Numero 4/2010

40
Periodico della Fondazione Mezzogiorno Europa – Direttore Andrea Geremicca – Art director Luciano Pennino 4 Luglio/agosto 2010 – Anno XI Reg. al Trib. di Napoli n. 5112 del 24/02/2000. Spedizione in abbonamento postale 70% Direzione Commerciale Imprese Regione Campania Sul mezzogiorno si gioca l’avvenire del paese | Andrea Geremicca I l Mezzogiorno, assieme al Federalismo e alla Giustizia, è il terreno sul quale si deci- deranno i rapporti di forza al’interno dell’attuale maggioranza. E l’esistenza stessa di una maggio- ranza di centro destra. Sull’altro fron- te si avrà la conferma o meno del centro sinistra come grande forza utile e nazionale. Alle prese com’è con la Questione settentrionale (che, tra l’altro, come questione non esi- ste) e con l’esigenza di contenere l’aggressione al proprio elettorato da parte della Lega e del PDL, il centro sinistra si pone e pone, certo, il pro- blema del Mezzogiorno. Ma non sembra crederci più di tanto. Così stando le cose, si potreb- be dire che il Mezzogiorno è tornato al centro dell’agenda politica nazio- nale. Forse si. Ma sembra torna- re tutto dentro un gioco tattico pre-elettorale, teso ciascu- no a conquistare comunque consensi al Sud an- ziché porre il Sud realmente al cen- tro di idee, propo- ste, strategie, pro- grammi e progetti che guardino e si riferiscano agli in- teressi del paese e dell’Europa. Il problema è co- gente e inquietan- te. Perché senza una prospettiva lunga e un respiro profondo il dualismo è destinato ad aggravarsi. E l’Italia a farsi sempre più piccola e meno competitiva. E ad approfondirsi il solco che divide il Nord e il Sud – una sorta di seces- sione strisciante – nella coscienza nazionale. Tra le tante riflessioni su questi temi, colpisce quella esposta sul Cor- riere della Sera di fine Agosto da Er- nesto Galli della Loggia, per il quale la questione che domina su tutte le altre la politica italiana è quella della coesione nazionale, ovvero il proble- ma di come… a pagina 2 Ê C’è un modo speciale per par- lare di Sud: parlarne al femminile. E parlarne con le cronache, che nel Mezzogiorno hanno sempre del me- taforico: cronache meridionali, si di- ceva una volta. Prendiamo lo scan- dalo di fine agosto, ridotto alla trama essenziale. A Messina, due uomini litigano per invidie e gelosie, arriva- no a menare le mani di fronte ad una donna, al corpo di una donna, che aveva bisogno di aiuto e ha rischia- to la vita nell’indifferente furia cieca dei galli da combattimento. Il fatto che questi due uomini fossero dei medici dice poco, il fatto che fosse- ro in sala parto è raccapricciante, il fatto che la donna fosse partorien- te, che un maschietto di nome An- tonio sia venuto al mondo in queste circostanze e che la conseguenza della rissa sia stata l’asportazione dell’utero della donna infittiscono l’ordito metaforico. a pagina 7 Ê NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD Giuseppe Provenzano Il futuro del Mezzogiorno è più che mai in Europa Enzo Giustino Quando alcuni anni fa Giorgio Napolitano insieme ad alcuni suoi amici, in particolare Andrea Geremicca, scelse il bi- nomio “Mezzogiorno Europa”, penso che non intendesse solo dare un nome ad un’associazio- ne, oggi fondazione, ed un tito- lo ad una rivista. a pagina 4 Ê SUDAFRICA Dopo la Coppa del Mondo torna il silenzio Enzo Nucci L’arbitro inglese Howard Webb non ha avuto il tempo di fischiare il fine partita tra Spagna e Olanda che le strade polverose e malridotte delle township del Sudafrica sono tornate a brucia- re come due anni fa. In realtà già una settimana prima… a pagina 13 Ê Le immagini che illustrano questo numero sono manifesti politici del Novecento dedicati alle donne.

description

Rivista Mezzogiorno Europa

Transcript of Numero 4/2010

Page 1: Numero 4/2010

Periodico della Fondazione Mezzogiorno Europa – Direttore Andrea Geremicca – Art director Luciano Pennino

4Luglio

/ago

sto 2

010

– An

no X

I

Reg. al Trib. di Napoli n. 5112 del 24/02/2000.Spedizione in abbonamento postale 70%

Direzione Commerciale Imprese Regione Campania

Sul mezzogiorno si gioca l’avvenire del paese | Andrea Geremicca

I l Mezzogiorno, assieme al Federalismo e alla Giustizia, è il terreno sul quale si deci-deranno i rapporti di forza

al’interno dell’attuale maggioranza. E l’esistenza stessa di una maggio-ranza di centro destra. Sull’altro fron-te si avrà la conferma o meno del centro sinistra come grande forza

utile e nazionale. Alle prese com’è con la Questione settentrionale (che, tra l’altro, come questione non esi-ste) e con l’esigenza di contenere l’aggressione al proprio elettorato da parte della Lega e del PDL, il centro sinistra si pone e pone, certo, il pro-blema del Mezzogiorno. Ma non sembra crederci più di tanto.

Così stando le cose, si potreb-be dire che il Mezzogiorno è tornato al centro dell’agenda politica nazio-

nale. Forse si. Ma sembra torna-re tutto dentro un gioco tattico

pre-elettorale, teso ciascu-no a conquistare comunque

consensi al Sud an-ziché porre il Sud realmente al cen-tro di idee, propo-ste, strategie, pro-grammi e progetti che guardino e si riferiscano agli in-teressi del paese e dell’Europa. Il problema è co-gente e inquietan-te. Perché senza

una prospettiva lunga e un respiro profondo il dualismo è destinato ad aggravarsi. E l’Italia a farsi sempre più piccola e meno competitiva. E ad approfondirsi il solco che divide il Nord e il Sud – una sorta di seces-sione strisciante – nella coscienza nazionale.

Tra le tante riflessioni su questi temi, colpisce quella esposta sul Cor-riere della Sera di fine Agosto da Er-nesto Galli della Loggia, per il quale la questione che domina su tutte le altre la politica italiana è quella della coesione nazionale, ovvero il proble-ma di come… a pagina 2 Ê

C’è un modo speciale per par-lare di Sud: parlarne al femminile. E parlarne con le cronache, che nel Mezzogiorno hanno sempre del me-taforico: cronache meridionali, si di-ceva una volta. Prendiamo lo scan-dalo di fine agosto, ridotto alla trama essenziale. A Messina, due uomini

litigano per invidie e gelosie, arriva-no a menare le mani di fronte ad una donna, al corpo di una donna, che aveva bisogno di aiuto e ha rischia-to la vita nell’indifferente furia cieca dei galli da combattimento. Il fatto che questi due uomini fossero dei medici dice poco, il fatto che fosse-

ro in sala parto è raccapricciante, il fatto che la donna fosse partorien-te, che un maschietto di nome An-tonio sia venuto al mondo in queste circostanze e che la conseguenza della rissa sia stata l’asportazione dell’utero della donna infittiscono l’ordito metaforico. a pagina 7 Ê

NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUDGiuseppe Provenzano

Il futuro del Mezzogiornoè più che maiin Europa

Enzo Giustino

Quando alcuni anni fa Giorgio Napolitano insieme ad alcuni suoi amici, in particolare Andrea Geremicca, scelse il bi-nomio “Mezzogiorno Europa”, penso che non intendesse solo dare un nome ad un’associazio-ne, oggi fondazione, ed un tito-lo ad una rivista. a pagina 4 Ê

SudafrIca dopo la coppa del Mondotorna il silenzio

Enzo Nucci

L’arbitro inglese Howard Webb non ha avuto il tempo di fischiare il fine partita tra Spagna e Olanda che le strade polverose e malridotte delle township del Sudafrica sono tornate a brucia-re come due anni fa.

In realtà già una settimana prima… a pagina 13 Ê

Le immagini che illustrano questo numero sono manifesti politici del Novecento dedicati alle donne.

Page 2: Numero 4/2010

2

segue» Sul mezzogiorno si gioca l’avvenire del paese | Andrea Geremicca

dalla prima pagina Ê

…tenere ancora assieme il Nord e il Sud del Paese. E mette a fuoco i due poli della “protesta” che rischia di la-cerare il paese. Quella “nordista”, che pone problemi che non sono specifici del Nord, bensì dello Stato nazionale anche se al Nord se ne sente di più il peso. E quella “sudista” che si presen-ta come rivalsa antinordista, portatri-ce di un rivendicazionismo risanatore per il proprio mancato sviluppo. La “protesta” del Nord si accompagna, secondo l’Autore, all’affermazione in loco di una nuova classe politica, mentre quella del Sud non tiene in alcun conto il principale ostacolo di qualsiasi possibile sviluppo del Mez-zogiorno : la pochezza delle classi di-rigenti locali, che continuano a stare al loro posto perché votate dai propri elettori, i quali non si rendono conto

che le ragioni del Sud ci sono, ma non sono presentabili all’opinione pubblica del paese con qualche pos-sibilità di successo fintanto che non le si strappa dalla mani di chi finora ha governato il Mezzogiorno, da destra e da sinistra.

Abbiamo riportato diffusamen-te il ragionamento di Galli della Log-gia perché ci sembra per molti versi convincente. D’altronde il proble-ma, o meglio il danno di una man-cata autocritica del Mezzogiorno è il tratto principale (da varie parti non condiviso, anzi contestato) del-la Fondazione Mezzogiorno Europa e di questa rivista. Ed è l’assillo del Presidente della Repubblica, al qua-le pare testualmente riferirsi Galli della Loggia: Se ci si sottrae ad un esercizio di responsabilità per quello che riguarda l’amministrazione della cosa pubblica nel Mezzogiorno – ha

osservato Giorgio Napolitano in un recente intervento a Napoli – non si hanno poi i titoli per resistere anche a interpretazioni le più perverse del Federalismo fiscale.

Detto tutto questo, e riconosciu-to quello che va riconosciuto, occorre tener presente un paio di questioni.

Primo. Al netto dalla “pochezza” delle classi dirigenti meridionali, per gli interventi di propria competenza al Sud lo Stato nazionale può davvero dire di essere più trasparente ed ef-ficiente dei poteri locali? E il governo nazionale, che ogni tanto lancia, chiu-de nel cassetto e rilancia il fantoma-tico “piano per il Mezzogiorno” (una scatola vuota, niente più di un titolo nei rapporti con i media e nel braccio di ferro tra le varie componenti inter-ne, e quel poco di “pieno” che c’è, e un pieno per un verso insufficiente, per l’altro pericoloso), può davvero

sostenere di avere una reale strate-gia, un sistema organico di politiche pubbliche per il Mezzogiorno? Sen-za ripetere le cifre del divario, ormai note e arcinote, vogliamo parlare del-le risorse destinate al Sud da alcuni Ministeri-chiave? A cominciare dai fondi per attrezzare gli Uffici giudizia-ri, spesso in condizioni penose, o per supportare le forze di Polizia, costret-te alla lesina per la benzina, gli uomi-ni e i mezzi in territori difficilissimi? Eppure si tratta di settori nei quali il Governo può legittimamente vantare qualche successo per l’intelligenza, l’impegno e il sacrificio degli addetti ai lavori. Figuriamoci gli altri.

Secondo. Il Mezzogiorno è diven-tato come la tovaglia del barbiere: anche il più sprovveduto se lo può passare sulla faccia. Allora, al di là dei lamenti pietosi, chiediamoci se i governi e le forze politiche nazionali

AltreAfricheNetwork interna ziona le

d i r i v i s t e c u l t u r a l i

a f r i c a n e e d e u r o p e e

da pag. 12 a pag. 20

Paesi del Sud del Mediterraneo.Crescita e opportunità di business

nel contesto delle relazionicon l’Unione Europea

I N T E S A S A N P A O L O

A L C E N T R O D E L L A R I V I S T A

Europa Reagire alla decadenza Rilancio europeo Andrea Pierucci » » 23

Focus permanente Rapport UE-Russia Carmine Zaccaria » » 27

EuronotE Andrea Pierucci » » 34

sommario

Page 3: Numero 4/2010

3

segue» Sul mezzogiorno si gioca l’avvenire del paese | Andrea Geremicca

possono dire sul serio di non avere mai “utilizza-to” per puro calcolo di potere le classi dirigen-ti meridionali, così come sono, per i voti che por-tano? Magari turando-si il naso: Rinunciando però a condurre una forte battaglia civile, culturale e politica per il risanamento e il rin-novamento del sistema politico e istituzionale meridionale. Ci si obiet-ta: ma in democrazia sono gli elettori a do-ver procedere al ricam-bio delle proprie rap-presentanze. Lasciamo stare la retorica. In un paese civile l’afferma-zione della democrazia e il consolidamento del-la coesione nazionale in ogni parte del territorio sono il frutto di politiche responsabili a livello lo-cale e nazionale, di si-stemi strutturati di par-tecipazione popolare, di un clima complessivo di crescita civile. Nel vuoto, prevalgono ras-segnazione, sfiducia, conformismo e trasfor-mismo. Trovano spazio da una parte le spinte “sudiste”, dall’altra quelle “nordiste”, che stressano il tessuto connettivo del Paese.

La sollecitazione, da parte no-stra, di un giudizio responsabile ed equilibrato sulle responsabilità da un lato delle classi dirigenti locali, dall’altro di quelle nazionali, non de-riva solo da ragioni di correttezza e

oggettività. Deriva dalla preoccupa-ta consapevolezza di una tendenza in atto, che va denunciata e com-battuta: l’uso strumentale della “po-chezza” delle classi dirigenti locali, della crisi (usiamola questa parola!) del regionalismo meridionale, per ri-lanciare in qualche modo una nuova centralizzazione dell’intervento pub-blico nel Mezzogiorno. Mi riferisco

alla “Cabina di regia” che dovrebbe mettere assieme Stato e Regioni per programmare infrastrutture strategi-che da attuare attraverso una Agen-zia per lo sviluppo. Intendiamoci: il coordinamento dei diversi livelli isti-tuzionali e dei diversi Fondi, europei compresi, (che assommano a circa 100 miliardi di lire) è cosa buona. E l’ipotesi di un’unica tecnostruttura

per realizzarli non ci fa gridare al pericolo di una nuova “Cassa”, può funzionare. Il rischio è che le Regioni, intimi-dite e condizionate dal fallimento pluridecen-nale della spesa pubbli-ca nazionale ed europea attraverso una miriade di minuscoli interventi (a livello del cortile o del condominio), nel sacro-santo tentativo di reagi-re a spinte localistiche, deleghino di fatto i pro-pri poteri di program-mazione e controllo. E si lascino prendere la mano da opere farao-niche e inutili (penso al Ponte sullo Stretto) che con i reali interessi delle popolazioni me-ridionali hanno poco a che vedere.

Staremo comunque a vedere il “punto sul Mezzogiorno” prean-nunciato da Berlusco-ni per ricucire il centro destra (e per evitare l’erosione elettorale al Sud da parte di Fini). Staremo a vedere l’en-nesima riedizione del

“piano per il Mezzogiorno”. Staremo a vedere le proposte delle minoran-ze. Auspicando che non si limitino a vedere e chiosare ma che sappiano promuovere il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini su un pro-gramma concreto e una prospettiva alta di sviluppo e rinnovamento. Alla quale questa rivista non mancherà di dare il proprio contributo.

Page 4: Numero 4/2010

4

dalla prima pagina Ê

…Egli con quell’espressione, a mio sommesso parere, intendeva anche riassumere il senso di una politica, l’unica concepibile per configurare un futuro per il Mezzogiorno.

Sin da allora infatti, in ragione della sua lunga esperienza politica, in Italia e in Europa, all’attuale Pre-sidente della Repubblica risultava abbastanza chiaro che il Mezzogior-no, con il declino del meridionalismo, ed il suo definitivo tramonto, poteva concepire il proprio futuro insieme al resto del paese certamente, ma solo in una prospettiva Europea. Con que-ste affermazioni non ho certamente la pretesa di voler o poter essere l’interprete del pensiero del Presi-dente, ma non posso nemmeno non ricordare che fu questa l’indicazio-ne di fondo che ne ricavai quando in quegli anni fui tra coloro che ebbero il privilegio di essere chiamati a col-laborare per dar vita all’associazione e alla rivista.

In questi ultimi anni natural-mente molte cose sono cambiate. L’economia globale si è andata sem-pre più consolidando e l’ingresso sui mercati di grandi paesi ha sovvertito profondamente gli antichi equilibri. È poi intervenuta la crisi finanziaria ed economica, che pur essendo nata al di là dell’Atlantico, nell’era globale, non poteva non coinvolgere il mondo intero. In particolare l’Europa, con i suoi negativi riflessi sul suo cammino verso una unione politica e sociale, oltre che economica.

Un obiettivo questo quanto mai importante per realizzare ciò che Neisbitt definì il “sogno europeo”. Una unione di Stati cioè fondata sul-la democrazia, la libertà, la pace, lo

Il futuro del Mezzogiorno è più che mai in Europa

Enzo Giustino

Page 5: Numero 4/2010

5sviluppo economico, ma insieme an-che la solidarietà sociale. Tra l’altro una via, come ci ha insegnato Jean Monnet – osservavo in occasione della ripubblicazione del suo libro di memorie – per perseguire con mag-giore successo il bene supremo del-la pace in un continente storicamen-te litigioso. Tra l’altro, va ricordato ai giovani, capace di scatenare due guerre mondiali in meno di 26 anni nella prima metà del secolo scorso. Il problema che si pone oggi quindi, come conseguenza della crisi ancora in atto, è che quel processo ha subi-to una pericolosa battuta di arresto, con conseguenti tentazioni da parte dei paesi membri dell’Unione, per un ritorno a politiche protezionistiche. “L’Unione Europea sta morendo” ha scritto Charles Kupchan, su Il Sole 24 Ore; “Non una morte drammatica o improvvisa, ha aggiunto, ma una morte lenta e prolungata”. Come scongiurare tutto questo rilanciando il grande disegno dell’Europa unita, sembrerebbe essere divenuta l’au-tentica sfida del nostro tempo, una sfida che la Commissione Europea si è già posta, stimolata proprio dall’in-teressante dibattito che si va svilup-pando tra autorevoli esponenti della politica, della cultura, dell’economia, del giornalismo. E i punti di riferimen-to per affrontare questa sfida, come si è già avuto occasione di ricordare in altra sede, sono essenzialmente due: Il rapporto sul mercato unico di Mario Monti, commissionato dal Presidente Barroso; il documento “Europa 2020”; “una strategia per una crescita intelli-gente, sostenibile ed inclusiva” vara-to dalla Commissione Europea.

Ma fermo restante l’importan-za di quei documenti ed il prezioso contenuto degli stessi, ciò che va sottolineato sono le motivazioni che animano i responsabili della costru-zione europea.

In una recente intervista al Cor-riere della Sera, il Presidente Bar-

roso, commentando l’aspirazione dell’America a poter contare su una Europa più forte, ha testualmente af-fermato: “Immaginatevi in un mondo globalizzato come oggi se la Francia, la Germania o l’Italia si dovessero muovere da sole. Non sarebbero in grado di proteggere i loro interessi. Ai 27 diversi governi nazionali oggi con-viene trovare una visione comune”.

E questo ci riporta in Italia, e quindi al Mezzogiorno; al problema di come poter conciliare le aspirazioni del Nord – ma sarebbe più opportu-no definirle interessi – con quelle del Sud. Ma anche qui parlare di interessi nemmeno sarebbe sbagliato.

E proprio a questo riguardo, ciò che appare assolutamente certo è che il rilancio dell’Europa potrebbe essere vissuto dal Mezzogiorno come una opportunità. Soprattutto se il Mezzogiorno fosse in grado di crea-re al suo interno le condizioni atte a consolidare questa opportunità, assu-mendo tra l’altro una posizione strate-gica nel Mediterraneo con l’Europa e per l’Europa, si è sostenuto negli anni. Peraltro ancora prima che fosse pro-gettata l’area Mediterranea di libero scambio e, successivamente, l’Unio-ne per il Mediterraneo. Certamente, il Mezzogiorno, come è stato autore-volmente sostenuto, non può fare da solo. Ma i presupposti affinché possa essere valutato positivamente dal re-sto d’Italia e, soprattutto dall’Europa, e dal Mediterraneo, il Mezzogiorno non può che crearli da solo, al suo in-terno. Valorizzando le potenzialità e le risorse di cui dispone, dotandosi delle caratteristiche necessarie per indurre i possibili partners italiani, europei e mediterranei ad avere fiducia e con-seguentemente a scommettere. E a questo proposito vale la pena richia-mare ancora una volta Jean Monnet e l’ammonimento con cui conclude le sue memorie: “non possiamo fermarci quando introno a noi il mondo intero è in movimento”.

Page 6: Numero 4/2010

FASTWEB si è fatta in quattro per te, ora è il tuo momento. Non piùsolo internet, telefono e Tv: da oggi puoi fare un altro passo avanti.Come? Fatti il cellulare FASTWEB. Anche perché sottoscriverequattro servizi con un unico operatore non solo semplifica la vita, maconviene. Entra anche tu nell’unica famiglia che può darti tuttoquesto: FASTWEB.

Internet, telefono,Tvo cellulare?Tutti e quattro.

www.fastweb.it chiama 192 192Per info su copertura, costi di attivazione, tcg e offerta, visita www.fastweb.it, chiama 192 192 o rivolgiti presso i punti vendita.

Rivista mezzogiorno europa205x250:Layout 2 2-03-2009 15:15 Pagina 1

Page 7: Numero 4/2010

FASTWEB si è fatta in quattro per te, ora è il tuo momento. Non piùsolo internet, telefono e Tv: da oggi puoi fare un altro passo avanti.Come? Fatti il cellulare FASTWEB. Anche perché sottoscriverequattro servizi con un unico operatore non solo semplifica la vita, maconviene. Entra anche tu nell’unica famiglia che può darti tuttoquesto: FASTWEB.

Internet, telefono,Tvo cellulare?Tutti e quattro.

www.fastweb.it chiama 192 192Per info su copertura, costi di attivazione, tcg e offerta, visita www.fastweb.it, chiama 192 192 o rivolgiti presso i punti vendita.

Rivista mezzogiorno europa205x250:Layout 2 2-03-2009 15:15 Pagina 1

7NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD | GIUSEPPE PrOVENzANO

dalla prima pagina Ê

Chi ha avuto la ventura di trovar-si, quest’estate, dove non arrivano i giornali o tardano fino all’ora in cui la voglia e il bisogno di quotidiano fini-scono, e ha poi provato a rimettersi in pari con gli arretrati, avrebbe po-tuto ritrovare un filo rosso dalle cro-nache: l’estate dei maschi e l’estate delle donne. Uomini (politici, per lo più – maschi politici) impegnati in duelli senza onore e cavalleria, sog-getti a gossip diffamatori che hanno sempre per oggetto le donne, i loro tinelli. E poi le donne: corpi di donne in pubblicità per cui proviamo, con colpevole ritardo, un filo rosso di ver-gogna. E ancora, donne corpo del rea-to – un filo rosso di sangue: assassini selvaggi per strada, assassini dome-stici, stupri, abusi e “malamore”.

Forse è giunto il momento di ri-mettersi a discutere, seriamente, di maschi e femmine, in un Paese che ancora dovrà fare i conti con le que-stioni dell’integrazione, e che oggi accoglie spudoratamente Gheddafi, commercia e converte hostess.

Viene il sospetto che queste cronache al femminile siano solo i frammenti di uno specchio e restitu-iscano l’immagine, parziale e grave, della condizione femminile nel nostro Paese. Di qui l’urgenza di risalire dalla cronaca alla società, alle sue istitu-zioni, all’economia.

Guardando all’Italia da Sud, lad-dove duole.

A fine luglio, insieme a Luca Bianchi, Vicedirettore della SVI-MEZ, abbiamo presentato un dos-sier sulla condizione femminile al Sud. Se c’è una questione femminile nel nostro Paese – come denunciano anche i recenti dati OCSE sul mer-cato del lavoro – è essenzialmente una questione meridionale. Le sta-tistiche – le statistiche economi-che, in particolare – arrivano molto dopo le storie di ogni stagione che tuttavia conquistano pagine e co-

lonne nella stanca dell’agosto e, si sa, possono essere un formidabile anestetico. Ma metterle in fila tut-te insieme fa una certa impressione. Perché i numeri stanno lì da tempo, offrono un’intelligenza fredda, fin troppo precisa: tanto da non sapere bene se siano più astratte le vicen-de individuali e le cronache elevate a simbolo o la cognizione comples-siva dei fenomeni sociali. E allora, molto prima delle immagini sporche di sangue, eccole le fotografie del-la condizione delle donne nel Mez-zogiorno: meno di una donna su tre lavora ufficialmente; una ragazza su tre, tra i 15 e i 29 anni, è fuori dal mercato del lavoro e dal sistema formativo; le donne sono più vulne-rabili, più esposte al rischio di po-

vertà e a condizioni di marginalità e disagio sociale.

Le donnenella crisi

Nel 2009 in Italia hanno perso il lavoro per la crisi 380mila persone: nel solo Mezzogiorno 194mila, di cui 125mila giovani tra i 15 e i 29 anni e 49mila donne. Il calo della componen-te femminile, pur non raggiungendo l’intensità di quello giovanile, emerge in tutta la sua drammaticità se letto insieme ai dati strutturali del mercato del lavoro relativi alla disoccupazio-ne e alla inattività femminile. Con la crisi, la già modesta quota di donne meridionali con un’occupazione si è

ridotta, ma soprattutto si sono ineso-rabilmente chiuse le porte di accesso al lavoro per le giovani del Sud, no-nostante, come vedremo, gli elevati tassi di scolarità.

La dinamica aggrava dunque un contesto in cui la partecipazione al mercato del lavoro delle donne e dei giovani è già bassissima. Diver-samente che in Europa, in Italia le differenze di genere nel tasso di di-soccupazione continuano a essere elevate (6,8% per gli uomini e 9,3% per le donne). Nel Mezzogiorno, il tasso di disoccupazione femmini-le raggiunge, nei primi tre mesi del 2010, la percentuale del 17,6% (cin-que punti in più di quello maschile, e più del doppio di quello delle donne settentrionali). Ma il tasso di disoc-cupazione racconta solo una parte della verità sul rapporto tra donne e lavoro al Sud: anche nella ricerca del lavoro si registra una sistemati-ca emarginazione femminile. Il diva-rio delle opportunità occupazionali rispetto agli uomini, alle donne del Nord, e soprattutto a quelle dell’Eu-ropa, emerge chiaramente dal tasso di occupazione.

Il tasso di occupazione nel Mez-zogiorno, per una popolazione che va dai 15 ai 64 anni, ha raggiunto nel 2009 il valore allarmante del 44,7%, e per quanto riguarda la componente femminile di appena il 30,6%: meno di una donna su tre, appunto – e in Campania, Sicilia, Calabria e Puglia meno di 3 su 10. Sono percentuali molto distanti non solo dal resto del Paese (dove il tasso di occupazione è del 64,5% e quello femminile del 55,1%) ma anche dal resto dell’UE a 27 (rispettivamente il 64,6% e il 58,6%): il tasso di occupazione delle donne del Sud è di trenta punti infe-riore all’obiettivo fissato a Lisbona. Come chiamarla, se non emergenza? Potrebbe mai essere materia da go-verno tecnico?

Page 8: Numero 4/2010

8 NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD

La nuova formadi emarginazione socialeL’«inattività»delle giovanidonne

Nel 2009 i giovani italiani Neet (Not in education, employment or training ), cioè che non studiano, non lavorano, né lo cercano, sono aumen-tati del 6,6% rispetto al 2008, supe-rando i 2 milioni. Di questi, 850mila al Centro-Nord e 1,2 milioni al Sud. In quest’area, con poco più del 40% della popolazione di riferimento, si concentra circa il 60% dei Neet, che rappresentano il 30% della popola-zione tra i 15 ed i 29 anni (a fronte del 15% del Centro-Nord). Le giova-ni donne Neet sono 1,1 milioni, di cui 646 mila vivono al Sud. L’incidenza della componente femminile nelle re-gioni del Mezzogiorno è drammatica: una ragazza di 15-29 anni su tre nel 2009 non ha svolto né attività di stu-dio né risulta attiva sul mercato del lavoro; quasi due giovani Neet su tre sono donne.

Bamboccioni, fannulloni – come direbbe la nostra classe dirigente? La verità è che questi dati rivelano come nel Mezzogiorno il modello familiare tradizionale, basato su un unico percettore di reddito e su ruoli sociali rigidamente divisi tra uomini e donne, lungi dall’essere al tramon-to, trovi ancora una certa diffusione anche tra le nuove generazioni. In tal modo, le attese per un allargamen-to della partecipazione al mercato del lavoro e per un innalzamento dei tassi di occupazione femminili, secon-do quanto previsto dagli obiettivi di Lisbona, ne risultano in larga misura frustrate.

Le difficoltà generate dalla fase recessiva sembrano aver in linea

generale aumentato la propensione all’«inattività», con un impatto più drastico per la componente femmi-nile, mentre gli uomini, pur cercan-do meno attivamente, mantengono ancora qualche legame con il mer-cato del lavoro. Deve far riflette-re, tuttavia, il fatto che nel 2009 il tasso di attività sia sceso al Sud al 51,1%: ciò vuol dire che una persona su due in età lavorativa è completa-mente estranea al mercato del la-voro regolare (non solo non ha una occupazione ma non segue i forma-li canali di ricerca di lavoro previsti dall’indagine ISTAT). Si tratta di un esercito di oltre sei milioni e mezzo di donne e uomini che partecipa ad un mondo “grigio”, tra l’attività irre-golare nell’economia sommersa e la

ricerca estemporanea di lavori sal-tuari, attraverso canali informali se non di carattere clientelare; in molti casi, donne e uomini esposti al ri-catto della criminalità organizzata e dell’economia mafiosa.

Alla luce di queste considera-zioni, il tasso di disoccupazione uf-ficiale è molto lontano dalla realtà, e in base alle correzioni SVIMEZ, raggiungerebbe nel Mezzogiorno il valore del 32,4%: un valore sicura-mente più prossimo alle condizioni reali delle donne meridionali in quan-to tiene conto delle tante “scoraggia-te” che hanno smesso di compiere azioni formali di ricerca del lavoro perché hanno perso pure la speran-za di trovarlo.

Il grandeparadossodelle donne (e dei giovani)meridionali

Il Mezzogiorno è una società dop-piamente ingiusta dove le crescen-te disuguaglianza sociale si combi-na, accentuata, con una sempre più marcata disuguaglianza territoriale, e a fare le spese dell’una e dell’altra sono i giovani e le donne – soggetti deboli e risorse sottoutilizzate – in un curioso e terribile paradosso: essere le punte più avanzate della “moder-nizzazione” del Sud (persino sul pia-no civile) – perché hanno investito in un percorso di formazione e di cono-scenza che li rende depositari di quel “capitale umano” che serve per com-petere nel mondo di oggi e per accu-mulare il “capitale sociale” necessa-rio a porre le basi di una società diver-sa – e insieme le vittime designate di una società più immobile che altrove, e dunque più ingiusta, che finisce per sottoutilizzare o “espellere” le sue energie migliori.

Negli ultimi anni, i giovani, e in particolare le donne, meridionali sono stati protagonisti di una rivoluzione che ha avuto al centro il mondo della scuola e dell’università. Almeno con riferimento all’istruzione primaria e secondaria, il divario tra Nord e Sud è stato colmato. E sono proprio le ragazze del Sud che hanno compiuto un balzo straordinario, passando dal 85,1% del 2000-2001 al 93,9% del 2008-2009 (una percentuale supe-riore al 92,9% del Centro-Nord). Ha inciso molto il minor tasso di abban-doni precoci delle ragazze rispetto ai ragazzi. E riflessi di questa migliore scolarizzazione si evincono dai risul-tati delle indagini sul rendimento de-gli studi che mostrano buone capacità

Page 9: Numero 4/2010

9NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD | GIUSEPPE PrOVENzANO

delle ragazze meridionali (in partico-lare in italiano).

Con riferimento all’istruzione terziaria, i progressi sono ancora più evidenti. La quota di donne me-ridionali laureate, con 25 anni, è pari al 50% della popolazione di riferi-mento, avendo raggiunto negli ultimi anni i livelli del Centro-Nord. È una percentuale ben più elevata rispet-to a quella maschile, che si arresta nel Sud al 34,8% (contro il 37,1% del resto del Paese). Straordinari passi avanti sono evidenziati dal tasso di iscrizione all’Università: le giovani donne del Sud, dal 2004 al 2009, sono passate da un tasso di iscrizione uni-versitaria del 45,6% al 51,3% – non solo di gran lunga superiore a quella maschile (35,5%), ma ben al di sopra del tasso di iscrizione femminile del Centro-Nord (41,1%).

Tuttavia, questi grandi progressi rischiano di essere vanificati da un’in-sufficiente capacità del sistema pro-duttivo di assorbire queste preziose risorse umane, che in mancanza di opportunità di lavoro, sono destina-te inevitabilmente alla emigrazione, specie dei giovani maggiormente qualificati. E negli ultimi anni, infatti, il tasso di passaggio all’università, dopo un forte incremento, comincia a declinare.

La condizione lavorativa dei gio-vani, al Sud, molto più che al Centro-Nord, è infatti di “mala occupazione”: ad esempio, la mancata corrispon-denza, soprattutto per i giovani meri-dionali, tra titolo di studio e posizione professionale. In base agli ultimi dati disponibili, nel 2005, ben 3,7 milioni di persone in Italia erano sottoccupate, possedevano cioè un titolo superiore a quello richiesto dalla professione. Di questi, oltre la metà erano giova-ni che lavoravano da meno di cinque anni. Il fenomeno assumeva un’in-tensità intollerabile per le giovani

donne laureate che, in oltre la metà dei casi, risultavano “sottoinquadra-te”, svolgevano una professione che richiedeva una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta. Eufemi-smi, per una nuova forma, e subdola, di sfruttamento del lavoro.

Le giovani donne “espulse”dal Mezzogiorno

Anche il fenomeno migratorio negli ultimi quindici anni riflette i profondi cambiamenti che hanno in-teressato la struttura economica e la società meridionale – caratterizzan-dosi infatti per il crescente coinvol-gimento della componente giovanile

più scolarizzata e per una maggiore partecipazione delle donne. È pro-prio quest’ultimo uno dei principa-li elementi di diversità rispetto alle emigrazioni degli anni Sessanta: una presenza femminile che rappresenta ormai stabilmente quasi la metà dei migranti e in alcune realtà territoriali costituisce la maggioranza.

All’emigrazione “tradizionale”, si aggiunge una “nuova” emigrazione che prende il nome di “pendolarismo di lungo raggio” (residenti meridionali che lavorano nel Centro-Nord, un’emi-grazione “precaria” che non consen-te il trasferimento di residenza). Tale fenomeno rivela una sua peculiarità anche con riferimento al genere. Tra i pendolari, le donne, giovani e con

alti livelli di formazione, sono in co-stante aumento. Il 2009, infatti, vede un sensibile aumento del peso delle donne pendolari in parte ascrivibile però alla parziale tenuta della com-ponente femminile nella fase reces-siva, a fronte di una forte flessione per gli uomini. Le donne rappresen-tano il 34,4% dell’occupazione to-tale del Mezzogiorno e salgono dal 21,6% al 23,6% degli occupati che lavorano altrove.

Se studiare, per le donne, serve soprattutto ad emigrare, allora con-viene prendere d’anticipo la via del Nord, già al momento della scelta universitaria o subito dopo la laurea. Per fornire l’ultima istantanea dispo-nibile: nel 2007 gli emigranti post lauream erano il 24% del totale dei laureati meridionali (in maggioranza donne) e i mobili non tornati il 17,5%, percentuali entrambe in crescita ri-spetto al 2004, mentre i mobili tornati erano solo il 9,5% del totale (per lo più uomini), in diminuzione rispetto all’indagine precedente. Insomma, le donne, una volta emigrate, tendono a non tornare.

È settembre, e questi numeri si volgono più facilmente in volti. Tra tutti, nella mente sfila l’esercito di insegnanti meridionali (per lo più, donne) che, per effetto dei tagli della Gelmini (incomprensibilmente – cioè, comprensibilmente – squilibrati a li-vello territoriale), non trovano più un posto di lavoro nel Mezzogiorno e sono costrette ad accettare gli in-carichi annuali al Nord per continua-re a fare il lavoro che amano, con la paura della reazione dei figli e una buona dose di orgoglio, per resistere alle umiliazioni del nuovo razzismo nordista al potere. Tra loro si chia-mano “le deportate” – e stanno lot-tando e digiunando per protesta, di fronte ai provveditorati, al Ministero, al Parlamento, suscitando le reazioni scandalosamente tarde e lente di fine

Page 10: Numero 4/2010

10 NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD

estate. Sono il frammento dolente di un’intera generazione di donne meri-dionali cacciate, o in fuga.

Le conseguenzedi un modellosociale che penalizzale donnemeridionali

Ci sono diversi motivi per rite-nere che il basso livello di attività e di occupazione femminile siano le principali determinanti della povertà e dell’arretratezza del Sud. Le inade-guatezze e i divari dello “stato dei beni pubblici”, del sistema di welfare, gravano in larga misura sulla condizio-ne delle donne meridionali, determi-nando conseguenze sul piano indivi-duale, sociale e demografico.

La mancanza di lavoro è sicura-mente la principale causa dell’espo-sizione al rischio di povertà: le donne meridionali sono le più vulnerabili. Su un totale di 11 milioni e 152 mila persone a rischio di povertà in Italia (18,7% degli individui), 6 milioni e 838 mila risiedono nel Mezzogiorno. Il rischio di povertà riguarda oltre 3 milioni e seicento mila donne meri-dionali, il 34% contro il 12,6% delle donne settentrionali. Percentuali in entrambi i casi sensibilmente supe-riori a quelle maschili. Il maggior nu-mero di persone a carico e il minor numero di percettori di reddito (il 40% a un solo percettore – e dun-que, il maschio – contro il 30% del Centro-Nord) fa emergere la debo-lezza strutturale delle famiglie me-ridionali, ancora più esposte nella crisi. In particolare, le famiglie del Mezzogiorno con un solo percetto-re (e dunque, il maschio) hanno, nel 30,9% dei casi, due o più familiari a carico (e il 17,7% ne ha più di tre).

In Sicilia, per dire, le famiglie con un solo percettore superano la metà del totale.

Il sistema di welfare familiare e informale che ancora in molti casi è dominante nel Mezzogiorno, si regge sulla donna, non lavoratrice, relega-ta ad un ruolo casalingo secondo un modello sociale tradizionale: alleva-re i bambini, accudire gli anziani. Lo è “istituzionalmente”, se nel 2006 appena 4 bambini da 0 a 3 anni su 100 hanno potuto usufruire degli asi-li nido, contro i 16 del Centro-Nord. E non va meglio sul fronte anziani: nel 2008 la percentuale di over 65 trattati con assistenza domiciliare integrata è stata al Sud la metà del Centro-Nord.

Eppure le condizioni socio-econo-miche finiscono per modificare anche comportamenti sociali e propensioni culturali ben radicate. Un mercato del lavoro che non offre opportunità occupazionali, un sistema di welfare che sfavorisce la conciliazione lavo-ro-famiglia, di fatto precludono, o comunque ritardano, la scelta di fare figli. Nel 2008 il numero medio di fi-gli per donna è stato 1,34 nel Mez-zogiorno e 1,42 nel Centro-Nord. An-che se il sorpasso del Nord è dovuto principalmente alle donne straniere. L’età media della maternità è stata nel 2008 di 32 anni al Centro-Nord contro i 30,7 del Sud. Del resto, re-siste al Sud la tendenza a contrarre matrimonio a un’età media relativa-mente più giovane rispetto al Centro-

Nord, in un quadro in cui, tuttavia, l’andamento decrescente dei matri-moni, nel Mezzogiorno, a partire da-gli anni Ottanta, è stato più regolare e intenso. Ormai, non esistono più le giovani mogli e madri “prolifiche” del Sud, con tutto l’apparato simbolico e le conseguenze realissime – spesso nefaste – che ne derivavano.

Gli altri voltidel Sud

Se è vero che la struttura sociale (e istituzionale) del Mezzogiorno ten-de a consolidare e riproporre un ruolo “marginale” delle donne è vero l’esatto l’inverso: è proprio questa condizione delle donne che contribuisce a mante-nere lo stato delle cose al Sud. Tutta-via, sfuggono a questo circolo vizioso un numero sempre crescente di donne che si vanno affermando nel mondo delle professioni liberali, nel mondo della scuola (le insegnanti, l’esercito di maestre elementari), nel terzo set-tore, nell’industria culturale, nel mondo dell’arte. Ad una loro crescente presen-za, tuttavia, non sempre (anzi, assai di rado) corrisponde il relativo peso in po-sizioni apicali – di cui, la rappresentan-za politica è per molti versi un aspetto. Eppure, questi segnali indicano che il processo di affermazione economica e sociale della donna – benché “istituzio-nalmente” sfavorito – anche nel Mez-zogiorno si avvia al compimento.

Le giovani donne che studiano, quelle che lottano per conquistare posizioni lavorative adeguate o quel-le versano in “mala occupazione”, quelle in marcia verso il Centro-Nord, smentiscono definitivamente quel luogo comune radicato sulle donne meridionali “remissive”, subordinate al maschio e veicolo di un sistema di valori regressivo.

C’è una complessità storica in questo luogo comune urtican-te che nemmeno la superficialità di

Page 11: Numero 4/2010

11NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD | GIUSEPPE PrOVENzANO

quest’epoca del politicamente corret-to può rimuovere. E con cui bisogna provare a fare i conti. Leonardo Scia-scia, in una sua scandalosa intervista di quasi quarant’anni fa, parlò delle “zie di Sicilia”, evidenziando come al limitato ruolo pubblico corrisponde-va – in Sicilia, al Sud – il dominio as-soluto della donna all’interno del nu-cleo familiare. Proprio nella centralità delle figure femminili nella struttura chiusa della casa e delle relazioni di vicinato (“il matriarcato meridiona-le”), Sciascia denunciava la funzione di tramandare un malinteso corredo valoriale di onore (più spesso, ses-suale) e di vincoli arcaici di sangue da cui scaturisce violenza e vendetta: le radici della mafiosità. Tesi estrema, nel senso propriamente sciasciano di portare alle estreme conseguenze un ragionamento: eppure, non può es-sere un caso che Cosa Nostra ven-ga chiamata dagli affiliati “Mamma Santissima”. Il ruolo crescente e re-cente delle donne nell’organizzazione criminale – a cui sono affidate man-sioni precise e talvolta la reggenza della cosca nell’assenza dell’uomo (il marito, il padre) arrestato o latitan-te – un po’ trasforma e un po’ riaffer-ma questa ascendenza matriarcale. Discorso complesso, da affrontare altrove. Uscendo da una dimensione propriamente mafiologica e isolana, tuttavia, questa figura femminile de-nunciata da Sciascia, ricorda molto da vicino la “casalinga di Montegrano”, su cui Banfield si concentra nella sua fortunata (benché discutibile) indagi-ne sul “familismo amorale”.

Già la storia del Mezzogiorno, antica e recente, si è incaricata di fornire esempi eccelsi di ben altro immaginario femminile, che affer-mano il ruolo “progressivo” della donna nella società meridionale. Sia consentito, ancora, un necessario ri-chiamo alla Sicilia. Durante le rivolte dei fasci contadini di fine Ottocento, non furono rari i casi in cui furono

straordinariamente protagoniste le donne contadine, e vittime di odiose violenze nella repressione. Dagli anni che vanno dal secondo dopoguerra ad oggi, attinge il bel libro di Nando dal-la Chiesa, intitolato “Le ribelli. Storie di donne che hanno sfidato la mafia per amore”. Racconta sei storie, più o meno recenti, talvolta tragiche e drammatiche, che testimoniano non solo l’amore (materno, filiale, frater-no, carnale: sentimenti che potreb-be essere malintesi nel nostro ra-gionamento) ma la tempra morale, il valore, il coraggio di un universo femminile che sfida Cosa Nostra e lo Stato, che rompono con un modello culturale che avrebbe reso impossibi-le i loro gesti e la loro testimonianza. Altri volti del Sud.

L’archetipo di quest’altra figura di donna siciliana, meridionale, rimane Francesca Serio, la madre del sinda-calista socialista e contadino Salva-tore Carnevale, il suo unico figlio uc-ciso dalla mafia del feudo di Sciara, provincia di Palermo. Rimangono le parole, memorabili, con cui Carlo Levi descrive le sue rughe e il suo dolore: «Parla, racconta, ragiona, discute, accusa, rapidissima e precisa, alter-nando il dialetto e l’italiano, la narra-zione distesa e la logica dell’interpre-tazione, ed è tutta e soltanto in quel continuo discorso senza fine, tutta intera: la sua vita di contadina, il suo passato di donna abbandonata e poi vedova, il suo lavoro di anni, la mor-te del figlio, e la solitudine e la casa, e Sciara, e la Sicilia, e la vita tutta,

chiusa in quel corso violento e ordina-to di parole. Niente altro esiste di lei e per lei, se non questo processo del feudo, della condizione servile conta-dina, il processo della mafia e dello Stato. Così questa donna si è fatta in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre». Non serve aggiungere altro, si può solo rammentare che in quel processo – che poi si tenne a Napo-li – si fronteggiarono due avvocati, quello dei mandanti mafiosi e quello di parte civile: Giovanni Leone e San-dro Pertini…

Ora – e con ciò vorremmo con-cludere, provando a resistere alla re-torica che s’accosta minacciosa – a raccogliere un’eredità speciale ed eccezionale delle donne meridionali impegnate nelle lotte contadine, nel-le battaglie di civiltà, delle ribelli alla mafia, è una generazione intera. Nel-le tante giovani donne in marcia per formarsi altrove, nelle tante precarie della scuola “deportate”, in quelle che rimangono a lottare per un lavoro alla loro altezza, sembra di scorgere le Antigoni moderne di un Sud che, per un nuovo progetto e modello di svilup-po, ha bisogno di far saltare regole e convenzioni sociali che ne ostacolano l’affermazione. E che, senza coeren-ti politiche di sviluppo, continuerà a fornire elementi di fondatezza a quel luogo comune che ripudiamo.

D’estate, nel Mezzogiorno, può capitare di andare giro per uno di quei paesini dove tardano i giornali, i giorni e la modernità. E di incontra-re, come una bizzarria dell’agosto, ragazze di vent’anni che hanno stu-diato, che probabilmente se ne sareb-bero andate e che invece rimangono tra mille difficoltà a fare cose belle e importanti. Guidano associazioni, sono impegnate nella cosa pubblica, qualcuna fa il sindaco.

A vederle, sembra di scorgere il volto nuovo del Sud.

Page 12: Numero 4/2010

12 | AltreAfriche |

dalla prima pagina Ê

…della finale dei mondiali di calcio ci sono stati i primi sanguinosi se-gnali che la fragile pace sociale era giunta di nuovo al capolinea. Nessun organo di informazione ha dato infatti notizia che già dal 4 luglio erano ripresi gli at-tacchi xenofobi contro gli stra-nieri. Così come nell’imminenza dei campionati sono sparite dai giornali le indiscrezioni su uno strano suicidio di una delle guar-die del corpo della terza moglie del presidente Jacob Zuma, al centro di uno scandalo sessua-le. Insomma la classe dirigente sudafricana ha perfettamente capito che la Coppa del Mondo (per la prima volta approdata in Africa) era una occasione stori-ca per richiamare l’attenzione di almeno due miliardi di telespet-tatori. Una chance mediatica seconda per importanza sol-tanto alla liberazione di Nelson Mandela dal carcere di Robben Island nel 1990, dopo 27 anni di detenzione. E quindi era neces-sario che la festa continuasse senza brutte notizie, accanto-nando sotto il tappeto problemi e polemiche.

È stato un silenzioso pas-sa parola a diffondere le in-formazioni che nella township

di Kya Sands (nella regione del We-stern Cape, principale epicentro del-le violenze) 5 persone erano rimaste

ferite negli scontri tra sudafricani di colore e immigrati, mentre un gio-vane commesso somalo di 19 anni era stato ucciso nel corso di un sac-cheggio del negozio dove aiutava un parente. Esercizi commerciali gestiti da stranieri attaccati, saccheggiati e bruciati. Nel mirino immigrati prove-nienti da Somalia, Zimbabwe, Mala-wi, Mozambico, Nigeria, paesi da cui scappano per cercare pane e libertà in quella che per antonomasia viene indicata come la “nazione arcobale-no” per il crogiuolo di culture, etnie e religioni diverse che faticosamente

convivono. A drammatizzare una si-tuazione già difficile c’è stato l’esodo silenzioso cominciato il 4 luglio dalla township di Paarl (sempre nell’area di Città del Capo) di un nutrito gruppo di immigrati clandestini dello Zimbabwe che per sfuggire alle violenze ha cer-cato disperatamente di raggiungere in massa Johannesburg per cercare di tornare nel paese d’origine, con la con-sapevolezza di andare incontro a dure sanzioni per essere usciti clandestina-mente dal paese e consegnarsi quindi nelle braccia della bieca dittatura di Robert Mugabe con la prospettiva di

morire in carcere di inedia. In Sudafrica la xenofobia

è una emergenza che rischia di acquisire caratteri endemici. La caccia allo straniero scuote ciclicamente il paese con una violenza inaudita, l’ultima in or-dine di tempo si è registrata nel maggio 2008. Milioni di stranie-ri si sono riversati qui in cerca di lavoro e libertà dopo la fine dell’apartheid nel 1990. Scap-pano da pae si poveri e oppressi da sanguinose dittature. Il nu-mero esatto non si conosce ma alcuni analisti ipotizzano che gli immigrati clandestini siano tra i due ed i tre milioni. Sono tutti disposti a fare i lavori più umili e duri con salari inferiori a quelli previsti dalla legge. Nasce così la guerra tra poveri con le accu-se nei confronti degli immigrati di “rubare il lavoro”. Eppure una gran parte del miracolo econo-mico sudafricano è dovuto pro-prio a questa forza lavoro a bas-so costo ma qualificata, senza diritti sindacali e che non acce-de allo stato sociale. Le town-ship (dove sono concentrate le masse disperate di colore) si in-fiammano, scatta così la caccia agli stranieri che diventano capri

Sudafrica Dopo la Coppa del Mondotorna il silenzioEnzo Nucci

Page 13: Numero 4/2010

13| AltreAfriche |

espiatori per i disereda-ti delle peri-ferie, delusi dalla lentez-za del cam-biamento.

N e r i contro neri, fratelli con-tro fratelli, poveri con-tro coloro che sono ancora più poveri. Linciaggi, saccheggi, negozi dati alle fiamme, poveracci bruciati vivi o ucci-si a bastonate. Le bidonville di Johan-nesburg e quelle di Capetown invase da polizia ed esercito, troppo spesso colti di sorpresa da queste ondate di violenza ed incapaci di contenerle.

Specialmente per un europeo è difficile comprendere la natura di questi rigurgiti xenofobici in un paese con il 90 per cento della popolazione di colore contro disperati in fuga da paesi vicini che in passato hanno an-che sostenuto la lotta contro la segre-gazione razziale. Eppure le autorità di Pretoria continuano a definire questi attacchi come “episodi legati alla cri-minalità”. Il presidente Zuma rincara la dose aggiungendo che “non ci sa-rebbero prove certe che si tratti di xe-nofobia”. Ma il 18 luglio in occasione del compleanno di Mandela è stato costretto a rivolgere un invito alla tol-leranza “prendendo esempio dal pri-mo presidente di colore sudafricano che è stato aiutato da amici e cugini degli altri paesi confinanti durante gli anni della lotta all’apartheid”.

Come sottolinea “The Migrant” (inserto settimanale del diffuso quoti-diano “The Star” di Johannesburg), “la xenofobia in Sudafrica resterà irrisolta fino a quando sarà negata l’esistenza del problema. La colpa viene attribu-ita genericamente ai criminali delle township o ai braccianti rimasti senza

lavoro ma non si affrontano i problemi di un paese con confini facili da attraversare. Manca una po-litica per l’oc-cupazione e la distribuzio-ne della terra, programmi per

l’istruzione e sanitari”. Per “The Migrant” stiamo assi-

stendo “alla lotta per la sopravvivenza tra i poveri. Come si spiega altrimenti il fatto che la comunità sudafricana per decenni ha assistito senza colpo ferire all’arrivo di migliaia di minato-ri provenienti da tutta l’Africa Sub-sahariana?”.

Il giornale accusa il governo di inefficienza per non avere avviato una politica per accogliere profughi ed im-migrati. Non è casuale – afferma un notista politico – che le manifestazio-ni contro gli stranieri siano più forti in quelle comunità rimaste deluse dalle molte promesse non mantenute e dove le autorità locali sono completamente impotenti nel gestire l’emergenza.

“Come integrare i bambini stra-nieri con quelli delle comunità stanzia-li? Come fa il sistema sanitario già al collasso a gestire l’afflusso di milioni di immigrati e fronteggiare aids e tu-bercolosi? Qualcuno ha pensato di fer-mare lo sfruttamento degli immigrati nel settore agricolo bloccando anche le grandi aziende che ne approfittano violando le leggi sul lavoro? A tutto questo si aggiunge un trattamento inumano e ingiusto da parte delle for-ze di sicurezza” conclude l’editoriale del giornale.

Gli analisti politici sudafricani sot-tolineano la mancanza di una legisla-zione adeguata sulla immigrazione, al contrario dei paesi confinanti dove i

flussi sono regolati rigidamente. In queste nazioni i richiedenti asilo sono interrogati velocemente dalla polizia per stabilire se ne hanno diritto. Poi vengono affidati all’Unhcr (l’Alto Com-missariato per i Rifugiati delle Nazio-ni Unite) ed in Botswana ad esempio vengono portati in campi appositi dove vengono alloggiati, sfamati e percepi-scono anche uno stipendio mensile. Questi profughi restano ospiti delle strutture fino a quando non hanno un lavoro, corsi di studio da seguire. Mentre i loro datori di lavoro devono dimostrare che non ci sono connazio-nali pronti a svolgere quel particolare lavoro. Insomma un sistema molto ri-gido – osservano gli analisti – ma che non produce frizioni sociali.

Il dibattito sulla violenza contro gli stranieri appassiona più gli intellettuali che i politici. Nadine Gordimer, vincitri-

ce del premio Nobel per la letteratura nel 1991, attivista fin dagli anni cin-quanta contro l’apartheid, spiega che “xenofobia è il risultato di una somma di problemi, quello più grave è la po-vertà. Il Sudafrica sta dando rifugio a milioni di immigrati. La loro presenza crea un conflitto di interessi con colo-ro che si ritengono gli unici proprietari dei mezzi di produzione. Mandela ha restituito la libertà anche agli oppres-sori bianchi liberandoli dai loro sensi di colpa. Ma penso che in realtà il raz-zismo non sia mai stato sconfitto com-pletamente. Bianchi, neri e meticci non sono in realtà parte di un processo uni-tario di sviluppo. E negli ultimi anni c’è stata una nuova frattura con l’avanza-ta della crisi economica”.

Per comprendere la gravità del fenomeno, basta visitare la Chiesa Metodista Centrale di Johannesburg

Gli analisti politici sudafricani sottolineano la mancanza di una legislazione adeguata sulla immigrazione

Page 14: Numero 4/2010

14 | AltreAfriche |

dove da 4 anni vivono accampati tre-mila immigrati. Qui nessuno ha per-messi di soggiorno o di lavoro: sono tutti clandestini senza diritti e identità. Questi “invisibili” dormono in chiesa a terra, nei corridoi, dove riescono a trovare posto.

Le condizioni igieniche sono pre-carie e la promiscuità favorisce le vio-lenze. La chiesa nel maggio del 2008 fu attaccata da bande di facinorosi. La decisione di aprire le porte del tempio è stata presa tra molte polemiche da Paul Verryn, vescovo della chiesa me-todista, che sottolinea come tra que-sti immigrati (provenienti da Zimbab-we, Congo, Burundi, Uganda, Kenya e Mozambico) ci sono anche senza tetto sudafricani. Molti di loro hanno titoli di studio di alto livello e qualificazio-ne professionale ma i datori di lavoro li sfruttano anche per due settimane e poi non li pagano con la minaccia di denunciarli come clandestini alle autorità, spalancando quindi le porte del carcere e la successiva espulsio-ne dal paese. L’alto prelato (un bian-co di 57 anni, in prima fila durante la lotta all’apartheid) aggiunge che sul-le violenze del 2008 non è mai stata avviata nessuna inchiesta giudiziaria per individuare i responsabili degli in-cidenti xenofobi. E sintetizza che “oggi lo scontro in Sudafrica non è tra neri e bianchi ma tra ricchi e poveri perché il 4 per cento della popolazione qui è proprietario del 40 per cento delle ri-sorse. Certo, è un miracolo che il pa-ese sia cambiato così profondamente in modo pacifico e a velocità sostenu-ta. Ma siamo diventati compiacenti e arroganti, con una enorme mancanza di rispetto verso le persone. Ed anche il mondo religioso sta facendo poco per cambiare”.

Il vescovo con questa affermazio-ne mette il dito nella piaga. C’è ormai consapevolezza che dal 1994 (anno della fine dell’apartheid) ad oggi il vero

segno di cambiamento è stata la crea-zione del “black diamond” (il diamante nero), una espressione che indica la ricca ed elitaria borghesia di colore in ascesa. Questi nuovi ricchi sono col-legati al gruppo dirigente dell’African National Congress al potere ed hanno trasformato la loro militanza politica o in alcuni casi il coinvolgimento nel-la lotta di liberazione nel facile stru-mento di successo imprenditoriale. Nonostante che il 40 per cento della popolazione sopravviva con due dollari al giorno, la filosofia dell’arricchimen-to personale è stata promossa dagli stessi leader dell’Anc, un partito po-liticamente molto composito ma con salde radici nella cultura panafricana e socialista comune alla gran parte dei vecchi movimenti di liberazione del continente nero. È ancora scolpita nella memoria il richiamo dell’ex pre-sidente Phumzile Mlambo-Nguka al diritto dei sudafricani neri di diventa-re degli “sporchi ricchi”: insomma una rivalsa nei confronti degli ex oppresso-ri bianchi ma che non cambia nei fat-ti un modello di sviluppo iniquo. Ecco dunque tra gli eroi della liberazione un fiorire di industriali di colore impegnati nei settori dell’estrazione dei diamanti e petrolio, banche, assicurazioni, tele-comunicazioni, energia. Ed anche qui il conflitto di interessi è all’ordine del giorno perché molti di questi industria-li sono anche esponenti di punta della dirigenza dell’Anc che lavorano grazie ad appalti e concessioni ottenute dal governo retto dall’Anc.

A favorire l’ascesa di questa élite è stato il Bee (Black Economic Empower ment), una riforma varata per agevolare l’ingresso della gente di colore – storicamente emargina-ta – in posizioni dirigenziali nelle in-dustrie. Ma il Bee ha finito per favori-re solo una ristretta cerchia di perso-ne lanciandole in ruoli manageriali (e troppo spesso senza alcun merito o

competenza) garantendo alle società un canale preferenziale per i finanzia-menti pubblici. Questo ha provocato una caccia da parte dei gruppi econo-mici a cittadini di colore cui affidare ruoli di semplice rappresentanza per percepire soldi pubblici e continuando a mantenere saldamente il controllo in mani bianche.

I risultati sono disastrosi perché il Bee è servito a creare una comunità di top manager di scarse capacità senza favorire l’imprenditorialità nera e sen-za alcuna trasformazione del sistema produttivo, favorendo così la de-in-dustrializzazione e quindi il generale impoverimento dell’economia suda-fricana. Insomma quello che era stato pensato da Mandela come “il colpo di grazia all’oligarchia dell’apartheid si è rivelato un boomerang che ha favorito una classe ristretta di plutocrati dal-

la pelle scura” ha scritto l’economista nero Moeletsi Mbeki, fratello dell’ex presidente Thabo Mbeki.

A Jacob Zuma, eletto il 23 aprile 2009, spetta il ruolo più difficile. Il neo-presidente è passato indenne attra-verso due grandi scandali: una violen-za sessuale commessa nei confronti di una donna sieropositiva ed una brutta storia di tangenti elargite da una so-cietà francese per una fornitura d’ar-mi allo stato. Zuma è stato appoggia-to dai sindacati e dalle ali estremiste dell’Anc a cui ha promesso molte cose. Ad un anno dal suo insediamento non è ancora riuscito a tener fede agli im-pegni assunti in campagna elettorale. E le contestazioni cominciano a farsi sentire con scioperi e cortei di medici, tassisti e altre categorie.

Gli investimenti pubblici per la World Cup di calcio sono stati enormi

Page 15: Numero 4/2010

15| AltreAfriche |

ed hanno con-tribuito a con-tenere la re-cessione che ha caratteriz-zato l’econo-mia mondia-le. Il potenzia-mento della rete stradale e dei sistemi di trasporto pub-blico dovrebbe cominciare a dare impulso alla produtti-vità. I campio-nati hanno generato la creazione di 129 mila posti di lavoro tra diretti e indiretti, anche se in gran parte stagionali. Tut-to questo ha contribuito alla ripresa nei primi sei mesi di quest’anno dopo la forte contrazione del 2009: gli eco-nomisti prevedono infatti una crescita economica superiore al 3 per cento. Ma nessuno si illude che i campionati del mondo possano risolvere tutti i proble-mi dei 50 milioni di abitanti. Il Sudafrica da solo produce un quarto del reddito dell’intero continente nero eppure la disoccupazione supera il 26 per cento mentre 20 milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà.

I problemi connessi alla diffusa indigenza sono enormi. Il 76 per cento dei casi di violenza domestica è legato all’abuso di alcol mentre il 25 per cen-to delle donne subisce aggressioni da parte del proprio partner. La nazione arcobaleno detiene il triste primato del più alto livello al mondo di omicidi di donne commessi dal partner: una don-na è uccisa ogni sei ore mentre si regi-stra uno stupro ogni 26 secondi.

Sono 5 milioni e 700 mila le perso-ne infette dall’Hiv che fanno del Suda-frica la nazione con la più alta inciden-za di contagio al mondo.

Ogni giorno qui il virus infetta

mille persone mentre sono 800 mila quel-le sottoposte a trattamento farmaceutico con gli antire-trovirali ma la mortalità re-sta altissima. L’Aids miete 800 vit time al giorno con un impat to enorme sul-la vita sociale e sull’econo-

mia. La malattia ha prodotto un milio-ne di orfani per la morte di entrambi i genitori.

Mark Heywood è il vice presi-dente del Sanac (South Africa Natio-nal Aids Council), l’organismo pubbli-co che monitora il virus. Spiega che l’infezione ha avuto una diffusione esponenziale durante i dieci anni di presidenza della repubblica di Thabo Mbeki tra il 1999 ed il 2008. Mbeki è addirittura arrivato a negare l’esisten-za dell’Aids, considerato il frutto della cospirazione della industria farmaceu-tica al servizio di quanti accusavano la popolazione di colore di incontinenza sessuale: insomma un modo per dimo-strare che i neri non erano in grado di governare. Una posizione che ancora oggi resta inspiegabile per un presi-dente colto, con studi di economia in Inghilterra ma che ha contribuito alla colpevole trasmissione del virus. Non è casuale che l’unica volta che Nelson Mandela è intervenuto sulla politica interna sudafricana dopo la fine del suo mandato presidenziale sia stato proprio per attaccare Mbeki e le sue tesi “negazioniste” dell’aids.

Il nuovo presidente Jacob Zuma ha invertito la rotta decidendo grandi inve-stimenti nel settore sanitario anche per

fermare la pericolosa espansione della tubercolosi. Campagne di informazione stanno bombardando il paese in una di-sperata corsa contro il tempo perduto. Per Zuma la strada si presenta in sali-ta spiega Raenette Taljaard, docente di scienze politiche all’università di Città del Capo, editorialista di importanti quotidiani, che vanta anche il primato di essere stata la più giovane donna elet-ta al parlamento sudafricano, prima di lasciarlo nel 2004. “È un momento de-licato per la vita del paese – spiega la docente – e Zuma non ha poteri suffi-cienti, la sua azione politica è limitata. Non ha il controllo totale del governo. La sua credibilità è compromessa dalle polemiche sulla sua vita privata, le cin-que mogli, i 20 figli. La coalizione che lo sostiene è fortemente condizionata dal piccolo ma influente partito comu-nista e dai sindacati, un’alleanza nata durante gli anni della transizione ma che oggi rischia di paralizzare l’attività governativa.

La corruzione è una epidemia che infetta i centri decisionali locali e na-zionali, ai livelli alti e bassi: nonostan-te le tante chiacchiere non c’è ancora nessuna iniziativa concreta per arginare un fenomeno che rischia di travolgere il paese”.

L’African National Congress re-sta il partito più rappresentativo del Sudafrica post-apartheid in grado di raccogliere quasi il 65 per cento dei voti. La mancanza di altri raggruppa-menti in grado di impensierire seria-mente la leadership ne garantisce la continuità della linea politica. Il partito di Mandela non è un monolite ma al suo interno convivono anime di diver-sa ispirazione.

George Bizos è stato per decenni l’avvocato difensore di Mandela du-rante gli anni dell’apartheid. È amico personale del grande leader. La sua famiglia fuggì dalla Grecia invasa dai nazisti e trovò rifugio in Sudafrica.

Bizos è uno dei padri della nuova co-stituzione sudafricana. Ci spiega che “diritto a casa, educazione, salute, eguaglianza sono i pilastri della carta costituzionale. Certo siamo ancora lon-tani dalla completa realizzazione ma in 16 anni sono state costruite 2 milioni e duecentomila nuove abitazioni e molti più bambini frequentano le scuole. La povertà è ancora diffusa, le donne non occupano posti di comando e molti an-cora confondono i privilegi con i diritti. Ci vuole tempo, molto tempo”.

Anche in Sudafrica la Cina è en-trata a gamba tesa per conquistare spazi e potere all’interno di quella che è stata definitiva la “locomotrice” economica del continente. L’industria tessile, una volta fiore all’occhiello del paese, è stata cancellata dall’inva-sione di prodotti del Dragone: a farne le spese ancora una volta migliaia di lavoratori di colore che sono rimasti senza lavoro.

Ma per comprendere il crescente peso politico di Pechino sulla politica sudafricana, basti pensare che poco prima dei Mondiali le autorità di Pre-toria hanno negato il visto di ingresso al Dalai Lama che doveva partecipare ad una manifestazione promossa da molti premi Nobel. Il “niet” è arrivato su pressione neanche tanto occulta della Cina facendo aprire il dibattito su una classe dirigente formatasi nella lotta all’apartheid e che oggi applica gli stessi metodi dei propri oppressori. Una brutta pagina della politica suda-fricana, su cui restano appuntate mol-te speranze per il riscatto di un conti-nente dalle grandi potenzialità.

Mai come oggi il Sudafrica guarda all’Europa ed agli Stati Uniti in parti-colare. I modelli di riferimento sono ancorati saldamente nell’occidente a tal punto da fare del Sudafrica il pae-se meno africano del continente. For-se c’è ancora tempo per salvaguardare l’eredità di Mandela.

Dalla fine dell’apartheid il vero segno di cambiamento è l’ascesa del “black diamond”, ricca ed elitaria borghesia di colore

Page 16: Numero 4/2010

16 | AltreAfriche |

in una partnership dai contenuti innovativi e dalle modalità condivi-se, l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”e la Fondazione “Mez-zogiorno Europa” inaugurano con la nascita del Centro Studi “Altre Afri-che” una nuova stagione di ricerca e di internazionalizzazione della co-noscenza.

Attraversare il continente africa-no a nord e a sud del Sahara e con-netterlo con le macroaree dell’Europa e del Mediterraneo, è un viaggio e un progetto, è la definizione di una infra-struttura che ci porta lontano lungo le rotte della conoscenza.

Siamo in un periodo di grande fermento per gli studi di africanistica e nel contempo si aprono nuove pro-spettive per il superamento della crisi economica. Questi due elementi sono legati da una sperimentazione su più livelli nel campo della ricerca, mentre il dibattito si sposta dalla mera conta dei danni della crisi all’individuazione di soluzioni originali. La terza via del mercato e il capitalismo solidale di-ventano possibili vie d’uscita da una ricetta contro la crisi che fin qui ha ta-gliato in modo indiscriminato le finan-ze pubbliche e i servizi sociali, senza tener conto che la domanda di welfare cresce in prossimità del disagio e del-la disoccupazione. Sull’onda di una impasse che coinvolge governanti del nord e dei Sud del mondo, si fa strada una terapia che vede al centro la fi-gura dell’imprenditore sociale, in una contaminazione tra efficienza del ma-nagement d’impresa e impegno per la lotta alle diseguaglianze sociali. La nomina recente a vicesindaco di New York di Stephen Goldsmith au-tore del libro “The power of social in-novation”, è un segnale che anche nel cuore del capitalismo si sta pensando di battere strade nuove per reinven-tare lo Stato. L’Etica economica e la Responsabilità Sociale d’Impresa si

emancipano dalle ideologie e speri-mentano nuovi modelli: in cima alla filiera troviamo personalità tra loro distanti per formazione e provenienza geografica, Muhammad Yunus e Bill Gates che tra microcredito e attività filantropica vincono il Nobel per la Pace (Yunus) e trasferiscono da Mi-crosoft all’impresa sociale il genio dell’efficienza (Gates).

Il fattore “comunicazione” diven-ta lo snodo di una rete interconnessa di mobilitazione civica e di informa-zione che corre lungo i crinali della “globalizzazione che funziona” e im-plementa il quadro strategico deline-ato dall’UNESCO per l’Africa (Diver-sità e Pluralismo culturale nell’ambi-to dello Sviluppo Sostenibile) anche in termini di diritti umani e culturali, di ambiente e salute, di clima e de-mocrazia, di flussi dal basso dell’in-formazione.

Numerosi sembrano essere sta-ti negli ultimi anni gli elementi che hanno contribuito a ridimensionare o quantomeno a bilanciare il ruolo dei grandi assetti proprietari nella circo-lazione dei flussi di comunicazione a livello mondiale. I citizen journalists, l’informazione dal basso e le nuove di-

Nasce il Centro Studi Partenopeo“Altre Afriche”per l’Etica Economica e la Comunicazione, un luogo inedito della ricerca e dell’internazionalizzazioneUliana Guarnaccia – Anna Maria Valentino*

Page 17: Numero 4/2010

17| AltreAfriche |

namiche di partecipazione basate sul-le reti informatiche e sull’integrazione tra mezzi di comunicazione e contenu-ti diversi, hanno indubbiamente corro-so almeno in parte i monopoli infor-mativi detenuti dai grandi attori che avevano fino a poco più di un decennio fa dominato la scena mondiale per lo più incontrastati. Ma se le innovazioni tecnologiche e l’incentivo alla parteci-pazione dei singoli individui alla diffu-sione delle informazioni hanno portato indubbiamente ad una crescita espo-nenziale della quantità delle informa-zioni disponibili su singoli temi di at-tualità, rimangono pur sempre i grandi gruppi editoriali, le grandi agenzie di stampa e i network occidentali a de-limitare l’agenda delle priorità e dei focus di interesse su cui un pubblico globale è invitato di volta in volta a concentrarsi. Una mappatura infor-mativa dominante che continua ad essere in gran parte basata – per necessaria sintesi dei contenuti ed efficacia commerciale – su lacune e asimmetrie; che riduce il mondo ad un centro striminzito circondato da una periferia indistinta, con poche alture illuminate che continuano a lasciare interi continenti in ombra. Parallela-mente all’importante azione delle reti informative e comunitarie dal basso, rimane altrettanto centrale il ruolo di tutti quegli attori della vita culturale, intellettuale e artistica che, riuscendo a interagire al di sopra o tra i margini delle logiche economiche dominanti, possono contribuire a riportare al centro dell’attenzione voci e luoghi destinati altrimenti (come le Afriche) ad un inevitabile oblio mediatico. At-tori che, particolarmente nel caso di quelli istituzionali, devono essere in grado di cogliere i fermenti già in atto sul versante delle nuove esigenze di partecipazione alla vita pubblica e alla gestione delle comunità allargate, che in tempi di crisi economica non pos-

sono continuare ad essere del tutto manchevoli in termini di servizi e di feedback al cittadino; mentre allo stesso tempo non mancano esempi brillanti di auto-organizzazione sociale o di innovazione tecnologica dal basso in aree fino a poco fa decentrate che si riflettono positivamente sia sulla comunità di appartenenza geografi-ca che trasversalmente su comuni-tà o singoli raggiunti attraverso reti informative.

E la ridefinizione di nuovi para-metri economici e culturali di cresci-ta non potrà più prescindere da una nuova classificazione degli indici del benessere, mentre i criteri del PIL così come sono subiranno una progressiva emarginazione, non contemplando le variabili che misurano gli stili di vita (v. qualità dei servizi sociali e grado di avanzamento culturale, sostenibilità ambientale ma soprattutto diffusione dell’informazione libera).

Le finalità del Centro Studi “Al-tre Afriche” hanno dunque questo contesto. E le attività di analisi, ri-cerca, studio e formazione sui ter-ritori andranno a costruire una rete globale di scienziati, ricercatori, in-tellettuali, artisti con l’obiettivo di costruire l’ “infrastruttura culturale” che proverà a decodificare le Afriche subsahariane.

Il cuore di questa operazione è costituito dal Network internazio-nale di riviste e media AltreAfri-che creato dalla Fondazione Mezzo-giorno Europa e di cui si è scritto su questa rivista qualche numero fa. E le Afriche e i Sud del mondo diventano il luogo dell’elaborazione e del dialogo pubblico tra istituzioni, società civile, attori non statali, università, impre-se e loro stakeholder per promuovere studi interdisciplinari nel solco della cooperazione internazionale, della solidarietà, della pace.

*Fondazione Mezzogiorno Europa

Page 18: Numero 4/2010

18 | AltreAfriche |

ho conosciuto mamadou diarra, Go-vernatore della Regione di Mopti, della Repubblica del Mali, circa due anni fa. Volle conoscermi avendo saputo della mia ormai quadrien-nale attività d’architetto in Mali, fondata sull’utilizzazione massima delle risorse locali, in materiali e mano d’opera e sul rispetto del pa-esaggio.

Queste mie scelte coincidono infatti con la sua visione dello svi-luppo. Al primo incontro mi disse: “Un paese come il nostro non si può sviluppare se non impara a risolvere i propri problemi utilizzando le pro-prie risorse umane e materiali”.

Pochi giorni dopo mi ha invitato ad assistere al Consiglio Regionale. In quella occasione ha parlato del-le zone della riva sinistra che per 7 mesi all’anno sono isolate a causa dell’abbassamento del livello del fiume che impedisce la navigazio-ne e perciò la commercializzazione dei prodotti.

La strada che scorre lungo la riva sinistra è interrotta più volte da canali di drenaggio verso il fiume. È pertanto necessario prevedere dei ponti per permettere la libera circolazione tutto l’anno. A questo punto sono intervenuto suggerendo di realizzare i ponti con pietra loca-le piuttosto che in cemento arma-to, con grande risparmio di impor-tazione. Mentre il Governatore ha immediatamente aderito alla propo-sta, la maggior parte dei consiglieri ha mostrato dubbi e diffidenza. Ho spiegato loro che il cemento armato esiste da meno di due secoli mentre le costruzioni in pietra o in mattoni, dai tempi antichi sono ancora oggi presenti e in ottimo stato.

IL Governatore mi ha incarica-to di istruire degli operai maliani a realizzare un prototipo di ponte; mi ha inviato 10 taglia pietre, 10 car-

pentieri e 10 muratori con i quali abbiamo realizzato sul mio cantiere un ponte di 4 metri di luce. Siamo ora in fase di studio per realizza-

re 10 ponti di varia portata. Dopo questo esperimento mi ha chiesto una serie di progetti che rientrano nel suo programma di sviluppo del-

la Regione e che saranno realizzati con i materiali locali.

Oggi, 20 agosto, sono nel suo ufficio per porgli alcune domande.

Signor Governatore, vorrei che spiegasse ai lettori italiani quali sono per lei i nuovi criteri di sviluppo.

Per decine di anni è stata adot-tata dai pae si occidentali una politi-ca di aiuti all’Africa basati sull’aiuto alimentare e sull’importazione di oggetti fabbricati in Europa e im-posti sui mercati Africani. Questa politica, non solo non ha prodot-to sviluppo ma ha falsato la cultu-ra locale e creato dei falsi bisogni che hanno impoverito le popolazioni perché possono essere soddisfatti solo tramite una costosa impor-tazione. Adesso sto adottando un nuova strada da percorrere, ba-sata su due punti essenziali: mas-simo utilizzo delle risorse locali e coinvolgimento delle popolazioni nelle scelte e nelle decisioni. Que-sto però presuppone informazione e formazione: scuole, insegnanti e formatori.

Lei è venuto a Napoli il mese scorso, ci racconta questa espe-rienza?

Sono venuto a Napoli accompa-gnato da 4 funzionari della Regione

CONVERSAZIONE CON IL GOVERNATORE DI MOPTI USO DELLE RISORSE LOCALI E COINVOLGIMENTODELLE POPOLAZIONIFabrizio Carola*

Page 19: Numero 4/2010

19| AltreAfriche |

di Mopti, invitato dai Lyons di Napoli. L’obietti-vo era di concordare con loro una azione nella mia Regione. Precedentemente i Lyons aveva-no manifestato l’intenzione di sperimentare una nuova forma di aiuto allo sviluppo contan-do soprattutto sulla formazione e creazione di attività. Mi hanno chiesto di scegliere un vil-laggio campione sul quale avrebbero concen-trato il loro impegno per sperimentare il nuovo processo di sviluppo. La proposta mi sembrava coerente con quanto affermato da me prece-dentemente. D’accordo con il Consiglio Regio-nale ho accettato la sfida e l’invito a Napoli. Abbiamo siglato un protocollo d’accordo e un programma d’azione che prevede come primo obiettivo la produzione di conserva di pomodo-ro. È un prodotto che fa parte della nostra dieta alimentare ma che siamo obbligati di importa-re dall’Europa perché non sappiamo produrlo. È solo il primo esperimento: se riesce sarà se-guito da molte altre attività che impegneran-no le popolazioni rurali nella direzione di uno sviluppo autonomo.

Che impressione ha avuto di Napoli?È una città bellissima! Abbiamo avuto

un’accoglienza principesca fin dallo sbarco all’aeroporto. Ci hanno poi portato a Pompei dove abbiamo partecipato alla cerimonia di insediamento del nuovo Presidente dei Lions. Siamo stati presentati alla assemblea dei soci e invitati a una grande cena.

Nei giorni seguenti siamo stati condotti a visitare Sorrento, Capri, la Reggia di Caserta e, naturalmente, Napoli. Devo dire che siamo rimasti molto impressionati dalla bellezza delle architetture e dei paesaggi e dalla gentilezza delle persone.

Abbiamo avuto la possibilità di stabilire fruttuosi accordi con i nostri amici dei Lions Club per la produzione delle conserve di pomo-doro e la lotta contro il paludismo che è molto presente nel nostro territorio.

Vorrei dire ancora che per me Capri è sta-to sempre un mito e, a causa di una canzone francese che parlava di Capri, ero convinto che fosse in Francia… Sono stato molto contento di scoprirla davanti a me a Napoli e finalmen-te di visitarla.

Ho potuto anche constatare che la pietra,

come affermava Fabrizio, è un materiale da costruzione solido e duraturo molto usato in Europa fin dai tempi antichi e cercheremo di diffonderne l’uso in Mali al posto del cemento armato di importazione.

Ringrazio il Dottor Ermanno Bocchini, il Pre-

sidente e tutti i membri del Lions Club di Napoli per la generosa accoglienza e per lo sforzo che vorranno sostenere per il miglioramento delle condizioni di vita del mio Paese.

*Architetto, Presidente AssociazioneNapoli: Europa Africa (N:EA)

Page 20: Numero 4/2010

20 | AltreAfriche |

6-7-8 settembre 2010- Université de BordeauxCEAN – IEP de Bordeaux

Il Congresso sugli Studi Africani in Francia, che segue quello del 2006, è organizzato da una delle Reti Tematiche Pluridisciplinari (set-tore Africa) del Consiglio Nazionale della Ricer-ca Scientifica (CNRS), dall’Università di Borde-aux, dal Centro di Studi d’Africa Nera (CEAN), dall’Istituto di Studi Politici di Bordeaux, dall’Uni-versità di Pau e dei Pays de l’Adour e dalla re-gione Aquitania.

Già il titolo provocatorio Reiventare l’Afri-ca? è indicativo della situazione degli Studi Afri-cani in Francia e ne riassume lo stato della ricer-ca, evidenziandone l’intenzione di riposizionarsi. Il Congresso sviluppa relazioni, dibattiti, una ta-vola rotonda di riviste e pubblicazioni, incontri tra i luoghi della formazione (master e dottorati). In programma anche due documentari e un film che propongono con diverse declinazioni il tema della rottura dei legami di dipendenza e dell’af-fermarsi delle rivendicazioni per uno sviluppo autocentrato e plurale.

Sullo sfondo emerge la necessità di acqui-sire e sistematizzare i dati in flussi coerenti di ricerca scientifica.

Le tematiche: una riflessione sugli Obiet-tivi di Sviluppo del Millennio nella loro decli-nazione africana, una lettura critica del cin-quantenario delle indipendenze, un riesame delle tematiche classiche: lo Stato in Africa, la parentela, le classi sociali, la territorialità, le costituzioni, la sanità, secondo le evoluzioni che le società africane hanno conosciuto nel corso degli ultimi venti anni.

Ecco dunque l’idea della nuova genesi dell’Africa nello spirito dei ricercatori francesi. Dal punto di vista della storia degli studi africa-nisti questo secondo congresso vuole essere il proseguimento di un rito di rifondazione dell’og-getto e dei metodi della ricerca. In attesa delle conclusioni del congresso di Bordeaux, si evince oggi la necessità, non solo in Francia, di una nuo-va produzione di senso nell’approccio epistemo-logico e simbolico del rapporto con l’Africa.

* AntropologoBuudu Africa (Centro Internazionale per l’Africa), Roma

Reinventare l’Africa?Anteprima del 2° Congresso di Studi Africani in FranciaGodefroy Sankara*

Page 21: Numero 4/2010
Page 22: Numero 4/2010

Vuoi rinfrescartisul Web ?

Web SolutionWeb Application

E-commerce

Siti e Portali aziendali

Web marketing

Mobile Application

Web design

Web-tv

www.kiui.it

Kiui è un marchio

Largo Luigi Antonelli, 20 ( 00145 Roma ) Telefono: +39 06 5947441

Fax: +39 06 594744313Email: [email protected]

Vico Carceri San felice, 13 ( 80135 Napoli ) Telefono: +39 081 5447726

Page 23: Numero 4/2010

Vuoi rinfrescartisul Web ?

Web SolutionWeb Application

E-commerce

Siti e Portali aziendali

Web marketing

Mobile Application

Web design

Web-tv

www.kiui.it

Kiui è un marchio

Largo Luigi Antonelli, 20 ( 00145 Roma ) Telefono: +39 06 5947441

Fax: +39 06 594744313Email: [email protected]

Vico Carceri San felice, 13 ( 80135 Napoli ) Telefono: +39 081 5447726

23

La sensazione generale che provo personalmente guardando i fatti della politica e dell’economia in mol-ti paesi europei – l’Italia non è cer-tamente un’eccezione – è che ci sia

rassegnati alla decadenza dell’Europa e dei paesi in questione e che si agisca solo per governarla. In al-tre parole, mi pare che, visto l’affacciarsi sulla sce-na internazionale di paesi finora poveri ed affamati o esclusi da questa scena per ragioni politiche, si consideri che a noi resta solo una fetta decrescen-te del benessere mondiale. Bisogna far buon viso a cattivo gioco. Salari più bassi, distribuzione del reddito da paese povero (pochi ricchissimi e molti poverissimi), rinuncia all’eccellenza nell’educazione e nella ricerca, profilo internazionale basso o bas-sissimo. Per condire il tutto e far ingoiare la pillola, i media, televisione in testa, propongono model-li umani tristemente decadenti, i comportamenti sociali ordinari divengono aggressivi, talora chia-ramente razzisti e più volgari; più precisamente, si fa di tutto perché questo appaia o accada e la pro-paganda filogovernativa, almeno in Italia, valorizza tali comportamenti. Il bello (o, piuttosto, il brutto) è che questa linea si presenta come egemone, ove più ove meno, in questi paesi e coinvolge piena-mente governo e opposizioni. Questo è meno vero se si guarda l’Europa, come strutture ed istituzioni dell’Unione europea. Qua la linea è ancora quella della “pace e del progresso” secondo i Trattati isti-tutivi. La contraddizione è stridente, anche perché una parte dei protagonisti sono proprio quei governi nazionali che, a casa loro, favoriscono il processo di decadenza. Vediamo qualche elemento concreto a sostegno di questa riflessione.

La crisi finanziaria iniziata nel 2007 sembra più o meno finita, con molti effetti negativi, specie nella sfera sociale, ma senza i disastri di quella del 1929. Le due crisi si sono rivelate differenti anche per il diverso assetto politico internaziona-le e per la stessa presenza dell’Unione europea, che ha giocato un effetto demoltiplicatore delle conseguenze di questa situazione, così come i grandi paesi, la Cina, per esempio, che hanno risentito in modo relativamente modesto della crisi. È particolarmente importante l’effetto di demoltiplicazione da parte dell’unione europea, allorché si sarebbe voluta prolungare la crisi con un attacco sfrenato ai bilanci degli Stati membri ed ai relativi debiti. L’Unione, come si è visto, ha reagito con qualche esitazione, ma in modo tale

da mettere fuori gioco questa speculazione, con buona pace dei profeti di sciagure, sicuri che l’EU-RO sarebbe rapidamente scomparso dalla scena monetaria, come diceva da ultimo domenica 20 agosto Enrico Brivio su Il Sole 24 Ore. Il risulta-to della crisi, in ogni caso è stato duplice. Da un

lato, infatti, siamo “ritornati” alla situazione pre-cedente (valore dell’EURO, stabilità delle banche, fiducia – roba da pazzi – nelle agenzie di rating, ecc.). Dall’altro lato, invece, si sono installate una crisi sociale complessa e gravi difficoltà di bilan-cio degli Stati membri o, almeno, di alcuni di essi.

Reagirealla decadenzaRilancio europeoAndrea Pierucci

Page 24: Numero 4/2010

24

La risposta è stata: ridurre gli spazi contrattuali, limitare i salari e, soprattutto, i diritti dei lavora-tori, sacrificandoli alla competitività ed al raffor-zamento dei guadagni degli investitori e, quanto ai bilanci, tagliare a più non posso; in particolare i tagli hanno colpito in molti paesi, primo fra tutti il nostro, le spese che preparano l’avvenire, scuola, ricerca e simili. Le stesse banche non sembrano particolarmente spinte a sostenere l’economia re-ale, fra il timore degli insoluti e l’aspettativa – an-cora! – di guadagni strepitosi con investimenti al limite del brivido.

anche la cina ci attacca sul rispetto dei diritti fondamentali

Dunque, sembra che per uscire dalla crisi si debba guadagnare di meno (o, più precisamen-te, ridistribuire il reddito verso “l’alto”, verso i detentori di titoli di proprietà delle imprese, ver-so il mercato “virtuale” dei titoli esclusivamente speculativi), si debba rinunciare ad un po’ di quali-ficazione dei cittadini e dei futuri cittadini, magari ad un po’ di cultura, ad un po’ di ricerca e inno-vazione (qualcuno lo farà per noi, sicuramente!),

a qualche diritto, tan-to ce n’abbiamo abba-stanza. In una parola, la ricetta magica sembra la decadenza! Si badi, noi continuiamo a pren-dere come parametri di riferimento i successi e le condizioni degli Stati emergenti, Brasile, In-dia e, soprattutto, Cina. Certo, a breve, una ri-flessione di brevissimo periodo sulla concorren-za potrebbe consigliarci in questo senso. A più lunga scadenza, la dif-ferenza sostanziale sarà che noi “scendiamo” e gli altri “salgono”. La stessa Cina s’interro-ga sui salari (tant’è che proprio recentemente c’è stato un aumento dei salari minimi in quasi tutte le province di ben il 20% – Le Monde del 19

agosto), sui diritti (più di trecento cattedre uni-versitarie sono state create negli ultimi anni, una scuola europea è stata creata per la formazione di giudici e avvocati sulla questione dei diritti, dal 6 all’8 settembre prossimo si svolgerà un grande Forum nazionale e uno dei soggetti sarà il dialogo sociale), sulla ricerca e sulla produzione ad alti li-velli tecnologici, nonché sulla relativa formazione universitaria. Sembra che il trend positivo cine-se cominci ormai a toccare anche la politica, se, come le stesse autorità cinesi invocano a gran voce (con un po’ d’ipocrisia e un po’ di buona vo-lontà), è necessaria una società civile efficace e combattiva. Né vale la pena di fare riferimento al Brasile o all’India, dove, mutatis mutandis, troviamo uno scenario di crescita economica, ma anche civile molto importante. Paradossalmente, se la linea europea e quella cinese continueranno secondo questo trend, ci sentiremo chiedere fra un po’ dai Cinesi dei conti sul rispetto dei diritti fondamentali da parte nostra! Peraltro è cosa fat-ta. I giornali cinesi, il Quotidiano del popolo fra gli altri, critica la Francia per il mancato rispetto dei diritti fondamentali nella questione dei Rom.

due linee a confrontoHo detto linea europea? Ah! Dobbiamo chia-

rire la situazione! In effetti, la linea europea sem-bra un’altra.

Vediamo una lista di fattori che indurrebbero a pensare che l’Europa, nel suo complesso, abbia ben altre ambizioni, che, in fondo, non creda affat-to nella decadenza come prospettiva e, anzi, lanci proposte d’avvenire. Cominciamo con l’idea di una sorta di “programmazione” lanciata con la strate-gia di Lisbona e confermata con la strategia Europa 2020 appena adottata (17 giugno) dai Capi di Stato e di governo a partire dal progetto della Commis-sione Barroso. Non starò a fare l’analisi dei risultati dell’una o delle prospettive dell’altra. Mi limiterò a ricordare che la prima strategia puntava su un’Eu-ropa fondata su un’economia della conoscenza, ca-pace di primeggiare o, almeno, di dare un contributo importante nel quadro della globalizzazione. Europa 2020 punta fortemente sulla questione ambientale, fonte di salute e di salvezza del pianeta, ma anche fonte di sviluppo economico sociale e, direi, etico. Entrambe pongono l’accento sul ruolo della ricerca e dell’istruzione come chiavi essenziali della stra-tegia. Certo, indicano anche con forza, la necessi-tà di adattare il sistema sociale alle nuove realtà, ma sempre nel quadro di una strategia di rilancio dell’Europa e di stop al declino. Che ne è negli Stati membri o in molti di essi? Le questioni ambientali? Un freno alla produzione! La ricerca? Costa trop-po! Non parliamo poi dell’educazione: nel migliore dei casi si favorisce la scuola privata, nel peggiore si riduce la scolarità. Diceva uno slogan sindacale belga degli anni 90: se l’educazione costa troppo, proviamo con l’ignoranza. Preso in parola!

Diritti: avete detto diritti? La Carta dei diritti fondamentali è entrata in vigore in dicembre, è diventata, come si dice, giustiziabile. Inoltre, l’UE ha sviluppato con una collaborazione fra Commis-sione e Comitato economico e sociale europeo un Forum dell’integrazione. Migranti, Rom, poveri, handicappati e altri soggetti a rischio di margi-nalità sono visti come soggetti da proteggere e rispetto ai quali fare una politica d’integrazione. A giusto titolo protestiamo quando uno Stato terzo lede i diritti fondamentali. Di nuovo, l’UE si pone in una posizione di progresso, di apertura a tutti gli uomini – certo non senza contraddizioni – di leader mondiale del rispetto dei diritti fondamen-tali. Bene. È di questi giorni la decisione di Sar-kozy di buttar fuori dalla Francia un po’ Rom; si

Page 25: Numero 4/2010

25badi, non solo gli extracomu-nitari, ma soprattutto i Rume-ni o gli Ungheresi e, eventual-mente, si è detto, i Francesi. Capite, sono zingari….L’Italia. Pomigliano d’Arco. Non so bene i termini della vicenda e non oso pronunciarmi sui sin-goli fatti. Resta che la FIAT ha chiesto espressamente una limitazione dei diritti dei lavoratori, con l’accordo del governo, la condiscendenza supina di alcuni sindacati, l’ambiguità, salvo la FIOM, del terzo. Cosa si può dire quando si sente un’affermazione di un leader sindacale che dice (a cuor leggero?) che i lavorato-ri avrebbero comunque vinto il referendum perché pote-vano votare chi per il lavoro, chi per i diritti! Non parliamo della libertà di stampa. L’Ita-lia è solo un faro luminoso, che altri vorrebbero seguire! Certo, certo la libertà di stam-pa esiste, forse un po’ condi-zionata dal fatto che riguarda solo marginalmente il vettore televisivo e che anche i gior-nali di opposizione non parla-no altro che del Capo, pardon del Presidente del Consiglio (il suo nome è la prima parola di quasi tutti i titoli di testa anche del principale giornale di opposizione).

Veniamo direttamente al fatto di attualità: le restrizioni di bilancio. Abbiamo visto come le riduzioni di bilancio tocchino fortemente settori nei quali l’Unione chiede invece un più forte im-pegno (vi ricordate la questione del 3% del PIL dedicato alla ricerca… si fa per ridere…). Ma la contraddizione non concerne solo i principi, le grandi strategie contro i piccoli aggiustamenti quotidiani, la dura necessità della competitività. No, riguardano proprio orientamenti presi a Bru-xelles dai Capi di Stato e di governo nel medesimo momento nel quale i sullodati proponevano il con-trario a casa loro. Nelle conclusioni (allegato I) del Consiglio europeo del 17 giugno si legge, dopo la

sottolineatura della necessità di risanare i bilanci pubblici, che ci si deve impegnare per:- Migliorare i livelli d’istruzione, in particolare

mirando a ridurre i tassi di dispersione sco-lastica al di sotto del 10% e aumentando la percentuale delle persone tra i 30 e i 34 anni che hanno completato l’istruzione terziaria o equivalente almeno al 40%.

- Migliorare le condizioni per la ricerca e lo svi-luppo, in particolare allo scopo di portare al 3% del PIL i livelli d’investimento pubblico e privato combinati in tale settore.

- Promuovere l’inclusione sociale, in particolare attraverso la riduzione della povertà, mirando a liberare almeno 20 milioni di persone dal ri-schio di povertà e di esclusione.

Sulle due prime questio-ni non c’è discorso: i tagli più dolorosi (non certo i soli) sono avvenuti proprio su istruzio-ne e ricerca. Sul terzo punto, ricorderò che siamo nell’anno della lotta contro la povertà e l’esclusione sociale e che, in quest’occasione, il Consiglio europeo ha approvato piani per ridurre di 20 milioni il numero di poveri in Europa con opportune declinazioni nazionali. A prima vista, questo problema non fa veramente parte delle priorità dei bilanci pubblici. Eppure con percentuali di povertà assoluta e relativa che raggiungono li-velli elevatissimi, la china della decadenza è ben bene dotata del suo selciato.

c’è un pilota sull’aereo?Ma, perché queste con-

traddizioni? È vero che i nostri governanti hanno sempre detto una cosa a Bruxelles e ne hanno fatta un’altra a Roma o a Parigi. Niente di nuovo sotto il sole. In-vece no. La questione è che oggi vi sono chiaramente strategie di lunga durata contraddittorie. A Bruxelles si punta sul raffor-zamento dell’Unione, sul suo mantenimento come struttura

chiave della politica (non solo economica) interna-zionale, come strumento per “la pace ed il progres-so” dei suoi Stati membri, secondo le indicazioni dei Trattati, e, appunto a Roma, a Parigi o a Londra, per non fare che degli esempi, si punta ad accettare la decadenza. E, ormai, questa corsa alla decadenza non è più arrestata da nessuno. In Italia neanche il silente Partito Democratico fa troppe storie e per quel che riguarda la sinistra… non si spara sulla Croce Rossa. Oppure s’immagina che una struttura economica e politica che favorisce una distribuzione dei redditi sempre più ineguale sia un serio ostaco-lo alla decadenza. Se non ricordo male, anche nella teoria economica, è invece proprio un segno di sot-tosviluppo; non sono sicuro che sia davvero, anche, un pegno di competitività internazionale.

Page 26: Numero 4/2010
Page 27: Numero 4/2010

27

F O C U S P E r M A N E N T E

in pieno agosto prende il via il focus permanente ue‑russia nelle pagine della prestigiosa pubblicazione che ospita questa

iniziativa: Mezzogiorno Europa. Coordinare questo Focus è un privilegio ma comporta anche grandi responsabilità. Coniugare le

posizioni di chi scrive, da sempre vicine alla Federazione Russa, con l’obbiettività. Il terreno dei rapporti UE-RUSSIA è a volte un campo

minato difficile da trattare in Occidente. Affrontare questo viaggio, che è anche un’avventura entusiasmante, diventa semplice partendo da una parola russa: Pravda, verità. Il nostro lavoro sarà all’insegna della verità e della corretta informazione. I grandi giornali del nostro Paese trattano la materia in modo alquanto approssimativo e molte volte proiettando all’esterno un’immagine della Russia non vera. Un autorevole opinionista di un settimanale ha dichiarato che la Russia non è un sole nascente, ma al tramonto. Ecco la cattiva informazione, scampoli di notizie, saldi di fine estate.

Oggi la Russia è attore globale negli scenari geopolitici mon-diali. Un Focus Permanente servirà anche a questo. Aprire un con-

fronto con i colleghi della nostra stampa nazionale e anche con i colleghi della Stampa Estera ospite in Italia. Daremo la parola a

esperti stranieri di politica internazionale e a molti nomi auto-revoli del nostro Paese. Ue e Russia coprono il grosso delle

terre emerse.E in fondo, verso il Mare di Bering siamo a un passo

dall’Alaska. Questo mare è un ponte ideale che ci ri-congiunge all’America. Forse è giunto il momento

di intensificare i rapporti dell’ Europa (quel-la vera e definitiva, Ue e Russia insie-

me) con gli USA per costruire un Mondo all’insegna della

Pace e

dello Sviluppo. Terrorismo, fame, gran-de calamità devono vedere unite queste forze per far fronte a eventi quali quelli occorsi al popolo del Pakistan in queste ore. Non c’è vera Europa senza Russia. Tentare di dialogare direttamente con l’Asia Centrale è tem-po perso. Tentare la creazione di Bypass geografici per indebolire la Federazione Russa aggirandola, illudendosi di risolvere i problemi energetici della nostra vecchia e gloriosa Europa, significa non volerli risolvere.

L’Eni è sulla buona strada, non freniamola e non svendia-mola. L’Italia è in prima fila nel processo di soluzione dei proble-mi dell’energia che ci necessita in quanto Europa. Il Gas è a poca distanza e con le ulteriori grandi reti in costruzione è sempre più a portata di mano. I paesi del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e i loro mercati emergenti hanno fame di energia. Non commettiamo l’errore di spingere le risorge energetiche della Russia verso la Cina, tra le braccia del gigante asiatico che tra l’altro preme agli estremi confini russi con il suo bisogno di spazio.

L’Europa, per fare questo, deve uscire da logiche ristrette e pensare in grande non in quanto somma di stati ma come attore unico. Il Focus Permanente dovrà informare innanzitutto, diventare uno strumento a disposizione di chi vuole conoscere e capire in profondità l’Universo Russia e i suoi rapporti profondi con l’Europa e l’Italia in particolare. Dovrà avvicinare a questi scenari uomini politici, imprenditori, studiosi e semplici cittadini. Alla presentazione della seconda parte della ri-cerca sui rapporti energetici UE-RUSSIA presso l’Unione Industriali di Napoli tanta era la presenza e l’attenzione dei giovani delle nostre Università. Altre iniziative, alcune già in corso, quali pub-blicazioni, siti e telegiornali sosterranno lo spirito del Focus. Molte di queste iniziative guardano verso Mosca e saran-no presenti in sedi stabili a Mosca e Minsk, garantendo una approfondimento dei temi direttamente dove hanno origine. Tutta questa informazione con-fluirà verso il Focus che siamo certi possa di-ventare un punto di riferimento per ul-teriori proficui sviluppi nei rap-porti UE-Russia a tutti i livelli.

R A P P O R T IU E - R U S S I A

a cura di carmine Zacaria

Page 28: Numero 4/2010

28

F O C U S P E r M A N E N T E

S t r a l c i

Page 29: Numero 4/2010

29

F O C U S P E r M A N E N T E

PrefazioneUmberto Ranieri

Lo scenario energetico internazionale negli ultimi dieci anni ha subito radicali mutamenti: il fabbisogno di petrolio e raddoppiato, la Cina e l’India, pur duramente colpite dalla crisi finan-ziaria, hanno mantenuto alti i livelli di cresci-ta interna e la dipendenza dalle importazioni dell’Unione Europea continua ad aumentare di anno in anno.

Le fonti fossili soddisfano più dell’80% del fabbisogno mondiale di energia. Il sistema ener-getico globale e dunque fortemente dipenden-te da queste fonti. Una situazione che permarrà nel prossimo decennio. Continuerà a dominare la scena energetica, nei primi anni del XXI se-colo, il petrolio, già oggi la principale fonte di energia, coprendo il 35% dei consumi. Il carbone non uscirà dalla scena perche disponibile a bas-so costo e in notevole quantità negli Stati Uniti e in Germania e soprattutto nei paesi in via di sviluppo, in cui il fabbisogno di energia cresce a ritmi elevatissimi. Il gas, che copre oggi il 21% dei consumi, si affermerà ulteriormente grazie alla disponibilità e alle sue qualità ambientali. La costruzione di lunghi gasdotti per l’esportazione e l’espansione del mercato del gas naturale li-quefatto per via nave, hanno fatto si che anche i paesi sprovvisti di questa risorsa ne diventas-sero consumatori. Le altre fonti, tra cui il solare e l’eolico, non sono riuscite a mettere in discus-sione il primato dei combustibili fossili. Nel qua-dro di un aumento del consumo mondiale di ener-gia di quasi il 30% previsto nei prossimi quindici anni, il peso delle energie alternative aumenterà senza che cresca, tuttavia, sensibilmente la loro quota percentuale sul consumo totale. Un mag-giore spazio di mercato a queste fonti potrebbe essere garantito solo da notevoli finanziamen-ti pubblici per l’installazione degli impianti e da un impegno di risorse cospicue nella ricerca di innovazioni tecnologiche nel campo delle ener-gie rinnovabili. E auspicabile che ci si orienti in tale direzione: la ricerca scientifica e tecnologi-ca nel settore dell’energia solare, del nucleare e più in generale delle energie rinnovabili e la

scelta strategica per vincere nel tempo la bat-taglia della sostenibilità energetica.

E una scelta obbligata per fronteggiare il ri-schio di gravi e irreversibili danni ambientali, a partire dai cambiamenti climatici, per migliora-re la sicurezza energetica e ridurre le emissioni di gas serra.

In questo quadro e importante che Stati Uniti e Unione Europea, consapevoli che a una doman-da energetica sempre crescente non corrisponde più un’offerta adeguata da parte dei tradizionali produttori, abbiano avviato un serio dibattito in-terno – in particolare attorno al tema delle fon-ti rinnovabili – che sta condizionando non poco sia le strategie produttive di lunga durata sia il quadro dei rapporti internazionali.

Tuttavia, anche in questo dibattito, USA e UE non hanno pari forze. Ciò che manca all’Euro-pa, e la possibilità di parlare con un’unica voce. Nonostante gli sforzi delle istituzioni di Bruxelles per sviluppare una posizione europea comune, la strada da percorrere appare ancora lunga. E del tutto evidente che sarebbe indispensabile la realizzazione di un mercato energetico europeo più integrato e interconnesso per garantire una maggior sicurezza, un miglior coordinamento nel-la realizzazione degli investimenti infrastruttu-rali, in particolare per quanto riguarda le inter-connessioni nel settore elettrico e in quello del gas, un reale potere negoziale nei confronti di fornitori extra europei e paesi di transito e, infi-ne, una maggiore concorrenza tra gli operatori. Il miglior modo, o forse l’unico, per risolvere le questioni legate alla sicurezza energetica si può riassumere nella parola “diversificazione” delle fonti di energia. In una logica di sicurezza degli approvvigionamenti,

la politica estera dell’Italia dovrà perseguire due obiettivi complementari: preservare i legami con i fornitori storici come la Federazione Russa e alimentare lo sviluppo di relazioni commerciali con nuovi potenziali fornitori, contribuendo alla realizzazione degli investimenti necessari.

Il nostro Paese e, inoltre, interessato a un maggiore coordinamento europeo nei confron-ti dei paesi fornitori che rafforzerebbe anche la capacita contrattuale dei singoli Stati europei.

Nella visione italiana, l’Unione Europea deve de-finire regole chiare e omogenee sia sul mercato interno sia nei confronti dei soggetti produttori. Nel contesto di queste regole, gli operatori degli Stati membri mantengono la possibilità di rag-giungere accordi. in maniera autonoma. In que-sta logica l’Italia ritiene essenziale sviluppare i rapporti energetici bilaterali con la Russia. L’UE e inoltre strategicamente interessata a conso-lidare il proprio ruolo nelle regioni caucasiche e mediorientali, rafforzando i rapporti politici, eco-nomici e commerciali e favorendo una maggiore interdipendenza con quelle regioni.

Il lavoro, che e qui presentato, si propone di focalizzare l’attenzione, in modo particolare, sul fattore della sicurezza. Se nella prima par-te del Rapporto, infatti, la discussione ha posto l’accento sui consumi e sulle disponibilità delle riserve della Russia, la domanda di fondo di que-sta ricerca e: fino a quando le potenzialità ener-getiche di uno Stato saranno così strettamente connesse alle relazioni politiche internazionali? E per quanto tempo ancora il mercato dell’ener-gia, fattore indispensabile per lo sviluppo eco-nomico e sociale, sarà minacciato dalla crescita dei consumi interni dei paesi produttori e dalle instabilità politiche? La scelta di politiche in grado di contenere il riscaldamento ambientale e garantire la sicurezza e l’affidabilità delle for-niture di energia costituisce una sfida tra le più impegnative di questo inizio secolo.

L’Italia, in coerenza con la sua tradizione di politica estera, e convinta che la questione ener-getica e ambientale vada affrontata sulla base del rafforzamento della cooperazione multilate-rale e del perseguimento di un partenariato tra i paesi produttori e i paesi consumatori di energia. Se c’e un terreno su cui le tentazioni nazionali-stiche non sortiranno alcun risultato, e quello dell’energia. Ecco perche e necessario acquisi-re la consapevolezza che la sicurezza energetica non può rimanere obiettivo di un singolo paese, e che la conoscenza più approfondita della que-stione e essenziale a orientare l’operato degli Stati per compiere scelte consapevoli e lungi-miranti. Di questo dovrebbe acquisire maggiore consapevolezza l’Unione Europea.

Page 30: Numero 4/2010

30

F O C U S P E r M A N E N T E

IntroduzioneCarmine Zaccaria

Giunge a compimento il secondo volume della ricerca sui rapporti energetici tra la Rus-sia e l’Unione Europea. Questo non e un punto di arrivo, ma di partenza per più ampi scenari. E spiegheremo perche.

Ci onora l’impegno della Fondazione Mezzo-giorno Europa, che ha coordinato il complesso studio della materia trattata. Ci onora anche, e non poco, la Prefazione a cura dell’Onorevole Umberto Ranieri, tra i riferimenti più alti della Politica Estera italiana. Parlare di Russia in Oc-cidente non è facile.

Parlarne alla luce dei rapporti energetici che legano Russia ed Europa, e ancora più comples-so e si attraversa un terreno minato. La Russia e, e resta, un partner insostituibile negli scenari futuri nel campo dell’energia e non solo. Tutto questo, se guardiamo a una Grande Europa dei Popoli, alla costruzione della quale ci interes-siamo da anni. Europa dei Popoli, quasi un logo scientifico, un discorso da fare, un obiettivo da raggiungere del quale rivendichiamo la primo-genitura in tempi moderni, di recente ripreso da personalità di rilievo del mondo politico italiano. Tutto questo mondo da costruire in Europa, e non solo, gira intorno alle fonti energetiche e al loro sfruttamento e utilizzo. Che ci sia, da parte della Russia, un uso strumentale delle proprie risorse energetiche e falso. E solo una leggenda, frutto di fantasia interessata di una parte del mondo Occidentale che ancora rifiuta di fare i conti con la storia, con la realtà.

La presentazione della Ricerca coinciderà con l’avvio dei lavori di un Focus Permanente, ospitato nelle pagine della rivista Mezzogiorno Europa, inerente i rapporti Ue-Russia. Ogni ri-cerca in questo campo, dove i mutamenti sono repentini come nelle alte quote, resta fine a se stessa. Questo intendiamo quando parliamo di punto di partenza. Solo uno strumento che possa cogliere questi mutamenti potrà dare un contri-buto fattivo ed essere di utilità. Grazie all’im-pegno della Fondazione Mezzogiorno Europa abbiamo goduto della possibilità di avere con

noi i maggiori esperti della materia. Chiedere-mo, nei limiti del possibile, che questo impegno della Fondazione possa avere un seguito. Cosa si propone il Focus? In primis dire la verità e anche le verità nascoste. I media italiani molte volte sono disinformati oppure rispondono a logiche mediate. Se volessimo allargare il campo, po-tremmo affermare che questa disinformazione trasmessa, quando si parla di Russia, è estesa ai campi più disparati. Dalla cultura all’economia, dalla storia alle libertà. La ricerca tocca, oltre vari temi inerenti le fonti energetiche, l’energia nel suo complesso. Bisogna dedicare qualche riga alle fonti rinnovabili. Ritengo personalmente vada sfatato il mito di questa energia pulita a basso costo. Le fonti rinnovabili, allo stato de-gli atti, sono poca cosa nello scenario energeti-co globale. Una goccia in un Oceano, per usare una frase usurata.

A noi tocca fare i conti con la storia, storia di oggi. Oggi la storia dell’energia e Gas e Petrolio. Questo lavoro posto in essere e il suo prosieguo, esteso anche ad altri campi, vogliono dare un contributo all’insegna della chiarezza. Possiamo affermare senza tema di essere smentiti che la strada giusta e stata imboccata dall’ENI. Certo si può obiettare che l’Italia e andata da sola ver-so accordi che garantiscono al Paese le forniture necessarie per gli usi civili e per muovere la mac-china industriale. Cosa si poteva fare? Seguire alcune ex repubbliche sovietiche nel contrasto con la Federazione Russa?

Pura follia.Le prospettive di crescita della nostra Euro-

pa passano per la sicurezza delle forniture. Il Gas ormai muove il Mondo e ne dobbiamo prendere atto. Con l’Europa allargata, solo sottili strisce di terra ci dividono dalla Federazione Russa. La Russia e il nostro vicino, e non fa paura. Anzi è

una grande opportunità sullo scacchiere ener-getico ma anche su quello geopolitico e della sicurezza. Non c’e bisogno di missili ai confini della Federazione Russa e il Presidente Obama l’ha capito. I consumi interni della Federazione entreranno di prepotenza, negli anni futuri, nello scenario energetico mondiale. La ricerca e atten-ta e ha toccato questo punto cruciale e si può essere solo d’accordo con l’analisi fatta. L’Euro-pa nel suo complesso ha una grande opportuni-tà d’intervento nella Nuova Russia costruita da Vladimir Putin negli otto anni di presidenza. Po-trà intervenire con la sua tecnologia portata da imprese all’avanguardia. Il mercato russo è un mercato aperto, senza barriere. Chi continua an-cora a pensare alla Guerra Fredda o alla Cortina di Ferro e incompetente o in mala fede. Queste cose vanno consegnate alla storia. La Russia e pronta a un dialogo profondo e costruttivo con la nostra vecchia Europa.

C’e da chiedersi se è pronta l’Europa.C’e da chiedersi se le grandi burocrazie ci

permetteranno di volare alto. Per questo sono anni che parliamo di Europa dei Popoli che e cosa ben diversa dall’Europa delle Burocrazie. Come dicevamo, l’Eni vola alto, non sappiamo per quanto tempo. I tentativi di smembramento c’erano e ci sono. La nostra Compagnia potrebbe fungere da battistrada nel dialogo con la Russia e quindi con Gazprom e le altre società del setto-re energetico russo. Questi colossi dell’Energia sono sotto il diretto controllo dello Stato ed è questa la garanzia maggiore che ci consente il dialogo con la Federazione Russa quale affidabile fornitore, oggi e negli scenari futuri.

Tutto questo per lunghi anni grazie a riser-ve enormi sul proprio territorio e all’influenza che la Russia ha nei mercati asiatici. È inutile cercare scorciatoie, improbabili alleanze in giro per il mondo. Le fonti energetiche ci sono e sono a pochi passi da noi grazie alle grandi reti che attraversano l’Europa, quelle esistenti e quelle da realizzare. In pochi anni nuovi gasdotti por-teranno il gas naturale in Europa. Non dobbia-mo dimenticare che uno dei grandi uomini della nostra storia ha sacrificato la vita per la nostra indipendenza energetica: Enrico Mattei.

Page 31: Numero 4/2010

31

F O C U S P E r M A N E N T E

conclusioni del focusLivello da record per Gazprom nel primo trimestre 2010. Un utile netto di 325

mld di rubli. Se confrontati con i 103,7 mld dell’anno precedente danno il polso della crescita del grande gruppo russo che si conferma leader mondiale del Gas. Cambio favorevole, inverno rigido in Russia e in Europa, aumento dei prezzi e delle vendite hanno spinto Gazprom ancora più in alto nel panorama mondiale dell’ener-gia. Gazprom controlla circa un quarto delle riserve mondiali di gas.

Un gigante in crescita esponenziale. Tempo buono e senza perturbazioni all’oriz-zonte nel mercato mondiale dell’energia. Ai confini della Federazione Russa paesi importanti quali l’Ucraina sono di nuovo alleati e questo sarà determinante nei rapporti energetici della Russia con l’Europa. L’Ucraina, Paese di transito, garan-tirà senza interruzione i flussi verso l’Europa che potrà guardare con tranquillità all’approvvigionamento necessario a garantire il suo ulteriore sviluppo. La Rus-sia sarà un fornitore affidabile.

A Baku, Capitale dell’Azerbaijan, alla presenza dei presidenti dei due paesi, Medvedev e Aliev, è stato firmato in questi giorni un accordo che consentirà al colosso russo di aumentare i suoi acquisti sino a 2 miliardi di metri cubi nel 2011 e oltre dal 2012. L’annuncio è stato dato da Gazprom, Alexiei Miller, a margine dell’ incontro. Mosca raddoppia gli acquisti di gas in questo Paese. Questi acquisti consolidano le riserve di gas della Federazione. E non solo. Si rafforzano le poten-zialità di South Stream che vede ulteriormente garantiti i volumi di gas necessari alle proprie pipeline.

Quale vuole essere il senso di questa breve analisi? La constatazione che la Russia consolida i rapporti con i paesi ai suoi nuovi confini in Europa e si rafforza in Asia Centrale consolidando vecchie amicizie alla luce di nuovi scenari mondiali. L’Europa, la nostra Europa deve muovere in questa direzione e sfruttare al meglio le opportunità che si creeranno ancora. L’Italia può giocare un ruolo determinante. Guenther Oettinger commissario all’energia ha detto: ‘’Se dicessimo che andiamo tutti insieme a negoziare un contratto per tutto il mercato europeo saremmo in una posizione migliore per ciascun stato membro, per ciascuna Compagnia e per ciascun consumatore dell’Unione’’.

Oettinger dimostra di essere un uomo di buona volontà ma dubitare sull’appli-cabilità di questa strategia e sui possibili risultati pensiamo sia legittimo. Troppo complesso il mercato, troppo poco condizionabili le scelte delle Compagnie. Eni compresa. L’Idea però va approfondita, discussa. Le dichiarazioni e le idee degli uomini di punta dell’Europa non devono finire sulla grande stampa per riempire qualche pagina e poi sparire nel nulla.

Molte volte alcune proposte restano notizie di agenzia o servono per entrare a gamba tesa nel dibattito internazionale. Iniziamo da Guenther Oettinger e fac-ciamoci spiegare da lui cosa significa andiamo tutti insieme a negoziare. Dove ne-goziare lo sappiamo, ma in che modo, con quali speranze. E cosa dire del pericolo più volte segnalato di spingere la Russia verso Oriente?

Questo e altri temi andranno affrontati in un contraddittorio che negli spazi di libertà della rivista che ospita il Focus saranno sempre possibili.

Chiediamo a Guenther Oettinger, autorevole esponente dell’UE, di chiarirci il suo pensiero.

Page 32: Numero 4/2010
Page 33: Numero 4/2010
Page 34: Numero 4/2010

34

Euronotedi Andrea Pierucci

Un’estate “calda”Il sole dell’estate (dove c’è stato) avrebbe potuto

mettere un po’ l’Europa a dormire. Un po’, ma non tanto. In realtà bisogna rendere conto di diverse decisioni di primaria importanza. Intanto la pre-sidenza semestrale del Consiglio dell’Unione (si ricorderà che oramai il Presidente del Consiglio europeo – i Capi di Stato e di governo – è nominato per due anni e mezzo) è passata dal 1° luglio dagli Spagnoli (un 6 – è stato il giudizio parlamentare su questa presidenza) ai Belgi. Problema: il Belgio non ha un governo pienamente efficace, anche se legittimo, dopo le elezioni che hanno visto nel Nord un successo dei nazionalisti fiamminghi e nel Sud dei socialisti di Elio Di Rupo. Ma non è grave! In realtà il Belgio ha serie difficoltà ad avere un vero governo, politicamente solido, da almeno due anni, nonostante due elezioni politiche. Tuttavia, l’azione delle presidenze belghe è sempre stata incisiva al livello europeo: vedremo. È interessante notare che alla tradizionale lista delle priorità proposte dai Belgi, il presidente della Commissione José Manuel Barroso abbia chiesto di aggiungere due punti: il rilancio del mercato interno (seguendo le indi-cazioni del rapporto stilato da Mario Monti), e il futuro della politica commerciale. “È nei momenti di crisi, che l’Europa mostra di poter superare le difficoltà”.

Alcune decisioni cruciali hanno poi visto la luce.Una prima è di semplice attualità: il Consiglio ha stretto i cordoni della

borsa, approvando un progetto di bilancio piuttosto riduttivo.Una seconda è più complessa e riguarda l’effettiva creazione del Servizio

d’azione esterna, una delle grandi innovazioni del Trattato di Lisbona.Inoltre, è di nuovo tornata sul tappeto la questione della trasmissioni

d’informazioni personali o finanziarie agli Stati Uniti, nel quadro della lotta al terrorismo – la giustificazione di tutti le decisioni liberticide, ormai (Swift II)! L’ac-cordo con gli Stati Uniti è stato approvato anche dal Parlamento europeo.

Bilancio dell’Unione 2011 e politica in materia finanziaria

Il 27 luglio il Consiglio ha approvato il progetto di bilancio per il 2011, preoccupandosi, in primo luogo di non contraddire le politiche di bilancio na-zionali. Così ha votato impegni di spesa per 141,777 miliardi di Euro, tagliando di 787, 83 milioni il bilancio proposto dalla Commissione e 126, 527 miliardi di impegni di pagamento (- 3.609 miliardi). La battaglia in Consiglio è stata dura se ben 7 Stati hanno votato contro. Ora la parola passa al Parlamento. D’interessante in questa vicenda c’è il legame fatto con i bilanci nazionali, essi stessi sottoposti, dal prossimo anno, ad un esame comunitario preventivo,

per evitare sorprese “greche”. Tant’è che alla stessa data il Consiglio ha anche approvato nuove regole in materia statistica, proprio contro le manipolazioni che hanno portato, almeno ufficialmente, l’Unione a scoprire i buchi di bilancio, appunto, della Grecia e di qualche altro paese.

Sempre sul versante del risanamento finanziario e della prevenzione di altre crisi

finanziarie il Consiglio ha approvato le pro-poste della Commissione, modificandole, sugli

strumenti di supervisione sulle attività finanziarie e delle Banche. Il Parlamento, pur soddisfatto dalla

decisione della Commissione di proporre e del Con-siglio di adottare tali regole, ha dato mandato ad una sua

delegazione di negoziare col Consiglio regole più stringenti. Le Autorità europee di sorveglianza dovrebbero, secondo il Parlamen-

to essere in grado di prendere decisioni con effetti diretti nei confronti di un istituto di credito, quale una banca, surrogando l’autorità nazionale che

non sia stata capace di modificarne il comportamento scorretto. Addirittura le Autorità europee di sorveglianza dovrebbero poter proibire temporaneamente alcuni tipi di attività finanziarie dannose per il corretto funzionamento del sistema finanziario. Completa il pacchetto l’approvazione di una decisione del Parlamento e del Consiglio che presto sarà legge e che tende a ridurre stipendi e bonus dei grandi banchieri, in particolare per le banche salvate con denaro pubblico. La stabilità delle banche, oltre ad interessare al massimo grado il Parlamento, è stata oggetto di uno “stress test”, pubblicati il 23 luglio dal comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria (CEBS).

La relazione ha messo in evidenza che, su un campione di 91 banche, 84 hanno passato il test e dovrebbero quindi essere in grado di far fronte anche a una drammatica recessione a due cifre se questa dovesse verificarsi in Europa. D’altra parte, il lavoro delle Istituzioni in questo settore procede rapidamente; il Commissario Barnier ha annunciato alla plenaria del Comitato economico e sociale europeo che entro marzo tutto il pacchetto d’iniziative sulla supervisione degli istituti finanziari sarà sulla tavola. Egli ha poi insisti-to, come ha poi fatto Barroso davanti al Parlamento, sulla decisione della Commissione di presentare una proposta di grandi dimensioni sul mercato interno, partendo dal rapporto Monti “Una nuova strategia per il mercato unico” presentato il 9 maggio scorso.

servizio diplomatico dell’Ue. il parlamento conferma l’accordo di madrid

Ormai siamo già ai primi vagiti: nasce il servizio diplomatico dell’UE. Questa struttura è destinata ad aiutare la Alta rappresentante dell’UE per la Politica estera e di sicurezza comune, vice presidente della Commissione

Page 35: Numero 4/2010

35e Presidente del Consiglio affari esteri. Esso comprenderà funzionari delle istituzioni (Commissione e Consiglio per oltre il 60%) e funzionari nazionali distaccati. Sulla base dell’accordo – che adesso dovrà tradursi in riforme dello statuto dei funzionari e del regolamento finanziario – le delegazioni (ambasciate) dell’Unione negli Stati terzi passeranno dalla Commissione alle dipendenze dell’Alto responsabile, salvo per le questioni di gestione dei finanziamenti e degli aiuti ai paesi terzi e in parte della politica com-merciale. Una consistente struttura di qualche migliaio di persone prenderà in carico sia la gestione strategica della politica estera, sia la gestione per settori geografici. Il Parlamento ha poi evitato che, dal punto di vista della responsabilità finanziaria e di quella politica, il nuovo Servizio vivesse in una “zona grigia”, come hanno sottolineato i relatori della risoluzione par-lamentare Elmar Brok (PPE), Guy Verhofstadt (ALDE) e l’italiano Roberto Gualtieri (PD/S&D).. Quest’ accordo è molto importante poiché prefigura un po’ la divisione delle responsabilità in materia di politica estera e di sicurezza comune, dalla ripartizione dei compiti fra Commissione, Con-siglio e nuova struttura del controllo parlamentare. È ovviamente presto per giudicare l’efficacia della decisione; di certamente positivo c’è il fatto che le decisioni sono state prese in un tempo relativamente breve e senza scatenar l’annunciato conflitto fra le Istituzioni. Lo stesso voto parlamentare (549 voti a favore, 78 contrari e 17 astensioni) prova il raggiungimento di un accordo effettivo.

la signora ashton a pechino

Nei prossimi giorni si apre il primo Forum strategico UE-Cina, volto a sviluppare le discussioni politiche utili alla comprensione e cooperazione fra le parti. L’Unione europea sarà rappresentata dalla signora Ashton, Alto rappresentante per la politica estera e la Cina, fra gli altri, dal “guru” della politica estera del Partito comunista, Dai Bingguo. Al tempo stesso, l’Europa sarà presente solo con Tony Blair, il cui compito sarà essenzialmente quello di riferire alla signora Ashton, che riferirà al Consiglio affari esteri. Bah! Il Trattato prevede altre possibilità di rappresentanza più chiaramente politica. Oppure si pensa che l’occasione non sia realmente importante. Brutto segno!

wift. via liBera definitivo del parlamento

Il 28 giugno il Consiglio dell’Unione ed il governo USA hanno firmato un accordo antiterrorismo sul trasferimento dei dati bancari verso gli Stati Uniti. Il Parlamento ha poi approvato giovedì 8 luglio nella nuova versione. I deputati avevano respinto l’accordo precedente 4 mesi fa, ma da allora hanno negoziato alcune garanzie e ottenuto che, a partire dal secondo semestre di quest’anno, l’Unione lavori alla creazione di un sistema che permetta di evitare il trasferimento dei dati in blocco verso gli USA. Le garanzie supple-mentari date ai deputati riguardano, fra l’altro, un coinvolgimento dell’Unione

(via EUROPOL o via un apposito comitato indipendente di supervisione al quale l’UE partecipa e che è incaricato di controllare l’utilizzazione dei dati). È previsto anche un più efficace diritto di ricorso giurisdizionale dei cittadini europei in caso di violazione delle regole. Il voto è stato nettamente in fa-vore del progetto (484 si, 109 no e 12 astensioni) ed ha visto il concorso dei principali gruppi PPE, S&D (i socialisti), ALDE (i liberali) e ECR (i conservatori) ed il voto contrario di Verdi, sinistra e euroscettici (destra).

ampliamento

Dopo le crisi legate all’approvazione del Trattato di Lisbona sembrava che l’ampliamento fosse un problema non più all’ordine del giorno. Faceva-mo i conti senza l’oste! Abbiamo visto che Serbia e, soprattutto, Croazia si avvicinano a grandi passi all’adesione. È di giugno la decisione di dare il via libera all’adesione dell’Islanda, divenuta molto europea dopo aver verificato la difficoltà di trovarsi sola nella crisi finanziaria internazionale. Il 27 luglio il Consiglio, riunito in Conferenza intergovernativa, ha approvato il quadro di negoziato con l’Islanda. Ricordiamo le promesse alla Macedonia e il fatto che il Montenegro ha già l’EURO come propria moneta. Il Parlamento ha approvato una risoluzione ha preso in conto la possibilità di adesione di questi due paesi. Per l’Albania ha chiesto progressi in materia di riforme economiche e in materia di democrazia e per il Kosovo, come condizione preventiva a tutti i possibili discorsi, ha chiesto agli Stati membri di evitare una cacofonia di posizioni. E la Turchia? Silenzio assoluto. A me sembra che adesso la questione della sua adesione divenga sempre più interessante dopo che ha perso un po’ della sua amicizia con gli Stati Uniti! Battute a parte, resta il problema del ruolo della Turchia. Non credo che possiamo dimenticare questo dossier.

la crisi dei rom

La Francia ha proceduto all’espulsione di un certo numero (un migliaio) di Rom dell’Europa dell’Est, cittadini dell’Unione europea e il nostro mini-stro dell’interno ha applaudito all’iniziativa, com’era del tutto prevedibile. Il Presidente francese, per sopramisura ha detto che si potrebbero espellere anche un po’ di Rom nazionali, francesi, mescolando il discorso con quello sulla possibilità di togliere la nazionalità francese a elementi turbolenti. Per fortuna, l’Europa è insorta. Viviane Reding, Commissaria europea ha reagito, criticando apertamente la Francia. Raramente un Commissario europeo agisce in questa maniera. Così ha fatto il Presidente del CESE, Mario Sepi. Tutti hanno concordato sulla necessità del rispetto dei diritti fondamentali e dei diritti dei cittadini e sull’esigenza di una politica europea per i Rom. Nei prossimi giorni assisteremo ad un dibattito parlamentare su questo sog-getto. L’effetto boomerang della decisione di Sarkozy – criticata da mezzo mondo – dovrebbe significantemente aggravarsi: speriamo, perché davvero non se ne può più del razzismo che avanza e del richiamo all’irrazionalità ed alla paura per la propria propaganda elettorale.

Page 36: Numero 4/2010
Page 37: Numero 4/2010
Page 38: Numero 4/2010
Page 39: Numero 4/2010

Le librerie:

Feltrinelli Via S. Tommaso D’Aquino, 70 NAPOLI – Tf. 0815521436

Piazza dei Martiri – Via S. Caterina a Chiaia, 33 NAPOLI – Tf. 0812405411

Piazzetta Barracano, 3/5 SALERNO – Tf. 089253631

Largo Argentina, 5a/6a ROMA – Tf. 0668803248

Via Dante, 91/95 BARI – Tf. 0805219677

Via Maqueda, 395/399 PALERMO – Tf. 091587785

Librerie Guida Via Port’Alba, 20 – 23 NAPOLI – Tf. 081446377

Via Merliani, 118 NAPOLI – Tf. 0815560170

Via Caduti sul Lavoro, 41‑43 CASERTA – Tf. 0823351288

Corso Vittorio Emanuele, Galleria “La Magnolia” AVELLINO – Tf. 082526274

Corso Garibaldi, 142 b/c SALERNO – Tf. 089254218

Via F. Flora, 13/15 BENEVENTO – Tf. 0824315764

Loffredo Via Kerbaker, 18‑21 NAPOLI – Tf. 0815783534; 0815781521

Marotta Via dei Mille, 78‑82 NAPOLI – Tf. 081418881

Tullio Pironti Piazza Dante, 30 NAPOLI – Tf. 0815499748; 0815499693

Pisanti Corso Umberto I, 34‑40 NAPOLI – Tf. 0815527105

Alfabeta Corso Vittorio Emanuele, 331 TORRE DEL GRECO – Tf. 0818821488

Petrozziello Corso Vittorio Emanuele, 214 AVELLINO – Tf. 082536027

Diffusione Editoriale Ermes Via Angilla Vecchia, 141 POTENZA – Tf. 0971443012

Masone Viale dei Rettori, 73 BENEVENTO – Tf. 0824317109

Centro librario Molisano Viale Manzoni, 81‑83 CAMPOBASSO – Tf. 08749878

Isola del Tesoro Via Crispi, 7‑11 CATANZARO – Tf. 0961725118

Tavella Corso G. Nicotera, 150 LAMEZIA TERME

Domus Luce Corso Italia, 74 COSENZA

Godel Via Poli, 45 ROMA – Tf. 066798716; 066790331

Libreria Rinascita Via delle Botteghe Oscure, 1‑2 ROMA – Tf. 066797460

Edicola c/o Parlamento Europeo Rue Wiertz – BRUxELLES

Libreria La Conchiglia Via Le Botteghe 12 80073 CAPRI

Libreria Cues Via Ponte Don Melillo Atrio Facoltà Ingegneria FISCIANO (Sa)

C/o Polo delle Scienze e delle Tecnologie – Loc. Montesantangelo NAPOLI

H3g – Angelo Schinaia C/o Olivetti Ricerca SS 271 Contrada La Marchesa BITRITTO (Ba)

Libreria Colonnese Via S. Pietro a Majella, 32‑33 – 80138 Napoli – Tel. +39081459858

Le Associazioni, le biblioteche, gli Istituti:Ist. Italiano per gli Studi Filosofici Via Monte di Dio, 14 NAPOLI – Tf. 0817642652

Associazione N:EA Via M. Schipa, 105‑115 NAPOLI – Tf. 081660606

Fondazione Mezzogiorno Europa Via R. De Cesare 31 NAPOLI – Tf. +390812471196

Archivio Di Stato Di Napoli Via Grande Archivio, 5 NAPOLI

Archivio Di Stato Di Salerno P.zza Abate Conforti, 7 SALERNO

Biblioteca Universitaria Via G. Palladino, 39 NAPOLI

Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Piazza Cavalleggeri 1 – Firenze

Biblioteca Nazionale “V. Emanuele III” P.zza del Plebiscito Palazzo Reale – NAPOLI

Mezzogiorno Europa

Periodico della Fondazione

Mezzogiorno Europa – onlus

N. 4 – Anno X – Luglio/agosto 2010

Registrazione al Tribunale di Napolin. 5112 del 24/02/2000

Via R. De Cesare 31 – Napolitel. +39 081.2471196 fax +39 081.2471168

mail‑box: [email protected]

Direttore responsabileANdrEA GErEmIccA

Art directorLucIANO PENNINO

Comitato di redazioneOTTAvIA BENEducE, OSvALdO cAmmArOTA,

cETTI cAPuANO, uLIANA GuArNAccIA,LuISA PEzONE, mArcO PLuTINO,IvANO ruSSO, EIrENE SBrIzIOLO,

mANuELA SIANO

Consulenti scientificiSErGIO BErTOLISSI, WANdA d’A LES SIO,

mArIANO d’ANTONIO, vITTOrIO dE cESArE,BIAGIO dE GIOvANNI, ENzO GIuSTINO,

GIL BErTO A. mArSELLI, GuSTAvO mINErvINI,mASSImO rOSI, AdrIANO rOSSI,

FuLvIO TESSITOrE, SErGIO vELLANTE

Stampa: Le.g.ma. (Napoli)Tel. +39 081.7411201

La rivista la puoi trovare presso

Come abbonarsiSi può ricevere Mezzogiorno Europa in abbonamento annuale (6 numeri) al costo di 100,00 euro inviando i propri dati

– insieme al recapito e alla copia della ricevuta del versamento –attraverso il modulo online disponibile su www.mezzogiornoeuropa.it o via fax al numero +390812471168..

La quota può essere versata:La quota può essere versata a mezzo bonifico bancario a Fondazione Centro di Iniziativa Mezzogiorno Europa onlus

presso Banca Prossima via Manzoni ang. Via Verdi, 20121 Milano filiale 5000 c/c 10008974 IBAN: IT03S0335901600100000008974 BIC: BCITITMX.

Specificare la causale: “Abbonamento annuale Rivista Mezzogiorno Europa”.L’ABBONAMENTO DECORRE DAL NUMERO SUCCESSIVO ALLA DATA DI PAGAMENTO

Page 40: Numero 4/2010

Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Per le condizioni contrattuali consultare i Fogli Informativi a disposizione in Filiale. La concessione del finanziamento è soggetta alla valutazione della Banca.

www.ambiente.intesasanpaolo.com

c’è un patrimonio che ci sta particolarmente a cuore.Il nostro pianeta è la cosa più importante che

abbiamo. E va protetto. Noi di Intesa Sanpaolo

vogliamo dare il nostro contributo, anche

offrendo soluzioni dedicate alle famiglie

e alle imprese che scelgono l’energia pulita.

Perché la natura è il migliore investimento.

Banca del gruppo