Neutropenia febbrile e Pronto Soccorso

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I 24-160-A-10 Neutropenia febbrile e Pronto Soccorso Y.-E. Claessens, E. Trabattoni, S. André, H. Clément, C. Andréotti La comparsa di una neutropenia febbrile in un paziente trattato con chemioterapia antineoplastica è un evento importante gravato da una forte morbilità e da una mortalità che dipende dal terreno. La gestione in urgenza si basa su una valutazione scrupolosa che determina l’orientamento e la terapia antibiotica. Questa valutazione è tanto più difficile in quanto la clinica è, il più delle volte, povera e la sensibilità dei germi in causa non è prevedibile. In effetti, la terapia antibiotica iniziale deve essere somministrata precocemente e coprire un ampio spettro. Si fa una riflessione sulle procedure di gestione delle neutropenie febbrili nel contesto dell’urgenza. © 2013 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati. Parole chiave: Neutropenia; Aplasia; Immunodepressione; Infezione; Sepsi; Terapia antibiotica; Assistenza di sostegno Struttura dell’articolo Introduzione 1 Determinanti della neutropenia 1 Definizioni 1 Fattori predisponenti 2 Mortalità. Morbilità 2 Dati microbiologici 2 Gestione terapeutica 4 Valutazione iniziale 4 Orientamento e terapia antibiotica iniziale 5 Fattori di crescita emopoietici 8 Trasfusioni di globuli bianchi 9 Trasfusioni di concentrati eritrocitari e piastrinici 9 Misure «barriera» 9 In pratica 10 Conclusioni 10 Introduzione A causa dei progressi terapeutici e dell’invecchiamento della popolazione, il numero di pazienti che soffrono di cancro è sempre più alto e i malati sono sempre più fragili [1, 2] , il che li espone alle complicanze del trattamento, tra cui la neutrope- nia e le infezioni. La gestione di una neutropenia febbrile ha l’obiettivo di ridurre le complicanze gravi associate a un’infezione. I medici urgentisti incontrano poco frequentemente questo tipo di pazienti e sono stati a lungo esclusi da questa filiera di cure [3] . Tuttavia, delle regole semplici permettono una gestione otti- mizzata. Noi esponiamo qui le modalità di trattamento della neutropenia febbrile chemioindotta nelle prime ore, che corri- spondono al tempo dell’urgenza e delle prime decisioni. Determinanti della neutropenia Definizioni La neutropenia è un evento frequente del trattamento delle patologie cancerose mediante chemioterapia. Essa è definita da una riduzione del numero di polinucleati neutrofili nel sangue in circolo. Questa neutropenia corrisponde alla perdita di una delle prime barriere dell’immunità innata, limitando la capacità di lotta contro i microrganismi. Conseguentemente, essa può complicarsi con una febbre, abitualmente considerata di origine infettiva. I pazienti di oncoematologia che presentano una neu- tropenia febbrile formano una popolazione a rischio di sviluppare delle complicanze gravi [4] . In particolare, il rischio di infezione compare per un tasso di leucociti inferiore a 1 000/l e il rischio di infezione grave è inversamente proporzionale al numero di globuli bianchi [5] e alla durata della neutropenia [6] . Il National Cancer Institute propone delle soglie di neutrofili che permettono di valutare il livello di tossicità delle chemioterapie. La neutropenia febbrile è definita come la coesistenza di una febbre (due temperature misurate a 1 ora di intervallo al di sopra di 38 C o una misurazione al di sopra di 38,3 C) e di una neutrope- nia (leucociti inferiori a 1 000/l o polinucleati neutrofili inferiori a 500/l) accertata o attesa entro le 48 ore [7] . Come ogni defini- zione, questa soffre di alcuni limiti. Da una parte, essa sembra troppo esclusiva, perché non prende in conto i pazienti settici non febbrili, poiché la febbre è solo uno degli elementi della sepsi che non riflette necessariamente la gravità [8, 9] (Tabella 1). D’altra parte, essa sembra approssimativa, perché lascia al medico la valu- tazione del rischio di neutropenia futura. Degli studi già antichi hanno mostrato che esisteva una correlazione tra il rischio infet- tivo e la neutropenia. Nei pazienti che presentano una leucemia acuta, sarebbe discriminante una soglia di 1 000 polinucleati neu- trofili per microlitro [10] . Delle pazienti trattate con chemioterapia per un cancro del seno avevano un rischio infettivo aumen- tato a partire da 500 polinucleati neutrofili per microlitro [11] . La EMC - Urgenze 1 Volume 17 > n 4 > dicembre 2013 http://dx.doi.org/10.1016/S1286-9341(13)66030-5

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Neutropenia febbrile e Pronto Soccorso

Y.-E. Claessens, E. Trabattoni, S. André, H. Clément, C. Andréotti

La comparsa di una neutropenia febbrile in un paziente trattato con chemioterapia antineoplastica èun evento importante gravato da una forte morbilità e da una mortalità che dipende dal terreno. Lagestione in urgenza si basa su una valutazione scrupolosa che determina l’orientamento e la terapiaantibiotica. Questa valutazione è tanto più difficile in quanto la clinica è, il più delle volte, povera ela sensibilità dei germi in causa non è prevedibile. In effetti, la terapia antibiotica iniziale deve esseresomministrata precocemente e coprire un ampio spettro. Si fa una riflessione sulle procedure di gestionedelle neutropenie febbrili nel contesto dell’urgenza.© 2013 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati.

Parole chiave: Neutropenia; Aplasia; Immunodepressione; Infezione; Sepsi; Terapia antibiotica;Assistenza di sostegno

Struttura dell’articolo

■ Introduzione 1■ Determinanti della neutropenia 1

Definizioni 1Fattori predisponenti 2Mortalità. Morbilità 2

■ Dati microbiologici 2■ Gestione terapeutica 4

Valutazione iniziale 4Orientamento e terapia antibiotica iniziale 5Fattori di crescita emopoietici 8Trasfusioni di globuli bianchi 9Trasfusioni di concentrati eritrocitari e piastrinici 9Misure «barriera» 9

■ In pratica 10■ Conclusioni 10

� IntroduzioneA causa dei progressi terapeutici e dell’invecchiamento della

popolazione, il numero di pazienti che soffrono di cancro èsempre più alto e i malati sono sempre più fragili [1, 2], il che liespone alle complicanze del trattamento, tra cui la neutrope-nia e le infezioni. La gestione di una neutropenia febbrile hal’obiettivo di ridurre le complicanze gravi associate a un’infezione.I medici urgentisti incontrano poco frequentemente questo tipodi pazienti e sono stati a lungo esclusi da questa filiera di cure [3].Tuttavia, delle regole semplici permettono una gestione otti-mizzata. Noi esponiamo qui le modalità di trattamento dellaneutropenia febbrile chemioindotta nelle prime ore, che corri-spondono al tempo dell’urgenza e delle prime decisioni.

� Determinanti della neutropeniaDefinizioni

La neutropenia è un evento frequente del trattamento dellepatologie cancerose mediante chemioterapia. Essa è definita dauna riduzione del numero di polinucleati neutrofili nel sanguein circolo. Questa neutropenia corrisponde alla perdita di unadelle prime barriere dell’immunità innata, limitando la capacitàdi lotta contro i microrganismi. Conseguentemente, essa puòcomplicarsi con una febbre, abitualmente considerata di origineinfettiva. I pazienti di oncoematologia che presentano una neu-tropenia febbrile formano una popolazione a rischio di svilupparedelle complicanze gravi [4]. In particolare, il rischio di infezionecompare per un tasso di leucociti inferiore a 1 000/�l e il rischiodi infezione grave è inversamente proporzionale al numero diglobuli bianchi [5] e alla durata della neutropenia [6]. Il NationalCancer Institute propone delle soglie di neutrofili che permettonodi valutare il livello di tossicità delle chemioterapie.

La neutropenia febbrile è definita come la coesistenza di unafebbre (due temperature misurate a 1 ora di intervallo al di sopra di38 ◦C o una misurazione al di sopra di 38,3 ◦C) e di una neutrope-nia (leucociti inferiori a 1 000/�l o polinucleati neutrofili inferioria 500/�l) accertata o attesa entro le 48 ore [7]. Come ogni defini-zione, questa soffre di alcuni limiti. Da una parte, essa sembratroppo esclusiva, perché non prende in conto i pazienti setticinon febbrili, poiché la febbre è solo uno degli elementi della sepsiche non riflette necessariamente la gravità [8, 9] (Tabella 1). D’altraparte, essa sembra approssimativa, perché lascia al medico la valu-tazione del rischio di neutropenia futura. Degli studi già antichihanno mostrato che esisteva una correlazione tra il rischio infet-tivo e la neutropenia. Nei pazienti che presentano una leucemiaacuta, sarebbe discriminante una soglia di 1 000 polinucleati neu-trofili per microlitro [10]. Delle pazienti trattate con chemioterapiaper un cancro del seno avevano un rischio infettivo aumen-tato a partire da 500 polinucleati neutrofili per microlitro [11]. La

EMC - Urgenze 1Volume 17 > n◦4 > dicembre 2013http://dx.doi.org/10.1016/S1286-9341(13)66030-5

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Tabella 1.Definizioni dei livelli crescenti di gravità dell’infezione [8].

Termini Definizioni

A: Infezione Invasione da parte di microrganismi ditessuti normalmente sterili

B: Risposta sistemicainfiammatoria

Almeno due dei quattro criteri seguenti:temperatura superiore a 38 ◦C o inferiorea 36 ◦Cfrequenza cardiaca > 90 battiti.min-1

frequenza respiratoria > 20 cicli.min-1 oPaCO2 inferiore a 32 mmHgleucociti > 12◦000/�l o < 4◦000/�l o 10%di forme immature

C: Sepsi Risposta sistemica infiammatoria (B)collegata a un’infezione (A)

D: Sepsi grave Sepsi (C) associata a:un’ipotensione (PA sistolica inferiore a90 mmHg o caduta di 40 mmHg rispettoalla PA consueta)un’ipoperfusione d’organo:– rapporto PaO2/FiO2 < 280– acidosi lattica (lattato > 2 mmol.l-1)– oliguria (diuresi < 0,5 ml/kg/h)– alterazione delle funzioni superiori– marmorizzatura, tempo di ricolorazionecapillare > 3 s a

– disfunzione cardiaca (ecografia) a

E: Shock settico Sepsi grave (D) associata a un’ipotensione(PA media < 60 mmHg o < 80 mmHg seHTA a) persistente (> 1 ora)nonostante un’espansione volemicaidonea (> 500ml) (0-30 ml/kg di colloidio 40-60 ml/kg di cristalloidi a) o con unapressione capillare polmonare diocclusione tra 12 e 20 mmHg a

o che richiede l’utilizzo di vasopressori(dopamina > 5 �g/kg/min oadrenalina/noradrenalina< 0,25 �g/kg/min)

F: Shock settico refrattario∗ Utilizzo di vasopressori a forti dosi(dopamina > 15 μg/kg/min o adrena-lina/noradrenalina > 0,25 μg/kg/min) a

FiO2: frazione di ossigeno nell’aria inspirata; PaCO2: pressione arteriosa parzialedi anidride carbonica; PA: pressione arteriosa; PAO2: pressione arteriosa parzialein ossigeno; HTA: ipertensione arteriosa.a Elementi aggiunti alle voci iniziali delle società nordamericane [9].

risposta agli antibiotici era meno buona se i pazienti avevanomeno di 100 polinucleati neutrofili per microlitro. È definitoanche che il rischio di infezione è tanto maggiore quanto piùl’installazione della neutropenia è rapida. Inoltre, una neutrope-nia che dura per più di dieci giorni è considerata ad alto rischiodi infezione [5, 6, 12], con la comparsa di patogeni particolari, qualiAspergillus.

Fattori predisponentiI fattori predisponenti alla neutropenia sono oggi individuati.

Così, una lista esauriente dei trattamenti antineoplastici e del lororischio ematologico è tenuta a disposizione dei prescrittori [13]. Untrattamento è considerato ad alto rischio di aplasia se induce piùdel 20% di neutropenia, intermedio tra il 10% e il 20% e debolea meno del 10%. Questo rischio è teorico e corrisponde ai datidella letteratura negli studi terapeutici in popolazioni selezionate.Se la comparsa di una neutropenia è intimamente legata al trat-tamento antineoplastico, essa dipende anche dalla malattia [14].Un cancro metastatico o che sfugge al trattamento sviluppa piùspesso una neutropenia [15]. Una malattia oncoematologica, per lalesione midollare e il trattamento spesso aggressivo, è più spessocausa di neutropenia [14]. Anche degli episodi precedenti di neu-tropenia febbrile aumentano il rischio di un nuovo episodio [16].Infine, lo stato fisiologico e le comorbilità del paziente hanno un

impatto sulla comparsa di una neutropenia. La denutrizione, l’età(superiore ai 65 anni) [17, 18] e una malattia cronica renale, epaticao cardiaca [16] favoriscono la comparsa di questa complicanza.

Gli oncoematologi hanno sviluppato delle strategie per limi-tare la comparsa di una neutropenia [19, 20]. Queste strategie sibasano sulla valutazione del rischio integrando le tre dimen-sioni che sono le caratteristiche della malattia neoplastica, iltrattamento e il paziente. Il rischio identificato determina lapertinenza della prescrizione di fattori di crescita emopoieticiche agiscono sulla linea mieloide, poiché questi prodotti hannodimostrato la loro efficacia nella profilassi della comparsa diuna neutropenia. Queste prescrizioni sono oggetto di racco-mandazioni formalizzate con algoritmi decisionali regolarmenteaggiornati [20]. L’applicazione di queste raccomandazioni limitala comparsa dell’evento. L’algoritmo presentato nella Figura 1permette di comprendere il ragionamento che conduce alla pre-scrizione di fattori di crescita mieloide.

Mortalità. MorbilitàBenché sia controllato, il rischio di neutropenia febbrile è

temuto, in quanto espone i pazienti a un episodio infettivo.Quest’ultimo può ritardare il successivo trattamento, ma esponeimmediatamente a un’infezione potenzialmente grave. Nel 2005,è stato stimato che il 13% dei pazienti portatori di tumori solidi [21]

e il 70% dei pazienti affetti da leucemia [22] andranno incontro auna neutropenia febbrile, la cui ripetizione è frequente [22, 23]. Così,il 50-75% dei pazienti di oncoematologia decede per infezioniassociate all’aplasia [24]. Comunque sia, i pazienti che soffrono dineoplasie devono essere considerati come immunocompromessie a rischio più alto di complicanze infettive gravi. L’incidenzaannuale della neutropenia febbrile è stata valutata pari a 7,83 casiper 1 000 cancri. L’incidenza delle forme gravi di infezione è,tuttavia, poco conosciuta nella popolazione dei pazienti neutro-penici. Fino al 40% di questi pazienti svilupperebbe delle formegravi di infezione [25]. Nel contesto della medicina d’urgenza,circa la metà dei pazienti presenta una sepsi grave o uno shocksettico [26]. L’analisi di una coorte americana ha rivelato che lamortalità ospedaliera di 192 980 pazienti in shock settico rag-giungeva il 28,6% [27]. Fra questi pazienti, l’11,6% presentava uncancro non metastatico e il 5,3% un cancro metastatico. La mor-talità rispettiva di questi due gruppi rappresentava il 36,9% eil 43,4%, ossia era significativamente superiore rispetto a quelladella popolazione globale. Il database francese CubRea informaanche sulla frequenza delle infezioni gravi in questo contesto [28].Tra 67 717 sepsi gravi e shock settici ricoverati in rianimazione,7 266 (11%) presentavano un cancro e 2 949 (4%) una neutrope-nia. La mortalità dei pazienti ricoverati è stata stimata pari al 6,8%a partire dai dati del 1999 di una coorte di 20 780 pazienti negliStati Uniti [29]. I dati di morbilità e di mortalità più recenti proven-gono da uno studio longitudinale su 41 779 pazienti di oncologiaricoverati con un’aplasia febbrile [14]. La mortalità ospedaliera eradel 9,5%, inferiore (2,6%) in assenza di una malattia concomi-tante, ma si innalzava oltre il 20% se i pazienti presentavano duecomorbilità o più. La mortalità variava anche con il tipo di neopla-sia. Così, il 14,3% dei pazienti affetti da leucemia decede, controil 3,6% dei pazienti che soffrono di un cancro del seno. Questavariabilità può essere in parte interpretata come una conseguenzadella profondità e della durata della neutropenia legata al trat-tamento. È stata valutata anche la durata dell’ospedalizzazione.Essa è, in media, di dieci giorni. Un terzo dei pazienti richiede unricovero superiore ai dieci giorni. Ciò è particolarmente vero peri pazienti ematologici e, soprattutto, per le leucemie [29]. Il costoassociato all’ospedalizzazione di una neutropenia febbrile è ele-vato, dell’ordine di 13 000-38 000 $ per paziente [14, 29–31]. Il costoè circa due volte più elevato per i pazienti che presentano unamalattia ematologica [29].

� Dati microbiologiciI dati sperimentali permettono di comprendere meglio gli

elementi clinicolaboratoristici che caratterizzano la neutropenia

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Tappa 1: valutare la frequenza della neutropenia febbrile associata allachemioterapia prevista

Tappa 2: valutare i fattori che aumentano il rischio di neutropenia febbrile

Rischio 1 0–20 %Rischio ≥ 20%

Tappa 3: stimare il rischio reale di neutropenia febbrile

G-CSF profilatticoraccomandato

Rischio ≥ 20 %

G-CSF profilattico nonraccomandato

Rischio < 20 %

Rischio < 10 %

Rischio elevato: età > 65 anni

Rischio aumentat o - malattia evolutiva o avanzata(livello di prova I-II): - antecedente di neutropenia febbrile - assenza di profilassi antibiotica - assenza di profilassi con G-CSF

Rischio aumentato - cattivo stato fisiologico(livello di prova III-IV): - denutrizione - sesso femminile - emoglobina < 12 g/dl - malattia renale, cardiaca, epatica

Figura 1. Algoritmo decisionale. Algoritmo diprescrizione dei fattori di crescita granulocita-ria (G-CSF) per il trattamento profilattico dellaneutropenia febbrile. G-CSF: granulocyte-colonystimulating factor.

Tabella 2.Distribuzione delle cause di febbre su 784 episodi di neutropenia febbrileche faceva seguito a una chemioterapia antineoplastica [32].

Eziologia della febbre Numero (%)

Febbre di origine indeterminata 380 (48)

Infezione documentata clinicamente 82 (11)

Febbre con identificazione di un microrganismoBatteriemiaBatteri Gram negativi– Escherichia coli– Altri enterobatteri– Pseudomonas aeruginosa– Altri batteri Gram negativiBatteri Gram positivi– Staphylococcus aureus– Stafilococco coagulasi-negativo– Streptococcus viridans– Altri batteri Gram positiviPlurimicrobicoNon identificatoFuori batteriemia

322 (41)198 (25)69 (9)26 (3)23 (3)13 (2)7 (1)107 (13)11 (1)47 (6)35 (4)14 (2)17 (2)5 (1)124 (16)

febbrile. I modelli animali di neutropenia febbrile hanno certa-mente una mortalità superiore rispetto ai controlli, ma per uninoculo batterico meno importante, spesso plurimicrobico, la cuiporta di ingresso può essere il tubo digerente, la cui barrieramucosa è lesa, realizzando un modello di traslocazione batte-rica. È stato stimato che la ricerca microbiologica era negativanel 60% delle neutropenie febbrili e ritrovava un microrganismonel 10%; un focolaio infettivo senza documentazione microbio-logica è stato individuato nel 30% dei casi. A titolo indicativo, laTabella 2 riporta la distribuzione in una popolazione di pazienticon una neutropenia febbrile [32]. Le porte di ingresso classica-mente descritte sono:• il tubo digerente nel suo insieme, includendo la cavità orale e

le arcate dentarie, fino all’ano;• i tessuti molli e la cute, in particolare per la presenza di dispo-

sitivi di infusione impiantabili;• le vie respiratorie;• il tratto urinario.

La flora riscontrata è spesso comunitaria; così, i germi piùfrequentemente riscontrati sono quelli dei pazienti non immu-nodepressi. Tuttavia, la presenza di materiale invasivo e la rotturadelle barriere naturali predispongono al fatto che germi della floracommensale si comportino come patogeni opportunisti. Inol-tre, l’epidemiologia degli agenti infettivi varia con il tempo, lemodificazioni della popolazione bersaglio, la pressione antibio-tica e l’evoluzione delle tecniche e delle pratiche. Fino agli anni′80, predominavano i bacilli Gram negativi. Questa tendenza siè, oggi, invertita. I dati più recenti ci insegnano che sono rap-presentati maggioritariamente i cocchi Gram positivi, al primopiano dei quali Staphylococcus, con una larga predominanza distafilococchi coagulasi-negativi. I bacilli Gram negativi sono alsecondo posto, con una prevalenza di Escherichia coli. Trattandosidi pazienti frequentemente ricoverati, soggetti a delle manovreinvasive, che hanno molto spesso subito una chirurgia e nei qualiesiste una pressione di selezione antibiotica, il rischio di sviluppodi un’infezione da Pseudomonas aeruginosa e da microrganismiresistenti o pluriresistenti è molto reale. Questo dato deve essereintegrato nel ragionamento antinfettivo.

La maggioranza delle febbri che insorgono nel corso diuna neutropenia non è documentata, malgrado delle inda-gini microbiologiche ben condotte (cfr. supra). Nel contestodell’immunodepressione, non è, tuttavia, concepibile, al giornod’oggi, limitare l’instaurazione di una terapia antibiotica. Il fattodi ottenere delle emocolture negative non permette in alcunmodo di escludere una batteriemia. In effetti, le emocolture sonopositive nel 23% dei casi alla soglia di una colonia batterica permillilitro e nel 60% dei casi per dieci colonie per millilitro. Nellecondizioni di inoculo debole e con microrganismi multipli, comesi presentano le infezioni nel caso delle neutropenie febbrili, è,dunque, possibile trovarsi in una situazione di infezione battericasistemica con delle soglie di individuazione usuali in microbiolo-gia.

Inoltre, gli agenti patogeni possono essere non batterici.Nella maggioranza delle situazioni, non deve essere sospettataun’ipotesi virale o fungina. Tuttavia, le infezioni da citomegalo-virus, Candida e Aspergillus non sono eccezionali e devono esseresospettate se il paziente non risponde a una terapia antibiotica bencondotta e in presenza di segni clinici o iconografici suggestivi ose viene riscontrato uno di questi patogeni.

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� Gestione terapeuticaValutazione iniziale

Come in ogni situazione clinica d’urgenza, la valuta-zione iniziale determinerà la gestione terapeutica. Definire ilgrado di gravità potenziale o accertato modifica radicalmentel’orientamento e le modalità di trattamento.

Diagnosi clinica e di laboratorioGli esami paraclinici devono permettere di valutare la pro-

fondità della neutropenia e di individuare le complicanzeematologiche associate al trattamento, di identificare il focolaioinfettivo e il microrganismo causale e di determinare le conse-guenze dell’infezione.

L’emocromo con formula leucocitaria permette di determinarela profondità della neutropenia e di individuare un’anemia o unatrombocitopenia associate. Esso permette di guidare la decisionedi ricovero e di eventuali trasfusioni. In realtà, occorre prevedereun bilancio pretrasfusionale.

Gli esami biochimici hanno come scopo la valutazione dellafunzione renale e dell’equilibrio idroelettrolitico. Il dosaggio dellattato arterioso deve essere proposto se è individuata o sospettatauna sepsi grave. Il dosaggio venoso del lattato è meno affida-bile. Inoltre, i tumori molto avanzati possono accompagnarsi aun’acidosi lattica legata alla proliferazione tumorale. Altri esami,in particolare il bilancio epatico, sono considerati utili in primaintenzione. In caso di necessità, il bilancio epatico potrebbe per-mettere di riconoscere dei sintomi occulti di sepsi grave.

Gli esami microbiologici usuali sono la realizzazione di unesame citobatteriologico delle urine (poiché lo stick urinario è, ilpiù delle volte, negativo in caso di neutropenia) e la realizzazionedi emocolture su flaconi aerobi e anaerobi. Se il paziente non è insepsi grave o in shock settico, la regola è il prelievo di due paia diemocolture. Se il paziente è portatore di una via venosa centrale(l’84% dei pazienti di oncoematologia porta un tale dispositivo),è necessario realizzare delle emocolture differenziali tra il cateteree il sangue periferico. Se, nel flacone prelevato sul dispositivo, viè una crescita di patogeni 2 ore prima rispetto al sangue prelevatoin periferia, si tratta di un’infezione del catetere che occorre trat-tare come tale. Gli altri prelievi di laboratorio sono da eseguiresecondo il contesto clinico (coprocoltura se diarrea, per esempio).Una radiografia toracica in piedi o supini di fronte fa parte inte-grante del bilancio iniziale, se il paziente ha dei sintomi respiratorio se è discusso un trattamento ambulatoriale. Altri esami possonoessere discussi in funzione dei segni e dei sintomi.

Criteri di gravità e criteri di ospedalizzazioneNella gestione di un paziente che presenta un’infezione, devono

essere poste due domande cruciali: il paziente deve essere rico-verato? Se la risposta è sì, egli presenta dei segni di gravità chedevono far discutere il suo ricovero in terapia intensiva o in ria-nimazione?

La gravità di una neutropenia febbrile è definita dagli stessi cri-teri di ogni infezione, trattandosi dell’interazione tra un ospitee un patogeno. Il particolarismo in questo contesto è la ridu-zione delle difese dell’ospite nei confronti dell’infezione, per lacoesistenza di una riduzione quantitativa del numero delle cel-lule implicate nell’immunità innata, della possibile alterazionedelle funzioni battericide e della perdita dell’integrità della bar-riera mucosa, in particolare a livello digestivo. Questa situazioneimplica una presentazione clinica diversa e paucisintomaticaa causa della riduzione dei fenomeni infiammatori locali, delrischio di sviluppo rapido e incontrollabile di un’infezione grave,di un inoculo microbico più basso, della possibilità di infe-zioni sistemiche plurimicrobiche e dell’esposizione a dei patogeniopportunisti. È evidente che le classificazioni consuete che per-mettono di definire un’infezione o una sepsi, una sepsi grave ouno shock settico devono applicarsi alla neutropenia febbrile.Così, l’ipotensione e l’ipossiemia restano dei segni di allarmesensibilmente legati alla gravità del quadro infettivo. Viceversa,numerosi elementi utilizzati in queste definizioni pongono deiproblemi di interpretazione. Secondo la definizione, una sepsi è

la presenza di un agente infettivo in un tessuto normalmente ste-rile, accompagnata di segni clinici e paraclinici, al primo posto deiquali figurano un’iperleucocitosi oppure una trombocitopenia. Ladefinizione non è, quindi, operativa per i pazienti leucopenici.Inoltre, è stato dimostrato che i pazienti in aplasia febbrile chepresentano una sepsi grave sarebbero individuati solo una volta sudue dal medico [26]. Se l’individuazione della gravità dell’infezionerappresenta una difficoltà in ogni paziente [33], essa è ancora piùdifficile nel neutropenico. Dei segni cardinali di infezione, come latachicardia e la polipnea, sono osservati meno frequentemente esono poco discriminanti [34]. D’altra parte, la sepsi grave può esseredefinita dalla presenza di una trombocitopenia, di cui è difficiledeterminare se deriva dalla gravità di un’infezione o dalla mie-lotossicità di una chemioterapia. In questo contesto, il dosaggiodel lattato arterioso permette di riclassificare alcuni pazienti, masolo il 25% delle neutropenie febbrili che sviluppano una formagrave di infezione nelle 48 ore ha una concentrazione elevata dilattato [34]. Accanto a questa classificazione, sono stati sviluppatidei punteggi di gravità dell’infezione in situazioni d’urgenza. Duepunteggi principali sono a disposizione dei medici, il punteggioMortality in Emergency Department Sepsis (MEDS) e il punteggio«rischio di evoluzione verso la sepsi severa e lo shock» (RISSC).Questi punteggi sono validati per predire la mortalità precoce e asei mesi [35–37]. Tuttavia, il loro calcolo non è operativo al letto delpaziente, in quanto questi punteggi richiedono dei dati non dispo-nibili immediatamente. Inoltre, essi non integrano la presenzadi comorbilità il cui valore prognostico è stato assai ampiamentedimostrato nel contesto dell’infezione [38, 39]. Determinare la gra-vità dell’infezione e prevedere la sua evoluzione nel neutropenicorimangono, quindi, dei compiti complessi. In effetti, la sorve-glianza evolutiva dei pazienti permette di prendere la decisionepiù adatta.

Lo stesso vale per la decisione di ricovero o di trattamentoambulatoriale. Il punteggio sviluppato da Klatersky et al. [40] per laMultinational Association of Supportive Care in Cancer (MASCC)ha permesso di omogeneizzare i gruppi di pazienti inclusi neglistudi riguardanti, in particolare, la terapia antibiotica dei pazientineutropenici. Questo punteggio possiede l’immenso vantaggio dicomportare dei parametri per la maggior parte facilmente disponi-bili a contatto con il paziente. Il calcolo di questo indice permettedi definire a priori i pazienti ambulatoriali (indice superiore a 21)e ricoverati (indice inferiore a 21), con una pertinenza equivalentealla consulenza di esperti (sensibilità 71%, specificità 68%, valorepredittivo positivo 91%) per la comparsa di morte e di compli-canze. Alcuni dati suggeriscono che un indice più basso (inferiorea 15) prevede maggiori morbilità e mortalità [41].

Le guide di buona pratica raccomandano ai medici l’utilizzodi questo indice per guidare la decisione di ricovero dei pazientineutropenici [42]. Tuttavia, numerose situazioni cliniche, sociali eorganizzative mostrano i limiti del punteggio MASCC [5, 7]. D’altraparte, la letteratura si pone delle domande sull’efficacia di questopunteggio nella pratica dell’urgenza. Un’indagine riferisce che ilpunteggio MASCC è utilizzato in meno di un centro anticancroeuropeo su 20 per la decisione di ricovero dei pazienti che presen-tano una neutropenia febbrile. Due pubblicazioni sottolineanola debolezza del punteggio MASCC nel contesto della praticadella medicina d’urgenza. I pazienti provenienti da queste casi-stiche presentano spesso un’infezione grave, richiedono spessoun ricovero ospedaliero e la loro mortalità intraospedaliera nonè trascurabile. Ora, il punteggio MASCC è in contraddizione conla pratica di ospedalizzazione e con la prognosi dei pazienti [26, 43].L’applicabilità di questa regola di decisione sembra dunque, perora, poco pertinente in medicina d’urgenza.

Ruolo dei bioindicatoriI bioindicatori utilizzabili nella pratica clinica per la diagnosi e

la prognosi delle infezioni sono, a tutt’oggi, limitati alla proteinaC-reattiva (PCR) e alla procalcitonina (PCT).

La PCR, benché sia stata valutata, non ha dimostrato la sua uti-lità. Anche se delle conferenze di esperti raccomandano il suoutilizzo [4] e alcuni studi suggeriscono il suo carattere progno-stico [44], la scarsa specificità della PCR spinge a non utilizzarlanella pratica corrente.

4 EMC - Urgenze

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Neutropenia febbrile e Pronto Soccorso � I – 24-160-A-10

La PCT è fisiologicamente sintetizzata dalle cellule C dellatiroide. Corrisponde al pro-ormone della calcitonina, implicatanella regolazione del metabolismo fosfocalcico. Essa aumenta incaso di infezione batterica e parassitaria, di cui è considerataspecifica. La PCT è, allora, sintetizzata dal fegato e dalle cellulemonocitiche [45]. Il suo ruolo fisiologico in questa situazione èattualmente discusso. Nelle popolazioni particolari dei pazientidi oncologia, un aumento della PCT legato al processo tumo-rale o, almeno, indipendente da un’infezione è stato descritto neicancri broncopolmonari a piccole cellule e nella maggior partedelle emopatie maligne (leucemie acute linfoblastiche e mielo-blastiche, linfomi B e malattia di Hodgkin) [46]. Ovviamente, laPCT è l’indicatore della massa tumorale del cancro midollare(«a cellule C») della tiroide, che sintetizza della calcitonina. Neipazienti che presentano una neutropenia febbrile postchemiote-rapia, la PCT è stata descritta come meno elevata che nei pazientinon neutropenici. Le concentrazioni di PCT sembrano avere unvalore diagnostico e prognostico [47]. Valori molto bassi di PCT(0,1-0,25 ng/ml) potrebbero escludere la presenza di un’infezionebatterica grave. Il valore di PCT è correlato meglio alla gra-vità dell’infezione che all’individuazione di una batteriemia [48, 49].L’utilità di questo indicatore sembra promettente, ma i contornidel suo utilizzo sono oggi insufficientemente definiti per un usodi routine in questa situazione clinica.

Orientamento e terapia antibiotica inizialeIl trattamento antibiotico è empirico e si basa sui dati indi-

viduali del paziente, sulla presenza di una colonizzazione esulla conoscenza dell’ecologia locale di una struttura di cure.Esso è determinato anche dalle caratteristiche microbiologichedell’infezione nel neutropenico (cfr. supra) e dal presunto sitodell’infezione.

È opportuno definire tre situazioni ben distinte che dannoluogo a tre algoritmi.

Trattamento ambulatoriale e terapia antibioticaorale

Questa opzione è certamente complessa da mettere in praticaper l’urgentista, il cui obiettivo è di limitare il rischio corso dalpaziente. In un certo numero di situazioni, questa opzione è, tut-tavia, ipotizzabile. Diversi studi e una metanalisi hanno stabilitoche, in una popolazione attentamente selezionata, una terapiaantibiotica ambulatoriale era sicura ed efficace quanto un tratta-mento parenterale in ambiente ospedaliero [50]. Così, un’indagineha dimostrato che la stragrande maggioranza degli oncoemato-logi trattava alcuni pazienti neutropenici febbrili in ambulatorio.Prendere questa decisione dipende, tuttavia, da una valutazioneminuziosa del rischio individuale del paziente. Un fattore scono-sciuto è sapere se questo trattamento ambulatoriale deve essereattuato dopo un periodo di osservazione in ambiente ospeda-liero. Occorre ricordare che i pazienti inclusi negli studi che hannotestato la strategia del trattamento orale ambulatoriale erano valu-tati in ospedale per 6-24 ore prima della dimissione al domicilio.Inoltre, questi pazienti beneficiavano di un follow-up estrema-mente rigoroso e irrealizzabile nella pratica corrente. Uno studiorecente mostra che il 9% dei pazienti posti in osservazione per24 ore ha sviluppato una complicanza [51]. L’applicabilità della pro-cedura è, quindi, soggetta a cautela.

I criteri che permettono di prendere in considerazione unadimissione e un trattamento ambulatoriale sono noti; unpaziente può uscire della struttura di cure sotto alcune condi-zioni [5, 7, 40, 41, 52].

Prendere in considerazione l’insieme di questi criteri è, ovvia-mente, troppo lungo e complesso per essere applicabile di routine.L’utilizzo del punteggio MASCC, anche se raccomandato dallamaggior parte delle società di oncoematologia [53], non è appli-cabile in Pronto Soccorso. La società nordamericana di patologiainfettiva raccomanda in modo più pragmatico che i pazientiambulatoriali siano quelli la cui neutropenia dati da sette giornio meno e il cui stato clinico sia stabile e senza comorbilità asso-ciate [7].

Tabella 3.Terapia antibiotica orale di prima intenzione per le neutropenie febbrili a«basso rischio».

Terapia antibiotica orale Riferimenti bibliografici

Ofloxacina [81]

Ciprofloxacina [82]

Ciprofloxacina + clindamicina [83]

Ciprofloxacina + penicillina [84]

Ciprofloxacina + ampicillina/sulbactam [85]

Ciprofloxacina + amoxicillina/acidoclavulanico

[86–88]

La terapia antibiotica di elezione è una terapia antibiotica orale.Diverse strategie sono state riportate in letteratura. Il loro fon-damento si basa sullo spettro che copre la flora usuale di unaneutropenia febbrile. Le opzioni scelte dalle diverse società scienti-fiche sono esposte nella Tabella 3. La terapia antibiotica più spessoutilizzata in Francia è l’associazione amoxicillina-acido clavula-nico e ciprofloxacina. Questa combinazione è stata oggetto didiversi studi terapeutici di alto livello di prova ed è da privile-giare, in quanto permette di coprire lo spettro dei germi aerobi eanaerobi potenziali in questo contesto [7]. Tuttavia, altre strategiesono possibili e provate da studi di impatto.

Ospedalizzazione in assenza di segni di gravitàdella sepsi

I pazienti che non rispondono ai criteri di non ricovero(cfr. supra) devono beneficiare di una sorveglianza in ambienteospedaliero associata a una terapia antibiotica parenterale endo-venosa.

Il ricovero in ospedale ha idealmente luogo nel servizioreferente per la malattia oncoematologica. Una sorveglianza attra-verso il monitoraggio continuo non è utile.

La scelta della terapia antibiotica dipende dalla flora delpaziente (portatore di microrganismi multiresistenti o di una colo-nizzazione specifica) e dall’ambiente (epidemia comunitaria onosocomiale). In assenza di una specificità presumibile dell’agentepatogeno, la terapia antibiotica deve essere probabilista. Nelpaziente neutropenico infetto sono possibili in prima intenzionemolteplici combinazioni di antibiotici. Numerose sono quelle chesono state testate in studi clinici e, quindi, adottate dalle associa-zioni professionali. Sono possibili delle monoterapie così comedelle associazioni. Esse sono riassunte nella Tabella 4, insiemealle associazioni professionali o ai gruppi di esperti che le hannoraccomandate.

Le raccomandazioni più recenti propongono l’utilizzo di unamonoterapia con piperacillina/tazobactam, cefepime oppure unamolecola della famiglia dei penemi (imipenem o meropenem) [7].La piperacillina è un’ureidopenicillina e il cefepime è una cefa-losporina detta di quarta generazione. Queste molecole hannodelle specificità comuni in termini di spettro antibatterico. Laloro attività è estesa ai bacilli Gram negativi, compreso il bacillopiocianeo. Lo spettro della piperacillina e dei penemi interessaanche in modo molto ampio i cocchi Gram positivi, compresigli enterococchi, frequentemente incriminati in caso di portadi ingresso digestiva. Ciò non vale per il cefepime, poiché glienterococchi sono naturalmente resistenti alle cefalosporine. Lacombinazione con tazobactam permette di estendere lo spet-tro antibiotico ai batteri produttori di �-lattamasi. L’attività suimicrorganismi anaerobi è sufficientemente ampia in prima inten-zione, ma non comprende, in particolare, il Clostridium difficile.Cefepime, penemi e piperacillina/tazobactam sono raccomandatiin monoterapia.

Numerose sono le strategie che hanno associato un aminogli-coside alle �-lattamine. L’aggiunta di un aminoglicoside non èpiù raccomandata ai nostri giorni [5, 7]. In teoria, l’associazione hal’obiettivo di essere sinergica, con concentrazione battericida econ un ampio spettro, e di ridurre il rischio di comparsa di resi-stenza. In pratica, la società nordamericana di infettivologia [5]

ritiene, dall’inizio del 2000, che monoterapia e biterapia siano

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Tabella 4.Terapia antibiotica parenterale di prima intenzione delle neutropenie feb-brili ad «alto rischio».

Società scientifiche Monoterapia antibiotica

FNCLCC �-lattamina ad ampio spettro (salvo in casodi shock settico)

IDSA/NCCN/IHO/SEQ Cefepime

IDSA/NCCN/IHO Meropenem

IDSA/IHO/SEQ/EORTC CeftazidimaImipenem-cilastatinaTazobactam-piperacillina

Società scientifiche Associazione antibiotica

FNCLCC Aminoglicoside + �-lattamina

IDSA Aminoglicoside + tazobactam-piperacillinaAminoglicoside + cefpirome/ceftazidimaAminoglicoside + imipenem-cilastatinaAminoglicoside + meropenem

NCCN Aminoglicoside/ciprofloxacina + �-lattaminaantipiocianicaAminoglicoside + cefalosporina ad ampiospettro

IHO Aminoglicoside + acilaminopenicillinaAminoglicoside + cefalosporina di terza oquarta generazione

SEQ Non consigliata nella pratica corrente

EORTC: European Organisation for Research and Treatment of Cancer; FNCLCC:Fédération nationale des centres de lutte contre le cancer; IDSA: InfectiousDisease Society of America; NCCN: National Comprehensive Cancer Network;IHO: Infectious Disease Working Party of the German Society of Haematologyand Oncology; SEQ: Sociedad Espanola de Quemioterapia.

equivalenti per il trattamento di una neutropenia febbrile, appog-giandosi in particolare su una metanalisi basata su 29 studi [54].Nel 2003, un altro lavoro che integrava 46 studi randomizzatiha mostrato che, oltre all’equivalenza in termini di efficacia,la biterapia non diminuirebbe il rischio di mutanti resistenti eaumenterebbe la tossicità renale e l’ototossicità [55]. Le indicazionidella biterapia che associa �-lattamina e aminoglicosidi (fuori dalcontesto della sepsi grave e dello shock settico, cfr. infra) sono leinfezioni presunte da germi multiresistenti e da P. aeruginosa [56].

Un’altra questione è quella del ruolo dei glicopeptidi in primaintenzione, per lottare contro le infezioni da cocchi Gram posi-tivi possibilmente resistenti alla terapia antibiotica di prima linea.La molecola più diffusa e più ampiamente utilizzata è la vanco-micina. Una metanalisi, pesantemente influenzata da uno studiocondotto dall’European Organisation for Research and Treatmentof Cancer, ha mostrato che il beneficio modesto in termini ditempo di risoluzione della febbre era largamente controbilanciatodagli effetti secondari nefrologici della molecola, senza ridurre lamortalità [57]. Nel caso di un sospetto di infezione da stafilococcoaureo resistente alla meticillina o di infezione legata al catetere(cfr. infra), l’utilizzo della vancomicina è raccomandato secondoil parere di esperti [7].

Ricovero in ospedale, segni di gravità della sepsiDall’inizio degli anni ′90, sono stati compiuti degli sforzi con-

siderevoli per migliorare la prognosi delle infezioni più gravi.A partire dal 1992 compaiono delle definizioni consensuali chepermettono di includere negli studi dei pazienti omogenei e difar progredire la conoscenza e la qualità delle cure [8, 9]. Malgradociò, la constatazione a partire dal 2000 è quella di un progressoinsufficiente, con una mortalità dei pazienti infetti sempre moltoelevata. Undici società scientifiche hanno, allora, unito le loroenergie per creare la Surviving Sepsis Campaign, il cui scopo èstato quello di redigere delle regole di gestione dello shock set-tico e della sepsi grave, per diffondere delle raccomandazioni eomogeneizzare la gestione. Queste raccomandazioni sono stateproposte per rispondere all’insieme dei pazienti [58]. Malgrado ciò,esse non potevano considerare le particolarità dell’insieme delle

situazioni cliniche, in particolare la neutropenia. La società dioncoematologia tedesca ha recentemente proposto degli elementidi risposta quanto alla gestione della sepsi grave e dello shock set-tico nel corso delle neutropenie febbrili [42]. Come è stato riportato(cfr. supra) e come notano gli autori tedeschi, il tasso di leuco-citi non è utilizzabile per la definizione dell’infezione e della suagravità. Lo stesso vale anche per il tasso di piastrine, che puòintegrarsi nel quadro della mielotossicità del trattamento.

Antibioticoterapia inizialePochi studi recenti hanno testato specificamente le strategie

antibiotiche della sepsi grave e dello shock settico nel pazienteche presenta una neutropenia. Le raccomandazioni sono, quindi,state definite secondo i pareri di esperti o per analogia con ilpaziente non neutropenico. Il trattamento è consigliato per viaparenterale endovenosa per accertarsi della biodisponibilità degliantibiotici. Si raccomanda il minor ritardo possibile. Gli studidisponibili sul soggetto sono limitati. In casistiche retrospettive dipazienti neutropenici ricoverati in rianimazione per delle formegravi di infezione, il tempo medio della terapia antibiotica eradi 170-224 minuti [59, 60]. Oltre il limite di 2 ore tra l’arrivo e laprima dose di antibiotici, la mortalità a 30 giorni aumentavasignificativamente in pazienti oncologici infetti ricoverati in ria-nimazione, fra i quali la metà presentava una neutropenia [61]. Lediverse raccomandazioni suggeriscono, quindi, di somministraregli antibiotici con il minor ritardo possibile [7, 42]. Tuttavia, il ter-mine temporale non è specificato. Uno studio realizzato su unacoorte di pazienti di rianimazione ha dimostrato che il ritardodella prima dose di antibiotici aveva un impatto pesante sulla pro-gnosi [62]. La terapia antibiotica iniziale associa una �-lattaminaad ampio spettro a un aminoglicoside e alla vancomicina. Le�-lattamine proposte sono o l’imipenem o il meropenem ol’associazione piperacillina-tazobactam. Un’alternativa propostaè l’utilizzo della ceftazidima. Così, è proposto un insieme dimolecole che hanno un’attività contro il bacillo piocianeo. Lemodalità di utilizzo, sequenziale o continuo, delle molecole,non sono disponibili. È opportuno, quindi, comprendere chesi preferisce una somministrazione sequenziale, per mancanzadi studi sul soggetto. Per quanto riguarda l’aminoglicoside asso-ciato, non è chiaramente emanata alcuna raccomandazione, ela molecola è lasciata alla valutazione del medico. È, tuttavia,ragionevole privilegiare un aminoglicoside la cui attività controP. aeruginosa sia abitualmente conservata, ossia la tobramicina ol’amikacina, piuttosto che la gentamicina. D’altra parte, benchénessuno studio abbia dimostrato la superiorità di un’associazione�-lattamina/aminoglicoside su una monoterapia con �-lattamina,i pareri degli esperti per i pazienti neutropenici e non neutrope-nici concordano e depongono a favore dell’associazione. Occorre,tuttavia, tenere a mente che l’effetto postantibiotico degli ami-noglicosidi è limitato nel paziente neutropenico [63]. Per quantoriguarda la vancomicina, il suo utilizzo in prima intenzione èraccomandato da esperti.

Espansione volemica e vasopressoriPer quanto riguarda la gestione di un’insufficienza emodina-

mica, non esiste alcuna specificità del paziente neutropenico feb-brile [42, 58]. Si tratta di un trattamento che associa un’espansionevolemica guidata da obiettivi macrocircolatori (pressione arte-riosa media, diuresi, pressione venosa centrale) e microcircolatori,come la saturazione in ossigeno del sangue venoso misto e la clea-rance del lattato arterioso (Fig. 2). Il gruppo di lavoro tedesco nonraccomanda di privilegiare un atteggiamento meno invasivo nelneutropenico. Le soluzioni di riempimento possono essere dei cri-stalloidi o dei colloidi (a esclusione dell’albumina). Il farmacovasoattivo di scelta è la noradrenalina. Essa può essere asso-ciata alla dobutamina in caso di depressione miocardica associata.L’associazione noradrenalina/dobutamina è, peraltro, equivalenteall’utilizzo di adrenalina da sola [64]. Il supporto renale (depura-zione extrarenale) non è oggetto di raccomandazioni particolarida parte degli oncoematologi.

Supporto ventilatorioIl distress respiratorio compare frequentemente nel paziente

immunodepresso e, in particolare, al momento della neutrope-nia. Si stima che, tra i pazienti neutropenici con un’infezione

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Gestione iniziale (90 minuti)Riconoscere e trattare il focolaio infettivo

Ottimizzare l'emodinamica su degli obiettivi

Sepsi grave e shock settico

Emodinamica:- PA media > 65 mmHg- SpO2 > 95%Diuresi > 0,5 ml/kg/hFocus antinfettivo:eradicazione del focolaio infettivo

ValutazioneMonitoraggio continuo

Diuresi orariaLattato: laboratorio standard

MicrobiologiaDiagnostica per immagini

Mezzi terapeuticiEspansione volemica

Cristalloidi 50 ml/15 minOssigenoterapia

Antibioticoterapia precoceadattata

Chirurgia di un focolaio infettivo

Segni di ipoperfusionee/o PA media < 65 mmHge/o diuresi < 0,5 ml/kg/h

Rianimazione (6 ore)

Espansione volemicaNoradrenalina

Trasfusione di concentratieritrocitari (Hb > 8 g/dl)

Espansione volemica (dobutamina,adrenalina) secondo il monitoraggio

Mezzi:- catetere venoso centrale- pressione arteriosa invasiva- lattato- controllo infettivo- microbiologia- test ACTH- steroidi- ventilazione meccanica

Discutere la sospensione degli steroidi (se test ACTH positivo)Discutere la vasopressina (se noradrenalina efficace)

Discutere la riduzione del livello di cure (se obiettivi raggiunti)

Presenza di comorbilità, infezione di prognosi infausta, obiettivi non raggiunti, lattato > 4 mmol/l

Obiettivi

Adattamento del trattamentoMantenimento degli obiettivi

ScvO2 < 70%

Figura 2. Algoritmo decisionale. Algoritmo digestione della sepsi grave e dello shock setticosecondo le raccomandazioni francofone gui-date dalle raccomandazioni internazionali [58].Hb: emoglobina; PA: pressione arteriosa;SpO2: saturazione parziale in ossigeno;ScvO2: saturazione in ossigeno del sanguevenoso cavale superiore; ACTH: adrenocortico-trophic hormone (Synacthen®).

grave, la metà svilupperà un’insufficienza respiratoria [42, 65]. Que-sta insufficienza è associata a una pesantissima morbilità eha un’influenza molto sfavorevole sulla prognosi. Per quantoriguarda il supporto ventilatorio, un’equipe francese ha dimo-strato l’interesse di una ventilazione non invasiva in 52 pazientiimmunodepressi, fra i quali c’erano 30 neutropenie febbrili, nellafase precoce di un’insufficienza respiratoria con infiltrati polmo-nari radiologici [66]. In questo studio, l’instaurazione precoce diuna ventilazione non invasiva ha permesso di ridurre il numerodelle intubazioni, così come la morbilità e la mortalità. Attual-mente, la realizzazione di una ventilazione non invasiva è una

raccomandazione di grado 2 + per il trattamento dell’insufficienzarespiratoria acuta ipossiemica nel paziente immunodepresso,includendo la neutropenia, in assenza di ipotensione o di disturbidella vigilanza associati [67].

Proteina C attivataLa modulazione dell’apoptosi delle cellule endoteliali e la

gestione della coagulopatia di consumo sono uno dei bersaglidel trattamento adiuvante. L’utilizzo della proteina C attivata(drotrecogin), un anticoagulante naturale, deve essere discussonei pazienti in shock settico con almeno due insufficienze

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d’organo [58]. Il beneficio di questo prodotto è stato dimostrato instudi randomizzati di alto livello di prova, ma invalidato moltorecentemente dallo studio Prowess-Shock. I pazienti inclusi inquesti studi erano raramente in aplasia, poiché la mielotossicitàlimita l’utilizzo della molecola a causa della trombocitopenia che-mioindotta. In effetti, un limite di utilizzo del drotrecogin è untasso di piastrine inferiore a 30 000/�l.

Terapia corticosteroideaL’utilizzo della terapia corticosteroidea a bassa dose nello shock

settico sotto catecolamine da più di 6 ore è un soggetto di dibat-tito continuo. Il razionale di questo trattamento è l’esistenza diun’insufficienza surrenalica relativa nel corso dello shock setticoin alcuni pazienti [68]. Peraltro, l’utilizzo di steroidi a basse dosifavorirebbe l’espressione di membrana dei recettori adrenergicie, quindi, la sensibilità dei vasi ai farmaci vasopressori [69]. Deglistudi hanno riscontrato un beneficio di questo trattamento intermini di morbilità e di mortalità, ma il loro risultato è stato con-trobilanciato dallo studio CORTICUS, che non riscontra beneficisulla mortalità a 28 giorni, con un eccesso di infezioni seconda-rie [70]. Questi elementi fanno discutere l’utilizzo di tale strategia,che rimane raccomandata in Francia ma che non è sostenuta dallasocietà di oncologia e di ematologia tedesca. Occorre, ovviamente,dissociare questo aspetto dal rinforzo dell’opoterapia sostitutivanei numerosi pazienti sottoposti a una terapia corticosteroidea alungo corso, che rimane la regola.

Il trattamento di sostegno è riassunto nella Figura 1.

Specificità secondo il sito presunto dell’infezioneCome nel paziente non immunodepresso, scoprire o sospettare

una porta di ingresso infettiva giustifica l’utilizzo di una terapiaantibiotica che copra i patogeni abitualmente osservati a partireda tale sito.

Cateteri venosi centraliI microrganismi riscontrati con maggiore frequenza nelle emo-

colture dei pazienti neutropenici febbrili sono gli stafilococchicoagulasi-negativi. Ciò è legato alla frequenza dei sistemi di infu-sione impiantati. L’associazione alla terapia antibiotica abitualedi un trattamento con vancomicina è, allora, indicata in primaintenzione, idealmente attraverso la via centrale incriminata.Nella maggior parte delle situazioni, l’infezione può essere trattatasenza procedere alla rimozione del catetere. Rimuovere il cate-tere è indicato se esistono una tunnellite (infezione del tragittosottocutaneo), un’endocardite, una tromboflebite settica, una bat-teriemia persistente per più di tre giorni malgrado un trattamentoantibiotico adatto [7] e un’infezione fungina o da microrganismiinconsueti tipo micobatteri atipici. Ovviamente, la presenza o lacomparsa di segni di gravità dell’infezione impongono il controllocompleto del sito infetto mediante il ritiro del dispositivo nel piùbreve tempo possibile. L’utilizzo di un «blocco antibiotico» è unapratica che, anche se diffusa, non è stata per ora oggetto di unavalutazione scientifica sufficiente per essere raccomandata [7].

Dermoipodermite e celluliteLa flora responsabile delle infezioni del derma e dell’ipoderma è

spesso polimicrobica e comporta spesso dei cocchi Gram positivi.Il rischio di queste infezioni è l’evoluzione verso una dermoipo-dermite necrotizzante, la cui gestione chirurgica è più rischiosa ecomplessa nel contesto della neutropenia. L’aggiunta precoce divancomicina è, anche in questo caso, la regola [7, 42, 57].

CandidosiLa presenza di una candidosi impone l’introduzione precoce

di un trattamento antifungino (fluconazolo) con una modifi-cazione rapida del trattamento in caso di mancato controllodell’infezione.

Diarrea e coliteL’emergenza di Clostridium difficile è facilitata dalla pressione

antibiotica e dal passaggio ricorrente dei pazienti in strutture dicure. Sospettare il Clostridium difficile implica l’introduzione dimetronidazolo.

La colite neutropenica corrisponde a un’effrazione diffusa dellabarriera mucosa e all’invasione plurimicrobica della parete ente-rale, che diviene la sede di una proliferazione batterica. Essa può

complicarsi con una pneumatosi colica, che corrisponde all’uscitadi gas nella parete digestiva, o con la proliferazione di speciegasogene (anaerobi, alcuni enterobatteri). La diagnosi è eseguitamediante TC, il trattamento è abitualmente medico e il ricorsoalla chirurgia è un’opzione da considerare solo in un paziente lacui sepsi non può essere controllata diversamente.

Lesioni cutanee vescicolari. Sospetto di infezione viraleSi impone la realizzazione di prelievi specifici e di una docu-

mentazione dell’infezione virale. Un trattamento con aciclovirdeve essere proposto in prima intenzione. L’introduzione di gan-ciclovir deve essere decisa solo se esiste una forte presunzione diinfezione da citomegalovirus [7].

Infiltrati polmonariLa comparsa di lesioni polmonari è frequente nei pazienti

neutropenici febbrili. Le diagnosi possibili sono molto variee numerose, e questa situazione clinica deve far sospettaredelle cause non infettive. Tuttavia, è fondamentale coprire igermi regolarmente implicati in questo tipo di patologia. Unacopertura delle infezioni definite comunitarie è indispensabile.Così, Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae e Legionellapneumophila devono essere considerati come degli agenti pos-sibilmente in causa e la terapia antibiotica deve essere attivasu questi batteri. D’altra parte, la frequenza e la gravità dellelesioni respiratorie da Aspergillus fumigatus devono far prenderein considerazione un trattamento specifico. Una rivalutazionefrequente e regolare della risposta alla terapia deve guidare ilricorso alla TC toracica e al lavaggio broncoalveolare, così comeall’introduzione di trattamenti antifungini attivi su Aspergillus ePneumocystis [7].

MeningococcoQuesta situazione poco frequente deve portare a eseguire una

puntura lombare e delle indagini di diagnostica per immaginispecifiche in caso di segni di localizzazione, di convulsioni o diencefalite. La puntura lombare deve essere inquadrata da una tra-sfusione di piastrine, se esiste una trombocitopenia che esponeal rischio emorragico (inferiore a 30 000/�l). Nel caso di una coa-gulopatia da consumo con forte rischio emorragico, il beneficiodella puntura lombare rispetto alla terapia empirica ad ampio spet-tro deve essere discusso caso per caso, poiché non esiste alcunaregola in questo contesto. Si deve notare che l’utilizzo di steroidia forti dosi come trattamento adiuvante della meningite battericanell’immunodepresso in generale e nel paziente neutropenico inparticolare non ha dimostrato benefici [7, 42].

Fattori di crescita emopoieticiLa prevenzione della neutropenia febbrile passa per l’utilizzo dei

fattori di crescita che permettono la stimolazione della linea gra-nulocitica. Numerosi studi ripresi da due metanalisi dimostranol’utilità di questi prodotti per ridurre la mortalità globale, ma,soprattutto, la mortalità legata alle infezioni [71, 72]. Gli studi cheutilizzano il granulocyte macrophage-colony stimulating factor (GM-CSF) non hanno portato all’ampio utilizzo nella pratica clinicain questa indicazione. Il prodotto utilizzato è il granulocyte-colonystimulating factor (G-CSF). Numerosi studi hanno permesso disostenere il beneficio di un trattamento profilattico con le varieforme di G-CSF sulla comparsa di una neutropenia chemioin-dotta nel trattamento dei tumori solidi e dei linfomi. Il rischiorelativo è, infatti, diminuito dal 25% al 90%, a seconda delleneoplasie e delle chemioterapie utilizzate. Questi studi hanno uti-lizzato tre molecole: il lenograstim, il filgrastim e la sua formapegilata, il pegfilgrastim. La loro somministrazione si fa per viasottocutanea. Il pegfilgrastim è una formulazione a liberazioneprolungata, che richiede una dose unica in seguito (a 24 ore, ingenere) alla somministrazione della chemioterapia. Gli schemi disomministrazione sono simili per il lenograstim e il filgrastim;questi prodotti devono essere iniziati dopo la chemioterapia (apartire dalla ventiquattresima ora in genere), una volta al giornoe fino alla normalizzazione della conta dei neutrofili. Così, la com-parsa di un episodio di aplasia febbrile deve portare a proseguireil lenograstim oppure il filgrastim secondo lo schema di sommi-nistrazione giornaliera, fino all’uscita dall’aplasia. L’utilizzo del

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pegfilgrastim permette di coprire tutto il periodo di aplasia e per-mette di non reiterare la somministrazione di G-CSF durante ilperiodo critico.

Una metanalisi basata su 13 studi ha mostrato che l’utilizzoconcomitante di fattori di crescita mieloidi permette di ridurre ladurata della neutropenia e del ricovero, ma non la mortalità glo-bale [73]. Nei pazienti non neutropenici, l’utilizzo di G-CSF cometerapia adiuvante non è tossico ma non fornisce alcun benefi-cio [74, 75]. L’utilizzo di G-CSF è stato incriminato come associato alesioni alveolari al termine dell’aplasia, senza evidenze scientifi-che formali [74, 76].

Al momento della comparsa di un’aplasia febbrile,l’introduzione a scopo curativo di G-CSF non ha attualmentedimostrato alcuna efficacia. Nei pazienti senza elementi di gravitàdell’infezione, l’introduzione di G-CSF non è mai stata indicata inun paziente che non aveva ricevuto questo prodotto prima dellacomparsa dell’evento. Nei pazienti neutropenici che presentanouno stato di shock settico o una sepsi grave, le raccomandazionisono a lungo rimaste prudenti, lasciando al medico la libera sceltadell’introduzione di G-CSF. Le guide di buona pratica più recentihanno concluso per l’assenza di indicazione del G-CSF in ambitocurativo, qualunque sia la condizione clinica del paziente, senzache sia stata ottenuta la prova di questa affermazione [20].

Trasfusioni di globuli bianchiQuesta situazione è eccezionale e gli studi sul soggetto sono

marginali. Le indicazioni sono, il più delle volte, discusse caso percaso in situazioni di salvataggio, che sfuggono ad ogni substratoscientifico. Un solo studio di fase III, che ha incluso un modestonumero di pazienti, ha valutato l’interesse dei concentrati leuco-citari e non ha dimostrato alcun beneficio nell’utilizzo di questaopzione terapeutica [77]. Al contrario, sono stati descritti numerosieffetti secondari, quali delle lesioni alveolari, delle alloimmu-nizzazioni e delle infezioni da citomegalovirus. L’indicazionedella trasfusione di concentrati leucocitari è, quindi, una terapiad’eccezione da discutere in occasione di infezioni invasive noncontrollate, in particolare di origine fungina.

Trasfusioni di concentrati eritrocitarie piastrinici

La presenza di una neutropenia è, in genere, la testimonianzadella tossicità midollare dei citostatici. Essa si accompagna spessoa un’altra citopenia, che può richiedere delle trasfusioni. Nelquadro della neutropenia febbrile, si devono integrare la dimen-sione della sepsi e le sue caratteristiche proprie. Le soglie ditrasfusione dei concentrati di globuli rossi non devono essere dif-ferenti da quelle applicate nel paziente non neutropenico [78]. Unasoglia compresa tra 8 e 9 g/dl sembra sufficiente per assicurareun’ossigenazione tissutale nel quadro dell’infezione. Le preroga-tive in termini di qualità dei prodotti trasfusionali devono tenereconto più della malattia di fondo e dell’ospite (progetto di tra-pianto allogenico e status virale, per esempio) che del contestoinfettivo. Per quanto riguarda il tasso di piastrine, una soglia a20 000/�l permette una resa migliore che una soglia più bassa(10 000/�l) e risparmia delle trasfusioni. Dei livelli di piastrine di30 000/�l o più sono accettabili in una situazione che richieda ungesto invasivo [79, 80]. Occorre notare che la trasfusione di piastrinenel contesto di un’infezione è ritenuta meno efficace, senza chesia stata fornita la prova di questa affermazione.

Misure «barriera»

La questione delle misure di isolamento è complessa, in quantospesso empirica. Essa si basa sul principio di attenzione massima.Deve essere adeguata per essere applicata ai servizi d’urgenza.

Come per ogni paziente e ogni situazione clinica, la prima e lapiù efficace delle misure da considerare è un lavaggio delle mani.È consigliabile l’utilizzo di una soluzione idroalcolica.

Le misure «barriera» abituali devono essere applicate a tuttii pazienti [7]. Peraltro, sono fortemente raccomandati un’igienerigorosa con bagno o doccia quotidiani e lavaggi perineali dopola defecazione. Le altre misure di isolamento sono discusse. Inparticolare, la società nordamericana di infettivologia non racco-manda l’uso di una maschera o il ricovero in una camera singola

Misure terapeutiche:- misure barriera e isolamento respiratorio- prosecuzione del G-CSF profilattico- sostegno trasfusionale (piastrine e GR)Valutazione diagnostica e prognostica:- anamnesi e tipo di cancro e di trattamento- valutazione clinica- bilancio di laboratorio

Neutropenia febbrile in Pronto Soccorso

Associazione terapia antibioticaentro l'ora:- β-lattamina antipiocianea- + aminoside- + aglicopeptideTrattamento di sostegno guidatoda obiettivi:- espansione volemica (cristalloidi)- ossigenoterapia- vasopressori secondo necessità- discutere VNI se ipossiemiaSorveglianza:- PA media- SpO2- diuresi- lattato arterioso

Segni di gravitàimmediata

Sepsi grave/shock settico

Assenza di segni digravità immediata

Stabilità dello stato clinico eneutropenia prevedibile ≤ 7 giorni

e assenza di comorbilità

Monoterapia antibioticaprecoce:- piperacillina-tazobactam- o imipenem/meropenem- o cefepimeOspedalizzazione

Associazione antibioticoterapiaprecoce:- amoxicillina-acido clavulanico- + ciprofloxacinaSorveglianza evolutiva (12-24 ore)Prima della decisione della sededi trattamento:- ambulatorio in assenza dicomplicanze- ricovero in ospedale se complicanze

SìNo

Misure generali comuni

Alto rischio Basso rischio

Figura 3. Algoritmo decisio-nale. Proposta di algoritmodi gestione della neutropeniafebbrile in Pronto Soccorso.G-CSF: granulocyte-colony sti-mulating factor; GR: globulirossi; PA: pressione arteriosa;SpO2: saturazione parziale inossigeno; VNI: ventilazione noninvasiva.

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per la gestione di una neutropenia febbrile, salvo in caso di auto-trapianto e di allotrapianto. Tuttavia, occorre constatare che lapratica è ben diversa in Francia e che, nel contesto delle urgenzedove esiste un numero importante e difficile da controllare di vet-tori, l’uso della maschera rimane una regola tacita. L’uso di unamaschera da ossigeno nel paziente ipossiemico non può essereconsiderato un isolamento respiratorio in senso stretto. Malgradociò, l’uso di una maschera protettiva e l’ossigenazione sono spessoincompatibili, ma la sicurezza del paziente deve prevalere e deveessere ponderata su scala individuale. Non si può, quindi, pro-porre alcuna regola. I pazienti trapiantati devono beneficiare diun isolamento in camera singola. Per i pazienti che sono sotto-posti a trapianto di midollo allogenico, lo standard di assistenzaè l’isolamento in una camera a flusso laminare con trattamentodell’aria (filtro dell’aria ad alta efficacia e rinnovo di 12 volumi diaria per ora).

Piante e fiori tagliati sono vietati. I cibi sono tipicamente cotti ela frutta e la verdura devono essere lavate attentamente. Un solostudio randomizzato ha potuto determinare che l’apporto di fruttae verdura non modificava la prognosi [7].

Il personale deve riferire un possibile contagio infettivo oun’infezione evolutiva possibilmente contagiosa [7].

� In praticaIn Pronto Soccorso, la gestione iniziale della neutropenia feb-

brile si basa sul riconoscimento della diagnosi e sulla valutazionedella gravità, che determinerà la strategia terapeutica.

Gli strumenti abituali usuali di valutazione e di orienta-mento sono inefficaci in questo contesto e la dimissione delpaziente può essere presa in considerazione solo dopo un periododi osservazione evolutiva di 12-24 ore, salvo parere diversodell’oncoematologo. Il ricovero in ospedale è l’opzione conside-rata più spesso. La terapia antibiotica deve essere somministrataprecocemente e il suo spettro deve essere sufficientemente ampioda coprire i microrganismi usuali. In particolare, in caso di segnidi gravità, le raccomandazioni consigliano un trattamento anti-biotico a spettro molto ampio. I pazienti devono beneficiare dimisure barriera, anche respiratorie, nel contesto delle urgenze. Iltrattamento con G-CSF profilattico deve essere proseguito; non èlecito introdurre a scopo curativo il G-CSF. Il trattamento sinto-matico è, per il resto, privo di specificità. La Figura 3 riassume lastrategia di gestione.

� ConclusioniA tutt’oggi, non esiste alcuna raccomandazione specifica per la

gestione in Pronto Soccorso del paziente neutropenico febbrile.Ora, i progressi terapeutici e l’invecchiamento della popolazionesi accompagnano a un aumento del numero dei pazienti che sof-frono di una patologia oncologica, con pazienti spesso portatoridi comorbilità. Diventa evidente che il trattamento delle compli-canze dei pazienti di oncologia farà, in futuro, un più frequentericorso ai servizi di Pronto Soccorso, in particolare per il tratta-mento delle neutropenie febbrili.

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Y.-E. Claessens ([email protected]).Département de médecine d’urgence, Centre hospitalier Princesse-Grace, 1, avenue Pasteur, BP 489, MC-98012 Principauté de Monaco.

E. Trabattoni.S. André.H. Clément.C. Andréotti.Service des urgences, Pôle urgences-médecine, Hôpital Cochin, AP–HP, 27, rue du Faubourg-Saint-Jacques, 75679 Paris cedex 14, France.Faculté de Médecine, Université Paris Descartes, 12, rue de l’école de Médecine, 75270 Paris cedex 06, France.

Ogni riferimento a questo articolo deve portare la menzione: Claessens YE, Trabattoni E, André S, Clément H, Andréotti C. Neutropenia febbrile e ProntoSoccorso. EMC - Urgenze 2013;17(4):1-12 [Articolo I – 24-160-A-10].

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