Nº 5 Anno 2 L'Eco dal Santa Caterina

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L’ECO DAL SANTA CATERINA Febbraio 2014 Anno II 2013/2014 1 L’Eco dal Santa Caterina n. 5 – Anno II, Febbraio 2014 Vedi articolo all’interno In questo numero : 1. Redazionale 2. La Scuola dell’infanzia 3. Gli allievi della 3^ elementare espositori alla libreria Feltrinelli 4. Giochiamo insieme 5. Riflessioni sull’Olocausto 6. Legge n.92 : “il giorno del ricordo” 7. Recensione : “La grande bellezza”. Istituto Arcivescovile Paritario Santa Caterina 56127 Pisa, Piazza S.Caterina n. 4. tel. 050.55.30.39 e_mail : [email protected]; http//www.scaterina-pisa.it REDAZIONALE La nostra pubblicazione si evolve, con un formato leggermente diverso e con articoli che completano le iniziative, le testimonianze e i documenti che verranno proposti da alunni e docenti di ogni ordine e grado. Il nostro è un ultimo tentativo per far sopravvivere questa esperienza che giudichiamo positiva per come si presenta e come è stata impostata, però tutto ciò non basta. Abbiamo sempre sostenuto che una pubblicazione di questo tipo deve essere gestita dagli alunni e da altre componenti, con la collaborazione del corpo docente, chi ci segue sa che non è sempre così ed allora è necessario trovare un rimedio che al momento neppure noi siamo in grado di fornire. Chiamiamo quindi in causa tutte le componenti affinché questa esperienza non debba finire melanconicamente.

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Periodico di informazione dell'istituto paritario arcivescovile "Santa Caterina" di Pisa

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L’ECO DAL SANTA CATERINA Febbraio 2014

Anno II – 2013/2014 1

L’Eco dal Santa Caterina n. 5 – Anno II, Febbraio 2014

Vedi articolo all’interno

In questo numero :

1. Redazionale 2. La Scuola dell’infanzia 3. Gli allievi della 3^ elementare

espositori alla libreria Feltrinelli 4. Giochiamo insieme 5. Riflessioni sull’Olocausto 6. Legge n.92 : “il giorno del ricordo” 7. Recensione : “La grande bellezza”.

Istituto Arcivescovile Paritario Santa Caterina 56127 – Pisa, Piazza S.Caterina n. 4. tel. 050.55.30.39

e_mail : [email protected]; http//www.scaterina-pisa.it

REDAZIONALE

La nostra pubblicazione si evolve, con un formato leggermente diverso e con articoli che completano le iniziative, le testimonianze e i documenti che verranno proposti da alunni e docenti di ogni ordine e grado. Il nostro è un ultimo tentativo per far sopravvivere questa esperienza che giudichiamo positiva per come si presenta e come è stata impostata, però tutto ciò non basta. Abbiamo sempre sostenuto che una pubblicazione di questo tipo deve essere gestita dagli alunni e da altre componenti, con la collaborazione del corpo docente, chi ci segue sa che non è sempre così ed allora è necessario trovare un rimedio che al momento neppure noi siamo in grado di fornire. Chiamiamo quindi in causa tutte le componenti affinché questa esperienza non debba finire melanconicamente.

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Bentrovati a tutti !!! Alla Scuola dell’Infanzia le attività didattiche

delle insegnanti dei tre gruppi procedono a pieno ritmo.

I progetti di Musica, di Psicomotricità e di Madrelingua Inglese stanno dando i loro frutti.

I gruppi dei 4 e dei 5 anni stanno proseguendo anche il loro Progetto di Disegno, mentre il 5 marzo il gruppo dei 3 anni inizierà il tanto

atteso Progetto di Pittura, che li coinvolgerà in attività pittorico-manuali con creazioni di pasta di sale.

Da lunedì 17 febbraio, le insegnanti sono impegnate nei colloqui individuali con le famiglie

dove illustrano ai genitori le attività svolte dai bambini e si confrontano con gli stessi per affrontare al meglio il percorso scolastico dei loro figli.

Gli orari previsti per i colloqui sono fissati, come ormai consuetudine, in base alle esigenze dei genitori.

Bambini ed insegnanti si stanno preparando per la Festa di Carnevale che si terrà presso i locali della Scuola dell’Infanzia, giovedì 27 febbraio a partire dalle ore 10,00 ed alla quale parteciperanno anche i bambini dell’Asilo Nido “il Birichino”

nell’ambito del progetto di continuità che caratterizza il Nostro Istituto.

In seguito, martedì 4 marzo, i bambini della

Scuola dell’Infanzia chiuderanno il Carnevale con un momento di festa all’interno della propria Scuola, indossando mascherine costruite da loro stessi.

In attesa di tante altre novità, Vi aspettiamo per l’uscita del prossimo numero.

. DALL’INFANZIA

COL SORRISO… La maestra del gruppo dei 3 anni mentre

fa l’appello… <<Giulia B.?>>…<<Presente!>> <<Federico F. ?>>…<<Presente!>> <<Elena G. ?>>…<<Presepe!>>

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COLORA CON NOI Alcuni disegni da colorare … li vuoi più grandi ? Scrivi in Redazione a zio Pippo e te li farà avere.

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Come ogni anno con questo evento portiamo avanti un concorso dedicato alla lettura, I VINCITORI di Un libro da Regalare, III EDIZIONE sono: Diego Cruciani ( Scuola Arcivescovile Paritaria Santa Caterina) II

primaria Maria Ungari ( Scuola Arcivescovile Paritaria Santa Caterina) II

primaria

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L E I F O

M C D O G

P O A N L

R I V E I

G A F R G

PERCORSO CIFRATO

Cosa facevano i Protoceratopi per proteggere le loro uova dai terribili predatori sempre in agguato ? Spostati tra le lettere, partendo dall’angolo in alto a sinistra e muovendoti secondo la sequenza numerica, e lo saprai. Il numero uno ti dice che devi spostarti in alto, il due in basso, il tre a destra e il quattro a sinistra.

3. 2. 2. 4. 2. 3. 3. 1. 3. 1. 4. 1. 3. 3. 2. 2. 2. 4.

Le soluzioni nel prossimo numero

PAROLE CAPOVOLTE

Le parole capovolte sono parole scritte al contrario e non vanno confuse con i contrari, in cui è il significato e non la parola ad essere capovolto. Trasforma le parole capovolte che trovi qui sotto in parole normali e cercane poi i contrari. Leggendo una di seguito all’altra le iniziali di questi contrari scoprirai cosa ha regalato l’allenatore di Okopoko Maioko al calciatore giapponese che sta quasi sempre in panchina.

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“Quanta stella c’è nel cielo”: riflessione sull’Olocausto

Vivere nel nome del ricordo e assecondare senza esitazione la pulsione verso la vita è uno sforzo grandioso. Specialmente a quindici anni. Davvero si può tornare a riaccendere un barlume di speranza in un paio di occhi resi opachi da un vortice di violenza, morte, distruzione, che li ha traviati, segnati per sempre con una cicatrice indelebile? I sorrisi rimangono spezzati sul volto, come lembi slabbrati destinati a non ricongiungersi più in modo netto e deciso. Gli occhi sono offuscati dal dolore, dai pianti che si annidano in gola, dalla voglia spasmodica e insoddisfatta di vomitare tutto il veleno accumulato e represso in un cuore così giovane e indifeso. Quanta stella c’è nel cielo è una delle tante storie di giovinette depredate bruscamente della loro innocenza, e che però hanno conservato la luce nel cuore. Di fronte alla morte, alla distruzione, alla continua svalutazione della vita, l’uomo si aggrappa all’esistenza come all’unico bene salvifico ancora importante. Anita è ormai abituata a vedere la morte agire di fronte ai suoi occhi, a concepire l’uomo come un ammasso di ossa scarnificate, nugoli di cenere. Il suo cuore speranzoso di bambina si tramuta in quello colmo di rassegnazione di una donna cresciuta troppo presto, con la figura della madre ancora impressa nella mente, la nostalgia sottesa a ogni gesto, a ogni sguardo. Quanto è innaturale non sconvolgersi più davanti alla morte? Quanto è insano e disumano non stupirsi più di una morte violenta? Anita sembra impermeabile, col sangue congelato nelle vene, il respiro mozzato, il flusso dei pensieri interrotto dal susseguirsi delle strategie per sopravvivere ancora un altro giorno. Ridurre un uomo alla sopravvivenza è la più grande disumanizzazione alla quale lo si possa condannare, così come spingerlo a racimolare il cibo e i cocci di un’esistenza vissuta ai limiti dell’istinto primordiale, quando ogni giorno diventa una corsa a rattoppare i graffi, le percosse, i cedimenti del corpo. Il Lager divora dentro, riempie di disillusione, talora porta alla pazzia. Pensando ad Auschwitz affiora l’immagine dell’uomo visto dal suo lato peggiore, col suo macabro cinismo, con la sua lucida follia. L’immagine può provocare solo disgusto, rendere l’umanità consapevole della propria incapacità di controllare gli impulsi peggiori, e del fatto che certi orrori sono un modo per fare i conti con la sua limitatezza. L’uomo spesso non impara dai propri errori, spesso può solo identificare la natura del suo ennesimo limite. Il macigno del passato recide le prime acerbe prospettive future, e rimane solo l’ardente desiderio di poter rivedere vivi i propri cari, di dimenticare il potere del numero maledetto. Un numero che dà la sensazione di essere buoi al macello, piante destinate a seccare attanagliate dal gelo invernale. Uomini come oggetti, oggetti come uomini, questo è Auschwitz, la morte della morale, ma anche del pensiero.

Anita riflette ancora, ecco cosa riesce a salvarla. La riflessione la conduce nei meandri di un perpetuo rimuginare sul senso della vita, su un Dio che rimane lontano e impassibile davanti alla rovina del suo popolo, mentre i corpi si accartocciano per gli stenti, si accasciano martoriati dalle fucilate, cercano la morte contro il filo spinato del campo di concentramento. Anita riesce ancora a dipingere se stessa, e se prima idealizzava adesso che è nel Lager si accontenta. Scambia una passione carnale per un amore vero, l’ebbrezza della lussuria per la felicità, il piacere voluttuoso per l’ultima tappa di un’unione sacra. Sublima la figura del suo carnefice e macera dentro di sé le ferite, senza poterle esternare, senza poter esorcizzare la paura. Si sente un ramo spezzato, condannata a vivere nel ricordo di un passato che non deve e non può condividere con altri. Immagina un mondo dove i dogmi non hanno valore, la società si smaterializza nella sua essenza, e le persone si prendono per mano. Nella sua rassegnazione rimane pertanto un corpo di fondo: i resti di una natura sognatrice e piena di speranza che neppure l’orrore dell’Olocausto è riuscito a sradicare.

Anita non può e non vuole dimenticare. Ha il terrore inciso nell’anima, ma sa che il primo passo per ritornare alla vita è pennellarla di positività; e così paradossalmente, risulta più viva e vibrante delle persone che la circondano. È più viva della zia, che prova a colmare la propria insicurezza con balli, scenate di gelosia, eccessi di vanagloria e tracotanza, forme di autoritarismo sporadiche e prive di criterio; è più viva della compagna di lavoro, delusa e così aggrappata ad un sogno da perdere di vista tutto il resto e assistere in modo impassibile alla rinascita lenta e faticosa di una civiltà affamata di amore e stanca di odio; è più viva di Eli, il carnefice tanto amato che rappresenta il degrado del genere umano, il nazista che ha crocifisso il suo popolo e che la seduce, la maltratta ed infine la abbandona. Anita capisce che l’unico modo per risalire è abbracciare la vita con slancio dopo un abisso di sofferenza. In questa sua ascesa si affeziona a Robyka, il bambino dell’incurante zia Monika, raccontandogli gli orrori del Lager, confidandosi e sfogandosi. Riversa su di lui l’amore che la madre gli fa solo assaggiare lasciandolo con il sapore in bocca, senza appagarne del tutto la sete. Anita ama coccolarlo, affida la sua vita alle manine candide, agli occhi dolci e ingenui del piccolo, riacquistando così la fiducia nell’umanità.

(segue)

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Nonostante il dolore che convive con il calore di una ritrovata normalità, nonostante la morte dei genitori che l’ha privata per sempre del focolare domestico, nonostante la verginità strappata con violenza da un uomo egoista, Anita torna alla pienezza dell’esistenza attraverso la nascita del figlio. Alla figura di Eli, il persecutore nazista, si contrappongono quella del medico che le restituisce i soldi dell’aborto a cui il giovane l’aveva costretta, e quella dell’uomo che le permette di imbarcarsi per la Palestina. Un romanzo che risulta impregnato di speranza. Una speranza percepibile nella purezza del pensiero di Anita, nell’inaspettato gesto del medico e nel sorriso sdentato che le rivolge prima che lei si imbarchi per la Terra Promessa. Anche la speranza è sdentata, perché deve essere continuamente vitalizzata e rinnovata. Nella terra dei suoi avi, Anita spera di ritrovare il senso che le è stato brutalmente strappato, perché - che esista o meno un significato innato nel mondo e nell’umanità - ogni individuo deve tendere alla realizzazione di se stesso abbracciando il proprio fine ultimo. E la vita vera è all’insegna del senso: un senso creatore, non distruttore.

di Camilla Signoretta

3. Il «Giorno del ricordo» di cui al comma 1 è considerato solennità civile ai sensi dell’articolo 3 della legge 27 maggio 1949, n. 260. Esso non determina riduzioni dell’orario di lavoro degli uffici pubblici né, qualora cada in giorni feriali, costituisce giorno di vacanza o comporta riduzione di orario per le scuole di ogni ordine e grado, ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge 5 marzo 1977, n. 54. 4. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Art. 2.

1. Sono riconosciuti il Museo della civiltà istriano-fiumano-dalmata, con sede a Trieste, e l’Archivio museo storico di Fiume, con sede a Roma. A tale fine, è concesso un finanziamento di 100.000 euro annui a decorrere dall’anno 2004 all’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata (IRCI), e di 100.000 euro annui a decorrere dall’anno 2004 alla Società di studi fiumani.

2. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, pari a 200.000 euro annui a decorrere dall’anno 2004, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Legge 30 marzo 2004, n. 92

"Istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati"

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 13 aprile 2004

1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale

«Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.

2. Nella giornata di cui al comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e

all’estero.

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Art. 3.

1. Al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall’8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati, nonché ai soggetti di cui al comma 2, è concessa, a domanda e a titolo onorifico senza assegni, una apposita insegna metallica con relativo diploma nei limiti dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 7, comma 1. 2. Agli infoibati sono assimilati, a tutti gli effetti, gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati. Il riconoscimento può essere concesso anche ai congiunti dei cittadini italiani che persero la vita dopo il 10 febbraio 1947, ed entro l’anno 1950, qualora la morte sia sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia, escludendo quelli che sono morti in combattimento. 3. Sono esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia.

Art. 4. 1. Le domande, su carta libera, dirette alla Presidenza del Consiglio dei ministri, devono essere corredate da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio con la descrizione del fatto, della località, della data in cui si sa o si ritiene sia avvenuta la soppressione o la scomparsa del congiunto, allegando ogni documento possibile, eventuali testimonianze, nonché riferimenti a studi, pubblicazioni e memorie sui fatti. 2. Le domande devono essere presentate entro il termine di dieci anni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Dopo il completamento dei lavori della commissione di cui all’articolo 5, tutta la documentazione raccolta viene devoluta all’Archivio centrale dello Stato.

Art. 5. 1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è costituita una commissione di dieci membri, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o da persona da lui delegata, e composta dai capi servizio degli uffici storici degli stati maggiori dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e dell’Arma dei Carabinieri, da due rappresentanti del comitato per le onoranze ai caduti delle foibe, da un esperto designato dall’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste, da un esperto designato dalla Federazione delle associazioni degli esuli dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, nonché da un funzionario del Ministero dell’interno. La partecipazione ai lavori della commissione avviene a titolo gratuito. La commissione esclude dal riconoscimento i congiunti delle vittime perite ai sensi dell’articolo 3 per le quali sia accertato, con sentenza, il compimento di delitti efferati contro la persona.

2. La commissione, nell’esame delle domande, può

avvalersi delle testimonianze, scritte e orali, dei superstiti e dell’opera e del parere consultivo di esperti e studiosi, anche segnalati dalle associazioni degli esuli istriani, giuliani e dalmati, o scelti anche tra autori di pubblicazioni scientifiche sull’argomento.

Art. 6. 1. L’insegna metallica e il diploma a firma del Presidente della Repubblica sono consegnati annualmente con cerimonia collettiva. 2. La commissione di cui all’articolo 5 è insediata entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e procede immediatamente alla determinazione delle caratteristiche dell’insegna metallica in acciaio brunito e smalto, con la scritta «La Repubblica italiana ricorda», nonché del diploma. 3. Al personale di segreteria della commissione provvede la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Art. 7. 1. Per l’attuazione dell’articolo 3, comma 1, è autorizzata la spesa di 172.508 euro per l’anno 2004. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. 3. Dall’attuazione degli articoli 4, 5 e 6 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

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Con La grande bellezza (accolto ieri dagli applausi della stampa internazionale; e da oggi il film è nelle sale italiane) Paolo Sorrentino sembra voler convincere che sì, quella che racconta è davvero “una Babilonia disperata” nel cuore oscuro e invidiato della capitale: e sembra riuscirci con la forza delle immagini e i virtuosismi visivi (di Luca Bigazzi), con il montaggio implacabile (di Cristiano Travaglioli), la colonna sonora (di Lele Marchitelli), che stordisce con la disco music e incanta con la musica sacra, una sceneggiatura (di Sorrentino, che è un vero scrittore, e Umberto Contarello) veloce e crudele. Non è più il tempo, 1960, della Roma di La dolce vita di Fellini, con il suo ormai perduto paradiso di confusione e peccato, né quello, 1980, della Roma di La terrazza di Scola, in cui politica e cultura erano già un pretesto di vite intaccate da indifferenza e corruzione. Ma La grande bellezza, 53 anni dopo Fellini e 33 dopo Scola, è altro, e all’inizio del film l’autore lo spiega con l’esergo tratto da Viaggio al termine della notte di Céline: «Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco, la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato... ». In questo viaggio “inventato” eppure così vero, ci accompagna Jep Gambardella, re della mondanità capitolina, ridotto a fare il giornalista ma diventato famoso con L’apparato umano, il suo primo e unico romanzo, scritto a 20 anni, perché poi «Roma ti deconcentra ». Ogni tanto porta a letto una bella donna ricca «ma a 65 anni non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare», la notte si pigia con quelli che contano, per ballare sulle terrazze o negli attici ultimo design, o si affloscia sui divani «a parlare di vacuità, perché non vogliamo misurarci con la nostra meschinità». Per quanto Toni Servillo sia sempre un grande attore, a teatro e al cinema (questo è il suo quarto film con Sorrentino) il suo Jep è di lancinante genialità, capace di giudicare e giudicarsi, «Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che farci compagnia, prenderci un po’ in giro». Con la dolce inflessione napoletana, le magnifiche giacche, arancioni o gialle sui pantaloni bianchi, il cappello bianco, la sigaretta sempre tra le dita, il sorriso compiacente di chi è sempre al centro della festa ma non della sua vita: e che ritrova nel silenzio, nel vuoto, nella solitudine dell’alba, quando insonne cammina nella città come disabitata, la speranza che forse riuscirà a tornare a scrivere. Sono momenti di magia, in cui si lascia andare al ricordo di un amore inconcluso della prima giovinezza, quando il suo futuro era intatto e pieno di preziose promesse ormai fallite. Sono le pause dal baccano e dal caos, in cui si può ritrovare la grande bellezza: quella di una città meravigliosa, consegnata ai turisti, invisibile ai romani, ma non a Sorrentino che è arrivato nella capitale solo 6 anni fa. Il film inizia proprio con una visione immensa ed eterna dal Gianicolo, talmente stupefacente che il cuore di un turista giapponese non regge, mentre si leva un canto sublime di musica sacra. E la bellezza austera di Roma apparirà ogni tanto, come un prezioso reperto della sua storia, mentre la folla dei privilegiati guarderà le facce rifatte delle signore, l’agitarsi nel ballo sguaiato degli uomini di potere, il mondo di Ultracafonal e del matrimonio di Valeria Marini. Attorno a Jep e quindi a Servillo, una folla di personaggi dalle vite naufragate nel denaro e nella menzogna, tutti attori di talento: da Carlo Verdone, il poeta fallito e

l’innamorato respinto che torna al paese, a Sabrina Ferilli, la spogliarellista in età cui Jep dice con

tenerezza, «è stato bello non fare l’amore con te»; e tutti gli altri, tra cui Isabella Ferrari, Iaia Forte, Massimo de Francovich, Roberto Herlitzka. In quelle vite scontente e incapaci di trovare serenità e senso, Sorrentino fa scivolare via la morte, come un fastidio, un incidente breve, che ha il suo momento solenne solo nell’occasione mondana del funerale. Poi viene cancellata: il vedovo sicuro di dedicare ogni suo pensiero all’amatissima moglie defunta, si consola subito con una nuova, servizievole compagna, la madre che ha perso il figlio va a far beneficenza in Africa, Jep, rifiuta la morte dell’amica come se fosse solo un trucco, «perché prima c’è stata la vita, anche se nascosta sotto il blabla».

Autore: Natalia Aspesi - Testata: la Repubblica