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NOTIZIE SULLA PARTECIPAZIONE SOCIALISTA ALLA RESISTENZA IN TORINO 1I l I. Prime attività clandestine La prima sommaria organizzazione socialista nella città di Torino può essere collocata fra la fine del settembre ed i primi dell’ottobre 1943. È da tener presente che fino a quella data le forze politiche socialiste erano in Torino sparse, i collegamenti precari e limitati a quei contatti che erano stati mantenuti e sviluppati durante il ventennio fascista. Gli esponenti socialisti torinesi, a differenza dei comunisti, che avevano dato vita ad una vera e propria organizzazione clandestina, avevano limitato la loro attività a contatti sporadici e personali. Alfonso Ogliaro, Filippo Acciarini, Pier Luigi Passoni, Domenico Chiaramello, Andrea Camia, Filippo Amedeo, Renato Martorelli ed altri erano stati coloro che avevano cercato di non perdere completamente i legami ed anzi, nei loro incontri, erano state tal- volta espresse proposte di azioni dimostrative, che avrebbero avuto l’unico scopo di manifestare apertamente il dissenso al fascismo. A seguito della collaborazione che elementi del partito socialista italiano 1 Le pagine che seguono vogliono essere un tentativo di contributo alla trattazione storica della partecipazione socialista alla resistenza torinese. Di fronte a studi partico- lareggiati sulla lotta della classe operaia in Torino nel periodo settembre 1943-aprile 1945, che pongono precipuamente in luce l’attività dell’organizzazione comunista, ful- cro della resistenza operaia torinese, scarseggiano in modo desolante opere che trattino del contributo che i socialisti torinesi dettero alla guerra di liberazione. È parso quindi interessante cercare di puntualizzare schematicamente l’evolversi del- l’organizzazione politico-militare socialista in Torino e accennare all’opera che i militanti socialisti diedero nel corso dei venti mesi alla resistenza torinese, fino a sfociare nell’in- surrezione armata. Il reperimento delle notizie mediante la ricerca e l’esame dei non molti docu- menti esistenti negli archivi privati e pubblici è stata la base fondamentale dello studio: a parte la documentazione presso l’Istituto storico della resistenza in Piemonte, le fonti che hanno permesso un abbozzo dell’organizzazione clandestina socialista e della sua attività sono state rintracciate principalmente presso gli archivi del sen. Pier Luigi Passoni (che conserva un’interessante raccolta di giornali clandestini, oltre ad un’utile serie di documenti, originali e in copia, relativi al PSIUP) e del sig. Augusto Conti, segretario dell’Associazione Partigiani « Matteotti », che custodisce buona parte del- l’archivio di detta associazione, nel quale si trova abbondante materiale documentario ben ordinato. Gli archivi suindicati sono staticitatimediante le seguenti abbreviazioni: AISRT = Archivio dell’Istituto storico della resistenza, Torino; AC = Archivio Conti; AP = Archivio Passoni.

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NOTIZIE SULLA PARTECIPAZIONE SOCIALISTA ALLA RESISTENZA IN TORINO 1 Il

I. Prime attività clandestine

La prima sommaria organizzazione socialista nella città di Torino può essere collocata fra la fine del settembre ed i primi dell’ottobre 1943. È da tener presente che fino a quella data le forze politiche socialiste erano in Torino sparse, i collegamenti precari e limitati a quei contatti che erano stati mantenuti e sviluppati durante il ventennio fascista. Gli esponenti socialisti torinesi, a differenza dei comunisti, che avevano dato vita ad una vera e propria organizzazione clandestina, avevano limitato la loro attività a contatti sporadici e personali. Alfonso Ogliaro, Filippo Acciarini, Pier Luigi Passoni, Domenico Chiaramello, Andrea Camia, Filippo Amedeo, Renato Martorelli ed altri erano stati coloro che avevano cercato di non perdere completamente i legami ed anzi, nei loro incontri, erano state tal­volta espresse proposte di azioni dimostrative, che avrebbero avuto l’unico scopo di manifestare apertamente il dissenso al fascismo.

A seguito della collaborazione che elementi del partito socialista italiano

1 Le pagine che seguono vogliono essere un tentativo di contributo alla trattazione storica della partecipazione socialista alla resistenza torinese. Di fronte a studi partico­lareggiati sulla lotta della classe operaia in Torino nel periodo settembre 1943-aprile 1945, che pongono precipuamente in luce l’attività dell’organizzazione comunista, ful­cro della resistenza operaia torinese, scarseggiano in modo desolante opere che trattino del contributo che i socialisti torinesi dettero alla guerra di liberazione.

È parso quindi interessante cercare di puntualizzare schematicamente l’evolversi del­l’organizzazione politico-militare socialista in Torino e accennare all’opera che i militanti socialisti diedero nel corso dei venti mesi alla resistenza torinese, fino a sfociare nell’in­surrezione armata.

Il reperimento delle notizie mediante la ricerca e l’esame dei non molti docu­menti esistenti negli archivi privati e pubblici è stata la base fondamentale dello studio: a parte la documentazione presso l’Istituto storico della resistenza in Piemonte, le fonti che hanno permesso un abbozzo dell’organizzazione clandestina socialista e della sua attività sono state rintracciate principalmente presso gli archivi del sen. Pier Luigi Passoni (che conserva un’interessante raccolta di giornali clandestini, oltre ad un’utile serie di documenti, originali e in copia, relativi al PSIUP) e del sig. Augusto Conti, segretario dell’Associazione Partigiani « Matteotti », che custodisce buona parte del­l’archivio di detta associazione, nel quale si trova abbondante materiale documentario ben ordinato.

Gli archivi suindicati sono stati citati mediante le seguenti abbreviazioni:AISRT = Archivio dell’Istituto storico della resistenza, Torino;AC = Archivio Conti;AP = Archivio Passoni.

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(unitamente a rappresentanti del movimento di unità proletaria) avevano dato nelle riunioni del comitato del Fronte nazionale nel quadro di una collaborazione interpartitica per la creazione del movimento di resistenza nel 1942-43 2, sono da ricordare gli incontri avvenuti (appunto nell’ottobre1943) fra esponenti del partito socialista italiano di unità proletaria (ri­compostosi il 7 agosto 1943 con la fusione fra PSI e MUP) per concordare le direttive di un’azione socialista in Torino, che, nell’ambito del Comitato di liberazione nazionale, partecipasse attivamente all’aperta ribellione ar­mata al fascismo.

È dei primi dell’ottobre 1943 una visita di Corrado Bonfantini a casa di Mario Succi per coordinare e sviluppare quel lavoro di propaganda e di reclutamento che doveva porre le basi per l’inizio dell’organizzazione re­sistenziale socialista 3. È parimenti da ricordare che verso la metà dell’ot­tobre 1943 si tenne un incontro, in casa di Quinto Bevilacqua, fra Bon­fantini, Chignoli, Fabbri ed altri, in cui furono discusse le modalità ed i dettagli per una concreta azione, assegnando a ciascuno dei partecipanti compiti precisi di propaganda e di collegamento4.

Erano gli abbozzi dell’organizzazione socialista, i cui esponenti vede­vano la necessità di inserirsi nel quadro generale dell’azione antifascista che andava concretandosi in Torino: furono nominati i responsabili per le varie attività, venne assegnato a ciascuno un settore ben determinato in cui agire con una continua opera di propaganda e di proselitismo. Venne posto ed affrontato il problema dei collegamenti con le altre forze anti­fasciste, in vista di una mobilitazione delle maestranze delle varie fabbri­che cittadine. Tali collegamenti non furono senza contrasti tra i rappre­sentanti dei partiti, in special modo col PCI, che con la sua forza orga­nizzativa aveva posto una specie di monopolio sulla mobilitazione della classe operaia torinese5. Furono giorni e settimane duri e difficili, rivolti essenzialmente ad un paziente ed intenso lavoro di penetrazione e di propaganda. Nelle fabbriche la distribuzione della stampa clandestina so­

2 Nonostante l’iniziativa comunista, che si può far risalire al settembre 1942, per concretare il Fronte nazionale di liberazione (chiamato anche Comitato delle opposi­zioni) si deve rilevare che gli incontri ed i colloqui tra gli antifascisti torinesi non avevano, a quella data, approdato a nessun risultato positivo, nel senso di unificare gli sforzi di resistenza e di opposizione al fascismo e di convogliare tutte le attività ad una lotta organizzata secondo schemi precisi e scopi fissati con gradualità.

Sul finire del 1942 divennero più frequenti i contatti fra gli esponenti dell’antifasci­smo torinese fino a giungere, nel gennaio 1943, alla creazione del fronte con la partecipa­zione del PCI, Pd’A, PSI, DC, Movimento ricostruzione liberale. Agli incontri parte­cipavano anche rappresentanti del MUP.

Si trattava però di riunioni e colloqui interlocutori, più volti a permettere scambi di vedute, a confrontare punti di vista, che a stabilire caposaldi concordi per un’attività concreta: non si può quindi parlare di un’organizzata attività resistenziale.3 Testimonianza Mario Succi.4 Testimonianza Arturo Bevilacqua.5 Testimonianza A. Bevilacqua.

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cialista si sviluppò poco a poco fino a raggiungere uno slancio insperato; d’altronde la propaganda cominciava ad avere successi notevoli per opera dei nuclei responsabili delle fabbriche creati a fatica giorno per giorno, superando difficoltà ed incertezze nel reperimento di collaboratori, af­frontando rischi con l’abbordare elementi sconosciuti e che solo esterior­mente offrivano qualche indizio di buona volontà. Si giunse addirittura alla possibilità di fabbricazione di armi o parti di esse durante il lavoro6. Si organizzarono le prime SAP di fabbrica di ispirazione socialista (che nell’ultima fase della lotta si sarebbero poi unite a formare la divisione « Bruno Buozzi »). Le prime fabbriche ove i socialisti furono in grado di creare squadre di operai cui affidare compiti di resistenza armata furono la Grandi Motori (dove, nell’autunno 1943, l’organizzazione socialista po­teva contare su 15 elementi direttamente dipendenti da Mario Succi7), l’Arsenale, le Fonderie FIAT, la SPA, la Nebiolo, l’Azienda Tramviaria, la FIAT Mirafiori, la Elli Zerboni, le Ferriere FIAT, il corpo dei Vigili Urbani e quello dei Vigili del Fuoco.

Il partito socialista, tramite l ’attività dei più combattivi elementi to­rinesi, si poneva come forza che voleva affermarsi nell’ambito dei partiti antifascisti torinesi e si organizzava per appoggiare con opera concreta l’azione dei suoi rappresentanti sia nel neonato CLN (Alfonso Ogliaro, Pier Luigi Passoni), sia nell’organizzazione militare che da questo era stata creata. Quinto Bevilacqua fu designato membro del primo Comitato mi­litare regionale, che doveva gettare le basi di tutto l’organismo militare di Torino e del Piemonte. Erick Giachino, che già nel settembre 1943 — subito, cioè, dopo l’annuncio dell’armistizio ed il conseguente sbanda­mento dell’esercito — aveva dato vita ai primi nuclei partigiani, sarà, nel comitato militare, il rappresentante delle formazioni di ispirazione socia­lista e si assumerà l’incarico di coordinare e potenziare le prime SAP cittadine. Giulio Biglieri, pure membro socialista del comitato, ebbe l ’in­carico di mantenere i collegamenti coi primi reparti partigiani del Nova­rese e della Valsesia, presso i quali, nel settembre, aveva svolto le prime missioni militari intese alla loro creazione ed al loro sviluppo ed ordi­namento.

6 Testimonianze M. Succi e A. Bevilacqua. Il Bevilacqua ha ricordato un episodio che conferma come l’organizzazione comunista si fondasse su rigide regole disciplinari, che ne assicuravano una riservatezza sconosciuta ai primi tentativi socialisti. In occa­sione di un appuntamento con due elementi comunisti della Grandi Motori per con­cordare le modalità per l’espatrio di sette prigionieri inglesi fuggiti da un campo di concentramento, l’incaricato socialista venne con sorpresa a conoscere che i due ope­rai comunisti preposti alle successive operazioni di smistamento, erano reciprocamente ignari della loro attività cospirativa.7 Testimonianza M. Succi. Il Succi ha ricordato che, per conservare annotazioni di vario genere e per gli elenchi dei nominativi dei componenti delle SAP, egli stesso aveva ideato un codice segreto che avrebbe impedito la decifrazione quand’anche i do­cumenti fossero caduti in mano della polizia fascista.

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È opportuno qui rilevare che, oberati dal pressante lavoro organizza­tivo, ed in ossequio anche a precisi criteri politici, i componenti socialisti del comitato militare non affrontarono immediatamente ed a fondo il problema di una differenziazione politica delle formazioni partigiane: anzi, era prevalente nel pensiero e nell’orientamento degli esponenti so­cialisti l’intenzione di non insistere sul fatto di una accentuazione politica dei gruppi partigiani. Era preferibile, secondo il parere dei socialisti, che le bande partigiane si formassero e si sviluppassero indipendentemente dalla ideologia politica di coloro che avevano dato vita alle diverse forma­zioni e che continuavano ad animarle. E questa è forse la ragione fonda- mentale per cui le formazioni foranee « Matteotti » ebbero una loro precisa caratterizzazione, anche per quanto riguarda il nome, in epoca alquanto ritardata rispetto ad altre formazioni di colore. Infatti, da parte socialista, i giovani che rifiutavano l’adesione ai reparti fascisti venivano indirizzati in montagna, senza il preciso scopo di creare gruppi spiccata- mente politici, presso reparti già esistenti8.

Solo nella primavera del 1944 si muterà politica, sotto la spinta di uomini come Renato Martorelli, Mario Passoni, Andrea Camia, Corrado Bonfantini i quali, secondo quanto veniva anche affermato da Sandro Pertini sul piano nazionale, sin dall’inizio avevano sostenuto l’opportunità o addirittura la necessità di creare nuclei partigiani con tendenza spicca­tamente socialista, incontrando notevoli resistenze nell’ambito del partito. Solo allora i socialisti definiranno l’organizzazione delle formazioni « Mat­teotti » su un piano militare, ottenendo risultati organizzativi e funzionali non lontani da quelli dei pur più numerosi reparti giellisti e garibaldini9.

Indipendentemente dal grado di efficienza dell’organizzazione socialista, o anche addirittura all’infuori di questa, i socialisti, subito dopo la pro­clamazione dell’armistizio, posero in atto iniziative singole o collettive in cui era forte la volontà di opporsi allo sfacelo militare ed allo spirito di sbandamento che aveva pervaso le forze militari italiane e nello stesso tempo di valorizzare la ferma decisione di resistenza che spontaneamente era sorta nelle masse lavoratrici10. A Torino, infatti, dove l’atteggiamento

8 Una concorde testimonianza a conferma di tale tendenza socialista è stata resa, in occasioni diverse, da Arturo Bevilacqua e da Mario Succi.9 Le documentazioni relative ai primi tentativi di organizzazione di vari gruppi parti­giani, operanti sin dall’inizio della guerra di liberazione in complessi organici a ten­denza, almeno al vertice, socialista, confermano con le loro date la realtà di questi fatti. In una relazione del com. De Franchi al Comando regionale si ha indicazione della data del 1°.7.1944 quale data di costituzione del « Comando Matteotti di To­rino » dal quale il De Franchi aveva avuto il compito « di dare vita militare alle bri­gate Matteotti » {Il contributo socialista nella resistenza in Piemonte, Torino, s.d., pp. 19-20, a cura di Domenico Zucàro).10 Varie furono le iniziative dei rappresentanti antifascisti per prendere contatto con le autorità militari al fine di ottenere l’appoggio dell’esercito per una resistenza ai ger­manici (iniziative peraltro cadute nel nulla per l’opposizione attuata dai comandanti militari cittadini).

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dell’autorità militare era stato negativo nei confronti di un’organizzata difesa della città, la volontà di resistenza degli operai era stata esplici­tamente dichiarata ed aveva dato vita a molteplici episodi che si possono considerare come preludenti alla resistenza in atto, e principalmente alla ricerca di armi presso le caserme o dove queste fossero reperibili11.

Fu di iniziativa socialista quello che si può considerare uno dei primi tentativi di organizzazione di una forma di resistenza armata, concretatosi ad opera di un gruppo di operai della Grandi Motori. Subito dopo l’an­nuncio dell’armistizio, parte delle maestranze, venute a conoscenza di mo­vimenti di truppe tedesche, che sarebbero sfociati in una massiccia occu­pazione della città — e ciò nel quadro generale dei piani bellici germanici, che consideravano l’Italia come territorio infido e nemico prevedendone la ribellione — inviarono una delegazione alla direzione dell’azienda 12.

Tale delegazione, capeggiata da Mario Succi, sottopose la richiesta, sca­turita dalla volontà dei più decisi operai dello stabilimento, che fosse consentita l’uscita in massa delle maestranze al fine di opporre, con armi che già si erano procurate o che si pensava di procurare, un’organizzazione para-militare alle truppe tedesche in arrivo. I dirigenti della manifestazione pensavano addirittura di spostarsi presso l ’imbocco dell’autostrada per Milano per costituirvi una prima barriera al dilagare delle forze naziste. La discussione in direzione si protrasse a lungo ed ebbe fasi drammatiche. AI punto di vista degli operai si contrappose parte della direzione in nome di una più realistica valutazione della situazione. L’ing. Fogagnolo sotto­lineò le inesistenti possibilità di successo, facendo rilevare che, fra l’altro, l’armamento era assolutamente insufficiente. Altri membri della direzione parteggiarono invece per la richiesta delle maestranze: l’ing. Fascini ne sostenne il punto di vista e dette loro tutto il suo appoggio.

L’iniziativa si risolse nel nulla, anche se era prevista la partecipazione di operai di altri stabilimenti (Fonderia di via Cuneo): la spontaneità della ribellione operaia resta tuttavia un fatto notevole se la si mette in relazione con il malvolere e l’indecisione dei capi militari della piazza di Torino, che proprio in quei giorni respingevano le proposte dei rap­presentanti antifascisti e capitolavano poi di fronte ai nazisti, cedendo loro la città senza alcun tentativo di difesa.

Fu ad esempio dovuta all’iniziativa socialista ed azionista l’idea di organizzare squa­dre di difesa popolare per un’eventuale battaglia cittadina, contro il parere comunista che paventava una lotta nella cinta della città, lotta destinata, in quelle circostanze, a risolversi tragicamente a breve scadenza, con la perdita di elementi preziosi per una futura più ampia resistenza.11 G. Vaccarino, Il movimento operaio a Torino nei primi mesi della crisi italiana, in II movimento di liberazione in Italia, n. 20, settembre 1952, p. 6.12 Testimonianza M. Succi.

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La presenza socialista si fa più costante ed efficace nei mesi seguenti sia negli organi centrali, il CLN regionale e il Comando militare regionale piemontese, sia nelle fabbriche. Nei primi è da segnalare specialmente l’opera di Pier Luigi Passoni, il quale dette un notevole contributo alla soluzione del problema dei finanziamenti delle formazioni partigiane. Membro del comitato finanziario creato dal CLN, con l’incarico di ammi­nistrare i fondi del CLN stesso, egli si recò il 9 e il 12 dicembre 1943 a Narzole presso il generale O perti13 per ritirare parte dei fondi della IV Ar­mata (complessivamente 150.000.000 di franchi francesi e 30.000 lire ita­liane), secondo accordi che egli stesso aveva preso con l’ex intendente di quell’unità militare in ima riunione del CLN avvenuta a Torino il 7 di­cembre 1943.

Quando, nell’estate 1944, la situazione finanziaria si farà di nuovo pesante, sarà ancora il Passoni a investire il CLNRP della gravità del pro­blema. Nel verbale della riunione tenuta a Valtournanche il 14 luglio 1944 dal CLNRP si legge che alcuni membri di questo

[...] richiamano l’attenzione sul fatto che i fondi ex IV Armata stanno per esaurirsi [...]. Si profila il pericolo di rimanere in brevissimo tempo privi dei mezzi finanziari necessari per fronteggiare la situazione [...] 14.

Più tardi il CMRP preciserà, con lettera del 14 novembre 1944 al comando generale per l’Italia occupata, che

[...] la tassazione ad opera dei CLN locali non avviene in pratica per il troppo scarso numero di detti organi che abbiano la possibilità ed il coraggio di agire [...]. Quanto alla mobilitazione delle risorse finanziarie attraverso con­tribuzioni e prestiti, questo CMRP ritiene dover far noto che da mesi ne ha sollecitato l’adozione da parte del CLN regionale [...] 15.

E lo stesso dovrà, alla metà del dicembre 1944, autorizzare quell’auto­finanziamento che aveva sempre cercato di evitare perchè possibile causa di violenze e di indisciplina:

Il CLN regionale [...] non è per ora in misura di assicurare le regolari ri­messe per il finanziamento e il sostentamento delle formazioni. Necessita per­tanto che queste provvedano direttamente [...] escogitando i provvedimenti atti ad evitare, o quanto meno limitare, i noti inconvenienti inerenti al proce­dimento [...] 16.

15 Si veda per la questione Operti: M. G iovana, ha resistenza in Piemonte, Storia del CLN in Piemonte, Milano, 1962, pp. 39-40.14 AP, Atti del CLNRP, Verbale della riunione avvenuta a Valtournanche il 14.7.1944.15 AC, prot. 288/SP del 14.11.1944.16 AC, prot. 555 in data 18.12.1944, indirizzato al CLNRP e ai comandi di zona.

IL Contributo agli organi regionali della resistenza.

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In questi mesi il Passoni dette un valido contributo alle operazioni tendenti a ottenere un regolare finanziamento mediante erogazioni di fondi da parte di istituti di credito avallate e garantite dal governo di Roma. Se le operazioni non poterono concretarsi secondo i progetti che erano stati fatti alla loro ideazione 11, lo sforzo dei socialisti, specialmente nella persona del Passoni, per trovare finanziamenti presso privati ed industrie con l’avallo di documenti di garanzia del governo di Roma, dette buoni fru tti18.

Altri problemi, negli organi centrali della resistenza piemontese, af­frontò il Passoni riguardo allo scambio di detenuti politici o partigiani con tedeschi e fascisti catturati dalle forze della resistenza, specialmente in occasione (luglio 1944) della cattura da parte di Edgardo Sogno della figlia del console tedesco Von Langen, e più tardi, nel dicembre 1944, in col­loqui esplorativi con l’ufficiale tedesco Schmidt19.

III. Le SAP socialiste e l’organizzazione nelle fabbriche

All’azione del Passoni e di altri socialisti nel CLN e nel Comando militare regionale si affianca, nel corso del 1944, e specialmente dall’inizio

17 Ad esempio le lettere di credito della Banca commerciale italiana e del Credito ita­liano giunte al Passoni in fotocopia con alquanto ritardo, furono inutilizzabili perchè nel frattempo erano sopraggiunte disposizioni fasciste che subordinavano il ritiro di somme in denaro liquido presso gli istituti di credito all’autorizzazione del Consiglio provinciale dell’Economia, che l ’avrebbe concessa quando fosse stato a conoscenza della ragione del prelievo e dell’identità del beneficiario. Le somme occorrenti al CLN (L. 60.000.000 fra CLNRP e CLNAI) erano di entità tale che nessun pretesto avrebbe potuto giustificarle. Ciò anche se le trattative per le operazioni avevano avuto buon esito e la conclusione era già stata concordata. Ad esempio la trattativa condotta con gli alleati dal Longhi del CLNAI per un finanziamento di L. 300.000.000 era stata con­clusa nel modo più brillante. Ne fa fede una lettera di P. Longhi, datata 10.12.1944, conservata in originale nell’archivio Passoni.18 Lo stesso Passoni ricorda una trattativa col prof. Vailetta per il versamento di una considerevole somma. Il volume dei biglietti di banca non ne consentiva il totale ritiro in occasione di un solo appuntamento, cosicché ci si accordò per consegne di importi minori a scadenze saltuarie secondo le necessità, le cui modalità venivano di volta in volta concordate in incontri fra il Passoni e il Vailetta. Luogo preferito era l’incrocio fra i corsi Vinzaglio e Peschiera, dove il Valletta giungeva in macchina sulla quale, dopo gli opportuni accertamenti di « tutto regolare » saliva anche il Passoni. Il collo­quio avveniva sull’automobile in corsa per i viali di Torino. Testimonianza P. L. Passoni.19 II sen. Passoni, in una sua testimonianza, ha ricordato che vari furono gli argo­menti da lui sostenuti durante i colloqui con lo Schmidt, non escluso quello che lo scambio potesse contribuire a risolvere problemi logistici delle formazioni partigiane: mettendo in risalto che il comando della resistenza rifiutava di porsi contro il diritto di guerra abbattendo i nemici catturati, il Passoni sottolineava però le esigenze dei partigiani, che imponevano loro di liberarsi dei prigionieri. Altra volta il Passoni ebbe a ricordare al tedesco che « fra la Germania vinta e l’Italia sconfitta » sarebbe stato inu­mano non giungere ad un accordo, riuscendo, poco prima del Natale 1944, ad ottenere la liberazione per alcuni giovani sorpresi ad affiggere manifesti antifascisti. Il Passoni seppe in seguito che la scarcerazione era avvenuta per iniziativa dello Schmidt, che desi­derava con questo fare un « dono di Natale » all’incaricato del CLN che aveva avuto modo di conoscere in occasione dei ripetuti colloqui.

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dell’estate, l’opera dei militanti operai. Si forma il primo nucleo di quella che sarà la divisione SAP « Bruno Buozzi ». Le forze socialiste cittadine sono dirette dapprima dal dott. Andrea Camia, il quale, già comandante delle formazioni foranee « Matteotti », le affida al maggiore Della Peruta20.

Le riunioni dei dirigenti del movimento cittadino si erano tenute, sotto la direzione del primo comandante, presso l’alloggio dell’ing. Carrara, in corso Sommeiller: qui si incontrarono appunto, per il passaggio delle consegne, il Camia e il Della Peruta. In occasione di una successiva riu­nione in cui il magg. Della Peruta aveva intenzione di mettere a punto alcuni particolari dell’organizzazione, affidando ai collaboratori quelle man­sioni che avrebbero dovuto potenziare i nuclei già esistenti, e di discutere le direttive organizzative, probabilmente per delazione del portinaio dello stabile21, i partecipanti all’incontro (tra cui il magg. Della Peruta, Carlo Brondino, finito poi in Germania, l’avv. Pastè) 22, vennero arrestati, ma ormai l’organizzazione era avviata e potè continuare a svilupparsi. Nel settembre-ottobre 1944, come si può presumere dal riferimento all’insur­rezione di Firenze, un documento del comando brigate « Matteotti » 23 impartisce direttive per la costituzione di un comando superiore delle forze socialiste in città, e di sei comandi di settore. Vi viene sottolineato il carattere politico di quelle forze: « [...] Il comando superiore, dovendo

20 Testimonianza A. Camia.Quanto alla consistenza numerica delle forze socialiste cittadine, si rileva che

l’« Elenco ufficiale nominativo » (conservato presso l’archivio dell’Associazione Parti­giani « Matteotti » del Piemonte) precisa in 331 (compresi i caduti e i feriti) il nu­mero dei « partigiani combattenti », inquadrati nella divisone SAP « B. Buozzi », rico­nosciuti dalla I Commissione regionale piemontese per l’assegnazione delle qualifiche.

In tale elenco è indicato che la cifra suddetta corrisponde « al 20 % circa degli effettivi » appartenenti alla divisione (patrioti, benemeriti, forze ausiliarie). Si desume che l’effettiva entità della forza cittadina socialista, inquadrata militarmente nella divi­sione « B. Buozzi » era, all’atto della liberazione, di circa 1600-1700 uomini.

Alla nota 60 del presente articolo è richiamata la circolare 18.4.45 del comando « B. Buozzi » relativa alla mobilitazione delle forze politiche « iscritte » al PSIUP e «non ancora inquadrate nelle forze militari». In tale circolare l’entità delle forze disponi­bili per i settori I, II, III e IV è precisata in 2.108 uomini. Complessivamente quindi l’organizzazione socialista poteva contare, al momento della liberazione, su circa 3.800 uomini.

È da ricordare che, in seguito, la II Commissione per le qualifiche partigiane pro­cedette al riconoscimento di altro congruo numero di « partigiani combattenti » della « B. Buozzi », numero che non è possibile attualmente precisare essendo ancora in fase di ordinamento la documentazione relativa.

Per quanto riguarda la consistenza numerica all’epoca di cui si tratta (luglio- ottobre 1944), è in corso la ricerca e l’ordinamento dei documenti atti a fornire dati anche soltanto approssimativi.21 Ipotesi del dott. Camia, il quale ha ricordato che, appunto per mascherare l ’azione delatoria del custode, i nazi-fascisti procedettero ad un finto arresto dello stesso.22 Testimonianza A. Camia. L’avv. Pastè fu sottoposto a feroci torture. Rifiutò di es­sere liberato per cambio, offrendo la libertà a un compagno malato, e fu destinato in Germania.23 AC, « Costituzione delle formazioni militari cittadine », s.d.

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funzionare in stretto collegamento con l’esecutivo del partito, risiederà presso l’esecutivo stesso [...] ».

La circolare dà dettagliate disposizioni sui compiti dei comandanti di settore: nelle loro funzioni rientra la collaborazione, ai fini dell’attività politica e militare, con le sezioni del partito esistenti nel settore da essi controllato, essi hanno potere discrezionale per l’utilizzazione delle squa­dre di fabbrica dentro e fuori dello stabilimento. Ogni iniziativa deve partire, o comunque « passare », dal comando militare, al quale si fa appello affinchè « [...] in riferimento a quanto è avvenuto testé a Firenze [...] l ’organizzazione militare del partito [sia] sviluppata e potenziata al mas­simo con l’immissione di elementi di particolare competenza e idoneità ».

La documentazione rimasta attesta la frequenza degli incontri per af­frontare il lavoro di reclutamento, inquadramento, armamento e disci­plina, per formare centri coordinatori delle attività delle squadre d’azione, per rinnovare i responsabili.

Il 20 ottobre 1944 il comando delle brigate SAP socialiste viene af­fidato al cap. Fantino, che lo terrà fino alla Liberazione. In una sua relazione al comando della II divisione « Matteotti » sul periodo 20-31 ottobre 1944, si legge che l’organizzazione socialista era stata colpita da molteplici e gravi arresti, che ne avevano scombussolato l’ordinamento:

[...] In seguito ai noti avvenimenti il comando della brigata era stato affi­dato ad elementi politici del PSIUP. Detti elementi hanno immediatamente provveduto a mettere in contatto il nuovo comandante con l’organizzazione che ancora residuava dopo i duri e ripetuti colpi che questa aveva ricevuti [...] 24.

Il Fantino accenna al lavoro di riorganizzazione dell’ufficio matricola, indispensabile per poter conoscere l’effettiva forza a disposizione, all’opera di propaganda e di proselitismo con la distribuzione delle tessere di ap­partenenza alla brigata, al lavoro di inquadramento organico delle forma­zioni. Mette in particolare evidenza l’assoluta deficienza dell’armamento, « scarsissimo », tale da sconsigliare qualsiasi azione militare; sollecita l’invio dei fondi concordati per il mese di ottobre e « non ancora ricevuti ».

In una relazione del comando Brigata « B. Buozzi » del 1° dicembre 1944 25 si lamenta che « [...] molto del lavoro svolto dai precedenti or­ganizzatori della brigata è andato perduto per le interruzioni notevoli che ha subito lo svolgimento dell’attività [...] » e si fa presente che « [...1 ci si è trovati a dover ricominciare ex-novo e con nuovi quadri ».

Ma dalla relazione risulta che l’organismo militare cittadino va, sia pure lentamente, rafforzandosi, che esso si pone, per la sua consistenza, i problemi delle relazioni con le forze armate degli altri partiti e del fi-

24 AC, « Relazione 20-31 ottobre al comando II divisione "Matteotti" », datata 31.10. 1944, a firma: il comandante la brigata ACF.25 AC, « Relazione del Comando Brigata "Buozzi" », del 1°.12.1944.

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nanziamento, che non può continuare a fondarsi sugli aiuti delle « Mat­teotti », ma deve tradursi in un bilancio preventivo mensile idoneo a far fronte alle spese

per il funzionamento degli organismi centrali e periferici del comando;per l’acquisto delle armi26;per lo stipendiamento degli elementi ai quali lo svolgimento dell’attività

impedisce altre attività remunerative [...].

La somma minima necessaria viene indicata in L. 300.000 mensili.Nelle fabbriche si sviluppavano, collaterali alle SAP e parte integrante

di queste, i vari organismi previsti dalla composizione dell’organico cit­tadino27: gruppi femminili, giovanili, di fabbrica e di isolato, comitati di settore, settori. Essi facevano capo al consiglio direttivo consezionale: quest’ultimo, composto dai capi-settore, dai delegati delle sezioni giovanili e femminili e dal rappresentante della federazione socialista, nominava il comitato esecutivo, che aveva il compito di curare l’esecuzione dei deli­berati del consiglio direttivo.

La zona cittadina era divisa in cinque settori, in ognuno dei quali operava il comitato di settore, facente capo al capo-settore. Erano rappre­sentati nei comitati di settore alcune maggiori fabbriche, il gruppo gio­vanile e quello femminile: tali comitati di settore avevano rapporti diretti col centro tramite il capo-settore, che era membro del consiglio direttivo, e con la base mediante i capi-gruppo delle fabbriche, dei giovani e femmi­nili. L’attività nelle fabbriche e nei rioni era svolta e coordinata dai sotto­comitati di fabbrica e di isolato, ai quali era devoluto il compito di man­tenere e sviluppare i contatti con gli organizzati e di estendere l’attività verso la più larga parte della propria giurisdizione. Era previsto che in ogni fabbrica esistesse un capo-fabbrica, coadiuvato dai capi-gruppo ope­ranti nelle officine e nei reparti per la distribuzione della stampa, il ritiro delle quote mensili, il reclutamento di nuovi elementi, i collegamenti col capo-fabbrica 28. Precise disposizioni riguardavano il tesseramento, che, date le condizioni di clandestinità in cui si doveva operare, doveva essere nu­merico anziché nominale: ad ogni iscritto era assegnato un numero pro­gressivo, riportato su un gettone di forma diversa per ogni settore, in

26 Quanto il problema dell’armamento fosse ima spina per le SAP socialiste e quanto lo stesso fosse difettoso si può desumere anche da una relazione del 4.5.1945 del co­mandante della brig. SAP « Binello » (archivio Conti), il quale, a proposito della par­tecipazione del gruppo socialista delle Acciaierie all’insurrezione, annotava testualmente: « Poiché il gruppo [...] mancava completamente di armi, le azioni sono sempre state fatte insieme ai compagni comunisti, che ci hanno anche fornito del necessario arma­mento [...] ».27 AC, opuscolo dattilografato, senza data (ma presumibilmente dell’agosto-settembre 1944), dal titolo « Composizione organica cittadina », cui è allegato un grafico dimo­strativo.28 AC, foglio, s.d., con l’indicazione « Funzionamento di settore ».

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modo da evitare confusione tra i settori e per consentire l’individuazione immediata dell’iscritto e del settore di appartenenza. Disposizioni accurate toccavano il finanziamento, il ritiro delle quote e di tutti gli incassi ef­fettuati, i versamenti all’organismo centrale. Il materiale di propaganda (giornali, pubblicazioni, manifesti, opuscoli) era procurato dal centro e, tramite i comitati settoriali, era distribuito agli organismi periferici che ne curavano l’immediata, capillare diffusione.

Un’organizzazione, come si vede, molto accurata, che riscuote accenti di soddisfazione nei socialisti: un documento del novembre 1944 29 rife­rendo sulla sottoscrizione pro natale socialista commenta:

È evidente che, in questo esperimento, l’organizzazione a settori ha contri­buito non poco alla riuscita della sottoscrizione e si può essere certi che l’orga­nizzazione stessa si dimostrerà sempre più adatta per ogni sorta di manifesta­zioni le quali risulteranno di molto semplificate, controllate ed alleggerite nella loro esplicazione.

La relazione attesta la regolarità dei contatti coi gruppi giovanili e femminili, delle riunioni di settore, delle attività dei sotto-comitati interni, secondo le direttive e le istruzioni impartite nello schema organizzativo.

Le lacune nella presenza socialista nelle fabbriche torinesi sono tuttavia gravi. Da un elenco del dicembre 1944 30 risulta che le officine in cui « non esistono ancora nuclei nostri » sono, nel secondo settore, dell’importanza della Nebiolo, della Westinghouse, della Venchi Unica, della Aeronautica, della Farina, della SNIA Viscosa (V. Perosa), dell’ATM, oltre a numerose altre meno importanti; nel quarto settore, della CEAT, dell’INCET, della SNIA Viscosa (barriera Milano), della Manifattura Tabacchi, dell’Officina Gas. Le adesioni dovevano essere assai inferiori al numero massimo di tessere previste, che era, per il I settore di 800, per il II di 1000, per il III di 300, per il IV di 1000, per il V di 620 31.

I capi-settore erano tenuti a redigere periodicamente rapporti sull’an­damento della loro zona: dall’esame di alcune di queste relazioni si desu­mono indicazioni precise sullo svolgimento dell’attività, sulla creazione di nuovi nuclei, e sul lavoro di penetrazione in quelle fabbriche ove meno si era potuti progredire nell’organizzazione.

Per quel che riguarda il II settore, la relazione del mese di febbraio

29 AC, « Relazione morale mese di novembre 1944 - IV settore », s.d.30 AC, Trattasi di cinque fogli, senza data, presumibilmente del dicembre 1944.31 Nel volume II m ovim ento operaio torinese durante la resistenza, di F. Luraghi, Torino, 1958, a p. 248 è detto: « All’atto della liberazione il PSIUP aveva ormai una buona struttura organizzativa e contava, a Torino, 3.720 iscritti ». Si rileva che tale cifra corrisponde esattamente al totale delle tessere d’iscrizione riservate alle fabbriche dei cinque settori cittadini riportate nell’elenco citato, tessere che, come osservato, non stavano necessariamente ad indicare l’effettiva entità (del momento o futura) degli orga­nizzati, ma soltanto « una numerazione prestabilita assegnata ad ogni fabbrica e ad ogni gruppo » secondo quanto precisato nell’opuscolo citato al capoverso « Tesseramento ».

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1945 32 delineava dettagliatamente la situazione esistente: si rilevava che il settore aveva avuto particolari noie dal rincrudirsi delle repressioni nazi-fasciste, e, con particolare riferimento alle azioni poste in atto dai RAU (Reparti arditi ufficiali), si dava notizia dell’uccisione, avvenuta in corso Racconigi, di Eugenio Giaretti, seguita da arresti di operai e im­piegati della Lancia, fra cui sei appartenenti al partito socialista. I diri­genti della Lancia erano intervenuti energicamente e ripetutamente per il rilascio degli arrestati, ma i nazi-fascisti non davano tregua: il susseguirsi delle perquisizioni e delle operazioni delle « sempre nuove polizie » intral­ciava e rallentava il lavoro organizzativo, tuttavia senza conseguenze gravi e senza causare interruzioni. Tanto è vero che, dal 31 dicembre 1944, alle officine Viberti gli iscritti erano saliti da 16 a 51, alla Lancia da 190 a 263 33, alle officine Materiale Ferroviario da 30 a 35, alle Officine Ferroviarie da 45 a 54, ed alla SPA da 102 a 152. Si trattava in totale di un aumento percentuale complessivo superiore al 42 % e ciò può giu­stificare la soddisfazione espressa nella relazione, anche se era rilevabile che l’incremento si era verificato unicamente nei gruppi già esistenti. L’attività svolta in altre fabbriche non aveva infatti raggiunto quei risultati che ci si poteva aspettare: specie alla Nebiolo, dove, nonostante tutti gli sforzi compiuti, non si era ancora giunti, nel febbraio 1945, alla formazione di un organizzato nucleo socialista. Per contro esistevano buone prospettive per la formazione di gruppi alla Cabiati, alla Venchi Unica e alla Cisitalia.

Nel mese di marzo 1945 la situazione generale del II settore continua a migliorare 34. L’attività dei dirigenti settoriali e dei capi-gruppo di fab­brica era stata notevole e proficua: si era infatti verificato quasi ovunque un incremento nel numero degli iscritti: alla Lancia l’aumento, nel mese di marzo, era stato di 25 unità, alle Officine Ferroviarie di 15. Si erano costituiti i primi nuclei alla Capamianto, all’Aeronautica, alla Venchi Unica;

32 AC, « Relazione del mese di febbraio 1945 per il II settore », s.d.33 Quanto all’organizzazione clandestina della Lancia, è di notevole interesse un rap­porto della polizia fascista (archivio Conti) relativa al socialista Carlo Capellaro, respon­sabile della fabbrica. Se le informazioni in possesso dei fascisti erano confuse ed ine­satte (il Capellaro infatti veniva definito « cellula comunista » e « capo-gruppo del set­tore comunista della Lancia »), gli estensori del rapporto mostravano tuttavia di cono­scere i collegamenti fra i rappresentanti dei vari partiti e l’attività del Capellaro stesso per l’organizzazione di scioperi, di squadre di resistenza e per il lancio di sottoscrizioni: « [...] [il Capellaro] amministra dei fondi segreti che elargisce [...] in favore del par­tito comunista ». Veniva altresì accennato al tentativo di arresto del Capellaro (31.12. 1944), che fu tentato, senza successo, mediante un invito di « persone di sua cono­scenza ».

In effetti il 31.12.1944 si presentò in stabilimento un agente provocatore, che si intrattenne col Capellaro per discutere la restituzione di un camion prelevato nel no­vembre. Fu per questa ragione che il Capellaro seguì l’interlocutore fuori dello stabili­mento dove, secondo una relazione interna della Lancia (archivio Conti) tre individui tentarono invano di catturarlo.34 AC, « Relazione II settore, marzo 1945 », s.d.

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nè era stato trascurato il lavoro di propaganda fra i tecnici, coronato dalle adesioni di alcuni ingegneri alle FF.SS., alla Lancia, al Politecnico.

Perdurava violenta l’attività nazi-fascista: atti terroristici intesi a fiac­care il morale degli operai e arresti avevano turbato la vita alla SNIA Viscosa di via Fréjus e in altre fabbriche. A ciò si era aggiunto, si rileva nella relazione, una forma di propaganda e di investigazione spicciola, che con « [...] l’interrogatorio della donnetta sul mercato sotto un pretesto qualsiasi [...] » si inseriva sottilmente nell’organizzazione con effetto non meno deleterio dell’aperta violenza già ben conosciuta.

Gli atti di repressione violenta avevano avuto una occasione di più di manifestarsi con la sospensione del lavoro alla Viberti, avvenuta il 21 marzo 1945, per la quale era stata redatta a cura del comitato di settore una « relazione straordinaria » 35, nella quale si dava notizia dell’interru­zione del lavoro effettuata dagli operai: « Chiestone il motivo dai nostri compagni nessuno ha saputo darne spiegazione, solo uno disse che il gua­dagno non basta più per andare avanti e per di più si è voluto ridurre la già scarsa razione di pane ».

Di tale agitazione nessuno poteva o voleva assumere la responsabilità, neppure i comunisti, i quali affermavano di non aver dato alcun ordine in proposito. La relazione ritiene che l’origine del movimento dovesse imputarsi alla diminuzione della razione del pane e ammonisce, di fronte ai pronunciamenti spontanei36, che i compagni responsabili dovevano evi­tare che in qualunque momento potesse essere perso, anche temporanea­mente, il controllo delle masse. Le conseguenze di ribellioni non preparate erano gravi: in questo caso la polizia aveva predisposto una lista di operai da arrestare (in numero di trenta circa) scelti per la massima parte tra i giovani, ma anche fra socialisti esperti.

Altra ragione di deplorazione era l’insufficienza della stampa socialista, scarsamente diffusa 37 e priva degli efficaci giornaletti che i comunisti dif­fondevano nelle fabbriche. Il problema è sentito più gravemente con l’av­vicinarsi dell’ora decisiva, quando il confronto con la capacità di mobi­litazione delle masse da parte dei comunisti si fa evidentissimo. L’entu­siasmo non manca, è vero, e nel febbraio-marzo 1945 i socialisti operano attivamente alla Elli Zerboni, alle Ferriere, alla CIMAT, alla Ponti, alla Bergougnan, alla Martiny, alle Concerie Durio, alla Diatto, alla Veglio e si

35 AC, « Relazione straordinaria II settore » del 21.3.1945.36 Da parte socialista si tendeva però a considerarne responsabili i comunisti, i quali avrebbero « fomentato il movimento senza assumerne le responsabilità », relazione citata.37 AC, appunto a matita, s.d., ma sicuramente del marzo 1945. In esso il « Compagno Cichin » fra l’altro rileva: [...] Mentre i compagni comunisti fanno molta propaganda con la stampa, specie coi volantini, noi andiamo alla deriva, perchè volantini non ne arrivano, VAvanti arriva una volta al mese e la Compagna non si è più vista. Che fac­ciamo? Abbiamo bisogno che i nostri responsabili facciano fatti e non parole [...] ».

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organizzano alla Paracchi, alla SIM, alla Savigliano38, ma i responsabili di fabbrica denunciano la scarsezza di pronte direttive mediante circolari e giornali: forte è « il malcontento [...] per l’insufficienza della stampa, e per il modo col quale viene recapitata [...1 », e si chiede che « [...] chi ha la responsabilità in tale materia si metta finalmente in linea [■■•] » poiché « [...] è ora di fare sul serio [...] noi non siamo dei rimorchiati, diamo l’interesse che le compete a questo grande fattore e veniamo finalmente ad una conclusione fattiva per l’interesse di tutti » 39.

IV. Orientamenti politici

Non è negabile, dunque, l’esistenza di una trama organizzativa socia­lista in Torino, specialmente nelle fabbriche. Tuttavia è altrettanto evi­dente che, rispetto alla forza socialista dell’età prefascista, la situazione è deludente. I comunisti sono anche qui assai più forti: una delle ragioni — forse la principale — è certo nella prevalenza, a Torino, dei socialisti « moderati », la cui linea politica non può non fare da freno allo sviluppo del movimento in una fase nella quale i più attivi ed audaci passano naturalmente alla testa.

Ciò appare chiaro specialmente in seno al comitato sindacale provin­ciale, organismo costituito ai primi dell’ottobre 1943, su iniziativa del CLNRP e preposto alla direzione politico-sindacale dei lavoratori. Contro le tesi dei comunisti, i quali sostenevano la necessità di uno stretto legame tra lotta puramente sindacale (intesa cioè nel senso più strettamente eco­nomico) e lotta politica, non soltanto i democratici cristiani, ma anche i socialisti tendevano invece a limitare l’attività del comitato in un senso strettamente economico-sindacale, giungendo, a quanto afferma il Luraghi, « [...] alla pericolosa posizione secondo cui il comitato sindacale doveva fare del “sindacalismo” e non della "politica” », e, in ultima analisi, al­l’attesismo, se non addirittura alla « capitolazione di fronte ai nazi-fa- scisti » 40.

Il Luraghi mostra di ritenere che le ragioni che inducevano i socialisti ed i democratici cristiani ad un simile atteggiamento dovessero imputarsi al fatto che, mentre i democristiani potevano dare una interpretazione limi­tativa del comitato sindacale (sindacalismo puro, lasciando la politica al CLN) per le caratteristiche stesse del loro partito, soggetto a subire in­fluenze per così dire « esterne » ed in contrasto con le tesi decise della sinistra, i socialisti, o almeno parte di essi, erano ancora troppo legati alle caute posizioni dei riformisti, preoccupati di continuare nelle tradizioni del vecchio sindacalismo.

38 AC, « Relazione III settore » a firma « Berto », s.d.39 AC, « Rapporto Lancia n. 10 », in data 10.4.1945.40 V. R. Luraghi, op. cit., p. 130.

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Non si deve dimenticare che a Torino parte dei socialisti erano, forse più che in altre regioni, inclini ad indulgere ad atteggiamenti meno in­cisivi, suggeriti dalle loro posizioni riformiste. Infatti proprio a Torino, alla scissione comunista del 1921 avevano aderito gli elementi più combat­tivi e, si può dire, la grande maggioranza degli operai. In generale, fatte naturalmente salve le non poche ed alte eccezioni, fra i socialisti erano rimasti gli elementi più cauti, meno portati ad azioni di rottura. Essi sentivano verso i comunisti una diffidenza che era acuita da taluni atteg­giamenti settari di questi ultimi. Queste posizioni socialiste tenderanno a smorzarsi nel corso della resistenza, sotto la spinta di uomini più au­dacemente orientati, ma all’inizio costituivano, nell’ambito del PSIUP, isole di una certa consistenza, in grado di far sentire la loro opposizione alla collaborazione coi comunisti, sebbene non riuscissero di fatto a impedire che questa venisse attuata nelle fabbriche al livello dei vari organismi clandestini. Il patto d’unità d’azione, concordato dalle direzioni dei due partiti, aveva posto le premesse per un superamento dei vecchi pregiudizi, in vista della creazione di un fronte organico dei lavoratori, ma l’azione unitaria — specie nelle fabbriche — non poteva all’inizio che significare un allineamento dei socialisti alla efficiente organizzazione comunista. Ed era appunto questo che sollevava le obiezioni più decise di quei socialisti restii ad abbandonare le vecchie posizioni e timorosi di confondersi con i « compagni » comunisti.

Nel corso della lotta, il superamento delle divergenze, che era negli intendimenti dei firmatari del patto di unità d’azione verrà gradatamente raggiunto nella maggioranza dei socialisti, fino a manifestarsi in aperti atteggiamenti unitari preludenti ad una unificazione dei due partiti; ma è anche da rilevare che fra i socialisti, o almeno in una parte di essi, con­tinueranno a persistere atteggiamenti denotanti come non fosse stato del tutto dimenticato l’antico « timore » di essere da meno o di sfigurare di fronte ai comunisti.

Il Comitato sindacale provinciale, composto da Luigi Carmagnola per il PSIUP, da Giuseppe Rapelli per la DC e da Paolo Scarpone per il PCI, prevedeva la rappresentanza paritetica delle tre principali correnti sinda­cali, e questo fu uno dei fattori che contribuirono alla sua parziale ineffi­cienza durante le prime agitazioni operaie, perchè — in opposizione al­l’atteggiamento comunista, che rispecchiava indubbiamente la volontà della grande maggioranza degli operai — si delineò una posizione più blanda dei socialisti e dei democratici cristiani, i quali fecero sentire il peso della loro rappresentanza. La loro cautela non mancò talvolta di causare equivoci e sbandamenti nel corso delle agitazioni, sì da disorientare parte della massa rendendola più facilmente incline a piegarsi sotto le promesse e le minacce dei nazi-fascisti.

Le direttive di azione dei Comitati sindacali, i loro compiti, nonché

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i criteri organizzativi erano stati dettati dall’organizzazione torinese del P C I41 : non risulta che i socialisti avessero provveduto dal canto loro a redigere istruzioni che proponessero il loro punto di vista in proposito o che, per lo meno, integrassero o modificassero i punti di vista comunisti. Ciò comportò l’implicita loro approvazione anche se, a livello dirigenziale, non mancassero poi tentennamenti o discordanze nell’applicazione. È certo in ogni modo che gli operai socialisti, nella loro grande maggioranza, si adeguarono all’impostazione comunista, inserendosi nell’organizzazione dei comitati di fabbrica senza apportarvi modifiche.

Si può ricordare, in relazione al sabotaggio di massa, che era previsto come forma di lotta di capitale importanza dalle direttive dei comitati sindacali, un documento dell’esecutivo regionale piemontese del P S I42, in cui, attestato che la considerevole riduzione della produzione di guerra era dovuta all’attività della massa lavoratrice, si affermava che buona norma era quella di utilizzare mezzi di lotta che, raggiungendo ugualmente gli scopi, non dovessero esporre i lavoratori alle più dure conseguenze dei metodi repressivi nazi-fascisti, diminuendo così le vittime, e i danni delle rappresaglie.

Confermata la validità del principio della riduzione dei prodotti bel­lici ad opera dei lavoratori, che poteva anche essere ufficialmente giusti­ficata « ! .. .] dai continui allarmi aerei, dalla mancanza di energia elet­trica, dallo scarso nutrimento e dall’insufficiente riposo al personale sfol­lato [...] » era messo in evidenza che la conservazione della mano d’opera, delle materie prime, dei macchinari e degli impianti era un problema che doveva impegnare le migliori iniziative che « [...] dalle fabbriche si estendono alle spedizioni, ai trasporti ed alle forze partigiane ».

Venivano quindi mobilitati i rappresentanti socialisti, politici e sinda­cali, affinchè gli scopi prefissi fossero perseguiti col massimo rendimento e col « minimo sacrificio individuale » e collettivo, delegando i rappresen­tanti socialisti del CLN a porre in tale sede il problema, affinchè fossero emanate direttive e istruzioni in proposito. Ai comitati sindacali socialisti sarebbero state impartite istruzioni per l’impostazione delle richieste da sottoporre ai datori di lavoro, in vista di assegnazioni di alimenti di scorta, mentre i socialisti erano invitati ad interessarsi presso i produttori agricoli al fine di convincerli all’occultazione di riserve alimentari.

Nel documento citato, come si può rilevare, era implicitamente con­fermato come i lavoratori avessero dato, alla parola d’ordine del sabotaggio di massa, un’adesione pressoché completa, e come i lavoratori socialisti non si fossero mai tirati indietro nell’applicazione delle norme dettate, sin dal novembre 1943, dai dirigenti comunisti.

41 AISRT, « Direttive per il lavoro sindacale », novembre 1943.42 AC. Trattasi di una deliberazione, emessa molto più tardi, presumibilmente nei primi mesi del 1945, dell’esecutivo piemontese del PSI.

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Le remore poste, come prima si diceva, da alcuni dirigenti socialisti, se non avevano fatto mancare nei primi scioperi del novembre-dicembre 1943 l’appoggio e l’azione dei socialisti più combattivi e risoluti allo sforzo sostenuto dai comunisti, erano comunque state causa di molte delle diffi­coltà, degli intralci, delle incertezze.

Nella conduzione degli scioperi, nella redazione dei manifesti, spesso erano affiorate, nelle posizioni socialiste, esitazioni e cautele che avevano contribuito a cedimenti o mancate resistenze anche quando sarebbe stato invece possibile un atteggiamento più rigido: ad esempio, nell’accetta­zione delle proposte padronali di colloqui coi tedeschi. Tipico, in questo senso, l’atteggiamento del rappresentante socialista nel Comitato sindacale provinciale di fronte all’odg presentato il 15 dicembre 1943 dal rappre­sentante comunista, in cui veniva proposto di riprendere le agitazioni ener­gicamente, inquadrando la lotta per le rivendicazioni economiche nella più ampia lotta contro « l’oppressore nazista e il fascismo », e si invitava il CLN a mobilitare la popolazione per affiancare la battaglia dei lavoratori. Il rappresentante socialista si schierò contro l’odg affermando che, nelle particolari circostanze, non sussistevano possibiltà di azioni rivendicative e ribadendo la posizione di fondo che non si dovevano chiamare gli operai alla lotta politica contro i tedeschi, essendo questa una specifica competenza dei CLN43. Il responsabile socialista, confermando così la sua posizione rinunciataria, interpretava forse gli intendimenti di qualche parte delle maestranze, ma indubbiamente di una parte assolutamente in minoranza. È vero infatti che si erano manifestati casi in cui esponenti della base socialista avevano seguito la linea di condotta del rappresentante del PSIUP nel Comitato sindacale provinciale, trascinando in un comporta­mento esitante gruppi di operai che si definivano socialisti. Ma non è meno vero che la partecipazione ai movimenti era stata massiccia anche da parte di quegli operai che, non militando nelle file del PCI, vedevano già da allora l’efficacia dell’unità politica della loro classe. Essi, pur essendo ai primordi l’organizzazione autonoma socialista nelle fabbriche, potevano far capo a vecchi sindacalisti socialisti, i quali, ammaestrati dalle circostanze cospirative, si trovavano in contrasto con gli esponenti del partito nei co­mitati sindacali, e non disdegnavano una stretta collaborazione con l’or­ganizzazione comunista, non trovando per nulla disonorevole l’attiva par­tecipazione alle azioni da questa predisposte.

Analoghe titubanze si ripeterono, sebbene in misura indubbiamente minore, anche in occasione del grandioso sciopero del marzo 1944, di fronte all’iniziativa comunista intesa a propagandare l’importanza politica dello sciopero. A parte l’affermazione di fonte democristiana che accre­ditava la tesi che i socialisti aderissero allo sciopero con una formula di

43 11 Grido di Spartaco, n. 12, anno I, 26.12.1943. L’episodio è anche stato ricordato da R. Luraghi, op. cit., p. 158.

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« adesione limitata come pronunciamento » quasi a significare un’inter­pretazione socialista di sterile manifestazione di principio, non c’è dubbio che taluni socialisti del Comitato sindacale provinciale confermarono gli atteggiamenti prudenziali più volte ricordati, in contrasto sia con gli orien­tamenti del PSIUP sul piano nazionale, sia con la volontà di lotta degli operai aderenti al partito. Ciò comportava dissidi tra PCI e PSIUP nel­l’ambito dei comitati sindacali e dei comitati di sciopero, con qualche conseguenza di una minore resistenza al logorio della durissima lotta. Le preoccupazioni inerenti allo svolgimento dello sciopero trovarono in alcuni elementi del PSIUP più facile terreno e li indussero a seguire una condotta ispirata ad atteggiamenti più prudenti. In particolare, il rappre­sentante del PSIUP nel comitato sindacale provinciale, Luigi Carmagnola, si comportò con estrema cautela, ritenendo che una condotta più decisa avrebbe potuto risolversi in tutto danno della classe operaia. Di qui lo sforzo di ricerca di nuovi organismi di lotta.

Essi furono i comitati di agitazione periferici, alla cui testa fu posto il Comitato d’agitazione provinciale. Ne fecero parte, alla sua costituzione (maggio 1944), i comunisti Francesco Rocatti (sostituito poi da Vincenzo Angelino), Guglielmino, il socialista Ceccherini (poi sostituito da Calciati), il de Ervardo Chiolero, l’anarchico Guasco, l’azionista Orlando (poi sostitui­to da Bruzzo), il socialista Borsotti in rappresentanza dei giovani, la comunista Carla Gili per le donne44 45.

Con i Cd’A e col Cd’AP si ottenne quell’unità e quell’efficienza che non si erano potute ottenere con i comitati sindacali. Il fatto che le decisioni prese dal Cd’AP fossero tutte decisioni unitarie46 sta a confermare il

44 AISRT, « Memorandum » del gruppo di attività sindacale della DC, s.d.Notìzie e critiche sull’atteggiamento incerto di alcuni esponenti socialisti torinesi

in occasione dello sciopero del marzo 1944 sono contenute in documenti di parte co­munista e principalmente nella « Relazione del segretario della federazione comunista torinese sullo sciopero generale del marzo 1944 », 11.3.1944, redatta da Arturo Colombi e nella relazione di Luigi Longo « Sciopero generale in tutta l’Italia occupata », ap­parsa su La nostra lotta, nn. 5 e 6, marzo 1944.

Il Colombi particolarmente, nella sua relazione, è assai aspro verso i socialisti, e non esita a tacciarli di « disfattismo » e di « intenzioni di capitolazione », specie in riferi­mento alla distribuzione di un manifestino in data 4.3.1944 (cioè proprio durante lo svolgimento dello sciopero) a firma: PSIUP - Il Comitato di agitazione, in cui, con iniziativa autonoma e all’insaputa degli organizzatori comunisti, gli operai erano invitati a sospendere lo sciopero e riprendere il lavoro il 6 marzo.

Inoltre, in una sua testimonianza, il sen. P. L. Passoni ha ricordato come, da parte di alcuni dirigenti sindacali socialisti, fosse sentita l’esigenza di un atteggiamento più « previdente » e più cauto, allo scopo di evitare di « gettare allo sbaraglio » la classe operaia e per limitare il più possibile l’eventualità di rappresaglie nazi-fasciste.

Tali ragioni poterono influire su una parte dei rappresentanti socialisti, condizio­nandone la condotta e inducendoli a redigere e diffondere il manifestino ricordato: le accuse comuniste cui si è accennato sono pertanto da respingere decisamente e da imputare, forse, al clima infuocato del momento.45 R. Luraghi, op. cit., pp. 216-217.46 R. Luraghi, op. cit., p. 217.

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successo di tale organismo (e degli organismi periferici), che furono in grado di inserire definitivamente le masse nell’ampio quadro della lotta di li­berazione come vere e proprie protagoniste.

I socialisti avevano aderito di buon grado all’iniziativa comunista, ma persistette in loro il desiderio che nella composizione dei nuovi organismi fosse accettato il criterio della pariteticità, e questo per ragioni di prestigio, non disgiunte dalle già accennate remore dovute alle preoccupazioni di sentirsi rimorchiati dai comunisti con i quali essi — anche nello spirito unitario che andava conquistando un numero sempre maggiore di seguaci — sentivano pur sempre vivi i motivi di concorrenza sindacale.

Ciò è particolarmente rilevabile in un rapporto del II settore, nel quale la richiesta della pariteticità veniva posta come criterio di inderogabile necessità. A proposito dei CLN di fabbrica, ai quali si era auspicata, in una circolare della federazione socialista, la partecipazione di un rappresentante dei comitati di agitazione, veniva posto il problema se questo rappresen­tante avrebbe dovuto essere comunista o socialista:

Comunque sia la risposta, è evidente che l ’equilibrio paritetico che si è cer­cato di mantenere anche nella nomina dei rappresentanti dei giovani e delle donne nel modo e nelle forme già note, con la nomina del rappresentante del Cd’A con voto deliberativo viene ad essere infranto.

Quanto al comitato di agitazione, il relatore esprimeva la soddisfazione per il raggiunto accordo sulla rappresentanza paritetica. Restavano però molte perplessità per la stampa: a proposito del giornale II Metallurgico (organo del Cd’A di categoria) ci si chiedeva:

[ .. .] Raggiunta la pariteticità nel comitato, si è fatto altrettanto nella reda­zione del giornale? Altrettanto si dica per la Tribuna dei Ferrovieri (altro organo di Cd’A di categoria). Per rispondere alla domanda basta leggere un numero dei giornali succitati per capire che i nostri compagni non fanno parte della redazione. Perciò è necessario che la pariteticità sia raggiunta anche in questo campo, altrimenti le grane che abbiamo dovuto lamentare fino ad ora permar- ranno sempre come e più di prima.

II progresso dello spirito unitario da parte socialista era attestato però dalla richiesta che le deliberazioni della giunta interpartito fossero ema­nate dalla giunta stessa, e non dai singoli partiti, ad evitare interpretazioni soggettive che avrebbero potuto intralciare quell’unità d’azione che si affermava essere negli intendimenti dei socialisti47.

In realtà, i tentennamenti di alcuni fra i dirigenti socialisti piemontesi erano superati in sede nazionale dalla direzione del partito, che insisteva sulla necessità di costruire un partito nuovo, di superare il vecchio anta­gonismo fra massimalismo e riformismo col richiamarsi ad una vocazione rivoluzionaria aliena da illusioni avveniristiche, ma altresì esente da ricordi

47 AC, « Rapporto del II settore », s.d., presumibilmente del marzo 1945.

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ed accenti della tradizione socialdemocratica. In una dichiarazione del­l ’esecutivo nazionale del PSIUP, in data 1° maggio 194448, si affermava anzi nettamente il tema dell’unità d’azione coi comunisti, dichiarando que­sta la « condizione essenziale » per il successo della classe lavoratrice49, e si condannavano, con le ovvie opposizioni di parte borghese e reazionaria, anche quelle « di carattere settario » esistenti fra i comunisti e quelle di « carattere opportunista » presenti fra i socialisti.

« Attraverso l’unità d’azione » la direzione del PSIUP vedeva il pro­letariato marciare

[ .. .] verso la vittoria [ .. .] e verso la formazione del partito unico della classe lavoratrice [ .. .] in una volontà comune di conquista e di difesa [ .. .] di una democrazia nuova, senza rapporto con la vecchia democrazia parlamentare, nata per compromesso borghese [ . . .] e che fu la matrice del fascismo [ . . .] . Una democrazia repubblicana e socialista, costruttiva, che, accanto al problema poli­tico del potere e del controllo popolare, pone in primo piano quello della riorganizzazione della società in senso socialista e che alla dittatura di oligarchie sostituisca il governo dei lavoratori nell’interesse dei lavoratori.

Questo orientamento trova maggiore rispondenza a Torino a mano a mano che la lotta si sviluppa, e specialmente nelle fabbriche, dove sul finire del ’44 e nel ’45 si infittiscono le riunioni interpartito.

In un convegno tenutosi il 28 febbraio 1945 con la partecipazione di elementi comunisti e socialisti (uno per partito e per ogni stabilimento) della Grandi Motori, Elli Zerboni, Nebiolo, Ferriere FIAT, la discussione si svolse sull’opportunità di una collaborazione che tendesse, come scopo ultimo, a una fusione dei due partiti. Nei loro interventi i rappresentanti socialisti della Elli Zerboni e della Grandi Motori fecero presente agli inca­ricati delle due federazioni partecipanti alla riunione di essere i portavoce della « massa proletaria » e di esprimerne l’unanime volontà, affermando apertamente il desiderio di giungere alla completa unione dei due partiti « cancellando l’obbrobbrio del Congresso di Livorno » 50.

Eco di questa volontà unitaria è riscontrabile nell’unificazione delle formazioni sappiste, realizzata a scopi militari, ma sorretta nello spirito di base da una precisa spinta unitaria. Il 23 marzo 1945 il comando unificato della XXX brigata « L. Capriolo », dando notizia ai centri del PSIUP e del PCI deff’avvenuta fusione fra le SAP socialiste e quelle comuniste « nel campo politico e militare », concludeva:

48 II testo della risoluzione è riportato da R. Carli Ballola, La Resistenza armata, Milano, 1965, in appendice, alle pp. 370-380.49 II patto di unità d’azione tra PCI e PSIUP era stato stipulato nella seconda metà dell’ottobre 1943: scopo essenziale dell’accordo era l’unità politica della classe operaia raggiungibile mediante l’unità d’azione da realizzarsi attraverso molteplici iniziative co­muni in campo sindacale, politico, organizzativo. Avanti!, del 19.10.1943.50 AC, «Relazione sulla riunione interpartito tenuta ai gruppi di fabbrica il 28.2.1945».

I socialisti nella Resistenza torinese 55

[...] Con questa nostra dichiarazione facciamo pressione ai comitati cen­trali dei due partiti della classe operaia affinchè questa fusione avvenga in modo rapido e completo51.

Ripetute dichiarazioni e mozioni di organizzatori socialisti chiedevano di « [...] rendere pieno e definitivo l’accordo fra il PCI e il PSIUP [...] » 52 e altresì « [...] la formazione di un solo grande partito proletario [...3 » 53 54.

Un rapporto Lancia del 4 aprile 1945, riguardante una riunione del comitato di agitazione tenutasi per discutere argomenti inerenti al prossimo sciopero generale, recava come preciso argomento di discussione l’unità e la collaborazione delle forze social-comuniste e concludeva con le parole: « Viva l’unità proletaria, viva il partito unico del popolo! ».

Al punto 7 si leggeva: « Siamo infine orgogliosi nel sapere che l’unità regnante alla Lancia viene portata come esempio anche fuori della cerchia cittadina, anzi regionale, come ad esempio a Milano ed a Genova » M.

L’atteggiamento stesso della sezione torinese del PSIUP confermava la larga prevalenza dell’orientamento socialista di quel periodo: l’unità proletaria e gli sviluppi del patto d’unità d’azione formavano argomento di note sulle pubblicazioni ufficiali socialiste. L’attività dei dirigenti social­comunisti nell’Italia liberata veniva salutata come dimostrazione della leale partecipazione socialista agli sforzi per « [...] quell’unione proletaria indispensabile per il raggiungimento delle finalità programmatiche comuni ai due partiti [...] », mentre, in occasione della costituzione della giunta social-comunista giovanile (avvenuta nel dicembre 1944), si augurava un costruttivo lavoro a questo nuovo organo « [...] che afferma anche nel campo della gioventù la decisa volontà di collaborazione fra i due maggiori partiti proletari [...] » 55.

Era stato stipulato nel frattempo un accordo tra PCI e PSIUP in base al quale le sottoscrizioni pro stampa sarebbero state fatte in comune: ciò a « [...] conferma della sempre migliore collaborazione in atto fra i partiti socialista e comunista [...] » 56.

Lo spirito unitario non modificava, bensì anzi stimolava l’attività dei socialisti, che facevano l’autocritica:

[...] Se si procede all’esame delle sedute del comando piazza non si può

51 AC, Dichiarazione del 23.3.1945, prot. 101, del comando unificato XXX brig. SAP « L. Capriolo ».52 AC, Relazione a matita del 29.3.1945, firmata con una sigla che non ha permesso di identificarne l’estensore.53 AC, Foglio manoscritto, s.d., indirizzato al « Caro compagno Carlo » e firmato « compagno Cichin ».54 AC, Rapporto n. 8 Lancia, del 4.4.1945.55 AC, Bollettino d’informazione della sezione di Torino del PSIUP, n. 5, 12.2.1945. Nello stesso numero i consigli socialisti di fabbrica venivano invitati a dar vita al più presto alle giunte interpartito di fabbrica, secondo le disposizioni della segreteria sin- dscfilc socialista56 AC, Bollettino della sezione PSIUP di Torino, n. 6, 19.2.1945.

56 Franco Fiorensoli

fare a meno di notare come su venti adunanze che si sono tenute, il PS sia rimasto assente per un discreto numero [...]. Questa assenza ha molto pregiu­dicato il PS cittadino, sia dal punto di vista degli interessi contingenti, come da quello del prestigio [...].

Si giungeva a condannare l’atteggiamento dei rappresentanti socialisti nel comando piazza, i quali

[...] quasi sempre sono schierati a fianco dei partiti di destra e questo anche in alcuni casi specifici, in cui gli interessi del partito socialista sono diametral­mente opposti [...]. Non si intende nè si ha la possibilità di entrare in merito a tali atteggiamenti che certamente rispecchiano delle tendenze personali e non certo istruzioni della segreteria del PS, ma poiché in linea di massima si crede da parte di questo comando all’efficacia dell’azione del blocco delle sinistre, si pensa che per il futuro sia da ricercare sempre la collaborazione del Pd’A e del PC, anche al di fuori del comando piazza [...] 57 58.

E, alla fine di marzo del 1945, si ribadiva !6:

[...] I quadri politici di oggi cessino dal considerare i partigiani come una necessità del tutto contingente e transitoria, suscettibile quindi al massimo di assorbimento, ma proclamiamo invece il dovere non solo della collaborazione totale, ma la preminenza dell’ideale da noi rappresentato [...].

Era lo spirito di Rodolfo Morandi, venuto a Torino a dar forza ai più combattivi fra i socialisti. Lo conferma in modo quasi emblematico la circolare riservata emanata dalla federazione piemontese del P S I59 nei giorni immediatamente precedenti l’insurrezione. Nel porre con incisività il problema della « necessità e [del] significato dell’insurrezione popolare »,

57 AC, Relazione mese di novembre 1944 in data 1.12.1944 della brigata « B. Buozzi » al comando divisione « Matteotti ».

A proposito del rafforzamento dell’organizzazione sappista è interessante una let­tera del 25.1.1945 del comando divisione SAP, nella quale, fra l’altro, si diceva: « [...] Si deve uscire dal chiuso delle officine, si deve spaziare in più vasti ambienti, si de­vono allacciare rapporti con altre categorie di persone. La classe operaia non deve restare chiusa in se stessa; la sua funzione è oggi molto più vasta che non la pura difesa dei suoi particolari interessi di categoria. I suoi interessi storici sono oggi conse­guibili mediante l’esplicazione della sua funzione di classe d’avanguardia nazionale; su di lei incombe la grave responsabilità della salvezza della nazione, base della sua stessa possibilità di esistenza. [...] La classe operaia è l’avanguardia nella lotta di liberazione e per la democrazia e deve guidare gli altri strati della popolazione [...] Voi vi lamen­tate che il mordente è scarso nei sappisti, che vi è molto attesismo, che pochi si met­tono sul serio al lavoro. Anche se ciò corrispondesse al vero, sta a noi, sta a voi modi­ficare la mentalità attesistica mediante una continua opera di chiarificazione. Da un buon lavoro politico si possono avere tali frutti da permettere di attivizzare molti elementi ». Secondo il dott. A. Camia tale lettera (conservata in copia nell’archivio Con­ti) fu suggerita, se non interamente redatta, da Rodolfo Morandi.58 AC, copia dattilografata della « Relazione sull’organizzazione delle brigate SAP socialiste "B. Buozzi" e sulla fusione di queste con le SAP comuniste », 31.3.1945.59 AC, Circolare riservata della Federazione piemontese del PSI, s.d., ma presumi­bilmente dei primi dell’aprile 1945, redatta da R. Morandi: v. in Opere di Rodolfo Morandi, IV, Lotta di popolo, Torino, 1958, pp. 111-112.

I socialisti nella Resistenza torinese 57

essa precisava come Io sbocco naturale della lotta protrattasi per venti mesi non poteva trovarsi in conciliazioni o patteggiamenti fra le forze opposte, ma solo in una soluzione di rottura, nella quale le forze socialiste dovevano impegnarsi come « [...] in una prova destinata a costituire l’af­fermazione decisiva del diritto al potere della classe lavoratrice ».

Il partito socialista doveva farsi « anima dell’insurrezione popolare » identificandosi con la classe lavoratrice, la quale

[...] rivendica la ragione storica di una lotta che essa ha ingaggiato e soste­nuto per lungo tempo sola, prima che altri motivi portassero correnti della borghesia ad affiancarsi ad essa per interessi che non coincidono certamente con quelli del proletariato, che fu del fascismo all’origine e fino ad epoca ben recente il vero e solo nemico.

Al messaggio politico contenuto nella circolare facevano seguito « istru­zioni particolari » organizzative perfettamente aderenti allo spirito che aveva dettato l’appassionato appello morandiano. Al comando militare del partito socialista veniva chiesta la massima intensificazione dell’attività bellica delle formazioni da esso dipendenti. Si accettava l’unificazione del Corpo volontari della Libertà con la considerazione dei vantaggi militari che, sul piano nazionale, ne sarebbero derivati alle forze partigiane, ma si metteva in evidenza l’importanza di non trascurare il significato politico dell’attività svolta dal partito, raccomandando che « [ .. .] le ragioni della propaganda politica e di una affermazione nel nome del socialismo non vengano mai meno ».

Al comitato sindacale socialista e ai membri del partito presenti nel Comitato di agitazione provinciale si raccomandava una attenta e assidua preparazione delle masse, affinchè queste si presentassero combattive alla prossima insurrezione: agitazioni e scioperi dovevano essere valutati sotto l’ampia prospettiva di uno scopo finale, non in misura dei più o meno importanti risultati conseguibili. Soprattutto si sarebbe dovuto convincere gli operai dell’importanza decisiva dello sciopero insurrezionale. Infine, alla sezione di Torino del PSIUP si dava il compito di diffondere capillarmente direttive ed istruzioni insurrezionali, curando i collegamenti fra settori politici e militari, che avrebbero dovuto mantenersi operanti al massimo durante l’insurrezione. Si insisteva sulla necessità di formare alla base una « coscienza insurrezionale », intervenendo opportunamente con la stampa (striscioni, manifesti, giornali), con conferenze e con « ogni altro mezzo possibile ». Le formazioni militari di partito, mediante l’opera di elementi appositamente scelti, avrebbero dovuto divenire centri di attrazione verso la popolazione. Quanto ai movimenti giovanili e femminili, le forze non inquadrate militarmente dovevano considerarsi mobilitate per essere uti­lizzate nei servizi ausiliari (sanitari, informazioni, collegamenti, ecc.).

Nel quadro delle disposizioni morandiane è la circolare in data 18

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aprile 1945 del comando brigate « B. Buozzi » sulla « Mobilitazione delle forze politiche torinesi del partito socialista », indirizzata « alle sezioni torinesi, ai comandi della "B. Buozzi" e, per conoscenza, al comando forze mobili "Matteotti” » 60. Essa diramava l’ordine di mobilitazione dei gruppi iscritti al PSIUP che non fossero ancora inquadrati nelle forze militari. In tale ordine venivano indicati i punti della città ove sarebbero state utiliz­zate dai comandi di settore come forze ausiliarie. Al capoverso « Luoghi di adunata delle forze politiche del P.S. al momento insurrezionale » erano indicati, suddivisi per i settori, i luoghi ove i gruppi avrebbero dovuto riu­nirsi, e le forze disponibili: nel I settore (zona S. Paolo) 803 uomini, nel II 225, nel III 580, nel IV 500 (non c’è alcuna indicazione per quanto riguarda il V settore).

V. Partecipazione all’insurrezione

Con queste direttive e questa preparazione l’apporto dei socialisti allo sciopero preinsurrezionale del 18 aprile e all’insurrezione finale potè essere non trascurabile.

In particolare, anche alle Acciaierie, dove pure il gruppo socialista era poco numeroso e privo di armi, i sappisti socialisti si unirono a quelli co­munisti, ricevendo da questi un armamento incompleto, ma sufficiente, e poterono così partecipare sia alle azioni militari, sia ai servizi sussidiari e alla raccolta e cura dei feriti, sia al rastrellamento di elementi nazi-fa- scisti sbandati alla Barriera di Milano, alla requisizione di materiali presso un deposito tedesco, ai collegamenti con le prime formazioni partigiane che entravano in Torino61.

All’Arsenale, dove la situazione insurrezionale si presentava partico­larmente difficile perchè gran parte dell’elemento dirigente era costituito da ufficiali dell’esercito fascista, i socialisti cooperarono all’audace azione delle SAP, che riuscirono a disarmare quegli ufficiali e a impadronirsi di un carro armato leggero, dopo averne fatto prigioniero l’equipaggio, dando poi valido appoggio all’azione difensiva in corso alla Grandi Motori e resistendo al contrattacco di forze nazi-fasciste.

Alle ore 0 del 26 aprile 1945 le SAP della Nebiolo, facenti parte della brigata « Binello » (divisione « B. Buozzi »), appena avuta notizia dell’av- venuta proclamazione dello sciopero insurrezionale, procedettero imme­diatamente a bloccare lo stabilimento, mettendo sotto controllo i telefoni

60 AC. La circolare reca le firme del « Comando delle brigate "B. Buozzi" » e della « Sezione torinese del PSI ».61 I particolari di tali avvenimenti, e di quelli che seguono, sono stati desunti dalla « Relazione dell’insurrezione armata dei componenti della brigata "Binello" », 4.5.1945 e dalla « Relazione sulle operazioni della brigata "Montano" nell’insurrezione del 26.4. 1945 », s.d., a firma: Il comandante della brigata. Entrambe le relazioni sono conservate presso l’archivio Conti.

I socialisti nella Resistenza torinese 59

e disponendo la formazione dei turni di guardia cui fu affidato il compito di una continua vigilanza. Gli elementi fascisti o simpatizzanti vennero isolati e tenuti prigionieri. Nel corso di un’azione all’esterno dello stabi­limento si verificò uno scontro a fuoco tra sappisti, in perlustrazione su un motofurgone, ed una pattuglia tedesca che, soverchiante di numero, riuscì alla fine ad impossessarsi del mezzo e ad incendiarlo, ma negli scontri dei giorni seguenti i sappisti della Nebiolo ottennero successi senza subire perdite.

Rilevante fu anche l’attività dei socialisti nelle SAP giovanili. Già il 25 aprile 1945 si erano prodigati nella distribuzione dei manifestini inci­tanti allo sciopero; nei giorni seguenti parteciparono attivamente alla lotta, provvedendo alla requisizione di armi e munizioni, intervenendo a snidare tedeschi e fascisti asserragliatisi in case del rione, procedendo all’arresto di noti elementi fascisti. Nella notte fra il 27 e il 28 aprile affrontarono reparti di una colonna tedesca in ritirata: lo scontro a fuoco durò due ore e riuscì a causare perdite e danni al nemico. Anche il giorno 29 l’attività fu continua ed i sappisti socialisti collaborarono attivamente con le forze partigiane per la cattura di un gruppo di trenta nazi-fascisti.

Altrettanto ampia l’opera delle SAP socialiste62 delle Fonderie Ghisa: alle ore 8,30 del 26 aprile l’XI squadra sosteneva uno scontro con un reparto tedesco, mentre la XIII, in un combattimento protrattosi per un’ora e mezza contro tedeschi e fascisti, in azione con un carro armato, catturava una decina di prigionieri e ingente bottino militare. Anche il 27, il 28 e il 29 le squadre delle Fonderie partecipavano alla battaglia di Torino, so­stenendo accaniti combattimenti: furono uomini delle SAP della fabbrica a penetrare per primi nella casa littoria.

Fin dalle 14 del 25 aprile anche i socialisti della Grandi Motori si erano messi in azione. L’armamento, che inizialmente consisteva in moschetti, bombe a mano, rivoltelle, bottiglie Molotof, veniva accresciuto in seguito al disarmo di squadre NAS (Nuclei anti sabotaggio), poste a presidiare lo stabilimento, e subito distribuito ai componenti delle SAP. Uscivano le squadre di punta in azione contro pattuglie nazi-fasciste, si spingevano nei dintorni ove avevano modo di attaccare forze rilevanti (una compagnia tedesca fu disarmata a Rebaudengo il 27 aprile). Gli attacchi violenti dei tedeschi furono rintuzzati con l’aiuto dei partigiani della XIX brigata « Garibaldi », e negli scontri si lamentarono morti e feriti. Altre perdite si ebbero durante vigorose azioni di attacco: alla Savonera un combatti­mento notturno venne impegnato contro un reparto tedesco superiore

62 Anche con l’avvenuta fusione delle forze cittadine socialiste e comuniste, iniziatasi nel marzo 1945, sussisteva una diversificazione fra le squadre comuniste, inquadrate nelle formazioni « Garibaldi » e quelle socialiste, che si erano unificate nella divisione « B. Buozzi ».

60 Franco Fiorensoli

numericamente; furono catturati sei prigionieri, ma un sappista (Angelo Cerutti) fu ferito a morte.

Le Poste centrali, l’Opificio militare, gli stabilimenti Garavini, furono centri d’azione della brigata SAP « M. Montano ». L’armamento scarsis­simo (poche pistole e qualche bomba a mano) e la mancanza di collega- menti non impedirono ai nuclei sappisti di assumere l’iniziativa, con l’oc­cupazione dei centri previsti negli obiettivi: il disarmo dei presidi esistenti diede modo agli insorti di migliorare l’armamento e di inserirsi attiva­mente nella lotta. Furono sostenuti gli attacchi portati dai repubblicani e dai tedeschi contro lo stabilimento Garavini, dopo che le forze partigiane foranee, giunte sin dal pomeriggio del 26, si erano ritirate oltre il fiume.

Nella giornata del 27, dopo una brillante resistenza, l’Opificio mili­tare divenne il centro di rifornimento e d’informazione per i reparti di partigiani operanti nella zona. Gruppi della brigata « M. Montano », al comando di Nello Stinchi, parteciparono all’attacco sferrato dai partigiani contro la caserma di via Asti, sostenendo accaniti combattimenti contro forze corazzate.

E altrove, alla SPA, alla Elli Zerboni, alla Mirafiori, alle Ferriere, alla Lancia, alla Viberti, alla Stazione Dora, i sappisti socialisti parteciparono a duri combattimenti per la difesa delle fabbriche attaccate in forze dai reparti nazi-fascisti.

Gruppi socialisti, in applicazione delle istruzioni ricevute, presero pos­sesso dell’ambulatorio INAIL di via S. Francesco d’Assisi, di dove, pur dovendo superare la passiva resistenza del personale63, riuscirono a pre­disporre un soddisfacente servizio sanitario, procedendo altresì a nume­rosi trasporti di feriti e smistamenti negli ospedali cittadini. Toccò ai barellieri dipendenti da questo centro di assistenza di accorrere il 28 aprile in via Stampatori 6 per il trasporto del partigiano Giorgio Bertoldo della divisione Matteotti « I. Rossi », colpito dal fuoco di « cecchini » fa­scisti: trasferito poi all’ospedale militare il Bertoldo cessava di vivere in giornata.

Altri scontri impegnarono i socialisti per l’occupazione della Prefettura. La SAP comandata dal cap. R itz64 procedette, la sera del 24 aprile, all’oc­cupazione clandestina del palazzo reale, con l’intendimento di irrompere successivamente in Prefettura per catturare il prefetto Grazioli. Erano state predisposte squadre di sorveglianza ad impedire tentativi di fuga, e si era pure provveduto al sabotaggio delle auto in sosta nel garage della prefet-

M AC, « Esposto al comando militare del partito socialista », senza firma e s.d., ma presumibilmente dei primi del maggio 1945. In tale esposto sono elencati dettagliata- mente gli interventi eseguiti dal servizio organizzato dagli elementi socialisti.64 AC, « Relazione sullo svolgimento delle operazioni che hanno portato all’occupazione della prefettura da parte dei partigiani della squadra volante "Ritz" coadiuvati da ele­menti della compagnia Agenti di polizia » in data 3.5.1945 e indirizzata al comando piazza di Torino e, per conoscenza, al Prefetto di Torino e al Questore di Torino.

I socialisti nella Resistenza torinese 61

tura: in tale fase dell’azione una proficua attività era stata svolta dagli agenti di pubblica sicurezza. Ma alla sera del 26 forti reparti corazzati della « Leonessa » puntarono sulla prefettura: si trattava di 400 uomini arma­tissimi e di 20 mezzi corazzati. Ciò costringeva i sappisti all’evacuazione del palazzo reale. Venivano mantenuti i contatti coi reparti di agenti di PS al fine di poter intervenire tempestivamente e dar corso all’azione pre­disposta, ma le autorità fasciste incaricavano i più sicuri componenti degli uffici politici, congiuntamente ai reparti armati della « Leonessa » di con­trollare le mosse degli agenti di polizia in modo che a questi fu preclusa ogni possibilità di azione. Il prefetto potè quindi abbandonare Torino, eludendo la minaccia di una clamorosa cattura. I sappisti del cap. Ritz furono tuttavia i primi, mentre ancora i reparti corazzati fascisti sostavano sulla piazza Castello, a occupare i locali della prefettura, catturando in­genti quantitativi di armi, munizioni e automezzi.

Anche all’EIAR il gruppo socialista, al comando di Modesto Balsamo, procedeva all’occupazione dei locali:

Nel tardo pomeriggio del 25 aprile u.s. mi recai, unitamente alla compagna Eusebio Livia, nel locale del Costa, dove mi incontrai col compagno Bevilacqua 65 il quale mi comunicò l’ordine del comitato che per le ore 0 del successivo 26 era stato decretato lo stato di allarme e che avrei dovuto nella notte stessa occupare la sede dell’EIAR di via Montebello 12. Mi venne promesso un rin­forzo di sei uomini [...] 66.

Dopo varie vicissitudini (il Balsamo stesso fu condotto in prefettura e fu minacciato di immediata fucilazione) l’azione veniva portata a ter­mine: si provvide alla messa in efficienza di un trasmettitore di fortuna (i tedeschi avevano sabotato il centro trasmittente dell’Eremo) e, alle 20 del 28 aprile fu possibile mettere in onda la prima trasmissione di Radio Torino libera.

Con queste azioni coraggiose i socialisti torinesi concludevano bril­lantemente una lotta da alcuni di essi iniziata oltre vent’anni prima: una lotta che li aveva visti in prima linea accanto alle più attive forze antifasciste.

Franco Fiorensoli

65 Trattasi di Arturo Bevilacqua, fratello di Quinto, il quale ha confermato verbal­mente la circostanza.66 AC, « Attività del gruppo socialista delPEIAR durante i moti insurrezionali dei giorni 25.26.27.28.4.1945 in Torino e partecipazione all’occupazione della sede del- l’EIAR di via Montebello 12 », relazione in data 2.5.1945 a firma Modesto Balsamo.