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n.1 | AGOSTO 2015 A iniziare da questo primo numero ci proponiamo di pubblicare una newsletter on-line della Fonda- zione con una periodicità iniziale semestrale ma con l’obiettivo della quadrimestralità. La newsletter vuole essere uno spazio pubblico di discussione, il che significa che essa sarà re- datta in primo luogo dai membri dei diversi orga- nismi della Fondazione, ma che ospiterà contributi proposti da altri, dopo un processo in- terno di valutazione. Gli articoli e saggi che ver- ranno pubblicati non saranno solo e prevalentemente contributi accademici ma anche cronache e riflessioni dal mondo reale della pro- duzione, delle trasformazioni sociali, delle lotte. Ciò che ci proponiamo è di lavorare su un doppio registro quello della cruda e severa analisi di re- altà, da un lato, e quello della costruzione di un altro mondo possibile, dall’altro lato. Il nostro ten- tativo continuo sarà quello di cercare le connes- sioni tra questi due registri. Vorremmo dare sostegno, in modo realistico, a chi non si rassegna a considerare il capitalismo, e specificatamente questa fase del capitalismo, come l’unico oriz- zonte possibile. La newsletter si occuperà prevalentemente di ri- cerche, analisi e documentazione su entrambe i due registri. La struttura di ogni numero è organizzata attorno a due macro-aree: Cronache del presente: un mondo nuovo e Un altro mondo è possibile: cro- nache di lotte, progetti e realizzazioni alternative. Nei primi numeri esamineremo le trasformazioni della società europea a confronto con quanto ac- cade in America Latina e negli USA. Ci occupe- remo sia di quanto è accaduto negli ultimi decenni rispetto al lavoro, inteso nel senso più ampio pos- sibile, allo Stato e alle politiche pubbliche e al mo- vimento sindacale, sia di quanto sta maturando nelle esperienze alternative sia di aggregazione sociale sia di vere e proprie esperienze alterna- tive. Cercheremo, inoltre, di documentare i dibat- titi in corso su scala europea e globale su queste questioni. Quando parliamo del lavoro nel senso più ampio possibile, intendiamo includere sia quelle forme del lavoro considerate un tempo professioni – av- vocati, medici, ecc. – oggi sempre di più organiz- zate secondo modalità industriali e capitalistiche, sia quelle forme di lavoro autonomo che nascon- dono in realtà un nuovo tipo di lavoro dipendente. Nel 2016 ci occuperemo della Cina, dell’India e del Giappone, per quanto riguarda la parte di compa- razione internazionale. Perché CS.info .info Newsletter della Fondazione Claudio Sabattini | Presidente: Gianni Rinaldini | Direttore: Francesco Garibaldo Via Marconi 69, 40122 Bologna | www.fondazionesabattini.it | [email protected] Per finanziare le attività della Fondazione: IBAN: IT46 L031 2702 4040 0000 0000 470

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A iniziare da questo primo numero ci proponiamodi pubblicare una newsletter on-line della Fonda-zione con una periodicità iniziale semestrale macon l’obiettivo della quadrimestralità.La newsletter vuole essere uno spazio pubblicodi discussione, il che significa che essa sarà re-datta in primo luogo dai membri dei diversi orga-nismi della Fondazione, ma che ospiteràcontributi proposti da altri, dopo un processo in-terno di valutazione. Gli articoli e saggi che ver-ranno pubblicati non saranno solo eprevalentemente contributi accademici ma anchecronache e riflessioni dal mondo reale della pro-duzione, delle trasformazioni sociali, delle lotte.Ciò che ci proponiamo è di lavorare su un doppioregistro quello della cruda e severa analisi di re-altà, da un lato, e quello della costruzione di unaltro mondo possibile, dall’altro lato. Il nostro ten-tativo continuo sarà quello di cercare le connes-sioni tra questi due registri. Vorremmo daresostegno, in modo realistico, a chi non si rassegnaa considerare il capitalismo, e specificatamentequesta fase del capitalismo, come l’unico oriz-zonte possibile.La newsletter si occuperà prevalentemente di ri-cerche, analisi e documentazione su entrambe idue registri.La struttura di ogni numero è organizzata attornoa due macro-aree: Cronache del presente: unmondo nuovo e Un altro mondo è possibile: cro-nache di lotte, progetti e realizzazioni alternative.Nei primi numeri esamineremo le trasformazionidella società europea a confronto con quanto ac-cade in America Latina e negli USA. Ci occupe-remo sia di quanto è accaduto negli ultimi decennirispetto al lavoro, inteso nel senso più ampio pos-sibile, allo Stato e alle politiche pubbliche e al mo-vimento sindacale, sia di quanto sta maturandonelle esperienze alternative sia di aggregazionesociale sia di vere e proprie esperienze alterna-tive. Cercheremo, inoltre, di documentare i dibat-titi in corso su scala europea e globale su questequestioni.Quando parliamo del lavoro nel senso più ampiopossibile, intendiamo includere sia quelle formedel lavoro considerate un tempo professioni – av-vocati, medici, ecc. – oggi sempre di più organiz-zate secondo modalità industriali e capitalistiche,sia quelle forme di lavoro autonomo che nascon-dono in realtà un nuovo tipo di lavoro dipendente.Nel 2016 ci occuperemo della Cina, dell’India e delGiappone, per quanto riguarda la parte di compa-razione internazionale.

Perché CS.info

.infoNewsletter della Fondazione Claudio Sabattini | Presidente: Gianni Rinaldini | Direttore: Francesco GaribaldoVia Marconi 69, 40122 Bologna | www.fondazionesabattini.it | [email protected] finanziare le attività della Fondazione: IBAN: IT46 L031 2702 4040 0000 0000 470

È un interrogativo legittimo chiedersi il per-ché occuparsi dell’esperienza socialdemocra-tica europea al momento del suo tramonto,se non che per convogliare un sentimento difrustrazione e fallimento di cui non c’è alcunbisogno. A me pare che sia utile farlo per cer-care di capire se il suo declino sia dovuto allapura capacità demolitrice del nuovo capitali-smo, affermatosi in Europa a partire dalla finedegli anni settanta e con un’accelerazioneprogressiva dopo il 1989, o se vi erano inquelle esperienze dei nodi irrisolti, dei puntideboli che hanno favorito l’offensiva cosid-detta neoliberista.Da un certo punto di vista si può utilizzare ilpunto di vista di Sassen (2006:7) sulla possi-bilità di usare determinate congiunture sto-riche come ”un tipo di esperimento naturale.La mia analisi di tali periodi storici non è fina-lizzata a una cronologia e alle evoluzioni sto-riche (..) lo sforzo è teoretico”.Come vedremo, nella diversità delle diverseesperienze emergono alcuni nodi politici, so-ciali, economici e culturali che sono quelli con iquali ci confrontiamo ora; analizzare quindi cri-ticamente le risposte date allora è un utilecontributo per la ricerca di nuove soluzioni perl’oggi. In questa prima parte sarà analizzatal’esperienza tedesca cui seguirà, nel prossimonumero, quella dei sei paesi nordici – Svezia,Norvegia, Danimarca, Finlandia e Islanda. Quali sono questi nodi nel caso della Germa-nia? Il tentativo operato sia dalla coalizionecapeggiata dalla CDU, di ispirazione ordolibe-ralista, sia dalla coalizione socialdemocraticadi garantire contemporaneamente sia lapiena occupazione e standard di vita stabili ediffusi sia un processo di crescita di un capi-talismo fortemente internazionalizzato ecompetitivo; su questa base materiale do-veva coagularsi una diffusa adesione popo-lare sia al modello sociale risultante sia alsistema nel suo insieme, cioè ai partiti e agliattori sociali che lo esprimevano. Il tentativo,visto lungo l’arco di trent’anni, è fallito sia daun punto di vista socio-economico, a parte ilperiodo eccezionale della ricostruzione, siadal punto di vista della costruzione del con-senso di cui godono tutti gli attori sociali epolitici. Quali sono state le ragioni di tale fal-limento? Sono endogene, hanno cioè a chevedere con il modo stesso con il quale la Ger-mania è stata ricostruita e poi governata,dopo la fine della guerra? Esiste insomma unmodello tedesco di capitalismo coordinato,alternativo a quello anglo-americano?

LA GERMANIA DELLA RICOSTRUZIONEIn primo luogo è bene ricordare che la Germa-nia del dopoguerra non fu ricostruita su basisocialdemocratiche ma a seguito di un con-fronto anche aspro tra diversi orientamenti. Il

primo era un orientamento molto diffuso, as-sunto dai socialdemocratici e larga parte deicristiano-sociali, ispirato al modello della de-mocrazia economica, che riprendevano espe-rienze degli anni venti, e verso il quale il nuovogoverno laburista inglese mostrava simpatie. Ilsecondo, quello che prevalse, era quello ordo-liberalista definito anche come “economia so-ciale di mercato” - nella versione di Erharddiventa la “società formata” - appoggiato dallaparte più conservatrice della democrazia cri-stiana (CDU) capeggiata da Adenauer, divenutocancelliere anche per la combinazione di unpassato antinazista e dei suoi orientamenticattolici, e sostenuta energicamente dagli USA.Non va, infatti, dimenticato che il dibattito e lesue conclusioni non furono libere, ma sotto ilcontrollo delle forze di occupazione. L’occupa-zione militare della Germania Ovest da partedegli USA, della Francia e della Gran Bretagnaterminò solo con il trattato di Bonn del 26maggio 1952.

L’ASSETTO ISTITUZIONALEDurante tale regime di occupazione venne va-rata, nel 1948, dal ministro dell’economia Er-hard, la riforma monetaria che sostituì dallamattina alla sera il Reichsmark con il DeutscheMark, in un rapporto da 1 a 10; riforma prece-duta, contro il parere americano, dalla libera-lizzazione dei prezzi. Secondo molti interpreti ilvero atto fondativo della Repubblica Federaletedesca del 1949 non fu tanto la Carta Fonda-mentale, cioè la Costituzione, ma l’insieme diidee, valutazioni e strumentazione concettualeche sorressero la liberalizzazione e la riformamonetaria. Le due misure economiche fecero prevalere neifatti la linea ordoliberalista, mentre la CartaFondamentale, pur marcatamente diversadalle costituzioni europee post fasciste, è damolti considerata neutrale rispetto a quei mo-delli. La singolarità della Carta Fondamentalesta nel fatto che “manca la previsione esplicitadi diritti sociali in funzione emancipatoria, intesicome precisazione del principio di parità so-stanziale, tale in quanto combinato con unespresso obbligo di intervento dei pubblici po-teri tenuti a rimuovere gli impedimenti alla rea-lizzazione della parità” (Somma, 2014:70), cioèquanto previsto dal nostro articolo 3 della Co-stituzione. La formalizzazione di principi che avevano gui-dato la scelta della liberalizzazione e della ri-forma monetaria fu definita sin dal 1949 neiprincipi di Düsseldorf della CDU. Si trattava direalizzare un ordine economico fondato sullaperfetta concorrenza e quindi contrastando ilpotere di ogni forma di monopolio, permet-tendo così al mercato, attraverso il sistema deiprezzi di garantire un autentico sviluppo so-ciale; in questo orientamento confluisce anche

il principio di sussidiarietà, che fu assieme aquello di solidarietà il cuore della dottrina so-ciale della chiesa [ la Rerum Novarum (1891)]e ispirò la tradizione “sociale” del partito di cen-tro (Zentrumspartei) della repubblica di Wei-mar. Il principio di sussidiarietà, in base al qualelo Stato deve astenersi dall’intervenire quandoun determinato bisogno può essere soddi-sfatto da altre realtà sociali meglio dello Statostesso, divenne lo strumento fondamentaledella politica sociale della nuova Repubblica. Il concetto di «società formata» (formierte Ge-sellschaft), è “utilizzato nella metà degli anniSessanta da Ludwig Erhard per sintetizzare lacombinazione di «dinamismo economico» e«stabilità sociale» da cui traeva fondamentol’economia sociale di mercato” (Somma,2014:112). Si tratta di: “una combinazione possibile solo esaltandoil profilo della pacificazione sociale, solo pen-sando alla società come a un insieme coope-rante «che non si compone più di classi egruppi impegnati a perseguire fini esclusivi»,che dunque «si alimenta del concorso di tuttii gruppi e gli interessi». Questo combinatocon una rilettura del meccanismo democra-tico alla luce di un modello evoluzionista, cheimponeva di ripensare la rappresentanza po-litica secondo le moderne «tecniche di go-verno e di formazione della volontà politica».La «società formata» era insomma la societàa misura di uno Stato forte, interprete esclu-sivo degli «interessi generali», chiamato a re-primere il conflitto e a combattere ilpluralismo, degradati a mero scontro di «in-teressi parziali organizzati»” (Ibidem)2 . Lo Stato sociale è ancora concepito in modo Bi-smarckiano, come misura cioè per garantire lapace sociale e prevenire i guasti di eventualifallimenti del mercato. Misure sociali intese,quindi, al fine di garantire l’ordine sociale e nonquello di corrispettivi di diritti individuali; non acaso lo sciopero è una libertà, come, a seguitodi una sentenza del Tribunale Federale del La-voro, lo è la serrata. La neutralità della CartaFondamentale significa, come chiarì sin dall’ini-zio la Corte Costituzionale, che il potere politicopuò fare pendere la bilancia, attraverso la legi-slazione e l’azione di governo verso una delledue opzioni, come è appunto avvenuto.La Germania di Adenauer, Erhard e di Müller-Armak e Röpke è quella dell’economia socialedi mercato, quella che Röpke aveva battezzatocome la “terza via”(2004: 76-94), figlia legit-tima della cultura ordoliberalista tedesca.

IL MIRACOLO ECONOMICO E LA COSTRUZIONEDEL CONSENSOD’altronde lo sviluppo della Guerra Fredda ela necessità di fare della Repubblica Federaletedesca la vetrina dell’Occidente in chiave an-ticomunista e il timore che il regime sociale

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Cosa insegna l’esperienza della socialdemocrazia europea1

di Francesco Garibaldo*

[PARTE PRIMA]

della Germania Est fosse attrattivo verso i la-voratori tedeschi era ben presente nella Ger-mania degli anni ’50 e ’60; di qui iltemperamento degli orientamenti ideologicidella CDU e la ricerca di politiche economichee sociali che garantissero degli standard divita popolare più alti possibili, a partire dal-l’occupazione industriale. Il prevalere di que-sta soluzione negli anni cinquanta e sessantae il consenso che essa registrò discendonoper altro da banali ragioni economiche, cioè il“miracolo economico” tedesco. Il “miracolo”consentì il calo costante della disoccupa-zione, in modo accelerato tra il 1950 e il 1965sino a livelli molto bassi già alla fine degli annicinquanta, e parallelamente la crescita siadel tenore di vita generale della popolazionesia specificatamente di quello della classeoperaia. Il successo economico è favorito siadalle scelte americane, come il piano Mar-shall, sia dalle ricadute economiche dellaguerra di Corea; si può quindi dire che più chegli orientamenti culturali e ideologici, purchiaramente presenti, quel che contarono dipiù furono le circostanze geo-politiche e ,anche per questa ragione la rapida integra-zione economica con i paesi occidentali e po-litica con la Francia e gli USA.

LA SPD AL POTEREIl partito socialdemocratico tedesco (SPD)entrò in un governo di grande coalizione, gui-dato dai democristiani (CDU) solo alla fine del1966 con Brandt vice-cancelliere e ministrodegli esteri, e formò per la prima volta un go-verno con il Liberali (FDP) solo nell’ottobre del1969, con Brandt cancelliere, per restarciininterrottamente per 13 anni . La sua ascesaal potere fu dovuta alla fine del cosiddettomiracolo economico tedesco con il verificarsidi una recessione minore (1966- 1967) concentinaia di migliaia di lavoratori, disoccupatiper la prima volta dopo quasi un quindicenniodi crescita continua, e con lo sviluppo di im-portanti scioperi e manifestazioni di strada ela nascita di nuove forme di opposizione so-ciale come quelle dell’Unione degli studentitedeschi socialisti (SDS); per i tre anni succes-sivi la crescita economica della RFT fu infe-riore a quella della RDT (la Germania est)provocando un vero e proprio shock politico.Di qui la spinta per la grande coalizione chevarò una serie di misure straordinarie per su-perare la recessione.La sua “impronta” sulla Germania è stataquindi realizzata nel periodo 1969 – 1982sotto i cancellieri Brandt e Schmidt. La SPDconquista il potere dieci anni dopo il varo del“programma di Bad Godesberg” (1959, iltesto in italiano in Abendroth, 1980: 174-196), con la piena adesione all'ordinamentodemocratico-liberale, e all'economia di mer-cato, sia pure temperato dalla difesa del ruolopubblico nell’economia anche per mezzo diimprese pubbliche, mentre scompare ogni ri-ferimento a tutti i temi legati al concetto didemocrazia economica e tanto meno al temadella socializzazione dei mezzi di produzioneprevisti nel programma di Erfurt (1891) e ri-badita sino ad allora come programma di go-

verno. La SPD dimostrò nel periodo dellagrande coalizione, attraverso l’opera del suoministro per l’economia Schiller di potere go-vernare l’economia di capitalismo organiz-zato, la forma specifica di capitalismosviluppatasi nella Germania del dopoguerra,non facendo rimpiangere l’era di Erhard. LaSPD fu quindi costretta a fare i conti con unaGermania modellata dal dominio ventennaledella CDU di Adenauer e di Erhard (primacome super ministro dell’economia e poicome cancelliere), considerato il padre del mi-racolo economico tedesco. La SPD dà inizio auna gestione dell’economia basata su politi-che Keynesiane reflattive e a un programmadi riforme aiutata, nella fase inziale, da unarobusta crescita economica (1969 – 1973)che consente di avere margini di interventosignificativi. Vi furono la riforma della scuolae dell’Università (1968 e 1969), le leggi sul la-voro (la Costituzione aziendale, 1972 e lalegge sulla codeterminazione, 1976), le leggisulle libertà civili (l’aborto 1974), processi diriforma fortemente ostacolati dalla Corte Co-stituzionale. I sindacati attraverso numerosiscioperi ottennero aumenti salariali. Brandtlanciò lo slogan “osare più democrazia”,obiettivo che dette forza ad una stagione dirisveglio democratico del paese; la SPD al po-tere dette particolare importanza allo svi-luppo scientifico e tecnologico, fu quindipercepita come il partito della modernità edello sviluppo scientifico e tecnologico.

IL “MODELLO TEDESCO”Si forma così quell’ordinamento sociale edeconomico che verrà battezzato come mo-dello tedesco. Come nota Streeck (2009:117-119) esso si formò non a causa di “un“disegno intelligente” ma come una combi-nazione fortuita e momentanea, o una ricom-binazione di un certo numero di istituzioni3,ciascuna delle quali ha la sua propria storia ela sua dinamica storica”; di analoga opinionesono Schmitter e Todor (2015). A riprova diciò egli argomenta come le stesse istituzioniche per un certo periodo di tempo gli annisettanta e parte degli ottanta, garantironoun circolo virtuoso e la stabilità tedesca pro-dussero subito dopo contraddizioni e l’inne-sco di un circolo vizioso. Di qui la sua tesi che“le stesse tendenze e disposizioni istituzio-nali le cui contraddizioni e esternalità nega-tive erano state momentaneamenteneutralizzate si erano dispiegate ulterior-mente, e i conflitti e le disfunzioni che eranostate invisibili o pragmaticamente conside-rate insignificanti vennero inesorabilmente agalla” ( Ibidem: 118), che è come dire che lacrisi del modello ha sia cause endogene siacause esterne, o meglio nasce da una intera-zione tra le due.Come funzionava il modello all’apice del suocircolo virtuoso, cioè verso la fine degli annisettanta, quando Schmidt lanciò internazio-nalmente il “modello Germania”?Seguendo Streeck (2009), si trattava di unmodello basato su una grande capacità diesportazione, con un sistema di “paghe ele-vate e con diseguaglianze non elevate tra di

loro, con un sistema efficiente di formazioneprofessionale dei lavoratori e una loro effet-tiva influenza nei luoghi di lavoro. Il circolo vir-tuoso economico si sostanziava in un regimedi inflazione e disoccupazione basse, di salariin linea con la produttività ed anzi di sostegnoalla sua crescita” (2009:113). Esisteva un’ef-fettiva partnership sociale tra Stato, mondoeconomico e mondo del lavoro. Essa si tra-duceva in “comportamenti di governi respon-sabili e privati in un’ampia varietà di aree,inclusa la formazione, da parte di ben orga-nizzati partner sociali”(ibidem) , le grandi im-prese e i sindacati, organizzati su scalanazionale; essi sostituivano il governo in que-ste aree garantendo, per un certo numero dibeni pubblici, politiche efficaci e ampiamenteapplicate (la struttura neo-corporativa). L’ar-chitettura istituzionale, formatasi nei conflittiistituzionali degli anni cinquanta, fu comple-tata con la creazione di una banca centrale in-dipendente (Bundesbank,1957) con ilcompito di impedire la scelta dell’inflazione edella svalutazione della moneta come stradamaestra per difendere l’occupazione indu-striale e la competitività. In termini più siste-matici Calvo (2015:361) sostiene che gliingredienti erano:“Da un punto di vista macroeconomico, il mo-dello tedesco implica una preferenza per unsurplus delle partite correnti, bassa infla-zione, misure fiscali ben bilanciate, un bassolivello del debito pubblico rispetto al PIL e unostato sociale generoso. Da una prospettivamicroeconomica, i tratti centrali del modellotedesco sono un sistema solido di alta edu-cazione e di formazione professionale, ac-cordi sindacali consensuali, banche locali conuna conoscenza specializzata dell’attivitàeconomica, e un rate densa e di alta qualitàdi istituzioni dedicate all’innovazione indu-striale”.

LA RECESSIONE DEL 1966-67 E I LIMITI DELMODELLOIl sistema fino alla recessione della metà deglianni sessanta era stato sospinto dal miracoloeconomico. La recessione venne affrontatadai governi socialdemocratici con una mano-vra reflattiva di stampo keynesiano e una po-litica dei redditi “volontaria”, la cosiddetta“azione concertata”. Essa non resse di frontealle scelte delle imprese di approfittare dellapolitica dei redditi spostando a loro favore ilrapporto profitti – salari e dalla conseguentereazione di scioperi spontanei che spinsero isindacati a cavalcare tali scioperi, anche insettori come quello chimico (1971) dove nonera stato proclamato uno sciopero da cin-quant’anni4, “realizzando tra il 1970 e il 1972gli aumenti salariali più alti nella storia dellarepubblica federale” (Hoffman, 1982: 156).Ciò portò la Bundesbank, nel 1976, a una ri-gida politica di stabilità monetaria schiac-ciando Schmidt tra una ripresa di assertivitàsindacale e una politica antinflattiva. Questatenaglia spinse il governo a una decisa inver-sione di tendenza rispetto alle aspettative delmondo del lavoro, come dimostrato dallalegge sulla codeterminazione del 1976 che fu

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pesantemente emendata su esplicita richie-sta della associazioni imprenditoriali (Aben-droth,1980: 97; Collotti, 1982: 23) . La fine deltentativo “keynesiano” portò a una politica diprogressiva selezione e focalizzazione di ogniintervento dello Stato verso la modernizza-zione dell’apparato industriale, grazie ad altiinvestimenti aiutati dallo Stato. I nuovi inve-stimenti di modernizzazione sono caratteriz-zati dalla razionalizzazione per risparmiareposti di lavoro. Secondo Becker (2015:259):“Contrariamente a altri paesi europei occiden-tali, le dottrine Keynesiane hanno giocato unruolo abbastanza marginale nelle decisioni po-litiche della Germania occidentale nel 1950 e1960, a parte un breve momento quando ar-rivò a conclusione il periodo Fordista. Ciò nondeve stupire poiché Keynes era fortementecontrario a forti surplus commerciali e avaevasostenuto politiche anti crisi che fossero inprimo luogo dirette al mercato nazionale. NellaRepubblica Federale Tedesca, era piuttostol’ordo-liberalismo, con la sua forte enfasi suldecisioni politiche basate sulle regole e il suoorrore delle politiche anticicliche, che giocò unruolo predominante. L’ordo-liberalismo èmolto più in linea con l’orientamento all’exportdella Germania, che il keynesismo”.L’insieme di queste istituzioni sociali e gli av-venimenti della fine degli anni sessanta spin-sero le imprese a seguire gli unici modelli diristrutturazione industriale possibili con unsindacato così forte. Questi modelli furonopoi definiti come la “via alta”5 alla competiti-vità, cioè di soluzioni avanzate con prodotti dialta qualità, che le forze di mercato nonavrebbero spontaneamente richiesto e resepossibili, quindi, solo dal coordinamento edalla complementarità di tutte queste istitu-zioni. Si definì così un regime sociale neo-cor-porativo che trovava stabilità ulteriore neirapporti tra banche e imprese con un regimeincrociato di partecipazione che garantiva alleimprese un credito stabile e a basso costo.

IL MODELLO DI ALTI INVESTIMENTI, ALTA TEC-NOLOGIA, SURPLUS COMMERCIALE E CON-TROLLO DELLA CATENA DEL VALOREQuesto è uno snodo fondamentale per com-prendere i limiti dell’esperienza socialdemo-cratica tedesca. Il modello di una crescita nellaparte alta della catena del valore, e con unaforte torsione verso le esportazioni con unquasi costante surplus della bilancia commer-ciale in tutti gli anni settanta6, è, infatti, un mo-dello che ha richiesto una costanteristrutturazione industriale. La continua ri-strutturazione non consentiva di garantire lapiena occupazione, come negli anni sessanta,nemmeno di fronte a una politica di espan-sione fiscale (Greven, 1982: 74-76), tentatanella seconda metà degli anni settanta, dopola crisi del 1975, con un forte indebitamentodello Stato. La pace sociale, cioè la piena oc-cupazione, che non può più trovare fonda-mento nella crescita economica è garantita dauna gestione del mercato del lavoro che uti-lizza i prepensionamenti e generosi assegni didisoccupazione; pratica che durò sino al 1995.La lettura della crisi da parte di tutti i protago-

nisti, a partire dalla SPD e dal governo social-liberale, è quella della cosiddetta sintesi neo-classica che non considera necessarie riformefondamentali dell’economia capitalistica, tan-tomeno le possibilità di socializzazione previ-ste dall’articolo 15 della Legge Fondamentale7.Per questo orientamento le crisi e in specificola non realizzazione e la mancata stabilizza-zione del pieno impiego sono dovute “o a rigi-dità come quella dei salari che impediscono aiprocessi di mercato di funzionare, o a imper-fezioni istituzionali minori – come quelle di unsistema bancario imperfetto, o di una gestioneerrata del sistema monetario – che spingonoil sistema fuori dall’equilibrio e ostacolano leoperazioni del processo di equilibrio” (Minsky,2008: 20).Ciò che resta della lezione di Keynes, in que-sto approccio, è solo l’idea della necessità dipolitiche economiche attive e di una gestionedella politica economica, senza bisogno di ri-forme che tocchino i mercati finanziari, ilprezzo dei beni capitali e i flussi del profitto,cioè il processo di accumulazione nel suo in-sieme. La politica sociale, nell’interpretazionedi Streeck (2009) di Esping-Andersen, citatoda Streeck, e di Seeleib-Kaiser (2015), di-venne così lo strumento fondamentale per“compensare le rigidità salariali a breve ter-mine e la struttura egualitaria dei salari as-sociata alla contrattazione centralizzata,assicurando la pace sociale tra le imprese e ilmondo del lavoro e, se tutto funziona perproteggere il governo in carica dallo scon-tento politico sulla disoccupazione” (Streeck,2009: 58) e “così, la protezione sociale per ilavoratori disoccupati fu realizzata per mezzodi misure di protezione dello status occupa-zionale e da un generoso sostegno del red-dito (Seeleib-Kaiser, 2015: 204)”. Tale politicafu mantenuta anche quando la CDU ritornò alpotere nel 1982. Gli anni tra il 1980 e il 1990hanno visto dispiegarsi un’iniziativa dell’IGMetall che usciva dagli schemi corporativitradizionali, la richiesta e la conquista delle35 ore, che puntava esplicitamente a “un’al-tra cultura di lavoro e di vita” (Bierbaum).

LA CRISI FINANZIARIA DEL SISTEMA DI SICUREZZASOCIALEQuesto compromesso resse fino a quando siarrivò al limite di una vera e propria crisi “finan-ziaria del sistema di sicurezza sociale, delloStato sociale nel suo complesso” (Greven,1982: 77), iniziata a manifestarsi già dalla metàdegli anni settanta. Crisi che Kohl tentò di risol-vere, dopo una vittoria elettorale di stretta mi-sura, nel 1995 con “l’alleanza perl’occupazione”, proposta da Klaus Zwickel l’al-lora presidente dell’IG Metall, che avrebbe do-vuto consentire consensualmente di tagliare ibenefici della sicurezza sociale e i relativi con-tributi. Streeck commenta tale tentativo e il suofallimento, che portò alla sconfitta elettorale diKohl e al governo rosso-verde di Schröder,come un tentativo senza una reale base socialedi riferimento, poiché, al di là delle dichiarazionipubbliche, non solo i sindacati ma anche le as-sociazioni imprenditoriali non avevano alcuninteresse a realizzare poiché: “il corporativismo

dell’economia dell’offerta era gradualmentedecaduto in un regime di corporativismo ba-sato sul welfare (welfare corporatism), nelquale la contrattazione collettiva e l’organizza-zione degli interessi inclusivi erano divenute di-pendenti da una politica sociale che assorbivai costi del compromesso tra i sindacati che do-vevano fronteggiare un nucleo centrale di ade-renti esigente e imprenditori che tagliavanoposti di lavoro per misurarsi con la competi-zione internazionale” (Streeck, 2009:61).Il tentativo di Kohl, caratterizzato ancora da unorientamento verso politiche sociali inclusiverichieste da un influente gruppo cattolico den-tro la CDU di Norbert Blüm, arrivava al culminedi un processo di progressivo sfaldamentodegli equilibri che avevano consentito l’instau-rarsi di un ciclo virtuoso: le organizzazioni in-termedie perdevano progressivamente il lorostatus quasi-pubblico e l’alto livello di adesionianche per la progressiva contrapposizione tragli interessi delle aziende minori e quelle mag-giori che, nella nuova struttura a rete scarica-vano problemi di costi ed efficienza su quelleminori; La finanza pubblica cambiò da espan-siva ad austera; il sistema finanziario, a partiredalla metà degli anni ottanta, ricercò altri pro-fitti, come negli USA, togliendo alle imprese lacintura di protezione precedente, e le misure diSchröder di abolizione della tassa sui capitalgain incentivarono le banche a tagliare le loropartecipazioni azionarie alle imprese.Schröder, infatti, giunse al potere con la chiaraidea che un’epoca era finita e che bisognavasintonizzarsi sulla lunghezza d’onda del nuovocapitalismo finanziario dei gestori dei fondi(money managers capitalism). Schröder inter-venne a tutto tondo sul sistema precedentenon cambiandolo d’imperio, il processo, infatti,era già in essere, ma rifunzionalizzando il si-stema sociale a una fase di capitalismo inter-nazionalizzato, estremamente competitivo equindi molto aggressivo verso ogni limitazioneinterna. La storia di quanto è successo è bennota: le leggi Hartz e la frammentazione delmercato del lavoro (una crescita del precariatodal 20 al 25 per cento della forza lavoro neiprimi dieci anni del 2000 - Seeleib-Kaiser,2005: 212), la lunga fase di deflazione salarialeche reggeva una politica neomercantilisticaestremamente aggressiva e il cambiamentoradicale della politica sociale con gravi conse-guenze (una percentuale di bassi salari8 pari al20,5% dei percettori, secondo l’OCSE e un forteamento delle diseguaglianze dei redditi), la tra-sformazione sempre più accentuata del sinda-calismo da centralizzato ed egualitario acorporativo – aziendalista e incapsulato nellalogica della competizione tra le aziende sia inGermania sia a livello europeo9.

LA DECOMPOSIZIONE DEL MODELLOIl “modello” si è quindi decomposto e i singolielementi rifunzionalizzati a una nuova dina-mica, in primo luogo, secondo la lezione diStreeck e di Hofmann per le tensioni internee in larga misura originarie, cioè riconducibilialla costruzione istituzionale postbellica svol-tasi negli anni cinquanta; una crisi endogenadi una dinamica di progressiva e crescente in-

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tegrazione in un’economia internazionale inforte cambiamento dagli anni ottanta. Il pro-cesso di decomposizione verso quale esito haspinto la Germania?Secondo la teoria dei cambiamenti di aggiu-stamento lungo un sentiero già tracciato efondamentalmente immodificabile nelle suecomponenti fondamentali, teoria nota come“path dependent”, i diversi capitalismi, quellorenano e quello anglosassone, pur cambiandoavrebbero dovuto mantenere le loro caratte-ristiche fondamentali: l’uno la coordinazione– regolazione, l’altro no. In realtà sembra con-fermarsi l’ipotesi di molti studiosi (Baglioni &Brandl, 2011; Baccaro & Howell, 2011), avantaggio di una teoria della convergenzafunzionale dei diversi sistemi capitalistici (li-berali e coordinati, renani e anglo-sassoni,nordici e meridionali, ecc.) verso modelli menocoordinati e regolati, sotto la spinta della glo-balizzazione e finanziarizzazione di questafase dello sviluppo capitalistico.Sostenere che il processo di decomposizionesi è sviluppato endogenamente significa con-siderare le trasformazioni delle politiche ope-rate dai governi come un risultato più che unacausa del processo?Hofmann polemizza apertamente contro latesi di Kalecki (1943, trad. it. 1975), accredi-tata anche in Germania, del “ciclo politico”come criterio interpretativo del ciclo econo-mico; per Hofmann è prevalente se non com-pletamente sufficiente l’analisi della “insitadinamica economica nelle strutture capitali-stiche nella repubblica federale e non a causadi una rottura politica del capitale con i sinda-cati e con il governo SPD” (1982:158). Ri-tengo, invece, del tutto utile l’ipotesi di Kaleckiche mi pare un po’ più complessa e pregantedi una semplice rottura politica, anche perchéfu scritta, con la guerra ancora in corso, perfornire un’interpretazione generale di come ilcapitalismo fa i conti con le politiche di pienaoccupazione “mediante la spesa pubblica fi-nanziata da prestiti” (Kalecki, 1943: 165). Ka-lecki individua tre ragioni di opposizione dei“capitani di industria”: la prima riguarda il fattoche in un sistema di laissez-faire gli investi-menti dipendono dalla fiducia degli industrialisulle politiche del governo, e sul carattere piùo meno pro-business delle istituzioni sociali,fornendo così loro la possibilità “di esercitareun potente controllo indiretto sulla politica delgoverno” e quindi “la funzione sociale delladottrina delle “sane finanze” è quella di ren-dere il livello di occupazione dipendente dallo“stato di fiducia”” (ibidem: 166-167). La se-conda riguarda sia gli investimenti pubblici siai sussidi pubblici al consumo di massa; nelprimo caso, infatti, permane l’idea che gli in-vestimenti pubblici facciano diminuire la pro-fittabilità e l’area di estensione di quelli privati(è la teoria oggi nota come “crowding out”);nel secondo caso, oggi non più valido nel ca-pitalismo finanziario post anni ottanta, la tesiè che ciò è immorale perché “vi guadagnereteil pane col vostro sudore … a meno che non viaccada di essere sufficientemente agiati” (Ibi-dem: 168). La terza è un’obiezione radicale almantenimento della piena occupazione per-

ché: “i lavoratori sfuggirebbero al controllo e icapitani di industria sarebbero ansiosi di dargliuna lezione” (ibidem: 172). Il ciclo politico con-siste nella decisione politica di una drastica ri-duzione del deficit di bilancio; il che mi sembrasi attagli perfettamente al caso tedesco. La ri-duzione del deficit di bilancio ha, infatti, signi-ficato, metter una pietra tombale sul modellodi consenso sociale costruito sino alla metàdegli anni settanta e farlo considerando quelmodello, in tutte le sue variazioni ordolibera-liste e keynesiane, insostenibile struttural-mente, di qui la terza via di Schröder e di Blair.Il processo di accumulazione può quindi es-sere solo accompagnato e la struttura socialeva ridefinita in modo “conforme”. Il prezzo è larottura con la precedente base sociale e la ne-cessità di costruirne una nuova; un tale ciclopolitico richiede una torsione autoritaria e di-rigistica accentuata.

LA SPD E LA SUA BASE SOCIALESe fino a questo punto l’analisi ha riguardatole dinamiche di sistema, è ora opportuno in-trodurre il tema dell’evoluzione rapporto trala SPD e la sua base sociale. La ricostruzionedi una rappresentanza sociale e politica delmondo del lavoro dopo la devastazione delnazismo, rispetto all’idea stessa di una rap-presentanza autonoma della classe operaia,fu opera non semplice. Collotti (1982: 12) so-stiene che “il filone dell’antibolscevismo e lapretesa interclassista” del regime nazista“avevano lasciato indubbiamente una tracciaduratura nello spirito pubblico, così come nelcomportamento collettivo di partiti e sinda-cati” che spiegano “più delle teorizzazioni edelle prese di posizioni dottrinarie” le “ten-denze all’interclassismo corporativo” fruttodi una “tradizione antipluralista” costruitacome difesa contro l’esperienza weimerianavista come un abisso d’insicurezza, instabilitàe ingovernabilità. La guerra fredda, il suc-cesso economico degli anni cinquanta e ses-santa, la costruzione del muro di Berlino e ilcrescente carattere negativo dell’esperi-mento orientale rafforzarono questo nucleooriginario dello spirito pubblico. Ciò nono-stante vi furono ondate di mobilitazione sin-dacale che costrinsero i governi dell’eraAdenauer a trovare compromessi con le ri-chieste di partecipazione e che trovarononella SPD un punto di riferimento, anche senon esclusivo. A sua volta la SPD dovette farei conti con il successo del modello Adenauer-Erhard attraverso il profondo cambiamentoculturale rappresentato dal programma diBad Godesberg, con lo spostamento dell’areadel possibile conflitto tra Capitale e Lavorodalla sfera della produzione a quella della di-stribuzione. Tali possibili conflitti, in questaipotesi, potevano essere amministrati attra-verso una gestione comune della produzione,orientata a una crescita costante guidatadalla produttività; ciò, in questo la differenzacon la CDU, richiede un intervento importantee costante dello Stato che, secondo il keyne-sismo della sintesi neoclassica consiste nellagestione attiva del ciclo economico. L’ascesaal potere della SPD coincise con una vera e

propria rottura culturale generazionale con ilpassato, a partire dalla prima vera analisi diche cosa era stato il nazionalsocialismo, siatra gli studenti sia tra settori professionali, in-tellettuali e operai. La direzione socialdemo-cratica si misurò con queste spinte dellasocietà civile con atteggiamenti ambigui eondivaghi, in particolare sulle questioni eco-logiche e sulla pace, e con vere e proprie mi-sure repressive; accogliere le istanze di questimovimenti avrebbe richiesto la messa in di-scussione dell’analisi della società, ancorprima che del programma del partito. Ciòcontribuì per un verso a ristrutturare l’offertapolitica con la nascita dei Verdi e, dopo l’uni-ficazione, della Linke, e, per altro verso ad al-lontanare dalla partecipazione politica attivaquote crescenti della società. Nonostantetutto ciò, vi fu da parte di importanti settoridella società, in primo luogo il mondo del la-voro, un investimento di speranza sul ritornoal potere della SPD assieme ai Verdi nel 1998.La delusione e la vera e propria rottura conuna parte della sua base sociale, e specifica-tamente con la cultura dell’antagonismo tracapitale e lavoro10, a seguito del disvela-mento del programma di riorganizzazionecomplessiva della società, operata da Schrö-der (l’agenda 2010) con le leggi Hartz, furonomolto importanti e spiegano sia la rapidauscita di scena del governo Schröder sia ladifficoltà per la SPD a riconquistare un ruoloegemonico nella scena politica tedesca.

CONCLUSIONIIl cuore dell’esperienza socialdemocratica te-desca, a partire dalla metà degli anni set-tanta, sta nella separazione della sferadell’accumulazione che deve essere lasciataal mercato e aiutata con politiche infrastrut-turali, monetarie, creditizie e di sviluppo dellaricerca scientifica e tecnologica. L’insiemedelle politiche di uno stato attivo deve ali-mentare il modello di eccellenza tecnologicache garantisca un potere di mercato delle im-prese tedesche nell’Unione Europea e nel-l’Eurozona. Il potere di mercato consente dialimentare la crescita economica, principal-mente lungo una linea neomercantile (Bello-fiore & Garibaldo, 2011 e Bellofiore,Garibaldo, Halevi, 2011). Questa impostazione doveva garantire con-temporaneamente la stabilità sociale attra-verso politiche redistributive egualitarie esolidali, con un alto livello di occupazione euno spostamento verso livelli crescenti diqualificazione complessiva del mondo del la-voro, in un circuito virtuoso con l’eccellenzatecnologica. Questo esito sul piano socialedoveva essere alimentato dalla crescita eco-nomica, dalla maggiore produttività e dallasua redistribuzione, garantita dal concerto ditutte le istituzioni sociali. I cicli dell’economiadevono essere accompagnati dalle opportunepolitiche monetarie fiscali di governi attivi.L’integrazione dell’economia internazionalelungo linee cosiddette neoliberiste, in realtàdi rifunzionalizzazione dello Stato alla com-petizione internazionale (Bellofiore, 2013 eMirowski, 2013), lo sviluppo impetuoso del

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capitalismo finanziario dei gestori di fondi, lacrisi del 2017 del modello del keynesismoprivatizzato (USA e UK) hanno messo in di-scussione le basi sociali di quel modello, de-componendolo in una società fortementepolarizzata sul piano sociale e non più ingrado di garantire sia la piena occupazione siauna generosa politica sociale di gestione delladisoccupazione strutturale.La crisi origina da una mancanza di un’idea al-ternativa della società, quella implicita nel-l’idea antica della socializzazionedell’economia e nelle nuove istanze ecologi-ste e di economia della condivisione. Idee,queste ultime popolari tra strati della società,in cerca di una rappresentanza politica ingrado di fare i conti con la crisi strutturalenella quale stiamo vivendo. Rappresentaretali domande richiede una messa in discus-sione profonda della cultura socialdemocra-tica e un programma di lotte e di governomolto radicale sul piano sociale; esiste oggiin Germania un’offerta politica e culturaleall’altezza? Su questa domanda ci piacerebbesviluppare la riflessione.

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1) Sono grato ai consigli di Heinz Bierbaum, Umberto Romagnoli, Rainer Greca, Emilio Rebecchi e Volker Telljohann, che hanno letto la bozza iniziale; graziea loro il testo è stato migliorato; la responsabilità finale del testo resta comunque mia.2) Le citazioni testuali utilizzate da Somma provengono da: L. Erhard, Programm fu� r Deutschland, Christlich-Demokratische Union Deutschlands, s.l., 1965,p. 13 e seguenti.3) Lui ne analizza cinque: la contrattazione collettiva e la definizione dei salari, il ruolo delle organizzazioni intermedie come i sindacati e le rappresentanzeimprenditoriali, la politica sociale, la finanza pubblica e la governance d’impresa.4) Essi uscirono dall’azione concertata solo nel 1977, ma è solo un fatto formale.5) Tale concetto ebbe molta fortuna in Europa tra la fine degli anni novanta e i primi del nuovo millennio, e fu alla base dell’esperienza degli Istituti per ilLavoro in tutta Europa: si veda The Role of Intermediate Institutions: The Case of Research Institutes Concerned with Work and Labour , working paper di-sponibile a: http://ipl.francescogaribaldo.it/10-anni-in-ipl/documenti/workingPaper/05_the_role_of_intermediate.pdf e Brödner, P.; Garibaldo, F.; Oehlke,P.; Pekruhl, U. -Work Organisation and Employment.The Crucial Role of Innovation Strategies -Projektbericht des Instituts Arbeit und Technik 1999 disponibilea: http://manage.francescogaribaldo.bedita.net/files/f9/fd/Work_Organisation_Employment.pdf6) Con l’eccezione del 19797) disponibile a http://www.art3.it/Costituzioni/cost.%20Germania.htm8) al di sotto dei 2/3 della mediana dei salari9) Per una valutazione critica della situazione tedesca con la fine del governo Schröder e il ritorno al potere della CDU con una grande coalizione assieme allaSPD, poi con un governo CDU – FDP (liberali) e di nuovo con una grande coalizione assieme alla SPD si possono leggere: Wolfang Streeck, 2009; AlfonsoGianni ed altri ( a cura di), 2012; Guillaume Duval, 2013; Francesco Garibaldo, 2015;Brigitte Unger ( a cura di), 2015.10) Antagonismo superato, secondo Schröder e Blair, dall’emergere della società della conoscenza.

*Direttore Fondazione Claudio Sabatttini

Oggi i costruttori di autoveicoli e i fornitori sivedono di fronte a nuove sfide come la e-mo-bilità, il cambiamento climatico e la digitalizza-zione. Visto che l’industria 4.0 cambierà lecatene di valore, secondo il sindacato del set-tore metalmeccanico IG Metall anche la con-trattazione così come i diritti dicodeterminazione dovrebbero essere adattatie sviluppati ulteriormente per tutelare i lavo-ratori di fronte a queste trasformazioni strut-turali. Uno degli strumenti che il sindacatoritiene indispensabile è il cosiddetto part-timeformativo per i lavoratori che dovrebbe contri-buire a garantire lo sviluppo delle qualificazioninecessarie.Per quanto riguarda invece le strategie di ridu-zione dei costi il sindacato dei metalmeccanicideve far fronte alle strategie di delocalizza-zione e esternalizzazione. Il sindacato si op-pone a delocalizzazioni arbitrarie verso i paesicon un costo del lavoro più basso perché se-condo il sindacato l’efficienza dei cluster pro-duttivi e i partenariati per lo sviluppo el’innovazione sono i veri punti di forza dell’in-dustria automobilistica tedesca. Un’altra sfida che il sindacato deve affrontareriguarda la riorganizzazione della catena di for-nitura nell’industria automobilistica tedescache implica una continua pressione sui prezziche le case automobilistiche esercitano sui for-nitori e subfornitori lungo la catena del valore.

LA RIORGANIZZAZIONE DELLA CATENADI FORNITURAFin dall’inizio degli anni novanta, nell’industriaautomobilistica c’è stata una tendenza gene-rale nelle ristrutturazioni industriali verso unaconcentrazione sul cosiddetto core business eun’esternalizzazione di un’ampia gamma dialtre funzioni aziendali. Oltre ai costi, questiprocessi sono motivati da considerazioni rela-tive alle capacità manageriali, alla forza lavoroe alla gestione delle conoscenze e degli aspettiriguardanti la qualità di prodotto. Le esternalizzazioni e l’emergere di catene delvalore a livello globale hanno intensificato lasegmentazione del mercato del lavoro e por-tato ad una frammentazione dell’occupazione.Inoltre, la crescente complessità della gover-nance e del controllo delle nuove relazioni or-ganizzative ha come risultato una crescenteinstabilità, imprevedibilità e insicurezza nellerelazioni di potere a livello della catena del va-lore, nei network, nelle organizzazioni, nei luo-ghi di lavoro e per gli individui. I subappaltatorie le aziende di fornitura sono spesso delle PMIche sono in una posizione subordinata nei con-fronti dei loro clienti. L’esternalizzazione che èparte del cambiamento strutturale dell’econo-mia è, infatti, dominata da produttori finali ograndi fornitori a livello globale.

Nell’industria automobilistica come anche inaltri settori a livello delle relazione industriali iprocessi sopra menzionati hanno comportatouna disintegrazione verticale dei gruppi multi-nazionali contribuendo alla destrutturazionedella contrattazione a livello aziendale e setto-riale. Nelle aziende subappaltatrici, nelleaziende di fornitura e nelle agenzie di sommi-nistrazione di lavoro spesso la contrattazionecollettiva non viene effettuata, vengono firmatiaccordi deboli a livello aziendale o applicati di-versi contratti collettivi. Le imprese focali, tra-sferendo il lavoro alle aziende sopramenzionate, determinano nuovi confini orga-nizzativi lungo la catena del valore e la fram-mentazione delle tradizionali strutture dellacontrattazione. In alcuni casi i rappresentantidei lavoratori stanno sviluppando nuove cam-pagne e stanno usando il potere residuale nellegrandi imprese per istituire nuove forme dirappresentanza in nuove aziende e nuovi set-tori, ma questi non hanno dato una rispostaalla necessità di ricostruire una contrattazionecoordinata.

TENTATIVI DI RICOSTRUZIONE DI UNACONTRATTAZIONE COORDINATAOggi nell’industria automobilistica tedesca il40% del valore aggiunto nell’ambito della ri-cerca e sviluppo è generato dai fornitori e latendenza è crescente. Perciò le prospettive disviluppo dei fornitori sono decisive per il futurodell’intero settore automobilistico. Secondo ilsindacato c’è il rischio che, in seguito alle stra-tegie dei gruppi automobilistici di riduzione deicosti, manchino le risorse necessarie ai forni-tori per poter gestire i processi di trasforma-zione strutturale minando così anche la lorocarica innovativa. Per i dipendenti dei fornitori l’estrema pres-sione sui costi implica il rischio di un peggiora-mento delle condizioni di lavoro e salariali. L’IGMetall si sta infatti opponendo alle richieste delmanagement di un maggiore rendimento deilavoratori e alla pressione sui salari.In questo contesto, il primo obiettivo strategicodel sindacato consiste nel contrastare ulterioriprocessi di esternalizzazione. Inoltre, si intenderidurre il divario importante fra i livelli salarialidei dipendenti delle case automobilistiche e idipendenti dei fornitori e subfornitori. Per fer-mare le pratiche di dumping salariale legate aiprocessi di esternalizzazione l’IG Metall si staimpegnando ad estendere di più la contratta-zione collettiva alle aziende che fanno partedella catena di fornitura.Si pone quindi la necessità di sviluppare dellestrategie di rappresentanza degli interessi e dicontrattazione collettiva orientate a superare irischi e i problemi collegati ai processi di scom-posizione del settore automobilistico e delle

imprese che ne fanno parte. Dall’inizio di questo decennio in Germania l’IGMetall sta sperimentando nuove strategie dicontrattazione collettiva e di rappresentanzadei lavoratori nelle aziende di fornitura nel set-tore automobilistico. Per quanto riguarda i di-versi tentativi di ricostruire le relazioniindustriali lungo la catena del valore particolareattenzione è stata dedicata alle strategie di:• ricostruzione di una contrattazione coordi-nata;• ricomposizione delle strutture di rappresen-tanza degli interessi.

LA RAPPRESENTANZA LUNGO LA CATENA DEL VA-LORELa strategia di migliorare le condizioni di lavoroe salariali attraverso l’estensione della contrat-tazione collettiva riguarda in particolar modole aziende del settore della logistica. In Germa-nia la differenza tra il salario dei metalmecca-nici e quello del settore dei servizi è piùaccentuata che in altri paesi dell’Unione Euro-pea. Nel 2013 il costo del lavoro orario nel set-tore manifatturiero era di 36,20 Euro all’ora,mentre nel settore dei servizi privati si aggiravasui 28,70 Euro ed era, quindi, del 21 % piùbasso. L’IG Metall ha deciso di opporsi a questo trende imporre salari più alti per i fornitori di serviziindustriali. In questo modo, l’IG Metall entra inconcorrenza diretta con il sindacato del settoredei servizi Ver.di che in genere organizza leaziende di logistica. Visto che le imprese ester-nalizzano non più solo il servizio della mensa oil servizio delle pulizie, bensì anche il premon-taggio, la manutenzione e servizi delle tecno-logie dell’informazione il sindacato deimetalmeccanici intende rappresentare anche idipendenti di queste imprese. La strategia del-l’IG Metall è quindi quella di dichiararsi respon-sabile per tutta la catena del valore. L’obiettivonon è solo quello di estendere la coperturadella contrattazione collettiva nel settore dellalogistica ma anche di firmare contratti collettivimigliori di quelli firmati da Ver.di.

PRIMI RISULTATIGià nel 2011 l’IG Metall poteva registrare unprimo successo riuscendo a sindacalizzare piùdell’80% degli addetti dello stabilimento delgruppo multinazionale Schnellecke a Zwickauche opera nel settore della logistica. In questocaso il sindacato dei metalmeccanici è riuscitoa concludere un contratto collettivo che sosti-tuiva il contratto collettivo firmato da Ver.di. Ilnuovo contratto firmato dall’IG Metall stabili-sce soprattutto un orario di lavoro più vantag-gioso.Nel gennaio del 2013 l’IG Metall ha firmato uncontratto collettivo anche per i 400 dipendenti

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Lavoro e rappresentanza, comecambiano nell’automotive tedesco

di Volker Telljohann*

della Schnellecke di Lipsia. Il livello retributivodi riferimento è adesso di 1.800 Euro lordi.Questo significa che il sindacato è riuscito adimporre aumenti ai vari livelli di inquadra-mento fra il 18 e 40%.Nell’aprile del 2014 è stato firmato un con-tratto collettivo per i 1.500 dipendenti dei cin-que stabilimenti della Schnellecke a Glauchau,Dresda e Lipsia nella regione Sassonia. In que-sto caso l’IG Metall è riuscita a negoziare unaumento salariale del 2,5% a partire dal 1°maggio 2014 e di ulteriori 3,2 % per il periododal 1° febbraio al 31 ottobre 2015. Per fideliz-zare i lavoratori qualificati e per rispondere allesfide del cambiamento demografico sonostate definite misure per facilitare la concilia-zione tra lavoro e vita privata. Per quanto ri-guarda invece il ricorso alla somministrazionedi lavoro sono stati definiti precisi diritti di co-determinazione per i consigli di fabbrica. Nel caso della KWD, una controllata del gruppoSchnellecke che fornisce i suoi servizi alla Vol-kswagen di Wolfsburg, l’IG Metall era riuscitaa firmare un contratto collettivo aziendale diprimo livello già nel 2012. In quel caso per fir-mare il contratto era stato necessario unosciopero che veniva sostenuto anche da dipen-denti di altre aziende della filiera presenti aWolfsburg. Oltre agli aumenti salariali e al mi-glioramento delle condizioni di lavoro il sinda-cato ha anche ottenuto che l’azienda aderisseall’associazione imprenditoriale. In questomodo viene garantito che i 100 dipendentidell’azienda in prospettiva potranno benefi-ciare del contratto collettivo di categoria.Nel 2012 l’IG Metall è anche riuscita a sinda-calizzare l’80 % degli 128 addetti dello stabili-mento di Lipsia della Rudolph AutomotiveLogistik che è un’altra multinazionale operantenel settore della logistica e che fornisce serviziindustriali allo stabilimento della BMW. Mentreil vecchio contratto collettivo firmato fra la Ru-dolph Logistik di Lipsia e Ver.di prevedeva perun lavoratore a tempo pieno circa 1.500 € ilnuovo contratto collettivo firmato dall’IG Me-tall prevede dal 1° gennaio 2013 un salario dicirca 1.800 € e una riduzione dell’orario di la-voro da 40 a 38 ore entro il 2016. Inoltre èstato stabilito che i lavoratori hanno diritto adun periodo di ferie di 30 giorni lavorativi al-l’anno. Questi risultati sono stati raggiuntianche grazie a sei scioperi organizzati dall’IGMetall che hanno avuto un impatto sull’orga-nizzazione della produzione nello stabilimentodella BMW di Lipsia. Per quanto riguarda que-sta vertenza contrattuale il managementaveva prima provato a fare causa contro l’IGMetall, visto che l’azienda stava applicando uncontratto collettivo di primo livello firmato conVer.di. È stato invece il tribunale del lavoro aconfermare che l’IG Metall è il sindacato com-petente per lo stabilimento di Lipsia.

IL RUOLO DEI CONSIGLI DI FABBRICA DELLE CASEAUTOMOBILISTICHEMentre i summenzionati successi nell’ambitodella contrattazione collettiva sono il risultatodi processi di sindacalizzazione e mobilitazionedei dipendenti delle aziende della logistica cisono altri esempi in cui sono state le strategiedi sostegno da parte dei consigli di fabbricadelle case automobilistiche a contribuire a unmiglioramento delle condizioni salariali e di la-

voro nelle aziende della logistica.Un esempio recente riguarda la BMW. Nelmarzo 2015 il consiglio direttivo della BMW in-sieme ai rappresentanti dei lavoratori ha intro-dotto una fondamentale modifica per quantoriguarda i rapporti con le aziende della logistica.Su pressione del sindacato e del consiglio difabbrica la BMW ha infatti deciso di utilizzarein futuro solo fornitori di servizi logistici che ap-plicano il contratto collettivo per il settore me-talmeccanico che è considerato un contrattoche stabilisce livelli retributivi relativamenteelevati. Per il sindacato questa nuova prassialla BMW rappresenta un modello da esten-dere anche ad altre case automobilistiche. Un altro esempio riguarda l’applicazione di ac-cordi aziendali transnazionali firmati dalle caseautomobilistiche. Nel caso del Gruppo Vol-kswagen sono stati firmati vari accordi tran-snazionali, fra cui la Carta sui rapporti di lavoro,la Dichiarazione sui diritti sociali e le relazioniindustriali nel Gruppo Volkswagen, la Dichiara-zione sulla sostenibilità nei rapporti con i for-nitori, la carta sul lavoro a termine, la carta sullaformazione professionale e la carta su salute esicurezza. Alcuni di questi accordi prevedono lapossibilità di applicazione non solo all’internodel Gruppo Volkswagen ma anche nelleaziende di fornitura di primo livello. Un esem-pio è la Dichiarazione sui Diritti Sociali e le Re-lazioni Industriali alla Volkswagen (CartaSociale). Questa Dichiarazione del 2002 fa ri-ferimento alle Convenzioni dell’OrganizzazioneInternazionale del Lavoro. L’ambito di validitàdi questo accordo è costituito da tutti i paesi ele regioni rappresentate nel Comitato azien-dale mondiale del gruppo Volkswagen. I dirittisociali fondamentali e i principi descritti in que-sta dichiarazione rappresentano la base dellapolitica aziendale di Volkswagen. Una versionerivista della Carta Sociale è stata siglata l’11maggio 2012: anche in questa versione si in-vitano le aziende che collaborano con il gruppoa prendere in considerazione la Dichiarazionesui Diritti Sociali e le Relazioni Industriali.Poi nel 2006 è stata sottoscritta una Dichiara-zione sui Requisiti per uno sviluppo sostenibilein rapporto alle relazioni con i partner in affari:in questo caso l’ambito di riferimento è rappre-sentato da tutti i fornitori di primo livello delGruppo Volkswagen. L’accordo prevede che ifornitori abbiano l’obbligo di garantire misureadeguate di protezione ambientale e deglistandard riguardanti i diritti dei lavoratori. Ilcontenuto di questi requisiti per i fornitori, re-lativi a uno sviluppo sostenibile, è basato sullelinee guida interne al Gruppo, sulle politicheambientali e sui conseguenti obiettivi ambien-tali, sulla politica in materia di salute e sicu-rezza e sulla Dichiarazione sui Diritti Sociali e leRelazioni Industriali.Queste dichiarazioni hanno trovato applica-zione anche in diverse aziende della logisticache lavorano per il Gruppo Volkswagen in Ger-mania. In particolare ha riguardato delleaziende della logistica presenti nel parco forni-tori presso la Audi di Ingolstadt e altre aziendedella logistica che lavorano per lo stabilimentodella Volkswagen a Kassel. Facendo riferimento alla clausola che prevedeche le retribuzioni dovrebbero corrispondere aisalari generalmente corrisposti a livello di ca-tegoria in un determinato contesto regionale è

stato possibile ottenere aumenti salariali del30 %. In altri casi gli accordi transnazionali sonostati utilizzati per garantire il diritto di costituireun consiglio di fabbrica. Questi risultati pote-vano essere raggiunti solo perché, da un lato,il sindacato era riuscito a raggiungere un tassodi sindacalizzazione di circa il 60% e, dall’altrolato, perché la strategia sindacale si basava suun coordinamento molto stretto fra i consiglidi fabbrica delle case automobilistiche e i con-sigli di fabbrica delle aziende della logistica.

CONCLUSIONICon la loro offensiva nel settore della logistical’IG Metall mira a contrastare il dumping sala-riale che spesso è legato ai processi di ester-nalizzazione. L’obiettivo del sindacato consistenella ricomposizione della rappresentanza edella contrattazione collettiva lungo la catenadel valore. La strategia del sindacato non si ri-ferisce più solo alla singola azienda ma inveceall’insieme delle aziende che fanno parte dellacatena di fornitura. In genere si pone comeprima esigenza la sindacalizzazione dei lavo-ratori delle aziende della logistica e delle altreaziende in appalto per poi passare alla costitu-zione di un consiglio di fabbrica. Un altro pas-saggio importante riguarda la cooperazione eil coordinamento fra i consigli di fabbrica delleaziende che fanno parte della catena del va-lore. Nell’ambito del coordinamento il consigliodi fabbrica della casa automobilistica assumeun ruolo fondamentale. Una volta garantita lacapacità di mobilitazione e di coordinamento ilprossimo obiettivo consiste nell’applicazionedi un contratto collettivo. Visto che spesso le imprese sono uscite dalleassociazioni imprenditoriali il primo passo ri-guarda la conclusione di un contratto collettivoaziendale di primo livello. Un ulteriore passopuò riguardare la (ri)affiliazione dell’aziendaall’associazione dei datori di lavoro e l’applica-zione del contratto collettivo di categoria.Come dimostrano i casi presentati sopra,l’estensione della contrattazione collettiva alleaziende del settore della logistica può contri-buire a ridurre il divario per quanto riguarda lecondizioni salariali e di lavoro fra le imprese fo-cali e le aziende in appalto. Questa strategia diorganizzare le aziende della catena di fornituraè stata applicata per la prima volta nel settoreautomobilistico perché è il settore con il piùelevato tasso di sindacalizzazione. Questo valein particolar modo per le case automobilistiche.Perciò il sindacato cerca di coinvolgere i consiglidi fabbrica delle case automobilistiche per so-stenere i tentativi di sindacalizzazione e con-trattazione nelle aziende della logistica. Iconsigli di fabbrica delle case automobilistichesono infatti interessati a disincentivare il piùpossibile i processi di esternalizzazione. Le strategie di ricomporre la rappresentanzasono quindi anche un tentativo di fermare ul-teriori processi di esternalizzazione che ri-schiano di ridurre ulteriormente il nucleo dellemaestranze delle case automobilistiche cherappresentano per il sindacato la principale ri-sorsa di mobilitazione. È prevedibile che questastrategia orientata a ricomporre la rappresen-tanza sarà in futuro estesa anche ad altre fi-liere come per esempio quella delle macchinee apparecchiature meccaniche.

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*Ires Emilia Romagna

In merito al rinnovo contrattuale in AutomobiliLamborghini, Tommaso Cerusici ha intervistatoMichele Bulgarelli, funzionario sindacale dellaFiom-Cgil di Bologna che ha seguito tutta la trat-tativa con l’azienda. A lui abbiamo chiesto un com-mento ragionato a partire dagli aspetti piùinnovativi che il contratto pone in essere, tanto peril sindacato quanto per la contrattazione in gene-rale. Il testo del contratto è visionabile sul sito dellaFiom di Bologna al seguente link www.fiom-bolo-gna.org/?p=4932

Perché possiamo parlare di un accordo inno-vativo in merito a quello stipulato tra le orga-nizzazioni sindacali, Fiom in testa, e laAutomobili Lamborghini?Secondo me per diverse ragioni. La prima ri-guarda il capitolo degli appalti, sicuramenteuna delle parti più all’avanguardia. Nell’accordo,innanzitutto, si prevede il diritto all’informa-zione, che viene esteso a tutti gli ambiti: allaRsu e alla Fiom verrà consegnato annualmentel’elenco di tutte le aziende che operano conti-nuativamente dentro al sito e anche di quelleche hanno un rapporto di fornitura esterna. Inquesto modo si potranno monitorare ad esem-pio: la filiera esterna, gli appalti continuativi al-l’interno del sito di Sant’Agata Bolognese, ilnumero di lavoratori presenti, l’attività svolta,il contratto nazionale applicato, le tipologiecontrattuali utilizzate, se esistono subappalti,la durata dell’appalto, eccetera. Avremo perciò un quadro che ci consentirà dimeglio organizzare le nostre iniziative sulle at-tività esternalizzate.Inoltre, un punto importante è quel passaggiodell’accordo in cui si dice che le parti – quindi ilsindacato e l’azienda – si impegnano ad esseresoggetti attivi affinchè le organizzazioni sinda-cali - anche quelle che organizzano i lavoratoridegli appalti - attraverso la contrattazione, mi-gliorino le condizioni economiche e contrattualiproprio dei lavoratori in appalto continuativodentro il sito Automobili Lamborghini di San-t’Agata Bolognese. Si apre così la possibilità diorganizzare a cascata un’azione contrattualerealmente inclusiva. Quindi, noi ci impegniamoa migliorare le condizioni di chi lavoro, e Auto-mobili Lamborghini si impegna a impedire chele singole aziende si rifiutino di aprire una trat-tativa. Per noi l’applicazione coerente del “Co-dice di Condotta del Gruppo Volkswagen per ipartner commerciali” significa il rispetto deicontratti e delle leggi, ma anche l’estensionedel concetto di top employer a tutta la filiera,attraverso la contrattazione.C’è poi il tema della consulenza, perché ilmondo degli appalti non riguarda solo le atti-vità più tradizionalmente oggetto di esterna-lizzazione – mensa, pulizie, facchinaggio,guardiania, etc. – ma anche attività di ricerca e

sviluppo e information tecnology. Mi riferiscoin particolar modo ai “consulenti”, cioè lavora-tori di specifiche aree strategiche che non sonodipendenti. Poiché questa realtà esiste allaLamborghini così come in tantissime altreaziende, il problema è capire come mantenereil know how dentro l’impresa, anche attraversoopportune attività di re-internalizzazione.C’è poi l’impegno, nel corso del prossimo trien-nio, a superare l’istituto del subappalto.

Visionando il contratto salta all’occhio l’inno-vativo sistema di prepensionamento, cheavete mutuato dal modello tedesco. Ce neparli?Un passaggio non scontato è quello del pre-pensionamento modello Audi-Volkswagen,che nel contratto rientra nella parte dei dirittiindividuali. Questo è frutto della buona colla-borazione tra Fiom di Bologna e Ig Metall diWolfsburg e si tratta di un aspetto emerso nelcorso dalle discussioni informali nell’ambitodella collaborazione stessa. Come Fiom di Bo-logna abbiamo inserito in piattaforma la richie-sta di prendere in esame, a partire dallemansioni operaie, i percorsi di prepensiona-mento. Nel corso della nostra trattativa sonointervenuti il Segretario generale della Ig Metaldi Wolfsburg e i delegati della Volkswagen, chehanno illustrato il funzionamento del sistemanel gruppo Audi-Volkswagen. È anche grazie alloro intervento in quella sede se siamo riuscitia concordare l’introduzione, entro il primo annodi vigenza dell’accordo, di un sistema di pre-pensionamento sul modello tedesco.

In merito al rilancio dell’occupazione ci sonodegli aspetti che ci vuoi segnalare?Anche il capitolo “occupazione” è molto avan-zato, perché afferma che chi verrà assuntosvolgerà un periodo di lavoro interinale non su-periore a 16 mesi, che però possono diventare24 solo se finalizzati espressamente all’assun-zione a tempo indeterminato. Questi 16 mesifanno parte di un pacchetto che prevede al-meno un mese di formazione, anche in aula equindi non solo sul posto di lavoro. Tale sistema dovrà valere per tutti e con ciò sisupera l’idea di un sindacato che intervienesolo sulle condizioni degli operai. Quindi ci saràlo stesso meccanismo di ingresso per tutti, chevarrà per gli ingegneri, per chi lavora in proget-tazione, o negli acquisti, o in linea di montag-gio… in ogni modo saranno sempre 16 mesi. Lascansione è molto chiara: 1+3+6+6, di cui al-meno un mese è formazione. Alla fine, sel’azienda ha le condizioni per poter andare alconsolidamento di quel posto di lavoro, allorasi farà una valutazione delle competenze e,solo in quel caso, si potranno superare i 16mesi.

In che modo?Si dovrà fare un apposito accordo con il lavo-ratore che preveda che il suo contratto a tempoindeterminato verrà stipulato successiva-mente, ma comunque non dopo ulteriori 8mesi. Vorrei far presente che l’azienda volevamantenere i 36 mesi di precarietà, che sono fral’altro quelli previsti dalla legge. Se non ci sono le condizioni per l’assunzione,dopo 16 mesi, il lavoratore riceve un patentinocon apposita certificazione. Esso evidenzierà lecompetenze acquisite in Lamborghini, compe-tenze che potranno essere spese nelle impresedella fornitura e, più in generale, nel distrettodella cosiddetta “motor valley”.In quella occasione, il lavoratore riceverà ancheun’indennità di mancata conferma pari a 220euro per ogni mese prestato in azienda, unacifra quindi superiore ai 150 euro precedenti.Questa somma, moltiplicata per 16 mensilità,è pari a 3.500 euro che, erogati in un’unica so-luzione, diventano un aiuto in più oltre all’in-dennità di disoccupazione per cercare così dirioccuparsi nel territorio.

Veniamo al nuovo suv Urus… Si è molto par-lato, tanto sui media locali che nazionali, dellascelta tedesca di produrre a Sant’Agata il terzomodello. In che modo il nuovo contratto puòavere influito su questa scelta?Questo accordo è stato anche propedeuticoalla scelta di Bologna come luogo dove pro-durre il terzo modello Lamborghini (che si af-fianca ad Adventador e Huracan), cioè il suvUrus. Per produrlo si recupereranno i lavoratoriche in precedenza hanno lavorato in aziendacon contratti interinali e che sono presenti inuna apposita graduatoria. Questo è importantein un’ottica di riunificazione del lavoro. Noi abbiamo voluto mantenere tutti i lavora-tori, anche quelli che sarebbero usciti dalla gra-duatoria dopo 24 mesi di presenza, dentro ladiscussione Urus.La graduatoria resterà in vigore per tutto il2015; dal 1 gennaio 2016 tutti gli iscritti con-fluiranno nel bacino Urus. In questo modo chiha già lavorato in Lamborghini potrà rientrare,senza che l’azienda chiami altri interinali.Per un monitoraggio costante dell’applicazionedel modello condiviso di ingresso in azienda, èstata formalizzata la costituzione di un gruppodi lavoro, che avrà accesso ad una informa-zione tempestiva e potrà dire la propria sui cri-teri per gli ingressi, sulla formazione, sullacollocazione degli interinali al loro posto.Il tema centrale era però quello di imporre al-l’azienda di farsi carico delle 250 persone ingraduatoria. La scommessa è stata vinta per-ché oggi Audi-Volkswagen ha scelto San-t’Agata per produrre il suv Urus.

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Bulgarelli: «In Lamborghiniun contratto che riunifica il lavoro»

di Tommaso Cerusici*

Veniamo alla parte salariale del contratto. Checosa prevede?Sul salario abbiamo cercato di mantenere la“buona scuola” della Lamborghini, cioè unacontrattazione aziendale e mai aziendalista.L’aumento salariale fisso è pari al 5% della pagaprevista dal CCNL Industria metalmeccanicaper il quinto livello, e cioè 88,70 euro. Stiamotutti scommettendo sul rinnovo del contrattonazionale. Perché se ci sarà, i lavoratori Lam-borghini godranno di un ulteriore aumento. Poi c’è il premio di risultato, che ha un valoremedio di 2.500 euro; si introduce un premio diteam di 200 euro, che dovrà essere definito nelcorso del 2016; vengono rivalutate tutte le in-dennità, a partire dall’indennità per i lavoratoridelle catene di montaggio, cioè quelli a ritmovincolato, che passa da 30 a 40 euro al mese(che incidono su tutti gli istituti e su 14 mensi-lità) e che non è collegata alla presenza.

Veniamo alla parte del contratto che riguardai diritti individuali…Innanzitutto, abbiamo inserito il diritto ad unasettimana di ferie una tantum al compimentodel venticinquesimo anno di anzianità di servi-zio.Inoltre, sulla formazione abbiamo ottenuto chele 150 ore per il diritto alla studio previste dalcontratto nazionale diventino 250. Abbiamoposto anche un elemento di maggiore collega-mento tra il sapere acquisito in percorsi di for-mazione esterni all’impresa e unavalorizzazione economica in azienda. Abbiamo,quindi, provato a porci questa domanda: se iovengo assunto per fare l’operaio e, contempo-raneamente, porto a compimento un percorsodi studio, questo mio impegno si traduce in unriconoscimento economico da parte del-l’azienda? Per rispondere a questa esigenza,

abbiamo definito un’apposita commissioneche stabilirà quale delle diverse forme di inden-nità mensile verrà attivata, qualora il lavoratoreincrementi il proprio sapere durante la perma-nenza in azienda.Poi c’è un altro tema legato ai lavoratori chehanno uno straordinario forfettizzato. Questi ultimi potranno recuperare le ore di for-fait positivo – quindi le ore aggiuntive prestatenel trimestre – con un pacchetto di otto ore tri-mestrali, da utilizzare per il proprio riposo. Lanovità sta proprio nel fatto che le ore aggiun-tive vengono recuperate nel trimestre e non sulmese. Ciò però ad una condizione: per poter ac-cedere a questo beneficio, bisogna utilizzare leproprie ferie pianificate, perché è necessarioanche partire dall’obiettivo – condiviso conl’azienda - che le ferie si devono fare. Se ci sa-ranno delle criticità – ad esempio i responsabiliche non consentono una coerente pianifica-zione delle ferie dei singoli impiegati – ci impe-gneremo tutti a risolverle.

Dopo aver analizzato con te i vari passaggi piùsignificativi del contratto, non posso non chie-derti: una contrattazione di questo tipo, cioèmolto avanzata, ha la possibilità di diventaresistema per tutta la Fiom o rimarrà sempre re-legata ad aziende ben circoscritte?Secondo me alcune parti di questo accordopossono diventare sistema. Sicuramente ilmodello della partecipazione, che si traduce neitre principi di informazione, consultazione econtrattazione. C’è poi il rafforzamento delruolo delle commissioni tecniche bilaterali(CTB) che è uno dei modi attraverso cui s’im-plementa il sistema della partecipazione, oltrealla contrattazione su tutti gli aspetti della vitalavorativa e alla democrazia (i contratti si vo-tano sempre tramite referendum ed è centrale

il ruolo della Rsu). Certo…comprendo che esistono aziende dovenon c’è pari dignità tra parte datoriale e quellasindacale, e questo ovviamente complica lecose…però io penso che sia comunque un mo-dello esportabile! È altrettanto esportabile la parte che riguardagli appalti, perché alla sua base c’è un’opera-zione che punta a mettere in trasparenza tuttala filiera, attraverso un diffuso ed esteso dirittoall’informazione, e che assegna precisi diritti diorganizzazione, libertà sindacale e partecipa-zione anche ai lavoratori della filiera. È esportabile, secondo me, anche tutta la parteinerente all’occupazione. Invece, per quanto riguarda la parte economicae quella dei diritti individuali, il fatto di trovarsiin presenza di un’azienda come la Lamborghini,che ha alti margini e una posizione di leader-ship ed eccellenza, non le rende in assolutoparti generalizzabili. Però quelli sono solo nu-meri! Ripeto: il modello resta sicuramenteesportabile.Insomma…parlo di esportabilità anche perchéquesto tipo di contrattazione s’innesta sullebuone pratiche del modello Bologna, dove lacontrattazione è sempre stata a livelli di eccel-lenza. Vorrei ricordare che le commissioni tec-niche non le hanno mica inventate in Germania,ma nascono da tanti accordi in aziende bolo-gnesi! Se abbiamo - come Fiom - la capacità dirinnestare e riattualizzare quel modello che ar-riva direttamente dagli anni Settanta, allorapotremo davvero discutere con pari dignità traimpresa e lavoratori di una serie di aspetti cen-trali. E se facciamo questo, avremo anche lacapacità di disegnare una via di uscita dalla crisiopposta al modello autoritario di Marchionnein FCA.

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*Fondazione Claudio Sabattini

La democrazia ha subito uno strano de-stino: nata come l’irruzione delle energie vi-tali della società civile nello spazio dellapolitica, sembra oggi capovolgersi nel suoopposto, in un rispetto solo formale eastratto delle regole e delle procedure. Daforza di cambiamento diviene forza di con-servazione, e ciò è il segno evidente dellasua decadenza e del suo svuotamento.Tutta la storia della nostra modernità può es-sere letta come la dialettica mai del tutto ri-composta tra le due polarità della vita e dellapolitica, della libertà e dell’ordine, del movi-mento dal basso e della regolazione dall’alto,e il tratto specificamente moderno di questadialettica sta nel fatto che essa si svolge al-l’interno di un grande processo collettivo, nelquale è in gioco la dimensione di massa dellasocietà. La grandezza e la tragedia del Nove-cento è nell’estrema radicalità di tutto questomovimento, con tutte le ambiguità e le com-plicità tra spinte democratiche e spinte auto-ritarie. Massa e potere sono le due forze incampo, che si fronteggiano e si combinanonelle forme più svariate.Oggi stiamo assistendo ad un processo di re-staurazione dell’ordine politico, e non a casoè la governabilità, la manutenzione tecnicadel sistema, l’unica bussola che viene tenuta.E la democrazia stessa viene piegata a que-sta logica stabilizzatrice.I partiti politici, nati come i canali di scorrimentodal sociale al politico, sono oggi gli strumenti diun intrappolamento, che impediscono, alla ra-dice, l’esercizio della democrazia come praticasociale di massa. Vita e politica sono del tuttodivaricate, incomunicanti.Occorrerebbe un grande lavoro di media-zione, ricostruendo pazientemente i fili di unacomunicazione tra la sfera sociale, con il suoinsopprimibile pluralismo, e la sfera istituzio-nale, ma al contrario si lavora per una siste-matica distruzione di questi fili, e tutto ildisegno delle riforme istituzionali, questogrande mito retorico intorno al quale ruota ildibattito pubblico da oltre vent’anni, non èaltro che il tentativo di una estrema concen-trazione del potere, liberando finalmente ilcampo da tutta la rete dei poteri intermedi.Non c’è dunque, come si vorrebbe far credere,nessun progetto di “liberazione” delle energievitali della società, ma c’è solo un discorso re-torico, con tutta la sua mitologia della velo-cità, del cambiamento e del coraggio, dietroil quale c’è solo la cruda logica della competi-zione per il potere. La retorica consiste ap-punto in questa tecnica di rovesciamento deisignificati, e per questo occorre un’opera-zione di bonifica del linguaggio, ed è un buoncriterio quello indicato da Papa Francesco,per cui “dietro ogni eufemismo c’è un delitto”,il che vuol dire che dobbiamo liberarci di tuttala zavorra della corrente ipocrisia.In questo contesto, nel mezzo di uno sconvol-gimento sociale a cui la politica non sa offrire

nessuna risposta, dobbiamo domandarci seabbia un senso, e quale, tutto il discorso con-centrato sulla contrapposizione di politica e an-tipolitica, tutta quella rappresentazione dellecose che spinge ad una difesa delle istituzioni,così come sono, contro le ondate irrazionalidelle varie forme di populismo. A me sembrauna chiave di lettura del tutto deviante.Ciò che si dice antipolitica è quel groviglio vi-tale ed esistenziale che reclama di essere ri-conosciuto e rappresentato, e vedere inquesto magma di sofferenza e di rifiuto soloil lato eversivo e distruttivo è l’errore tragicoche stiamo compiendo, spingendo così aduna estrema contrapposizione le ragioni dellapolitica e quelle della vita vissuta, con unaspaccatura verticale che invade tutte le fibrepiù delicate del nostro organismo.Mi sembra essenziale questo sguardo d’insiemesulla nostra condizione presente per chiarirequal’è la vocazione del sindacato e quale il suoapproccio al tema della democrazia.La mia tesi di fondo è che il sindacato nonabita nelle sfere della politica, ma sta tuttoimmerso nella materialità delle condizioni so-ciali, e per questo il suo rapporto con la poli-tica è sempre un rapporto di sfida e diconflitto, e oggi è più che mai evidente cheparliamo di due diversi mondi, ciascuno conla sua logica, e che pertanto non ci possonoessere commistioni o sovrapposizioni. Lasfera d’azione del sindacato è quella deimondi vitali nei quali prende forma il nostroessere come persone, dentro una determi-nata rete di relazioni sociali: il lavoro, la co-munità, il territorio.In questo, la rappresentanza sindacale si disco-sta radicalmente da quella politica, perché essarappresenta non un punto di vista sulla realtà,ma la realtà stessa, non una opinione, oun’ideologia, ma una condizione, e per questoessa è per sua natura radicale, perché affondanelle radici materiali della vita delle persone.Tutto ciò richiede uno spostamento assai de-ciso del baricentro organizzativo dall’alto versoil basso, richiede cioè prossimità, vicinanza,continuo e reciproco interscambio tra il rap-presentante e il rappresentato, in una logicache appare del tutto rovesciata rispetto allaverticalizzazione che è propria della politica.Democrazia, per il sindacato, non è altro chequesta aderenza alla realtà, questa capacitàdi rispecchiamento delle concrete condizionidi vita e di lavoro. Qui non c’è nessuna scis-sione di vita e politica, ma c’è la vita collettivache si autorganizza.Il modello democratico ottimale resta quello deiconsigli, dove il delegato è l’espressione direttadel gruppo omogeneo, e non c’è propriamente“delega”, ma rapporto fiduciario, affidamento,all’interno di una comune condizione.Questa è stata la grande forza di quella sta-gione, perché si stabiliva una totale osmositra movimento e organizzazione, e la deci-sione non veniva dall’alto, o dall’esterno, ma

dentro una comune pratica collettiva. Pensoche dobbiamo tendere ad avvicinarci il piùpossibile a questo modello, anche se le con-dizioni generali sono profondamente mutate,e soprattutto è cambiata la struttura produt-tiva, e vanno quindi necessariamente speri-mentate nuove soluzioni.Ma ciò che conta è la logica del sistema: se èun sistema incardinato sui lavoratori, o sul-l’organizzazione, se al centro sta la rappre-sentanza sociale o viceversa il pluralismodelle appartenenze politico-organizzative.Le Rsu sono oggi a cavallo tra queste due di-verse logiche, ma nulla impedisce che la Cgil,anche in modo unilaterale, scelga per una op-zione di tipo “consiliare” ad esempio con pri-marie aperte a tutti i lavoratori per la sceltadei propri candidati, e con un investimentototale di fiducia nel ruolo contrattuale dellerappresentanze unitarie nei luoghi di lavoro.I punti più controversi del Protocollo unitariopossono così essere, almeno in parte, aggiraticon una dichiarazione di intenti che ci impe-gna a garantire e rispettare il carattere de-mocratico di tutto il sistema. Ma, al di là degliaspetti formali, ciò che conta è la chiara per-cezione della drammatica crisi sociale e de-mocratica che si è aperta, nella quale tutte ledomande di partecipazione non trovanosbocco e rischiano quindi di implodere, e diprodurre solo un accumulo impotente di rab-bia e di estraneazione.Anche il sindacato è messo direttamente ingioco, e non può eludere il tema di una suaradicale riforma e democratizzazione.Come,con quale percorso, con quali innovazioni?Nel sindacato convivono sempre due mo-menti, quello della rappresentanza democra-tica, e quello della stabilità organizzativa, ilsuo essere movimento e il suo essere istitu-zione. Ma ad un certo punto il peso dellastruttura burocratica rischia di essere il fat-tore dominante, dando vita ad una strutturaverticalizzata e gerarchica che si frappone adogni serio tentativo di innovazione e di spe-rimentazione.Accade così che la solidità della struttura or-ganizzativa cessa di essere un punto di forza,di tenuta, e diviene un fattore di inerzia chedeve essere superato. Io credo che ci tro-viamo esattamente in questo passaggio.Possiamo allora lavorare sulla rete democra-tica esistente, sui delegati nelle Rsu, e farneil centro di un nuovo tipo di equilibrio, affi-dando a questa rete le scelte strategiche fon-damentali e anche un ruolo primario nellaselezione dei gruppi dirigenti, ai diversi livelli.Le figure di vertice, di categoria o confederali,anziché essere il risultato delle mediazioniinter-burocratiche, potrebbero essere legitti-mate da una investitura democratica cheviene direttamente dalla rete dei delegati.Naturalmente, occorre anche costruire nuoveforme di rappresentanza nel territorio, per ipensionati, per l’area del lavoro precario, per

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La democrazia nel sindacato di Riccardo Terzi*

Intervento al seminario del 30 gennaio 2015 a Lecco promosso dalla Fondazione Pio Galli

le piccole imprese.E occorre soprattutto un sistema di governoche sia il più possibile decentrato e articolato,senza inseguire il miraggio della leadershipcarismatica, la quale produce, come dice MaxWeber, una sorta di “proletarizzazione spiri-tuale”. In ogni caso, mi sembra indispensabileuna nuova ventata democratica, alimentatanon dallo spirito gregario, ma dalla parteci-

pazione consapevole, per portare alla ribaltauna nuova generazione di quadri dirigenti, sevogliamo scongiurare una possibile prospet-tiva di declino.Non basta dire che le regole ci sono, che leprocedure congressuali sono rispettate, chemigliaia di iscritti sono coinvolti nel processodecisionale, perché è proprio questo attualemodello che lascia aperto un vuoto e lascia

irrisolti i nodi di fondo della nostra legittima-zione democratica. La prossima Conferenzadi Organizzazione può essere una occasioneper discuterne. Ma la discussione, per esseredavvero efficace, deve andare alla radice delproblema. In un mondo che cambia così ve-locemente e drammaticamente non pos-siamo fermarci a metà strada.

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Generalmente, i materiali giuridici permettonodi identificare il patrimonio culturale di chi li haprodotti o ne ha largamente condizionato ilprocesso di formazione. Così, per fare signifi-cativi esempi legati alla contemporaneità, se ilcontratto di lavoro a tutele crescenti, la cui di-sciplina costituisce finora il pilastro del Jobs Actrenziano, esprime la convinzione che ormai lapolitica è comunicazione, la clausola contrat-tuale che vincola l’impresa ad assumere come“base ed oggetto” delle trattative la piatta-forma rivendicativa approvata tramite vota-zione referendaria dalla maggioranza deidipendenti, e subordina la sottoscrizione del-l’ipotesi di accordo all’esito positivo di un suc-cessivo referendum, corrisponde anzituttoall’istanza di sindacati che rifiutano di appiat-tirsi su logori stereotipi carismatico-autoritarie adottano un modello di relazioni fondatosulla verifica del consenso dei rappresentati. Non è difficile immaginarsi che una clausoladel genere riproduca una proposta dellaFiom: ottenendone l’adesione della contro-parte, questa organizzazione ha infatti datoil suo imprinting al sistema dei apporti sinda-cali all’interno della Automobili Lamborghiniistituito dall’accordo del 4 luglio 2012 cui sirichiama l’accordo di rinnovo del 22 maggio2015. Altrettanto agevole è la ricerca dellapaternità putativa della cassetta degli at-trezzi allestita per garantire la governabilitàdel conflitto negli stabilimenti italiani dellaFCA. Essa non può non appartenere ad attoridelle relazioni industriali persuasi che la glo-balizzazione dell’economia sia paragonabilead una lotta senza quartiere dove i vincitorinon hanno l’abitudine di fare prigionieri; per-suasi che le maestranze siano tenute a ripen-sarsi come una compagine militare fiondatacome una catapulta sull’obiettivo di assicu-rare il successo dell’impresa nel mercatomondiale; persuasi che la tutela della compe-titività di quest’ultima esiga il massimo di di-sciplina da parte di tutti gli addetti. Anche se comporta demansionamenti ovideo-sorveglianza continuata o facilità di li-cenziamenti. Anche se comporta la confiscadel diritto di sciopero. Anche se comporta unarivisitazione in chiave riduttiva della nozione

costituzionale della libertà sindacale che nonarretra nemmeno di fronte alla prospettiva disopprimere il pluralismo sindacale nei luoghidi lavoro. Di solito, i rinnovi dei contratti collettivi sca-duti o in scadenza sono semplice routine. Vi-ceversa, il recentissimo rinnovo del contrattocollettivo applicabile in FCA è molto di più diun atto fisiologico. È la prosecuzione di unastrategia di lungo periodo il cui nucleo fonda-tivo è rintracciabile nell’accordo di Pomiglianodel 2010, che è all’origine di un movimentotellurico ancora lontano dal concludersi ancheperché non potrà esserci assestamentosenza appropriati interventi di un legislatorecapace di risposte positive al pressing di cuiè oggetto. Il pressing però deve essere ener-gico. Non meno di quello effettuato, tutti in-sieme appassionatamente, dai contraentidell’accordo per lo stabilimento campano.Esso segnò una netta cesura tra il “prima” eil “dopo”, occasionando un anomalo (e trau-matizzante) referendum promosso dal-l’azienda per legittimare la demolizione delsistema delle fonti di produzione delle regoledel lavoro dipendente in cima alla cui gerar-chia una consolidata tradizione collocava ilcontratto nazionale di categoria e per poterintimare alla Fiom lo sfratto della sua rappre-sentanza aziendale con la complicità dellamanipolazione subita dall’art. 19 dello Sta-tuto dei lavoratori in seguito alla consulta-zione popolare del 1995. Quel che è avvenuto “dopo” è la cronaca diuna frana che ha eccitato l’attivismo di unaquantità di soggetti. La Confindustria e lecentrali sindacali che, per calmare una co-scienza agitata, il 28 giugno 2011 sponsoriz-zano in via sperimentale la licenza di pattuirea livello aziendale “intese modificative” delcontratto nazionale malgrado l’assenza diapposite clausole di rinvio.Il legislatore, che nell’agosto dello stessoanno non solo certifica che “le disposizionicontenute in contratti collettivi aziendali vi-genti, approvati e sottoscritti prima dell’ac-cordo interconfederale del 28 giugno 2011tra le parti sociali, sono efficaci nei confrontidi tutto il personale delle unità produttive cui

il contratto stesso si riferisce a condizioneche sia stato approvato con votazione a mag-gioranza dei lavoratori”, ma allarga lo strappoconcedendo alla “contrattazione di prossi-mità” la facoltà di introdurre modifiche (chesoltanto la pruderie semantica impedisca dichiamare deroghe peggiorative) anche a granparte della legislazione in materia di lavoro.La Consulta nel 2013 pronuncia una sen-tenza additiva con l’apprezzabile proposito diimplementare la norma statutaria riguar-dante la costituzione delle RSA in modo daprecluderne l’interpretazione ottusamenteletterale che punisce il dissenso sindacale;una sentenza che ha restituito alla Fiom il di-ritto di cittadinanza nell’azienda da cui erastata estromessa, ma non ha potuto riam-metterla nelle dinamiche contrattuali ivi svi-luppate. I pochi che sanno, però, non parlanoo non dicono tutto. Fatto sta che, mentrevecchie certezze svanivano e le nuove tarda-vano ad affermarsi, i comuni mortali si sonoabituati a pensare che, all’ombra della Costi-tuzione inattuata, il sistema di relazioni indu-striali era diventato un vaso di Pandora da cuiesce di tutto. Soltanto col passare del tempo hanno potutocapire che quell’accordo interconfederale nonera che il primo segmento di un trittico nor-mativo. Intervallati da pause sapienti, ne ar-riveranno altri due. Infatti, le centraliconfederali trascorrono il triennio 2011-2013 collezionando chissà quanti appunta-menti per elaborare un sofisticato ridisegnodel sistema delle relazioni contrattuali che nelgennaio del 2014 sarà dato in pasto all’opi-nione pubblica con l’anodina etichetta diTesto Unico sulla rappresentanza. Nel com-plesso, il documento celebra l’elogio dell’esi-gibilità degli obblighi contrattuali assunti daisindacati firmatari dei contratti collettivi, acominciare dall’obbligo di tregua sindacale. Icontraenti, però, hanno il torto di non disso-ciarsi dall’opinione dominante che fa della ti-tolarità individuale del diritto di sciopero undogma che Gino Giugni asseriva fondato sullaragione. Infatti, ci tengono a dichiarare che larelativa clausola lo lascia intatto. Per questo, il Testo Unico non può soddisfare

La titolarità congiunta del diritto di sciopero di Umberto Romagnoli*

*Ufficio studi Camera del Lavoro di Milano

la richiesta di una polizza assicurativa controil rischio di scioperi che, non senza ambiguitàespressiva, era formulata nella clausola di re-sponsabilità del contratto collettivo applicatonegli stabilimenti italiani di FCA.Infatti, l’accordo appena rinnovato ne ha per-fezionato la formulazione subordinando sec-camente l’avvio di iniziative conflittuali alconsenso maggioritario della dirigenza sin-dacale aziendale designata dalle segreterienazionali dei sindacati firmatari. Come direche il legislatore è sollecitato ad interveniredi nuovo, perché anche questo accordo ha bi-sogno di stampelle legali per smettere dizoppicare. Fuor di metafora, trasmette perimplicito un appello al legislatore analogo aquello trasmesso nel 2010 e tempestiva-mente raccolto dall’ultimo governo guidatoda Silvio Berlusconi. Stavolta, il pressing si propone di accelerareil processo di giuridificazione dell’agire sinda-cale in azienda, completarlo e giungere allastabilizzazione del risultato finale. Un risul-tato che si lascia facilmente intuire. Adesso,in FCA le RSA formano a livello di unità pro-duttiva il Consiglio delle RSA, il quale “prendeogni decisione a maggioranza assoluta deisuoi membri”, sapendo però di essere espo-sto a rischio di decadenza deliberata dalleparti firmatarie se cade in eccessi d’irrequie-tezza trasgressiva dell’ordine aziendale. Inol-tre, “è l’unico titolare all’interno d e l -l’unità produttiva della pote- stà diattivare misure di autotu-tela sindacale per il tramitedelle procedure di raffred-damento”. Soltanto il fallimento diqueste ultime legittima ilmedesimo organismo aproclamare lo sciopero conun preavviso di durata noninferiore a 24 h.; una duratache può sembrare, ed effet-tivamente è, assai breve:però, è presumibile che diffi-cilmente le procedure ante-cedenti possano esaurirsi in un arcodi tempo inferiore ad un paio di s e t t i -mane. Dopotutto, è “lo spirito che anima” l’accordo,come recita testualmente il penultimocomma dell’art. 11, che impone di prefigurareun modello di relazioni sindacali fondato sulla“prevenzione del conflitto”. Nonché, bisognaaffrettarsi a puntualizzare, sull’asimmetriadel rapporto fiduciario esistente tra le partifirmatarie. Infatti, mentre le organizzazionisindacali si fidano della FCA a tal segno chel’accordo non menziona nemmeno l’eventua-lità che sia l’impresa a non adempiere gli ob-blighi contrattualmente assunti, non è vera lareciproca. Anzi, dal documento contrattuale sidesume che per governo del conflitto s’in-tende esigibilità dei diritti o poteri dell’impresaed è per questo che le sanzioni previste sonocommisurate soltanto a comportamenti de-vianti (= “mancato rispetto” o “violazione deidoveri”) imputabili alle organizzazioni sindacaliod anche ad imprecisabili gruppi di lavoratori

“senza collare” – fermo restando, peraltro, chela FCA non potrà infliggerle fino alla pronunciadella Commissione paritetica nazionale isti-tuita come “sede preferenziale per esaminarele situazioni che concretizzino il mancato ri-spetto degli impegni assunti dalle organizza-zioni sindacali firmatarie”. Come pocanzi hoanticipato, la clausola contrattuale che requi-sisce l’attenzione degli osservatori è quella cheintroduce il principio della titolarità congiuntadel diritto di sciopero. L’innovazione è due volte dirompente. Unaprima volta, perché si pone in aperto contra-sto con l’idea che, in assenza di una regola-zione legislativa del diritto di sciopero,egemonizza tuttora una cultura giuridica fa-vorevole a custodire il medesimo nel tempiodei diritti della persona a titolarità esclusiva-mente individuale. Inalterabili. Intoccabili. In-disponibili. Può darsi che non sia del tutto priva di venaturepopulistiche e abbia ragione Alberto Asor Rosaa polemizzare con esponenti della letteraturaitaliana che, facendo del popolo l’oggetto di unaipotesi ideologica immancabilmente progres-sista, si sentono obbligati ad interpretare ognimanifestazione conflittuale spontanea comeuna testimonianza di vitalità delle democraziedi massa. Tuttavia, prima di liquidarla, quellaopzione di politica del diritto andrebbe conte-stualizzata. Servirebbe per capire che, pur es-sendo documentabile che si è affermata neiperiodi o nelle situazioni di carenza di una tu-tela sindacale organizzata, essa ritrova intatta

la sua giustificazione nei periodi o nelle situa-

zioniin cui l’auto-

referenzialitàfa del sindacatoistituzionaliz-zato un’autoritàprivata imper-meabile ai canoni dellalegittimazione democratica.Ma c’è qualcosa di più edesta scalpore. È sensazionale infatti che,pur essendo il fronte sindacaleformato da una pluralità di sog-getti, ciascuno di essi abbia ri-nunciato alla propria sovranitàdecisionale anche in ordine all’usodella risorsa dello sciopero, rimet-tendosi sistematicamente alla vo-lontà della maggioranza dei consensiespressi all’interno di un organismo col-legiale. Per questo, mi sono convinto che la clau-sola finisca per dire meno del voluto eche proprio il non-detto costituisca la so-stanza del messaggio trasmesso al legi-

slatore. Infatti, i sindacati che hanno sotto-scritto la clausola lo hanno informato di nonessere aprioristicamente contrari alla pro-spettiva di costituire un interlocutore unicodell’azienda e anzi gli comunicano che inqualche modo c’è già. Ed è tipico di un sinda-cato unico sia ambire al riconoscimento dellarappresentanza esclusiva che coltivarel’aspettativa di disporre della potestà di de-cidere contenuti e modalità dell’azione collet-tiva con effetti generalizzati. Dentro la FCA,insomma, si aspettano l’enunciazione legisla-tiva del principio “un’impresa, un contratto”,conformemente al modello di relazioni intro-dotto dal Bundestag nel maggio scorso conla legge, caldeggiata dallo stesso DGB, sulla“unità di contrattazione”. Essa prevede che (a)soltanto il sindacato con più iscritti in aziendaè legittimato a negoziare le condizioni di la-voro che vi si praticano e (b) il contrattoaziendale da lui stipulato ha un’efficacia vin-colante per la generalità degli occupati. Comedire che quella che si prospetta è una demo-crazia sindacale disabitata, perché in demo-crazia si contano le teste, non le tessere.

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*Giuslavorista

Quando poco più di un anno fa abbiamocominciato a discutere del congresso dellaCgil, si partiva da un assunto condiviso datutte e tutti: era arrivato il momento di af-frontare la questione di fondo, la crisi dellarappresentanza del sindacato. In Italia maanche in tutta Europa si era infatti dimo-strato incapace di reggere alla lotta diclasse portata avanti dalle multinazionalie dalla finanza, che hanno ridotto il lavoroa un mero fattore della produzione, cancel-lato diritti che si consideravano conquistatiuna volta per tutte, rotto la forza di coali-zione fra lavoratrici e lavoratori per sosti-tuirla con una concorrenza al ribasso fracondizioni sempre più precarie.Poi, l'accordo del 10 gennaio sulla strut-tura contrattuale e la rappresentanza fraCgil, Cisl, Uil e Confindustria che è scop-piato a freddo dentro il congresso, ha cam-biato radicalmente la discussione,mettendo fra l'altro in evidenza la crisi de-mocratica della Cgil e la chiusura difensivadell'organizzazione . Quindi anche sottoli-neando i limiti di un processo di autori-forma.Ma l'ordine dei problemi che ci aveva por-tato a quella riflessione non è cambiato;anzi, la crisi della rappresentanza sociale dellavoro e l'assenza di rappresentanza poli-tica hanno fatto un salto di qualità notevole.Praticamente in contemporanea con lafase congressuale della Cgil, il governoRenzi iniziava il suo percorso, e da lì apochi mesi si rendeva evidente che la rot-tamazione di cui lui e il suo gruppo diri-gente erano i campioni riguardava ladistribuzione del potere , ma non le politi-che: la lettera inviata dalla Bce a Berlu-sconi nell'agosto del 2011, con i diktat peril governo italiano, sarà il programma digoverno condito col suo stile, cui Renzi sisarebbe attenuto e continua a attenersi di-ligentemente. Distruzione dello stato so-ciale e dei diritti di cittadinanza, dallasanità alla scuola, totale assenza di politi-che industriali e libertà di impresa svinco-lata da responsabilità sociali,sgretolamento dei diritti delle lavoratrici edei lavoratori a compimento con il Jobs Acte la cancellazione dell'articolo 18, riformecostituzionali per risolvere l'anomalia ita-liana incompatibile con la centralità delpareggio di bilancio, riforme istituzionalibasate sul fastidio per ogni pratica e con-fronto democratico.Le politiche del governo del segretario del

Pd e anche l'inconsistenza della sinistra inparlamento, insieme al fortissimo asten-sionismo, rendono plasticamente evidentela crisi della rappresentanza politica dellelavoratrici e dei lavoratori, e di una propo-sta alternativa al modello imposto dalla fi-nanza e dominante in tutta Europa.Attraverso le leggi si procede alla cancel-lazione del diritto del lavoro e si pro-gramma precarietà e povertà per tuttol'arco della vita. Attraverso la riorganizza-zione delle imprese e del capitale, si conti-nua a frantumare il lavoro perdendo ilsenso della parità di diritti e di salario a pa-rità di prestazione.La democrazia costituzionale è messa indiscussione, il governo procede indiffe-rente alla mancanza di consenso, alle ma-nifestazioni di dissenso, al peggioramentodelle condizioni di vita, alla qualità dellecittà e dei territori. I vincoli di bilancio el'indifferenza all'ascolto rendono invisibilibisogni tradizionali (casa, lavoro, salute,ambiente, reddito) e incapaci di affrontarenuovi bisogni (accoglienza, trasformazionemultietnica , lotta alla crescente esclu-sione sociale).in sintesi, sono questi i motivi che hannoconvinto la Fiom della necessità di lanciareuna proposta a chiunque senta la consape-volezza che per non piegarsi a una realtàinaccettabile, è necessario ricostruire lacoalizione delle donne e uomini che lavo-rano, riunificando ciò che è stato rotto intante solitudini e debolezze, ma ancheguardare oltre: a una coalizione sociale chemetta insieme chi si batte per tutti i dirittioggi messi in discussione. Se il sindacato è nato come diritto alla coa-lizione delle lavoratrici e dei lavoratori peraffrontare il padrone, oggi bisogna rifor-mare il sindacato, a partire dalle diversecondizioni e rapporti di lavoro , proprio peressere fedeli a quell'idea di sindacato fon-data sul vincolo di rappresentanza e sullasolidarietà. Questo significa andare in con-trotendenza totale, uscire dalla concor-renza fra azienda e azienda, fra nord e sud,fra giovani e anziani, fra diretti e appalti,fra autonomi e subordinati. Significa ripen-sare a come coniugare parità di diritti e di-verse condizioni, come rimettere insieme icontratti, cosa e come produrre nella sal-vaguardia della salute dei cittadini e dei la-voratori, quali percorsi democraticiservono.Sindacato, cioè una coalizione delle lavo-

ratrici e dei lavoratori all'altezza delle tra-sformazioni avvenute e dello scontro inatto, della lotta di classe del capitale con-tro il lavoro. Questa è una prospettiva, masta insieme all'altra: prendere coscienzadella non autosufficienza dei vari conflittisociali oggi in campo, e quindi della neces-sità di fare rete, fare coalizione, per pro-porre e praticare un'alternativa vera.La coalizione sociale ha l'ambizione di of-frire uno spazio di elaborazione e discus-sione e di mettere in campo praticheconcrete, per sperimentare che un altromodello di convivenza è possibile.Associazioni, reti, movimenti, singole per-sone, tutti quelli che vogliono prendere inmano la voglia di cambiamento, possonoessere parte di uno spazio in cui ognunomette a disposizione le proprie compe-tenze ed è disponibile a rimettere in di-scussione il proprio modo di essere, peraprirsi e trovare terreni di collaborazione econtaminazione.In un certo senso, l'obiettivo è di praticarela Costituzione, i suoi principi fondamen-tali e i diritti sanciti, mettendo in campocampagne nazionali e costruendo concretepratiche e vertenze nella città e sui terri-tori. La coalizione vivrà se ognuno a "casasua" saprà mettersi in relazione con letante esperienze di militanza e associazio-nismo, con i saperi e le competenze cre-sciute con la pratica per dar vita a progetticomuni. Il territorio è il laboratorio perscuole popolari, mutualismo a sostegnodel diritto alla salute, forme inclusive diabitare, protezione e recupero dell'am-biente, e tanto altro.Il diritto al reddito, la costruzione di unnuovo statuto dei lavoratori, la difesa dellademocrazia dall'attacco istituzionale inatto, un diverso modello industriale ri-spettoso delle persone e dell'ambiente,politiche dell'immigrazione fondate sull'ac-coglienza, la difesa dei beni comuni sonoalcuni dei temi unificanti. C'è un'ambizione molto alta in questo pro-getto: tenere insieme elaborazione e pro-poste, costruzione di pratiche e concreteesperienze di vertenzialità e mutualismo,valorizzare la militanza e sperimentare unanuova capacità di rete democratica, darevalore alle tantissime storie d’impegno chevivono spesso in solitudine, provare acambiare insieme , anche con la voglia, ilcoraggio e la curiosità di mettersi in di-scussione.

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Le prospettive della Coalizione sociale di Francesca Re David*

*Segretaria generale Fiom-Cgil Roma e Lazio

La sconfitta del movimento operaio alle no-stre spalle è profonda, più di quanto si credao si voglia ammettere. Tutto quello che ac-cade autorizza a ritenere concluso un ciclostorico, quello lungo apertosi con la forma-zione stessa del movimento operaio, dellesue strutture, partiti, sindacati, associazioni,per un nuovo periodo contrassegnato dal-l'ignoto. La fase attuale, inoltre, si nutre diun’altra crisi profonda, quella della demo-crazia parlamentare e rappresentativa di-velta dalla ricerca del massimo profitto e dalsuo bisogno di velocizzare le decisioni e ag-girare il dibattito. Matteo Renzi è frutto diquesta necessità così come il bisogno di uo-mini forti e di nuovi populismi.La fase attuale assomiglia così alla secondametà dell’800, agli albori del movimentooperaio perché oggi il problema di fondo nonè più solo ricostruire le forme rappresenta-tive sconfitte – ad esempio, una fantomaticasinistra – ma gli ingredienti essenziali cheformano un nuovo movimento del lavoro edel non lavoro.�Si tratta di ricominciare equindi di rifarsi alla metodologia che portòalla formazione del vecchio movimento ope-raio. Ricostruire la solidarietà, a partire dalMutuo soccorso non come surrogato delwelfare in crisi ma come filo di sutura dellefratture sociali; ricostruire una dimensionevertenziale, non come conflitto rappresen-tato o mediatico ma come piccole vittorie daaccumulare; ricostruire una dimensione in-ternazionale per stare all’altezza della glo-balizzazione del nostro tempo.Quello che può sorreggerci è la riscopertadell'esperienza esemplare. La fine del vec-chio movimento operaio si porta dietroanche la fine dei suoi modelli. Non più il“modello tedesco” in cui si strutturano na-zionalmente e in maniera possente,� �grandisindacati,� �grandi partiti,� �grandi strutturedi organizzazione sociale.� È piuttosto iltempo di eperienze esemplari che, con laloro realtà materiale, rendano credibile un

nuovo racconto. Emergency è una espe-rienza esemplare così come il recupero deicentri sequestrati alla mafia da parte di Li-bera o la fabbrica recuperata Rimaflow cheallude, chiaramente, a un’altra idea di eco-nomia e di solidarietà operaia. L’esempiopermette di conferire nuova legittimità aidee che,� �altrimenti,� �verrebbero strozzatedalla retorica propagandistica.� �L’esperienzaesemplare del mutuo soccorso, ad esempio,può servire a ricostruire un’idea moderna delsindacato fondata sulle origini,� �sulla soli-darietà di classe,� �sulla centralità degliiscritti contro gli apparati e l’istituzionaliz-zazione cui ha portato,� �appunto,� �il� “mo-dello� �tedesco”�.Il mutualismo, in particolare, può essereoggi non solo la forma che “lenisce” le rot-ture sistematiche del welfare state e quindila progressiva perdita dei diritti sociali e dicittadinanza. Questa funzione, pure utile, lorende più consono a una cultura della caritàcristiana, sicuramente più avanzata delleculture politiche dominanti, ma alla lunganon sufficiente a progettare un'idea di tra-sformazione sociale. Il mutuo soccorso, per essere davvero in-scritto in una prospettiva progressiva, devecontenere coniugarsi a una conflittualità,avere obiettivi esigibili. Recuperare una fab-brica per chiedere sostegno a un lavoro di ri-qualificazione ecologica delle città edell'economia; costruire una filiera di auto-produzione alimentare per affermare il la-voro con dignità e pienezza di diritti, aparatire da quello migrante (si pensi al-l'esperienza di SOS Rosarno o a Netzanet);costruire banche del tempo o, di nuovo,casse di mutuo soccorso per sostenere lottein difesa del lavoro o della qualità della vita,contro progetti inquinanti. Oltre a una funzione di mobilitazione sociale,però, il mutuo soccorso può intervenire po-sitivamente per dare una veste concreta allasoggettività che dovrebbe incarnare il “co-

mune”, la riappropriazione di beni pubblici afinalità sociale. Chi sono i soggetti depositaridi una nuova idea della collettività se nonquelle strutture che hanno già dimostratosul campo la capacità di coniugare democra-zia, partecipazione e finalità sociale del pro-prio agire. La discussione va oltre lo spaziodi un articolo ma il potenziale democraticodi forme nuove di mutualismo oggi è pari alsuo potenziale sociale.Infine, se davvero siamo al tempo della rico-struzione di fili e connessioni per un nuovomovimento di emancipazione, occorre colti-vare gli spazi in cui far vivere quelle relazioni.Gli spazi di mutuo soccorso possono essereuna formidabile traduzione concreta del-l'idea di Coalizione sociale lanciata dallaFiom e darne un volto immediatamente rag-giungibile, frequentabile, abbordabile. Unluogo utile anche per un nuovo sindacatoche, se davvero vuole giocare la sfida dellaricostruzione, fare i conti con la sua impassee il rischio di marginalità che oggi lo pervade,deve ampliare la propria dimensione “so-ciale” frequentando la contraddizione diclasse non solo dentro al luogo di lavoro maanche al di fuori di esso, nelle varie forme incui si esplicita. Nell'esperienza multiforme edrammatica del sindacalismo statunitenseè esistita la pratica dell'adozione di lotte:Adotta una lotta non è stata solo la praticadell'IWW agli inizi del Novecento ma è statariproposta negli anni 90 dall'associazioneJobs with Justice. Anche in questo modo sifa mutuo soccorso.Il punto di partenza imposto dalle sconfitterende questi percorsi vitali per ricostruire fi-ducia e solidarietà di classe. “Case del mutuosoccorso” in analogia con le Case del popoloin cui si redigevano i primi statuti del mutua-lismo operaio: oggi è cambiato il tempo e ilcontesto e il mutualismo deve incorporareuna dose necessaria di 2.0. Ma il meccanismoche sta alla base del mutuo riconoscimento èlo stesso.

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Ripartiamo insiemedal mutuo soccorso di Salvatore Cannavò*

*Giornalista

L'importante è la salute. È con questo popo-lare e condiviso modo di dire la Fiom il giorno10 aprile u.s ha celebrato la propria Assem-blea Nazionale dei Rappresentanti dei Lavo-ratori per la Sicurezza (e la Salute ) a Firenze1. Nei molti interventi che si sono susseguitinell'Assemblea dei Rls Fiom è emersa invecela preoccupazione e la difficoltà da parte diquesti rappresentanti dei lavoratori a svol-gere con efficacia il proprio ruolo in azienda.La cosi detta “Riforma del lavoro” Jobs Act delgoverno Renzi non ha certo facilitato il com-pito di questi lavoratori che volontariamente,oltre al proprio lavoro svolgono anche la fun-zione di rappresentare i propri compagni/col-leghi di lavoro rispetto al diritto allaincolumità fisica e psichica che spesso vienecompromessa dalle condizioni ambientali, or-ganizzative e relazionali dei luoghi di lavoro.Per i lettori interessati sul sito della Fiom na-zionale sono pubblicati i testi degli interventi.Le preoccupazioni dei Rls e dei lavoratorisono ampiamente giustificate. I temi dellecondizioni di lavoro, della salute e della sicu-rezza del lavoro non sono mai stati nel-l'agenda di questo governo.I media hanno scelto di non occuparsi dellecondizioni di vita nel lavoro per non disturbareil manovratore. Veniamo ad alcuni interrogativie ad alcune riflessioni sullo stato dell'arte deltema salute e sicurezza nel lavoro.Come si può fare il Rls dopo il Jobs Act, senzaStatuto dei lavoratori, quali sono le nuove cri-ticità e come si può farvi fronte?Qualora non vi fossero lotte adeguate eazioni di contrasto, il Jobs Act nei fatti ridise-gnerà nei prossimi mesi e, più in profondità,nei prossimi anni i sistemi di relazione e po-tere tra lavoratori e impresa, tra lavoratori elavoratori e tra lavoratori e rappresentanzasindacale (Rsu e Rsa) e di scopo (Rls). Il primo aspetto che subirà una trasformazioneprofonda e radicale sarà la possibilità e agibilitàdei lavoratori e delle lavoratrici di esprimerecon la partecipazione il proprio punto di vistasu aspetti critici della gestione della sicurezzae della salute nei luoghi di lavoro.La storia della crescita della partecipazionedei lavoratori nei luoghi di lavoro, dagli anni'70 in poi, ha coinciso con uno scambio con-tinuo, a volte conflittuale, tra lavoratori e im-presa che è servito in molte imprese permigliorare le modalità di gestione della sicu-rezza e delle condizioni di lavoro.La partecipazione dei lavoratori nelle impresepiù illuminate è stata favorita dalla continuitàdei rapporti di lavoro, dalla consapevolezzadei lavoratori che con il loro contributo di co-noscenza sul campo aiutavano l'impresa amigliorare il lavoro e le condizioni di lavoro.I lavoratori di un'intera generazione hanno

fatto esperienze di partecipazione e hannocontribuito a migliorare la qualità del lavoro edella gestione degli aspetti critici riguardantianche salute e sicurezza. Le persone parteci-pano quando sanno di essere ascoltate e chein qualche misura il loro contributo di parteci-pazione conta e serve a migliorare la condi-zione complessiva del lavoro.Tutto questo sarà ancora possibile dopo la ven-tata di cultura autoritaria e dirigista contenutain filigrana nel dispositivo del Jobs Act?I fattori negativi che rischiano di tagliare legambe a qualsivoglia processo partecipativosono intrinseci alla filosofia della norma.Immaginiamo il vissuto non detto che passaper la testa di tante persone in queste setti-mane post Jobs Act. Sei un lavoratore anziano con esperienza ecapacità di lavorare in qualità. Sei fuori"moda" in tempi di "rottamazione", hai troppidiritti, costi troppo, non sei più un target sulquale l'azienda investirà. Eccoti pronto, serompi le scatole, una bella procedura legaledi autentico mobbing: il demansionamentocon relativa riduzione del salario e umilia-zione professionale. Il demansionamento gestito dall'aziendacome strumento di pressione e intimidazioneè una delle esperienze più devastanti l'iden-tità e l'autostima della persona. Ora questapratica pericolosa è divenuta legittima: visono già consulenti legali che propongono ilkit procedurale alle imprese.Se poi si vuole andare oltre c'è sempre il li-cenziamento per ragioni economiche.Questo vale anche per i quarantenni e cin-quantenni. Se questo sarà il clima in molteaziende nei prossimi mesi, – speriamo disbagliare – si accrescerà nel silenzio la sof-ferenza e il rancore sociale che in genere nonhanno mai prodotto lavoro in qualità nè nulladi buono, neanche per i padroni.Il peggio sarà la competizione silente tra col-leghi nella triste gara di compiacere chi haun pò più di potere sul tuo futuro di lavora-tore, sul permesso per assistere il genitoreanziano, sulla miriade di piccole cose dellavita quotidiana nel lavoro e oltre. Chi conoscegli ambienti di lavoro sa di cosa parlo.Sei un lavoratore giovane o una ragazza newentry, assunta con l'incentivo degli sgravi fi-scali, ti faranno provare per un pò un lavoro atempo indeterminato, in alcuni casi soltantofino all'esaurimento del beneficio fiscale. Il rinnovo del contratto, il passaggio concretoalle "tutele crescenti" sarà collegato alla sot-tomissione e adattamento passivo a ogni ri-chiesta della gerarchia di prossimità, il teamleader, il caporeparto. Sfortunati coloro checapiteranno sotto un team leader o capore-parto cattivello e un po’ sadico.

La speranza per ciascuno di questi giovani eragazze è quella di capitare in un'aziendaeticamente corretta che non intenda abusaredell'eccesso di potere che il Jobs Act ha attri-buito all'impresa, togliendo molti paletti ri-spetto agli abusi possibili da parte dellegerarchie intermedie e di prossimità.Tutto questo rende molto più complessa la ge-stione dei rischi per la salute e la sicurezza: lapartecipazione dei lavoratori in molte realtàsarà ancor più debole o totalmente subalterna. I rischi "psico-sociali" verosimilmente non sa-ranno visualizzati e affrontati. Le nuove pa-tologie da lavoro attese, oltre a quelletradizionali, saranno quelle "psico-sociali". In alcuni grandi gruppi ove è di moda il dow-nsizing, ovvero riduzione del personale, già siregistrano episodi drammatici di suicidi sulluogo di lavoro2. Questo fenomeno si è giàmanifestato in Francia, alla Renault e in altregrandi imprese come Telecom France informa di epidemia, fino a provocare allarmesociale negli anni in cui ebbe inizio la crisi, trail 2009 e il 20113. Ci sarà un clima diverso in molte aziende, conpiù silenzio, il non detto da parte dei lavora-tori sarà la "comunicazione" prevalente, laprevenzione e la tutela della salute sarannopiù difficili in mancanza della partecipazioneattiva dei soggetti interessati. Certo, sap-piamo che non tutte le aziende sono uguali:le imprese che sono posizionate ai livelli altidella qualità della produzione e del valore ag-giunto non dovrebbero avere interesse a de-teriorare le relazioni con i lavoratori. Rimanesempre purtroppo una vasta platea d'im-prese che tentano di sopravvivere con il mas-simo ribasso sui salari e sulle condizioni dilavoro: sarà in queste aziende che vi sarà unutilizzo pieno del Jobs Act per silenziare i la-voratori.Questo scenario che prospetto è ancheun'ipotesi di ricerca: sarei felice di esseresmentito, tra qualche tempo, come incor-reggibile pessimista.

DAL JOBS ACT ALLA LEGISLAZIONE SPECIFICA INMATERIA DI SALUTE E SICUREZZA NEL LAVOROLa foga pantoclastica del governo italiano inmateria di diritti dei lavoratori non si ferma alJobs Act.Sono in cantiere altri interventi che riguardanoil sistema istituzionale in materia di salute e si-curezza nel lavoro orientati a centralizzare ilgoverno delle funzioni d'ispezioni in materia disicurezza sul lavoro ponendole in capo al Mini-stero del Lavoro tramite l'istituzione di unaAgenzia Unica delle ispezioni.Non vogliamo entrare nel merito della vigi-lanza in materia di regolarità contributiva odei rapporti di lavoro ove la necessità di una

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Salute e sicurezza sul lavoro in Italia e in Europa di Gino Rubini*

integrazione delle funzioni di vigilanza puòavere una sua ragion d'essere. Si tratta di unavigilanza di natura documentale e contabileche può essere svolta da un unico soggetto(l'agenzia) previa dotazione di adeguate ri-sorse e di personale formato allo scopo.Assai più complessa risulta la vigilanza in ma-teria di salute e sicurezza sul lavoro che ri-chiede una interdisciplinarità ed unaintegrazione orizzontale forte con le struttureterritoriali del Servizio Sanitario Nazionale.Quello che è stato fatto di positivo, unenorme patrimonio di esperienze e d'inter-venti a livello regionale, da parte di alcune re-gioni (dall'Emilia Romagna al Veneto, dallaToscana alla Lombardia) rischia di esserespazzato via con l'istituzione di una Agenzianazionale, un corpo separato e burocraticogestito direttamente dalle gerarchie ministe-riali, senza alcun rapporto con la complessitàterritoriale4. L'esperienza del sistema burocratico centra-lizzato di vigilanza e ispezione in materia disicurezza sul lavoro posto in capo al Mini-stero del Lavoro è un'esperienza fallimentaregià ampiamente sperimentata negli anni '60e '70 del secolo scorso con risultati disastrosi.Questo progetto governativo è in gestazionee sarà portato a compimento con l'entrata invigore, nel 2016, della riforma del TitoloQuinto della Costituzione che riporta alloStato centrale la competenza esclusiva inmateria di salute e sicurezza.L'obiettivo politico di questa operazione èquello di concentrare a livello nazionale unpotere forte da giocarsi da parte del governocon il sistema delle imprese.Come si può desumere da questi fatti è inatto un disegno di “smontaggio” del sistemastatuale decentrato di tutele dei lavoratori edelle lavoratrici e la costruzione di un nuovosistema più “semplice” e fuori dal controllosociale dal basso da parte dei lavoratori edelle loro rappresentanze sindacali.

L'ADATTAMENTO DELLE FUNZIONI DELLO STATOAD UN SISTEMA DI COMANDO CENTRALIZZATO“PER NON DISTURBARE LE IMPRESE”Come ebbe a dire il ministro del lavoro Giu-liano Poletti in merito alla proposta d'istitu-zione dell'Agenzia Unica delle Ispezioni: Sitratta «di una grande operazione di sempli-ficazione e di risparmio unificando in un'unicaagenzia tutti quei controlli». In questo modo«andiamo a disturbare di meno l'azione deinostri imprenditori». Quindi «più efficienza emeno complicazioni»5. Nei fatti non si è quasi mai vista la calca degliispettori INPS, INAIL e ASL alle porte delleaziende per svolgere controlli. In molti paesi europei si stanno verificandoprocessi analoghi. In Francia è da tempo inatto un iter governativo per “riformare” lamedicina del lavoro e ridurre la rappresen-tanza dei lavoratori con la soppressione delleCommissioni Igiene e Sicurezza del Lavoro(CHSCT ) per le aziende con meno di 300 ad-detti6. In Inghilterra da tempo vi è un conte-zioso forte tra TUC, il sindacato inglese, e ilgoverno in merito al taglio dei finanziamenti

dell'Agenzia HSE, preposta alla vigilanza sullasalute e sicurezza nei luoghi di lavoro.La Commissione europea a Presidenza Bar-roso quando lanciò il processo di semplifica-zione normativa registrò un certo consensonon solo tra le Associazioni imprenditoriali: sipensava ad una ragionevole “pulizia” degliaspetti ridondanti e superflui delle Direttive.Nel corso degli anni si è visto invece un uti-lizzo del processo di semplificazione per altriscopi politici: la deregulation delle norme ditutela dell'ambiente e della salute e sicurezzadei lavoratori.

SEMPLIFICAZIONE E DECOSTRUZIONE DEI SI-STEMI TRADIZIONALI DI TUTELA DEL LAVOROIl processo di semplificazione della legisla-zione europea è stato preso in ostaggio dagliinteressi privati del mondo degli affari. Questoè quanto si afferma nelle conclusioni di unnuovo rapporto pubblicato dall'Istituto sinda-cale europeo. Dopo dieci anni durante i quali laUE si è impegnata per la semplificazione dellalegislazione, da "legiferare meglio", alla "rego-lazione intelligente" fino al Progetto Refit ilvero risultato non è stata la semplificazione"intelligente" – peraltro auspicabile – ma unapratica reale di blocco e di mancato aggiorna-mento delle Direttive europee in materia diambiente, salute e sicurezza sul lavoro.Un esempio chiaro riguarda la Direttiva Can-cerogeni che non è stata neppure aggiornatarispetto alle più recenti conoscenze scientifi-che. La proposta di Direttiva in materia di sa-lute e sicurezza per i parrucchieri da partedelle Associazioni datoriali presentata allaCommissione congiuntamente ai sindacatidei lavoratori è stata respinta perchè coste-rebbe troppo. A chi? Si tenga conto che anchei datori di lavoro erano d'accordo.Nel Progetto Refit le questioni della salute edella sicurezza sul lavoro vengono valutateprendendo in considerazione solo i costi perl'imprese: è prevalsa la pratica a livello degliuffici preposti della UE di fare un'indagine te-lefonica chiedendo a qualche decina d'impre-ditori il parere su di una direttiva. In base alparere della sola parte imprenditoriale ven-gono prese le decisioni in materia d'am-biente, salute e sicurezza sul lavoro7. Per quanto attiene ad esempio i disturbi mu-scolo scheletrici, una vera epidemia invali-dante i lavoratori manuali, la Commissione hadeciso di non avanzare proposte.L'avvicendamento con la nuova Commissionea guida Junker non pare distinguersi da questalinea che intende demolire il sistema di diret-tive che dagli anni ‘90 fino al 2000 hanno datoun enorme impulso allo sviluppo della ge-stione dei rischi negli ambienti di lavoro.Questo è il quadro di riferimento delle politicheeuropee in materia di salute e sicurezza nel la-voro: dieci anni della Commissione a guidaBarroso perduti senza una strategia cheprenda in considerazione le nuove emergenzein materia di salute correlata ai rischi lavorativi.La Confederazione dei Sindacati Europei harivolto alla Commissione Junker la richiesta diun aggiornamento della Direttiva cancero-geni: vedremo quale sarà la risposta.

Questa rappresentazione degli aspetti nega-tivi che stanno incombendo sulle condizionidi vita dei lavoratori non deve essere assuntacome una specie di invito alla resa: proprio laconsapevolezza della dimensione dell'attaccocui sono sottoposti i diritti di base di chi vivedel proprio lavoro diviene un deterrente perlo sviluppo di movimenti di contrasto rispettoa questa deriva verso l'estrema disegua-glianza già in atto da anni. Alcune di questeiniziative di deregulation sconfinano poi nelgrottesco, ne è un esempio la vicenda del“Decreto del fare” in materia di sicurezza nellavoro nei cantieri mobili8. Il governo italiano nel 2013 con il “Decreto

del fare” aveva sottratto alle disposizioni inmateria di salute e sicurezza sul lavoro, con-tenute nel D.lgs. 81/2008, i lavori relativi aimpianti elettrici, reti informatiche, gas,acqua, condizionamento e riscaldamento,nonché ai piccoli lavori la cui durata presuntanon è superiore a dieci uomini-giorno, fina-lizzati alla realizzazione o alla manutenzionedelle infrastrutture per servizi, che nonespongono i lavoratori a rischi rilevanti, indi-cati nell'Allegato XI. Anche i solerti “sempli-ficatori” della Commissione, verosimilmente,hanno ritenuto un'esagerazione quanto de-ciso dal governo italiano.L'eccesso di zelo deregolatorio del governo inmateria di salute e sicurezza è stato bloccatodalla Commissione UE che ha avviato unaprocedura d'infrazione all'Italia. Tanto è ba-stato perchè il governo italiano decidesse lacancellazione di questa parte di articoli senzaopporre alcuna resistenza o attivare ricorsi.

CONTROLLI A DISTANZA E MONITORAGGI INTEMPO REALE SULLE PRESTAZIONI LAVORATIVELa disponibilità del Ministro del Lavoro a sod-disfare i desideri delle Associazioni impren-ditoriali e a trasformare in decreti del Jobs Actogni loro richiesta ha toccato l'apice con la “li-beralizzazione” dei controlli a distanza sui di-pendenti tramite i devices elettroniciconsegnati al lavoratore come strumento dilavoro. L'azienda potrà controllare a distanzail lavoratore tramite i dati raccolti sull'utilizzoche il lavoratore fa dello smartphone, del ta-blet, del computer aziendale, ecc.Alla domanda: ”Un lavoratore potrà essere li-cenziato tramite le informazioni tratte dallosmartphone aziendale, del tablet o del pc?“molti esperti di diritto confermano “Si , potràessere licenziato”.Proprio nel momento in cui è in corso su scalainternazionale un dibattito serrato sull'utilizzodelle tecnologie informatiche che sia rispet-toso della dignità della persona e della privacyil governo italiano procede verso la conces-sione alle aziende di un utilizzo pressochèsenza regole dei controlli a distanza .L'art.4 della Legge 300/70 richiedeva, verosi-milmente, un aggiornamento rispetto allenuove tecnologie che consentono di “profilare”i comportamenti delle persone con una defi-nizione “spazio temporale” delle azioni impen-sabile negli anni '70, proprio in senso contrarioa quello che ha fatto il governo, per tutelare lapersonalità e la dignità dei lavoratori.

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Dal punto di vista della salute dei lavoratori èrisibile e grottesco che vi sia una legislazionedi merito che richiede all'imprenditore di svol-gere un'analisi ed una valutazione del rischiostress lavoro correlato e concede allo stessoimprenditore la possibilità d'invadere la sferapersonale del lavoratore con una profilazionesecondo per secondo del tempo di lavoro e,in alcuni casi, oltre il tempo di lavoro, delleazioni, dei movimenti e dei pensieri del di-pendente.È palese che un compito ineludibile delle or-ganizzazioni sindacali, oltre ad una battagliacivile per l'abrogazione di questo decreto saràquello di informare e formare i lavoratori af-finchè utilizzino i devices elettronici rila-sciando il minimo di dati e informazioni chepossono essere utilizzate dall'impresa persanzionarli. Laddove vi sono le condizioni lerappresentanze sindacali potranno contrat-tare policy aziendali restrittive rispetto ad unutilizzo indiscriminato dei dati personali deilavoratori9. Possiamo dire che la cultura di questo go-verno rispetto alla tutela della dignità dellapersona, con questo provvedimento, si è mo-strata in pieno nella mancanza di rispettoverso le persone che vivono del proprio lavoroe nel servilismo rispetto alle richieste dei po-teri forti.

COSA STA PER ARRIVARELe linee assunte dalla Commissione europeain materia di salute sicurezza sul lavoro e am-biente sono coerenti poi con la scelta di con-durre a termine con trattative segrete ilnegoziato per il TTIP.

COSA È IL TTIP? Il Partenariato transatlantico per il commer-cio e gli investimenti (in inglese TransatlanticTrade and Investment Partnership, TTIP), ini-zialmente definito Zona di libero scambio

transatlantica (Transatlantic Free Trade Area,TAFTA), è un accordo commerciale di liberoscambio in corso di negoziato dal 2013 tral'Unione europea e gli Stati Uniti d'America10.Le prime conseguenze dopo l'approvazionedel TTIP sarebbero:1) l’istituzione di arbitrati privati internazio-nali prevista dall’accordo permetterebbe asoggetti privati di ricorrere con cause da mi-lioni di euro contro stati sovrani, accusandolidi adottare normative che impediscono la li-bera attività dell’impresa. È già accaduto conaltri accordi commerciali che multinazionalidel tabacco abbiano denunciato governi peraver introdotto norme antifumo.2) L’istituzione di un sistema di cooperazionenormativa che permette di modificare amonte i progetti di legge, sulla base di emen-damenti proposti da poteri economici privati.3) Il principio di liberalizzazione dei servizipubblici affermato nell’accordo, che partedall’idea di liberalizzare tutto senza eccezioni,porterà a sconvolgimenti disastrosi degli as-setti sociali di molti paesi. Basti pensare aquello che potrebbe accadere al nostro si-stema sanitario nazionale.Proviamo ad immaginare cosa comporte-rebbe questo nuovo assetto delle relazionidel diritto commerciale internazionale ove gliinteressi delle multinazionali sarebbero pre-valenti rispetto alle legislazioni degli statinazionali. Gli articoli 32 e 41 della Costitu-zione e l'art. 2087 del Codice Civile sarebberoposti in mora e svuotati del loro potenziale afronte dei diktat delle multinazionali che, adesempio, chiamerebbero in causa lo Statoitaliano per danni derivanti dalla messa albando di una certa sostanza o materiale. Nonconosciamo nulla di questa trattativa perchèsegreta, non sappiamo se nel testo definitivosarà elaborata una lista delle limitazioni dellesostanze e materiali pericolosi che non pos-sono essere oggetto del Trattato. Per as-

surdo il TTIP potrebbe reimmettere l'amiantoin circolazione per non ledere gli interessidelle multinazionali che producono e com-merciano il minerale e suoi manufatti.

LA RICERCA PER PRODURRE LE CONOSCENZEPER UNA NUOVA PARTECIPAZIONEAbbiamo fatto un ampio percorso e prospet-tato scenari prossimi venturi che non sonorassicuranti se non inquietanti. Fare prevenzione oggi è divenuto molto dif-ficile: i processi di precarizzazione, la discon-tinuità dei rapporti di lavoro, l'indebolimentodelle coalizioni dei lavoratori trasferiscono laresponsabilità della gestione sia pure parzialedei rischi in capo all'impresa senza la parte-cipazione attiva dei lavoratori.Questa è la sfida per coloro che operano nelcampo della prevenzione: essere preparati adessere impreparati, ad affrontare realtà nellequali l'esperienza delle persone, anche di chisvolge i lavori più semplici non riesce più atrasformarsi in cultura della sicurezza e cul-tura del lavoro in qualità.Una sfida che non può partire che dalla rico-struzione delle conoscenze dei cicli di produ-zione, dei rischi presunti e presenti, dallanecessità di trovare le leve e i punti di forzasui quali fondare le ragioni di una innovatapartecipazione dei lavoratori. In altre paroleoccorre che si trovino le energie e le risorseper fare ricerca autonoma sulle effettive con-dizioni di rischio e di lavoro non solo nel la-voro industriale ma nei servizi e nelcomplesso mondo del lavoro cognitivo. Per fare questo occorre una nuova classe di-rigente che non può che venire da chi stadentro e subisce i processi di riorganizzazionecontinua del lavoro di oggi.Questi sono a mio parere i compiti e la mis-sion per un sindacato che si vuole rivitalizzaree rappresentare i lavoratori così come sonoe vivono oggi.

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1) L’importante è la salute. Per un lavoro di qualità e in sicurezza, per la tutela dell’ambiente. Materiali Assemblea Nazionale Rls Fiom. www.fiom-cgil.it/web/salute-e-sicurezza-rls/eventi-sas/1726-assemblea-nazionale-rls-fiom-firenze-10-aprile-20152) Una testimonianza drammatica. Per dovere di cronaca. Lorenzo Orlando, 44 anni, tecnico della Telecom Italia venerdì 3 aprile muore sul lavoro!www.diario-prevenzione.it/index.php?option=com_content&task=view&id=4692&Itemid=23) Aux origines de l’épidémie de suicides.Les salariés de France Télécom sont confrontés à des mutations brutales.www.liberation.fr/economie/2009/09/14/aux-origines-de-l-epidemie-de-suicides_5814774) Un treno che attraversa la democrazia.Generazione di un’opera, l’opera di una generazione. di Gianni Cascone. In questo libro testimonianza si raccogliela storia della Galleria dell'Alta velocità nell'Appennino tosco emiliani ove il concorso tra partecipazione dei lavoratori e l'intervento dei Servizi di preven-zione delle ASL e l'impegno delle Aziende costruttrici hanno permesso il contenimento degli infortuni a livelli molto bassi in raffronto con altre opere simili.clueb.it/libreria/tracce/treno-che-attraversa-la-democrazia/5) La proposta di agenzia unica per le ispezioni del Ministro Poletti: semplificazione o semplicismo?http://www.bollettinoadapt.it/la-proposta-di-agenzia-unica-per-le-ispezioni-del-ministro-poletti-semplificazione-o-semplicismo/6) Disparition des CHSCT: une proposition du MEDEF en contradiction avec les véritables enjeux du travail et de la croissance. www.miroirsocial.com/ac-tualite/11201/disparition-des-chsct-une-proposition-du-medef-en-contradiction-avec-les-veritables-enjeux-du-travail-et-de-la-croissance7) Laurent Vogel – Ricercatore presso l’Unità Condizioni di lavoro, Salute e Sicurezza dell’Istituto Sindacale Europeo ETUI “Come rilanciare la politica euro-pea di salute e sicurezza dopo dieci anni di paralisi ” AUDIO. www.diario-prevenzione.it/podcast/caselli_vogel_20_04_15_rev1.wav8) Sicurezza sul lavoro, norme più rigide nei cantieri temporanei e mobili. www.edilportale.com/news/2015/06/normativa/sicurezza-sul-lavoro-norme-pi%F9-rigide-nei-cantieri-temporanei-e-mobili_46285_15.html9) Come prima azione di autotutela i lavoratori possono utilizzare propri account personali di posta elettronica e telefonini personali, usando gli smar-tphone aziendali, pc e tablet solo per lavoro.10) What is TTIP about? ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/index_it.htm

*www.diario-prevenzione.it

Berlino, 1 giugno 2015. Durante la seduta del22 maggio al Bundestag la maggioranza di go-verno della Große Koalition Cdu-Spd ha appro-vato con 444 voti contro i 126 dell’opposizionedi Linke e Verdi (con 16 transfughi Cdu e 1 Spd)e 16 astenuti (tra Cdu, Spd e Verdi), la “Tarifein-heitsgesetz”, la legge per “l’unità contrattuale”,sulla base del principio “un’impresa, un con-tratto”, a firma del Ministero del lavoro guidatodalla socialdemocratica Andrea Nahles. Si in-tende così, come auspicato anche dall’organiz-zazione generale dei sindacati Dgb (6,1 milionidi iscritti) e da alcuni suoi grandi affiliati comela Ig Metall (2,27), risolvere i conflitti tra sinda-cati all’interno delle imprese con una forzaturagiuridica a favore del sindacato di maggioranza.Il Bundesrat, la Camera delle Regioni, aveva giàespresso parere favorevole lo scorso febbraio.Con l’entrata in vigore della legge a luglio, inuna stessa impresa non sarà ammesso più diun contratto, visto che prevarrà, se i sindacatinon troveranno un accordo, il principio di mag-gioranza, che dà diritto al sindacato con piùiscritti di trattare con l’azienda per tutti. L’ac-cordo così raggiunto si dovrà applicare all’in-sieme dei lavoratori di un’impresa. Si rivede inquesto modo una sentenza della Corte costi-tuzionale del 2010 che ammetteva la pluralitàdi contratti. Secondo l’opposizione politica enumerosi analisti si tratta di un provvedimentodi dubbia costituzionalità per le limitazioni im-plicite al diritto di libera associazione dei lavo-ratori, e quindi al diritto di sciopero, sanciti dallacostituzione tedesca, con il rischio evidente diuna discriminazione generalizzata dei lavora-tori. “La legge viola la libertà di associazione deisindacati, al cui contratto viene tolta validitàgiuridica” - afferma il giurista Detlef Hensche.“Il legislatore sottrae ai sindacati il diritto ditrattare con l’impresa le condizioni di lavoro deipropri aderenti secondo le proprie aspettativee di fissarle in contratti vincolanti. Con la perditadella tutela del contratto viene eliminata l’au-tonomia contrattuale, una delle funzioni piùimportanti del sindacato”. Come molti altri os-servatori, anche Hensche è dell’avviso che lalegge sia stata studiata ad hoc per sbarazzarsidei sindacati più conflittuali.In effetti questa ingerenza legislativa nelle ver-tenze che da qualche tempo animano le rela-zioni industriali in Germania, pare rivolta aneutralizzare il conflitto, non tanto per timoredi paralisi del paese, come nel caso dei fre-quenti scioperi dei macchinisti e piloti, bensìperché la lotta verte sui diritti fondamentali esul contratto e, probabilmente, perché mettein discussione un modello affermatosi soprat-tutto negli ultimi quindici anni. Contro la legge si sono schierati, oltre al grandesindacato dei servizi Ver.di (2,04 milioni), mem-bro di Dgb, i sindacati di categoria che più sisentono presi di mira, separatisi negli anniDuemila dal Dgb. Sono minori per numero diiscritti, ma molto ben organizzati come la Gdl,sindacato dei ferrovieri, di maggioranza tra i

macchinisti (20.000, per un totale di iscritti paria 34.000), con il combattivo presidente ClausWeselsky, e il sindacato dei piloti VereinigungCockpit che si sono distinti nell’ultimo anno peruna serie di agitazioni di lunga durata (fino a seigiorni consecutivi per i macchinisti e quattroper i piloti). La quasi totalità dei mass media hagridato allo scandalo, qualcuno spingendosi adefinire la Germania “il paese degli scioperi”.Però, anche se nel 2015 si è già superato il to-tale di giorni di sciopero del 2014, il volumedelle agitazioni (per giorni e lavoratori coinvolti),secondo l’istituto di sociologia e economia dellaFondazione del Dgb Hans Böckler, è rimastopressoché costante negli ultimi dieci anni.In particolare nei confronti dei sindacati di fer-rovieri e piloti si è scatenata una vera e propriaguerra mediatica, con la stessa aggressività eintolleranza rivolta contro la Grecia e il suo po-polo, e dopo la vittoria di Syriza anche contro ilsuo governo, demonizzando in particolare ilministro delle Finanze Gianis Varoufakis. Tant’èche ironizzando su alcuni toni inferociti, unquotidiano di Berlino, Berliner Zeitung, ha ri-battezzato il presidente della Gdl “Gianis We-selsky”, l’altro amato bersaglio da abbattere acolpi di inchiostro. Per non parlare dei piloti, ca-tegoria “privilegiata”, le cui rivendicazioni sala-riali, il mantenimento della possibilità diprepensionamento a 55 anni che Lufthansavuole portare a 60, e la loro lotta contro le libe-ralizzazioni in stile low-cost, hanno scatenatoun vero e proprio dibattito “sull’invidia sociale”.Ma la campagna mediatica non sembra aversuscitato l’indignazione popolare, se nel casodei macchinisti della Gdl, giunti al nono scio-pero in dieci mesi, almeno la metà della popo-lazione, secondo i sondaggi, sostiene ancora dicapire o sostenere le loro ragioni. Insieme ai piloti hanno annunciato il ricorsocontro la legge anche il Dbb (sindacato dipen-denti pubblici) di cui è membro la Gdl, e i medicidel Marburger Bund, con buone possibilità disuccesso. Anche su ammissione dello stessogoverno, sulla base delle nuove regole, il ricorsoallo sciopero potrebbe risultare alla verifica diun tribunale del lavoro “unverhältnismäßig”,cioè “fuori misura” e quindi inammissibile, “perun’evidente inapplicabilità” dei contenuti delcontratto per cui viene proclamato lo sciopero,visto che le rivendicazioni del sindacato dimaggioranza avrebbero comunque la meglio.Su questa inammissibilità sorge quindi il fortesospetto di anticostituzionalità del provvedi-mento. Mentre la legge suggerisce in manieravaga la via “notarile” per stabilire il numerodegli iscritti a un sindacato, l’Associazione deigiudici dei tribunali del lavoro (Bra) fa sapereche la cosa sarebbe alquanto complicata ed èdell’avviso che i conflitti, anziché appianarsi, siinasprirebbero. Nei media si è chiamata in causa “l’irresponsa-bilità” o “l’egoismo” dei sindacati che “pren-dono in ostaggio migliaia di viaggiatori ependolari”, nella maggior parte dei casi senza

entrare nel merito delle questioni di fondo,ignorate anche dal governo, nonostante loStato sia azionista di maggioranza della Deut-sche Bahn (DB), le ferrovie tedesche. Per We-selsky, il nocciolo del conflitto si situa nel fortepeggioramento delle condizioni di lavoro in se-guito al processo di privatizzazione iniziato nel1993, come l’aumento di straordinari e il con-sistente divario salariale tra nord e sud, talvoltapari al 40 percento (con salari di ingresso di2500 Euro lordi), contro cui la Gdl avanza laproposta un contratto nazionale con riduzionedell’orario (da 39 a 38 ore), aumenti del 5 per-cento con la rivendicazione del diritto a nego-ziare anche per altre categorie oltre aimacchinisti. Anche il sindacato di maggioranzadi queste categorie Evg (204.000 iscritti, di cui100.000 nelle ferrovie ma solo 2.000 tra i mac-chinisti), membro di Dgb, ha minacciato di scio-perare, ma intanto ha raggiunto un accordo conDB per l’insieme dei suoi iscritti (5,1 percentoin due anni e una tantum di 1.100 Euro lorde),quindi anche per i “loro” macchinisti ai quali nelloro complesso era stato finora invece appli-cato il contratto negoziato dalla concorrenteGdl. Questo accade proprio nel giorno (27 mag-gio) in cui inizia l’arbitrato tra quest’ultima e DB,per cui Gdl ha sospeso nei giorni precedentil’ultimo sciopero a oltranza, con la mediazionedi due politici: per la DB l’ex primo ministro delBrandeburgo Matthias Platzeck (Spd), mentrela Gdl ha chiesto di essere rappresentata daBodo Ramelow (Linke), attuale presidente dellaTuringia, ex sindacalista di Ver.di. Si tratterà finoal 17 giugno, e la Evg si è riservata il diritto didisdire l’accordo appena raggiunto qualora laGdl riuscisse a strappare delle condizioni piùvantaggiose. La partita è quindi aperta.Queste lotte sono state attraversate dal dibat-tito sulla nuova legge e si è avuta l’impressioneche, con la sua ostinata indisponibilità, la DB neattendesse il varo per rendere vano il ricorsoallo sciopero della Gdl, come denuncia il suopresidente Weselsky che deplorando “l’arro-ganza del potere”, afferma che finora sarebbestato per lui inimmaginabile che la Spd contri-buisse a “eliminare i sindacati”.Intanto anche Ver.di si distingue per una seriedi mobilitazioni di lavoratori di Amazon, delleposte e di insegnanti degli asili pubblici, in scio-pero, questi ultimi, a oltranza dalla secondasettimana di maggio. Obiettivo della loro lotta:una valorizzazione generale della professione,in particolare un inquadramento superiore, chesignificherebbe un aumento del 10 percento inbusta paga per 240.000 persone. Gli enti localisono per ora irremovibili, ma le famiglie inte-ressate cominciano a perdere la pazienza e in-vece di prendersela, come forse speravano leamministrazioni comunali, con gli insegnanti,che al contrario sostengono, protestano da-vanti ai municipi per riavere i soldi delle rette eperché si trovi una soluzione. Nel caso delleposte i lavoratori chiedono aumenti del 5,5percento, una riduzione dell’orario da 38,5 a 36

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Germania: in bilicotra diritti e precarietà di Paola Giaculli*

ore e protestano contro un piano di ristruttu-razione di Deutsche Post per la creazione di 49agenzie regionali della società affiliata DHL, cheprevede inquadramenti al ribasso e dumpingsalariale con tagli in busta paga anche del 20percento. Per Ver.di la ristrutturazione èun’operazione che mira al puro profitto sullapelle dei lavoratori visto che Deutsche Post haincassato nel 2014 utili pari a ben tre miliardiper la gioia degli azionisti e dell’amministratoredelegato Appel, che si è aumentato lo stipendiodel 30 percento, ora pari 9,6 milioni, con cui sipiazza al terzo posto della classifica dei mana-gers più retribuiti in Germania. Intanto l’im-presa cerca di far fronte alle astensioni dallavoro utilizzando dipendenti pubblici che go-dono ancora dello status di Beamte, mante-nuto dall’epoca precedente alla privatizzazione,ma che per questo non possono fare sciopero. Anche per Frank Bsirske, presidente di Ver.di,la legge appena varata è un attacco al diritto disciopero. “Un contratto uguale per tutti è unobiettivo giusto per non mettere i lavoratori gliuni contro gli altri”, afferma Bsirske, “ma biso-gna perseguirlo con le politiche sindacali”. In-sieme al sindacato GEW (istruzione e ricerca) eNGG (industria alimentare e settore alber-ghiero) Ver.di aveva già raccolto contro il pro-getto di legge circa 85.000 firme. Questainiziativa non è certamente stata vista di buonocchio dalla Dgb, in particolare dai sindacatidell’industria, primo tra tutti la Ig Metall, favo-revoli fin dall’inizio alla legge. Per di più a metàaprile Ig Metall, Ig Bce (settore minerario, chi-mico, ed energetico), Ig Bau (edili) e il sindacatoferrovie e trasporti Evg hanno stretto un ac-cordo di maggiore collaborazione “per reagirepiù rapidamente ai cambiamenti nel mondo dellavoro, alle trasformazioni dell’economia e ri-solvere conflitti tra singoli sindacati”. Peccatoche, nonostante il presidente Dgb Reiner Hoff-mann abbia assicurato che l’accordo “non in-tende escludere nessuno”, Ver,di non sia stataneanche invitata, e questo proprio nel mo-mento di aperto contrasto sulla legge. Paredunque essersi creata una forte spaccatura inparticolare tra Ig Metall, Ig Bce da una parte eVer.di dall’altra che, secondo il quotidiano Süd-deutsche Zeitung (16 aprile 2015), rappresentauno scontro tra due culture diverse: “i primi siconcentrano quasi esclusivamente sul lavoronelle aziende, il secondo invece punta anche afare opposizione fuori dalle aziende e dalle isti-tuzioni”, cioè opposizione sociale.La situazione economica ha finora avvantag-giato i settori industriali orientati soprattuttoall’export (automobilistico, meccanico-indu-striale e chimico), in cui sopravvive un pezzo di“capitalismo sociale” di stampo tedesco-occi-dentale, quello cosiddetto renano, che altri-menti è stato smantellato e soppiantato da unmodello sociale “competitivo altamente selet-tivo” (Klaus Dörre, Il miracolo occupazionale te-desco: un modello per l’Europa? 2014). La

riduzione della società a terreno di competi-zione “che noi definiamo appropriazione capi-talistica del sociale, si basa sull’esproprio dellaproprietà sociale”, sostiene il sociologo Dörre.Secondo questi “il vecchio capitalismo socialenon esiste più. E chi, come Angelo Bolaffi, neapprezza l’intatta vitalità e la capacità di adat-tamento, cade nella trappola di un mito”. Que-sto modello si poggiava su una societàindustriale forte e una struttura familiare mo-noreddito rigorosamente paternalistica in cuiservizi erano forniti a tempo pieno e a costozero dalla donna che restava a casa. In virtù diquesto retaggio socio-culturale, i servizi socialinon sono valorizzati e quindi poco retribuiti.Ecco perché l’urgenza di un cambiamento so-ciale in questo senso è particolarmente sentitada Ver.di che rappresenta i lavoratori e soprat-tutto le lavoratrici così numerose in questo set-tore, che tra l’altro in Germania guadagnanocomplessivamente il 23 percento in meno deicolleghi maschi. Ma il problema dei bassi salarisi fa sempre più acuto anche in altri settori, acausa di un dumping salariale incentivato dallefamigerate riforme Hartz dei governi rosso-verdi di Schröder (1998-2005), responsabilidella mutazione del sistema sociale e dellaframmentazione del lavoro, in tutte le sueforme precarie, tipica del post-capitalismo so-ciale. Perfino il settore metalmeccanico ne ècolpito: qui un terzo degli addetti, circa un mi-lione, sono lavoratori interinali o a progetto, perl’industria automobilistica rispettivamente100.000 e 250.000 a fronte di 763.000 con-tratti a tempo indeterminato. Nella cantieri-stica il numero di lavoratori interinali o in affittoè di 2.700, 6.500 per i contratti a progetto con-tro 16.800 dipendenti stabili, mentre nella si-derurgia ben 19.000 lavorano a progettocontro i 61.000 addetti a tempo indeterminato.Anche se la Ig Metall è riuscita negli anni scorsia far migliorare le condizioni retributive degliinterinali del settore, dicasi per le aziende cheapplicano il contratto, i lavoratori in affitto nelloro insieme guadagnano fino a un terzo inmeno di chi ha un posto fisso. E comunqueresta molto da fare invece per i contratti a pro-getto. In seguito alle trasformazioni operate sullavoro si sono venute così a creare due e piùclassi di lavoratori. La liberalizzazione non haaumentato l’occupazione, perché il volumedelle ore lavorate è pressoché stabile dal 2000,tra il 1992 e il 2012 è addirittura diminuito del10 percento, mentre esse vengono ripartite tramolte più persone che lavorano a condizioniprecarie e sono meno retribuite. A questo sideve il basso tasso di disoccupazione, oltre chea “trucchi” statistici con cui, per esempio, circa800.000 disoccupati non rientrano nella stimaufficiale pari a 2,843 milioni (6,5 percento). Non è un caso che l’espansione del settore abassi salari si accompagni alla frammentazionedel lavoro e proceda di pari passo con un forteprocesso di erosione dei sindacati: il tasso di

sindacalizzazione è passato dal 35 percentodella Germania ovest del 1980 a un comples-sivo 18 percento nel 2013 (Dörre, 2014). Afronte di ciò viene meno l’interesse delle im-prese ad organizzarsi, e molte associazioni im-prenditoriali, per arginare il calo di iscritti,hanno introdotto un tipo di affiliazione sgan-ciato dal contratto nazionale. Solo il 55 per-cento (60 percento dei lavoratori a ovest e 48percento a est), è coperto da contratto, mentrela percentuale delle aziende in cui si applica uncontratto nazionale era addirittura scesa, tra il1995 e il 2010, a ovest dal 54 al 34 percento, aest dal 28 al 17 percento. Nel settore dei servizialle imprese questa percentuale è pari al 14percento a ovest e del 18 cento a est .Sebbene nel settore metalmeccanico in parti-colare si raggiungano livelli salariali inimmagi-nabili in Italia, e si siano ottenuti alcuni aumentiimportanti di salario reale, il livello retributivodei lavoratori tedeschi al netto dell’inflazione èrimasto invariato dal 2000, mentre il reddito daattività imprenditoriale e il volume patrimo-niale sono cresciuti del 60 cento. La Germaniasi situa al secondo posto nell’Ue dopo la Litua-nia per espansione del settore a bassi salari(cioè inferiori a due terzi del salario mediano),che interessa il 23 percento dei lavoratori e inparticolare delle lavoratrici, a fronte di un 25,4percento di interinali, a tempo determinato, aprogetto e part-time. Sono due milioni, il dop-pio rispetto a dieci anni fa, pari al cinque per-cento della popolazione lavorativa, le personefino a 65 anni che arrotondano la busta pagacon un secondo lavoro, la metà delle qualidonne. Neanche l’entrata in vigore quest’annodel salario minimo a 8,50 euro lordi, che se-condo il governo ha interessato 3,7 milioni dilavoratori e lavoratrici, sembra produrre cam-biamenti significativi: infatti talvolta le impreseriducono l’orario di lavoro, con il risultato di au-mentarne l’intensità e quindi lo sfruttamentodei lavoratori, come nel caso dei cosiddetti mi-nijobs, e invocano flessibilità nella certifica-zione delle ore lavorate, mentre cercano diaggirare con artifizi amministrativi la legge, checomunque esclude i minorenni senza un di-ploma professionale, apprendisti e disoccupatidi lungo corso nei primi sei mesi di nuova oc-cupazione. Per i salari di settore inferiori al mi-nimo si dovrà aspettare il 2017. Il Dgb chiedepiù personale di controllo, e il minimo garantitoper tutti e tutte, che Ver.di vorrebbe innalzaresubito a 10 euro.Quindi, a proposito di contratto “unico”, se lo sivolesse davvero, si dovrebbe piuttosto unifi-care il mondo del lavoro, porre fine alla suaframmentazione, che ha sciolto i vincoli di so-lidarietà e scatenato la competizione tra le per-sone, oltre che produrre un’enorme ingiustizia,e si dovrebbero creare i presupposti per un la-voro dignitoso e valorizzato nel rispetto dei di-ritti di tutte e tutti.

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1) L‘autore si riferisce alle tesi riportate da Angelo Bolaffi in Cuore tedesco“ (2013)2) T. Schulten, R. Bispinck, Stabileres Tarifvertragssystem, durch Stärkung der Allgemeinverbindlicherklärung?, Wirtschaftsdienst, 11/2013. Secondo gliautori i motivi del processo di erosione del sistema contrattuale tedesco sono molteplici: cambiamenti strutturali del mercato del lavoro e il forte incre-mento dell’occupazione precaria, la creazione di nuove strutture imprenditoriali, l’intensificarsi di condizioni di competizione, e il calo della forza organizza-tiva dei sindacati. “Questi cambiamenti sono avvenuti in forma più o meno simile anche in altri paesi europei, che ciononostante si avvalgono di unsistema contrattuale più stabile e di una maggiore copertura contrattuale. Il carattere peculiare della situazione tedesca consiste soprattutto nel fattoche, a differenza di molti altri paesi europei non esistono provvedimenti politici a sostegno del sistema contrattuale. Questo, in parte, è il risultato storicodi una diffusa interpretazione della “autonomia contrattuale”, per cui il governo deve tenersi fuori il più possibile dalle relazioni inerenti alla contrattazione”.Come esempi di diversa pratica vengono citati la Francia, il Belgio e i Paesi Bassi dove l’80-90 percento dei lavoratori è coperto da contratto.

*Die Linke

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Prove di sindacalizzazionetra gli autonomiL'esperimento della “Coalizione 27 febbraio”

di Francesco Raparelli*

È senso comune, nella sinistra e nel sindacatoitalici, confondere lavoro autonomo e impresa,partita Iva ed evasore. Di più: secondo questosenso comune, il lavoro autonomo sarebbe,per sua natura, ricco. Chi non è ricco, ha lespalle coperte dalle rendite familiari o da moltoaltro. Tutto ciò, almeno da un ventennio, èfalso. Con la crisi, dunque da quasi un decennio,questa falsità grida vendetta. E finalmenteanche i numeri, le prime inchieste quantitative,cominciano a chiarirlo. Secondo l'ISFOL, i professionisti autonomi e ifreelance che non sono imprenditori e nonhanno dipendenti sono 3,5 milioni, e produ-cono il 18% del PIL. Ma è nell'inchiesta svoltarecentemente da Daniele Di Nunzio ed Ema-nuele Toscano (per l'associazione Trentin e laFILCAMS-CGIL) che troviamo altri dati impor-tanti: il 57,8% di un campione di 2210 autonomiguadagna fino a 15 mila euro lordi all’anno; il13,2% tra i 15 e i 20 mila euro, il restante 28,9%più di 20 mila euro. Il pregiudizio, tenace, ri-sponde: no, si tratta di finte partite Iva, di lavorodipendente mascherato. Vero, ma solo in pic-cola parte. Scavando tra i nu-meri, emerge una ve-rità assai scomoda,tanto per il sindacatoquanto per l'auto-perce-zione del lavoro profes-sionale e dellaconoscenza: gli auto-nomi sono compo-nente significativa deicontemporanei working poor. Affermazioneche vale per freelance e professionisti atipici,così come per le professioni degli ordini (avvo-cati, giornalisti, architetti, ecc.), un tempo con-traddistinte da redditi alti e prestigio sociale.Non soltanto, infatti, crollano i compensi o au-mentano i ritardi nei pagamenti; ad aggravarela situazione ci sono tanto l'accanimento fi-scale e previdenziale quanto l'esclusione dalwelfare (malattia, ammortizzatori sociali, ecc.).Il mondo degli autonomi, seppur segnato daalti livelli di formazione, si scopre tra i più fragili,economicamente e socialmente.È fondamentale insistere su un punto, utile percomprendere la novità della “Coalizione 27 feb-braio” e della recente cooperazione politica trale associazioni di professionisti e parasubordi-nati: la partita Iva stenta riconoscere e ad ac-cettare la sua povertà. Meglio, la suaauto-percezione distingue in maniera grosso-lana il precario dalla propria condizione lavora-tiva e di vita. Precarietà, nel pregiudizio dellavoratore autonomo, è condizione troppo ge-

nerica, semmai riguarda la forza-lavoro pocoqualificata. Gli autonomi, quando lavoranopoco (e dunque guadagnano poco e niente),sono semplicemente colpiti da «un sistemache non sa premiare il merito», «che non valo-rizza i talenti», che privilegia rendite e clientele.In un sistema aperto e trasparente, dove cia-scuno conta per quello che sa e sa fare, la par-tita Iva raggiunge la vetta e può fare a meno didiritti e ammortizzatori sociali. Sì, questa ballaneoliberale ha segnato per diverse decadi l'an-tropologia del lavoro autonomo di nuova gene-razione e dei knowledge workers. Tanto che inquesti ultimi anni, nella moltiplicazione delleforme associative, ha prevalso l'agire da piccolalobby, alla ricerca del riconoscimento politico edella partecipazione, spesso marginale, ai ta-voli istituzionali. Con la Grande Depressione, e il processo di «ri-feuda- lizzazione»

c h e

l ' a c -c o m - p a g n a(nuove enclo- sure, polarizzazionesenza precedenti della ricchezza, blocco dellamobilità sociale, cancellazione degli istitutidella rappresentanza democratico-liberale, im-plementazione delle vessazioni fiscali, ecc.),l'utopia neoliberale vacilla sotto i colpi inces-santi della realtà. Non è casuale, infatti, che laforza-lavoro qualificata dei paesi del Sud Eu-ropa sia per la maggior parte spinta alla migra-zione o, se persevera con le radici, sia costrettaad accettare compensi bassissimi, quando nonlavora gratuitamente. Altrettanto, non è ca-suale che gli ordini professionali stiano ten-tando di rinnovare i regolamenti interni nelsenso di un espulsione di massa dei professio-nisti poveri dagli ordini stessi. In questo quadro,l'antropologia degli autonomi non può checomplicarsi, sicuramente si contamina.La “Coalizione 27 febbraio” si innesta in questa

mutazione. Freelance, professionisti atipici eordinisti, precari della ricerca e lavoratori para-subordinati del pubblico e del privato, studenti:uno strano ibrido si è messo in cammino daqualche mese per rivendicare equità previden-ziale, sostenibilità fiscale, welfare universale.Nel segno della solidarietà tra diversi, un ine-dito processo di sindacalizzazione dei lavora-tori autonomi e della conoscenza stacominciando a prendere corpo. Innesco dellacoalizione, gli avvocati, tra i più colpiti dalla rior-ganizzazione in termini censitari dell'ordine. Maimmediata la combinazione con le altre profes-sioni (parafarmacisti, geometri, architetti, ar-chivisti, ingegneri, ecc.), così come con i precarie gli attivisti che animano lo Sciopero sociale, ei freelance. Dopo la mobilitazione sotto la cassaforense del 27 di febbraio (di qui il nome dellacoalizione), la “carovana dei diritti” ha portatole istanze di autonomi e precari sotto gli ufficidell'INPS, ottenendo un incontro importantecon il neo-presidente Tito Boeri (24 aprilescorso). Pratica privilegiata della mobilitazione,lo Speakers' Corner, con riferimento per nulla

velato alle origini del sin-dacato americano, quelsindacato che prima diogni altro organizzò mi-

granti e stagionali.Alla mobilitazione – che

seguirà il 24 giugno sottoil Ministero del Lavoro edelle Politiche sociali – sista accompagnandoun'elaborazione pro-

grammatica densa, che richiede non poca fa-tica. La pretesa di equità previdenziale, adesempio, insiste su diversi aspetti: la critica ra-dicale al sistema previdenziale contributivo; lariduzione dell'aliquota della Gestione separata(con la Legge Fornero destinata a salire al33%); l'introduzione di una “pensione minimadi cittadinanza”, superiore all'Assegno socialeora vigente; il taglio alle pensioni d'oro dei di-rigenti. Sostenibilità fiscale vuol dire rilanciodella progressività impositiva e riduzione deglioneri per chi fattura poco. Welfare universale,neanche a dirlo, sta per estensione degli am-mortizzatori sociali al mondo degli autonomi,che ne sono esclusi, ma anche e soprattuttoper conquista del diritto alla malattia e di unreddito minimo garantito.Al momento, la “Coalizione 27 febbraio” è soloun prototipo di nuova sindacalizzazione. Lastrada è in buona parte da inventare e da per-correre. Ma sarebbe miope non cogliere laforza della novità, soprattutto alla luce dellacrisi in cui versano i sindacati tradizionali.

*Camere del Lavoro Autonomo e Precario

Una delle novità più interessanti del pano-rama sindacale contemporaneo degli ultimianni è la campagna “Fight for 15!”. La cam-pagna, i cui elementi rivendicativi centralisono l'aumento del salario minimo legale a15 dollari e il diritto per i lavoratori di orga-nizzarsi sindacalmente, è stata caratteriz-zata da diverse ondate di scioperi chehanno visto coinvolti diverse migliaia di la-voratori e lavoratrici. Iniziata nel 2012 aNew York con un primo sciopero dei lavo-ratori dei fast-food, si è progressivamenteestesa ad numerose altre città americanee ha coinvolto diverse altre migliaia di lavo-ratrici e lavoratori di altri settori low-wage,dai dipendenti delle grandi catene del com-mercio come Walmart, alle lavoratrici dellecase di riposo e della sanità privata, fino aicollaboratori precari delle università. Nellapiù recente giornata di mobilitazione, il 15aprile di quest'anno, si è vista la partecipa-zione di circa 60,000 lavoratori in oltre 200città americane, in quella che è stata defi-nita la più grande protesta dei low-wageworkers della storia americana. Il fatto chequesta fetta del mondo del lavoro, caratte-rizzato da un'estrema debolezza e fram-mentazione, si stia organizzando e stiafacendo sentire la propria voce è già di persé un elemento di enorme interesse. Maaltri due elementi sono da rilevare.Primo: l'organizzazione dei lavoratorie degli scioperi è stata pro-mossa dal sindacato deiservizi ServiceE m p l o y e e sI n t e r n a -t i o n a l

Union (SEIU), come parte del focus sull'or-ganizzazione dei servizi a bassi salari cheha caratterizzato l'agenda dell'organizza-zione già a partire dalla famosa campagnaJustice for Janitors iniziata negli anni Ot-tanta. Tuttavia, l'intervento di SEIU non èstato diretto, ma ha avuto luogo in coope-razione e attraverso la costruzione e il fi-nanziamento di strutture non sindacali sulmodello dei workers centres1. Organizza-zioni delle comunità locali, come New YorkCommunities for Change (Comunità di NewYork per il cambiamento), hanno costituitola spina dorsale della costruzione di con-tatti e relazioni con i lavoratori che poihanno dato il via alle iniziative, a loro voltaportate avanti da gruppi locali non sinda-cali. Le ragioni di questa scelta sono mol-teplici. In primo luogo, attraverso l'alleanzacon queste organizzazioni, SEIU è riuscita aincorporare nella campagna l'expertise daesse maturato nell'organizzazione delle co-munità locali, spesso composte da mino-ranze etniche, presenti in gran numero frai lavoratori dei fast-food, e la rete che que-ste avevano costruito. In secondo luogo, lacostruzione di una coalizione ha consentitoall'organizzazione sindacale di promuovereun'immagine più positiva della campagna,togliendosi di dosso l'immagine, molto co-mune nell'immaginario americano, di un

sindacato focalizzato su in-teressi specifici e di parte.Da ultimo, ma forse la ra-

gione più importante, lascelta di SEIU

per unamodalità

i n d i -retta diazioneè

legata a doppio filo alla struttura del si-stema di relazioni industriali americane,secondo cui per potersi iscrivere al sinda-cato il sindacato stesso deve essere rico-nosciuto come “agente contrattuale” nelluogo di lavoro. Le regole previste dal Na-tional Labor Relations Act (NLRA, la leggeche regola la presenza sindacale e la con-trattazione negli Stati Uniti), però, preve-dono un meccanismo molto lungo efarraginoso2, fortemente a rischio di falliredal momento che può essere influenzatodalle pressioni e dalle minacce dei datori dilavoro. La scelta di SEIU ha quindi l'obiet-tivo di bypassare questo meccanismo.Questa scelta fa parte di una più ampia ri-flessione strategica del movimento sinda-cale americano, che ha avuto un postoimportante anche nel recente congressodella centrale sindacale AFL-CIO. Nella di-scussione congressuale (e nelle parole diRichard Trumka, il presidente dell'AFL-CIO)è stato evidenziato comele leggi che rego-lano il ricono-s c i m e n t osindacale sonostate rese cosìinefficaci che ilmovimento sin-dacale deve inven-tarsi nuove stradeper tutelare gliinteressi deilavorator i .Un ele-mentoi n

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La campagna “Fight for15” negli Stati Uniti

di Lisa Dorigatti*

particolare riguarda la possibilità dei lavo-ratori di organzzarsi collettivamente senzadover necessariamente essere riconosciuticome “agenti contrattuali” e, quindi, senzadover passare attraverso il complicatomeccanismo di elezione.C'è però, un altro elemento di grande inte-resse nella campagna “Fight for 15”. Nono-stante la campagna abbia avuto comeelemento prioritario l'organizzazione sin-dacale del settore e come strumento diazione anche lo sciopero, è stata soprat-tutto una campagna di mobilitazione del-l'opinione pubblica per ottenerecambiamenti legislativi dalle istituzioni lo-cali. La frammentazione delle struttureproduttive che caratterizza il settore, dovei lavoratori sono impiegati in centinaia dipiccoli negozi in franchising, rende estre-mamente difficile la loro organizzazione ela contrattazione con i singoli datori di la-voro. Il potere di questi lavoratori sui singolidatori di lavoro è, quindi, minimo. A frontedi queste difficoltà, lo sforzo di SEIU e dellealtre organizzazioni che hanno portatoavanti la campagna è stato diretto a mobi-litare i lavoratori per costruire una forzapolitica in grado di cambiare l'agenda pub-blica, attirando l'attenzione su temi econo-mici di più ampia portata, fra cui lecrescenti diseguaglianze presenti nella so-cietà americana e l'impossibilità di viverecon il salario minimo. L'elemento caratte-rizzante la campagna è stata, infatti, l'en-fasi sul tema delle diseguaglianze, un temache, a partire dalla crisi, risuona fortementenell'opinione pubblica americana, come hadimostrato anche il recente successo delvolume di Thomas Piketty “Il capitale nelXXI secolo”. I lavoratori e le lavoratrici deifast-food fanno parte di quell'esercito dilow-wage workers, di lavoratori a bassi sa-lari, che costituisce il 25% degli occupatiamericani. Il settore dei fast-food, infatti, ècaratterizzato da salari molto bassi (se-condo uno studio dell'università di Berkley,il salario mediano del settore è $8.69 al-l'ora), dall'assenza di benefits (quali la co-pertura sanitaria) e da una significativaquota di occupati part-time, generalmenteinvolontari, che determina una paga setti-manale molto inferiore alle necessità di so-pravvivenza. Spesso, infatti, le lavoratrici ei lavoratori di questi settori devono ricor-rere all'assistenza pubblica per riuscire asopravvivere. La campagna per migliorare

le condizioni delle lavoratrici e dei lavora-tori dei fast-food è stata presentata comeparte di un movimento per la giustizia so-ciale. Come ha evidenziato il WashingtonPost, “l'efficacia della campagna si è basatapiù sulle public relations, che sulla coerci-zione economica, dal momento che il suoeffetto più diretto è stato di spostare la di-scussione pubblica sul salario minimo efare in modo che $15 all'ora non suonassepiù ridicolosamente alti”. Su questo, sem-bra che SEIU e le organizzazioni alleatesiano state profondamente efficaci. Lacampagna è riuscita a costruire un fortesupporto nell'opinione pubblica. Secondoun sondaggio della CNN, il 70% degli ame-ricani è a favore di un innalzamento del sa-lario minimo e recentemente il New YorkTimes ha paragonato la campagna a unnuovo movimento per i diritti civili. Inoltre,come conseguenza di questa ondata di mo-bilitazione, diverse città americane e diversiStati hanno aumentato il salario minimofederale e lo stesso presidente Obama haproposto un'iniziativa legislativa (bocciatain Senato dai repubblicani) che aumentasseil salario minimo federale a $10.10.Entrambi i punti che abbiamo sottolineato,il forte investimento sulle alleanze, la mo-bilitazione del potere simbolico di rivendi-cazioni basate su ideali di giustizia socialee il focus sulle istituzioni pubbliche, nonmancano di elementi fortemente proble-matici. Uno fra questi (di cui, peraltro, sista discutendo molto) è la sostenibilità fi-nanziaria di questo modello organizzativo.Nonostante, infatti, le coalizioni siano in-dispensabili per raggiungere nuove fettedel mondo del lavoro, i finanziamenti arri-vano da sempre meno lavoratori iscritti aisindacati. In secondo luogo, senza un'or-ganizzazione capillare all'interno dei luo-ghi di lavoro, anche i risultati ottenuti pervia legislativa rischiano di essere instabilio addirittura di rimanere sulla carta, se ilavoratori stessi non sono in grado di di-fenderli. E queste campagne, al momento, non sonoancora riuscite a costruire questi elementisi stabilità. Tuttavia, i risultati da essa ot-tenuti e il suo straordinario impatto pub-blico sembrano suggerire che la strada puòessere giusta. E che sicuramente va osser-vata con grande attenzione.

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n1 | AGOSTO/2015

1) Secondo la studiosa americana Janice Fine che per prima ha studiato queste organizzazioni, i workers centres sono “organizzazioni basate sulla comunitàe gestite dalle comunità migranti, che costruiscono una combinazione di servizi, advocacy, e auto-organizzazione per supportare i lavoratori a basso red-dito”.2) In primo luogo il sindacato deve presentare una petizione di riconoscimento, votata da almeno il 30% dei lavoratori dell'azienda. Dopodiché la maggioranzadi questi ultimi si dovrà esprimere in una votazione a scrutinio segreto da svolgersi nel luogo di lavoro a favore della costituzione di un'unità sindacale. Nellasso di tempo che intercorre fra la presentazione della petizione e l'elezione, il datore di lavoro ha la possibilità di fare campagna contro il sindacato.

*Università di Milano