Neri, anno I numero 2

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Neri di Michele Gargiulo Q uando all’indomani della mia elezione a priore chiesi a Fa- brizio di riprendere la pubblicazione di “Neri” ci ponemmo come obbiettivo quello di un mensile e non di un bollettino an- nuale; il mensile ci poteva dare l’opportunità di creare un ponte, di comunicare con la nostra comunità parrocchiale e con i no- stri confratelli! Chi meglio di un giornalista apprezzato a livello nazionale come Fabrizio poteva realizzare un progetto così ambizioso? La mia unica richiesta era quella di poter toccare, di volta in volta, degli argomenti cosiddetti “ difficili” che spesso non trovavano facile ostello nella nostra confraternita. Questo sentimento di insofferenza, di voler dare voce al disagio ac- compagna da sempre la mia vita! Chi mi conosce bene sa che, qualche anno fa, quando pensai di rivoluzionare la cerimonia di uscita della processione nera della notte (non me ne vo- gliano i Priori “non processionali” ma io sono un Priore “pro- cessionale” e credo che tocca a noi convertire la dis-grazia delle processioni in una meravigliosa grazia) , capii che era il momento che allo splendore di vesti stirate e di file di incap- pucciati più o meno in ordine doveva seguire l’amaro di storie vissute nella nostra comunità da confratelli o partecipanti che, per il loro messaggio d’amore, non potevano restare nascoste. segue a pagina 3 Sacerdote per sempre Hic sum Amore di Olga e Rita Stinga D on Tonino de Maio, ex parroco della chiesa di N.S. di Lourdes a Sor- rento, da circa due mesi celebra la messa domenicale alle ore 10.00 presso la Basilica di San Michele Arcangelo, quella che per statuto è l’eu- caristia dedicata a tutti i confratelli dell’Arciconfraternita Morte e Orazione. Don Tonino ha accettato di lasciarsi intervistare benché stia vivendo quello che lui stesso ha definito un “momento particolare”. Don Tonino nasce come un giovane che pensava a tutt’altro che all’essere prete: entrò in parrocchia perché come capita agli adolescenti era attratto da una ragazza che frequen- tava il gruppo parrocchiale. «Ero un parrocchiano qualunque, poi pian piano, poiché non sono un su- perficiale, comincio a frequentare la parrocchia più assiduamente ed incontro un sacerdote, don Arturo Aiello (attuale vescovo di Teano-Calvi) la prima volta nel campo di pallavolo a Pozzopiano dove giocammo una partita insieme. Quando lui decise di trasferirsi presso la canonica della Basilica di San Mi- chele Arcangelo, fui io a svolgere i lavori di idraulica, perché nasco come idraulico, e poco dopo, diventai animatore in parrocchia e andai ad abitare con lui. L’esperienza che ho fatto, di giovane accompagnato nella crescita spirituale ed umana, è stata quella di aver trovato una persona che mi è stata accanto. E così ho imparato a conoscere Dio nella mia vita: cioè come uno che mi accompagna, che mi cammina accanto, come uno che non mi risolve i problemi ma che nemmeno me li crea, non una persona che ti spinge né che ti trascina, ma un “essere con”. Nella mia spiritualità sacerdotale ho avuto sempre come riferimento don Tonino Bello e San Francesco: questo ha fatto sì che in tutte le parrocchie in cui sono stato, prima come seminarista, 9 anni a Sant’ Agata sui due Golfi nell’esperienza in solidum e anche le primizie sa- cerdotali, ho vissuto accanto ad ogni persona ed ogni cosa.» segue a pagina 2 Don Tonino De Maio di Olga Stinga I ncontro Giuseppe Staiano e sua figlia Pina presso l’Asso- ciazione Il Pellicano, in via Carlo Amalfi a Piano di Sorrento. Argomento della nostra conversazione: il sociale inserito in una realtà quale la Penisola Sorrentina. Alle mie spalle un quadro bellissimo, ricamato a mano, riproduce un pellicano, il simbolo dell’associazione fondata 31 anni fa proprio da Giu- seppe Staiano e da un gruppo di volontari. Giuseppe con i suoi figli Pina e Raffaele e Salvatore Iaccarino, marito di Pina, sono i quattro confratelli dell’Arciconfraternita Morte e Ora- zione impegnati nel sociale proprio grazie all’associazione Il Pellicano. Com’ è nata l’associazione “Il Pellicano”? Voglio fare una premessa: è importantissimo affrontare l’ar- gomento “il sociale” perché occorre sensibilizzare le persone ma soprattutto i politici. Ancora oggi sembra che il sociale sia un problema non preso in considerazione fino in fondo, sem- bra che l’aiuto a chi soffre sia concesso con sforzo. È con que- sto obiettivo che nasce il Pellicano.Nasciamo nel 1981 grazie ad un cammino cristiano: all’epoca, padre Giuseppe Rossi, un sacramentino, grazie una serie di incontri settimanali de- dicati all’analisi dei passi della Sacra Bibbia, attirò la nostra attenzione e cominciammo il nostro cammino spirituale in- sieme a lui. segue a pagina 4 Dimmi che credi… Il Pellicano: una vita per gli altri Ci scrive il Sindaco Giovanni Ruggiero Articolo a pagina 6

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il bollettino Neri

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Page 1: Neri, anno I numero 2

Neri

di Michele Gargiulo

Quando all’indomani della mia elezione a priore chiesi a Fa-brizio di riprendere la pubblicazione di “Neri” ci ponemmo

come obbiettivo quello di un mensile e non di un bollettino an-nuale; il mensile ci poteva dare l’opportunità di creare un ponte,di comunicare con la nostra comunità parrocchiale e con i no-stri confratelli! Chi meglio di un giornalista apprezzato a livellonazionale come Fabrizio poteva realizzare un progetto cosìambizioso? La mia unica richiesta era quella di poter toccare,di volta in volta, degli argomenti cosiddetti “ difficili” che spessonon trovavano facile ostello nella nostra confraternita. Questosentimento di insofferenza, di voler dare voce al disagio ac-compagna da sempre la mia vita! Chi mi conosce bene sa che,qualche anno fa, quando pensai di rivoluzionare la cerimoniadi uscita della processione nera della notte (non me ne vo-gliano i Priori “non processionali” ma io sono un Priore “pro-cessionale” e credo che tocca a noi convertire la dis-graziadelle processioni in una meravigliosa grazia) , capii che era ilmomento che allo splendore di vesti stirate e di file di incap-pucciati più o meno in ordine doveva seguire l’amaro di storievissute nella nostra comunità da confratelli o partecipanti che,per il loro messaggio d’amore, non potevano restare nascoste.

segue a pagina 3

Sacerdote per sempreHic sum Amore

NeriBollettino interno dell’Arcicon-fraternita della Morte e Ora-zione di Piano di Sorrento

Anno I - Numero II del 13 febbraio 2011

Direttore: Fabrizio d’Esposito

Coordinatrici della redazione:Olga e Rita Stinga

Hanno scritto su questo numero:Olga, Rita e Aniello Stinga;Pietrantonio Iaccarino;Giuseppe Stiffa;Giovanni Ruggiero;Michele Gargiulo.

Progetto Grafico:Aniello Stinga

Prossimo numero: marzo

www.arcmorteeorazione.org

di Olga e Rita Stinga

Don Tonino de Maio, ex parroco della chiesa di N.S. di Lourdes a Sor-rento, da circa due mesi celebra la messa domenicale alle ore 10.00

presso la Basilica di San Michele Arcangelo, quella che per statuto è l’eu-caristia dedicata a tutti i confratelli dell’Arciconfraternita Morte e Orazione.Don Tonino ha accettato di lasciarsi intervistare benché stia vivendo quelloche lui stesso ha definito un “momento particolare”. Don Tonino nasce comeun giovane che pensava a tutt’altro che all’essere prete: entrò in parrocchiaperché come capita agli adolescenti era attratto da una ragazza che frequen-tava il gruppo parrocchiale.«Ero un parrocchiano qualunque, poi pian piano, poiché non sono un su-

perficiale, comincio a frequentare la parrocchia più assiduamente ed incontroun sacerdote, don Arturo Aiello (attuale vescovo di Teano-Calvi) la prima voltanel campo di pallavolo a Pozzopiano dove giocammo una partita insieme.Quando lui decise di trasferirsi presso la canonica della Basilica di San Mi-chele Arcangelo, fui io a svolgere i lavori di idraulica, perché nasco comeidraulico, e poco dopo, diventai animatore in parrocchia e andai ad abitarecon lui. L’esperienza che ho fatto, di giovane accompagnato nella crescitaspirituale ed umana, è stata quella di aver trovato una persona che mi è stataaccanto. E così ho imparato a conoscere Dio nella mia vita: cioè come unoche mi accompagna, che mi cammina accanto, come uno che non mi risolvei problemi ma che nemmeno me li crea, non una persona che ti spinge néche ti trascina, ma un “essere con”. Nella mia spiritualità sacerdotale ho avutosempre come riferimento don Tonino Bello e San Francesco: questo ha fattosì che in tutte le parrocchie in cui sono stato, prima come seminarista, 9 annia Sant’ Agata sui due Golfi nell’esperienza in solidum e anche le primizie sa-cerdotali, ho vissuto accanto ad ogni persona ed ogni cosa.»

segue a pagina 2

I personaggi del mistero: i re Magi

Don Tonino De Maio

di Olga Stinga

Incontro Giuseppe Staiano e sua figlia Pina presso l’Asso-ciazione Il Pellicano, in via Carlo Amalfi a Piano di Sorrento.

Argomento della nostra conversazione: il sociale inserito inuna realtà quale la Penisola Sorrentina. Alle mie spalle unquadro bellissimo, ricamato a mano, riproduce un pellicano, ilsimbolo dell’associazione fondata 31 anni fa proprio da Giu-seppe Staiano e da un gruppo di volontari. Giuseppe con isuoi figli Pina e Raffaele e Salvatore Iaccarino, marito di Pina,sono i quattro confratelli dell’Arciconfraternita Morte e Ora-zione impegnati nel sociale proprio grazie all’associazione IlPellicano.Com’ è nata l’associazione “Il Pellicano”?Voglio fare una premessa: è importantissimo affrontare l’ar-gomento “il sociale” perché occorre sensibilizzare le personema soprattutto i politici. Ancora oggi sembra che il sociale siaun problema non preso in considerazione fino in fondo, sem-bra che l’aiuto a chi soffre sia concesso con sforzo. È con que-sto obiettivo che nasce il Pellicano.Nasciamo nel 1981 graziead un cammino cristiano: all’epoca, padre Giuseppe Rossi,un sacramentino, grazie una serie di incontri settimanali de-dicati all’analisi dei passi della Sacra Bibbia, attirò la nostraattenzione e cominciammo il nostro cammino spirituale in-sieme a lui. segue a pagina 4

di Pietrantonio Iaccarino

Tre superbi cavalli arabi traversano piazzaCota, sono montati da misteriosi cavalieri dirango reale, con mantelli e turbanti orientali.Ognuno è affiancato da uno staffiere ed èpreceduto da un famiglio circasso recante ildono da offrire al piccolo Gesù. Ventisei fi-guranti in costumi variopinti e fantasiosi for-mano il corteo partito dalla sede dei neri ediretto ad adorare il bambinello del presepein Santa Margherita.All’imbocco dello storico vicoletto le caval-cature scalpitanti sul selciato di pietra bruna,sembravano fuori dal tempo, ne occupavanotutto il lume diffon-dendo nei presentistupore e meravi-glia. E viene spon-tanea unadomanda: chi eranoi re Magi?Il vangelo secondoMatteo ( 2, 1-12 ) èl’unica fonte cano-nica a descriverel’episodio: «Gesùnacque a Be-tlemme, una cittànella regione dellaGiudea, al tempodel re Erode. Dopola sua nascita, arri-varono a Gerusa-lemme alcuniuomini sapienti chevenivano dal-l’oriente e doman-darono: dove sitrova quel bambino,nato da poco, il redei Giudei? Inoriente abbiamovisto apparire la suastella e siamo ve-nuti qui per ono-r a r l oS iinginocchiarono eadorarono il bam-bino. Poi aprirono ibagagli e gli offri-rono regali: oro, in-censo e mirra».Il passo di Matteonon fornisce il numero esatto dei Magi ma latradizione più diffusa parla di tre uomini.Nemmeno la regalità è attestata nelle fonticristiane, si parla di re soltanto nel libro deiSalmi ( LXXI, 10 ): «Il re di Tarsis e delleisole porteranno offerte, i re degli Arabi e diSaba offriranno tributi. A lui tutti i re si pro-streranno, lo serviranno tutte le nazioni».Si credeva, in oriente che un nuovo astroapparisse in cielo ogni volta che nasceva ungrande re. A confermare e legittimare la suasovranità erano i Magi.Essi erano una classe sacerdotale del po-polo dei Medi alleato dei Persiani, pratica-vano gli insegnamenti di Zarathustra eadoravano il dio Mitra, anch’egli, comeGesù, nato da madre vergine nella notte del25 dicembre; anch’egli morto a trentatre

anni. Era il dio della luce solare, e veniva ve-nerato dagli adepti nei mitrei, specie digrotte sotterranee con le volte istoriate dallecostellazioni astronomiche (vedi mitreo diCapua).Il compito principale dei Magi era quello ditenere acceso il fuoco sacro ravvivandolocinque volte al giorno.Il numero tre permette di identificare i Magicon le tre razze in cui si divide l’umanità eche discendono, secondo l’Antico Testa-mento, dai figli di Noè.Gaspare, mistico re dell’Armenia, lasciò l’in-tero potere a suo fratello NTIKRAN per an-dare a cercare Gesù. Era un giovanotto rudee discendeva da Cam, uno dei figli di Noè.

Baldassarre, rearabo del de-serto, era gio-vane, dic a r n a g i o n escura e discen-deva da Jafet.Melchiorre, ilvecchio con i ca-pelli bianchi e labarba lunga, di-scendeva daSem. Il suo è uns o p r a n n o m eperché era cono-sciuto con ilnome indiano diRam maharaja epure lasciò ilregno al fratelloper partire versoGerusalemme.Portano a Gesùbambino tre doniche simboleg-giano la sua du-plice natura diessere umano edi figlio di Dio:l’oro, il dono ri-servato ai re, l’in-censo, usato peradorare l’altaredi Dio, e la mirraper i defunti.Tutta la storiadella cometanasce da un

quadro di Giotto, dipinto nel 1301 nella cap-pella degli Scrovegni a Padova; il pittore ac-canto alla Natività, dipinse l’Epifania e inserìsopra la capanna una cometa, per un motivomolto realistico e contemporaneo del suotempo perché, proprio in quell’anno, nel1301, a dicembre apparve in cielo la famosacometa dalla coda luminosa a cui successi-vamente fu dato il nome di Halley.La stella cometa è entrata nella tradizionedel Natale cristiano relativamente tardi. Inrealtà, secondo recenti studi, nessuna co-meta è stata registrata negli anni precedentila nascita di Cristo, data anch’essa contro-versa, e che il fenomeno luminoso fu da ad-debitarsi alla congiunzione di Giove eSaturno il 13 Novembre del 7 A.C. nella co-stellazione dei pesci.

Neri pag 8

Dimmi che credi…

Epifania 2011 - Cappella di Santa Margherita

Il Priore, il Governo ed i confra-telli tutti ricordano con affetto ladefunta Signora Anna, moglie diPasquale Russo, confratello dell’Arciconfraternita Morte e Ora-zione.Non dimenticheremo mai le gior-nate trascorse a Roma in suacompagnia, in occasione dellaprocessione del Corpus Domini.

Auguriamo alla consorella Anna-maria Origliato tanta gioia e feli-cità per la nascita della nipotina.

Il Priore, i confratelli e le consorelle.

Agenda del confratello

- 9 Marzo 2011:Mercoledì delle Ceneri.Appuntamento presso laBasilica di San Michele Ar-cangelo per la celebra-zione Eucaristica

- 11 Marzo 2011:Primo venerdì di Quaresima - Via Crucis

Il Pellicano: una vita per gli altri

Ci scrive il Sindaco Giovanni RuggieroArticolo a pagina 6

Page 2: Neri, anno I numero 2

segue dalla prima pagina

Perché dove lei celebra c’è sempre così tanta gente?(Ride) di me si dice che riempio la chiesa di donne. Si dice“che bel prete” ma non “che bravo prete. Non sono un am-maliatore ma credo che il segreto di tutto sia la mia fede, tuttociò in cui io credo ed il modo in cui lo comunico. Diceva donTonino Bello: «se vuoi essere universale parla del tuo villag-gio». Io cerco sempre di comunicare ciò che lo spirito mi sug-gerisce nella preghiera.

All’inizio di questa intervista ha precisato che sta vi-vendo un momento particolareVivo un periodo durissimo: è circa un anno che sono ritornatoa casa dei miei genitori e sono privo delle mie cose perchèsono stipate in scatoli in un garage aspettando che trovi unaidonea collocazione. Sento che la mia chiesa diocesana miha tradito, disinteressandosi di me.

Cosa significa disinteressandosi? Significa che fino a un anno fa ero parroco presso la chiestadi N.S. di Lourdes a Sorrento e un giorno arrivò un sacerdoteche viene a chiedermi se ero disponibile a trasferirmi a MassaLubrense come parroco. Dal momento che il mio punto di ri-ferimento in queste situazioni è sempre stato il vescovo diSorrento-Castellamare di Stabia, decisi di andare da lui e rac-contargli tutto, facendo presente l’inopportunità del mio spo-stamento soprattutto alla luce di quelle che erano state alcunedelle iniziative che avevo intrapreso e stavo svolgendo, vistoil mio sentirmi in comunità con gli altri sacerdoti e pensaianche di far presente che si stava verificando che un gruppodi laici stava provando a prendere il sopravvento, facendo ri-corso anche al potere politico. Il Vescovo mi dice che la ri-chiesta di spostarmi a Massa Lubrense era dovuta al fattoche a Sorrento si era pensato di fare un Solido. A me non erastato chiesto di fare il Solido né di farne parte, mi è stato solochiesto di spostarmi a Massa Lubrense. Al nostro incontroseguì immediatamente una telefonata in cui mi si comunicavache la decisione era ormai presa: mi sarei trasferito a MassaLubrense. Accettai la nomina a parroco di Massa Lubrense,mi spostai se pure con la morte nel cuore, ma subito mi ac-corsi che questo era solo un grande imbroglio perché il Solidoè stato fatto nei documenti ma di fatto non esiste.

I fedeli ed i suoi ex parrocchiani che vedono tutto ciò,cosa si chiedono?La parrocchia di N.S. di Lourdes non ha il parroco designatoperché lui ha interesse a stare alla chiesta di S. Antonino, edè abbandonata a se stessa. Tutti si chiedono perché sonostato spostato e cosa abbia fatto. Non ho fatto niente. Ho ac-cudito Don Luigi Verde fino alla morte, ho portato avanti laparrocchia, ho recuperato un disavanzo di 37.000 Euro dellagestione precedente; sono andato via da Massa Lubrensenon perché non mi trovavo bene ma perché voglio una rispo-sta. Voglio sapere tutti questi cambiamenti a chi hanno gio-vato ma soprattutto vorrei sapere se la chiesa adesso èservita meglio o peggio. Lo chiedo continuamente al mio ve-scovo e agli altri sacerdoti ma purtroppo senza ricevere al-cuna risposta. Adesso mi fanno delle proposte temporanee.Ho deciso di andare a celebrare messa presso la chiesa dellaMarina di Cassano perché voglio mettermi a ridosso, vogliovedere nei miei confronti come si agisce e cosa si fa: si parlamale di me, c’è una maldicenza esagerata, si dice di tutto edi più ma non si dice la verità. Sto resistendo. Qualsiasi cosafaccia cerco di rimanere fedele al mio Signore e a me stesso.Non mi sono mai compromesso né mai lo farò. Sono anchedisponibile a lasciare il sacerdozio perché non lo vivo comeun mestiere, mi sento prete a tutti gli effetti ma la chiesa mista maltrattando per non dire la verità, per non dire è statocommesso un grave errore. Mi chiedo: perché nessun miocollega è mai venuto a casa mia? Perché nessuno mai si oc-

cupa di me? È un anno che mi chiedo ogni giorno: perchénessuno fa niente per me quando io ho fatto tanto per i preti,per i fedeli e per la mia comunità? Perché i miei colleghiadesso dicono di aver paura di me?

Come è arrivato alla messa delle 10.00 presso la Basilicadi San Michele Arcangelo? Io non ho una parrocchia, celebro solo la messa delle 10.00presso la Basilica di San Michele. Arrivo alla messa delle10.00 perché Don Pasquale mi ha voluto aiutare invitandomia celebrare qui in basilica. Accettai ma non sapevo che erala messa dell’Arciconfraternita Morte e Orazione, mi hannodetto celebra e basta.

Oltre alla messa delle 10.00 in Basilica, celebra anchepresso la cappella della Madonna delle Grazie alla Marinadi Cassano: come è stato accolto dalla comunità dellamarina?Dovunque sono andato non ho mai avuto difficoltà con le per-sone. Alla spiaggia sembra che mi vogliano tutti bene. Laprima volta arrivai con pantaloncino, maglietta e telo da mareperché amo il mare e pensai di celebrare messa e poi uscirein barca. Tutti si chiesero cosa avessi in mente ma adesso,guai a chi gli tocca Don Tonino de Maio, perché non do fasti-dio a nessuno, faccio il mio dovere, che non è quello di fareil semplice sacerdote ma di stare vicino alle persone. Sonouno che vuole essere sempre reperibile.

Beati i perseguitati dice il VangeloBeati i perseguitati Io sto facendo una fatica esagerata so-prattutto perché vedo i miei genitori che hanno un figlio di 46anni a casa e se non avessi avuto loro non so dove sarei fi-nito, avrei fatto la fine di un barbone. Il lavoro non mi fa paura,ho lavorato fino a 25 anni, ho fatto l’idraulico, ho tante com-petenze

Che futuro vede?Non lo intravedo al momento, però so che voglio una rispostaa ciò che è accaduto.

Adesso cosa fa? Aspetta?Ho aspettato anche troppo. Chi mi ha succeduto a Massa Lu-brense si vanta che io gli ho insegnato una grande verità: chenon si lascia mai nessuno indietro, però anche lui insieme aglialtri mi hanno lasciato indietro? Adesso mi sono tirato fuoridal palazzo, dall’orgia delle lingue per dimostrare sul campochi sono e cosa sono capace di fare.

La sua rivincita la sta prendendo la messa delle 10 stacambiando ariaPosso dire questo: dovunque vado smuovo le masse. Potrei strumentalizzarle, fare come i politici per dare colore evalore alla mia causa, ma sto facendo da solo, non chiamonessuno. Mi sto comportando da sacerdote fino alla fine. Non so fino aquando celebrerò questa messa ma ultimamente mi trovo inuna situazione in cui il Signore mi sta facendo vivere e faretutte quelle cose che non avrei mai pensato di fare. Non homai voluto celebrare una messa solo per l’offerta, senza nes-sun aggancio alla comunità. Ma adesso lo faccio, mi sentocome uno che fa un lavoro, viene pagato e se ne va.

Chi è il prete a cui si sente più legato in diocesi? Nessuno.

Al termine dell’intervista sul volto di don Tonino vediamo unsorriso amaro ma anche tanta voglia di “essere prete”, spe-riamo che don Tonino, possa presto sorridere di gioia, quellagioia che solo Dio sa donare!

Olga e Rita Stinga

pag 7 Neri Neri pag 2

segue dalla pagina precedente

E se è vero che ci sono storie che mai avrei immaginato diconoscere, queste non sono altro che l’estremo di una fragi-lità che tutti ci portiamo dentro e che mi permettono una pro-spettiva nuova con cui guardare la mia e la nostra normalità.Credetemi, mai sarò grato abbastanza, ai miei ragazzi dellaFanelli che mi aiutano a non smarrirmiConcludo con parole non mie, perché consapevole di averbalbettato dinnanzi al mistero stesso della vita, e lascio aEnzo Bianchi il compito di ricamare l’essenza intima che legala solidarietà con il dolore. È un testo sui profeti di oggiau-guro a voi e a me di incontrare persone così, di diventare per-sone così.

«Questi ultimi sono dei nomadi, dei pellegrini infaticabili,senza dimora permanente, senza propria città e propria casa,straieri in ogni terra: non necessariamente sono una anaco-reti, estenuati dai digiuni, vestiti di sacco, armati di una sola

bisaccia da viaggio: magari indossando camicie e maglioni,s’incontrano, lavorano mescolati agli altri, entrano ed esconoda una casa, eppure vivono con il respiro dei viandanti.Hanno grandi occhi, scrutano con attenzione, e come civettevedono anche nella notte tenebrosa quando ogni profilo edogni profondità appare perduta: hanno orecchie che sannopercepirei mormorii di coloro che passano loro accanto,hanno orecchie che sanno discernere anche tra i rumori as-sordanti della città i singhiozzi degli infelici; hanno mani checonoscono l’arte di fare carezza o lenire dolori, con la boccasanno gustare e distinguere ciò che contiene la coppa, il ca-lice, che ogni giorno viene loro offerta e il fascino dei profumicoi loro significati infiniti li raggiunge fino a finirli. Insomma,questi pellegrini non hanno cuori di pietra ma cuori di carne,cuori che balzano fino alla gola per la gioia o l’angoscia, cuoriche versano lacrime abbondanti e sanno trasalire, eppurenon hanno luoghi né persone sulla terra da cui sentirsi lon-tano».

G.R.

di Giuseppe Stiffa

Quando le confraternite nacquero furono frutto della pie-tas; nel duplice significato che questo nobile termine pos-

siede: culto del Signore e attenzione verso il prossimosofferente.Quali che fossero gli scopi particolari dei singoli sodalizi nonmancarono mai di accogliere nei loro statuti le opere di caritàcristiana: assistenza ai malati e moribondi, soccorso agli in-digenti, cura degli anziani.Senza voler rifare la storia del rapporto fra le confraternite eil potere temporale, sono effettivamente molti i periodi storiciin cui esse hanno svolto, tramite le opere di carità, un ruolodi surroga o di sostituzione delle istituzioni. Nel meridioned’Italia tale ruolo continua ad essere loro riconosciuto.Sia la pietas come la caritas sono riconosciute dalla Chiesae dal suo ordinamento giuridico elementi qualificanti delle per-sone giuridiche, istituzioni, consociazioni e quindi anche delleconfraternite.Ricordiamo a tal proposito soltanto il canone n° 798 del Cor-pus Iuris Canonici ( ad pietatis vel caritatis opera ) e l’enciclicaMater et Magister di Giovanni XXIII: in poche parole, per ilcristiano/confratello non può esistere giustizia senza la caritàe la solidarietà.

Si potrebbe coniare una nuova definizione di confraternita:ente di diritto vocato alla carità e alla solidarietà.L’Arciconfraternita Morte e Orazione recepisce nel suo statutole indicazioni dei padri conciliari e dei sommi pontefici in ma-teria di solidarietà, e costantemente le conserva man manoche essa rinnova e aggiorna i suoi strumenti.E’ pluridecennale la collaborazione con l’associazione perl’assistenza ai malati “il Pellicano”, di cui si legge in altra partedel giornale; ancora più antico è il legame con la casa di ri-poso “S.Michele”, alla quale vengono offerte 5 giornate dipane per ogni mese.Ma ha ancora senso, oggi, una solidarietà che si misura sol-tanto con un aiuto materiale o, peggio, economico?La nostra contemporaneità sperimenta tutti i giorni “nuove po-vertà”, povertà del cuore, dell’attenzione non del portafoglio,nuove povertà che per essere medicate hanno bisogno di unamoneta dal conio particolare: il Tempo.Di qui nasce il progetto Banca del Tempo che l’Arciconfrater-nita Morte e Orazione sta elaborando e per il quale richiedela collaborazione dei confratelli: la cessione di una piccolaparte del nostro tempo o delle nostre professionalità per aiu-tare i malati, gli anziani e i sofferenti, anche soltanto unabuona parola per superare una difficoltà imprevista e che cicausa disagio.

Solidarietà e confraternite: una retrospettiva e uno sguardo al futuro

«Le mie domande senza risposte»

Il 21 gennaio la consueta partita di calcio del venerdì ha visto in camponon solo i confratelli “Neri”, ma anche un gruppo di giovani ragazzi

americani di New York appassionati di calcio. Jacob Andrew Mountain,Lee Smith, Ray Sova, John Zappolo sono quattro studenti della facoltàdi architettura dell’Alfred State College che partecipano ad un pro-gramma universitario che prevede un soggiorno di quattro mesi in Ita-lia. Jacob, Lee, Ray, John sono subito entrati in partita, anche perchéfanno parte della squadra di calcio del loro college ed amano questosport quasi quanto noi italiani. In perfetto spirito di globalizzazione lesquadre sono scese in campo con formazioni miste italo- americane ela lingua in campo era un misto tra italiano,inglese e napoletano checome è noto a tutti sta diventando sempre più internazionale. La partitasi è chiusa in pareggio dopo 60 minuti di puro e sano divertimento. Lapartita del venerdì è diventata un appuntamento fisso non solo dei“Neri” ma anche degli amici americani. Chissà se il prossimo matchsarà Italia vs USA?

Aniello Stinga

La Morte e Orazione si tinge a stelle e strisce

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Neri pag 6 pag 3 Neri

di Giovanni Ruggiero

Neri: confesso di essere rimasto un po’ sorpreso della vo-stra prima uscita. Sorpreso per grafica, per contenuti, per-

sino per il numero di pagine. Mi aspettavo qualcosa di«semplice» ed invece mi sono ritrovato uno scrigno di paroleda leggere con attenzione e meditare con profondità. Si vedechiaramente la mano e la penna di chi fa il mestiere di coglierela notizia e sono certo che avete aperto una nuova strada perpoter raccogliere la vostra storia «Camminando s’apre cam-mino». Neri: mi sono lasciato anche suggestionare da que-sto titolo, secco, netto, precisovi chiamano così peressenzialità, per sminuirvi, per riconoscervi. Neri come la nottea cui siete familiari, alla ricerca – in processione- di speranzeperdute. Neri: come assenza di colori perché il vuoto o la man-canza si fa anelito di presenza. Neri come distintivo che si sta-glia netto nelle mille sfumature della realtà: per essere questoe nient’altro. Neri di storia ormai centenaria, neri di sacco con-sumati pellegrinando, neri di lutto per accompagnare la morte,neri di fede per custodire la speranza Ed oggi neri di pa-role perché una storia per essere degna di fede, di considera-zione, d’amore, ha bisogno di essere narrata. Per secoli avetescelto il silenzio del buio del Venerdì Santo come messaggioper rompere catene antiche Ora lanciate la sfida alla prima-vera con il vento leggero delle parole perché la storia del-l’uomo che cammina non si esaurisce in una processione mas’incarna in una quotidianità che chiede senso, direzione, spe-ranza. Ho cominciato così, per distrarmi dal tema che mi aveteaffidato «Solidarietà e Dolore», confesso che per le mie forze,troppo impegnativo, soprattutto per le tante sfaccettature chemeriterebbero altra penna, altra intelligenza e soprattutto altrocuore. Ma non mi sottraggo, non solo per dovere e gratitudine,ma cosciente che su questo argomento ci giochiamo il misterostesso dell’esistenza – grande e misera –dell’uomo. Volete al-lora ascoltare la mia storia? Solidarietà e dolore è la favola delconcepimento: se facessimo più silenzio riusciremo persino apercepire il leggero movimento dello spermatozoo che si in-castona nell’ovulo: è il mistero raccontato e mai spiegato diun sogno che si fa carne e sangue per una nuova avventurada vivere fino in fondo Solidarietà e dolore sono nel primo vagito, grido di dispera-zione e liberazione, prima «morte» sperimentata che si con-fessa che la vita stessa è una sequenza ininterrotta diseparazioni, a volte imposte, a volte scelte, a volte tragiche, avolte salutari.ma sempre necessarie per compiere il nostrodestino di uomini: andare avantiSolidarietà e dolore sono lo spazio e il tempo dove muoviamoi primi passi. È in quel vociare di bambini che giocano, il primociak di relazioni dove si impara l’arte dell’altro (alterità) e traslanci generosi ed egoismi ripetuti apprendiamo che la nostraesistenza si fonda sullo STARE CONSolidarietà e dolore sono lo schermo dove si proietta il filmdell’adolescenza e della giovinezza. In quel film ci sono i mo-vimenti che non fanno rumore eppure hanno la forza dell’ura-gano e lasciano segni permanenti: tempesta di ormoni e divissuti che trasformano lentamente e con fatica (soprattuttopsicologica) il goffo corpo di un bambino nel corpo maturo diun uomo e una donna. Un corpo cambiato che ha desideri piùcoinvolgenti del nostro cuore che, come «terremotato» si la-scia spesso suggestionare dalle emozioni e si aggrappa di-sperato ad un altro cuore «lesionato» per storie che hannospesso l’illusione dell’eternità e la durata di una giornata.Solidarietà e dolore sono i frutti maturi del tempo delle scelte,quando ormai adulti abbiamo imparatoa potare e raccogliere,a seminare e custodire, a coltivare e asognare È la sta-

gione dove si è padri ma ancora figli, si è grandi ma ancorapiccoli, si è forti ma ancora fragili. È il tempo del fare ma nonda soli, è il tempo del lavoro ma non basta, è il tempo del-l’amore ma lo stesso ci perdiamoe intanto il tempo passaSolidarietà e dolore sono i doni essenziali quando cominciamoa PERDEREcapelli e compagni, forza e futuro, impegni efigli. Come madri silenziose cominciano a raccogliere i coccidi una vita, a volte spezzata, sperando di trovare il filo condut-tore degli eventi, scrutando un domani sempre più vicino dovesaremo costretti a lanciarci nel vuoto con la speranza chequalcuno ci prendae allora, solo allora, potremo virare versol’Eterno dove ogni ferita e ogni contatto, ogni ombra e ogni ca-rezza, ogni fallimento e ogni amiciziatroverà il suo segno dicrocePerdonatemi, non sapevo come districarmi da un tema cosìcomplesso e così ho cercato le briciole disseminate nel miovivere quotidiano e ho raccontato quello che penso e sentodella vita dell’uomo. Lo so, voi mi avete invitato anche per par-lare della mia esperienza con i ragazzi tossicodipendenti , in-tuendo che in questo lavoro che ormai dura da 18 anni c’è ilsegreto della mia sensibilità e la consapevolezza della mia fra-gilità, nemmeno io immaginavo che nel 1992 al primo corsodi volontari antidroga avrei segnato in maniera così indelebilela mia vita personale, relazionale, professionale. E visto chela Provvidenza ha voluto indirizzare la mia storia e il mio de-stino, condivido con voi qualche spunto che ormai porto im-presso nelle mie viscereSolidarietà e dolore in questi 18 anni in una comunità di recu-pero sono diventati l’occasione di un incontro con ragazzi, uo-mini «scassati». E le loro storie «rotte» si sono confrontatecon il mio sguardo, perché prima di un’analisi, una statistica,una terapia, il nostro lavoro è un racconto di sguardi: occhiche contemplano vissuti, violenti, mancanti, indifferenti. È bellopensare che ogni incontro umano significativo nasce da un le-game di occhi! È con questa traccia che ogni vicinanza è in-nanzitutto una carezza di iridi diversamente colorate che nonindagano ma incoraggiano, non pretendono ma stimolano,non giudicano ma sperano. Dovrei erigere un monumento aquesto occhi di uomini «rotti»: specchi spesso infranti maunica porta d’accesso alla loro anima. Solidarietà e dolore in 18 anni diventano pane quotidiano tantoda correre un grave pericolo: diventare un professionista dellasofferenza e trasformare un cuore di carne in un cuore di pie-tra. Se non vuoi perderti nella familiarità con il dolore devi te-nere a mente – sempre – che dinanzi a te c’è – sempre – unapersonaanche se distrutta, ferita, apatica ribelle, c’è unapersona che chiede di entrare in relazione con te. Il prendersicura di un altro, prima che una scienza, è una relazione: unoscambio, un percorso, un legame. È la coscienza che si puòricostruire gettando ponti dove ci sono distanze, che si puòtrovare una via d’uscita dove ci sono macerie, si può di nuovosognare dove aleggiano fantasmi. In questi anni mi sono im-pegnato soprattutto a creare relazioni «calde» significative,accoglienti. E il segreto è farlo insieme: è l’operato faticoso eaffascinante di sperare in squadra, perché prima di fare qual-cosa per gli altri, noi lavoriamo con gli altri, perché insieme èpiù facile. Solidarietà e dolore è ammettere di essere cresciuto ricono-scendo soprattutto la propria debolezza e il bisogno che ab-biamo delle persone. Ho scoperto che rivelare il buio dell’altrosvelava anche le mie ombre, accarezzare le ferite di un uomoti predisponeva ad accettare le tue, accendere fuochi di spe-ranza ti insegnava a non spegnere i tuoi sogni.

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«I miei 18 anni in comunità»segue dalla prima pagina

Spesso in questi anni ho avuto chiara la visione che que-ste storie c’erano state donate; un dono prezioso che

non ti aspetti, che inizia ad operare in tè e lascia profondisegni! Credo che tutti noi ci imbattiamo nella vita in “eroisemplici” che spesso non riconosciamo, ma che sono mo-numenti eretti all’amore per il prossimo! Per questo ringra-zio il Signore di avere nella Fratellanza del mio SodalizioConfratelli come Giuseppe Staiano, Pina e Salvatore Iac-carino (che affettuosamente chiamiamo Pina e Salvatore“Il Pellicano”) che sono a contatto quotidianamente con lasofferenza e che senza risparmio si prodigano per chi sof-fre.Ho sempre pensato che Cristo ci ha lasciato la Croce

come la “Prova della Nostra fede”; il simbolo di un martirio,di una ingiustizia, del dolore come testimonianza del-l’amore! Spesso mi sono chiesto come possiamo capire,farcene una ragione, del dolore. Cosa dice ai nostri cuori ilSignore quando la vita di un giovanissimo e promettentesacerdote, un brillante curatore di anime, che in pochi anniha conquistato i cuori di una comunità intera è minata daun male incurabile? Da bambino non riuscivo a spiegarmi il perché deglisguardi smarriti dei miei amichetti quando, al mare, guar-davano mio fratello; loro riuscivano a cogliere una disabilitàche io non vedevo. Una diversità dalla nostra “normalità”usciva fuori dai loro occhi smarriti! Mi porto dietro quegliocchi che credo hanno segnato tutta la mia vita! Perchéspesso nella vita non ricordiamo dei successi o degli in-successi le grandi cose ma l’aria, gli odori, le sensazioniche riempivano quei momenti! È la “teoria delle cose mi-nime”: così grandi proprio perché cosi piccole! Sono quei“Doni” che il Signore fa alla nostra vita e che la rendonoper questo una vita! Il motivo stesso per cui vale la penavivere! Quegli occhi che mi facevano rabbia, solo ora inizioa capire che erano la carta da regalo dove è custodito ildono più prezioso che mi è stato fatto! Oggi ringrazio il Si-gnore per il Dono di un fratello “Diversamente Abile”, diver-samente abile in quanto più abile di me a sognare, adamare; a voler bene senza limiti! Ringrazio il Signore chea fatto in modo di farmi conoscere un mondo di cui, altri-menti, non ne avrei gustato i sorrisi, i baci, le carezze!Per questa abitudine a cogliere la grazia piuttosto che ladisgrazia credo che sia un dono per tutti noi il modo in cui,Caro Don Domenico, stai vivendo la tua malattia, per la se-renità con cui affronti la quotidianità di un male che non riu-scirà ad attaccare la tua anima. Penso spesso ad una seradi un mese di Giugno di qualche anno fa, preparammo in-sieme centinaia di palloncini colorati che dovevano essereliberati durante l’omelia con in sottofondo la canzone di DeGregori “La Donna Cannone”. Quella sera distribuimmo in-sieme quei palloncini. In fondo alla navata della chiesa diSan Michele io incrociai lo sguardo di una ragazza che dali a poco avrebbe rubato il mio cuore.La nostra vita è fragile come un palloncino! La leggerezzadi un palloncino, che riesce a volare tra le stelle, è la leg-gerezza dello spirito dei Santi. Caro Domenico la legge-rezza del tuo spirito è quella dei Santi, quella che, comequei palloncini quella sera, “butterà questo mio enormecuore tra le stelle”. Il Signore tramite te ci interroga e cichiede di Credere!Ho sempre pensato che le parole scritte in una bellissimacanzone da Antonello Venditti, che per l’appunto si intitola “Dimmi Che Credi”, siano state scritte in un momento di il-

luminato slancio di un cuore che soffriva. Caro Domenicol’ho ascoltata giovedì scorso scendendo da Moiano. Ti vo-levo salutare, ero arrivato fino alla porta della tua chiesa apiazza San Renato, ma non ho avuto il coraggio di entrare.Da quando ho sostituito mio padre nel giro di consegne delcaffè ai nostri clienti delle colline vicane ( il suo cuore dalloscorso novembre ci ha chiesto una vita più “serena”) nonc’è volta che, arrampicandomi per la strada che da Seianoportano fino al Faito, il mio pensiero non vada a te! Sonoconvinto che quella canzone che mi accompagnava nelladiscesa, e che mi cullava dopo l’ennesimo fallimento, mel’hai dedicata tu! La dedichi alle nostre povere vite ricchedi paure e di incomprensioni. L’ennesimo dono, il più bello!

Michele Gargiulo

Storie di eroi semplici

Dimmi che Credi(di Antonello Venditti)

Se tu ragazzo cercherai nella stagione dei tuoiguai un po' d'amore, un po' d'affetto, e nella notte griderai, in fondo al buio troverai solo il cuscino del tuo letto. Non devi piangere, non devi credere che questa vita non sia bella, per ogni anima, per ogni lacrima, nel cielo nasce un'altra stella. Molti si fuggono, altri si estasiano e non troviamo mai giustizia, e non si parlano, e poi si perdono perché non amano abbastanza. Tu non ti arrendere, non ti confondere, apri il tuo cuore all'universo, che questo mondo sai, bisogna prenderlo, solo così sarà diverso. Dimmi che credi, dimmi che credi, come ci credoio, in questa vita, in questo cielo, come ci credo io. Il tuo sorriso tra la gente passerà forse indifferente, ma non ti sentirai più solo, sei diventato un uomo. E nella notte cercherai, nella stagione sei tuoi guai, un po' d'amore, un po' d'affetto, e disperato griderai, in fondo al buio troverai solo il cuscino del tuo letto. Non devi piangere, non devi credere che questa vita non sia bella, per ogni lacrima, per ogni anima, nel cielo nasce un'altra stella. Dimmi che credi, dimmi che credi, come ci credoio, in questa vita, in questo mondo, come ci credo io. Tu non ti arrendere, non ti confondere, apri il tuocuore all'universo, che questo mondo sai, bisogna prenderlo, solocosì sarà diverso. Non devi piangere, non devi credere che questa vita non sia bella, per ogni anima, per ogni lacrima, nel cielo nasce un'altra stella. Eh sia, eh sia.

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Trenta anni di amore gratuito e solidarietàsegue dalla prima pagina

Eravamo un piccolo gruppo e ci trovavamo in un momentoparticolare: era il dopo terremoto, la situazione era cri-

tica, e fu allora che nacque il Pellicano. All’inizio eravamosolo un gruppo di donatori di sangue che, dopo quell’eventotragico, si era reso conto che Cristo stava dicendo una solacosa: c’erano tantissime persone che avevano bisogno diaiuto. All’epoca non esisteva un servizio trasfusionale, si do-nava senza controlli e c’era molta arretratezza anche a li-vello sanitario e gli appelli per esortare i cittadini a donare ilsangue si facevano via radio. La nostra prima sede è statail retrobottega del negozio Foto Pino, eravamo in 8 e perdarci un’identità dovevamo pensare ad un nome da dare aquest’associazione. Ecco cosa accadde: don Gennaro Por-zio, allora parroco della Basilica di Santa Maria del Lauro aMeta, e tutt’oggi mio grandissimo amico, ci incontrò pressola Basilica di Meta e chiese ad ognuno di noi portare la pro-pria proposta sul nome da dare a questa associazione. Unasera eravamo tutti sull’altare e ad un tratto mi colpì un uc-cello che stava sul tabernacolo dell’altare maggiore e chiesia don Gennaro di qualeuccello si trattasse e per-ché era lì: don Gennaromi disse che era un pelli-cano. Chiesi a PadreGiuseppe Rossi di fareuna ricerca, perché luiaveva l’enciclopediaTreccani, e scoprimmoche la leggenda dice cheil pellicano è un uccelloche nei periodi di fame,con il becco si rompe ilpetto e con il sangueciba i suoi figli. Per que-sto motivo Cristo fu defi-nito il divin pellicano. Nonci furono più dubbi: si de-cise di dare questo nomeall’associazione. E’ statoil nome a venire da noi. Da donatori di sanguead associazione impe-gnata nel sociale:come avviene questopassaggio?Abbiamo iniziato il nostrocammino come donatoridi sangue ma ci siamoresi conto che non ba-stava, avendo a che fare con la sofferenza ci siamo vistiquasi costretti ad allargare il nostro campo d’azione e mo-dificammo lo statuto perché abbiamo fatto sempre tutto le-galmente sin dal primo momento. La cosa grave a queitempi era che parlare del sociale era qualcosa per cui ci ri-devano alla spalle. In quegli anni le relazioni sui disagi chevivevano i minori erano fatte di vigili urbani ed era tristissimodover leggere una relazione fatta da un vigile urbano chenon aveva le competenze specifiche dei casi di violenze suiminori. Oggi siamo noi i fiduciari del tribunale dei minori diNapoli, abbiamo seguito affidamenti ed adozioni. Il nostroimpegno nel sociale non ha avuto un cammino facile: ab-biamo fatto dimostrazioni di piazza, abbiamo fatto di tuttoper poter realizzare un servizio trasfusioni in ospedale per-ché non esisteva; abbiamo contribuito a creare l’AIAS diSorrento, ci siamo battuti per i disabili e i minori.Qual è la differenza tra il 1981 ed il 2011?La grande differenza tra ieri e oggi, e io ne vado veramentefiero, è che oggi noi ci occupiamo prevalentemente di an-ziani ma le grosse battaglie fatte anche in campo sanitario,

hanno spianato la strada ad altre organizzazioni con com-petenze specifiche come quelle che oggi si occupano di mi-nori. Noi facevamo tante cose, come l’aiuto ai minori, manon avevamo le competenze specifiche, era impossibile es-sere preparati di fronte a tanti problemi come ad esempiola tossicodipendenza. Ci rendevamo conto, giorno pergiorno, che per ogni problematica occorrevano le compe-tenze, occorreva sapere come fare e cosa fare per aiutarele persone. Oggi, grazie a Dio, ci sono associazioni e coo-perative che si occupano di minori, di persone disagiate,della tossicodipendenza. Noi, fermo restando che chiunqueviene, trova la porta aperta, riusciamo ad aiutare tutti graziealla collaborazione con i medici e specialisti. Ci sono spe-cialisti che non negano il proprio aiuto quando segnaliamoun problema o un disagio. Oggi ci occupiamo dell’assistenzaagli anziani, in tutta la Penisola Sorrentina, Capri ed Anaca-pri, con il servizio di telesoccorso, con l’assistenza domici-liare agli anziani; siamo vicini a tutti, le nostre opere sonogratuite, non prendiamo soldi da nessuno se non attraversoun conto corrente che la Regione Campania ci ha ricono-sciuto perché siamo legalmente costituiti, e chi vuole fare

una donazione puòusare. Attualmente ab-biamo 3 ambulanze chedobbiamo sostenere conil volontariato; abbiamo2 macchine attrezzateper il trasporto degli in-fermi che sosteniamograzie a donazioni. Lastessa ArciconfraternitaMorte e Orazione contri-buisce per le polizze as-sicurative e le schedecarburante dei nostri vei-coli. Nel 1984-1985 l’Ar-ciconfraternita Morte eOrazione donò un pul-mino che fino a qualcheanno fa è stato l’unicomezzo di trasporto gra-zie al quale potevamoaiutare chi aveva biso-gno di noi, lo abbiamosfruttato fino all’osso. Dapoco abbiamo compratoun furgone Doblò attrez-zato per il trasporto deidisabili: era di proprietàdi una famiglia cheaveva un ragazzo disa-

bile. Abbiamo anche un altro furgone, uno Scudo donato dauna società di navigazione; un’ambulanza donata dalla Ital-mare e poi abbiamo un porter opportunamente modificatocome mini-ambulanza attrezzata di tutto. Un porter attrezzato come un’ambulanza?Esattamente. L’idea mi venne perché le nostre zone hannostrade veramente piccole ed inaccessibili per le autoambu-lanze. Non esiste un’ambulanza così piccola infatti anche il118 fa capo a noi perché è attrezzata di tutto. Trovammouna ditta a Potenza che modificò il porter mettendo barella,posto per il medico, ossigeno e attrezzandola con tutti glistrumenti di soccorso. Abbiamo anche un altro porter perassistere tutti gli anziani. L’Arciconfraternita Morte e Ora-zione continua ad aiutarci sostenendo le spese per il man-tenimento di queste vetture.

Come è strutturata l’Associazione Il Pellicano?L’associazione il Pellicano comprende un’associazione di vo-lontari che assiste gli anziani e i malati.

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Al suo interno è nata una cooperativa sociale che ha vintola gara di appalto indetta dal piano sociale di zona per l’assi-stenza domiciliare ed il telesoccorso. Questo gruppo ha mecome presidente. nominale e non come dipendente, infattinon godo di benefici economici. I ragazzi che lavorano hannoun contratto a progetto rinnovato annualmente e guadagnanoquanto previsto dalla legge. Sono 50 ragazzi che lavorano,divisi tra assistenti domiciliari e telesoccorso.Quanto ammalati assistete? Assistiamo circa 500 anziani in tutta la Penisola Sorrentina,Capri e Anacapri, tranne Vico Equense e Meta di Sorrentoche sono usciti dal piano sociale di zona. Sono usciti dalpiano sociale dal 1° gennaio 2011. È stata una decisione checi ha lasciato basiti: noi continuiamo a stare vicino agli am-malati perché a Meta e Vico Equense abbiamo ancora qual-che persona collegata. Non abbiamo capito i veri motivipolitici di questa separazione perché in tal modo i comuniperdono tutti i contributi regionali stanziati per l’assistenzasociale e tanti benefici per i loro cittadini. Per problemi politicisi è creata una rottura che va a discapito dei cittadini.Come si colloca l’Associazione nel panorama della sa-nità della Penisola Sorrentina? Il Pellicano è una realtà attiva in Campania e tra le iniziativeche portiamo avanti c’è quella del tribunale per i diritti del ma-lato. Abbiamo costituito uno sportello nel poliambulatorio ASLdi Sant’Agnello e abbiamo la nostra sede in via Carlo Amalfidove fanno capo tutte le problematiche relative al discorsosanità. Queste sono problematiche molto serie che ci impe-gnano tantissimo perché la carenza che abbiamo in PenisolaSorrentina è endemica ed è enorme. Ci siamo sempre battutiperché la Penisola anche geograficamente ha dei punti de-boli e allora solo chi ha avuto la sventura di avere problemigrossi si è reso conto che abbiamo una strada che ci collegacon i grandi ospedali che è sempre intasata, con galleriechiuse, è unica, non ci sono elicotteri e non c’è la via delmare che funziona. Noi siamo sempre vigili e attenti per farfunzionare almeno quel poco che abbiamo. Questa è un’at-tività che ci impegna tantissimo. Sabato 23 Gennaio 2011 ab-biamo organizzato un convegno medico, non moltopartecipato dai cittadini ma molto sentito dai sindaci della pe-nisola, tranne Meta, i rappresentanti del governo, di provinciae regione e sono state buttate le basi per la creazione di unospedale unico. Adesso sta a noi: il 5 Febbraio 2011 ci saràl’ispezione della commissione regionale per verificare se èpossibile allargare l’ospedale di Sant’Agnello e farlo diventareun ospedale unico perché è l’unica struttura che ha intornoun terreno edificabile, perché è centrale, si trova vicino allastazione ed in più c’è la possibilità di realizzare parcheggi.Lo scorso 23 Gennaio è stato un giorno storico perché per laprima volta tutti i sindaci erano uniti e proiettati verso unobiettivo comune ed unico. In passato per motivi di campa-nilismo, per motivi politici, non si è mai riusciti a fare un pro-gramma comune. Quando è nata quest’idea? Quest’idea è nata 30 anni fa e abbiamo cercato di promuo-verla ma oggi siamo riusciti a fare un documento unico. Il Co-mune di Piano e il Pellicano sono stati i promotori. E’ unprogetto a lungo termine ma è importantissimo perché hacontribuito anche il comune di Positano. È di recente approvazione la legge che stabilisce la pre-scrivibilità dei farmaci previa verifica del reddito: qualeè la vostra esperienza in tal senso?La situazione ci preoccupa moltissimo: siamo vicini ai citta-dini per aiutarli. Tutti i giorni siamo presso l’ASL di San-t’Agnello. Attualmente con il piano di rientro la RegioneCampania ha un buco economico enorme a cui si cerca diporre rimedio bloccando tutti i fondi. La Regione Campaniaha ben pensato di creare dispositivi che annullano i beneficidi cui godevano bambini ed anziani e ha basato tutto sul red-dito, creando una serie di categorie contrassegnate da uncodice da cui si desume che occorre essere veramente po-veri per avere determinate esenzioni. Oggi di questo deficit

regionale e di questo abuso, stanno pagando solo i cittadini.Tutti passano per il nostro sportello e pochi riescono a rice-vere un’assistenza. La Regione ha stabilito che entro 3 mesioccorre essere in regola con il dispositivo ma il problema èche poiché tutto avviene per via telematica, i medici non pos-sono usare i codici pre-esistenti e quindi oggi se non si è inregola con la nuova disposizione di legge, non è possibileprescrivere farmaci o visite specialistiche. Oggi stanno pa-gando tutti: ogni ricetta ha un costo tra 5 e 10. È una cosaspaventosa: la maggior parte degli anziani e degli ammalatinon si sta curando. Oggi il Pellicano si è assunto l’onere dicreare uno sportello per effettuare le pratiche per le esenzionionde evitare che le persone dovessero dormire fuori i cancellidall’ASL perché ogni mattina gli uffici addetti alle pratiche as-segnano solo 20 numeri, evadendo quindi solo 20 pratiche.Per avere uno di questi 20 numeri le persone trascorrevanola notte in macchina fuori i cancelli dell’ASL. Ci sono stati casidi persone su sedie a rotelle che sono andate a prendere ilproprio turno durante la notte. Molti anziani oggi preferiscononon curarsi perché la maggior parte non ha la possibilità dipagare 5 per ogni ricetta. La situazione è drammatica. Ditutti gli imbrogli, i falsi invalidi, sta pagando il cittadino malatoe povero. Adesso anche all’INPS stanno facendo gli accer-tamenti. L’INPS ha dovuto assumersi l’onere di rivisitare tuttigli invalidi e chi non va perde la pensione. Quelli che non rie-scono ad andare si rivolgono al Pellicano per essere accom-pagnati.Qual è la vostra giornata tipo?Non ci fermiamo mai, stiamo qui notte e giorno. Organiz-ziamo il giorno prima per il giorno dopo gestendo turni e as-sistenza. Il telesoccorso è fatto da volontari, le notti si fannoa turno, molto spesso ci sono i figli al seguito. Pina arriva alle8.00 se non ha fatto la notte, cura la contabilità, fa servizifuori, assiste anziani a domicilio, non esiste Natale o Pasqua,siamo sempre qui. Dina accompagna gli anziani per visitemediche, commissioni, ecc. Ci sono notti di tranquillità o nottiin cui non si chiude occhio. Poi c’è lo sportello a Sant’Agnellodove ci sono 2 collaboratori che stanno avendo un successoenorme: ormai sono indispensabili. Uno dei nostri difetti, cheper la dottrina cristiana è un pregio, è che noi lavoriamo insilenzio. Salvatore (Iaccarino) è sempre reperibile come am-bulanza e come tecnico, i viaggi si susseguono senza sosta. Se non ci foste come si farebbe?Non lo so ma occorrono gli aiuti. Nel 2010 dalla regione nonabbiamo avuto un centesimo. I comuni rispetto a una volta,ci aiutano e sono attivi invece in passato eravamo abbando-nati a noi stessi. Cosa potrebbe fare l’Arciconfraternita Morte e Orazioneper aiutarvi di più?Occorrerebbe investire nel volontariato un po’ del propriotempo libero, la cosiddetta “Banca del Tempo”: donare il pro-prio tempo agli altri, a chi ne ha bisogno, a chi è meno fortu-natoIl Pellicano nella simbologia cristiana rappresenta lo stessoCristo, segno di Colui che offre la propria vita per la salvezzadi coloro che da lui sono stati generati, immagine della carità,simbolo della donazione di sé. I teologi del medioevo identi-ficavano il pellicano al Cristo in croce, e con Dio Padre cheama a tal punto l’umanità da inviare suo Figlio che risuscitadalla morte il terzo giorno. Il Pellicano è, perciò, figura dellaredenzione operata da Cristo, icona dell’amore, del dono to-tale di sé, simbolo dell’amore paterno di Dio. Dante nella Di-vina Commedia accosta la scena dell’Ultima Cena, dovel’apostolo Giovanni china il capo sul petto del Maestro, conla figura del pellicano: «Questi è colui che giacque sopra’lpetto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce algrande officio eletto». (Divina Commedia, Paradiso CantoXXV, 112-114). Ogni parola pronunciata da Giuseppe e Pinadurante l’intervista è carica di questo amore per il prossimo.Vado via con nel cuore una sola certezza: impegnarmi di piùper il mio prossimo non solo come cristiana ma soprattuttocome consorella.

Olga Stinga

Neri pag 4 pag 5 Neri

Quadro ricamato a mano raffigurante il simbolo de “IL PELLICANO”

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Trenta anni di amore gratuito e solidarietàsegue dalla prima pagina

Eravamo un piccolo gruppo e ci trovavamo in un momentoparticolare: era il dopo terremoto, la situazione era cri-

tica, e fu allora che nacque il Pellicano. All’inizio eravamosolo un gruppo di donatori di sangue che, dopo quell’eventotragico, si era reso conto che Cristo stava dicendo una solacosa: c’erano tantissime persone che avevano bisogno diaiuto. All’epoca non esisteva un servizio trasfusionale, si do-nava senza controlli e c’era molta arretratezza anche a li-vello sanitario e gli appelli per esortare i cittadini a donare ilsangue si facevano via radio. La nostra prima sede è statail retrobottega del negozio Foto Pino, eravamo in 8 e perdarci un’identità dovevamo pensare ad un nome da dare aquest’associazione. Ecco cosa accadde: don Gennaro Por-zio, allora parroco della Basilica di Santa Maria del Lauro aMeta, e tutt’oggi mio grandissimo amico, ci incontrò pressola Basilica di Meta e chiese ad ognuno di noi portare la pro-pria proposta sul nome da dare a questa associazione. Unasera eravamo tutti sull’altare e ad un tratto mi colpì un uc-cello che stava sul tabernacolo dell’altare maggiore e chiesia don Gennaro di qualeuccello si trattasse e per-ché era lì: don Gennaromi disse che era un pelli-cano. Chiesi a PadreGiuseppe Rossi di fareuna ricerca, perché luiaveva l’enciclopediaTreccani, e scoprimmoche la leggenda dice cheil pellicano è un uccelloche nei periodi di fame,con il becco si rompe ilpetto e con il sangueciba i suoi figli. Per que-sto motivo Cristo fu defi-nito il divin pellicano. Nonci furono più dubbi: si de-cise di dare questo nomeall’associazione. E’ statoil nome a venire da noi. Da donatori di sanguead associazione impe-gnata nel sociale:come avviene questopassaggio?Abbiamo iniziato il nostrocammino come donatoridi sangue ma ci siamoresi conto che non ba-stava, avendo a che fare con la sofferenza ci siamo vistiquasi costretti ad allargare il nostro campo d’azione e mo-dificammo lo statuto perché abbiamo fatto sempre tutto le-galmente sin dal primo momento. La cosa grave a queitempi era che parlare del sociale era qualcosa per cui ci ri-devano alla spalle. In quegli anni le relazioni sui disagi chevivevano i minori erano fatte di vigili urbani ed era tristissimodover leggere una relazione fatta da un vigile urbano chenon aveva le competenze specifiche dei casi di violenze suiminori. Oggi siamo noi i fiduciari del tribunale dei minori diNapoli, abbiamo seguito affidamenti ed adozioni. Il nostroimpegno nel sociale non ha avuto un cammino facile: ab-biamo fatto dimostrazioni di piazza, abbiamo fatto di tuttoper poter realizzare un servizio trasfusioni in ospedale per-ché non esisteva; abbiamo contribuito a creare l’AIAS diSorrento, ci siamo battuti per i disabili e i minori.Qual è la differenza tra il 1981 ed il 2011?La grande differenza tra ieri e oggi, e io ne vado veramentefiero, è che oggi noi ci occupiamo prevalentemente di an-ziani ma le grosse battaglie fatte anche in campo sanitario,

hanno spianato la strada ad altre organizzazioni con com-petenze specifiche come quelle che oggi si occupano di mi-nori. Noi facevamo tante cose, come l’aiuto ai minori, manon avevamo le competenze specifiche, era impossibile es-sere preparati di fronte a tanti problemi come ad esempiola tossicodipendenza. Ci rendevamo conto, giorno pergiorno, che per ogni problematica occorrevano le compe-tenze, occorreva sapere come fare e cosa fare per aiutarele persone. Oggi, grazie a Dio, ci sono associazioni e coo-perative che si occupano di minori, di persone disagiate,della tossicodipendenza. Noi, fermo restando che chiunqueviene, trova la porta aperta, riusciamo ad aiutare tutti graziealla collaborazione con i medici e specialisti. Ci sono spe-cialisti che non negano il proprio aiuto quando segnaliamoun problema o un disagio. Oggi ci occupiamo dell’assistenzaagli anziani, in tutta la Penisola Sorrentina, Capri ed Anaca-pri, con il servizio di telesoccorso, con l’assistenza domici-liare agli anziani; siamo vicini a tutti, le nostre opere sonogratuite, non prendiamo soldi da nessuno se non attraversoun conto corrente che la Regione Campania ci ha ricono-sciuto perché siamo legalmente costituiti, e chi vuole fare

una donazione puòusare. Attualmente ab-biamo 3 ambulanze chedobbiamo sostenere conil volontariato; abbiamo2 macchine attrezzateper il trasporto degli in-fermi che sosteniamograzie a donazioni. Lastessa ArciconfraternitaMorte e Orazione contri-buisce per le polizze as-sicurative e le schedecarburante dei nostri vei-coli. Nel 1984-1985 l’Ar-ciconfraternita Morte eOrazione donò un pul-mino che fino a qualcheanno fa è stato l’unicomezzo di trasporto gra-zie al quale potevamoaiutare chi aveva biso-gno di noi, lo abbiamosfruttato fino all’osso. Dapoco abbiamo compratoun furgone Doblò attrez-zato per il trasporto deidisabili: era di proprietàdi una famiglia cheaveva un ragazzo disa-

bile. Abbiamo anche un altro furgone, uno Scudo donato dauna società di navigazione; un’ambulanza donata dalla Ital-mare e poi abbiamo un porter opportunamente modificatocome mini-ambulanza attrezzata di tutto. Un porter attrezzato come un’ambulanza?Esattamente. L’idea mi venne perché le nostre zone hannostrade veramente piccole ed inaccessibili per le autoambu-lanze. Non esiste un’ambulanza così piccola infatti anche il118 fa capo a noi perché è attrezzata di tutto. Trovammouna ditta a Potenza che modificò il porter mettendo barella,posto per il medico, ossigeno e attrezzandola con tutti glistrumenti di soccorso. Abbiamo anche un altro porter perassistere tutti gli anziani. L’Arciconfraternita Morte e Ora-zione continua ad aiutarci sostenendo le spese per il man-tenimento di queste vetture.

Come è strutturata l’Associazione Il Pellicano?L’associazione il Pellicano comprende un’associazione di vo-lontari che assiste gli anziani e i malati.

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Al suo interno è nata una cooperativa sociale che ha vintola gara di appalto indetta dal piano sociale di zona per l’assi-stenza domiciliare ed il telesoccorso. Questo gruppo ha mecome presidente. nominale e non come dipendente, infattinon godo di benefici economici. I ragazzi che lavorano hannoun contratto a progetto rinnovato annualmente e guadagnanoquanto previsto dalla legge. Sono 50 ragazzi che lavorano,divisi tra assistenti domiciliari e telesoccorso.Quanto ammalati assistete? Assistiamo circa 500 anziani in tutta la Penisola Sorrentina,Capri e Anacapri, tranne Vico Equense e Meta di Sorrentoche sono usciti dal piano sociale di zona. Sono usciti dalpiano sociale dal 1° gennaio 2011. È stata una decisione checi ha lasciato basiti: noi continuiamo a stare vicino agli am-malati perché a Meta e Vico Equense abbiamo ancora qual-che persona collegata. Non abbiamo capito i veri motivipolitici di questa separazione perché in tal modo i comuniperdono tutti i contributi regionali stanziati per l’assistenzasociale e tanti benefici per i loro cittadini. Per problemi politicisi è creata una rottura che va a discapito dei cittadini.Come si colloca l’Associazione nel panorama della sa-nità della Penisola Sorrentina? Il Pellicano è una realtà attiva in Campania e tra le iniziativeche portiamo avanti c’è quella del tribunale per i diritti del ma-lato. Abbiamo costituito uno sportello nel poliambulatorio ASLdi Sant’Agnello e abbiamo la nostra sede in via Carlo Amalfidove fanno capo tutte le problematiche relative al discorsosanità. Queste sono problematiche molto serie che ci impe-gnano tantissimo perché la carenza che abbiamo in PenisolaSorrentina è endemica ed è enorme. Ci siamo sempre battutiperché la Penisola anche geograficamente ha dei punti de-boli e allora solo chi ha avuto la sventura di avere problemigrossi si è reso conto che abbiamo una strada che ci collegacon i grandi ospedali che è sempre intasata, con galleriechiuse, è unica, non ci sono elicotteri e non c’è la via delmare che funziona. Noi siamo sempre vigili e attenti per farfunzionare almeno quel poco che abbiamo. Questa è un’at-tività che ci impegna tantissimo. Sabato 23 Gennaio 2011 ab-biamo organizzato un convegno medico, non moltopartecipato dai cittadini ma molto sentito dai sindaci della pe-nisola, tranne Meta, i rappresentanti del governo, di provinciae regione e sono state buttate le basi per la creazione di unospedale unico. Adesso sta a noi: il 5 Febbraio 2011 ci saràl’ispezione della commissione regionale per verificare se èpossibile allargare l’ospedale di Sant’Agnello e farlo diventareun ospedale unico perché è l’unica struttura che ha intornoun terreno edificabile, perché è centrale, si trova vicino allastazione ed in più c’è la possibilità di realizzare parcheggi.Lo scorso 23 Gennaio è stato un giorno storico perché per laprima volta tutti i sindaci erano uniti e proiettati verso unobiettivo comune ed unico. In passato per motivi di campa-nilismo, per motivi politici, non si è mai riusciti a fare un pro-gramma comune. Quando è nata quest’idea? Quest’idea è nata 30 anni fa e abbiamo cercato di promuo-verla ma oggi siamo riusciti a fare un documento unico. Il Co-mune di Piano e il Pellicano sono stati i promotori. E’ unprogetto a lungo termine ma è importantissimo perché hacontribuito anche il comune di Positano. È di recente approvazione la legge che stabilisce la pre-scrivibilità dei farmaci previa verifica del reddito: qualeè la vostra esperienza in tal senso?La situazione ci preoccupa moltissimo: siamo vicini ai citta-dini per aiutarli. Tutti i giorni siamo presso l’ASL di San-t’Agnello. Attualmente con il piano di rientro la RegioneCampania ha un buco economico enorme a cui si cerca diporre rimedio bloccando tutti i fondi. La Regione Campaniaha ben pensato di creare dispositivi che annullano i beneficidi cui godevano bambini ed anziani e ha basato tutto sul red-dito, creando una serie di categorie contrassegnate da uncodice da cui si desume che occorre essere veramente po-veri per avere determinate esenzioni. Oggi di questo deficit

regionale e di questo abuso, stanno pagando solo i cittadini.Tutti passano per il nostro sportello e pochi riescono a rice-vere un’assistenza. La Regione ha stabilito che entro 3 mesioccorre essere in regola con il dispositivo ma il problema èche poiché tutto avviene per via telematica, i medici non pos-sono usare i codici pre-esistenti e quindi oggi se non si è inregola con la nuova disposizione di legge, non è possibileprescrivere farmaci o visite specialistiche. Oggi stanno pa-gando tutti: ogni ricetta ha un costo tra 5 e 10. È una cosaspaventosa: la maggior parte degli anziani e degli ammalatinon si sta curando. Oggi il Pellicano si è assunto l’onere dicreare uno sportello per effettuare le pratiche per le esenzionionde evitare che le persone dovessero dormire fuori i cancellidall’ASL perché ogni mattina gli uffici addetti alle pratiche as-segnano solo 20 numeri, evadendo quindi solo 20 pratiche.Per avere uno di questi 20 numeri le persone trascorrevanola notte in macchina fuori i cancelli dell’ASL. Ci sono stati casidi persone su sedie a rotelle che sono andate a prendere ilproprio turno durante la notte. Molti anziani oggi preferiscononon curarsi perché la maggior parte non ha la possibilità dipagare 5 per ogni ricetta. La situazione è drammatica. Ditutti gli imbrogli, i falsi invalidi, sta pagando il cittadino malatoe povero. Adesso anche all’INPS stanno facendo gli accer-tamenti. L’INPS ha dovuto assumersi l’onere di rivisitare tuttigli invalidi e chi non va perde la pensione. Quelli che non rie-scono ad andare si rivolgono al Pellicano per essere accom-pagnati.Qual è la vostra giornata tipo?Non ci fermiamo mai, stiamo qui notte e giorno. Organiz-ziamo il giorno prima per il giorno dopo gestendo turni e as-sistenza. Il telesoccorso è fatto da volontari, le notti si fannoa turno, molto spesso ci sono i figli al seguito. Pina arriva alle8.00 se non ha fatto la notte, cura la contabilità, fa servizifuori, assiste anziani a domicilio, non esiste Natale o Pasqua,siamo sempre qui. Dina accompagna gli anziani per visitemediche, commissioni, ecc. Ci sono notti di tranquillità o nottiin cui non si chiude occhio. Poi c’è lo sportello a Sant’Agnellodove ci sono 2 collaboratori che stanno avendo un successoenorme: ormai sono indispensabili. Uno dei nostri difetti, cheper la dottrina cristiana è un pregio, è che noi lavoriamo insilenzio. Salvatore (Iaccarino) è sempre reperibile come am-bulanza e come tecnico, i viaggi si susseguono senza sosta. Se non ci foste come si farebbe?Non lo so ma occorrono gli aiuti. Nel 2010 dalla regione nonabbiamo avuto un centesimo. I comuni rispetto a una volta,ci aiutano e sono attivi invece in passato eravamo abbando-nati a noi stessi. Cosa potrebbe fare l’Arciconfraternita Morte e Orazioneper aiutarvi di più?Occorrerebbe investire nel volontariato un po’ del propriotempo libero, la cosiddetta “Banca del Tempo”: donare il pro-prio tempo agli altri, a chi ne ha bisogno, a chi è meno fortu-natoIl Pellicano nella simbologia cristiana rappresenta lo stessoCristo, segno di Colui che offre la propria vita per la salvezzadi coloro che da lui sono stati generati, immagine della carità,simbolo della donazione di sé. I teologi del medioevo identi-ficavano il pellicano al Cristo in croce, e con Dio Padre cheama a tal punto l’umanità da inviare suo Figlio che risuscitadalla morte il terzo giorno. Il Pellicano è, perciò, figura dellaredenzione operata da Cristo, icona dell’amore, del dono to-tale di sé, simbolo dell’amore paterno di Dio. Dante nella Di-vina Commedia accosta la scena dell’Ultima Cena, dovel’apostolo Giovanni china il capo sul petto del Maestro, conla figura del pellicano: «Questi è colui che giacque sopra’lpetto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce algrande officio eletto». (Divina Commedia, Paradiso CantoXXV, 112-114). Ogni parola pronunciata da Giuseppe e Pinadurante l’intervista è carica di questo amore per il prossimo.Vado via con nel cuore una sola certezza: impegnarmi di piùper il mio prossimo non solo come cristiana ma soprattuttocome consorella.

Olga Stinga

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Quadro ricamato a mano raffigurante il simbolo de “IL PELLICANO”

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di Giovanni Ruggiero

Neri: confesso di essere rimasto un po’ sorpreso della vo-stra prima uscita. Sorpreso per grafica, per contenuti, per-

sino per il numero di pagine. Mi aspettavo qualcosa di«semplice» ed invece mi sono ritrovato uno scrigno di paroleda leggere con attenzione e meditare con profondità. Si vedechiaramente la mano e la penna di chi fa il mestiere di coglierela notizia e sono certo che avete aperto una nuova strada perpoter raccogliere la vostra storia «Camminando s’apre cam-mino». Neri: mi sono lasciato anche suggestionare da que-sto titolo, secco, netto, precisovi chiamano così peressenzialità, per sminuirvi, per riconoscervi. Neri come la nottea cui siete familiari, alla ricerca – in processione- di speranzeperdute. Neri: come assenza di colori perché il vuoto o la man-canza si fa anelito di presenza. Neri come distintivo che si sta-glia netto nelle mille sfumature della realtà: per essere questoe nient’altro. Neri di storia ormai centenaria, neri di sacco con-sumati pellegrinando, neri di lutto per accompagnare la morte,neri di fede per custodire la speranza Ed oggi neri di pa-role perché una storia per essere degna di fede, di considera-zione, d’amore, ha bisogno di essere narrata. Per secoli avetescelto il silenzio del buio del Venerdì Santo come messaggioper rompere catene antiche Ora lanciate la sfida alla prima-vera con il vento leggero delle parole perché la storia del-l’uomo che cammina non si esaurisce in una processione mas’incarna in una quotidianità che chiede senso, direzione, spe-ranza. Ho cominciato così, per distrarmi dal tema che mi aveteaffidato «Solidarietà e Dolore», confesso che per le mie forze,troppo impegnativo, soprattutto per le tante sfaccettature chemeriterebbero altra penna, altra intelligenza e soprattutto altrocuore. Ma non mi sottraggo, non solo per dovere e gratitudine,ma cosciente che su questo argomento ci giochiamo il misterostesso dell’esistenza – grande e misera –dell’uomo. Volete al-lora ascoltare la mia storia? Solidarietà e dolore è la favola delconcepimento: se facessimo più silenzio riusciremo persino apercepire il leggero movimento dello spermatozoo che si in-castona nell’ovulo: è il mistero raccontato e mai spiegato diun sogno che si fa carne e sangue per una nuova avventurada vivere fino in fondo Solidarietà e dolore sono nel primo vagito, grido di dispera-zione e liberazione, prima «morte» sperimentata che si con-fessa che la vita stessa è una sequenza ininterrotta diseparazioni, a volte imposte, a volte scelte, a volte tragiche, avolte salutari.ma sempre necessarie per compiere il nostrodestino di uomini: andare avantiSolidarietà e dolore sono lo spazio e il tempo dove muoviamoi primi passi. È in quel vociare di bambini che giocano, il primociak di relazioni dove si impara l’arte dell’altro (alterità) e traslanci generosi ed egoismi ripetuti apprendiamo che la nostraesistenza si fonda sullo STARE CONSolidarietà e dolore sono lo schermo dove si proietta il filmdell’adolescenza e della giovinezza. In quel film ci sono i mo-vimenti che non fanno rumore eppure hanno la forza dell’ura-gano e lasciano segni permanenti: tempesta di ormoni e divissuti che trasformano lentamente e con fatica (soprattuttopsicologica) il goffo corpo di un bambino nel corpo maturo diun uomo e una donna. Un corpo cambiato che ha desideri piùcoinvolgenti del nostro cuore che, come «terremotato» si la-scia spesso suggestionare dalle emozioni e si aggrappa di-sperato ad un altro cuore «lesionato» per storie che hannospesso l’illusione dell’eternità e la durata di una giornata.Solidarietà e dolore sono i frutti maturi del tempo delle scelte,quando ormai adulti abbiamo imparatoa potare e raccogliere,a seminare e custodire, a coltivare e asognare È la sta-

gione dove si è padri ma ancora figli, si è grandi ma ancorapiccoli, si è forti ma ancora fragili. È il tempo del fare ma nonda soli, è il tempo del lavoro ma non basta, è il tempo del-l’amore ma lo stesso ci perdiamoe intanto il tempo passaSolidarietà e dolore sono i doni essenziali quando cominciamoa PERDEREcapelli e compagni, forza e futuro, impegni efigli. Come madri silenziose cominciano a raccogliere i coccidi una vita, a volte spezzata, sperando di trovare il filo condut-tore degli eventi, scrutando un domani sempre più vicino dovesaremo costretti a lanciarci nel vuoto con la speranza chequalcuno ci prendae allora, solo allora, potremo virare versol’Eterno dove ogni ferita e ogni contatto, ogni ombra e ogni ca-rezza, ogni fallimento e ogni amiciziatroverà il suo segno dicrocePerdonatemi, non sapevo come districarmi da un tema cosìcomplesso e così ho cercato le briciole disseminate nel miovivere quotidiano e ho raccontato quello che penso e sentodella vita dell’uomo. Lo so, voi mi avete invitato anche per par-lare della mia esperienza con i ragazzi tossicodipendenti , in-tuendo che in questo lavoro che ormai dura da 18 anni c’è ilsegreto della mia sensibilità e la consapevolezza della mia fra-gilità, nemmeno io immaginavo che nel 1992 al primo corsodi volontari antidroga avrei segnato in maniera così indelebilela mia vita personale, relazionale, professionale. E visto chela Provvidenza ha voluto indirizzare la mia storia e il mio de-stino, condivido con voi qualche spunto che ormai porto im-presso nelle mie viscereSolidarietà e dolore in questi 18 anni in una comunità di recu-pero sono diventati l’occasione di un incontro con ragazzi, uo-mini «scassati». E le loro storie «rotte» si sono confrontatecon il mio sguardo, perché prima di un’analisi, una statistica,una terapia, il nostro lavoro è un racconto di sguardi: occhiche contemplano vissuti, violenti, mancanti, indifferenti. È bellopensare che ogni incontro umano significativo nasce da un le-game di occhi! È con questa traccia che ogni vicinanza è in-nanzitutto una carezza di iridi diversamente colorate che nonindagano ma incoraggiano, non pretendono ma stimolano,non giudicano ma sperano. Dovrei erigere un monumento aquesto occhi di uomini «rotti»: specchi spesso infranti maunica porta d’accesso alla loro anima. Solidarietà e dolore in 18 anni diventano pane quotidiano tantoda correre un grave pericolo: diventare un professionista dellasofferenza e trasformare un cuore di carne in un cuore di pie-tra. Se non vuoi perderti nella familiarità con il dolore devi te-nere a mente – sempre – che dinanzi a te c’è – sempre – unapersonaanche se distrutta, ferita, apatica ribelle, c’è unapersona che chiede di entrare in relazione con te. Il prendersicura di un altro, prima che una scienza, è una relazione: unoscambio, un percorso, un legame. È la coscienza che si puòricostruire gettando ponti dove ci sono distanze, che si puòtrovare una via d’uscita dove ci sono macerie, si può di nuovosognare dove aleggiano fantasmi. In questi anni mi sono im-pegnato soprattutto a creare relazioni «calde» significative,accoglienti. E il segreto è farlo insieme: è l’operato faticoso eaffascinante di sperare in squadra, perché prima di fare qual-cosa per gli altri, noi lavoriamo con gli altri, perché insieme èpiù facile. Solidarietà e dolore è ammettere di essere cresciuto ricono-scendo soprattutto la propria debolezza e il bisogno che ab-biamo delle persone. Ho scoperto che rivelare il buio dell’altrosvelava anche le mie ombre, accarezzare le ferite di un uomoti predisponeva ad accettare le tue, accendere fuochi di spe-ranza ti insegnava a non spegnere i tuoi sogni.

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«I miei 18 anni in comunità»segue dalla prima pagina

Spesso in questi anni ho avuto chiara la visione che que-ste storie c’erano state donate; un dono prezioso che

non ti aspetti, che inizia ad operare in tè e lascia profondisegni! Credo che tutti noi ci imbattiamo nella vita in “eroisemplici” che spesso non riconosciamo, ma che sono mo-numenti eretti all’amore per il prossimo! Per questo ringra-zio il Signore di avere nella Fratellanza del mio SodalizioConfratelli come Giuseppe Staiano, Pina e Salvatore Iac-carino (che affettuosamente chiamiamo Pina e Salvatore“Il Pellicano”) che sono a contatto quotidianamente con lasofferenza e che senza risparmio si prodigano per chi sof-fre.Ho sempre pensato che Cristo ci ha lasciato la Croce

come la “Prova della Nostra fede”; il simbolo di un martirio,di una ingiustizia, del dolore come testimonianza del-l’amore! Spesso mi sono chiesto come possiamo capire,farcene una ragione, del dolore. Cosa dice ai nostri cuori ilSignore quando la vita di un giovanissimo e promettentesacerdote, un brillante curatore di anime, che in pochi anniha conquistato i cuori di una comunità intera è minata daun male incurabile? Da bambino non riuscivo a spiegarmi il perché deglisguardi smarriti dei miei amichetti quando, al mare, guar-davano mio fratello; loro riuscivano a cogliere una disabilitàche io non vedevo. Una diversità dalla nostra “normalità”usciva fuori dai loro occhi smarriti! Mi porto dietro quegliocchi che credo hanno segnato tutta la mia vita! Perchéspesso nella vita non ricordiamo dei successi o degli in-successi le grandi cose ma l’aria, gli odori, le sensazioniche riempivano quei momenti! È la “teoria delle cose mi-nime”: così grandi proprio perché cosi piccole! Sono quei“Doni” che il Signore fa alla nostra vita e che la rendonoper questo una vita! Il motivo stesso per cui vale la penavivere! Quegli occhi che mi facevano rabbia, solo ora inizioa capire che erano la carta da regalo dove è custodito ildono più prezioso che mi è stato fatto! Oggi ringrazio il Si-gnore per il Dono di un fratello “Diversamente Abile”, diver-samente abile in quanto più abile di me a sognare, adamare; a voler bene senza limiti! Ringrazio il Signore chea fatto in modo di farmi conoscere un mondo di cui, altri-menti, non ne avrei gustato i sorrisi, i baci, le carezze!Per questa abitudine a cogliere la grazia piuttosto che ladisgrazia credo che sia un dono per tutti noi il modo in cui,Caro Don Domenico, stai vivendo la tua malattia, per la se-renità con cui affronti la quotidianità di un male che non riu-scirà ad attaccare la tua anima. Penso spesso ad una seradi un mese di Giugno di qualche anno fa, preparammo in-sieme centinaia di palloncini colorati che dovevano essereliberati durante l’omelia con in sottofondo la canzone di DeGregori “La Donna Cannone”. Quella sera distribuimmo in-sieme quei palloncini. In fondo alla navata della chiesa diSan Michele io incrociai lo sguardo di una ragazza che dali a poco avrebbe rubato il mio cuore.La nostra vita è fragile come un palloncino! La leggerezzadi un palloncino, che riesce a volare tra le stelle, è la leg-gerezza dello spirito dei Santi. Caro Domenico la legge-rezza del tuo spirito è quella dei Santi, quella che, comequei palloncini quella sera, “butterà questo mio enormecuore tra le stelle”. Il Signore tramite te ci interroga e cichiede di Credere!Ho sempre pensato che le parole scritte in una bellissimacanzone da Antonello Venditti, che per l’appunto si intitola “Dimmi Che Credi”, siano state scritte in un momento di il-

luminato slancio di un cuore che soffriva. Caro Domenicol’ho ascoltata giovedì scorso scendendo da Moiano. Ti vo-levo salutare, ero arrivato fino alla porta della tua chiesa apiazza San Renato, ma non ho avuto il coraggio di entrare.Da quando ho sostituito mio padre nel giro di consegne delcaffè ai nostri clienti delle colline vicane ( il suo cuore dalloscorso novembre ci ha chiesto una vita più “serena”) nonc’è volta che, arrampicandomi per la strada che da Seianoportano fino al Faito, il mio pensiero non vada a te! Sonoconvinto che quella canzone che mi accompagnava nelladiscesa, e che mi cullava dopo l’ennesimo fallimento, mel’hai dedicata tu! La dedichi alle nostre povere vite ricchedi paure e di incomprensioni. L’ennesimo dono, il più bello!

Michele Gargiulo

Storie di eroi semplici

Dimmi che Credi(di Antonello Venditti)

Se tu ragazzo cercherai nella stagione dei tuoiguai un po' d'amore, un po' d'affetto, e nella notte griderai, in fondo al buio troverai solo il cuscino del tuo letto. Non devi piangere, non devi credere che questa vita non sia bella, per ogni anima, per ogni lacrima, nel cielo nasce un'altra stella. Molti si fuggono, altri si estasiano e non troviamo mai giustizia, e non si parlano, e poi si perdono perché non amano abbastanza. Tu non ti arrendere, non ti confondere, apri il tuo cuore all'universo, che questo mondo sai, bisogna prenderlo, solo così sarà diverso. Dimmi che credi, dimmi che credi, come ci credoio, in questa vita, in questo cielo, come ci credo io. Il tuo sorriso tra la gente passerà forse indifferente, ma non ti sentirai più solo, sei diventato un uomo. E nella notte cercherai, nella stagione sei tuoi guai, un po' d'amore, un po' d'affetto, e disperato griderai, in fondo al buio troverai solo il cuscino del tuo letto. Non devi piangere, non devi credere che questa vita non sia bella, per ogni lacrima, per ogni anima, nel cielo nasce un'altra stella. Dimmi che credi, dimmi che credi, come ci credoio, in questa vita, in questo mondo, come ci credo io. Tu non ti arrendere, non ti confondere, apri il tuocuore all'universo, che questo mondo sai, bisogna prenderlo, solocosì sarà diverso. Non devi piangere, non devi credere che questa vita non sia bella, per ogni anima, per ogni lacrima, nel cielo nasce un'altra stella. Eh sia, eh sia.

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segue dalla prima pagina

Perché dove lei celebra c’è sempre così tanta gente?(Ride) di me si dice che riempio la chiesa di donne. Si dice“che bel prete” ma non “che bravo prete. Non sono un am-maliatore ma credo che il segreto di tutto sia la mia fede, tuttociò in cui io credo ed il modo in cui lo comunico. Diceva donTonino Bello: «se vuoi essere universale parla del tuo villag-gio». Io cerco sempre di comunicare ciò che lo spirito mi sug-gerisce nella preghiera.

All’inizio di questa intervista ha precisato che sta vi-vendo un momento particolareVivo un periodo durissimo: è circa un anno che sono ritornatoa casa dei miei genitori e sono privo delle mie cose perchèsono stipate in scatoli in un garage aspettando che trovi unaidonea collocazione. Sento che la mia chiesa diocesana miha tradito, disinteressandosi di me.

Cosa significa disinteressandosi? Significa che fino a un anno fa ero parroco presso la chiestadi N.S. di Lourdes a Sorrento e un giorno arrivò un sacerdoteche viene a chiedermi se ero disponibile a trasferirmi a MassaLubrense come parroco. Dal momento che il mio punto di ri-ferimento in queste situazioni è sempre stato il vescovo diSorrento-Castellamare di Stabia, decisi di andare da lui e rac-contargli tutto, facendo presente l’inopportunità del mio spo-stamento soprattutto alla luce di quelle che erano state alcunedelle iniziative che avevo intrapreso e stavo svolgendo, vistoil mio sentirmi in comunità con gli altri sacerdoti e pensaianche di far presente che si stava verificando che un gruppodi laici stava provando a prendere il sopravvento, facendo ri-corso anche al potere politico. Il Vescovo mi dice che la ri-chiesta di spostarmi a Massa Lubrense era dovuta al fattoche a Sorrento si era pensato di fare un Solido. A me non erastato chiesto di fare il Solido né di farne parte, mi è stato solochiesto di spostarmi a Massa Lubrense. Al nostro incontroseguì immediatamente una telefonata in cui mi si comunicavache la decisione era ormai presa: mi sarei trasferito a MassaLubrense. Accettai la nomina a parroco di Massa Lubrense,mi spostai se pure con la morte nel cuore, ma subito mi ac-corsi che questo era solo un grande imbroglio perché il Solidoè stato fatto nei documenti ma di fatto non esiste.

I fedeli ed i suoi ex parrocchiani che vedono tutto ciò,cosa si chiedono?La parrocchia di N.S. di Lourdes non ha il parroco designatoperché lui ha interesse a stare alla chiesta di S. Antonino, edè abbandonata a se stessa. Tutti si chiedono perché sonostato spostato e cosa abbia fatto. Non ho fatto niente. Ho ac-cudito Don Luigi Verde fino alla morte, ho portato avanti laparrocchia, ho recuperato un disavanzo di 37.000 Euro dellagestione precedente; sono andato via da Massa Lubrensenon perché non mi trovavo bene ma perché voglio una rispo-sta. Voglio sapere tutti questi cambiamenti a chi hanno gio-vato ma soprattutto vorrei sapere se la chiesa adesso èservita meglio o peggio. Lo chiedo continuamente al mio ve-scovo e agli altri sacerdoti ma purtroppo senza ricevere al-cuna risposta. Adesso mi fanno delle proposte temporanee.Ho deciso di andare a celebrare messa presso la chiesa dellaMarina di Cassano perché voglio mettermi a ridosso, vogliovedere nei miei confronti come si agisce e cosa si fa: si parlamale di me, c’è una maldicenza esagerata, si dice di tutto edi più ma non si dice la verità. Sto resistendo. Qualsiasi cosafaccia cerco di rimanere fedele al mio Signore e a me stesso.Non mi sono mai compromesso né mai lo farò. Sono anchedisponibile a lasciare il sacerdozio perché non lo vivo comeun mestiere, mi sento prete a tutti gli effetti ma la chiesa mista maltrattando per non dire la verità, per non dire è statocommesso un grave errore. Mi chiedo: perché nessun miocollega è mai venuto a casa mia? Perché nessuno mai si oc-

cupa di me? È un anno che mi chiedo ogni giorno: perchénessuno fa niente per me quando io ho fatto tanto per i preti,per i fedeli e per la mia comunità? Perché i miei colleghiadesso dicono di aver paura di me?

Come è arrivato alla messa delle 10.00 presso la Basilicadi San Michele Arcangelo? Io non ho una parrocchia, celebro solo la messa delle 10.00presso la Basilica di San Michele. Arrivo alla messa delle10.00 perché Don Pasquale mi ha voluto aiutare invitandomia celebrare qui in basilica. Accettai ma non sapevo che erala messa dell’Arciconfraternita Morte e Orazione, mi hannodetto celebra e basta.

Oltre alla messa delle 10.00 in Basilica, celebra anchepresso la cappella della Madonna delle Grazie alla Marinadi Cassano: come è stato accolto dalla comunità dellamarina?Dovunque sono andato non ho mai avuto difficoltà con le per-sone. Alla spiaggia sembra che mi vogliano tutti bene. Laprima volta arrivai con pantaloncino, maglietta e telo da mareperché amo il mare e pensai di celebrare messa e poi uscirein barca. Tutti si chiesero cosa avessi in mente ma adesso,guai a chi gli tocca Don Tonino de Maio, perché non do fasti-dio a nessuno, faccio il mio dovere, che non è quello di fareil semplice sacerdote ma di stare vicino alle persone. Sonouno che vuole essere sempre reperibile.

Beati i perseguitati dice il VangeloBeati i perseguitati Io sto facendo una fatica esagerata so-prattutto perché vedo i miei genitori che hanno un figlio di 46anni a casa e se non avessi avuto loro non so dove sarei fi-nito, avrei fatto la fine di un barbone. Il lavoro non mi fa paura,ho lavorato fino a 25 anni, ho fatto l’idraulico, ho tante com-petenze

Che futuro vede?Non lo intravedo al momento, però so che voglio una rispostaa ciò che è accaduto.

Adesso cosa fa? Aspetta?Ho aspettato anche troppo. Chi mi ha succeduto a Massa Lu-brense si vanta che io gli ho insegnato una grande verità: chenon si lascia mai nessuno indietro, però anche lui insieme aglialtri mi hanno lasciato indietro? Adesso mi sono tirato fuoridal palazzo, dall’orgia delle lingue per dimostrare sul campochi sono e cosa sono capace di fare.

La sua rivincita la sta prendendo la messa delle 10 stacambiando ariaPosso dire questo: dovunque vado smuovo le masse. Potrei strumentalizzarle, fare come i politici per dare colore evalore alla mia causa, ma sto facendo da solo, non chiamonessuno. Mi sto comportando da sacerdote fino alla fine. Non so fino aquando celebrerò questa messa ma ultimamente mi trovo inuna situazione in cui il Signore mi sta facendo vivere e faretutte quelle cose che non avrei mai pensato di fare. Non homai voluto celebrare una messa solo per l’offerta, senza nes-sun aggancio alla comunità. Ma adesso lo faccio, mi sentocome uno che fa un lavoro, viene pagato e se ne va.

Chi è il prete a cui si sente più legato in diocesi? Nessuno.

Al termine dell’intervista sul volto di don Tonino vediamo unsorriso amaro ma anche tanta voglia di “essere prete”, spe-riamo che don Tonino, possa presto sorridere di gioia, quellagioia che solo Dio sa donare!

Olga e Rita Stinga

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E se è vero che ci sono storie che mai avrei immaginato diconoscere, queste non sono altro che l’estremo di una fragi-lità che tutti ci portiamo dentro e che mi permettono una pro-spettiva nuova con cui guardare la mia e la nostra normalità.Credetemi, mai sarò grato abbastanza, ai miei ragazzi dellaFanelli che mi aiutano a non smarrirmiConcludo con parole non mie, perché consapevole di averbalbettato dinnanzi al mistero stesso della vita, e lascio aEnzo Bianchi il compito di ricamare l’essenza intima che legala solidarietà con il dolore. È un testo sui profeti di oggiau-guro a voi e a me di incontrare persone così, di diventare per-sone così.

«Questi ultimi sono dei nomadi, dei pellegrini infaticabili,senza dimora permanente, senza propria città e propria casa,straieri in ogni terra: non necessariamente sono una anaco-reti, estenuati dai digiuni, vestiti di sacco, armati di una sola

bisaccia da viaggio: magari indossando camicie e maglioni,s’incontrano, lavorano mescolati agli altri, entrano ed esconoda una casa, eppure vivono con il respiro dei viandanti.Hanno grandi occhi, scrutano con attenzione, e come civettevedono anche nella notte tenebrosa quando ogni profilo edogni profondità appare perduta: hanno orecchie che sannopercepirei mormorii di coloro che passano loro accanto,hanno orecchie che sanno discernere anche tra i rumori as-sordanti della città i singhiozzi degli infelici; hanno mani checonoscono l’arte di fare carezza o lenire dolori, con la boccasanno gustare e distinguere ciò che contiene la coppa, il ca-lice, che ogni giorno viene loro offerta e il fascino dei profumicoi loro significati infiniti li raggiunge fino a finirli. Insomma,questi pellegrini non hanno cuori di pietra ma cuori di carne,cuori che balzano fino alla gola per la gioia o l’angoscia, cuoriche versano lacrime abbondanti e sanno trasalire, eppurenon hanno luoghi né persone sulla terra da cui sentirsi lon-tano».

G.R.

di Giuseppe Stiffa

Quando le confraternite nacquero furono frutto della pie-tas; nel duplice significato che questo nobile termine pos-

siede: culto del Signore e attenzione verso il prossimosofferente.Quali che fossero gli scopi particolari dei singoli sodalizi nonmancarono mai di accogliere nei loro statuti le opere di caritàcristiana: assistenza ai malati e moribondi, soccorso agli in-digenti, cura degli anziani.Senza voler rifare la storia del rapporto fra le confraternite eil potere temporale, sono effettivamente molti i periodi storiciin cui esse hanno svolto, tramite le opere di carità, un ruolodi surroga o di sostituzione delle istituzioni. Nel meridioned’Italia tale ruolo continua ad essere loro riconosciuto.Sia la pietas come la caritas sono riconosciute dalla Chiesae dal suo ordinamento giuridico elementi qualificanti delle per-sone giuridiche, istituzioni, consociazioni e quindi anche delleconfraternite.Ricordiamo a tal proposito soltanto il canone n° 798 del Cor-pus Iuris Canonici ( ad pietatis vel caritatis opera ) e l’enciclicaMater et Magister di Giovanni XXIII: in poche parole, per ilcristiano/confratello non può esistere giustizia senza la caritàe la solidarietà.

Si potrebbe coniare una nuova definizione di confraternita:ente di diritto vocato alla carità e alla solidarietà.L’Arciconfraternita Morte e Orazione recepisce nel suo statutole indicazioni dei padri conciliari e dei sommi pontefici in ma-teria di solidarietà, e costantemente le conserva man manoche essa rinnova e aggiorna i suoi strumenti.E’ pluridecennale la collaborazione con l’associazione perl’assistenza ai malati “il Pellicano”, di cui si legge in altra partedel giornale; ancora più antico è il legame con la casa di ri-poso “S.Michele”, alla quale vengono offerte 5 giornate dipane per ogni mese.Ma ha ancora senso, oggi, una solidarietà che si misura sol-tanto con un aiuto materiale o, peggio, economico?La nostra contemporaneità sperimenta tutti i giorni “nuove po-vertà”, povertà del cuore, dell’attenzione non del portafoglio,nuove povertà che per essere medicate hanno bisogno di unamoneta dal conio particolare: il Tempo.Di qui nasce il progetto Banca del Tempo che l’Arciconfrater-nita Morte e Orazione sta elaborando e per il quale richiedela collaborazione dei confratelli: la cessione di una piccolaparte del nostro tempo o delle nostre professionalità per aiu-tare i malati, gli anziani e i sofferenti, anche soltanto unabuona parola per superare una difficoltà imprevista e che cicausa disagio.

Solidarietà e confraternite: una retrospettiva e uno sguardo al futuro

«Le mie domande senza risposte»

Il 21 gennaio la consueta partita di calcio del venerdì ha visto in camponon solo i confratelli “Neri”, ma anche un gruppo di giovani ragazzi

americani di New York appassionati di calcio. Jacob Andrew Mountain,Lee Smith, Ray Sova, John Zappolo sono quattro studenti della facoltàdi architettura dell’Alfred State College che partecipano ad un pro-gramma universitario che prevede un soggiorno di quattro mesi in Ita-lia. Jacob, Lee, Ray, John sono subito entrati in partita, anche perchéfanno parte della squadra di calcio del loro college ed amano questosport quasi quanto noi italiani. In perfetto spirito di globalizzazione lesquadre sono scese in campo con formazioni miste italo- americane ela lingua in campo era un misto tra italiano,inglese e napoletano checome è noto a tutti sta diventando sempre più internazionale. La partitasi è chiusa in pareggio dopo 60 minuti di puro e sano divertimento. Lapartita del venerdì è diventata un appuntamento fisso non solo dei“Neri” ma anche degli amici americani. Chissà se il prossimo matchsarà Italia vs USA?

Aniello Stinga

La Morte e Orazione si tinge a stelle e strisce

Page 8: Neri, anno I numero 2

Neri

di Michele Gargiulo

Quando all’indomani della mia elezione a priore chiesi a Fa-brizio di riprendere la pubblicazione di “Neri” ci ponemmo

come obbiettivo quello di un mensile e non di un bollettino an-nuale; il mensile ci poteva dare l’opportunità di creare un ponte,di comunicare con la nostra comunità parrocchiale e con i no-stri confratelli! Chi meglio di un giornalista apprezzato a livellonazionale come Fabrizio poteva realizzare un progetto cosìambizioso? La mia unica richiesta era quella di poter toccare,di volta in volta, degli argomenti cosiddetti “ difficili” che spessonon trovavano facile ostello nella nostra confraternita. Questosentimento di insofferenza, di voler dare voce al disagio ac-compagna da sempre la mia vita! Chi mi conosce bene sa che,qualche anno fa, quando pensai di rivoluzionare la cerimoniadi uscita della processione nera della notte (non me ne vo-gliano i Priori “non processionali” ma io sono un Priore “pro-cessionale” e credo che tocca a noi convertire la dis-graziadelle processioni in una meravigliosa grazia) , capii che era ilmomento che allo splendore di vesti stirate e di file di incap-pucciati più o meno in ordine doveva seguire l’amaro di storievissute nella nostra comunità da confratelli o partecipanti che,per il loro messaggio d’amore, non potevano restare nascoste.

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Sacerdote per sempreHic sum Amore

NeriBollettino interno dell’Arcicon-fraternita della Morte e Ora-zione di Piano di Sorrento

Anno I - Numero II del 13 febbraio 2011

Direttore: Fabrizio d’Esposito

Coordinatrici della redazione:Olga e Rita Stinga

Hanno scritto su questo numero:Olga, Rita e Aniello Stinga;Pietrantonio Iaccarino;Giuseppe Stiffa;Giovanni Ruggiero;Michele Gargiulo.

Progetto Grafico:Aniello Stinga

Prossimo numero: marzo

www.arcmorteeorazione.org

di Olga e Rita Stinga

Don Tonino de Maio, ex parroco della chiesa di N.S. di Lourdes a Sor-rento, da circa due mesi celebra la messa domenicale alle ore 10.00

presso la Basilica di San Michele Arcangelo, quella che per statuto è l’eu-caristia dedicata a tutti i confratelli dell’Arciconfraternita Morte e Orazione.Don Tonino ha accettato di lasciarsi intervistare benché stia vivendo quelloche lui stesso ha definito un “momento particolare”. Don Tonino nasce comeun giovane che pensava a tutt’altro che all’essere prete: entrò in parrocchiaperché come capita agli adolescenti era attratto da una ragazza che frequen-tava il gruppo parrocchiale.«Ero un parrocchiano qualunque, poi pian piano, poiché non sono un su-

perficiale, comincio a frequentare la parrocchia più assiduamente ed incontroun sacerdote, don Arturo Aiello (attuale vescovo di Teano-Calvi) la prima voltanel campo di pallavolo a Pozzopiano dove giocammo una partita insieme.Quando lui decise di trasferirsi presso la canonica della Basilica di San Mi-chele Arcangelo, fui io a svolgere i lavori di idraulica, perché nasco comeidraulico, e poco dopo, diventai animatore in parrocchia e andai ad abitarecon lui. L’esperienza che ho fatto, di giovane accompagnato nella crescitaspirituale ed umana, è stata quella di aver trovato una persona che mi è stataaccanto. E così ho imparato a conoscere Dio nella mia vita: cioè come unoche mi accompagna, che mi cammina accanto, come uno che non mi risolvei problemi ma che nemmeno me li crea, non una persona che ti spinge néche ti trascina, ma un “essere con”. Nella mia spiritualità sacerdotale ho avutosempre come riferimento don Tonino Bello e San Francesco: questo ha fattosì che in tutte le parrocchie in cui sono stato, prima come seminarista, 9 annia Sant’ Agata sui due Golfi nell’esperienza in solidum e anche le primizie sa-cerdotali, ho vissuto accanto ad ogni persona ed ogni cosa.»

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I personaggi del mistero: i re Magi

Don Tonino De Maio

di Olga Stinga

Incontro Giuseppe Staiano e sua figlia Pina presso l’Asso-ciazione Il Pellicano, in via Carlo Amalfi a Piano di Sorrento.

Argomento della nostra conversazione: il sociale inserito inuna realtà quale la Penisola Sorrentina. Alle mie spalle unquadro bellissimo, ricamato a mano, riproduce un pellicano, ilsimbolo dell’associazione fondata 31 anni fa proprio da Giu-seppe Staiano e da un gruppo di volontari. Giuseppe con isuoi figli Pina e Raffaele e Salvatore Iaccarino, marito di Pina,sono i quattro confratelli dell’Arciconfraternita Morte e Ora-zione impegnati nel sociale proprio grazie all’associazione IlPellicano.Com’ è nata l’associazione “Il Pellicano”?Voglio fare una premessa: è importantissimo affrontare l’ar-gomento “il sociale” perché occorre sensibilizzare le personema soprattutto i politici. Ancora oggi sembra che il sociale siaun problema non preso in considerazione fino in fondo, sem-bra che l’aiuto a chi soffre sia concesso con sforzo. È con que-sto obiettivo che nasce il Pellicano.Nasciamo nel 1981 graziead un cammino cristiano: all’epoca, padre Giuseppe Rossi,un sacramentino, grazie una serie di incontri settimanali de-dicati all’analisi dei passi della Sacra Bibbia, attirò la nostraattenzione e cominciammo il nostro cammino spirituale in-sieme a lui. segue a pagina 4

di Pietrantonio Iaccarino

Tre superbi cavalli arabi traversano piazzaCota, sono montati da misteriosi cavalieri dirango reale, con mantelli e turbanti orientali.Ognuno è affiancato da uno staffiere ed èpreceduto da un famiglio circasso recante ildono da offrire al piccolo Gesù. Ventisei fi-guranti in costumi variopinti e fantasiosi for-mano il corteo partito dalla sede dei neri ediretto ad adorare il bambinello del presepein Santa Margherita.All’imbocco dello storico vicoletto le caval-cature scalpitanti sul selciato di pietra bruna,sembravano fuori dal tempo, ne occupavanotutto il lume diffon-dendo nei presentistupore e meravi-glia. E viene spon-tanea unadomanda: chi eranoi re Magi?Il vangelo secondoMatteo ( 2, 1-12 ) èl’unica fonte cano-nica a descriverel’episodio: «Gesùnacque a Be-tlemme, una cittànella regione dellaGiudea, al tempodel re Erode. Dopola sua nascita, arri-varono a Gerusa-lemme alcuniuomini sapienti chevenivano dal-l’oriente e doman-darono: dove sitrova quel bambino,nato da poco, il redei Giudei? Inoriente abbiamovisto apparire la suastella e siamo ve-nuti qui per ono-r a r l oS iinginocchiarono eadorarono il bam-bino. Poi aprirono ibagagli e gli offri-rono regali: oro, in-censo e mirra».Il passo di Matteonon fornisce il numero esatto dei Magi ma latradizione più diffusa parla di tre uomini.Nemmeno la regalità è attestata nelle fonticristiane, si parla di re soltanto nel libro deiSalmi ( LXXI, 10 ): «Il re di Tarsis e delleisole porteranno offerte, i re degli Arabi e diSaba offriranno tributi. A lui tutti i re si pro-streranno, lo serviranno tutte le nazioni».Si credeva, in oriente che un nuovo astroapparisse in cielo ogni volta che nasceva ungrande re. A confermare e legittimare la suasovranità erano i Magi.Essi erano una classe sacerdotale del po-polo dei Medi alleato dei Persiani, pratica-vano gli insegnamenti di Zarathustra eadoravano il dio Mitra, anch’egli, comeGesù, nato da madre vergine nella notte del25 dicembre; anch’egli morto a trentatre

anni. Era il dio della luce solare, e veniva ve-nerato dagli adepti nei mitrei, specie digrotte sotterranee con le volte istoriate dallecostellazioni astronomiche (vedi mitreo diCapua).Il compito principale dei Magi era quello ditenere acceso il fuoco sacro ravvivandolocinque volte al giorno.Il numero tre permette di identificare i Magicon le tre razze in cui si divide l’umanità eche discendono, secondo l’Antico Testa-mento, dai figli di Noè.Gaspare, mistico re dell’Armenia, lasciò l’in-tero potere a suo fratello NTIKRAN per an-dare a cercare Gesù. Era un giovanotto rudee discendeva da Cam, uno dei figli di Noè.

Baldassarre, rearabo del de-serto, era gio-vane, dic a r n a g i o n escura e discen-deva da Jafet.Melchiorre, ilvecchio con i ca-pelli bianchi e labarba lunga, di-scendeva daSem. Il suo è uns o p r a n n o m eperché era cono-sciuto con ilnome indiano diRam maharaja epure lasciò ilregno al fratelloper partire versoGerusalemme.Portano a Gesùbambino tre doniche simboleg-giano la sua du-plice natura diessere umano edi figlio di Dio:l’oro, il dono ri-servato ai re, l’in-censo, usato peradorare l’altaredi Dio, e la mirraper i defunti.Tutta la storiadella cometanasce da un

quadro di Giotto, dipinto nel 1301 nella cap-pella degli Scrovegni a Padova; il pittore ac-canto alla Natività, dipinse l’Epifania e inserìsopra la capanna una cometa, per un motivomolto realistico e contemporaneo del suotempo perché, proprio in quell’anno, nel1301, a dicembre apparve in cielo la famosacometa dalla coda luminosa a cui successi-vamente fu dato il nome di Halley.La stella cometa è entrata nella tradizionedel Natale cristiano relativamente tardi. Inrealtà, secondo recenti studi, nessuna co-meta è stata registrata negli anni precedentila nascita di Cristo, data anch’essa contro-versa, e che il fenomeno luminoso fu da ad-debitarsi alla congiunzione di Giove eSaturno il 13 Novembre del 7 A.C. nella co-stellazione dei pesci.

Neri pag 8

Dimmi che credi…

Epifania 2011 - Cappella di Santa Margherita

Il Priore, il Governo ed i confra-telli tutti ricordano con affetto ladefunta Signora Anna, moglie diPasquale Russo, confratello dell’Arciconfraternita Morte e Ora-zione.Non dimenticheremo mai le gior-nate trascorse a Roma in suacompagnia, in occasione dellaprocessione del Corpus Domini.

Auguriamo alla consorella Anna-maria Origliato tanta gioia e feli-cità per la nascita della nipotina.

Il Priore, i confratelli e le consorelle.

Agenda del confratello

- 9 Marzo 2011:Mercoledì delle Ceneri.Appuntamento presso laBasilica di San Michele Ar-cangelo per la celebra-zione Eucaristica

- 11 Marzo 2011:Primo venerdì di Quaresima - Via Crucis

Il Pellicano: una vita per gli altri

Ci scrive il Sindaco Giovanni RuggieroArticolo a pagina 6