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nella tradizione iconografica come la Jan Steen in mano al vecchio o il bicchiere dal fusto fili- forme in primo piano (tav. 102). Richiamando le «nozze mitologiche» e l'allegoria dei «cinque sensi», l'uso della tavola «emblematica» sembra allora ridursi alle due radici che abbiamo sbrigativamente illustrato con gli esempi di Jordaens: un riferimento all'antico, come indicazione a-temporale, distante dalla realtà ma capace di suggerire una funzione archetipa della tavola e degli atteggiamenti che posson essere legati a essa, e una versione «attualizzata» della tavola, in cui la «sapienza Figurata» acquista il compito di un più stringente legame con la realtà contemporanea. TAVOLI DEL GIOCO E DEL VIZIO Ai Iati del tavolo realizzato nella schematicità della geometria piana sono disposti, in una posizione diagonale convergente quasi a illustrare l'intensità e la forza dell'attenzione rivolta al piano di gioco, i due guerrieri in armi. Ci si può domandare la ragione della singolare at- trattiva che una immagine come quella di «Aiace e Achille intenti al gioco» di Exechias (tav. 103) possa produrre nello spettatore contemporaneo. Può essere determinante il punto di vi- sta da cui la scena è ritratta, equatoriale rispetto al piano illustrato secondo una convenzione frequente nella pittura vascolare attica del periodo ma certamente, nella soluzione specifica, capace di disegnare con esattezza le figure e gli atteggiamenti dei contendenti e il tavolo, il cui piano, centro fondamentale di attenzione per le figure illustrate, risulta per noi incognito. A questo occorre aggiungere un secondo elemento rappresentativo consueto nella deco- razione vascolare: la pittura tende a congelare il movimento, scegliendo gli atteggiamenti e le pose umane più significative, emblematiche: questo «bloccaggio» dell'immagine rende nel caso specifico la sospensione, l'attenzione del gioco ancora più suggestiva e drammatica: il gesto contemporaneo e simmetrico di Aiace e Achille dice molto di una contesa i cui caratte- ri sono ampiamente intuibili. Tutto allora, sia il taglio prospettico sia la disposizione delle figure e i loro gesti, sembra concertare perché l'attenzione dei personaggi sia focalizzata in un punto, il piano di gioco, che non possiamo cogliere: una sorta di «immagine rubata» di cui possiamo realizzare esclu- sivamente l'intensità dei rapporti psicologici che successivamente declina nella «immagine composta», una volta che si analizzi formalmente l'intera finestra, se ne intenda la struttura simmetrica e la disposizione armoniosa delle figure umane e degli oggetti. Il riferimento che abbiamo fatto ha comunque la semplice funzione di richiamare la par- ticolare solidarietà che si instaura fra la tavola e la figura umana, solidarietà derivata dalla fre- quenza e dall'uso del mobile, dalla diversità dei modi e dei motivi che possono portare alla frequenza, dalla sua centralità in altri termini nella vita reale come nella sua rappresentazione pittorica. Anche il tema del tavolo da gioco, nella difformità delle situazioni che può trovare a se- 137

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nella tradizione iconografica come la Jan Steen in mano al vecchio o il bicchiere dal fusto fili­forme in primo piano (tav. 102).

Richiamando le «nozze mitologiche» e l'allegoria dei «cinque sensi», l'uso della tavola «emblematica» sembra allora ridursi alle due radici che abbiamo sbrigativamente illustrato con gli esempi di Jordaens: un riferimento all'antico, come indicazione a-temporale, distante dalla realtà ma capace di suggerire una funzione archetipa della tavola e degli atteggiamenti che posson essere legati a essa, e una versione «attualizzata» della tavola, in cui la «sapienza Figurata» acquista il compito di un più stringente legame con la realtà contemporanea.

T A V O L I D E L G I O C O E D E L VIZIO

Ai Iati del tavolo realizzato nella schematicità della geometria piana sono disposti, in una posizione diagonale convergente quasi a illustrare l'intensità e la forza dell 'attenzione rivolta al piano di gioco, i due guerrieri in armi. Ci si può domandare la ragione della singolare at­trattiva che una immagine come quella di «Aiace e Achille intenti al gioco» di Exechias (tav. 103) possa produrre nello spettatore contemporaneo. Può essere determinante il punto di vi­sta da cui la scena è ritratta, equatoriale rispetto al piano illustrato secondo una convenzione frequente nella pittura vascolare attica del periodo ma certamente, nella soluzione specifica, capace di disegnare con esattezza le figure e gli atteggiamenti dei contendenti e il tavolo, il cui piano, centro fondamentale di at tenzione per le figure illustrate, risulta per noi incognito.

A questo occorre aggiungere un secondo e lemento rappresentativo consueto nella deco­razione vascolare: la pittura tende a congelare il movimento , scegliendo gli atteggiamenti e le pose u m a n e più significative, emblematiche: questo «bloccaggio» dell ' immagine rende nel caso specifico la sospensione, l 'attenzione del gioco ancora più suggestiva e drammatica: il gesto contemporaneo e simmetrico di Aiace e Achille dice molto di una contesa i cui caratte­ri sono ampiamente intuibili.

Tut to allora, sia il taglio prospettico sia la disposizione delle figure e i loro gesti, sembra concertare perché l'attenzione dei personaggi sia focalizzata in un punto , il piano di gioco, che non possiamo cogliere: una sorta di «immagine rubata» di cui possiamo realizzare esclu­sivamente l'intensità dei rapporti psicologici che successivamente declina nella «immagine composta», una volta che si analizzi formalmente l'intera finestra, se ne intenda la struttura simmetrica e la disposizione armoniosa delle figure umane e degli oggetti.

Il riferimento che abbiamo fatto ha comunque la semplice funzione di richiamare la par­ticolare solidarietà che si instaura fra la tavola e la figura umana, solidarietà derivata dalla fre­quenza e dall 'uso del mobile, dalla diversità dei modi e dei motivi che possono portare alla frequenza, dalla sua centralità in altri termini nella vita reale come nella sua rappresentazione pittorica.

Anche il tema del tavolo da gioco, nella difformità delle situazioni che può trovare a se-

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103 - Exechias, Anfora con Aiace e Achilie che giocano ai dadi (part.). Musei Vaticani, Roma.

concia della cultura di riferimento, presenta senza dubbio la stessa stringente relazione fra uo­mo e arredo particolare che st iamo individuando, presentando oltretut to un carattere figurale uniforme, se non cont inuo.

Se infatti la tavola della mensa acquista una sua particolare au tonomia proprio grazie al­la qualità dell 'arredo, al suo caratterizzarsi a secondo delle società e dell ' influenza di un valo­re emblemat ico della cena stessa, il tavolo da gioco conosce una architettura cer tamente più severa. Si è visto il tavolo del contendere fra i due eroi omerici : anche il tavolo del Maestro lombardo dei giochi Borromeo (tav. 104) offre la sua pulita architettura c o m e figura centrale a partire dalla quale si de te rminano la disposizione e l 'at teggiamento dei giocatori di tarocchi.

Suppellettile allora appar tenente all 'arredo, superfìcie non occasionale m a artificiale, at torno alla quale avviene un determinato: nell'affresco il tavolo risulta essere m o m e n t o

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104 - Maestro dei Giochi Borromeo, / tarocchi, affresco (part.). Palazzo Borromeo Milano 1 0 5 " Francesco di Giorgio, / /g ioco degli scacchi, coli. priv.

catalizzante capace di illustrare un episodio della vita di corte pur inquadrata in una architet­tura ambientale fantastica, dilungandosi la scenografìa nella segnalazione di una natura vicina e una natura lontana, in orizzonte, preponderante rispetto alla scena del gioco.

È c o m u n q u e l 'attenzione alla cerimonia, al cos tume, a svolgere il ruolo determinante nel complesso: a partire dall 'ordine gerarchico in cui la distribuzione degli attori viene orga­nizzata, a partire ancora dalla figura centrale che costituisce un significativo capotavola della riunione, colto oltretutto in un atteggiamento statico e riflessivo, si organizzano i due gruppi contrapposti dei giocatori, ciascuno colto in at teggiamento fortemente differenziato, comun­que simmetrico per quanto riguarda le due donne in proscenio, egualmente divaricante per quanto riguarda invece i due giocatori all ' interno, l 'uno intento a porre sul tavolo una carta, l'altro colto nell 'atto di squadernare le proprie in mano .

È il documento di un cos tume quello che viene testimoniato, fra le occupazioni che pos­sono caratterizzare il cos tume dell'aristocrazia, come esemplificato nel dipinto di Francesco di Giorgio (tav. 105) in cui sembra enfatizzato l 'aspetto scenografico, quindi cerimoniale del gioco, vero e proprio frammento e m o m e n t o significativo di un «universo» delle buone ma-

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niere per la ripartizione rigorosa fra maschi e femmine che assistono alla tenzone: ancora una volta a significare l 'ambiguità che la situazione di gioco porta sempre con sé.

Momento di una cerimonia cortese si è detto, ma egualmente situazione capace di allu­dere a contese e rapporti di diversa natura, richiamati o allusi nella fragranza della cerimonia. Nel documento senese il tavolo è ancora una volta pretesto per una messa in posa del reper­torio umano più attenta a una disposizione a corona nei confronti dei rispettivi contendenti che a un vero e proprio atteggiamento coinvolgente nella situazione di gioco.

Ma il tavolo non è solo il luogo di una cerimonia cortese che interessa segnalare: ve ne può essere una traduzione ermetica, come nel «Doppio ritratto» di Paris Bordone dello Staat-liche Museum di Berlino, in cui la situazione isolata in proscenio delle figure dei due giocato­ri risulta replicata dal tavolo con gli uomini impegnati al gioco della carte nel fondo, mentre l'ordine perentorio di chiaro/scuro indicato dalla scacchiera risulta replicato e amplificato dal­la stessa figura architettonica del pavimento (Schefer 1974). O può anche conoscere, m a in questo riferimento dobbiamo sorvolare ramificazioni successivamente indicate, una sua va­riante nel m o n d o del genere, del l 'argomento basso; anche sul tema del tavolo da gioco si può allora ricomporre una traiettoria che dal genere alto, dall ' illustrazione della cerimonia nobile, coglie il tema di cerimonie m e n o prescrittive, m a non per questo figuralmente insignificanti.

È il caso dello spirito cortese, a dispetto del l 'ambientazione, che permea il disegno di Dosso Dossi ora agli Uffizi di Firenze, in cui l ' interno della taverna ingombro di giocatori in­tenti a diverse tenzoni, di suonatori e di gaudenti , viene appunto realizzato in una versione idealizzata, dal tratto nobile, senza cioè le asperità che lo stesso tema potrà conoscere nell ' im­maginario fiammingo e olandese, ma con una particolare insistenza sul tratto cortese e civile della convivenza.

Prima di entrare nell 'emblematica secentesca come esempio della dissipazione e del peccato, il tavolo da gioco conosce quindi una consolidata traiettoria c o m e «figura» fulcro del soggetto alto come del soggetto basso.

Un ruolo cer tamente non intermedio, ma c o m u n q u e tes t imone di una attenta replica della contemporanei tà , può essere svolto da «I giocatori di scacchi» di Luca di Leida (tav. 106) del pr imo decennio del secolo XVI che oltretutto, a indicare una cer tamente significati­va costanza, pone un u o m o e una donna ai poli opposti della tavola da gioco.

E c o m u n q u e la corona dei personaggi che a t torniano il tavolo e i due contendent i , via via che ci si distacca dal proscenio sempre m e n o coinvolti con la mossa che la donna sta ef­fettuando, a costituire, nella diversità delle fisionomie e di cos tume, il d o c u m e n t o figural­mente antitetico al soggetto principale. Illustrazione di una convivenza allora più che indica­zione di una cerimonia precisa, il tavolo da gioco di Luca sembra cogliere rapporti sociali cer­tamente diversi rispetto all'aristocrazia di un Francesco di Giorgio o di un Paris Bordone, ma soprattutto interpreti con un gusto aneddot ico estraneo alla sensibilità latina.

Si è precedentemente accennato al tavolo da gioco c o m e luogo esemplificativo del pec­cato, del rischio o dell'attrattiva capace di stravolgere l 'equilibrio delle tendenze morali del l 'uomo: da questo pun to di vista gioco o gola, come peccati capaci di dissolvere quanto guadagnato ones tamente o legit t imamente ereditato, come di trascinare in piaceri e appetiti capaci di far dimenticare altre e più nobili passioni, sono affetti assimilabili in una cerimonia intorno alla tavola sufficientemente simile. 140

106 - Luca di Leida, Giocatori di scacchi, Staatliche Museum, Dahlem. 107 - Hieronimus Bosch, / / prestigiatore.

Museo Municipale, Saint Germain en Laye.

Può essere allora un significativo ponte fra i due universi il dipinto di Hieronimus Bosch ora al Museo Municipale di S. Germain en Laye (tav. 107) in cui manipolazione fisica e in­ganno, credulità e abilità illusionistica si realizzano con sconcertante sintesi t rovando tre pro­tagonisti part icolarmente consenzienti alla continuità del discorso che stiamo svolgendo.

C o n un taglio prospettico assimilabile allo spaccato anatomico, Bosch organizza sull 'orizzontale una composizione caratterizzata dalla centralità della tavola sulla quale sono posti gli s trumenti dell ' inganno in veridica disposizione, per poi offrire le antitetiche pose dei due antagonisti: il prestigiatore, colto nell ' implacabile ostensione dell 'oggetto del contendere e lo scommett i tore , figuralmente deformato nella ricerca della soluzione immancabi lmente fallita.

Condanna della fallacia dell 'illusione, della credulità, il tavolo di Bosch è per così dire un tavolo «moralizzato», in cui cioè l 'aspetto dichiaratamente prescrittivo mostra nel medes imo istante l 'oggetto del desiderio e la sua condanna, fornendo cioè il dritto e il rovescio della me­daglia. E a ben diritto Bosch può essere considerato l 'epigono di una concezione dell ' immagi-

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ne in cui -l'elemento làbulistico, moraleggiante nell'csplicitezza della situazione esemplificata costituiva l 'elemento e il motore fondamentale della vittoria.

Questo ponte permette un ulteriore passo indietro, in cui, spostando il soggetto dal gio­co alla gola, l 'appetito e il suo disinganno risultano quanto più brucianti.

Fra quelli possibili, per l ' imponenza figurale degli elementi che lo compongono , lo stac­co plastico con cui vengono definiti i singoli soggetti della raffigurazione, può essere significa­tivo richiamare la sezione dei golosi di Taddeo di Bartolo dall'affresco dell 'Inferno dalla Col­legiata di San Gimignano (tav. 108). È la tavola imbandita, nella sua evidenza, a test imoniare il primo termine del confronto, arricchiti! da un sistema d'arredo part icolarmente complesso e certamente non anon imo (sono segnalati il piatto centrale con il volatile, la bottiglia, i bic­chieri e i pani disposti intorno) ment re il secondo traumatico termine del confronto - ma già la ricercatezza dell 'arredo può essere un sufficiente segnale di quanto vogliamo avvertire - è costituito dal drammatico avvicinarsi vincolato dei commensal i . Il gesto di avvicinarsi alla mensa che, pur nella diversità delle etichette, avevamo visto consueto , risulta interdetto in parte da commensal i schiavi di una altrui volontà, come in terra lo sono stati dell 'apparecchio che ora ambiscono, r innovando in un universo cristiano il pagano supplizio di Tantalo.

Dal punto stretUimente dei valori oggettuali si potrebbe obiettare che a una tavola simi­le, rispetto a quella infernale, avrebbero potuto sedersi commensal i dalla reputazione morale cer tamente m e n o chiaccherata rispetto ai dannati di Taddeo di Bartolo: e in effetti, quando non intervengono specifici elementi simbolici, la tavola infernale può anche essere assimilata dal punto di vista della figura alla tavola del principe o a quella religiosa: è vero però che, a differenza della fisionomia che la tavola imbandita potrà contrarre nei secoli d 'oro della natu­ra morta, il valore del l ' inanimato acquista pienezza - e la presente ricognizione costituisce un inconfutabile riscontro all'ipotesi - solo nel rapporto con la circostanza della cerimonia, e quindi in un fondamentale riscontro con l 'at teggiamento de l l 'uomo.

Non si tratta allora, in un ragionamento di continuità fra immaginar io della natura morta e antecedenti presunti, di constatare la persistenza di questo o quell 'oggetto specifico, quanto di valutare il passaggio da una situazione di circostanza, u o m o e oggetto, al l 'el iminazione eventualmente del termine medio della relazione.

E la cerimonia del convito, colto nella drammatici tà della sua interruzione - ma altri pia­ceri e altri vizi vengono segnalati indifferentemente dalla figura u m a n a come dalla semplice presenza degli oggetti corrispondenti - è riproposta in un particolare del «Trionfo della mor­te» di Pieter Bruegel a indicare il t raumatico e effimero trionfo dei vizi concentrati intorno al­la tavola, dalla gola, alla lussuria, al gioco rispetto al l 'onnipotenza e alla invadenza della mor­te (tav. 109).

Duplicazione di azioni piacevoli (lo scheletro che scimmiotteggia con lo s t rumento m u ­sicale il convito amoroso sottostante) disordine e sconvolgimento delle regole fissate (il tavo­lo rovesciato, lo stesso t raumatico gesto del convitato che in piedi snuda la spada contro av­versari troppo potenti per essere sconfitti) lo stesso disordine della tavola che vede i sottopiat­ti scomposti e il bicchiere rovesciato, sono tutti elementi che stravolgendo il rito della buona creanza, ne indicano la peribilità e la fallacia come scopo ul t imo dell 'esistenza.

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109 - Pieter Brueghel, // trionfo della morte (part.), Museo del Prado, Madrid.

Ma è significativo che a simboleggiare il convivere civile e le sue attrattive Bruegel abbia appunto scelto il convito e le piacevolezze che possono a esso essere annesse: in un unico ca­taclisma e all ' interno di un'unica cerimonia vengono quasi messi in "fila i vizi e i desideri che il pensiero della morte deve scacciare e mostrare nella loro intima fragilità. Dagli indizi ri­scontrabili dalla tavola e dagli stessi costumi indossati dai convitati, il documento sembra in­sistere sul carattere «alto» della scena, quasi a indicare l'eguaglianza di fronte alla morte delle diverse classi sociali ma soprattutto accreditando una equazione fra la soddisfazione dei pia­ceri peccaminosi e l 'opulenza e il lusso dell 'apparato.

Una più bassa illustrazione degli appetiti, incrociando in questo m o d o un ragionamento escatologico a un più limitato orizzonte normativo, può essere invece riscontrabile nel settore dedicato da Hieronimus Bosch (tav. 110) al peccato della gola nel «disco» illustrante i sette peccati capitali ora al Museo del Prado di Madrid. È infatti un interno popolare, totalmente

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110 - Hieronimus Bosch, La gola, scomparto da / sette peccati capitali. Museo del Prado, Madrid

prosaico, quello che accoglie i gesti smodati dei convitati, senza dist inzione di sesso e di età: donne e uomini , adulti, bambini e anziani risultano rapiti in questa sconcertante caricatura del rapporto fra cibo e persona umana , preannunciando una illustrazione dal basso che abbia­mo già precedentemente discusso a proposito del pasto «laico» e della sua possibile declina­zione «umile». C o m e negli esempi citati è l 'assenza della misura nel c o n s u m o , e nello stesso rapporto fisico con la stoviglia, a essere presa c o m e «figura» fondamentale della condanna : a partire da questo «abisso» è possibile risalire fino alla affermazione della norma , e quindi del­la «onestà» dei costumi.

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