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Materiali didattici Corso di Storia della filosofia a.a. 2007-2008 Prof. Giuliano Campioni Nietzsche e “le ombre di Dio”. 1

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Materiali didatticiCorso di Storia della filosofia

a.a. 2007-2008

Prof. Giuliano Campioni

Nietzsche e “le ombre di Dio”.

1

Programma d’esame [aggiornato]:

PER COLORO CHE NON HANNO FREQUENTATO SI CONSIGLIA IL VOLUME:

Giuliano Campioni, Nietzsche. La morale dell'eroe, Edizioni ETS, 2009

Testi: Modulo AA) Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, trad. it. di F. Masini, Adelphi, Milano

Così parlò Zarathustra, parte quarta, trad. it. di M. Montinari, Adelphi, Milano

B) A SCELTA un testo tra quelli sottoindicati:

Ernest Renan, Scritti filosofici, Testo francese a fronte, a cura di G. Campioni, Bompiani Milano, 2008: pp. 1-536.

Friedrich Nietzsche, Lettere da Torino, a cura di G. Campioni, Adelphi, Milano 2008

Ludwig Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, a cura di Francesco Tomasoni, Laterza, Roma-Bari 1997

Jean-Marie Guyau, Abbozzo di una morale senza obbligo né sanzione, con le annotazioni di F. Nietzsche, a cura di F: Andolfi, Paravia, Torino 1999

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John Stuart Mill, Utilitarismo, trad. it. di E. Musacchio, Cappelli, Bologna, 1981

Franz Overbeck, Sulla cristianità della teologia dei nostri tempi, a cura di A. Pellegrino, Ets, Pisa 2000

C) A SCELTA un testo tra quelli sottoindicati:

Karl Löwith, Da Hegel a Nietzsche, Einaudi, Torino

Mazzino Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 1999

Cristina Fornari, La morale evolutiva del gregge. Nietzsche legge Spencer e Mill, Ets, Pisa 2006

Antonia Pellegrino, La città piena di idoli. Franz Overbeck e la crisi della teologia scientifica, Ets, Pisa 2005

CRONOLOGIA DI F. NIETZSCHE

1844  Il 5 ottobre Friedrich Nietzsche Wilhelm Nietzsche nasce a

Röcken presso Lützen nella Sassonia prussiana. Suo padre Karl Ludwig

(1813-1849), pastore protestante di quel piccolo villaggio, aveva sposato

Franziska Oehler (1826-1897) nel 1843.

1846  Nel luglio nasce la sorella Elisabeth.

1848  Nascita di un fratello: Joseph.

1849  Morte del padre.

1850  Morte del piccolo Joseph. Franziska Nietzsche si trasferisce a

Naumburg coi figli.

1858  Nietzsche è ammesso alla scuola di Pforta.

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1860  Coi suoi amici di Naumburg, Gustav Krug e Wilhelm Pinder,

fonda l'associazione “musicale e letteraria” Germania.

1864  Con Paul Deussen, suo amico di Pforta a Bonn per frequentare

l'università.

1865  Prima lettura di Schopenhauer.

Nietzsche ha lasciato l'Università di Bonn ed è in ottobre a Lipsia: seguirà le

lezioni di Friedrich Ritschl anche lui trasferito.

1867  Amicizia con Erwin Rohde. Dal 9 ottobre servizio militare a

Naumburg, interrotto nel marzo dell'anno seguente per una caduta da

cavallo. Sul Rheinisches Museum appare il suo primo lavoro filologico su

Teognide.

1868  Il suo lavoro sulle “fonti di Diogene Laerzio” è premiato

all'Università di Lipsia. In novembre conosce personalmente Richard

Wagner.

1869  Il 13 febbraio è chiamato alla cattedra di filologia classica

dell'Università di Basilea. Il 19 aprile giunge a Basilea. Il 17 maggio prima

visita a Richard Wagner e Cosima von Bülow a Tribschen presso Lucerna.

Il 28 maggio tiene all'università la sua prolusione su Omero e la filologia

classica.

1870  18 gennaio conferenza all'Università sul Dramma musicale

greco; il primo febbraio su Socrate e la tragedia. In agosto partecipa come

infermiere alla guerra franco-prussiana. Il 7 settembre si ammala di

dissenteria e difterite, ricoverato a Erlangen. Alla fine di ottobre torna a

Basilea. Segue le lezioni di Burckhardt sullo “studio della storia” (poi note

sotto il titolo di Meditazioni sulla storia universale); rapporti personali con

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Burckhardt. Amicizia con Franz Overbeck, col quale abiterà per cinque anni.

1872  Esce la Nascita della tragedia dallo spirito della musica. In

maggio, attacco di Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff. Wagner e Rohde

replicano a Wilamowitz. Conferenze di Nietzsche Sull'avvenire delle nostre

scuole alla “Società accademica” (gennaio-marzo).

Dal 25 al 27 aprile a Tribschen: Richard e Cosima Wagner lasciano la

Svizzera. Il 22 maggio posa della prima pietra del teatro wagneriano a

Bayreuth, dove Nietzsche fa la conoscenza di Malwida von Meysenbug. Per

Natale dedica a Cosima il manoscritto Cinque prefazioni per cinque libri non

scritti.

1873  Pubblica la prima “Considerazione inattuale”: David Strauss

l'uomo di fede e lo scrittore. Nell'autunno a Bayreuth, un suo “Appello ai

Tedeschi” per la causa wagneriana non viene approvato dai delegati delle

associazioni wagneriane. Conoscenza con Paul Rée. Karl Hillebrand (1829-

1884) recensisce, lodandola, la prima Inattuale.

1874  Pubblica altre due Inattuali: Sull'utilità e lo svantaggio della

storia per la vita e Schopenhauer come educatore. Amicizia con Marie

Baumgartner e suo figlio Adolf. Seconda edizione della Nascita della

tragedia.

1875  Appunti per la Inattuale Noi filologi (non pubblicata). Lettura di

Dühring, programmi di studi scientifici. Alla fine dell'anno grave

peggioramento della salute. Legge con grande interesse le Osservazioni

psicologiche di Pau Rée.

1876  In occasione del festival bayreuthiano esce la quarta Inattuale,

Richard Wagner a Bayreuth. Prima collaborazione di Heinrich Köselitz (da

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Nietzsche chiamano in seguito Peter Gast). In agosto a Bayreuth per

assistere alla prima esecuzione dell'Anello del Nibelungo. Primi appunti del

“libro per spiriti liberi”. Dalla metà di ottobre congedo dall'università per

ragioni di salute. Dal 24 ottobre a Sorrento con Paul Rée e il suo scolaro

Albert Brenner presso Malwida von Meysenbug. Ultimo incontro con Cosima

e Richard Wagner.

1877  Ai primi di maggio lascia Sorrento per la Svizzera. Soggiorno a

Ragaz e Rosenlauibad fino al settembre, poi di nuovo a Basilea dove

riprende le lezioni all'università. Preparazione del manoscritto definitivo

della sua nuova opera con la collaborazione di Peter Gast.

1878  Wagner gli invia il testo del Parsifal in gennaio. Maggio: Umano,

troppo umano. Un libro per spiriti liberi. Rottura con Wagner.

1879  Pubblica come appendice a Umano, troppo umano: Opinioni e

sentenze diverse.

In primavera, grave peggioramento delle condizioni di salute. Dimissioni

dall'università. Durante l'estate, a St. Moritz. In autunno, a Naumburg.

1880  Ai primi dell'anno esce Il viandante e la sua ombra, come

“seconda e ultima appendice” di Umano, troppo umano. In gennaio vista di

Paul Rée a Naumburg. Dal 12 marzo alla fine di giugno a Venezia con Peter

Gast. In estate a Marienbad. In settembre di nuovo a Naumburg, poi –

passando da Francoforte a Basilea (visita agli Overbeck) – a Stresa dall'8

ottobre. In novembre a Genova.

1881  Pubblica Aurora. pensieri sui pregiudizi morali. In primavera a

Recoaro con Gast per la correzione delle bozze. Dal 4 luglio al primo

ottobre, primo soggiorno a Sils-Maria. Quindi di nuovo a Genova.

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1882  In febbraio visita di paul Rée a Genova. Il 13 marzo, a Roma, Rée

conosce Lou von Salomé presso Malwida von Meysenbug. Lettere di

Malwida a Rée a Nietzsche sulla “giovane russa”. Nietzsche a Messina dai

primi di aprile. Il 20 aprile a Roma. Conoscenza con Lou. Piani di studio in

comune (Lou, Rée, Nietzsche). Prima domanda di matrimonio a Lou

respinta. Con la madre di Lou e con Rèe a Orta, in viaggio verso la Svizzera.

Dal 13 al 16 maggio con Rèe e Lou a Lucerna, nuova domanda di

matrimonio respinta. Dal 23 maggio al 24 giugno a Naumburg, poi a

Tautenburg fino al 27 agosto. Dai primi di agosto anche Lou a Tautenburg,

accompagnata dalla sorella di Nietzsche. Rottura con la madre e la sorella a

causa di Lou. In ottobre a Lipsia ultimo incontro con Lou a Rée: i piani di

studio comune vengono formalmente mantenuti. Intanto Nietzsche ha

pubblicato La gaia scienza e, sulla rivista del suo editore Schmeitzner, gli

Idilli di Messina. Il 15 novembre, Nietzsche a Basilea dagli Overbeck. Dal 23

novembre a Rapallo.

1883  Raffreddamento e rottura con Rée e Lou. Grave depressione di

Nietzsche, idee di suicidio, abuso di sonniferi. Il 13 febbraio a Venezia

muore R. Wagner. Dal 23 febbraio al 3 maggio, a Genova. A Roma,

conciliazione con la sorella. Esce la prima parte di Così parlò Zarathustra.

Un libro per tutti e per nessuno.

A partire da quest'anno Nietzsche soggiornerà d'estate a Sils-Maria e

d'autunno-inverno a Nizza, fino alla primavera del 1888. (Tra i soggiorni a

Sils e a Nizza viaggi vari). Nuova crisi con la sorella, che si fidanza con

Bernhard Förster, noto agitatore antisemita e wagneriano. Esce la seconda

parte di Così parlò Zarathustra.

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1884  Terza parte di Così parlò Zarathustra. 26-28 agosto: visita di

Heinrich von Stein a Sils-Maria.

1885  Quarta e ultima parte di Così parlò Zarathustra. Matrimonio

della sorella, il 22 maggio, con Bernhard Förster.

1886 Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell'avvenire.

Nietzsche pubblica anche le prefazioni per La nascita della tragedia

(Ovvero: grecità e pessimismo. Nuova edizione con un tentativo di

autocritica). La sorella di Nietzsche in Paraguay col marito. Carteggio con

Hippolyte Taine.

1887  Prefazioni per Aurora e Gaia Scienza. Nell'estate: Per la

genealogia della morale. Uno scritto polemico. Il 26 novembre prima lettera

di Georg Brandes. Rottura dell'amicizia con Erwin Rohde.

1888  Georg Brandes tiene all'università di Copenaghen lezioni su

Nietzsche. Dal 5 aprile al 5 giugno a Torino. Poi di nuovo a Sils-Maria.

Pubblicazione di Il caso Wagner. Il problema di un musicante. Scrive e fa

stampare il Crepuscolo degli idoli (di cui vuol riservare l'uscita per il 1889).

Anche l'Anticristo è pronto per la stampa. Dal 21 settembre di nuovo a

Torino. Scrive Ecce homo e Nietzsche contra Wagner.

1889  Nei primi giorni di gennaio termina i Ditirambi di Dioniso. Tra il

3 gennaio, giorno probabile del crollo psichico, e il 7 gennaio: biglietti della

pazzia, ad amici, case regnanti, a Cosima, a uomini di Stato, “ai Polacchi”, a

Umberto I. Una lettera del 6 gennaio a Burckhardt induce quest'ultimo ad

avvisare Overbeck. Overbeck a Torino, l’8 gennaio. Il 9, a Basilea con

Nietzsche, che viene ricoverato nella clinica per malati mentali. Il 13

gennaio la madre di Nietzsche a Basilea. Il 18 gennaio, Nietzsche è

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ricoverato a Jena nella clinica universitaria di Otto Binswanger. Suicidio di

Bernhard Forster per il fallimento della sua impresa coloniale nel Paraguay.

1890  A partire dal 13 maggio Nietzsche a Naumburg con la madre.

1897  20 aprile, morte della madre di Nietzsche. La sorella si assume

la cura di Nietzsche e lo porta a Weimar, dove dal 1896 si era trasferita con

l'“archivio Nietzsche” (da lei già fondato nel 1894 a Naumburg, dopo il

ritorno definitivo dal Paraguay).

1900  25 agosto: morte di Friedrich Nietzsche.

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AVVERTENZA

Per gli scritti di Nietzsche, quando non diversamente indicato, il riferimento si intende sempre all'edizione: Friedrich Nietzsche, Werke, Kritische Gesamtausgabe, herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, de Gruyter, Berlin 1967 sgg. [KGW]. La traduzione italiana utilizzata (quando disponibile), è quella dell’edizione italiana Colli-Montinari delle Opere di Friedrich Nietzsche, Adelphi, Milano 1964 sgg. [Opere] attualmente curata da Giuliano Campioni. Salvo diversa indicazione, la numerazione dei frammenti e dei voll. delle Opere corrispondono a quelli dell' edizione tedesca. Per le lettere di Nietzsche e dei suoi corrispondenti, quando non diversamente indicato, il riferimento si intende sempre all'edizione: Friedrich Nietzsche, Briefwechsel, Kritische Gesamtausgabe, de Gruyter, herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Berlin 1975 e sgg., de Gruyter, Berlin 1967 sgg. [KGB]. La traduzione italiana utilizzata (quando disponibile), è quella dell’edizione italiana Colli-Montinari dell’ Epistolario di Friedrich Nietzsche, Adelphi, Milano 1976 e sgg. attualmente curata da Giuliano Campioni [Epistolario]. I riferimenti sono dati, generalmente, nel testo utilizzando: per gli scritti di Nietzsche, le sigle dell’edizione critica seguite dal numero dell’aforisma o del frammento e identificando le lettere dalla data e dal nome dei corrispondenti.Le sigle sono le stesse usate negli apparati dell’edizione critica. Segue il numero del volume (in cifre romane), del tomo (in cifre arabe), ed eventualmente l’indicazione della parte del tomo. Quando l’ho ritenuto opportuno, ho indicato il numero del frammento o dell’aforisma.

AC = L’anticristoBA = Sull’avvenire delle nostre scuoleCV = Cinque prefazioniDS = David Strauss, l’uomo di fede e lo scrittoreEH = Ecce homoFW = La gaia scienzaGD = Il crepuscolo degli idoliGM = Genealogia della moraleGT = La nascita della tragediaHL = Sull’utilità e il danno della storia per la vita

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JGB = Al di là del bene e del maleM = AuroraMA = Umano, troppo umanoNW = Nietzsche contra WagnerPHG = La filosofia nell’epoca tragica dei GreciSE = Schopenhauer come educatoreVM = Opinioni e sentenze diverseWA = Il caso WagnerWB = Richard Wagner a BayreuthWL = Verità e menzogna in senso extramoraleWS = Il viandante e la sua ombraZA = Così parlò ZarathustraFP = Frammenti postumi NF = Nachgelassene Fragmente

Per GA, si deve intendere la Grossoktav-Ausgabe (così chiamata dal formato «ottavo grande»), l’edizione canonica in 19 voll. delle Opere di Nietzsche promossa e guidata dalla sorella Elisabeth (Kröner, Leipzig 1895 sgg.), da cui direttamente dipendono tutte le altre edizioni precedenti quella Colli-Montinari.

Sono state usate inoltre le seguenti sigle:KSA = Sämtliche Werke, Kritische Studienausgabe in 15 Bänden,

herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Deutscher Traschenbuch Verlag, München, und de Gruyter, Berlin 1980, 19882.

BAW= Historisch-Kritische Gesamtausgabe, Werke, Beck, München 1933 sgg.

BAB= Historisch-Kritische Gesamtausgabe, Briefe, Beck, München 1938 sgg.

BN= Bücher aus Nietzsches Bibliothek.

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PROFILO DI NIETZSCHE1. CENNI BIOGRAFICI.

Friedrich Wilhelm Nietzsche nasce a Röcken, piccolo villaggio della Sassonia, il 15 ottobre del 1844. «Come pianta nacqui vicino al campo santo, come uomo in una canonica»1:, scrive Nietzsche, a diciannove anni. Nel luglio del 1849 muore il padre Karl Ludwig, pastore protestante, «un essere delicato, amabile e morboso, destinato solo a un'apparizione fugace in questo mondo». Questo il ritratto tracciato in Ecce homo, l’estrema autobiografia in cui Nietzsche avvicina la personale esperienza della decadenza e della malattia a quella paterna. Nel 1850, lasciata la canonica, con la madre Franziska Oehler (anche lei figlia di un pastore), e la sorella Elisabeth (1846-1936), si trasferisce nella vicina cittadina di Naumburg. Dopo aver compiuto gli studi ginnasiali nella “veneranda” scuola di Pforta, in cui era curata particolarmente la formazione classica, dall’ottobre del 1864 Nietzsche frequenta per due semestri l’Università di Bonn per trasferirsi poi a Lipsia. Iscritto a teologia, per compiacere le aspettative della madre che desiderava che il figlio continuasse la lunga tradizione familiare diventando pastore, optò poi decisamente per gli studi filologici. La validità dei suoi lavori indusse il suo maestro Friedrich Ritschl, a procurargli una cattedra di filologia classica all’Università di Basilea dove tenne la sua prolusione su Omero e la filologia classica il 28 maggio del 1869. A Basilea strinse fecondi rapporti, tra gli altri, con lo storico Jacob Burckhardt e con il teologo Franz Overbeck, che gli restò amico sino alla fine.

Le sue condizioni di salute si mostrarono ben presto preoccupanti.

1 Opere I, I, 310

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Nausea e forti emicranie, una quasi cecità, gli impedivano spesso di leggere e lavorare, tanto che, nel 1876, fu costretto a chiedere un anno di congedo dall’Università e dalla sua concomitante attività di professore al Pädagogium per un primo soggiorno in Italia. Le dimissioni diverranno definitive nella primavera del 1879: da allora, vivendo con una modesta pensione, Nietzsche inizia la sua vita di “fugitivus errans”, soggiornando tra Svizzera, Italia, e Francia (Nizza), all’inutile ricerca di luoghi che più si conciliassero con le sue precarie condizioni fisiologiche e con la sua fragilità psicologica.

Nei primi giorni del 1889, a Torino, Nietzsche termina il suo percorso filosofico ed umano sprofondando nella follia. Dopo un ricovero di diversi mesi nella clinica per malattie mentali di Jena, Nietzsche, nel maggio 1890, fu ricondotto a Naumburg e affidato alle cure della madre. Alla morte di questa, nel 1897, la sorella Elisabeth lo volle –– ridotto ormai a un corpo inerte e inconsapevole – a Weimar, nella villa “am Silberblick”, nella quale aveva trasferito l’archivio da lei fondato con il proposito di gestire il lascito letterario del fratello, ma anche di alimentarne il culto e la fama che nel frattempo si era impetuosamente diffusa in tutta Europa. A Weimar Nietzsche morì il 25 agosto del 1900, al primo piano di quel Nietzsche-Archiv che contribuirà, in modo determinante, alla creazione della sua fosca leggenda.

2. FORMAZIONE GIOVANILE-

Di Nietzsche è conosciuto, in grande misura, il materiale postumo relativo agli anni dell’infanzia e della fanciullezza: disegni, abbozzi di drammi, poesie, poemi, composizioni musicali, riflessioni autobiografiche e critiche sui più vari argomenti etc. C’è nel giovane la precoce volontà di non subire le forti passioni del suo temperamento: la necessità di

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trasformarle, dominarle in consapevolezza critica, volontà di sapere, scrittura. Di qui la continua assimilazione, quasi incorporazione, di letture in una mobile riflessione intellettuale, in una continua sperimentazione di scrittura e di stili che appartengono interamente alla volontaria costruzione di sé.

Il suo interesse giovanile incontra gli eroi della tradizione classica e delle saghe della mitologia nordica e germanica con il forte fascino per le figure di eroi di primitiva e selvaggia grandezza, caratterizzati da metafore che esprimono il loro vigore animale e, già, dal termine ‘sovrumano’ (un esercizio poetico è dedicato alla morte di Sigfrido, un componimento scolastico alla caratterizzazione della figura di Chrimhilde, numerosi gli abbozzi e gli appunti per un commento critico del Nibelungenlied volto a individuarne gli aspetti genetici). Alla prima figura della storia germanica, il re degli Ostrogoti Ermanarico, Nietzsche dedica un poema sinfonico, abbozzi di tragedie, versi cupi e romantici: la sua passione si decanta infine in uno studio storico e nel primo lavoro di carattere filologico (ottobre 1863).

Il tema dell’eroismo si connette, fin dall’inizio, con quello della morte di Dio: nella mitologia greca la fine di Zeus conosciuta in precedenza da Prometeo, nelle saghe nordiche «il rogo del mondo, il soffocante splendore del crepuscolo degli dèi»»2 «la più grandiosa invenzione che abbia mai escogitata il genio di un uomo, insuperata nella letteratura di tutti i tempi, infinitamente ardita e terribile»3.

Gli impulsi verso la libertà dalla tradizione e dalla fede sono nutriti – all’interno del percorso degli studi superiori affrontati nella rigorosa e militaresca scuola di Porta – da letture sotterranee e personali dedicate a figure prometeiche e addirittura sataniche: dal Manfred di Byron ai Masnadieri di Schiller, i cui personaggi gli appaiono «quasi sovrumani,

2 BAW, II, 32.3 BAW, I: Ermanarich, Ostgothenkönig. Eine historische Skizze, 297.

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sembra di assistere a una lotta di titani contro la religione e la virtù»4. La liberazione, per il figlio del pastore, assume il carattere di una ribellione radicale, che richiede una forza “sovrumana” per arrivare ad affermare la morte di Dio. Anche di Hölderlin, Nietzsche sottolinea l’elemento sovrumano, non solo l’impulso verso la Grecia ideale: «La morte di Empedocle è una morte causata da un divino orgoglio, dal dispregio per gli uomini, dalla nausea della terra, dal panteismo»5.

La crisi profonda della fede e la sfida nei confronti della tradizione, trovano altri strumenti di conferma: dalla critica filologica ai Vangeli della scuola liberale (in particolare David Strauß), alla filosofia di Feuerbach e, soprattutto, di Emerson. Infatti, con gli appunti e i saggi della primavera del 1862, dedicati alla libertà e al fato, in cui forte è la risonanza di temi emersoniani, il filosofo approda all’affermazione di una piena immanenza. Nella fede cristiana, contro la forza degli antichi che credevano nel fato, vede una scelta di debolezza, «una incapacità a plasmare da sé, con decisione, il proprio destino». Citando da L’essenza del cristianesimo di Feuerbach, Nietzsche pone il cammino del recupero dall’alienazione («Dio è diventato uomo»), come espressione di un nuovo eroismo: «L’umanità acquista la sua virilità attraverso gravi perplessità e ardue battaglie; essa riconosce in sé “l’inizio, il centro e la fine della religione”»

3. LA FILOLOGIA E LA FILOSOFIA

Il materiale autobiografico e le lettere che riguardano il periodo universitario di Bonn che va fino all’agosto del 1865, mostrano un Nietzsche inquieto e insoddisfatto: il giovane uscito dalla “severa ma giovevole” scuola di Pforta, cerca una sua via, rischiando, per la pluralità ed eterogeneità di interessi e passioni (tra cui, centrale la musica), quella dispersione che avrebbe potuto diventare disgregazione e impotenza. A questi pericoli un Nietzsche, “passionalmente severo”, contrappone la

4 BAW, I, p.137; La mia vita, cit., p. 65.5 F. Nietzsche, Brief an meinen Freund, in dem ich ihm meinen Lieblingsdichter zum Lesen empfehle, in BAW, II, p. 4; La mia vita, cit., p. 107.

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volontà connaturata di “risalire fino alle radici più remote e profonde dei singoli argomenti”: la probità dello specialismo, il metodo storico critico e le armi della filologia — a cui la scuola di Pforta preparava con i suoi «eccellenti maestri» e le sue alte tradizioni.

La scelta per la filologia non è, nella coscienza del filosofo, espressione immediata di un ‘istinto’ o vocazione: nasce invece dalla “educazione, riflessione, forse addirittura dalla rassegnazione”; “Quando mi volgo a considerare come sono passato dall’arte alla filosofia, dalla filosofia alla scienza, e in quest’ambito a interessi sempre più ristretti: la cosa ha quasi l’aria di una consapevole rinuncia”. Sono annotazioni dell’inizio del 1869.

La pubblicazione nell’edizione critica Colli-Montinari degli scritti giovanili e delle lezioni di Basilea, facilita una più accorta e autonoma valutazione del lavoro filologico di Nietzsche all'interno della storia degli studi classici e permette di conoscere il complesso rapporto di interazione e conflittualità tra un mestiere, praticato con crescente sicurezza, e il sorgere della sua identità filosofica. Nietzsche, al di là di storiche pregiudiziali negative dovute per lo più all’allontanamento del filosofo dalla corporazione dei filologi, rimane nella storia degli studi classici con validi risultati su singoli argomenti (Teognide, Diogene Laerzio, La Danae di Simonide etc.). Testi di rilievo sono i saggi, le recensioni, le conferenze che consentono a Nietzsche di diventare professore a Basilea oltre che il materiale preparatorio per la sua prolusione inaugurale Omero e la filologia classica e per altri lavori progettati, ma non portati a termine (estese e significative le note sulla storia degli studi letterari e su Democrito). La pratica filologica si accompagna alla parallela, profonda esperienza della filosofia di uno Schopenhauer (la cui prima lettura risale all’autunno 1865) divenuto maestro di saggezza e di vita mentre Nietzsche ne critica ben presto i fondamenti metafisici nella direzione di un radicale fenomenismo neokantiano (decisiva l’influenza della lettura della Storia del

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materialismo di Friedrich Albert Lange). La presenza di Schopenhauer nella riflessione nietzscheana di questo periodo è diffusa e avvertibile: è evocato come il “filosofo più vero”, capace di “uno stile” espressione “di una Germania rigenerata”, nemico della filosofia universitaria. Elementi schopenhaueriani si avvertono sia nella polemica contrapposizione tra una considerazione estetica dell'antichità, patrimonio di pochi, ed un approccio meramente storico, sia nella visione della storia come dominata dalla stupidità e dall'inerzia delle masse mentre solo il singolo è capace di creatività. Il duro giudizio sugli studi filologici della sua epoca, sulla loro confusione metodica, la loro angustia e la loro incapacità di cogliere davvero lo spirito dell'antichità, torna spesso negli appunti come nelle lettere di questo periodo. Il confronto tra il genio filosofico («datore di lavoro») e filologo («operaio di fabbrica») — la metafora è direttamente derivata dai Parerga di Schopenhauer — torna più volte nelle riflessioni del giovane Nietzsche6. Nietzsche Nietzsche può concludere la sua prolusione di Basilea – in cui propone una pratica “inattuale” della filologia all’ombra della filosofia schopenhaueriana – , con la professione di fede “philosophia facta est quae philologia fuit”. L'orgogliosa inversione del motto di Seneca rappresenta un ottimistico programma per il futuro: il processo di maturazione di un'identità filosofica sembra qui poter integrare la stessa attività filologica.

4. NIETZSCHE E WAGNER

6 F. Nietzsche, KGB, I, II, p. 316; Epistolario, I, p. 623. (Lettera a Paul Deussen del settembre 1868). Si veda anche BAW, III, p. 329 e p. 338; Appunti filosofici, p. 68 e p. 81; KGW, II, III, pp. 369-70; KGW, III, II, p. 162; Opere, p. 112 (Sull'avvenire delle nostre scuole). Per il riferimento a Schopenhauer cfr.: Parerga, II cap. 21, par. 254; trad. it. a cura di G. Colli, tomo I, Adelphi, Milano 1981, pp. 642-43.

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Con La nascita della tragedia (1872) Nietzsche mette in pratica un diverso approccio alla grecità, rinnovando la pratica filologica, e nello stesso tempo si schiera in un fronte comune con Richard Wagner, per la rinascita della cultura tedesca. Questo scritto, attaccato violentemente dal giovane filologo Ulrich von Wilamowitz, segna il distacco dal mondo ufficiale della filologia. La comprensione del dramma greco, influenzata in modo determinante dalla filosofia di Schopenhauer, era per Nietzsche anche l’esito originale di una salda tradizione filologica e storica che, a partire dagli Schlegel, in parte dallo stesso Ritschl, comprendeva i colleghi di Basilea Jacob Burckhardt e Johann Jacob Bachofen.

Il tema della tragedia è quasi travolto da una più generale prospettiva metafisica e dall’urgenza del progetto culturale. Il principale nemico del tragico è l’ottimismo socratico, che ha affermato il valore dell’illusione fenomenica ed ha portato la riflessione del singolo, distruttiva, nella bella comunità greca, retta dagli istinti vitali e dal fondamento mitico. Sullo sfondo di questa impostazione c’è la concezione schopenhaueriana di una contraddizione tra l’unità metafisica originaria e la colpevole individuazione fenomenica (l’apparenza). Questa colpa che coinvolge l’esistenza, ha bisogno, secondo La nascita della tragedia, di una redenzione estetica. La contraddizione originaria si riflette nell’opposizione di Dioniso e di Apollo all’interno della natura. Apollo divinizza il principio di individuazione, della forma, della bella apparenza, del sogno e in questo modo libera dalla sofferenza. Dioniso è invece l’espressione immediata della forza primitiva che abbatte l’individuo e lo riassorbe nell’unità originaria. Egli riproduce continuamente la contraddizione come dolore dell’individuazione, ma la risolve in un piacere superiore in quanto l’individuo stesso partecipa della sovrabbondanza dell’ Ur-Ein. Questo è il principio, già presente in Schopenhauer, della “consolazione metafisica”: «in realtà noi per brevi momenti siamo esso stesso l’essere primordiale, e ne sentiamo l’indomito desiderio e piacere di esistere»7.

Lo schema seguito da Nietzsche nell’esporre i principi di “apollineo” e “dionisiaco” è solo a prima vista lineare (i termini che li definiscono sono antitetici e danno vita alle opposizioni in cui si articolano i fenomeni

7 F. Nietzsche, Die Geburt der Tragödie, in KGW, III, I , p. 105; Opere, p.111.

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estetici: scultura e musica, lirica ed epica). In realtà Dioniso e Apollo non sono gli estremi di una contraddizione: tutta la cultura apollinea si presenta come una maschera per sopportare la tragicità dell’esistenza, come un grande tentativo di velare, attraverso la costruzione di forme stabili e rassicuranti, il fondo dionisiaco. Le due dimensioni si richiamano l’una all’altra, perché proprio la paura degli aspetti più orribili dell’esistenza è la fonte dell’illusione apollinea. Il puro “dionisiaco” è barbarie distruttiva o pura letargia.

Ne La nascita della tragedia è presente una sorta di filosofia della storia giocata sui due principi che cercano l’unità. A questo proposito Nietzsche parlerà di «un ripugnante odore hegeliano... un’idea — l’opposizione di apollineo e dionisiaco — tradotta in metafisica; la storia stessa vista come lo sviluppo di questa idea»8. La struttura metafisica di fondo rende l’arte necessaria non solo per l’individuo ma per la stessa natura. L’eterno soggetto creatore trova nell’arte la sua consolazione e la sua necessità, l’artista (il genio) è a sua volta “opera d’arte” per la natura, la realizzazione più alta, la sua giustificazione. La creazione artistica nasce dall’inconscia identità con l’uno originario che, come unico creatore e spettatore della commedia artistica, trae da essa, per sé, un eterno godimento.

La prospettiva culturale, vissuta dalla società greca in maniera istintiva, consiste nel lavoro per la produzione del genio. Egli emerge dalla collettività, ne è il rappresentante più alto, capace di dare un significato superiore al flusso storico, di per sé privo di senso. Nell’epoca attuale dominata dall’astrazione, il genio si separa dalla collettività divenuta massa ed è costretto a una solitaria produzione (e fruizione) del valore. La massa impedisce lo sviluppo delle forze culturali distorcendo per fini egoistici e materiali ogni tentativo superiore. Nel genio si realizza con pienezza l’essenza «generica» dell’uomo: egli diventa, con la sua umanità vera e più alta, il rappresentante delegato della specie.

La bella totalità greca presuppone la divisione del lavoro: c’è innanzitutto la violenza esercitata sulla casta di schiavi, una realtà «che non lascia alcun dubbio sul valore assoluto dell’esistenza. Tale verità è

8 F. Nietzsche, Ecce homo, in KGW, VI, III , p. 308; Opere, p. 319.

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l’avvoltoio che divora il fegato al fautore prometeico della cultura»9. Da questa verità l'uomo moderno rifugge nascondendo, attraverso la mistificazione ottimistica della dignità dell'uomo e del lavoro, la generale schiavitù senza senso del mondo che lo circonda. Nietzsche riprende, in più luoghi, le pagine in cui Schopenhauer attacca la “dignità dell'uomo” come vacua formula che nasconde l'assenza del concetto. La concezione metafisica di Nietzsche, che vede come finalità ultima della realtà la produzione del genio, propone un'altra concezione, più dura ed eroica, della dignità: «ogni uomo, con tutta la sua attività, acquista una dignità solo in quanto sia, coscientemente o incoscientemente, uno strumento del genio [...] solo come essere pienamente determinato, al servizio di scopi ignoti, l'uomo può giustificare la propria esistenza» 10. Il postulato dell’impossibilità pratica della negazione della vita, della noluntas, comporta l'accettazione di meccanismi di illusione (Wahn) funzionalizzati alla costruzione di una civiltà superiore. Nell'istinto si esprime direttamente una volontà che sottomette con l'inganno l'individuo. L'istinto è illusione che perpetua la volontà di vivere, è l'inganno da parte del «genio della specie» a spese dell'individuo. L'arte e il mito sono l'immagine illusoria più alta di seduzione alla vita: «correggere il mondo — ecco la religione o l'arte. »11. La scelta della Grecità è lontana dal puro dionisiaco (letargico) come dal «nefando ottimismo» alessandrino del mondo moderno: la civiltà greca è una costruzione piramidale che ha al suo culmine la realtà del genio, ed è saldamente vincolata alla vitalità dell'istinto. In tal modo essa mantiene un rapporto non distruttivo con il fondo tragico che nel genio soddisfa in modo potenziato la sua capacità artistico-rappresentativa. L'adeguarsi all'inconscia teleologia della natura significa subordinarsi in modo assoluto al genio. Ed ora, il genio, capace di dare un nuovo senso alla civiltà è Richard Wagner con cui Nietzsche aveva stretto rapporti di amicizia e la cui elaborazione teorica sul dramma musicale (in particolare nel Beethoven del 1870) gli appariva “la filosofia della musica”.

9 F. Nietzsche, Der griechische Staat, in KGW, III, II, p.261; Opere, pp. 226-67.10 Ivi, in KGW, III, II, p.270; Opere, p. 236.11 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente, in KGW, III, III, p.105; Opere, III, III/1, p. 99.

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Nella prefazione all’edizione del 1886 de La nascita della tragedia, Nietzsche indicherà nella compromissione con le categorie estetiche wagneriane e schopenhaueriane un motivo di offuscamento della scoperta dell’elemento dionisiaco nel mondo greco.

Ma, pur nella durezza autocritica verso un libro da lui definito ‘arrogante’ e ‘impossibile’, incapace di esprimere appieno la realtà del nuovo Dio Dioniso, il filosofo riconoscerà sempre ne La nascita della tragedia la massima concentrazione dei problemi (il rapporto arte-scienza, arte-vita, il pessimismo della forza e decadenza, il “problema greco” etc) che tratterà per tutta la vita negli stessi termini, anche se con risposte radicalmente diverse.

5. DALLA CRITICA DELLA CULTURA ALLA CRITICA DI WAGNER

Dopo l’esperienza traumatica della guerra e l’impressione destata dalla Comune di Parigi (“senso dell’autunno della civiltà”), Nietzsche si impegna in una critica del mondo moderno e della civilizzazione alla luce dei progetti culturali di Wagner, legati alla speranza di una “rinascita” dello spirito tragico in Germania. Nietzsche manifesta addirittura, in qualche momento, la volontà di abbandonare l’insegnamento per dedicarsi esclusivamente alla causa wagneriana. Se, con la Nascita della tragedia, il filosofo ha proposto una «svolta dionisiaca» a Wagner, la via dell’affermazione tragica, la diffidenza nei confronti del cristianesimo (mito «sbiadito» e ostile all’arte) segna il contrasto sotterraneo quanto irriducibile con le posizioni del musicista. Per Wagner, infatti, la “rinascita” ha sempre più il punto di riferimento centrale nel mito di un cristianesimo purificato: l’opposizione al Rinascimento da parte di Wagner (all’inizio condivisa dal filosofo) è soprattutto opposizione al «paganesimo» di quella cultura, al suo immanentismo.

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Il materiale lasciato postumo per un progetatto, ampio, Philosophenbuch, mostra come Nietzsche non sia chiuso entro nel cerchio magico del mondo wagneriano: audaci riflessioni filosofiche danno vita a scritti, lasciati inediti, di importanza decisiva nello sviluppo del suo pensiero (La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e soprattutto Su verità e menzogna in senso extramorale).L’artista cede il posto, in queste riflessioni, al filosofo come “medico della cultura” capace di superare la letale antitesi di cultura e conoscenza.La valutazione delle conseguenze dell’antico «pathos della verità» e la polemica contro il moderno scientismo culminano nell’esortazione a «convincere il filosofo del carattere antropomorfico di ogni conoscenza». Nasce in questo periodo la pratica dello smascheramento che caratterizzerà d’ora in poi la sua filosofia: Nietzsche vuol portare alla luce i presupposti nascosti, pragmatici e morali, dell’impulso alla conoscenza e alla verità. Ma è anche sulla natura intrinseca del processo conoscitivo che Nietzsche cerca ora di venire in chiaro, in una ricerca che rivela un allargamento tematico dei suoi interessi e crea le condizioni per un rilevante mutamento teoretico. Prioritario è l’intento di render conto del carattere creativo, «artistico», della percezione e della conoscenza. La connessione di riflessione gnoseologica e teoria dell’espressione artistica tramite la nozione di «metafora» si trova al centro del breve scritto dell’estate1873 Su verità e menzogna in senso extramorale, precaria, abbagliante sintesi di più temi: il carattere contingente dell’intelletto, la distinzione di una ‘verità’ socialmente valida di origine pragmatico-contrattuale da una verità di cui, si afferma l’inaccessibilità, la consapevolezza che il pensiero è sempre, come dice un frammento, «preso nelle reti del linguaggio», la contrapposizione delle codificazioni concettuali alla libertà dell’artista. L’interesse di Nietzsche per i dibattiti scientifici e gnoseologici contemporanei, nato a metà degli anni sessanta con la lettura di Lange, non

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doveva più venir meno, e nel periodo che va dall’estate 1872 all’inizio del 1873 esso raggiunge un primo significativo apice. I frammenti testimoniano tra l’altro della lettura nietzscheana di Denken und Wirklichkeit di Afrikan Spir, di Über die Natur der Kometen di Johann Carl Friedrich Zöllner, della Geschichte der Chemie di Hermann Kopp e, soprattutto, della Philosophia Naturalis di Boscovich che resterà un testo significativo per l’approdo del filosofo ad una concezione radicalmente dinamistica. Un esempio del tentativo di elaborare in modo originale queste letture è il lungo frammento della primavera 1873 in cui Nietzsche sviluppa una «teoria degli atomi temporali» che dovrebbe essere al tempo stesso una «teoria della percezione». Ma intanto, tra la primavera del 1873 e l’inizio del 1874, Nietzsche rinuncia a portare a termine il suo Philosophenbuch avendo compreso come ancora impraticabile una valida sintesi, e comincia a lavorare alla sua prima Considerazione inattuale. Nietzsche si trova a combattere in David Strauss, colui che era divenuto l’apologeta, con il fortunato libro L’antica e la nuova fede, di un progresso garantito dalle armate prussiane :«Al posto del regno di Dio sembra sia subentrato il Reich». Strauss è l’espressione più conseguente di quel compiaciuto «filisteismo culturale» che pretende di non dover più cercare, di avere già i ‘classici’ come corazza dietro cui mal dissimulare la propria sostanziale miseria. Ai filistei Strauss ha dato un nuovo «catechismo» che giustifica lo stato di fatto e divinizza il successo.La metafisica dell’arte e la teleologia del «genio» sono ora sullo sfondo: a Nietzsche importa iniziare una serrata battaglia contro abitudini mentali che soffocano ogni energia vitale e ogni speranza di rinascita.

Le Considerazioni Inattuali provano la decisa volontà di Nietzsche di agire criticamente sulla miseria culturale della Germania a riprova di non avere la «testa tra le nuvole» e di avere, per il duello, «il polso pericolosamente sciolto» (Ecce homo). Dopo aver affrontato con David

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Strauss il rappresentante emblematico di una cultura «senza senso, senza sostanza, senza scopo», ridotta all’«opinione pubblica» delle gazzette, l’“inattuale” Nietzsche allarga il suo progetto, che fu realizzato solo in piccola parte: quattro delle Considerazioni invece delle tredici previste. Nelle Considerazioni inattuali Nietzsche voleva liberarsi «di tutto quello che di negativo, di polemico, di carico d'odio» apparteneva alla sua natura; non di rado la vena polemica lo spinge a semplificazioni e abbreviazioni che offuscano la pregnanza filosofica di questi vivaci pamphlets. Nel caso della Considerazione inattuale su Schopenhauer, il cui titolo doveva essere originariamente «Le angustie della filosofia», trovano ampiamente accesso le numerose annotazioni, critiche ed apologetiche, sulla figura del “filosofo” nel suo pathos della verità, di contro agli “eruditi” e ai filosofi delle università che vivevano della filosofia, non per la filosofia. Sull’utilità e il danno della storia per la vita, che ha conosciuto una grande fortuna, è forse la più problematica tra le Inattuali: presenta infatti un intreccio singolare di tematiche e argomentazioni eterogenee, dietro cui trapela la contradditorietà della posizione di Nietzsche in materia. Leggendo i frammenti postumi del periodo è possibile seguire passo passo come Nietzsche, partendo dal piano originario di una considerazione inattuale sul tema «verità», cominci, tramite la critica del concetto di «oggettività», con l'occuparsi della «malattia storica», e solo in seguito tenti di definire, non senza contraddizioni e ripensamenti, quali atteggiamenti rispetto al passato siano «utili alla vita». I rimedi che Nietzsche propone (quali la valorizzazione dell’ideale e l’antistoricismo) saranno essi stessi indicati come sintomi della malattia moderna. In un frammento del 1878, Nietzsche caratterizzerà negativamente l’atteggiamento presente nell’Inattuale come un «tentativo di chiudere gli occhi alla conoscenza storica»12. Contro il flusso del divenire capace di disgegare l’individuo, appare necessaria una

12 Ivi, p. 275.

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terapeutica della vita attraverso l’elemento antistorico e soprastorico: da una parte la forza dell’oblio e dell’orizzonte limitato, dall’altro il richiamo alle «potenze che distolgono lo sguardo dal divenire, volgendolo a ciò che dà all’esistenza il carattere dell’eterno e dell’immutabile, all’arte e alla religione»13.L’arte e la religione sono ancora i rimedi che Nietzsche propone di fronte al nichilismo della conoscenza.I frammenti mostrano bene gli obbiettivi polemici di questa inattuale quali ad esempio Eduard von Hartmann che esprime, nella sua forte teleologia storica (che comporta l’«abbandonarsi al processo del mondo»), un atteggiamento antitetico all’agonismo di Nietzsche. Si avverte in questo periodo, determinante anche se raramente esplicitata, la presenza di Burckhardt, che agisce su Nietzsche come contrappeso critico all'ideologia germanica di Wagner: i due professori di Basilea hanno visto nella guerra franco-prussiana una lotta “zoologica” tra nazioni, un minaccioso pericolo per la cultura. «Il più delle volte, il vincitore diventa stupido, il vinto diventa malvagio. La guerra semplifica [...] È un letargo invernale della civiltà» – scrive Nietzsche. Attraverso lo storico di Basilea, Nietzsche delinea i tratti dell’individualità libera che si afferma soprattutto contro il peso del nazionalismo germanico, trionfante dopo la vittoria prussiana. Il modello, progressivamente, assume i caratteri dell’«uomo del Rinascimento», capace di incorporare e trasformare in nuova forma di vita il passato. Anche la valorizzazione da parte di Burckhardt della società greca come caratterizzata dall’agone e dalla pluralità di individui superiori diventa per Nietzsche motivo di critica alla posizione tirannica del “genio” wagneriano che si afferma come esclusivo. Richard Wagner a Bayreuth, la quarta e ultima Considerazione inattuale portata a termine, uscì solo nell'estate del 1876. Già all'inizio del 1874

13 Ivi, pp. 351-52.

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Nietzsche aveva però cominciato a lavorare a un'Inattuale sul musicista; i relativi appunti, contengono una critica a Wagner che contrasta in modo a tratti clamoroso con la posizione che il Nietzsche di questo periodo continua ufficialmente ad avere, nei confronti del maestro di Bayreuth. Nietzsche utilizza per Wagner la connotazione burckhardtiana di “cesarismo” legata alla forza di “semplificazione”, alla falsa capacità ordinatrice del caos. Utilizzando le stesse parole di Burckhardt, Nietzsche non esita ad avvicinare il musicista, al “tiranno” descritto ne La civiltà del Rinascimento in Italia: «Il tiranno non permette che si affermino altre individualità, oltre alla propria e a quella dei suoi intimi». Ma la critica di Nietzsche va al cuore della teoria del dramma musicale («Shakespeare e Beethoven, l'uno accanto all'altro – il pensiero più ardito e più folle») e investe le capacità artistiche di Wagner: «La musica non ha molto valore, la poesia neppure, e neanche il dramma, e l'arte teatrale si riduce spesso a retorica». La vocazione originaria di Wagner non è né quella di musicista né quella di poeta, bensì quella di attore, le sue opere, con la loro ricerca dell'effetto e la predilezione per «lo sfarzoso, l'inebriante, lo sconvolgente», vanno intese come le creazioni di un «attore mancato». Nonostante Nietzsche presenti le sue critiche spesso impietose come indicazioni dei «pericoli» che minacciano la grandezza di Wagner, non meraviglia che egli decida di rinunciare per il momento all'opera progettata. Sorte non migliore avrà il tentativo di stesura dell'estate del 1875: solo il confronto di questo materiale postumo permette un'analisi fondata del trapasso, ancora oggi spesso frainteso, di Nietzsche dal “wagnerismo” all'“antiwagnerismo”. Il distacco da Wagner non mette fine solo a un equivoco connubio che rischiava di paralizzare l'ulteriore sviluppo intellettuale di Nietzsche; criticando una figura a cui si era sentito così vicino, egli è evidentemente alle prese anche con se stesso. L’inattuale su Wagner, più che un’ apologia per il musicista vittorioso, mettendo radicalmente in crisi la metafisica

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dell’arte (l’arte costituisce solo una consolazione momentanea: « Perché l’arco non si spezzi perciò esiste l’arte»)14 rappresenta un definitivo congedo dalle illusioni metafisiche giovanili.

6. LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO LIBERO

Umano, troppo umano, pubblicato nel maggio del 1878, rappresenta l’evento decisivo della “grande separazione” da tutto ciò che era stato venerato e l’inizio della sperimentazione di nuove possibilità di vita. Nella prima edizione, consacrata alla memoria di Voltaire per celebrarne l’anniversario della morte, in luogo di una prefazione si trova un brano dalla terza parte del Discorso sul metodo di Cartesio. Già questa citazione rivela il nuovo atteggiamento di Nietzsche: contro le pretese intuizioni immediate del genio metafisico si impone la necessità di un cammino verso la conoscenza. I frutti sono ricavati da un “metodo”, dalla continuità del lavoro, mentre il genio li vuole come caduti in grembo improvvisamente, per “ispirazione”. Essa sottolinea soprattutto la “gioia” legata alla passione della conoscenza: «la mia anima finalmente divenne così piena di gioia, che tutte le altre cose non potevano più offenderla in alcun modo»15. Ma la “gioia” per la conoscenza è ancora un desideratum più che una realtà: Umano, troppo umano è infatti caratterizzato dal gelo e dal disincanto della terapia antiromantica. Nel 1882 Nietzsche troverà in Spinoza un “predecessore” delle sue posizioni: « questo pensatore, il più singolare e il più isolato, è quello più vicino a me proprio in queste cose: egli nega il libero arbitrio, i fini, l’ordine morale dell’universo, il disinteresse, il male»16. La considerazione di Spinoza, sub specie aeternitatis , è comunque per Nietzsche l’espressione tipica della «mancanza di senso storico» dei filosofi, della loro diffidenza verso il divenire. Nietzsche ritiene necessaria la «filosofia storica» (non separabile dalle scienze naturali) e con essa la

14 FP, IV, 1, p. 242 sgg.15 F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches : (An Stelle einer Vorrede), in KGW, IV, II, p. 3; Opere, p. 489. Per il brano citato cfr.: R. Descartes, Dissertatio de Methodo, traduz. latina di Etienne de Courcelles, in Oeuvres de Descartes, ediz. C. Adam e P. Tannery, Paris 1897-1910, VI p. 555.16 Lettera a Franz Overbeck del 30 luglio 1881 in KGB, III, II, p. 111.

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«virtù della modestia»: non vi sono realtà eterne né verità assolute, tutto è in divenire. La storia è necessaria anche contro la falsa immediatezza dell’introspezione per ricostruire la complessità dell’io: « giacché il passato continua a scorrere in noi in cento onde»17. La storia, riportando alla genesi e al percorso, illumina la complessità che sta dietro la menzogna della metafisica, va contro l'opinione di «un’origine miracolosa» per le cose stimate superiori «che scaturirebbero immediatamente dal nocciolo e dall'essenza della “cosa in sé”». Per questo è necessaria «una chimica delle idee e dei sentimenti morali, religiosi, estetici» che mostri come «i colori più magnifici si ottengono da materiali bassi e persino spregiati»18. In questi anni Nietzsche è vicino a Paul Rée la cui filosofia appare una summa di temi diffusi nella cultura positivistica congiunti ad altri di derivazione schopenhueriana. La posizione pessimistica di Rée si richiama al realismo sulla natura umana dei moralisti francesi (in particolare La Rochefoucauld) e si esprime nella volontà di riportare a bassi moventi ciò che finora era stato considerato nobile e alto. Nietzsche condivide in parte questo atteggiamento demitizzante, ma lo piega a un progetto culturale più vasto. Egli propone un progresso realistico: la luce deve tener conto dell’ombra «che tutte le cose mostrano quando il sole della conoscenza cade su di esse»19. Attraverso il «rischiaramento» delle limitate forze positive con cui l’uomo può costruire, si perde il fascino estetico dell’onnipotenza del fondo vitale. Nietzsche afferma pacatamente e anche, in certi momenti, con grigiore disincantato il valore della conoscenza scientifica. La disumanizzazione della natura sembra comportare all’inizio una povertà desolata. La scienza ha come disseccato le cose privandole della linfa magica che l’uomo vi aveva immesso. In tal modo ha dato però un potere effettivo: l’uomo è diventato il «dio delle macchine», ha reso praticabile la natura accontentandosi degli schemi e delle astrazioni del meccanicismo. La scienza deve avvicinarci alle cose prossime, la saggezza antica, invece,

17 F. Nietzsche,Vermischte Meinungen und Sprüche, (223) in KGW, IV, III, p.113; Opere, p. 87.18 F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches, (1), in KGW, IV, II, p.19-20; Opere, p. 15.19 F. Nietzsche, Der Wanderer und sein Schatten, in KGW, IV, III, pp. 176; Opere, p. 134.

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volava verso gli dèi impoverendo gli uomini. Dopo l’ubriacatura degli ideali romantici, Nietzsche constata la perdita della «gioia festiva» propria dell’antichità: la sua spiegazione del fenomeno va a favore dei tempi moderni che cercano non un palliativo al dolore (la «festa») ma la modificazione delle cause della sofferenza attraverso l’invenzione di macchine e la soluzione di problemi scientifici. In Umano, troppo umano si apre una dialettica tra lo “spirito libero” e il progresso della totalità. Il “progredire intellettuale” di una comunità è legato non alla forza e all’energia di un “eroe” che ne confermi o potenzi i valori, ma agli «individui più liberi, molto più insicuri e moralmente più deboli», i malati, le «nature degeneranti» che «ammolliscono l’elemento stabile di una comunità» e attraverso le ferite inoculano qualcosa di nuovo20 . Il malato, rispetto a una società “sana” — cioè certa di se stessa e dei suoi valori — rappresenta la possibilità del movimento. La comunità forte è quella tollerante, che non esclude e che riesce a sopportare questa inoculazione senza dissolversi. Lo Stato tende alla durata: il rafforzamento del costume, la stabilità, che ignora il nuovo, si accompagna progressivamente alla stupidità. Il mito assicurava la saldezza della tradizione e del costume, ma era ostile a ogni progresso.

La scienza e la ragione critica sostengono una battaglia liberatrice contro la precedente scelta antivitale della metafisica dell’artista, contro la pericolosa superstizione del genio. L’arte appare l’erede delle religioni tradizionali e spinge verso il passato di cui è risonanza: gli artisti sono «gli esaltatori degli errori religiosi e filosofici dell’umanità»21. Questa critica radicale alle posizioni di Wagner (per quanto mai esplicitamente nominato) comportò il definitivo distacco dalla cerchia di Bayreuth. Wagner, nello scritto Pubblico e popolarità, accuserà Nietzsche di aridità professorale e, in sostanza, di filisteismo culturale: a coloro che avevano apprezzato La nascita della tragedia, egli appare un nuovo Socrate che distrugge le fonti della vita: la rete di illusioni su cui è possibile costruire una società e una cultura.

20 Ivi, (224), in KGW, IV, II, pp. 191-93; Opere, pp. 161-62.21 Ivi, (220), in KGW, IV, II, p. 182; Opere, p. 152.

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Per Nietzsche il carattere demistificante della scienza e della storia, è, in questo periodo, in primo piano: si tratta di riportare in basso ciò che era stato indebitamente posto in alto. La via della negazione e della critica non viene però intrapresa fino in fondo: l’orizzonte dell’umanità e dei suoi vantaggi costituisce il limite entro cui deve svolgersi il processo scientifico, legato al sorgere di nuove aurore22. Non c’è alcuna armonia prestabilita tra il progresso della verità e il bene dell’uomo.

Si tratta di essere «buoni vicini delle cose prossime», fare a meno dei dogmi ideali, delle religioni che hanno bloccato e impedito, sulla base di menzogne antivitali, lo sviluppo sociale e umano. Alla lunga il rovesciamento del mondo, il privilegiamento dell’aldilà comporta una completa e radicale svalutazione dell’unico mondo reale: del flusso di forze in divenire da seguire nei suoi sviluppi «storici». La ragione e la scienza sono, in questa prospettiva, le forze umane «più alte di tutte»23, che non conoscono compromessi col mito religioso, «vivono su pianeti diversi». Questa posizione intellettualistica si riflette anche su altre concezioni: la scelta per la scienza appare una scelta per la comunicazione e quindi, in senso relativo, per una costruzione sociale «ragionevole». La prospettiva ecumenica (già avvertita come esigenza nelle figure dei presocratici in lotta contro il mito) appare efficace per la liberazione dell’individuo dalle ristrettezze della stirpe, della nazione, dello Stato. Nella loro forza gregaria questi organismi si fanno eredi degli elementi di costrizione della comunità primitiva. La tradizione diventa incorporazione di costumi etici che spingono il singolo nella direzione del gregge.

Il tema della critica alla morale e alla religione viene sviluppato soprattutto in Aurora (1881). La ricerca psicologica confuta definitivamente la religione e la morale mostrandone la genesi nei bisogni e negli istinti. A partire dalla lettura de Il valore della vita di Eugen Dühring, Nietzsche combatte l’ascesi intesa come «vendetta contro di sé, nell’atto violento del disgusto e dell’odio», sintomo di impotenza di vita. Il giudizio sul «valore della vita» non può essere affidato al santo-asceta; si

22 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1876-1878), in KGW, IV, II, pp. 528-29; Opere, p. 447.23 Ivi, KGW, IV, II, p. 530; Opere, p. 448.

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può approdare anche alla negazione, ma questo atto deve essere legato alla conoscenza e alla giustizia. La rivalutazione del «corpo» e la fedeltà alla terra sono certamente in polemica con l’ideale ascetico, che esige la «volontà del nulla» e che domina nascostamente molte forme di vita. Nietzsche combatte la sua guerra santa contro questo ideale nella Genealogia della morale, dove il nichilismo è seguito in tutte le sue maschere moderne e dove viene mostrato il peso dominante che esso ha avuto nella storia umana. Le tre dissertazioni, scritte tra il 10 e il 30 luglio del 1887, raccolgono e sistematizzano, per molti aspetti, il lavoro “storico” iniziato con Umano troppo umano. Il termine “genealogia” presuppone la frattura operata dalla scienza darwiniana: la ricerca dell’origine della morale percorre il positivismo. Nietzsche, tuttavia, critica radicalmente le cattive «ipotesi genealogiche» del contemporaneo positivismo che ammette comunque una “fondazione” della morale ancora sotto il dominio dei valori dati. Si tratta invece, per Nietzsche, di indagare proprio ciò che, generalmente, viene utilizzato come spiegazione, come dato primitivo e “naturale”. Nella Genealogia della morale Nietzsche critica, in nome di un radicale senso storico, ogni riduzionismo della pluralità a un fattore dato: sia esso lo spirito, sia esso la “razza” avendo presente anche la torbida filosofia della storia dell’ultimo Wagner. In queste tre dissertazioni Nietzsche ha visto solo un preludio ad una più generale resa dei conti con la morale.

L’indagine genealogica non si esaurisce certo con l’analisi delle due tipologie morali contrapposte: la morale signorile che nasce dall’affermazione di sé e quella servile che nasce invece dal risentimento e dalla negazione dell’altro e del suo valore. La Genealogia tiene conto dell’importanza centrale della malattia, dell’interiorizzazione degli istinti aggressivi che non si scaricano più all’esterno e che creano, attraverso il dolore, inedite profondità nell’uomo e, infine, la coscienza. Nietzsche ha scavato nei meccanismi nascosti che conducono l’uomo alla «civiltà» attraverso la separazione dal suo passato animale, ha avvertito con dolore la perdita dell’innocenza di «questi semianimali felicemente adattati allo stato selvaggio, alla guerra, al vagabondaggio, all’avventura». L’animale

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ora «dà di cozzo alle sbarre della cella fino a coprirsi di piaghe»24: il filosofo avverte tutto il disagio dell’attuale civiltà, ma anche le prodigiose possibilità di sviluppo per l’individuo superiore, che essa contiene. Nessuna nostalgia per quella lontana felicità animale, per quel nomadismo. La regressione verso la “bionda bestia” primitiva non è né possibile né desiderabile.

In Aurora, come nella Genealogia della morale, e in altri scritti della maturità, Nietzsche critica la morale eroica, anch’essa espressione dell’ideale ascetico in cui l'entusiasmo della vittima nasce dal sentirsi una sola cosa con «il potente essere, sia esso un Dio o un uomo» a cui è consacrata25. Non a caso la prefazione del 1886 ad Aurora termina con l’elogio della filologia: lo spirito diventato libero scioglie definitivamente il rapporto di subordinazione del filologo-educatore nei confronti del “genio” per meglio valorizzare «l'arte di leggere bene» propria della filologia. Gli ultimi studi intrapresi da Nietzsche prima di abbandonare definitivamente la cattedra (1879) per diventare filosofo e fugitivus errans, tendono a rinnovare la pratica della filologia attraverso l’uso dell'etnologia e della sociologia dell'epoca.26 Nietzsche abbandona anche il falso rapporto “idealistico” e romantico tra la Grecità e il germanesimo: piuttosto «la natura del francese è molto più affine a quella greca che non la natura del tedesco»27. Del resto a Voltaire Nietzsche deve la metafora del “danzare in catene”28: la leggerezza degli artisti greci che nasce dal lungo esercizio di vincoli posti a frenare la libertà immediata degli impulsi.

Nell'ultimo periodo Nietzsche propone la solidarietà di intenti critici tra filologia, fisiologia, genealogia, contro le interpretazioni predeterminate che rifiutano il lavoro paziente. Si tratta di leggere le intenzioni e le forze

24 F. Nietzsche, Zur Genealogie der Moral (II, 16); in KGW, VI, II, p. 338-39; Opere, pp. 283-84.25 F. Nietzsche, Morgenröthe, (215) in KGW, V, I, p. 193; Opere, p. 160.26 Su questi studi di Nietzsche, sulla loro importanza e vastità si veda il volume di A. Orsucci, Orient — Okzident. Nietzsches Versuch einer Loslösung vom europäischen Weltbild, de Gruyter, Berlin 1996.27 F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches, (221) in KGW, IV,II, p. 184; Opere, p. 154. 28 F. Nietzsche, Der Wanderer und sein Schatten, (140) in KGW, IV,III, p. 140; Opere, p. 194. Scrive Voltaire in una lettera del 24/1/1761: «Voi danzate in libertà; noi danziamo con le nostre catene».

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che attraversano il testo, che lo costituiscono. Una «volontà di sapere», di leggere i segni e sciogliere i geroglifici del reale senza prevaricarne il senso con distorsioni pregiudiziali.

7. ZARATHUSTRA MAESTRO DELL’ETERNO RITORNO

Nell’estate del 1881 Nietzsche soggiorna per la prima volta a Sils-Maria, in alta Engadina. Tra le sue letture legate alle ricerche sulla morale, egli si imbatte nel volume La connessione di tutte le cose di Otto Caspari. In particolare lo colpisce un brano in cui Caspari si oppone all’idea, all’epoca assai diffusa, di una definitiva cessazione del movimento dell’universo, sia nella forma fisica della morte termica, sia in quella metafisica di uno stato finale del processo del mondo. Si tratta del dibattito sulla morte termica dell’universo e sulla dissipazione dell’energia collegato alla scoperta dei due principi della termodinamica.

Nelle pagine di Caspari Nietzsche trovava anche una critica del processo cosmico tracciato da Eduard von Hartmann nella sua Filosofia dell’inconscio.

Inserendosi in questa discussione Nietzsche elabora la dottrina dell’eterno ritorno: la complessa presentazione di questo pensiero è consegnata a un quaderno dell’estate 1881, pubblicato in maniera integrale soltanto di recente, nell’edizione critica Colli-Montinari. Secondo Nietzsche, se il mondo è composto da un numero finito di elementi o centri di forza, deve in un tempo infinito ripetere le medesime combinazioni per un numero infinito di volte: «Quale che sia lo stato che questo mondo può raggiungere, deve averlo già raggiunto, e non una ma infinite volte. Così questo attimo: esso era già qui una volta e molte volte e parimenti ritornerà, tutte le forze distribuite esattamente come ora; lo stesso avviene per l’attimo che ha generato questo e per quello che sarà il figlio dell’attimo attuale. Uomo! la tua vita intera, come una clessidra, sarà di

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nuovo capovolta, e sempre di nuovo si svuoterà — un grande minuto di tempo frammezzo, finché tutte le condizioni dalle quali tu sei divenuto, nel corso circolare cosmico, si verificano di nuovo. E allora troverai di nuovo ogni dolore e ogni piacere e ogni amico e nemico e ogni speranza e ogni errore e ogni filo d’erba e ogni raggio di sole, la connessione totale di tutte le cose »29. Questa concezione rappresenta il compimento del nichilismo, perché vanifica ogni possibilità teologica o teleologica: «l’esistenza, così com’è, senza senso e scopo, ma inevitabilmente ritornante, senza un finale nel nulla: “l’eterno ritorno”»30. Non è più possibile dare un senso etico o di qualsiasi altro genere alla storia, e in generale alla vicenda dell’uomo su questa terra.

Ma come comunicare questa nuova dottrina, come fare in modo che essa penetri in profondità nella vita degli uomini e li trasformi, come ha fatto, con conseguenze antivitali, il dogma cristiano? A questo compito Nietzsche associa una nuova forma di comunicazione e un nuovo scritto: Così parlò Zarathustra. I concetti che troviamo in questo libro non differiscono molto da quelli che compaiono nei precedenti volumi di aforismi, tanto che Nietzsche, in una lettera, afferma di aver scritto «il commento prima del testo»; del resto i manoscritti documentano che le parabole di Zarathustra risultano assai spesso dalla condensazione di numerosi aforismi che Nietzsche aveva elaborato negli anni precedenti. In particolare c’è un rapporto stretto con lo spirito di guarigione e la nuova affermazione della vita presente ne La gaia scienza. Nel quarto libro (Sanctus Januarius) i due ultimi aforismi presentano l’ipotesi dell’eterno ritorno in forma di parabola (Il peso più grande) e annunciano l’avvento di Zarathustra (Incipit tragoedia). L’arte non è più un residuo del passato, una sopravvivenza di stati d’animo primitivi, ma si lega piuttosto alla scienza precorrendone o sviluppandone i risultati. Dopo aver pensato l’eterno ritorno, Nietzsche ritiene di dover ricorrere a una diversa arte della comunicazione che dia espressione e forza di persuasione a un’ipotesi scientifica. L’eterno ritorno, secondo Nietzsche, è la più scientifica delle

29 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1881-1882), in KGW, V, II, p.396: Opere, p. 38430 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1885-1887), in KGW, VIII, I, p.217; Opere, p. 201.

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ipotesi della fisica. Ma finché resta una mera ipotesi della scienza, l’eterno ritorno non interviene modificando la vita degli uomini, non permette di cambiare il senso comune avendo meno forza dei dogmi cristiani, che, seppur fondati su una serie di errori grossolani e falsificazioni morali, sono ormai stati assimilati e costituiscono l’orizzonte all’interno del quale l’umanità dà senso alla sua storia. E’ necessario che la teoria sia “incorporata”: « intere generazioni debbono lavorare a essa e divenire fertili per essa — affinché diventi un grande albero che proietti la sua ombra su tutta l’umanità avvenire»31.

Lo Zarathustra cerca di superare la difficoltà di esposizione di questa dottrina, vuol trovare nuovi interlocutori superando il linguaggio tecnico della filosofia. Così parlò Zarathustra — le cui prime tre parti furono pubblicate tra il 1883 e il 1884 — rappresenta per Nietzsche il «coronamento di sei anni di esercizio della libertà dello spirito» anche se la composizione delle singole parti richiese solo pochi giorni. Alcuni appunti sulla «teoria dello stile» che risalgono all’estate del 1882, mostrano la consapevolezza della necessità di «sedurre i sensi» perché sia colta la verità più astratta, l’attenzione di Nietzsche per il destinatario della comunicazione, per la forza del “gesto” che esprime la “ricchezza di vita”. Zarathustra porta alle estreme conseguenze il linguaggio simbolico, la volontà di far agire figure come personaggi concettuali. Questo tratto non era stato mai assente nelle precedenti opere di Nietzsche: alcuni momenti delle conferenze di Basilea e alcuni aforismi assumevano la forma dell’apologo, e nei frammenti postumi vi sono abbozzi di drammi — in particolare quello su Empedocle del 1871-72 — e di versi ditirambici. Al di là del giudizio sul valore letterario di quest’opera, certamente il ruolo eccezionale che Nietzsche le ha attribuito e il tono di esaltazione con cui ne ha parlato in Ecce homo hanno contribuito alla creazione del mito di un testo che pur voleva essere distante da ogni “fede o mito.

Zarathustra torna tra gli uomini per sciogliere la vita all’innocenza attraverso il pensiero dell’eterno ritorno. La parodia giullaresca dei valori cristiani (e quindi anche dell’ideale ascetico) si accompagna alla proposta di un nuovo ascetismo visto non come valore in sé ma come uno strumento

31 Ivi, KGW, V, II, p.401; Opere, p. 389.

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necessario di potenziamento e arricchimento. La stessa parabola Delle tre metamorfosi presenta come necessaria una ascesa per tre gradi nettamente separati: dall’accettazione di ogni peso gravoso come esperimento e prova di una forza che isola (il cammello che corre nel deserto) alla lotta per la libertà contro il costume rigido della comunità e i valori millenari (l’io voglio del leone lotta contro il tu devi) e, infine, alla «innocenza e oblio» del fanciullo. La durezza, il ghiaccio, le alture, la solitudine, l’ascensione, la spelonca caratterizzano il cammino del creatore. La bella libertà è possibile per chi ha educato gli istinti: la ricchezza di energie non è più distruttiva, il gioco delle forze ha il suo ritmo e la distruzione del fanciullo è nel movimento per la ricomposizione. La lezione di Schiller permane sotterranea nella riproposizione di questa comunità estetica di uomini liberi.

Zarathustra inizialmente predica alla folla sul mercato. Si accorge che non sono queste le orecchie sensibili all’eterno ritorno. La folla del mercato vuole l’“ultimo uomo”, l’uomo della massa, schiavo del benessere, delle piccole virtù e della grande mediocrità che danno una buona coscienza e un buon sonno. Ma chi è l’ultimo uomo? Nel tratteggiare questa figura Nietzsche si riferisce a una corrente della riflessione morale del positivismo che aveva fondato l’etica sugli affetti simpatetici, sulla compassione e sull’amore del prossimo (John Stuart Mill, Auguste Comte, Alfred Fouillée, Jean-Marie Guyau) e che si congiungeva alle ricerche di etnologi e sociologi come Herbert Spencer e Alfred Espinas, secondo cui il singolo deve trovare la propria realizzazione «nel sentirsi un utile membro e strumento della totalità». Questa tendenza è tipica di una società mercantile, che per favorire lo sviluppo del commercio cerca di eliminare dalla vita ogni pericolosità. Il risultato non può essere che l’appiattimento generale, la formazione di un unico grande organismo omogeneo che raggiungerebbe quella fissità di istinti che caratterizza le maggior parte delle specie animali.

Nietzsche si pone in contrasto con le teorie morali a lui contemporanee elaborando un rapporto individuo-società che privilegia la formazione di individui autonomi attraverso la trasformazione e la dissoluzione di organismi comunitari. Si prospettano quindi due movimenti opposti: uno di

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progressiva mediocrizzazione verso l’ultimo uomo, l’altro di ascesa verso il superuomo. Le nature superiori devono distaccarsi progressivamente dai valori gregari iniziando il percorso ascetico di creazione di sé. Zarathustra cessa di insegnare alla folla, parla ai propri discepoli per spingerli decisamente sulla via dell’autonomia. Pur essendo «il maestro dell’eterno ritorno», Zarathustra deve predicare il superuomo, colui che è capace di “assimilare” l’eterno ritorno, la cui forza di affermazione tragica riesce a convivere con l’ipotesi più estrema del nichilismo e della mancanza di senso del mondo.

«Dio è morto!» L'annuncio fatto dall'"uomo folle" ne La gaia scienza irrompe drammaticamente per svelare la genesi del disordine, del caos. Vi era un alto e un basso, un centro e una periferia, un sole, un orizzonte determinato, una gerarchia e un senso dati: tutto ciò non è più. L'avvenimento ha come sfondo la vicenda cosmica: comporta l'oscuramento, lo sciogliersi della Terra dal vincolo di gravità, il suo raffreddarsi progressivo «via da tutti i soli»32. La conseguenza è il senso di una fine assoluta: l'allusione va alle teorie cosmologiche che ponevano la morte termica dell'universo come necessaria, per progressiva degradazione dell'energia. Nietzsche vede e combatte in queste teorie il residuo di Dio.

Neppure gli “uomini superiori”, che provano disgusto nei confronti dei valori delle masse (e proprio questo sentimento li contraddistingue in quanto uomini superiori) riescono a fare a meno di un nuovo dio, cioè di un nuovo senso che sostituisca l’ideale cristiano. L'“ombra di Dio” permane anche dopo la sua morte e costituisce il pericolo più insidioso per l'uomo superiore: nuove religioni senza Dio sostituiscono le vecchie religioni dogmatiche mantenendo la centralità dei valori dati. La nuova innocenza deve vincere anche queste ombre.

La morte di Dio e l'uomo superiore sono tra loro strettamente legati, come del resto l'eterno ritorno e il superuomo: l'uomo superiore — la sua sofferenza, il suo infrangersi, il suo spezzarsi — è un aspetto della grande crisi. L'uomo superiore non è la risposta adeguata: solo la sua sofferenza

32 F. Nietzsche, Die fröhliche Wissenschaft (125) in KGW, V, II, p. 158-60; Opere, p. 150-52.

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significa una resistenza contro l'“ultimo uomo”. Egli è condizionato fino in fondo dai vecchi valori (anche nell'estremo rifiuto o nel tentativo di capovolgimento) e soffre quindi per la loro crisi: in questo è un decadente.

Nietzsche analizza e combatte le multiformi espressioni di una decadenza storicamente definita che ha le sue manifestazioni nell’esotismo, nel cosmopolitismo, nel culto del primitivo e dell'innocente, nella religione della sofferenza, nel tolstoismo, nel wagnerismo e che esprime disagio e rifiuto nei confronti dell’uomo “medio” e del suo progressivo “rimpicciolimento”. Molte maschere della decadenza si trovano rappresentate nelle figure simboliche e allegoriche dell’uomo superiore nella quarta parte dello Zarathustra. Tra questi troviamo il “mago” Wagner che rappresenta per Nietzsche la forma più completa e perciò più interessante di décadence. Più di Baudelaire e dei Goncourt, Wagner è una lente di ingrandimento che permette al filosofo di conoscere i processi di disgregazione in atto (non solo nell’arte). Ne Il caso Wagner (1888) Nietzsche leggerà in chiave fisiologica la decadenza del musicista prendendo come modello i fortunati Saggi di psicologia contemporanea, (1883) di Paul Bourget. Il “Cagliostro” Wagner viene posto tra gli uomini superiori per la sincerità del suo naufragio, del suo spezzarsi.

Agli uomini superiori, a questi singoli sofferenti, Zarathustra deve rivolgere il suo messaggio. Per alcuni aspetti rappresentano frammenti verso una sintesi più completa, per altri aspetti sono stazioni precedenti dello stesso percorso di Nietzsche. Nietzsche ha dietro di sé e dentro di sé questo percorso fatto del superamento delle unilateralità. Il tenersi lontano dalla piazza del mercato, dall'istrionismo dei gesti, è comunque il presupposto comune: la sincerità verso se stessi e la propria sofferenza deve diventare sofferenza per l'uomo fino a desiderarne la fine. L'educazione degli uomini superiori culmina nel loro confronto con il “pensiero più grave”, la dottrina dell'eterno ritorno che ha, per Nietzsche, una funzione selettiva opposta a quella del darwinismo, che vede la vittoria del mediocre come più adatto alla vita. La capacità di assimilare il pensiero dell’eterno ritorno senza andare in rovina comporta la profonda e radicale trasformazione dell’uomo “superiore” nella direzione del “superuomo”.

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8. NIETZSCHE: LA VOLONTÀ DI POTENZA E IL RITORNO DI DIONISO

Nietzsche approda negli anni Ottanta a una concezione energetistica attraverso un attento confronto con le contemporanee controversie sul materialismo e con le teorie critiche del meccanicismo. Autori come Mach confermarono Nietzsche nella direzione nettamente antimaterialistica ereditata da Schopenhauer e Lange. Importante in questa direzione era stata la lettura, già nel periodo di Basilea, della Philosophiae naturalis Theoria di Ruggero Giuseppe Boscovich (1759) la cui concezione dei punti-forza era stata recuperata tra gli altri da Augustin-Louis Cauchy e Michael Faraday. La considerazione dinamica del tutto vuole essere la base per una critica distruttiva di ogni residuo dogmatico-metafisico. I centri di forza in perpetuo movimento pongono in crisi anche ogni dualizzazione della realtà che portava a conseguenze antivitali di condanna del mondo dei sensi, dell’aldiqua. E poiché 1’essenza di ogni forza sta nel suo manifestarsi, al di là della forza non esiste una sostanza sede di questa forza, avente la capacità di esprimerla come di non esprimerla: «tutto è forza».

Già a livello inorganico è possibile cogliere l’origine del prospettivismo nella conoscenza: «ogni centro di forza — e non soltanto l’uomo — costruisce partendo da sé tutto il resto del mondo, ossia lo misura, lo tasta, lo foggia secondo la propria forza»33. Il rapporto conoscitivo è un’espressione particolare di questa azione-reazione delle forze. Per l’essere organico la relazione con le forze passa attraverso la mediazione del corpo, che interpreta in funzione dei bisogni. L’essenza della forza è sconosciuta: la realtà del flusso in sé, inassimilabile per l’essere organico, può essere dominata e deve essere dominata solo attraverso l’errore: la vita organica presuppone l’errore.

33 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1888-1889), in KGW, VIII, 3; p. 165; Opere, p. 162.

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La “volontà di potenza” è l’espressione che Nietzsche usa, a partire da Zarathustra, per designare un’interpretazione alternativa della realtà capace di creare nuovi valori, solidale con l’affermazione del superuomo e col pensiero dell’eterno ritorno. La “volontà di potenza” rivela il carattere fondamentalmente prospettico di tutta la realtà: «La vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie, un incorporare o per lo meno, nel più temperato dei casi, uno sfruttare»34.

A livello gnoseologico essa si presenta come imposizione di una prospettiva. «L’appropriazione e l’assimilazione è anzitutto un voler sopraffare, un formare, un modellare e rimodellare, finché il vinto sia passato interamente sotto il potere dell’aggressore accrescendolo»35.

Superare la prospettiva ristretta dell’ego non significa acquistare una impossibile impersonalità, una fredda “oggettività”: la conoscenza è comunque implicata nei processi vitali, è legata al gioco degli istinti. L'ampiezza della prospettiva, la capacità di vedere con più occhi, rimarrà una costante dei gradi più alti della volontà di potenza. L'immagine dei molti occhi tornerà più volte. Ancora nella Genealogia della morale l'uomo della conoscenza è colui che «sa utilizzare, per la conoscenza, la diversità delle prospettive e delle interpretazioni affettive» non un occhio puro, privo di forze interpretative ma una pluralità di occhi: « quanti più affetti lasciamo parlare sopra una determinata cosa, quanti più occhi, differenti occhi sappiamo impegnare in noi per questa stessa cosa, tanto più completo sarà il nostro “concetto” di essa, la nostra “obiettività” »36.

A partire dal modello del corpo, Nietzsche tende a valorizzare più che il singolo punto di forza, un sistema vitale più vasto. Prendere il corpo per filo conduttore significa rinunciare alle lusinghe dell’immediatezza e della semplicità: il corpo si svela sempre più come una pluralità, un insieme di centri vitali in lotta tra loro. Il corpo è una sintesi di molteplicità in lotta e

34 F. Nietzsche, Jenseits von Gut und Böse, (259) in KGW, VI, II, p. 218; Opere, pp. 177-78.35F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1887-1888), in KGW, VIII, II, p.88; Opere, p. 77.36 F. Nietzsche, Zur Genealogie der Moral, (III, 12) in KGW, VI, II, p. 382-83; Opere, p.323.

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in movimento e perciò «una formazione di dominio che significa un’unità, ma non è una cosa sola»37. Il momento primario della potenza è l’esercizio del dominio su un caos da plasmare, una forma da dare attraverso gerarchizzazioni e funzionalizzazioni.

Nei suoi gradi più alti, l’impulso alla potenza, significa un allontanamento dalla prospettiva ristretta e violenta, legata al singolo punto di forza. Di contro alle promesse di una forma superiore e diversa di uomo, Nietzsche vede qua e là, nella storia, la realizzazione casuale di individui capaci di arrivare alla “giustizia”. Tra i modelli più vicini che Nietzsche propone, vi è quello della natura «dionisiaca» di Goethe: «l’uomo più vasto possibile, ma non perciò caotico», che rappresenta il ritorno a una specie d’uomo del Rinascimento. Il superuomo è colui che supera la parzialità di ogni prospettiva vitale, non negandola ma incorporandola in una forma piena, colui che ha la forza di assimilare se stesso a tutta la realtà, e tutta la realtà a se stesso, attraverso l’affermazione del ciclo eterno.

L’amor fati è l’espressione più alta e più ricca della volontà di potenza: l’identificazione attiva con la totalità nel suo divenire. All’eroismo della lotta e della fine, che ancora caratterizza l’“uomo superiore” nella direzione del superuomo, Nietzsche contrappone la nuova libertà: «un tale spirito divenuto libero sta al centro del tutto con un fatalismo gioioso e fiducioso, nella fede che soltanto sia biasimevole quel che se ne sta separato, che ogni cosa si redima e si affermi nel tutto — egli non nega più. Ma una fede siffatta è la più alta di tutte le fedi possibili: l’ho battezzata col nome di Dioniso»38.

Nei primi giorni del 1889 Nietzsche termina il suo percorso filosofico ed umano sprofondando nella follia, in cui sopravviverà, sempre più corpo inerte e inconsapevole, fino all' estate del 1900. In Ecce homo, scritto negli ultimi mesi del 1888 e pubblicata con irreparabili censure solo nel 1908, il filosofo consegna alla posterità la propria vicenda — ai suoi occhi conclusa (“perfetta”) — per «distruggere alla radice ogni mito» possibile sulla propria persona. Da una parte una esposizione di sé “antieroica”: Heine e

37 Ivi, KGW, Vlll, I, p. 102; Opere, p. 92.38 F. Nietzsche, Götzen-Dämmerung in KGW, VI, III, p. 146; Opere, p.151

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Offenbach più che Carlyle e Wagner, i riferimenti. Dall’altra, talvolta, l’uso di una oratoria adeguata all’altezza epocale della “trasvalutazione di tutti i valori”.

Il rovesciamento dei valori cristiani e la conquista di una “nuova innocenza” che afferma la piena liberazione della sessualità dalla maledizione del risentimento, sembra essersi attuata con le considerazioni de L’anticristo che termina appunto con una Legge contro il cristianesimo datata «nel giorno della salvezza, nel primo giorno dell’anno uno (— il 30 settembre 1888 della falsa cronologia)». Gli ultimi scritti assumono il senso di una accelerazione del pathos e dell’euforia che precedono la catastrofe.

Eppure in Ecce homo Nietzsche racconta se stesso attraverso la quotidianità fatta di «piccole cose, secondo il giudizio comune» in cui alla malattia, più che allo splendore della salute della “bionda bestia” va la gratitudine del filosofo. La malattia ha liberato il suo spirito, gli ha dato «la capacità psicologica di “vedere dietro l'angolo”», alla malattia Nietzsche deve la profondità e le nuances: «le devo la mia filosofia»39.

39 F. Nietzsche, Nietzsche contra Wagner , in KGW, VI, III, p. 434; Opere, p. 411.

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Gottfried Benn

Torino

« Cammino con le scarpe rotte»,scrisse questo genio universale

nella sua ultima lettera - poilo portano a Jena - psichiatria.

Non posso comprarmi i libri,li leggo nelle librerie:

appunti - poi a prender l'affettato: -questi sono i giorni di Torino.

Mentre la nobile muffa d'Europadi Pau, Bayreuth ed Epsom si nutriva,

lui abbracciava due ronzini,finché il padrone non lo trasse a casa.

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La gaia scienza

La gaia scienza arriva alla fine di un percorso che inizia con Umano, troppo umano, e porta con sé la conquista di una nuova energia - dopo la malattia - capace di coniugare pienamente la sfera della conoscenza a quella della gioia contro la tradizione della filosofia che per la ‘purezza’ del conoscere reprime i sensi e mortifica la carne. L’intelligere, viene inteso — nel confronto con ‘la semplicità e sublimità’ di Spinoza — non come un’impossibile distanza dal “ridere, lugere, detestari” ma come “la forma in cui appunto ci diventano ad un tratto avvertibili questi tre fatti [...] un certo rapporto degli impulsi tra loro” (FW 333). Anche nel caso di Spinoza, tale concezione, che si unisce “alla sua tanto perorata istruzione delle passioni mercé l’analisi e la vivisezione delle medesime” (JGB 198), esprime un accorgimemento vitale di un essere sofferente. La piena energia vitale, invece, conosce, controlla, accetta di nuovo, con piena consapevolezza, il gioco delle passioni e dell’arte che coniuga la gioia alla bella menzogna: l’arte che insegna ad “essere i poeti della nostra vita e in primo luogo nelle cose minime e più quotidiane” (FW 299). E proprio all’inizio del quarto libro de La gaia scienza, dove questo tema è sviluppato con più leggerezza e forza, il giubilo della conoscenza trova le parole di Descartes per esprimere la piena fisicità e corporeità che unisce la passione, il pensiero, la vita: “Io vivo ancora, io penso ancora: io devo vivere ancora perché devo ancora pensare. Sum, ergo cogito: cogito, ergo sum”. Il libro quarto, che inizia con queste parole, è dedicato al Sanctus Januarius (un “monumento tutto speciale” innalzato “a uno degli ultimi inverni nel Sud”, come scrisse Burckhardt – lettera a Nietzsche del 13 settembre 1882) in segno di gratitudine per la mitezza eccezionale del clima invernale di Genova: “Questi sono i veri ‘miracoli di san Gennaro’”. L’espressione e il gioco del riferimento Gennaio/ Sanctus Januarius/ san Gennaro è forse un’eco dei frequenti accenni di Stendhal a saint Janvier/ san Gennaro - santo ‘pagano’, il santo del ‘lazzerone’ che vive affondato nella pura corporeità semianimale, dominato “dalla sensazione presente, questo tiranno

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dell’uomo del Sud [la sensation présente, ce tyran de l’homme du Midi]”40. La sua felicità (si gioisce anche ai piedi d’un vulcano se non si ha nulla da perdere)41 è quella del ‘barbaro’ verso la cui inconscia condizione l’uomo della conoscenza, preso da una passio nova diventata istinto, prova avversione e timore: “Il nostro istinto della conoscenza è troppo forte perché si possa apprezzare una felicità senza conoscenza, o la felicità di una robusta e salda illusione: è penoso anche soltanto immaginarci un tale stato. L’irrequietezza dello scoprire e dell’indovinare è divenuta per noi affascinante e indispensabile come l’infelice amore per chi ama: a nessun prezzo egli lo scambierebbe con uno stato di indifferenza; anzi, forse anche noi siamo amanti infelici! In noi la conoscenza si è mutata nella passione che non teme nessun sacrificio, e in fondo di nulla ha paura se non del suo proprio estinguersi...” (af. 429).

Nella costellazione di metafore legate alla conoscenza, Nietzsche approda da Descartes a Stendhal visto come lo ‘psicologo’ erede lontano di quella volontà di chiarezza (di spiegare “semplicemente, ragionevolmente, matematicamente”42) che spinge la passione analitica agli estremi . La passione della conoscenza ha a suo modello, infatti, l’amour-passion delineato da Stendhal, in particolare, in De l’amour ben conosciuto da Nietzsche 43, ha in sé il processo di ‘cristallizazione’ che colora la vita: alla fine di questo “si sente ancora più profondamente l’infelicità di non interessarsi più a nulla nella vita. Il nulla più triste e scoraggiante succede ad una condizione, che certamente ci teneva agitati, ma ci mostrava tutto il

40 Stendhal (de), (Henry Beyle), Rome, Naples et Florence., Paris: Michel Lévy Frères, 1854 [BN], p.86.41 Stendhal, ibidem. Stendhal riprende qui “une sottise”di Montesquieu sui ‘lazzeroni’.42 De l’amour (prima prefazione , 1826); trad. it., Mondadori, Milano 1968, p. 42. Cfr. l’af. 246 de La gaia scienza: “Matematica. Vogliamo introdurre in tutte le scienze la sottigliezza e il rigore della matematica...”43De l’amour cap. XV, trad. it. p. 74. L’esemplare posseduto da Nietzsche non è più presente nella BN. “Stendhal sur l’amour” (sic!) compare nell’elenco dei libri scritto da Peter Gast sopra il primo appunto di Nietzsche del quaderno M III 4 dell’autunno 1881 (OFN V 2, p. 613).. Marco Brusotti ha poi mostrato puntualmente la lettura di questo testo da parte di Nietzsche prima in “NS” 1993, p. 392 e sgg. poi nel suo volume Die Leidenschaft der Erkenntnis. Philosophie und ästhetische Lebensgestaltung bei Nietzsche von Morgenröthe bis Also sprach Zarathustra, Berlin, de Gruyter, 1997, p. 290 e sgg..

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mondo sotto un aspetto nuovo, appassionato, interessante” (cap. XV). Del resto, anche l’immagine del ‘Don Giovanni della conoscenza’, che meglio esprime la posizione di Nietzsche, ha come suo preciso punto di riferimento la caratterizzazione di questa figura nel testo di Stendhal. Scrive Nietzsche: al don Giovanni della conoscenza “manca l’amore per le cose che conosce, ma nella caccia e negli intrighi della conoscenza — su su fino alle stelle più alte e lontane della conoscenza — è ingegnoso, formicolante di desiderio e ne gode, finché non gli resta più nulla cui dar la caccia se non quel che nella conoscenza è l’assolutamente nocivo, come fa il bevitore, che finisce per darsi all’assenzio e all’acquavite”. Questo significa il primato della ricerca — legata all’avventura, all’inventiva che costruiscono il nuovo ‘metodo’ — sul risultato (non vi è alcuna garanzia che il ‘vero’ non sia pericoloso per la vita) e sull’oggetto (indifferente per l’eterno desiderio). Stendhal caratterizza don Giovanni come colui che è spinto da ‘desideri imperfettamente soddisfatti dalla fredda realtà’: “invece di perdersi nei sogni incantevoli della cristallizazione, pensa come un generale al successo delle sue manovre, e, in una parola, uccide l’amore invece di goderne più di ogni altro [...]. Don Giovanni ha bisogno che le cose esteriori siano rese interessanti da un nuovo intrigo amoroso. [...] L’amore alla don Giovanni è un sentimento che somiglia alla passione per la caccia: è un bisogno di attività che dev’essere tenuto desto da oggetti diversi e tali da mettere in dubbio la vostra abilità”. La vecchiaia sorprende un don Giovanni amaro e deluso. In Stendhal: “don Giovanni, invecchiando se la prende con gli oggetti della propria sazietà, e mai con se stesso. Lo vedi, tormentato dal veleno che lo divora, agitarsi in ogni senso e mutare contiunamente d’oggetto. Ma, per quanto brillanti siano le apparenze , tutto si conclude per lui con un mutamento di tormento. Proverà una noia tranquilla o una noia agitata: quest’è la sola scelta che gli rimane”44. Nel filosofo tedesco perfino l’inferno come estremo capriccio, una volta conosciuto — come tutte le cose conosciute — delude il seduttore: gli rimane “il desiderio di un’ultima cena della conoscenza che non gli toccherà mai più — poiché l’intero mondo delle cose non avrà più un boccone da offrire a questo affamato” (M. 327).

44 trad. it. cit. p.220-221.

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Affermazione vitale e meridione

La perfezione animale, legata alla solarità e al mito del Sud, è solo la inziale premessa. Nietzsche insiste più volte sulla ‘divinizzazione del corpo’ segnata dal nome di Dioniso, l’estensione della felicità che è la cifra distintiva del Sud: «Riscoprire in sé il Sud e tendere sopra di sé un chiaro, splendido, misterioso cielo del Sud; riconquistare la salute meridionale e la riposta potenza dell’anima». Non è casuale che nello stesso frammento, il filosofo leghi l’equilibrio fisiologico e la felicità animale alla possibilità di diventare gradualmente “più vasti, più sovranazionali, più europei, più sovraeuropei, più orientali, infine più greci” (41[6] e [7] agosto settembre 1885). Il greco come l’uomo del Rinascimento è una cifra ideale di una umanità più chiara e affermatrice, di un’anima più vasta.

JGB 255Contro la musica tedesca s'impongono, a mio parere, alcune

precauzioni. Posto che qualcuno ami il sud come io lo amo, come una grande scuola di risanamento,rispetto a quel che v'è di più spirituale e di più sensuale, come un'incontenibile pienezza e trasfigurazione solare,dilatantesi sopra un'esistenza sovrana e colma di fede insé stessa: ebbene, un tale uomo imparerà a stare un po’ in guardia dinanzi alla musica tedesca, poiché corrompendo in senso involutivo il suo gusto, essa determina anche nella sua salute un corrompimento consimile. Ove quest’uomo del sud, tale non per nascita, sibbene per fede, sogni un avvenire della musica, egli deve sognare anche una redenzione della musica dal nord e avere nell'oreccbio il preludio di una musica più profonda, più possente, forse più malvagia e più misteriosa, una musica sovratedesca chenon smuore, non avvizzisce, non trascolora allo spettacolodel ceruleo voluttuoso mare e della mediterranea chiaritàdel cielo, come accade a ogni musica tedesca, una musica sovraeuropea che sopravanza anche i fulvi tramonti dei deserti, essa che ha un'anima affine alla palma e sa vagare e sentirsi a suo agio tra grandi belle solitarie belve predatrici... Potrei immaginarmi una musica la cui più raramagia consistesse nel non saper più

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nulla del bene e del male, e soltanto una qualche nostalgia di navigatore, unaqualche ombra dorata, una qualche fievole dolcezza trascorrerebbero qua e Iä su di essa: un'arte che da estreme lontananze vedesse fuggire verso di se i colori di un mondo morale divenuto quasi incomprensibile, e che fosse abbastanza ospitale e profonda da poter accogliere questi tardivi fuggiaschi.

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Alberto Frigo[testo del seminario ]

PASCAL E NIETZSCHE

«Nietzsche ha sempre dimostrato un interesse del tutto particolare per la personalità di Pascal, e certamente vi era fra i due una notevole affinità spirituale; in relazione al carattere appassionato del pensiero di Pascal, alla sua tensione verso la verità, allo scetticismo, all’avversione verso ogni “autorità” che ne caratterizzava lo spirito»45. Così scriveva Franz Overbeck nei suoi Ricordi di Nietzsche, editi postumi nel 1906. Qualche anno più tardi, Thomas Mann gli farà eco parlando di «due anime fraterne»46. Di fatto, la presenza di Pascal nel pensiero di Nietzsche è un dato difficile da sottostimare. Più di cento riferimenti – espliciti e non – ne rendono testimonianza, riferimenti distribuiti quasi uniformemente in tutti i volumi delle Opere complete47. Una “lunga fedeltà” inaugurata da una citazione nella prima Inattuale48 e suggellata in Ecce Homo con parole che non abbisognano di commento: «io non leggo ma amo Pascal come la vittima più istruttiva del cristianesimo»49. Bastavano già le affinità biografiche e

45 FRANZ OVERBECK, Ricordi di Nietzsche, a cura di C.Angelino, il Melangolo, Genova, 2000, p. 36..46 T. MANN, Considerazioni di un impolitico.47 Citeremo le opere di Nietzsche dall’edizione Colli-Montinari (Adelphi, Milano, 1964 sgg.; d’ora in poi Opere seguito da volume, tomo e pagina o identificativo del frammento).48 UBDS § 8, Opere III/ 1, p. 214. Cfr. Opere III/ 3, 2, 28[1]. A nostra conoscenza, la prima menzione di Pascal nell’opera nietzscheana appare in Opere III/ 2, p. 369 (§2).49 EH, Perché sono così accorto § 3, Opere VI/ 3, p. 293. Il medesimo giudizio si ritrova in una lettera coeva a Brandes (20 novembre 1888) dove si legge: «Pascal, che quasi amo, poiché mi ha insegnato un’infinità di cose: l’unico cristiano logico...».

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stilistiche ad accomunare i due pensatori. Come lui malato e capace di alimentare il proprio pensiero con la malattia, come lui dedito alla forma aforistica, l’unica adatta ai «libri più profondi e inesauribili»50: Pascal rappresentava per Nietzsche una sorta di alter ego. Ma ben più dei dati esteriori fu la profondità della sua filosofia a fare di Pascal un “compagno di viaggio” dal quale Nietzsche volle «farsi dare ragione e torto» e sul quale si sforzò di «tenere gli occhi fissi»51. All’autore delle Pensées Nietzsche riconobbe in effetti la qualità più alta: la forza d’animo [Stärke]52 e per questo istituì con lui un ininterrotto «confronto»53. Che ciò non implicasse alcuna dipendenza è ben chiaro a chi conosca la biografia nietzscheana. L’amicizia che legò Nietzsche ai suoi maestri – reali e ideali – fu sempre un sentimento radicale dove la massima stima si affiancava alla più spregiudicata sincerità critica. Nel caso di Pascal (e di Schopenhauer), è Nietzsche stesso a descriverne la natura in un frammento postumo di stupefacente lucidità: «Io ho su di me il disprezzo di Pascal e la maledizione di Schopenhauer! Ed è possibile sentirsi più attaccati a loro di me? Certamente, con quell’attaccamento di un amico [Anhänglichkeit eines Freundes] che rimane sincero per rimanere amico, e non diventare amante e

50 Opere VII/ 3, 35[31]: «I libri più profondi e inesauribili avranno certo sempre qualcosa del carattere aforistico e repentino dei Pensieri di Pascal». Nel seguito del passo sopra citato (pp. 36-67), anche Overbeck riflette sulle affinità stilistiche tra Nietzsche e Pascal, giungendo a concludere che «questo è proprio un punto in cui le differenze profonde che li contraddistinguono, si manifestano in modo chiarissimo, a dispetto delle affinità». Un altro carattere stilistico in comune è il ricorso ai dialoghi per svolgere delle argomentazioni. 51 M 408, Opere V/ 1, p. 52 Cfr. Opere V/ 1, 7[174]: «La vostra anima non è forte abbastanza, per portare in alto anche tante minuzie della conoscenza, tante cose meschine e basse! Così siete costretti a mentire sulle cose con voi stessi, per non perdere il senso della vostra grandezza! Diversamente Pascal e io». Per questo testo e quello citato alla nota 9 cfr. M. BRUSOTTI, Die Leidenschaft der Erkenntnis, de Gruyter, Berlin, 1997: l’analisi dettagliata e profonda che Brusotti dedica a questi testi ci esime dal ritornare su di essi nel prosieguo del nostro lavoro (peraltro si tratta di pagine che parlano piuttosto di Nietzsche e dell’evoluzione del suo pensiero che di Pascal).53 Opere V/ 1, 7[262]: «Vergleich mit Pascal».

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zimbello!»54. É questa «Anhänglichkeit eines Freundes» che ha permesso a Nietzsche di attaccare e al contempo riconoscere la grandezza Pascal. Per «rimanere amico» di Pascal dovette anche «rimanere sincero», cioè distruggere, il «Pascalismus».

Nella pagine che seguono cercheremo di ricostruire i termini di questo confronto di Nietzsche con l’autore delle Pensées55. Proprio in virtù della «sincerità» di cui sopra, l’analisi dell’interpretazione nietzscheana di Pascal sarà preceduta da alcune osservazioni più circoscritte su Nietzsche lettore delle Pensées (§§ 1; 2). Solo su questo fondo, crediamo, sarà possibile valutare a pieno come Nietzsche faccia propri la figura (§ 3) e il pensiero (§ 4) di Pascal.

1. GLI ANTECEDENTI

I primi approcci di Nietzsche a Pascal sono probabilmente da imputare alla mediazione di alcune letture. In effetti, sia la Storia del materialismo di Lange che il Mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, i due testi-guida per Nietzsche negli anni di formazione, citano Pascal. In particolare, Lange ne discute in più punti il pensiero, concentrandosi soprattutto su questioni di ordine epistemologico. Pascal viene presentato

54 Opere V/ 1, 7[191].55 Più di un interprete si è soffermato sulla questione: cfr. C. ANDLER, Nietzsche, sa vie et sa pensée, Gallimard, Paris 19582; Vol. 1, pp. 118-130; J. R. DIONNE, Pascal et Nietzsche, Burt Franklin, New-York, 1974 (alle pagine pp. 1-5 si trova anche una discussione della bibliografia precedente); B. DONNELLAN, Nietzsche and the French Moralists, Herbert Grundmann, Bonn, 1982, pp. 38-64; L. CATALDI MADONNA, Nietzsche e Pascal, «Il cannocchiale», 1982, pp. 52-66; E. VOEGELIN, Nietzsche and Pascal, «Nietzsche-Studien», 25, 1996, pp. 126-171 (si tratta della prima stesura del 1944 di un saggio poi non concluso da Voegelin); J. PAULHEN, Trois rédemptions du moi. Pascal, Nietzsche, Proust, Ousia, Bruxelles, 1997; C. PIAZZESI, Nietzsche lettore di Pascal. Il contributo di Ferdinand Brunetière in La trama del testo. Su alcune letture di Nietzsche, a cura di M. C, Fornari, Milella, Lecce, 2000, pp. 169-221.

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come uno scettico che «ha subito l’influenza di Montaigne»56. Nel caso di Schopenhauer la citazioni sono meno numerose (due soltanto nel Mondo e poche altre nei Parerga) e hanno per tema piuttosto la figura di Pascal che il suo pensiero. È il caso in particolare del § 66 del Mondo dove Schopenhauer tratta della giustizia, primo passo dell’ascesi e della negazione della volontà:

In codesta giustizia, quando la si guardi nel suo intimo, già si trova il proposito di non andar nell’affermazione della volontà propria tant’oltre, ch’essa neghi gli estranei fenomeni di volontà, obbligandoli a servirci. Si vorrà dunque agli altri tanto concedere, quanto da loro si riceve. Il grado supremo di tale giustizia dell’animo, che sempre nondimeno già s’accoppia con la bontà vera e propria, il cui carattere non è più soltanto negativo, arriva fino a porre in dubbio i propri diritti sul patrimonio ereditato, a voler mantenere il corpo sol mediante le forze proprie, intellettuali o corporali, ad accogliere ogni altrui prestazione di servigi, ogni lusso come un rimprovero, e ad abbracciare da ultimo la volontaria povertà. Così vediamo Pascal, quando prese l’indirizzo ascetico [die asketische Richtung], non poter più sopportare d’essere servito, sebbene avesse servi a sufficienza; non badando alla permanente cagionevolezza della sua salute, si rifaceva da sé il letto, toglieva egli stesso il suo cibo dalla cucina, e così via (Vie de Pascal par sa soeur, p. 19)57.

Pascal è il “tipo” ideale dell’ascetismo cristiano, un modello da accostare agli hindù o, come farà nei Supplementi (§ 48), a «Meister Eckhard, Tauler, Mme de Guion, Antoinette Bourignon e Molinos». In breve è la biografia di Pascal a interessare Schopenhauer, l’esemplarità della sua vocazione cristiana come la più perfetta tra i «praktische Belege und Beispiele des tiefen Ernstes der Askese»58. Singolarmente, Lange e Schopenhauer si trovano così ad indicare già i temi sui quali si concentrerà Nietzsche nelle sue letture pascaliane. Il rapporto Pascal-ideale ascetico sarà infatti al centro di tutta la riflessione nietzscheana sulle Pensées, in

56 F. A. LANGE, Geschichte des Materialismus un Kritik seiner Bedeutung in der Gegenwart, Iserlohn, 1866 Per una presentazione del rapporto Nietzsche-Lange cfr. J. SALAQUARDA, Nietzsche e Lange in La “biblioteca ideale” di Nietzsche, a cura di G. Campioni e A. Venturelli. Guida, Napoli, 1992, pp. 19-43.57 A. SCHOPENHAUER, Il Mondo come volontà e rappresentazione, tr. it. di P. Savj-Lopez e G. De Lorenzo, Laterza, Roma-Bari, 200411, p. 401. 58 Supplementa, p.

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particolare dagli anni ottanta in poi. Mentre il problema dello scetticismo si ripresenterà, pur con significati mutevoli, fin nei frammenti più tardi dove Nietzsche si interroga, ad esempio, sulla natura della «scepsi moralistica» di Pascal mettendola in sequenza con «lo scetticismo gnoseologico degli Inglesi» e dei «neoaccademici»59.

Ma oltre che da Lange e Schopenhauer, l’interesse di Nietzsche per Pascal poté forse essere stimolato anche da una figura ben più vicina, ovvero il già ricordato Franz Overbeck. Coinquilino di Nietzsche a Basilea, Overbeck diede alle stampe, in contemporanea alla prima Inattuale, il pamphlet Über die Christlichkeit unserer heutingen Theologie60. Il testo era ben presente a Nietzsche che ne patrocinò l’edizione presso Wagner, ed anzi Overbeck stesso giunse a definirlo addirittura «mitgeschrieben» da Nietzsche. Ora, all’inizio del cap. II dello scritto, nel trattare della «teologia apologetica dei nostri tempi», l’autore s’impegna a discutere il valore delle prove storiche della religione. E per farlo paragona «l’apologetica odierna» e il progetto pascaliano delle Pensées61. Gli «ottusi» apologeti contemporanei che considerano la prova storica la più efficace dovrebbero riflettere, osserva Overbeck, sul «procedere di Pascal» in proposito, «meno ingenuo, ma appunto perché meditato, più istruttivo». «Il più grande apologeta del Cristianesimo», infatti,

rinuncia del tutto alle cosiddette prove metafisiche del Cristianesimo, ma non a quelle storiche, e anche il suo acume non riesce a renderle migliori di quello che sono. Ma egli assegna loro solo l’ultimo posto, egli sa che si tratta in primo luogo di suscitare una ben determinata disposizione dell’animo prima di attendersi un risultato dalle vere e proprie “prove” del Cristianesimo, e dice egli stesso che si deve desiderare che questa religione sia vera

59 Opere VIII/ 2, 9[3], autunno 1887.60 Streit und Friedensschrift, Leipzig, 1873. Una traduzione italiana della seconda versione (1903) è stata curata da A. PELLEGRINO per le edizioni ETS (Pisa, 2000), corredata da ampia introduzione, note e bibliografia.61 Le citazioni che seguono vengono tutte dalle pp. 42-44 dell’edizione italiana citata.

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Con grande acume critico, Overbeck segnala il carattere strettamente “strumentale” delle prove storiche nelle Pensées. Diversamente dagli apologisti ottocenteschi che «si figurano che i loro lavori “siano derivati dalle Pensées”», Pascal non parte dai sillogismi ma da «una visione della vita cupamente ascetica». Nelle Pensées si legge infatti che soltanto tramite «les humiliations» l’anima si apre alla fede che unicamente Dio può dare, «cette foi que Dieu lui-même met dans le coeur, dont la preuve est souvent l’instrument» (L. 7). Dove Overbeck parla della prova storica come la prova «più vuota che si possa dare» e che «del tutto conformemente alla sua natura, non ha alcun effetto su chi non sia già disposto a credere in essa», Pascal di par suo affermava: «on ne croira jamais, d’une créance utile et de foi si Dieu n’incline le coeur et on croira dès qu’il l’inclinera» (L. 380, corsivo nostro). Agli occhi di Overbeck, Pascal si ricongiunge così alle radici profonde del Cristianesimo, radicalmente «antiscientifico» fin dalla sua fondazione, come dimostrano i Vangeli nel porre «accanto alla figura di Cristo presentata dai sinottici quella giovannea». I tentativi odierni di rintuzzare scientificamente le prove storiche dimostrano invece di ignorare «la debolezza della dimostrazione storica per una religione». Debolezza della quale Pascal era già ben più che cosciente: «Cette religion si grande en miracles, saints purs, irréprochables, savants et grands témoins, martyrs, rois – David – établis; Isaïe prince du sang; si grande en science, après avoir étalé tous ses miracles et toute sa sagesse, elle réprouve tout cela et dit qu’elle n’a ni sagesse, ni signe, mais la croix et la folie» (L. 291). Conseguentemente, conclude Overbeck, Pascal «cerca soprattutto di incutere sgomento tramite il pensiero della morte come porta per l’eternità oscura, e del limitato intelletto umano, che svolazza sbalordito tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo»62. Ma per far ciò «si deve 62 Tenendo conto di queste pagine e della vicinanza con Overbeck durante la redazione di Über die Christlichkeit… va forse ridimensionata l’ipotesi che Nietzsche sia giunto a una reale comprensione della logica dell’apologetica pascaliana soltanto dopo la lettura di Brunetière nel 1887 (PIAZZESI, Nietzsche

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avere una concezione del mondo e della vita ben diversa da quella dei nostri apologeti». Ed anche possedere qualità intellettuali che sicuramente «il professor Luthardt di Lipsia» non può vantare.

Di questa limitatezza [dell’intelletto umano] può parlare un Pascal, il quale sostiene allo stesso tempo che pensare correttamente è il fondamento della morale, e non scrittori che da ogni punto di vista peccano contro la morale così concepita, e fanno nascere il sospetto che nel richiamo alla limitatezza umana a loro non interessi nient’altro che se non di difenderla perché è la caratteristica peculiare dei loro argomenti; Pascal ne può parlare, Pascal che sa trovare la bella espressione: «essere sconvolto dalla ragione (être ébranlé par la raison)» e non scrittori che continuano a domandarsi se sia universalmente vero, come Pascal sostiene, che tale sconvolgimento solitamente sopraggiunga nel ventesimo anno d’età.

In breve, per Overbeck il modello pascaliano finisce per esasperare i limiti di quei progetti apologetici che proprio a Pascal pretendevano di rifarsi. Nemmeno Pascal, con la sua fede e la sua intelligenza, riuscì a dare dignità alla prova storica: cosa potrà mai «l’ottusità dell’apologetica odierna»?

Se ci siamo dilungati sulle pagine dello «scrittarello del 1873» è perché, più che nel caso di Lange e Schopenhauer, Nietzsche farà ampiamente tesoro di queste considerazioni per il suo confronto con Pascal. In particolare la lettura e la discussione diretta con Overbeck sembra avergli offerto l’occasione per approfondire una questione che diverrà centrale all’epoca di Aurora: ovvero quella della natura dell’apologetica pascaliana. Sottolineando la priorità della «disposizione dell’animo» sulla prova, Overbeck poneva la questione della possibilità stessa della prova. I «mezzi» di grandiosa «potenza» che Pascal fornisce alla ragione conducono ad una dimostrazione della fede o non piuttosto ad uno «sconvolgimento» della ragione da parte della ragione medesima? Nietzsche farà interamente suo questo interrogativo e ne proporrà, come vedremo, una soluzione radicale.

lettore di Pascal…, cit.).

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2. NIETZSCHE LETTORE DELLE PENSÉES

Nel corso del suo “apprendistato filosofico” Nietzsche poté dunque formarsi una precisa seppur sommaria immagine di Pascal. Ma è soltanto a partire dagli anni settanta che la lettura diretta delle Pensées63 si affianca alle conoscenze generiche, consentendogli finalmente di impostare un vero e proprio confronto filosofico con l’autore francese. Le opere pubblicate e i frammenti postumi cominciano così a popolarsi di note di lettura e considerazioni sviluppate a margine dell’opera di Pascal. Nella maggioranza dei casi si tratta di ragionamenti in cui Pascal appare come un elemento di conferma. Le citazioni dalle Pensées vengono cioè introdotte come esemplificazioni di tesi da provare o rigettare ma non analizzate in se stesse. Talvolta però Nietzsche sembra impegnarsi in una vera e propria “lettura” del testo pascaliano. Si tratta di un numero più ristretto di casi, ma che mostrano molto bene con quanta attenzione e serietà Nietzsche si concentri anche su singoli “pensieri”. Ne proponiamo due esempi che danno la misura di quanto Nietzsche interprete di Pascal sia debitore di Nietzsche lettore delle Pensées. a) Uno dei temi ad aver attirato più precocemente l’attenzione di Nietzsche è quello del divertissement. Ne da testimonianza

63 Nietzsche possedeva una edizione tedesca delle Pensées condotta sulla base dell’edizione Faugère del 1844 (Gedanken, Fragmente und Briefe. Aus dem Französischen nach der mit vielen unedirten Abschnitten vermehrten Ausgabe P. Faugère’s. Deutsch von Dr. C. F. Schwartz. Zweite Auflage. In zwei Theilen, O. Wigand, Leipzig, 1865 (d’ora in poi FAU, seguito dal volume e la pagina). Per le annotazioni all’esemplare nietzscheano cfr. G. Campioni, P. D’Iorio, M. C. Fornari, F. Fronterotta, A. Orsucci unter Mitarbeit von R. Müller-Buck, Nietzsches persönliche Bibliothek (BN), Walter de Gruyter, Berlin - New York, 2002, pp. 442-443). La presenza dell’indicazione manoscritta «mal tradotto» in margine a p. 81 di quest’esemplare (nota di Colli in Opere V/ 1, p. 641) ha fatto ipotizzare che Nietzsche consultasse anche una edizione originale – probabilmente Havet (1852), dalla quale d’ora in avanti citeremo (per ragioni di comodità, i testi saranno comunque identificati dalla consueta numerazione Lafuma).

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un frammento postumo dell’autunno 1873, preparatorio e parallelo ad un passaggio della prima Inattuale64. Qui Nietzsche si scaglia contro il «paradosso» della scienza moderna, presa dalla frenesia dei risultati ma indifferente al senso ultimo della propria attività. «l’uomo scientifico […] si comporta come se l’esistenza non fosse una cosa terribile e preoccupante, bensì un saldo possesso, garantito per un tempo eterno». Si tratta di un atteggiamento con conseguenze della massima gravità, che Nietzsche denuncia con parole infiammate: «all’intorno fissano lo sguardo su di lui, l’erede di poche ore, i più spaventosi precipizi, ogni passo gli dovrebbe ricordare: a che scopo? verso dove? da dove? [Wozu? Wohin? Woher?] Ma la sua anima si infiamma davanti al compito di contare gli stami di un fiore». Questa alienazione nell’attivismo dei «dotti» contemporanei suscita spontaneamente in Nietzsche l’analogia con il divertissement di Pascal. Le Pensées analizzano infatti il divertissement come una alienazione volontaria dell’uomo che cerca nelle distrazioni una protezione contro i quesiti esistenziali fondamentali: «Pascal ritiene in genere che gli uomini si dedichino così assiduamente ai loro affari e alle scienze solo per sfuggire in tal modo ai problemi che ogni solitudine, ogni vero ozio imporrebbe loro, ossia quei problemi circa lo scopo, il donde e il verso dove». Il testo di riferimento nelle Pensées è il lungo frammento L. 139 (FAU II, 26):

Divertissement. On charge les hommes dès l’enfance du soin de leur honneur, de leur bien, de leurs amis, et encore du bien et de l’honneur de leurs amis, on les accable d’affaires de l’apprentissage des langues et d’exercices, et on leur fait entendre qu’ils ne sauraient être heureux, sans que leur santé, leur honneur, leur fortune, et celles de leurs amis soient en bon état, et qu’une seule chose qui manque les rendra malheureux. Ainsi on leur donne des charges et des affaires qui les font tracasser dès la pointe du jour. Voilà direz-vous une étrange manière de les rendre heureux ; que pourrait-on faire de mieux pour les rendre malheureux ? Comment, ce qu’on pourrait faire : il ne faudrait que leur ôter tous ces soucis, car alors ils se verraient, ils penseraient à ce qu’ils sont, d’où ils viennent, où ils vont, et ainsi on ne peut trop les occuper et les détourner. Et c’est pourquoi, après

64 UBDS § 8, Opere III/ 1, p. 214. Cfr. Opere III/ 3, 2, 28[1].

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leur avoir tant préparé d’affaires, s’ils ont quelque temps de relâche, on leur conseille de l’employer à se divertir, et jouer, et s’occuper toujours tout entiers.

Pascal interviene dunque a confermare, con una considerazione astratta, la denuncia di Nietzsche. Ma proprio nel modo in cui sintetizza e riprende ai propri fini il testo delle Pensées, Nietzsche rivela una profondità di lettura notevolissima. Negli altri testi in cui Pascal analizza il fenomeno del divertissement, la ragione ultima di questo «tendre au repos par l’agitation» è indicata infatti da formule generiche. Si parla di «ne savoir pas demeurer en repos dans une chambre», di «malheur naturel de notre condition faible et mortelle», di incapacità a sopportare «la vue de ses misères». In rapporto a queste motivazioni, il divertissement potrebbe essere interpretato – ed è stato interpretato – come un fenomeno meramente psicologico del quale Pascal, da buon moralista, svela il meccanismo. Ovvero: con le più svariate attività l’uomo cerca di distrarsi dai pensieri tristi e foschi. In realtà, ad una lettura più attenta, ci si rende conto che le Pensées attribuiscono al bisogno di «se divertir» un senso ben più radicale e profondo: il divertissement rappresenta infatti un carattere essenziale dell’uomo, che si deduce dalla sua stessa natura pensante, o meglio dalla negazione di tale natura. Lo si vede con chiarezza nella pensée L. 620 :

L’homme est visiblement fait pour penser. C’est toute sa dignité et tout son mérite; et tout son devoir est de penser comme il faut. Or l’ordre de la pensée est de commencer par soi, et par son auteur et sa fin. Or à quoi pense le monde ? Jamais à cela, mais à danser, à jouer du luth, à chanter, à faire des vers, à courir la bague, etc., à se battre, à se faire roi, sans penser à ce que c’est qu’être roi et qu’être homme.

La cogitatio è (cartesianamente) l’essenza dell’uomo e perciò «être homme» significa portare a perfezione tale natura (pensare secondo l’ordus cogitandi). Perciò, conclude Pascal, il divertissement è la condizione di chi non riconosce la propria destinazione essenziale: chi pensa come «le monde» rinuncia a «penser comme il faut» e dunque a essere ciò per cui è

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«visiblement fait». Senza alcun dubbio ci si sta muovendo in un campo che esorbita la mera fenomenologia morale. Ora, soltanto nel frammento ripreso da Nietzsche nell’Inattuale questo significato profondo del divertissement fa capolino: vi si legge infatti che senza «tous ces soucis» gli uomini «se verraient», cioè rifletterebbero «à ce que c’est qu’être homme», esercitando la cogitatio secondo l’ordine che prescrive di «commencer par soi, et par son auteur et sa fin» (L. 620) precisamente perché «ils penseraient à ce qu’ils sont, d’où ils viennent, où ils vont». La versione tedesca del testo («dann wurden sie sich selbst sehen, daran denken, was sie sind, woher sie kommen, wohin sie gehen») permette a Nietzsche di condensare l’analisi in una formula icastica: «die Frage nach dem Warum, Woher, Wohin». Il divertissement si rivela così ben altro che semplice fuga dai dolori e dalle malattie nella distrazione. Si tratta piuttosto di rinunciare a farsi carico della propria «condition faible et mortelle» ovvero di rinunciare a pensare la propria condizione secondo la triplice questione «Wozu? Wohin? Woher?». Nietzsche lo comprende perfettamente e parla perciò di indietreggiare di fronte ai «problemi più importanti», cioè quelli della Kultur: «Dunque rispondeteci almeno su questo punto: da dove viene, dove va e a che scopo tende la scienza [woher, wohin, wozu], se non deve condurre alla cultura?». Pur se circoscritto in una menzione breve nella Inattuale su David Strauss, il modo in cui Nietzsche riutilizza le Pensées testimonia dunque di una attenzione e di un acume critico fuori dal comune. Due testi più tardi in cui il tema del divertissement riemerge nuovamente ne forniscono una conferma ulteriore. Il primo appartiene ad Aurora ed è programmaticamente intitolato «Fuggire se stessi» («Selbstflucht»):

Quegli uomini dalle convulsioni intellettuali, che sono impazienti e aggrondati verso se stessi, come Byron o Alfred de Musset, e in tutte le loro azioni assomigliano a cavalli sfuggiti al freno, che anzi dalla loro peculiare attività ricavano solo un breve diletto e un ardore tali da far scoppiare le vene, e quindi una desolazione ed un corruccio tanto più invernali, come possono sopportare tutto questo in se stessi? Hanno sete di risolversi in un

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«fuori di sé»; se chi ha quella sete è un cristiano, la meta è risolversi in Dio; «divenire tutt’uno con Lui»; se si è Shakespeare, basta soltanto risolversi in immagini dalla vita più satura di passioni; se si è Byron, si è assetati di azioni, perché queste ci sottraggono a noi stessi ancor più di pensieri, sentimenti, opere. E così sarebbe forse l’impulso ad agire nient’altro, in definitiva, che un fuggire stessi? – ci chiederebbe Pascal. Proprio così! (M 549, Opere V/1, p. ).

Qui la struttura del divertissement viene sfruttata per riunire in una unica interpretazioni le varie forme di «calmanti» adottati dai grandi spiriti per sopportare la fatica delle loro passioni intellettuali. Le imprese, le opere e l’unio mystica aiuterebbero l’anima a sopportare le «convulsioni spirituali»: Nietzsche cerca in Pascal un concetto che permetta di descrivere l’agire come la ricerca di un «fuori di sé». Il divertissement, alienazione volontaria in soddisfazioni immaginarie, è la risposta perfetta: per sopportarsi Byron, Shakespeare, i mistici si lasciano «divertir» da qualcosa altro da se. Ora, si potrebbe forse obiettare che Nietzsche perde così la specificità dell’analisi pascaliana che sembrava tenere in pugno nella prima Inattuale: da misconoscimento delle domande essenziali il divertissement è divenuto qui pura dimenticanza di se. Ebbene, se si consulta l’originale dell’aforisma di Aurora si scopre che di questa infedeltà Nietzsche era pienamente cosciente. Vi si legge infatti: «E così sarebbe forse l’impulso ad agire nient’altro, in definitiva, che un fuggire stessi? È un’idea che Pascal avrebbe approvato: ma sarebbe una generalizzazione eccessiva»65. La deformazione del concetto di divertissement è quindi riconosciuta e imputata ad una volontà di schematizzazione – schematizzazione non giustificata dal testo delle Pensées. Nel piegare la nozione di divertissement alle sue esigenze Nietzsche, quindi, la impoverisce, ma lo fa con la cognizione di causa di chi altrove (prima Inattuale) la ha compreso in tutta la sua ricchezza. A questa medesima conclusione conduce anche un frammento coevo (fine 1880) dove si legge «Il desiderio di quiete da non

65 Citato in Opere V/1, p. 655.

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interpretare falsamente come Pascal! Così pure quello di movimento!» (Opere V/1, 7[282]). In questo caso, a differenza di quanto visto sopra, Nietzsche sembrerebbe prendere le distanze da Pascal. Più propriamente sembrerebbe negare tout court il valore dell’analisi pascaliana del divertissement: una discussione diretta del testo delle Pensées appare perciò preclusa a priori. In realtà anche qui si ha a che fare con una nota a margine che testimonia una volta di più dell’attenzione e dell’acume di Nietzsche lettore. Ciò che Nietzsche nega non è l’analisi del divertissement nella sua generalità, ma il modo in cui, in essa, Pascal interpreta («deuten») il desiderio di quiete e quello di movimento. Il riferimento è ad un passaggio ben preciso di L. 136 (FAU II, 29-30) dove si legge:

Ils croient chercher sincèrement le repos et ne cherchent en effet que l’agitation. Ils ont un instinct secret qui les porte à chercher le divertissement et l’occupation au dehors, qui vient du ressentiment de leurs misères continuelles. Et ils ont un autre instinct secret qui reste de la grandeur de notre première nature, qui leur fait connaître que le bonheur n’est en effet que dans le repos et non pas dans le tumulte. Et de ces deux instincts contraires il se forme en eux un projet confus qui se cache à leur vue dans le fond de leur âme qui les porte à tendre au repos par l’agitation et à se figurer toujours que la satisfaction qu’ils n’ont point leur arrivera si en surmontant quelques difficultés qu’ils envisagent ils peuvent s’ouvrir par là la porte au repos.

Come si vede ciò che Nietzsche non approva è la caratterizzazione dei due «instincts» rispettivamente come effetto «du ressentiment de leurs misères continuelles» e «reste de la grandeur de notre première nature», ovvero come riflessi delle condizioni peccato e grazia preadamitica. Si tratta di un procedimento del quale Nietzsche accusa regolarmente il cristianesimo, in Aurora proprio ricordando Pascal: «I cristiani interpreti del corpo» prendono qualsiasi cosa in esso come «un fenomeno morale-religioso, sollevando il problema se qui dentro ci sia Dio o il diavolo, il bene o il male, la salvezza o la dannazione»66. In ciò il caso del divertissement

66 M 86, Opere V/1, p.

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doveva risultare agli occhi di Nietzsche emblematico: le analisi di Pascal andavano pienamente sottoscritte finché si applicavano a «l’état propre de la complexion» dell’uomo, ma rifiutate non appena si affacciasse l’interpretazione in termini di “prima” e “seconda natura”. Lungi dal testimoniare un allontanamento di Nietzsche da Pascal anche questo frammento 7[282] mostra dunque quanto meticolosamente egli si concentri sul testo delle Pensées, discutendone finanche i minimi elementi67.

b) Oltre a quello del divertissement, l’altro tema pascaliano attorno al quale Nietzsche esercita e mostra la sua intelligenza di lettore è quello della “scommessa” (pari). Scelta pressoché obbligata, vista la celebrità dell’argomento quasi indissolubilmente legato alla figura di Pascal. Gli interpreti si sono concentrati soprattutto su di un frammento postumo degli anni 1885-188668. In esso Nietzsche contrappone la scommessa di Pascal, basata sulla «terribile possibilità» che esista Dio e una infinita dannazione, al «cristianesimo oppiaceo» odierno. Tale «svolta edonistica» in direzione del buddhismo sarebbe il segno che il cristiano attuale «non ha la forza né per creare, lottare, osare, voler esser soli, né per il pascalismo, questo almanaccante disprezzo di sé, per il credere all’indegnità umana, per la paura di trovarsi “forse condannati”»69. Come si è giustamente osservato, in questo testo Nietzsche non discute il pari in se stesso ma si limita ad assumerlo come espressione di una «forza» nella fede che è andata progressivamente estinguendosi nella storia del cristianesimo70. Ora, è 67 Un altro momento della pensée L. 136 (FAU II, 31) viene ricordato e discusso in Opere V/1, 7[157].68 Cfr. soprattutto le opere cit. di DIONNE, DONNELLAN ma anche G. DELEUZE, Nietzsche et la philosophie, PUF, Paris, 1962, pp. 41-43.69 Opere VIII/1, 2[144].70 HENRI BIRAULT scrive a proposito che «ce texte, en effet, ne porte pas essentiellement sur le christianisme de Pascal mais d’abord et avant tout sur le christianisme contemporain qui en est comme la dégenérescence» (Nietzsche et le pari de Pascal, «Archivio di Filosofia», 3, 1962, pp. 67-90; p. 84). Questo giustifica il fatto che Birault medesimo presenti il proprio intervento come una «“defense et illustration” de l’interpretation nietzschéenne du pari de Pascal» portata avanti «à nos risques et périls» (p. 68).

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singolare che a fronte di tanto interesse per un frammento dove il pari è menzionato solo incidentalmente, l’unico testo dove Nietzsche cita espressamente l’argomento pascaliano passi sistematicamente sotto silenzio. Si tratta dell’aforisma 116 di Umano, troppo umano:

Il cristiano ordinario. Se il Cristianesimo avesse ragione la sua dottrina del Dio vendicatore, dello stato di peccato universale, della predestinazione e del pericolo di una eterna dannazione, sarebbe un segno di debolezza di mente e di mancanza di carattere il non farsi prete, apostolo o eremita e il non lavorare con timore e tremore unicamente alla propria salvezza; sarebbe insensato perdere così di vista il vantaggio eterno per la comodità temporanea. Ammesso che in genere si creda, il cristiano ordinario è una pietosa figura, un uomo che veramente non sa contare fino a tre, e che del resto, proprio a causa della sua irresponsabilità, non meriterebbe di essere punito così duramente come il Cristianesimo gli promette.

Poiché quello che ci preme qui è soltanto mostrare la scrupolosità con cui Nietzsche legge le Pensées, ci limiteremo a indicare le fonti di quest’aforisma, senza discuterne il contenuto. L’argomento della scommessa è evidentemente richiamato dall’espressione «sarebbe insensato perdere così di vista il vantaggio eterno per la comodità temporanea». Ma che si tratti di una citazione letterale del testo del pari e non di una mera allusione lo dimostra un particolare altrimenti enigmatico. Nietzsche afferma: «il cristiano ordinario […] non sa contare fino a tre»: espressione incomprensibile se non si tiene presente il testo pascaliano dove si legge appunto:

Voyons! Puisqu’il y a pareil hasard de gain et de perte, si vous n’aviez qu’à gagner deux vies pour une, vous pourriez encore gager, mais s’il y en avait trois à gagner, il faudrait jouer […] et vous seriez imprudent, lorsque vous etes forcé à jouer, de ne pas hasarder votre vie pour en gagner trois (L. 418, FAU II, 137).

Il cristiano che non sa contare fino a tre è precisamente l’interlocutore della scommessa di Pascal, indotto a verificare la opportunità di puntare su Dio dall’esempio di «tre vite» da guadagnare contro una da perdere. Anche la caratterizzazione di chi non sa “scommettere” come «insensato»

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[«unsinnig»] e affetto da «debolezza di mente e mancanza di carattere» [Schwachsinn und Charakterlosigkeit] viene direttamente dall’originale pascaliano. Appena dopo il passaggio citato, Pascal scrive infatti: «vous agiriez de mauvais sens de refuser de jouer une vie contre trois» espressione che il traduttore tedesco aveva reso con «unvernünftig». L’aforisma di Umano si presenta dunque come una riscrittura puntuale della pensée L. 418. Anzi nella sua fedeltà Pascal, Nietzsche giunge a delle conseguenze ancora più estreme dell’originale. Dove infatti il pari si voleva soltanto una «micro-apologia» per libertini, Nietzsche ne fa una argomento che rende il martire l’unico vero fedele.

Gli esempi del divertissement e del pari hanno mostrato con chiarezza, speriamo, con quanta attenzione Nietzsche si accosti ai testi di Pascal71. A differenza ad esempio di Descartes, spesso criticato ma pochissimo discusso nell’opus nietzscheano, l’opera pascaliana rimane sempre un referente diretto e concreto. Per giungere ad «amare» Pascal, come dice in Ecce Homo, Nietzsche l’ha prima lungamente «letto». Anzi, solo la base di una rigorosa «lettura» gli ha permesso di proporne una interpretazione profonda come quella che andremo ora ad analizzare.

3. «PASCAL ALS TYPUS»

Per Nietzsche la “questione Pascal” è innanzitutto quella della definizione di un tipo. Ai suoi occhi infatti l’autore delle Pensées è meno un

71 Un altro caso analogo potrebbe essere quello del frammento 18[32] (Opere IV/2) da accostare a L. 978 (FAU II, 47ss). Altri casi di citazioni o riferimenti alle Pensées in Opere III/2: cfr. L. 803 (FAU II, 85); Opere IV/3, 36[3]: cfr. FAU I, 113; M 46, Opere V/1, p.: cfr. FAU I, 316; Opere V/1, 7[21]: cfr. L. 919 (FAU II, 242ss); Opere V/1, 7[208]: cfr. FAU I, 369-370; Opere VII/3, 34[12]: cfr. L. 552 (FAU I, 193) e forse Opere IV/2, 17[102], 18[56]: cfr. L. 978 (FAU II, 47ss). I frammenti 7[271-272] (Opere V/1) sono invece citazioni dalle Provinciali (rispettivamente XVIII e V), forse lette per via indiretta.

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individuo che l’incarnazione di un concetto. A partire dalla fine degli anni ottanta nei frammenti postumi apparirà addirittura il lemma «Pascalismus»72, a significare la completa cristallizzazione di un «caractère»73 dai tratti ben definiti accanto al Pascal storico. Ma il «typus» è tale solo in riferimento ad un archetipo. A quale archetipo Pascal offra carne e sangue non occorre chiederselo: «Per un modo di pensare (come quello cristiano) bisogna immaginare l’uomo ideale, fatto per esso – per esempio, Pascal» (Opere VII/2, 26[191]). La vita e le opere del filosofo francese testimoniano tutte le qualità che l’ideale ascetico impone all’umanità. In lui infatti il cristianesimo ha espresso le sue forze più nobili e sofisticate, facendone l’esemplare di una specie di vita del quale Lutero incarna la forma più comune e mediocre. Nello specifico, la “tipicità” cristiana di Pascal è data dalla maniera in cui in lui la valutazione morale si è impadronita di ogni istinto. Nietzsche indica questo processo col termine «idiosincrasia morale» e lo pone come uno degli interrogativi centrali per la questione del valore della morale: «com’è possibile che uno abbia rispetto di sé soltanto in riferimento ai valori morali, che subordini e tenga in poco conto ogni altra cosa in confronto a bene, male, miglioramento, salvezza dell’anima, ecc.? […] per esempio Pascal»74. Come abbiamo già ricordato in precedenza, Nietzsche identifica il fondo del cristianesimo in un errore di interpretazione. Di fronte alla forza inquietante degli istinti, il cristiano trova nei valori morali uno schema interpretativo» con cui «sopportarsi»75. Invece di affrontare il male, la morale lo interpreta. E così

qualunque cosa provenga dallo stomaco, dagli intestini, dal battito cardiaco, dai nervi, dalla bile, dallo sperma – tutti quei disturbi, quelle

72 Cfr. ad esempio Opere VII/2, 25[121] e VIII/2, 10[125]; 10[144].73 Come ricorda un frammento postumo della fine del 1880 anche La Bruyère, nella suo opera dedicata giustappunto alla descrizione dei vari Caractères, nomina Pascal: cfr. Opere V/1, 7[273]: «Il grande Condé, Richelieu, Pascal, Bossuet sono nominati da La Bruyère».74 Opere VIII/2, 10[121].75 Ibid.

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debilitazioni, quelle sovreccitazioni, l’intera casualità della macchina a noi tanto ignota – tutto questo un cristiano come Pascal deve prenderlo per un fenomeno morale-religioso, sollevando il problema se qui dentro ci sia Dio o il diavolo, il bene o il male, la salvezza o la dannazione76.

L’«idiosincrasia» di Pascal è tanto più stupefacente quanto più si ricordi la sua formazione cartesiana, una formazione che doveva avergli reso ben chiaro che il corpo dell’uomo non è che una «Maschine». La verità dell’organismo e delle sue pulsioni viene occultata senza scrupoli. La perfetta cristianità di Pascal sta proprio nel prendere alla lettera il dettato paolino: «Io non vivo, ma Cristo in me (Gal. II, 20). Dove in realtà, osserva Nietzsche, «dire “è Dio che fa ciò dentro di noi” [Philip. II, 13] come Pascal, non è annullare l’uomo e mettere Dio al suo posto: bensì la grazia che egli invoca è il massimo sforzo della natura umana. Egli chiama Dio ciò che di esaltato e di più puro sente in sé»77. In questo senso, un particolare della biografia del filosofo francese appare a Nietzsche il marchio perfetto del «Typus»: la sua malattia. Nella Prière pour le bon usage des maladies Pascal teorizza infatti il valore della propria malattia come stato di perfetta conformazione al Cristo e perciò come la condizione più augurabile per il fedele: «Faites-moi bien connaître, que les maux du corps ne sont autre chose que la figure et la punition tout ensemble des max de l’âme». Contro questa ennesimo errore di interpretazione, Nietzsche non può trattenersi dal denunciare «l’ignoranza in physiologis» dei cristiani:

Il dispregiare e il preconcetto non voler vedere le esigenze del corpo, la scoperta del corpo; il presupposto che tutto sia in tal modo conforme alla superiore misura dell’uomo, – che torni necessariamente a vantaggio dell’anima; la riduzione sistematica di tutti i sentimenti complessivi del corpo ai valori morali; la malattia stessa pensata come determinata dalla morale, magari come punizione, o come prova o anche come stato di salvezza, in cui l’uomo diviene più perfetto di quanto potrebbe essere nella salute (l’idea di Pascal)78.76 M 86, Opere V/1, p.77 Opere V/1, 7[271]78 Opere VIII/3, 15[89]; il riferimento alla Prière ci sembra più pertinente che quello suggerito dal curatore alla pensée L. 638.

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Come si sa, Nietzsche considera il cristianesimo un’espressione della décadence, come una creazione di una «vita degenerante» che per legittimarsi fa della propria malattia un valore. Ora, Pascal assume questa verità in tutto il suo rigore. E fa del malato non soltanto un uomo come gli altri, identico all’individuo sano e forte, ma addirittura qualcosa che ha «più valore» del sano79. «L’idiosincrasia morale» ha radici tanto profonde in lui da negare addirittura «l’andamento naturale dello sviluppo […] i valori naturali», l’amore per la propria sopravvivenza. E vedremo più avanti quale effetto ciò produrrà su un altro istinto fondamentale quale quello della verità.

Pascal è dunque «il cristiano europeo», colui che da corpo e parola all’ideale ascetico impersonandolo e sviluppandone con rigore finanche le conseguenze ultime. Ma proprio la sua perfezione di «Typus» condanna Pascal ad un ruolo storico definitivo. Proprio perché incarna alla perfezione il cristianesimo, il filosofo francese ne condivide cioè in tutto e per tutto il destino. Un destino che agli occhi di Nietzsche è quello di una imminente scomparsa, come sancisce l’annuncio della morte di Dio. Vedremo più avanti cosa ciò significhi in dettaglio. Per ora ci preme soltanto sottolineare come Nietzsche riconosca in Pascal non soltanto il cristiano perfetto ma anche la perfezione del cristianesimo, ovvero il suo compimento e la sua necessaria fine. A differenza dei Gesuiti, capaci di adattare alle esigenze della sopravvivenza il rigore dei dogmi, Pascal si conduce con tale rigore nella fede da mostrarne al contempo tutte le potenzialità, ma anche tutti i limiti. Per Nietzsche, in effetti, è la storia stessa della cristianità a conoscere nel XVII secolo un tornante essenziale: solo nella Francia dell’Ancien Regime, scrive infatti in Aurora, «il cristianesimo ha raggiunto i suoi tipi più perfetti»80, lì «i più difficili ideali cristiani si sono trasformati in esseri umani e non sono restati soltanto idea, disposizione iniziale, mediocrità». Gli

79 Opere VIII/3, 14[5]; 15[110].80 Opere V/1, 5[37].

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esempi sono Fénelon, «la perfetta e affascinante espressione della cultura ecclesiastica in tutta la sua forza», Rancé, «colui che ha dato all’ideale ascetico del cristianesimo la sua estrema severità», Madame de Guyon, Francesco di Sales81. Ma soprattutto Pascal, «il primo di tutti i cristiani nell’aver fatto del suo ardore, della sua intelligenza e onestà una cosa sola» (corsivo nostro). La «Vorstellung» disegnata da Paolo si compie quindi in suolo francese dopo un millennio e mezzo di tentativi. Ma proprio per questo «le pagine del Pascal giudeo rendono manifesta l’origine del cristianesimo, nella stessa misura in cui le pagine del Pascal francese mettono a nudo il suo destino e ciò che lo farà perire»82. Compiuto il «typus» il “dopo” è sempre sinonimo di decadenza. Anzi, nel caso del cristianesimo, come vedremo, proprio il compimento dell’ideale impone la distruzione dell’ideale medesimo. Nietzsche lo ribadisce più volte, in formule difficili da sottostimare: «il colloquio di Pascal con Gesù83 è più bello di qualsiasi cosa del Nuovo Testamento! […] Da allora, non si è più continuato a poetare di questo Gesù, perciò dopo Port-Royal il cristianesimo è in decadenza ovunque»84. La conoscenza che Pascal mostra della sua fede è «senile», si leggerà altrove ancora in Aurora: in lei si percepisce la saggezza malinconica di un destino compiuto. In breve, e con una formula a dir poco stupefacente: «Da Pascal in poi non è accaduto niente»85.

Per Nietzsche il «problema Pascal» è dunque quello della possibilità dell’esistenza cristiana. Ovvero: come può l’interpretazione morale della natura, diventare natura stessa? Una risposta non si può cercare tra i fedeli odierni, ormai insensibili alla «follia della croce». Ma, come osservava Overbeck, Pascal era in grado di «usare mezzi di una tale potenza» da risultare insostenibili alle «forze» dei cristiani del nostro tempo. Dotato delle

81 M 192, Opere V/1, p. 82 M 68, Opere V/1, p. 83 Nietzsche fa riferimento alla pensée L. 919 (FAU II, pp. 242-244).84 Opere V/1, 7[29]. 85 Opere VII/3, 44[2].

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più alte qualità intellettuali e spirituali, egli poté vivere l’ideale ascetico senza doverlo adattare alla misura della mediocrità. La lettura attenta delle Pensées che abbiamo sopra messo in luce, offriva a Nietzsche tutte le testimonianze necessarie in merito. Nietzsche riuscì così a trovare in Pascal un «portrait abregé» del cristianesimo che gli consentì di sezionarne i differenti caratteri nella carne viva. E così facendo finì col riconoscere in lui, come in stesso, «un destino». La perfezione con cui il filosofo francese assunse la propria fede trasformò la sua vicenda in un apologo della intera storia del cristianesimo. In lui la cristianità mostrava la sua essenza e il suo destino. «Pascal als Typus»86 dell’ideale ascetico e della morale cristiana è dunque «l’avversario perfetto» del progetto nietzscheano: porre in dubbio il valore di quell’ideale implicherà necessariamente instaurare un «Vergleich mit Pascal». Come concretamente Nietzsche conduca questo «confronto» lo mostreremo nelle pagine che seguono.

4. ODIO DI SE E PASSIONE PER LA VERITÀ

Più volte Nietzsche conforta il proprio giudizio sul valore della morale cristiana con la forza di due auctoritates. Si tratta di due testimoni diretti ed obiettivi del cristianesimo in fasce: Pilato e Tacito. La loro valutazione è affidata a una coppia di sententiae delle quali Nietzsche apprezza la stringata profondità: «igitur primum correpti qui fatebantur, deinde indicio eorum multitudo ingens haud proinde in crimine incendii quam odio humani generis convicti sunt» (Annales, XV, 44) e «Quid est veritas» (Joh. XVIII, 37-38). A proposito della prima, Nietzsche si limiterà a chiosare entusiasticamente: «È vero!»87. La seconda invece la considererà «l’unica

86 Opere VIII/3, 14[6].87 Opere V/1, 6[300].

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parola» del Nuovo Testamento «che abbia un valore»88. Entrambe costituiranno qualcosa come dei “segnavia” nella critica dell’ideale ascetico. Non sarà quindi inopportuno assumerle come punti di riferimento anche nella nostra ricostruzione del nitzscheano «Vergleich mit Pascal».

a) In effetti, la citazione di Tacito appare esplicitamente accoppiata al nome di Pascal in un aforisma di Aurora. Si tratta del numero 63 intitolato Odio del prossimo:

Posto che noi sentiamo l’altro così come egli sente se stesso, – cosa, questa che Schopenahauer chiama compassione e che più giustamente si dovrebbe chiamare unipassione, dolore all’unisono, – noi dovremmo odiarlo se lui, come Pascal, trova se stesso odioso. E fu ben questo, in complesso, il sentimento di Pascal verso gli uomini, e similmente quello dell’antico cristianesimo, che, come riporta Tacito, veniva «convinto», sotto Nerone, di odium generis humani89.

La questione che Nietzsche pone come un paradosso per il cristianesimo era risultata tale per i cristiani medesimi. Già Agostino aveva dedicato uno dei suoi Sermones (368) alla difficoltà di coniugare due passaggi evangelici: In questo caso Pascal, come esemplare perfetto del cristianesimo, viene a confermare il paradosso nietzscheano. Nella pensée richiamata da quest’aforisma di Aurora si legge infatti che «le moi est haïssable», anzi che esso è «toujours haïssable»90 in quanto essenzialmente tarato dall’ingiustizia del peccato originale. A partire da Pascal, Nietzsche si limita a dedurre sillogisticamente, avendo come premessa minore il precetto evangelico («ama il prossimo tuo come te stesso»). Il risultato è la sententia tacitiana che, così dedotta al contempo dalle parole di Cristo e del più perfetto dei cristiani, conferma la sua profonda verità. La volontà di Nietzsche in questa reductio ad absurdum è ovviamente quella di denunciare il carattere eminentemente decadente del cristianesimo: i valori altruistici di cui si ammanta l’ideale ascetico hanno la loro radice in una

88 AC § 46, Opere VI/3 p. 229). 89 M 63, Opere V/1, p. ).90 L. 597 (FAU I, 190).

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tendenza negatrice della vita: «per ritenere che l’umanità meritasse un sacrificio da parte di un dio, bisognava disprezzarla profondamente e degradarla ai propri occhi»91. Ma, al di sotto della denuncia si percepisce anche lo stupore di un interrogativo: ovvero, com’è possibile sopportare un ideale del genere? In effetti, come scriverà altrove negli stessi anni, «se il cristianesimo, concepito in tutta la sua forza dominasse, […] in breve tempo provocherebbe la fine del genere umano». Ed anzi, «certi padri della Chiesa ammettono questa coerenza: non vi vedono né un rimprovero né un’obiezione»92. L’esistenza del cristiano si pone cioè come un paradosso vivente: l’odio di se e dell’uomo in generale non ammette, a chi lo assuma con coerenza, di sopravvivere alla propria fede. Ora, Pascal vuole insieme la coerenza e il cristianesimo93 e per questo Nietzsche ne fa una sorta di esperimento su cui studiare la “sostenibilità” dell’ideale cristiano. La questione diventa allora: come poté Pascal essere cristiano e amare se stesso?

Questo problema, seppur diversamente formulato, era stato uno dei primi a farsi avanti nella riflessione nietzscheana sul cristianesimo. Se ne trova traccia, infatti, già in un lungo frammento postumo dell’estate 1875. Si tratta di una serie di note che Nietzsche stese a margine de Il valore della vita di E. Dühring94. Si tratta per lo più di un riassunto del testo originale, ma in conclusione Nietzsche aggiunge alcune pagine intitolate «mie considerazioni finali» dove, scrive, «esporrò finalmente il mio vangelo». Il termine evoca chiaramente il problema del cristianesimo e ancor di più l’argomento, ovvero proprio quello dell’impossibile amore di se:

91 Opere V/1, 6[143], dove anche è citata la sententia di Tacito.92 Opere V/1, 3[105].93 Ricordiamo la definizione della lettera a Brandes del 1888: «Pascal, l’unico cristiano logico».94 EUGEN DÜHRING, Der Werth des Lebens. Eine philosophische Betrachtung von Dr. E. Dühring, Docent der Philosophie und Nationalökonomie an derBerliner Universität, E. Trewendt, Breslau, 1865 (Cfr. Nietzsches persönliche Bibliothek, cit., p. 203).

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Non si ama ciò che si onora: questo è noto. E amerebbe nel modo più puro colui che fosse costretto non già ad onorare la cosa amata, bensì a disprezzarla. Il disprezzo riguarda il cervello. Se qualcuno fosse in grado di amare in modo perfettamente puro se stesso – ossia con un amore di sé completamente purificato – costui dovrebbe al tempo stesso disprezzare se stesso. Ama te stesso e nessuno al di fuori di te perché puoi conoscere soltanto te; ama gli altri, se sei in grado di farlo, cioè se sei in condizione di conoscerli completamente, e di disprezzarli come disprezzi te stesso. Questa è la posizione di Cristo di fronte al mondo. Si tratta dell’amore di sé per commiserazione: qui sta il nocciolo del cristianesimo, a prescindere da ogni involucro e da ogni mitologia95.

Partendo da un assioma (amare ed onorare sono inconciliabili) Nietzsche deduce l’essenza dell’amore di se cristiano: «l’amore del cristiano si fonda sul disprezzo»96 ed è perciò un amore «per commiserazione». Il problema posto dall’aforisma di Aurora, veniva qui risolto da Nietzsche con una sorta di ribaltamento dei termini: in Aurora l’odio verso l’uomo in quanto peccatore rendeva incomprensibile l’amore. Qui invece è proprio il disprezzo verso se medesimi e gli altri a costituire la condizione essenziale di un amore che si voglia veramente tale. Si ama perfettamente soltanto ciò che si disprezza e, per questo, soltanto il cristiano può perfettamente amare visto che in lui il dogma del peccato ha reso disprezzabile l’umanità intera. Il paradosso incarnato da Pascal si scioglie dunque grazie ad una analisi psicologica più profonda: e il factum dell’inconciliabilità di amore e venerazione, che Nietzsche da per assodato, a spiegare l’esistenza cristiana; meglio a rendere la religione dell’«odium generis humani» anche la religione dell’agaph. Ora, quel che è singolare è che Nietzsche ricorre, in questo frammento postumo, proprio a testi pascaliani per risolvere il paradosso da Pascal stesso impersonato. Una lunga pensée, opportunamente titolata «Eigenliebe»97 nella traduzione tedesca, sviluppa in effetti un ragionamento analogo a quello nietzscheano:95 Opere IV/1, 9[1], specificamente pp. 232-235.96 Opere IV/1, 5[166].97 L. 978 (FAU II, 47-51; la copia appartenuta a Nietzsche presenta più di un segno di lettura in corrispondenza di queste pagine).

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La nature de l’amour-propre et de ce moi humain est de n’aimer que soi et de ne considérer que soi. Mais que fera-t-il ? Il ne saurait empêcher que cet objet qu’il aime [Gegenstand der Liebe] ne soit plein de défauts et de misère; il veut [er will] être grand, et il se voit [steht sich] petit; il veut être heureux, et il se voit misérable; il veut être parfait, et il se voit plein d’imperfections; il veut être l’objet de l’amour et de l’estime [Gegenstand der Liebe und Achtung] des hommes, et il voit que ses défauts ne méritent que leur aversion et leur mépris. Cet embarras où il se trouve produit en lui la plus injuste et la plus criminelle passion qu’il soit possible de s’imaginer; car il conçoit une haine mortelle contre cette vérité qui le reprend, et qui le convainc de ses défauts.

Pascal oppone «amour» e «consideration», «vouloir» e «voir», «objet de l’amour» e «objet de l’estime» così come Nietzsche dichiarava inconciliabili «amore» e «onore». L’assonanza nell’impostazione e nella scelta dei termini appare notevole. E diventa ancora più marcata se si osserva un altro frammento postumo vergato un anno più tardi (settembre 76) dove Nietzsche ricopia con piccole variazioni le proprie note finali a Dühring. Qui infatti si legge che «la cosa più difficile e rara sarebbe l’unione dell’amore massimo e del più basso grado di stima [Achtung, come nel testo di Pascal]; dunque il disprezzo come giudizio della testa [Urtheil des Kopfes] e l’amore come impulso del cuore [Trieb des Herzens]»98. Dove chiaramente viene evocata la celeberrima pensée su «le coeur» che «a ses raisons, que la raison ne connaît point», alla fine della quale, per l’appunto, Pascal domanda al proprio interlocutore: «est-ce par raison» ovvero per «un giudizio della testa» «que vous vous aimez?»99. Nietzsche rende dunque comprensibile il paradosso che Pascal è, utilizzando proprio ciò che Pascal dice. Pascal poté essere cristiano e amare se stesso perché onore e amore non solo non sono conciliabili ma non devono essere conciliati. Nietzsche usa quindi le Pensées come palinsesto per costruire la sua spiegazione psicologica; cosicché l’«ambiguità»100 con cui il cristianesimo fa dell’amore il 98 Opere IV/2, 18[34].99 L. 423 (FAU II, 142).100 Cfr. Opere IV/1, 5[166] e VM 95, Opere IV/ 3, p. 38. La critica nietzscheana dell’, meglio dell’amore in Cristo e in Paolo, necessiterebbe di una trattazione

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proprio vessillo appare con ancor maggior chiarezza. Il frammento su Dühring si conclude infatti con queste considerazioni: «Che nonostante ciò l’uomo ami ancora se stesso, può sembrare una grazia miracolosa. Questo non è l’amore dell’egoismo avido e cieco. Per solito, un siffatto amore purificato ed incomprensibile viene attribuito ad un dio. Siamo noi stessi, tuttavia, che siamo capaci di un siffatto amore». Incapace di comprendere che si ama per pietà, il cristiano trova una giustificazione all’amor di se interpretandolo. Esso è l’effetto di una grazia, di un intervento esterno. L’odio di se è l’unico sentimento legittimo quando ci si considera e ci si riconosce peccatori: perciò conclude Pascal, la nostra dignitas, ciò che ci rende degni d’amore e spiega l’amore che proviamo per noi stessi, è soltanto la «capacité de la grâce» (L. 354). Altrove Nietzsche svilupperà il ragionamento ancora più esplicitamente domandandosi a chiare lettere: «come è possibile che uno si disprezzi in tutto e per tutto (sappia di essere radicalmente «peccatore») eppure ami se stesso?»

La spiegazione scientifica è del tutto diversa da quella che si dà l’uomo religioso. Egli attribuisce quell’amore a Dio: […] l’amore, con il quale egli in fondo ama se stesso, riceve l’apparenza di un amore divino. Esso non è meritato, ragiona ancora l’uomo, è grazia101.

Ancora una volta «l’essenza del cristianesimo» si rivela una «interpretazione fantastica dei motivi». Una falsa psicologia, meglio, una ignoranza psicologica dei moventi finanche di Cristo stesso, fanno sì che il cristiano attribuisca ad una agente esterno – la grazia divina – quella che in verità è «una grazia resa a se stesso, redenzione di sé»102. Nietzsche si vede dunque costretto ad avanzare anche contro Pascal, del cui acume di psicologo non dubita certo, le medesime accuse che al cristianesimo tutto. Se infatti fosse stato veramente devoto al suo «animo logico» fino in fondo, il filosofo francese avrebbe dovuto sottoscrivere la «proposta» che Nietzsche

a se stante.101 Opere IV/2, 22[20].102 MA 134, Opere IV/2, p. 107 .

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avanza in Aurora, pochi aforismi più avanti di quello dal quale abbiamo preso le mosse. Ovvero:

se il nostro io, secondo Pascal e il cristianesimo, è sempre odioso, come potremmo anche soltanto permettere e accettare che gli altri lo amino – siano essi Dio o gli uomini? Sarebbe contrario al tutte le buone convenienze farsi amare e saper benissimo, al contempo, che si meriterebbe soltanto odio, per tacere di altri sentimenti di repulsione. «Ma questo è per l’appunto il regno della grazia». Così per voi il vostro amore del prossimo è una grazia? Una grazia la vostra pietà? Ebbene, se questo vi riesce possibile, fate ancora un passo avanti: amate voi stessi per grazia, – allora non avrete più nessuna necessità del vostro Dio, e l’intero dramma del peccato originale e della redenzione si consumerà in voi stessi fino alla fine!

Le considerazioni svolte da Nietzsche nei frammenti analizzati sopra si condensano qui in un sillogismo che prende avvio dalla pensée pascaliana sul «moi haïssable». Di fronte all’impossibile amor proprio, Pascal si rifugiava nel regno della grazia. Nietzsche lo accusa di rinunciare, con questa mossa, alla propria intelligenza: ciò che gli manca è «fare un passo avanti», liberarsi della falsa interpretazione della redenzione così come di quella del peccato. Il rigore, l’esemplarità del «Typus» Pascal risiede così nell’aver affermato a chiare lettere la necessità dell’odio di se. Pur condividendo poi il ricorso alla «grazia» per giustificare la sopravvivenza del cristiano, egli ha portato «l’odio per il moi»103 tanto vicino al «passo avanti» quanto glielo consentiva la sua fede. Come Nietzsche scriverà ancora nel 1887: «Pascal, l’ammirevole logico del cristianesimo, è giunto fino al punto» di affermare che «“non farsi amare” gli sembrava cristiano»104. Il riferimento è alla pensée L. 396 (FAU I, 191-192)105, un biglietto autografo che risulta menzionato anche nella biografia di Pascal redatta dalla sorella: «Il est injuste qu’on s’attache à nous, quoiqu’on le fasse avec plaisir et volontairement. Nous tromperons ceux à qui nous en ferons naître le désir ;

103 Opere VIII/2, 10[125]: «l’odio per il moi» ovvero il «pascalismo»104 Opere VIII/2, 10[128].105 Nel frammento citato alla nota precedente Nietzsche richiama la citazione con l’indicazione: «p. 162»; probabilmente un refuso per «192».

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car nous ne sommes la fin de personne, et nous n’avons pas de quoi les satisfaire». Per andare oltre Pascal avrebbe dovuto essere libero dal giogo della propria fede, farsi irresponsabile o morire per essa.

Se il cristianesimo è innanzitutto «odium generis humani», Pascal ne è dunque il tipo perfetto. Di contro al cristianesimo “gesuita” che cerca di coniugare peccato e amore per l’umanità, il filosofo francese proclama a chiare lettere la priorità della negazione di se, fin quasi a farne la propria divisa. Si è cristiani soltanto se non ci si fa amare e non si ama il genere umano. Ma allora, osserva Nietzsche, a rigore Pascal dovrebbe concludere come quei «padri della Chiesa» che s’auguravano la scomparsa dell’uomo. Delle due l’una quindi: o la sua logica non fu abbastanza conseguente o le premesse erano imperfette. Il tipo compiuto del cristianesimo è dunque, come annunciavamo, quello che più si avvicina a decretarne la scomparsa. In fondo, per Nietzsche, se Pascal non giunse a fare l’ultimo «passo avanti» non fu per negligenza ma soltanto perché «il cristianesimo è il terreno su cui la [sua] passione per il pensiero ha iniziato a manifestarsi e a maturare»106. Altrove, ad esempio tra un «popolo di pensatori» come quello indiano la sua «pianta» sarebbe, forse, «venuta alla luce»107 in modo diverso.

b) Il carattere di tipo compiuto (che è anche compimento del tipo) che Nietzsche attribuisce a Pascal emerge con ancor maggior chiarezza riguardo al problema posto da Pilato: «Quid est veritas». In un frammento postumo tanto capitale quanto conciso si legge infatti: «Profondamente interessato alla verità – da dove? Debito verso il cristianesimo – Pascal»108. La questione che qui Nietzsche elitticamente pone è quella del legame tra ideale ascetico e volontà di verità. Si tratta di un interrogativo che dominerà tutte ultime opere da Al di là del bene e del male in poi. Ma che trova la sua espressione più diretta in una pagina celebre di Gaia scienza:

106 OVERBECK, Ricordi di Nietzsche, cit., p. 37.107 Ibid.108 Opere VII/2, 26[330].

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è pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza – anche noi uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall’incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio è verità e la verità è divina109.

La volontà di verità che anima la scienza che si «pretende senza presupposti» è espressione della medesima fede che animava il cristianesimo, questo «platonismo per il popolo». In entrambi i casi la verità è posta come un «valore metafisico», come qualcosa di inestimabile, di incriticabile. A giustificare la scienza nella sua opera è sempre un imperativo morale, un “tu devi”: nello specifico «tu non devi ingannare, neppure te stesso». Alla base si nasconde sempre l’opposizione tra il mondo reale e un mondo “vero”: infatti «l’uomo verace […] afferma un mondo diverso da quello della vita, della natura e della storia; e in quanto afferma questo “altro mondo” […] deve perciò negare il suo opposto, questo mondo, il nostro mondo»110. La consustanzialità tra scienza e ideale ascetico spiega dunque perché Nietzsche dichiari venuto dal cristianesimo il proprio (e generale) «profondo interesse per la verità». Ma spiega anche l’esigenza nietzscheana di costruire una «critica del valore della verità» stessa, ovvero di porre il problema di «che cosa significa ogni volontà di verità». Come si legge in un altro celeberrimo aforisma di Gaia scienza, la morte di Dio è infatti opera della morale cristiana: «Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso»111. Il tramonto del cristianesimo è la necessaria conseguenza del «senso della veridicità altamente sviluppato dal cristianesimo». Poiché «il senso della verità è una delle efflorescenze più forti del senso morale»112 il cristianesimo si è «legato la corda al collo»: la morte di Dio non è che

109 FW 344, Opere V/2, p. 207.110 Ibid. Il passo di Gaia scienza è citato e commentato in GM III, § 24, Opere VI/2, pp. 356-357.111 FW 125, Opere V/2, p. 130.112 Opere IV/2, 24[28]; cfr. 24[70], [77].

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l’espressione del «disgusto per la falsità e mendacità di tutta l’interpretazione cristiana del mondo e della storia»113. L’avvento del nichilismo che Nietzsche annuncia, si rivela «la catastrofe di una bimillenaria educazione alla verità, che nel suo momento conclusivo si proibisce la menzogna della fede in Dio». Il dio cristiano impone ed è la verità; ma l’uomo che assume a pieno quel comandamento si ritrova a dover scoprire Dio stesso come una falsa interpretazione del mondo, una lunga menzogna. Il dogma del cristianesimo crolla sotto i colpi della sua stessa morale: «avendo la veracità cristiana tratto una conclusione dopo l’altra, trae infine la sua più drastica conclusione, la sua conclusione contro se stessa»114. Anzi, l’autosoppressione della morale – per moralità – fa del nichilismo l’erede e il continuatore del cristianesimo: «si vede che cosa fu propriamente a vincere sul Dio cristiano: la stessa moralità cristiana, il concetto di veridicità preso con sempre maggior rigore, la sottigliezza dei padri confessori della coscienza cristiana, tradotta e sublimata nella coscienza scientifica, nella pulizia intellettuale a qualsiasi prezzo»115. Il cristianesimo è per Nietzsche non solo la ragione dell’«interesse per la verità» ma anche il luogo della valutazione e della messa in questione di tale interesse. L’affresco generale di questa «rispettabile catastrofe» riaffiora, come si è visto più e più volte. Ma meno frequentemente Nietzsche ne mette in luce i protagonisti: la menzione dei padri confessori rimane una vaga allusione e d’altro canto l’analisi del “prete ascetico” in Genealogia della morale è concentrata più sull’aspetto consolatorio che non su l’esigenza di veridicità della morale cristiana. Dove cercare dunque un esemplare di quell’autosuperamento [Selbstüberwindung] per volontà di verità che il cristianesimo ha imposto all’Europa?116 Il frammento postumo da cui siamo

113 Opere VIII/1, 2[127].114 GM III, § 27, Opere VI/2, p. 365.115 FW 357, Opere V/2, p. 229.116 Ibid.

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partiti fornisce la risposta: «Profondamente interessato alla verità – da dove? Debito verso il cristianesimo – Pascal». In effetti Nietzsche riconosce in Pascal non solo, come abbiamo visto, l’esemplare dell’ideale ascetico ma anche colui che con più chiarezza ne impersona la volontà di verità. Scrive infatti in Al di là del bene e del male: «se si volesse decifrare e mettere in chiaro che genere di storia sino a oggi ha avuto il problema della scienza e della coscienza nell’anima degli homines religiosi, bisognerebbe forse noi stessi essere tanto profondi, piagati e immensi, come lo era la coscienza intellettuale di Pascal»117. Pascal ha provato il problema della scienza nella sua coscienza di uomo religioso. Il riferimento è in primo luogo all’attività concreta di scienziato e matematico svolta da Pascal: non a caso Nietzsche parlerà altrove di Port-Royal come l’ultimo esempio di «fioritura [del]la grande scienza cristiana». Ma si tratta soprattutto di caratteristiche profonde dello spirito del filosofo francese: «ardore, intelligenza ed onestà». Pascal ha saputo cioè fare della volontà di verità una passione («ardore»), assumerla nel profondo come un istinto, e ha lasciato che conducesse la sua intelligenza fino alle conclusioni estreme («onestà»). Ma proprio per questo il sapere si è trasformato in lui in una «piaga», così come per il cristianesimo tutto, il quale, dopo aver fatto della scienza un peccato originale, è morto a causa di quel peccato. Nietzsche trova quasi il simbolo di tutto ciò in una figura centrale delle Pensées, il deus absconditus. Nell’aforisma 91 di Aurora si legge infatti che

intorno al “nascosto Iddio” e alle ragioni di tenersi nascosto e di rivelarsi sempre soltanto a metà con la parola, nessuno è stato più eloquente di Pascal, segno questo che egli non se n’è mai potuto dar pace: ma la sua voce risuona con tale sicurezza, come se si fosse messo a vedere una volta dietro il sipario. Egli aveva subodorato una immoralità118 nel “Deus absconditus” e nutriva la più grande vergogna e timore di confessarselo: e così, come uno che ha paura, parlava più forte che poteva119.

117 JGB § 45, Opere VI/2, p. 53. Cfr. Opere VII/3, 34[147].118 E non «immortalità» come nella traduzione italiana (in originale «Unmoralität»).119 M 91, Opere V/1, p. .

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A fronte del cristianesimo plebeo che assume con leggerezza il dovere di Dio di essere verace, Pascal «subodora» l’inganno. La sua volontà di verità lo conduce a sbirciare oltre il sipario e a svelare così il “trucco” dell’ideale ascetico. Ma, afferma Nietzsche, di fronte a questa stupefacente scoperta, Pascal chiude gli occhi e si nasconde dietro la figura del “Dio nascosto”. Pascal arriva fino al punto di mettere a nudo l’immoralità dei mezzi con cui la morale si costituisce: ma la sua fede fa da freno al suo istinto di veracità. Altrove, Nietzsche esprime con ancor maggior chiarezza la “situazione” del Deus absconditus pascaliano:

I cristiani devono credere alla veridicità di Dio: ma insieme assumono purtroppo la fede nella Bibbia e nella «scienza naturale» in essa contenuta; per essi non è lecito per nulla ammettere una verità relativa […]. Il cristianesimo si infrange per il carattere incondizionato della sua morale. – La scienza ha suscitato il dubbio sulla veridicità del Dio cristiano: per questo dubbio, il cristianesimo muore (il deus absconditus di Pascal).

Il Dio nascosto è l’ultimo baluardo prima della morte di Dio. Avvicinandosi pericolosamente alla autodistruzione necessaria del cristianesimo, Pascal non può accampare altro alibi per sottrarsi alla deduzione estrema. Il nascondimento di Dio è un maldestro tentativo per tenerlo in vita a dispetto della volontà di verità che lo renderebbe manifesto, ma manifesto nella sua «immorale» origine.

È sullo sfondo di queste considerazioni che Nietzsche comprende e discute anche il progetto pascaliano di apologia del cristianesimo. Per Nietzsche infatti proprio le pericolosità della volontà di verità dovrebbe interdire al cristiano qualsiasi tentativo di applicare gli strumenti dell’intelligenza alle credenze di fede. L’unico argomento apologetico ammissibile (anche se di per se fallace120) è, ai suoi occhi, la cosiddetta «prova della forza». Ovvero la verità del cristianesimo dimostrata dagli effetti che produce in chi crede121. Ma una volta che la ragione cerca di

120 Cfr. MA 30, Opere IV/2, p. 38.121 Cfr. MA 120; 227, Opere IV/2, pp. 100.

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dimostrare la verità della fede, significa che la ragione è in malafede e che la fede stessa manca: «la vostra apologia del cristianesimo ha la sua radice nella vostra mancanza di cristianesimo»122. La religione vuole che si creda alla sua verità, non che si cerchi la verità su di essa. Ora, paradossalmente Pascal appare a Nietzsche come colui che con più chiarezza ha preso coscienza dell’impossibilità di una vera apologetica cristiana123. La pretesa di voler provare il cristianesimo mostra che egli si è «autoingannato». Se la “dimostrazione” fosse stata condotta fino in fondo con tutta l’«onestà» di cui era capace, avrebbe dovuto portarlo ad affermare la radice immorale della fede in Dio. Ma Pascal «voleva dimostrare qualcosa», ovvero era incapace di riconoscere nella fede il risultato di istinti umani, troppo umani (nello specifico quello della sicurezza)124. Anche lo scetticismo, secondo Nietzsche, non è nelle Pensées una istanza autentica: Pascal non sopporta infatti di rimanere nello scetticismo, anzi non concepisce nemmeno la possibilità di una vita nello scetticismo. «“Che buon guanciale è il dubbio per una testa ben costrutta!” – questo parole di Montaigne hanno sempre indispettito Pascal, poiché nessuno aveva appunto un così forte desiderio di un buon

122 VM 98, Opere IV/3, p. 41.123 Non è un caso che Nietzsche non ricordi mai le prove storiche ma soltanto quelle morali (e anche queste solo in virtù del tramite di Brunetière – e forse, come suggerito sopra, di Overbeck; cfr Opere VIII/2, 9[182]). Anzi, esplicitamente menziona soltanto l’invito pascaliano a «s’abêtir» (GM III, § 17, Opere VI/2, p. 336): ovvero l’ingiunzione ad assumere il cristianesimo senza ragioni, ma solo per le conseguenze che ne verranno. Per giustificare l’esigenza di «s’abêtir» Pascal scrive infatti: «Quel mal vous arrivera-t-il en prenant ce parti ? Vous serez fidèle, honnête, humble, reconnaissant, bienfaisant, sincère, véritable… A la vérité, vous ne serez point dans les plaisirs empestés, dans la gloire, dans les délices; mais n’en aurez-vous point d’autres ?» (L. 418, FAU II, 140).124 Bisogna tener ben distinta questa argomentazione dalle critiche che Nietzsche svolge alle prove del cristianesimo in se stesse. In quel caso è sulla logicità interna che si appuntano le sue obiezioni, non tanto sulla volontà di prova. Si tratta di due paralogismi: a) dedurre la verità dalla necessità (Opere V/1, 7[233]); b) dedurre da un bisogno un’esistenza determinata (7[34]; 8[18]). A ciò Nietzsche obietta che a) talvolta esistono errori necessari; b) molte cose possono soddisfare il medesimo bisogno, ed anzi, può essere il bisogno stesso ad estinguersi. Queste considerazioni ci sembrano peraltro meno centrali per il «problema Pascal» di quanto si sia talvolta sostenuto.

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cuscino quanto lui»125. Dove Montaigne era il “tipo onesto della storia della filosofia”, perché “per verità” criticava il criterio della verità, Pascal si rivela disonesto, incapace di riconoscere le conseguenze estreme della veridicità. In breve: «Pascal non volle rischiare nulla e rimase cristiano»126: il rischio era quello intrinseco ad ogni apologetica: «con la difesa scrivere lo stesso atto di accusa». La denuncia e il rimpianto di Nietzsche è dunque che la splendida ragione di Pascal si sia ad un tratto offuscata. Che le sue qualità intellettuali, perfette per la ricerca della verità, si siano lasciate obnubilare da una passione: «La condizione di Pascal è una passione, essa porta integralmente i segni e le conseguenze della felicità, della miseria e della profondissima duratura severità. Perciò, a dire il vero, fa ridere vederlo così sprezzante verso la passione – è una specie di amore che disprezza tutte le altre passioni e commisera gli uomini perché ne sono privi»127. La fede e la volontà di verità, entrambe connaturali all’ideale ascetico, hanno fatto di Pascal un campo di battaglia. L’esito finale fu favorevole alla fede a scapito dell’onestà intellettuale. Partendo «già [con] le interpretazioni cristiano-morali sulla natura dell’uomo» era paralogistico credere di «afferrare il “fatto”», cioè la verità del cristianesimo. Ma Nietzsche ha tanta stima per il filosofo francese che la fine del suo dramma non gli pare per nulla necessaria. Nel manoscritto per la stampa de Al di là del bene e del male, alla fine della introduzione, si legge infatti:

Come pena lo [l’arco teso, ovvero la tensione dello spirito creata in Europa dall’ideale ascetico] sentì Pascal, quest’uomo, il più profondo dell’epoca moderna, sulla base di una terribile tensione dello spirito inventò per se quella specie omicida di riso, con cui da allora egli sommerse nel ridicolo i gesuiti. Forse non gli mancò altro se non la salute e un decennio di vita in più – o, con espressione morale, un cielo del sud anziché la coltre nuvolosa di Port-Royal – per sommergere nel ridicolo anche il suo cristianesimo128.

125 M 46, Opere V/1, p.. Cfr. Opere VIII/2, 9[3].126 Opere VIII/3, 15[94].127 Opere V/1, 7[234].128 JGB, Opere VI, 2, p. 384. Cfr. Opere VII/3, 34[148].

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L’ipotesi è forte, ma testimonia di quanto profondamente Nietzsche identifichi Pascal al «Typus» del cristianesimo. Se solo la vita gli avesse concesso salute e qualche anno in più Pascal avrebbe adempiuto in sé il medesimo destino che attende la fede cristiana tutta, afferma Nietzsche. Per moralità, per «veridicità», avrebbe scoperto «la teleologia» interna della morale e sarebbe giunto a decretarne la fine. Il deus absconditus si sarebbe mostrato nella sua verità di ipotesi non più necessaria. L’Europa degli ultimi due secoli ha compiuto un «valoroso autosuperamento»129

[Selbstüberwindung] in direzione dell’ateismo: in Pascal, invece, la «Selbst-Überwindung der Vernunft» pur essendo «il [suo] problema intimo» si risolse alla fine «a favore della fede»130. Le premesse erano perfette, le circostanze furono sfortunate. Quella di Pascal è dunque una disfatta che significa, per Nietzsche, una enorme occasione perduta di «scrollarsi di dosso» il cristianesimo. E, correllativamente, da testimonianza della longevità del cristianesimo medesimo. Se in Pascal il cristianesimo mostra quanto poté «raffinare l’umanità»131, allo stesso tempo esprime infatti anche tutta la sua forza di distruzione. La sua anima era, come quella di Meister Eckart, tra le più «ricche»132 ma comunque la fede cristiana riuscì a «distruggerla»133. Si tratta di un delitto imperdonabile, che Nietzsche denuncia più e più volte. In esso si manifesta il «pericolo più grande» insito nell’ideale ascetico: «voler infrangere le anime più forti e nobili» dando luogo a «raccapriccianti rovine»134 come quella pascaliana. Il caso del filosofo francese è tanto più parlante perché in lui è la ragione stessa a essere corrotta dalla fede, cioè quella tensione alla verità che si trova proprio alla radice del cristianesimo. Nietzsche parla in un aforisma di

129 FW 357,Opere V/2, p. 229.130 Opere VII/3, 34[35].131 Cfr. Opere VII/3, 34[92]. 132 Opere VII/2, 26[3].133 Opere VIII/2, 12[1].134 Opere VIII/2, 11[55].

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Aurora di una «seconda disperazione» di Pascal: avendo cercato di condurre i suoi lettori «alla disperazione con l’aiuto della conoscenza più tagliente», egli fallì il tentativo, causando la sua seconda disperazione135. Che cosa essa sia si comprende da un frammento del 1887 dove Nietzsche confronta Schopenhauer e Pascal. Il primo avrebbe ancora riconosciuto alla conoscenza la capacità di liberarci dal mondo apparente mentre il secondo sarebbe giunto alla conclusione che anche la conoscenza è corrotta, «falsificata». E in ciò si dimostrò «ancora più disperato», assumendo che «è necessaria la rivelazione per intendere il mondo anche solo come degno di negazione»136. La seconda disperazione è la disperazione della ragione: ciò la rinuncia alla verità pur di non rinunciare a Dio. Il cristianesimo fa credere a Pascal che il peccato ha pervertito la sua ragione mentre è stato lui stesso a pervertirla137. Cosicché la sua disperazione divenne la mancata speranza di una liberazione dal cristianesimo. Come nel caso dell’odio di se, Pascal è dunque l’esemplare che incarna le conseguenze estreme del tipo. Nietzsche al contempo si compiace di riconoscervi un «avversario perfetto» e prova tristezza a vederlo rimanere avversario.

La relazione di Nietzsche con l’autore delle Pensées fu dunque veramente animata dalla «Anhänglichkeit eines Freundes». Nietzsche lo comprese e lo criticò, perché lo amava e soffriva per il suo destino. Ma, allo stesso tempo, la violenza degli attacchi non minò mai il rispetto per la grandezza dell’intelligenza di Pascal. Veramente «da Pascal in poi non è accaduto niente»; e se «di fronte a lui i filosofi tedeschi non sono da prendersi in considerazione», sarà soltanto a lui che Nietzsche vorrà rifarsi.

135 M 64, Opere V/1, p. .136 Opere VIII/2, 10[150].137 AC § 5, Opere VI/3, pp. 171-172.

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