombolettaspray, le tecniche più usate sono: glistencil – dei ritagli con la forma che sivuole realizzare che permettono di ese-guirla rapidamente limitando i rischi diessere colti in fragrante e arrestati – iposters, gli stickers, le installazioni, levernici ovviamente, in genere acrilici maqualcuno si avventura anche a olio sumuro, con preparazione della base oaddirittura a trapano su muro, una tecni-ca inedita che toglie l’intonaco anzichéaggiungere colore. Ci sono poi mezzi disupporto per realizzare l’opera: corde daescursionismo, scale, trabattelli, camioncon braccia meccaniche per palazzi divari piani. Tra gli artisti c’è chi usa ilquadrettato, ossia la tecnica più antica di

Finestre

37

dividere lo spazio in quadrati e di ripro-durre in scala il bozzetto, come faceva adesempio Michelangelo; chi segna solopochi punti di riferimento, come sappia-mo era solito fare Caravaggio, o chi inve-ce realizza un disegno imponente affidan-dosi a una piccola immagine sul cellulare,o chi usa un proiettore per trasferire l’im-magine ingrandita su muro e poi ricalcar-la. Da molti puristi quest’ultima tecnica èconsiderata negativamente, ma affron-tando l’argomento sempre criticamente,nessuna tecnica è da denigrare quando ilrisultato finale è positivo. D’altra parteogni artista ha i suoi trucchi del mestiere,come quello di usare un fondo nero chepermette alle figure di emergere edi risaltare di più. Chi è che stabilisce che un’opera oun artista sia migliore di altri? Spessoil mercato (quotazioni, gallerie,mostre, aste) e in molti casi il gradi-mento del pubblico. Ad alimentare ilsuccesso e la fama di un artista spes-so giocano anche elementi di marke-ting e strategie comunicative comela capacità di costruirsi un personag-gio, a volte mantenendo l’anonima-to. Basti pensare al caso Banksy, l’ar-tista di Bristol considerato il piùfamoso street artist al mondo, cheancora non si sa chi sia e che fa par-lare di sé a ogni nuova azione spessodi denuncia sociale e ambientale,come ad esempio Dismaland,un’istallazione artistica temporaneaorganizzata nel 2015 in Inghilterrapensata come allegoria di Disney-land, poi smontata, trasferita edonata al campo profughi di Calais.Banksy ha saputo costruire il suomito al punto che, come esce una suanuova opera, è immediatamentericercata, a volte è staccata e battu-ta all’asta per milioni di sterline. In Italia, tra i migliori dieci streetartists del mondo c’è BLU, autore aRoma dell’ex Caserma aeronauticadetta “Fronte del Porto” a via delPorto Fluviale, dipinta per evitare chefosse demolita e fossero sfollate le oltre500 persone che vi hanno trovato rifugio.Se chiedi agli altri artisti perché Blu èconsiderato tra i più bravi, ti rispondononon certo per la tecnica esecutiva perchéce ne sono altri meglio di lui, ma lo èsicuramente per il suo rapporto con l’am-biente. BLU fa sempre azioni mirate didenuncia del sistema e dell’ambiente(vedi le sue opere a Lisbona contro lemultinazionali del petrolio o a Berlino,dove ha deciso di coprire le sue opereChains e Twins che caratterizzavano ilquartiere, solo perché la speculazioneedilizia lo aveva iniziato a trasformare

con la costruzione di centri commerciali).BLU usa calarsi con delle corde, avendofatto corsi di alpinismo, e per mesi gliabitanti del quartiere Ostiense se lo sonovisto ondeggiare nel cielo, per realizzareun’opera titanica. Non molto più avanti,alla fine della via Ostiense sull’ex Cino-dromo, ha realizzato una serie di figureche rappresentano una critica alla corru-zione della politica e alla chiesa, il tuttoin monocromo; i grandi hanno il coraggiodi osare e di non cedere al gusto di appa-rire come anche BLU sa fare. Completamente diverso dal precedente èil caso di Tormarancia a Roma, sopra cita-to esempio di arte pubblica e collabora-

zione tra pubblico e privato e di murali-smo italiano con un progetto curatorialefinanziato da una nota Fondazione banca-ria, che ha trasformto in poco tempo l’im-magine di un quartiere noto in passato colsoprannome di Shangai per le casettebasse mono-camera che si allagavanoquando pioveva, dove erano stati trasferi-ti gli abitanti del centro dopo le modificheurbanistiche volute negli anni Trenta daMussolini a via dei Fori Imperiali e via dellaConciliazione, poi sostituite dagli attualipalazzi popolari, ora diventati meta diturismo di massa. Gli interventi che hannomigliorato per ora la parte esterna delleunità abitative hanno iniziato a sensibiliz-

zare e a stimolare le autorità locali anchesulla necessità di piani d’intervento urgen-ti per le reali esigenze, come la messa insicurezza di cornicioni, il restauro diambienti interni, la realizzazione di ascen-sori, la sistemazione di spazi comuni e delgiardino condominiale, che ci auguriamovengano a seguire presto. L’esempio più alto di arte pubblica rag-giunto a Roma nel 2016 è stata la realizza-zione dell’opera Triumphs and Laments diWilliam Kentridge lungo il Tevere. L’artistasudafricano è stato chiamato dall’associa-zione Tevereterno. Dall’idea originaria, cihanno messo oltre venti anni a realizzarloe dieci per ottenere le autorizzazioni

necessarie, per far comprendere lagrandezza di un ciclo di oltre ottan-ta figure a stencil, che ripercorre lastoria di Roma dalle origini alla con-temporaneità (con citazioni dellalupa capitolina, passando per ilmedioevo e il risorgimento, fino aitemi dei migranti e al film la DolceVita di Fellini) e si estende lungo gliottocenteschi muraglioni del Tevereper 500 metri tra ponte Sisto a duepassi dal cuore di Trastevere e ponteMazzini. Inaugurato il 21 aprile,Natale di Roma. Le immagini sonostate realizzate con l’idropulitura,ossia rimuovendo con dei macchinarii muschi e i licheni che colonizzano imuraglioni, e che nell’arco di cinqueo sei anni ricresceranno, facendosparire un’opera che risulta tempo-ranea come vuole la natura dell’artedi strada, soggetta alle leggi di stra-da, come ad essere “crossata”,come si dice in gergo, nella perennelotta tra writers e street artists, o adessere pulita dai retakes, pulitoriseriali che agiscono in nome deldecoro urbano. C’è tutto il discorsodel restauro dell’arte contempora-nea che non affrontiamo ora, ma checi porta a seguire l’evoluzione diqueste opere nel tempo. Abbiamo affrontato velocemente

molti temi ma siamo solo all’inizio e c’èmolto altro da raccontare. Per capirecome si sta evolvendo vertiginosamente lastreet art, pensiamo che lo street artistfrancese Space Invader ha posizionato unodei suoi tipici simboli dentro una navicellaspaziale e lo ha mandato nell’universo.Possiamo dire che siamo entrati in unanuova era: quella della post street art,dove tutto è street, dal cibo, alla moda, allinguaggio e si sta verificando un’inflazio-ne di immagini nel proliferare d’iniziati-ve, mostre, festivals sul tema, per cui èbene distinguere ciò che arte da ciò chenon lo è. Ormai la street art è pronta perl’espansione dalla terra alla luna!

Finestre

FI

NE

ST

RE

38

È uscito in settembre l’ultimo saggio diZygmunt Bauman, grande sociologo e filo-sofo – fra le voci più importanti e ascolta-te di oggi – che, malgrado i suoi novant’an-ni, continua a parlarci con rara lucidità delmondo in cui viviamo.Il titolo del nuovo saggio, Stranieri alleporte, allude chiaramente alla c.d. crisimigratoria, che occupa tutti i giorni leprime pagine dei giornali e che, intensifi-candosi sempre più, sta mettendo a rischiola coesione europea e, si pensi a Orban inUngheria, Marine Le Pen in Francia oTrump negli U.S.A., la stessa democrazia.Come osserva Bauman, “Le migrazioni dimassa non sono certo un fenomeno nuovo:hanno accompagnato tutta l’età modernafin dai suoi albori”. Gli italiani stessi sonostati protagonisti per oltre un secolo diuna forte ondata migratoria, prevalente-mente verso l’America e il nord Europa, alpunto che gli abitanti oggi in Italia sonomeno delle persone di origine italiana chevivono all’estero. Se le migrazioni hannocaratterizzato l’umanità fin dalla sua com-parsa sulla terra, negli ultimi secoli del-l’era moderna il fenomeno è cresciuto alpunto che interi continenti (l’America el’Australia) sono popolati quasi esclusiva-mente di immigrati, essendo gli indigeniridotti a piccole minoranze.

È evidente a tutti che l’economia mondia-le ha assai beneficiato delle grandi migra-zioni e che gli U.S.A. devono la propria ric-chezza anzitutto a esse. Come mai, allora,i nuovi immigrati, in fuga da guerre efame, sono vissuti da molti come un peri-colo, persino negli U.S.A., fornendo unodegli argomenti più forti per la campagnaelettorale di Donald Trump?Bauman fornisce risposte importanti aquesto quesito, tracciando un quadrolucido dei pericoli insiti nella reazioneoccidentale all’immigrazione, ma anchedelle sue ragioni.Quella in atto, secondo l’Autore, è “Dav-vero una sfida enorme, di vita o di mortenel senso più vero e pieno: di vita comuneo di morte comune. Siamo ormai prossimi– o già arrivati – a un bivio lungo il cammi-no verso i nostri possibili futuri: una stra-da porta al benessere fondato sulla colla-borazione, un’altra conduce all’estinzionecollettiva. Ma non siamo ancora riusciti adinnalzare la nostra consapevolezza, lenostre intenzioni e le nostre azioni alladimensione già raggiunta (in modo quasicertamente irreversibile) dalla nostrainterdipendenza di specie: a una situazio-ne cioè in cui la scelta fra sopravvivenzaed estinzione dipende dalla nostra capaci-tà di convivere fianco a fianco, in pace,

solidarietà e collaborazione, con stranieriche possono avere (o non avere) opinioni epreferenze simili alle nostre.” (pag. 61-62) La lunga citazione rende la passionecon cui Bauman affronta il tema: si trattaquasi di un suo testamento morale.Quali sono le ragioni dell’ostilità che scate-nano in occidente l’emergenza migratoria?L’aumento dei delitti (anche se in Italianegli ultimi anni sono addirittura diminui-ti)? Il rischio per il nostro benessere (anchese le imprese avanzano domanda crescentedi immigrati e i nostri sistemi pensionisticireggono grazie a loro)? Nulla di tutto que-sto. Le ragioni della paura vanno cercatenella precarizzazione crescente delle socie-tà occidentali, nell’insicurezza che caratte-rizza sempre più il nostro orizzonte lavora-tivo. Ma, a differenza di quanto ritenutodagli operai inglesi che hanno votato per laBrexit, tale precarizzazione non è colpadegli immigrati ma della concorrenza glo-bale. Secondo Bauman, gli immigrati sonoanzitutto percepiti come messaggeri disventura, capri espiatori con cui prenderse-la, incolpandoli di quello di cui sono in real-tà le prime vittime, vista l’impotenza nelfarvi fronte sul terreno politico e sindacalelocale: l’evoluzione dei mercati su scalaplanetaria.A una società gerarchica – che nella gerar-chia garantiva anche sicurezza – è suben-trata una società fondata sulla prestazioneindividuale, nella quale ciascuno si sentesolo nell’affrontare il mercato. La frustra-zione che ne deriva si sfoga su quelli piùdeboli di noi: o noi o loro dice Trump, e loseguono anzitutto quelli che – pure negliU.S.A. che stanno vivendo un momento di

Conversare congli “stranieri”di Osvaldo Cisternino

Zygmunt BaumanStranieri alle porte

Laterza 2016 (p. 116, € 14,00)

Finestre

39

crescita economica – si sentono incerti sulloro futuro, la classe media precarizzatache spera, erigendo muri, di salvare quelpoco che resta delle proprie certezze. È untrucco da illusionisti (così lo definisceBauman) quello che usa Trump, al pari diOrban, Farage, Le Pen, Salvini e tutti quel-li che promettono finte e impossibili sicu-rezze, lucrando sulla paura.Muovendo dall’analisi sociologica, il saggiosi inoltra anche sulle strade dell’antropolo-gia e della filosofia. Ricorda l’Autore chefino a un paio di secoli fa la maggioranzadegli uomini viveva tutta la vita fra personeconosciute, uscendo difficilmente dall’oriz-zonte del proprio paese. È più difficile pro-vare compassione per individui sconosciuti,che si affacciano alle nostre frontiere comestranieri, dei quali non conosciamo la lin-gua, la cultura, la religione, i valori e daiquali non sappiamo cosa aspettarci.Quello della diffidenza e della reazioneverso lo straniero che invade il nostro terri-torio è un riflesso istintivo. Eppure già Kant,ricorda Bauman, era consapevole dellanecessità dell’integrazione. Nella sua opera“Per la pace perpetua” egli affermava: “Ildiritto cosmopolitico deve essere limitatoalle condizioni della ospitalità universale”.Questo non va visto in termini di filantropiama “di diritto, e perciò ospitalità significail diritto di uno straniero di non essere trat-tato ostilmente quando arriva sul suolo diun altro (…). Non è un diritto di essere ospi-tato, ma un diritto di visita, che spetta atutti gli uomini, di proporsi come membridella società per via del diritto al possessocomune della Terra, su cui, giacché è unasuperficie sferica, essi non possono disper-dersi all’infinito e devono infine sopportar-si a vicenda, e originariamente nessuno hapiù diritto che un altro a stare in un luogo

di essa”. La Terra è uno spazio limitato eormai anche esaurito. Non c’è più spazioper l’espansione, ma solo per la convivenza.Questo diventa dunque un imperativo mora-le. Ma la morale è spesso aggirata, inven-tando interazioni moralmente indifferenti,nelle quali conta l’efficacia dell’azione,legittimata da una presunta necessità didifesa. Non si può certo dimenticare la Ger-mania nazista. Qui l’Autore cita HannahArendt, filosofa autrice della celebre operaLa banalità del male: “non c’era bisogno diessere convinti per aderire al nuovo credo,dimenticando dal mattino alla sera, non ilproprio stato sociale, ma le convinzionimorali che un tempo lo caratterizzavano”.Basta creare un fossato fra noi e loro: allo-ra gli ebrei, cospiratori causa di tutti mali,

ora gli immigrati, che portano malattie eterrorismo, come se non fossero proprioloro le prime vittime del terrorismo.Così può capitare che ci commoviamo unattimo vedendo la foto del piccolo Aylan,il suo corpo abbandonato su una spiaggiaturca, ma non riusciamo a commuovercitutte le volte (ogni giorno) che sappiamodi naufraghi in quel gran cimitero che stadiventando il Mediterraneo.Bauman cita il toccante discorso di PapaFrancesco a Lampedusa: “Oggi nessuno almondo si sente responsabile di questo;abbiamo perso il senso della responsabili-tà fraterna. […] La cultura del benessere,che ci porta a pensare a noi stessi, cirende insensibili alle grida degli altri, cifa vivere in bolle di sapone, che sonobelle, ma non sono nulla, sono l’illusionedel futile, del provvisorio, che portaall’indifferenza verso gli altri, anzi portaalla globalizzazione dell’indifferenza”.L’alternativa, necessaria per la sopravvi-venza stessa dell’umanità, Bauman la indi-ca nella conoscenza reciproca. Ma non soloon line, perché egli coglie la tendenza arifugiarvisi per sottrarsi alle contraddizioniche viviamo off line. Piuttosto, citando ilgrande filosofo del novecento Gadamer,nella conversazione come fusione di oriz-zonti, ricerca della verità insieme.Solo così diverrebbe possibile l’avverarsidella preghiera di Papa Francesco, cheBauman definisce “una delle poche figurepubbliche che ci avvertano dei pericoli difare come Ponzio Pilato” (pag. 18):domandare al Signore “la grazia di piange-re sulla nostra indifferenza, di piangeresulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi,anche in coloro che nell’anonimato pren-dono decisioni socio-economiche che apro-no la strada ai drammi come questo”.

Finestre

FI

NE

ST

RE

40

La recente polemica seguita all’aggressione via web subìta daNatalia Aspesi per aver confessato, in una rubrica in rete, di nonaver mai letto un sonetto di Foscolo, merita un piccolo resocon-to per le riflessioni importanti che si porta dietro. Per prima cosac’è da segnalare la mancanza di bon ton da parte di molti utentidi internet. Il confronto, nella platea per definizione più aperta,libera e democratica, è stato segnato da volgarità e attacchi viru-lenti, anche in questa vicenda. In questi casi viene da pensare,scherzando su McLuhan, che questo medium, il web, più checome un massaggio appaia come una vera randellata virtuale, chelascia più lividi e rompe più costole di una bastonata reale, poi-ché aggredisce sotto tantissimi sguardi. Fortunatamente, dataanche la materia del contendere (la conoscenza della letteraturaattraverso la pratica della lettura), hanno poi avuto il sopravven-to i toni sereni, in punta di mouse si direbbe, rispetto alle urla dastadio. In contrapposizione agli improperi maleducati e suppo-nenti di chi si è forse fermato al livello delle antologie delle scuo-le medie, si sono levate tante voci (di studenti, docenti, criticiletterari, librai, e semplici lettori) in favore di una piena libertànell’approccio alle opere letterarie. I lettori, veri padroni delcampo, sono i soli autorizzati a parlare di libri (di carta e digitali)e a rivendicarne l’uso illimitato e assolutamente personalizzato.Nella comunità dei lettori è pacificamente ammesso che si possaignorare un grande scrittore o poeta e ritenersi comunque degna-mente partecipi del mondo della cultura letteraria. Non c’è autorità che possa imporre comandamenti su autori,generi e temi a chi legge abitualmente poesia e narrativa.Questo non vuol dire che un lettore “forte” non sappia comeentrare e uscire dal cantiere degli addetti ai lavori della lettera-tura e capire quale uso fare dei canoni e dei materiali critici, peravere conferme e suggestioni su un autore, uno stile, un’epoca.L’importante è l’esercizio della lettura, libero, volontario e fai-da-te. Certamente, questo dibattito ci ha fornito una bella occa-sione per ragionare sulla lettura, intesa come piacere (quindi nonrivolta al lavoro e non imposta dalla scuola) e per rilevare, anco-ra una volta, che leggere è un’attività in cui meglio si afferma lalibertà di pensiero e che meglio esprime la pienezza di una per-sona. Il piacere del leggere contiene in sé concetti come apertu-ra mentale, allenamento alla riflessione, godimento della bellez-za dell’immaginario. Questi valori possono sembrare raffinatezzenon in linea con i nostri tempi e con la scansione digitale che que-sti tempi vorrebbero imporre alle nostre esistenze. Possiamo allo-ra richiamare ricadute più immediatamente utilitaristiche dellaconsuetudine alla lettura affermando, senza timore di smentita,che la diffusione della lettura aiuta lo sviluppo economico e ilprogresso del Paese. Questo emerge chiaramente dai dati ISTAT

relativi alla diffusione della lettura in Italia per il 2015. Le tabel-le dicono che il 62 per cento degli italiani non ha letto un libro intutto l’anno e dimostrano che la scarsa propensione alla lettura èda catalogare fra criticità forti che pesano negativamente sullafamosa crescita.Per dimostrarlo sono illustrate le eccellenti performance delrestante 38 per cento della popolazione, la schiera dei lettori.Pur tenendo sempre presente che stiamo parlando di statistichee che le percentuali indicano la frequenza con cui si manifesta unfenomeno-comportamento in determinate fasce di popolazione,possiamo dire che chi legge vive meglio, in tutti i sensi. Risultache i lettori (più numerosi al Nord, fra le donne e fra i giovani)hanno un reddito più elevato, utilizzano più proficuamente iltempo libero, fanno più sport, frequentano di più musei e teatri,navigano di più sul web e, soprattutto, guardano con più ottimi-smo l’avvenire. L’esatto contrario del luogo comune che vede ilettori, soprattutto della carta stampata, come una specie emar-ginata, quasi in via di estinzione, escluso dai trend della moder-nità e dello sviluppo.

Leggete e moltiplicatevi!di Americo Pagliara

RESPONSABILE DI REDAZIONE Vittoria SCORDO GRUPPO DI REDAZIONE Guido BARCUCCI, Luca STANZIONEPROGETTO GRAFICO ORIGINARIO Armando Artibio FANFONI - RESTYLING URAKEN GraphixRedazione Via Morgagni 27 - 00161 Roma - Tel. 06.440761 Contatti mail: [email protected] - I numeri arretrati sono consultabili su: www.filtcgil.itSupplemento al n°7 settembre 2016 de “Il lavoro nei trasporti” Mensile della FILT-CGIL nazionale Direzione/Amministrazione EDITRICE EDITRASPORTIVia Morgagni 27 - 00161 Roma Iscritto al n°92/82 del Registro Pubblicazioni periodiche del Trib. di Roma il 10/3/82 Testata registrata presso il RegistroNazionale della Stampa Direttore Responsabile Paolo Serventi Longhi Sped. in abb. postale c26 art.20 lett. B art.2 della legge 23/12/96 n° 662 RomaChiuso in tipografia: 10 novembre 2016 BINE EDITORE - Corso di Porta Vittoria 43, MilanoVideoimpaginazione e fotolito PRG Via Gaffurio 2, Milano - [email protected] - Graphic Artist: Roberto Ambrosioni

NOSTOP

GA

LL

ER

IA

FILT-CGIL