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Venezia: la storia dietro alla maschera L’arte in cucina: chef Marika Seguso Discipline per anima e corpo: tai chi Il tè: la bevanda nobile N.1 / 2012 MVB MAGAZINE PERIODICO DI INFORMAZIONE A DISTRIBUZIONE GRATUITA development by MI VOGLIO BENE IL MAGAZINE PER SAPER SCEGLIERE mvbmagazine.it

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Venezia: la storia dietro alla mascheraL’arte in cucina: chef Marika SegusoDiscipline per anima e corpo: tai chi

Il tè: la bevanda nobile

N.1

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MI VOGLIO BENE

IL MAGAZINE PER SAPER SCEGLIERE

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Siamo una redazione

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di intolleranti!

Giorgia Pizzo

Siamo una redazione

www.mvbmagazine.it • [email protected]

MI VOGLIO BENE

1Ed i t o r i a l e

Siamo una redazione di intolleranti: alle rinunce, ai dubbi, ai pollini, al latte, al glutine, alle uova, al nickel e a tutto quello che può rendere più impegnativa la ricerca del benessere!

Così ci siamo riuniti in un unico progetto, con il prezioso aiuto di medici, istruttori, associazioni, chef e altri intolleranti verso ciò che non ci fa star bene.

Per questo è nato MVB magazine. Perché bisogna volersi bene, nella vita di tutti i giorni, nelle piccole e grandi scelte che si fanno per noi stessi e per le persone che amiamo, per l’ambiente che ci ospita, per gli amici che ci circondano!

Dobbiamo conoscerci per capire di cosa potremmo aver bisogno per migliorare la nostra vita, la nostra salute e per prenderci cura di chi ci circonda. Il segreto sta nel ricordare che siamo tutti diversi, ognuno con le sue peculiarità ed esigenze e sta a noi cercare le soluzioni migliori per la nostra esistenza.

“Mi Voglio Bene�, vuol dire nutrire il corpo e la mente con informazioni, suggerimenti, alimenti e terapie che ci fortifichino e ci diano il necessario slancio per vivere la nostra vita all’insegna della libertà… di volerci bene!

Poiché siamo convinti che la collaborazione e la condivisione diano i frutti migliori, apriamo il nostro Magazine alle idee, i suggerimenti, le ricette e le informazioni di chiunque di voi vorrà partecipare alla realizzazione di questo progetto!

Aspettiamo di conoscervi e proseguire insieme questo cammino verso una vita più sana, cosciente e felice!

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SOM

MA

RIO

MI V

OG

LIO

BEN

E

1 Editoriale: Siamo una redazione di intolleranti

4 Tai chi Chuan: energia respiro forza L’armonia della disciplina e le antiche concezioni cinesi

8 A.I.C.: Che cos’è la celiachia? La parola all’Associazione Italiana Celiachia

10 Il tè: la bevanda nobile Intervista al Prof. Livio Zanini, presidente dell’Associazione Italiana Cultura del Tè

14 Cachi, Il Pane degli Dei! Storia e ricette del frutto di zucchero

16 Venezia: La storia dietro alla maschera Un viaggio nella storia con Alberto Toso Fei

21 Alí e Alíper: Libertà di mangiare

25 S.O.S. Labbra Attenzioni e cure nella stagione fredda

27 Reazioni avverse ai cibi: Allergie o intolleranze?

30 L’Arte in cucina: Chef Marika Seguso Ricette speciali adatte anche a chi ha speciali esigenze

36 Montagna: Coccole ad alta quota! La montagna come cura per lo spirito, la mente e il corpo

40 MVB Consiglia

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MI VOGLIO BENE

Periodico bimestrale testata in attesa di registrazione

presso il Tribunale di Padova

DIRETTORE RESPONSABILE Giorgia Pizzo

DIRETTORE EDITORIALEMarta Fontana

[email protected]

EDITING E GRAFICAPuzzle Project srl

GRAPHIC DESIGNERRemedios Favaretti

[email protected]

CONCESSIONARIA UNICA PER LA PUBBLICITÀ

Puzzle Project srlVia Lombardia, 41

35020 - Saonara (PD)t. 049 8754003

www.puzzleproject.it

FOTOFotolia

Tips Images/Photocuisine

ALTRE FOTOAIC, Marika Seguso,

Fabio Smolari

EDITOREIl Prato Publishing House srl

Via Lombardia, 41 35020 - Saonara (PD)

STAMPAChinchio Industria Grafica spa

35030 - Rubano (PD)

HANNO COLLABORATOAIC Veneto, Marta Fontana,

Giorgia Pizzo, Marika Seguso, Fabio Smolari, Alberto Toso Fei,

Livio Zanini

[email protected]

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1 Editoriale: Siamo una redazione di intolleranti

4 Tai chi Chuan: energia respiro forza L’armonia della disciplina e le antiche concezioni cinesi

8 A.I.C.: Che cos’è la celiachia? La parola all’Associazione Italiana Celiachia

10 Il tè: la bevanda nobile Intervista al Prof. Livio Zanini, presidente dell’Associazione Italiana Cultura del Tè

14 Cachi, Il Pane degli Dei! Storia e ricette del frutto di zucchero

16 Venezia: La storia dietro alla maschera Un viaggio nella storia con Alberto Toso Fei

21 Alí e Alíper: Libertà di mangiare

25 S.O.S. Labbra Attenzioni e cure nella stagione fredda

27 Reazioni avverse ai cibi: Allergie o intolleranze?

30 L’Arte in cucina: Chef Marika Seguso Ricette speciali adatte anche a chi ha speciali esigenze

36 Montagna: Coccole ad alta quota! La montagna come cura per lo spirito, la mente e il corpo

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I beneficiIl blocco del flusso energetico è la principale causa scatenante delle malattie e il rimedio più efficace è quello di rimuoverlo.L’esercizio quotidiano del Tai Chi Chuan, grazie ai suoi movimenti fluidi e circolari, agisce beneficamente sul corpo e sullo spirito riattivando la corretta circolazione dell’energia.

Se praticato correttamente crea un armonioso flusso di energia che porta a un elevato stato mentale capace di influenzare positivamente il nostro corpo. In particolare il Tai Chi Chuan è utile per:

SISTEMA IMMUNITARIO• SISTEMA DIGESTIVO • SISTEMA NERVOSO • LEGAMENTI ARTICOLARI E MUSCOLI • CIRCOLAZIONE SANGUIGNA •

Col termine “arti marziali” si indica una famiglia di discipline estremorientali originariamente finalizzate al combattimento, a mani nude e con armi. Molte di queste hanno abbandonato nel dopoguerra il fine combattivo per divenire sport o esercizi ginnici. In altri casi invece hanno operato una sintesi tra le due vie, oppure si sono trasformate in forme di combattimento sportivo.

Il TAIJIQUAN, anche noto come TAICHI è, contemporaneamente, arte marziale ed esercizio per la salute ma anche disciplina per la coltivazione morale e caratteriale. Affinato nei secoli da generazioni di grandi maestri, è un metodo d’allenamento assolutamente originale basato sulle antiche concezioni cinesi di fisiologia energetica.

energia respiro forza

Tai Chi Chuan

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4 Tai chi chuan

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Per conoscere meglio questa disciplina e capirne i principi, abbiamo rivolto alcune domande al Maestro Fabio Smolari, esperto nella divulgazione delle discipline psicofisiche cinesi in Italia e all’estero.

Intervista al Maestro Fabio Smolari

Laureato in Lingue e Letterature Orientali (cinese) all’Università di Venezia, diplomato in Daoyin all’ISEF di Pechino (1993), Sinologo, storico del wushu, pratica le arti marziali dall’età di 12 anni. Cinque volte campione italiano di taijiquan, campione europeo nel 1996, 6° piazzamento ai Campionati del Mondo (USA 1995). Collabora attivamente con riviste specialistiche ed enti, italiani ed esteri, a ricerche storiche e tecniche sulle discipline orientali, organizza seminari, conferenze e viaggi aventi per tema la cultura e le tecniche del corpo tradizionali cinesi.

Cosa si intende per Fisiologia energetica?Nella concezione cinese del corpo umano i processi vitali avvengono per mezzo di un’energia e delle sue trasformazioni. Una visione condivisa anche dalla scienza occidentale, che però ha sviluppato una spiegazione e un’indagine dei meccanismi biologici di tipo chimico, biochimico ed elettrico.L’analisi cinese non entra così nel dettaglio e la stessa “energia” (qi) non ha ancora una chiara identificazione materiale. Ciò nonostante guida da duemila anni i medici cinesi nella diagnosi e nella terapia. Queste conoscenze rendevano più avanzata la medicina orientale rispetto a quella occidentale, poiché avevano individuato i processi circolatori già nel II sec. a.c., una scoperta che in Occidente avvenne

solo nel Cinquecento.La ginnastica daoyin, ad esempio, si fonda sul presupposto che una corretta circolazione dell’energia all’interno del corpo venga stimolata anche da un’opportuna attività fisica. Un concetto molto moderno! Affinché un esercizio fisico sia efficace e adeguato a questo scopo, deve però armonizzarsi con i principi della “circolazione energetica” del corpo, la quale ha centri principali di raccolta (ad esempio il basso ventre) e diffusione (muscoli, ossa, vene e meridiani energetici).Il taijiquan, disciplina che unisce i principi del daoyin all’arte marziale, è l’esempio più chiaro di questa simbiosi, e proprio perché adatto anche alla coltivazione della salute psicofisica è giunto sino a noi ed è ancor oggi apprezzato.

Tai chi chuanMI VOGLIO BENE

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Quali sono i punti essenziali del TAICHI?Da un certo punto di vista il taijiquan è uguale a ogni altro tipo di esercizio fisico. Se entriamo nello specifico possiamo però citare i vantaggi che ne hanno determinato il grande successo in Oriente e oggi anche in Occidente. Innanzitutto è una disciplina a corpo libero che non necessita di alcuno strumento, vestiario o condizione ambientale. Può essere praticato in ogni stagione, all’interno o all’esterno e ha come unico costo la lezione. Ma questo è il meno. Il vero punto di forza del taiji è la sua duttilità come metodo di allenamento, può cioè adattarsi a diverse esigenze e non ha particolari controindicazioni. É un esercizio bilanciato, equilibrato, simmetrico che promuove forza, elasticità, coordinazione, concentrazione e migliora le facoltà respiratorie. Troppo bello per essere vero? Dov’è il trucco? Beh non può piacere a tutti, richiede molta calma e pazienza. Chi pensa sia un esercizio di rilassamento ne sarà deluso. In realtà è quasi il contrario, cioè è necessario dominare a sufficienza una tecnica non facile per arrivare ad essere rilassati, solo allora funzionerà anche come metodo di rilassamento.

Cosa significa “usare l’intenzione e non la forza”?Questo è uno dei principi più dibattuti, incompresi e fonte di polemica. Nell’allenamento a singolo del taiji v’è una fase nella quale è necessario cercare con precisione estrema la posizione e il movimento corretto, corretto non in senso formale o estetico, ma nel senso della fisiologia energetica. Cioè muoversi nella miglior ergonomia usando correttamente le forze interne al corpo.Per far ciò è necessario eliminare le forze che contrastano quelle fisiologiche e ne divengono antagoniste.Esempio: se per scagliare un sasso lontano contraggo il braccio, il lancio risulterà corto e impreciso. Un lancio lontano avverrà solo usando i muscoli giusti al momento giusto e con l’opportuno grado di tensione, mentre gli antagonisti contemporaneamente si rilassano.Ecco dunque che è necessario, una volta raggiunta una posizione sufficientemente corretta, rilassare il più possibile tutte le parti inutili e far lavorare solo i muscoli necessari. Tutto ciò si spiega in maniera efficace dicendo “rilassarsi il più possibile” o “non usar forza” o meglio “non usare più

forza oltre la minima necessaria a mantenere la posizione e il movimento”. In verità non è nemmeno proprio così, ma diciamo che questo concetto lo può comprendere anche il neofita. Insomma per capire esattamente cosa muovere e fino a dove, è necessario usare l’intenzione, non lo si può fare in modo brutale. I maestri dicono infatti: “non si usi forza goffa, forza rigida” .

In cosa consistono le “sequenze” ed i relativi “movimenti”?Le sequenze sono una caratteristica peculiare di molte arti marziali cinesi. Si tratta di esercizi nei quali i movimenti sono costruiti in “sequenza”, collegati cioè gli uni agli altri secondo un preciso schema, un po’ come una coreografia di danza o un esercizio di ginnastica artistica. Ma i fini di queste sequenze non sono estetici, sono di allenamento. Una sequenza contiene e trasmette un bagaglio tecnico e anche un volume d’allenamento minimo. I movimenti all’interno delle

Per sprigionare la forza è necessario restare calmi e rilassati, permettendo al centro di gravità di affondare verso il basso.

Tai chi chuanMI VOGLIO BENE

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Fondata da Fabio Smolari ormai vent’anni fa, l’Associazione Culturale Serpente Bianco è impegnata nello studio e nella diffusione delle arti marziali cinesi (soprattutto Taijiquan) e del Daoyin. Il Serpente Bianco non è solo attività fisica ma anche lingua e cultura, viaggi e turismo, conferenze e dibattiti, mostre, degustazioni guidate. La rete di contatti e collaborazioni dell’associazione con numerose realtà nazionali ed estere, la rende una fucina di offerte d’alto livello e una preziosa finestra per la conoscenza del mondo orientale. www.serpentebianco.org

sequenze sono “tecniche”, “mosse” che hanno in origine un significato marziale o comunque di esercizio fisico.

Ci sono limiti d’età per praticare il Taichi ?No, e questo è un altro dei motivi del grande successo del taiji. Ma neanche per il jogging e il nuoto vi sono limiti d’età. L’età può però determinare scelte pedagogiche dell’insegnante. In verità non tanto l’età in sé, vi sono anziani più forti, resistenti, abili e capaci dei giovani, quanto

piuttosto perché con “età” intendiamo in genere una fascia di pubblico piuttosto sedentario che si rivolge a un esercizio fisico blando principalmente per mantenere o recuperare parte della funzionalità perduta.Possiamo paragonare allora il taiji alla bicicletta: c’è chi fa cross in mountain bike, chi fa velocità alle olimpiadi, chi fa il giro d’Italia, chi corre con gli amici la domenica, chi la spolvera con la bella stagione per fare un giretto attorno alla città. É sempre bicicletta ma è usata in modo molto diverso. Anche il taiji può essere usato in tutti questi diversi modi e risultare adatto a esigenze ed età diverse.

Il Serpente Bianco

Tai chi chuanMI VOGLIO BENE

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?La celiachia è una patologia autoimmune che comporta una intol-leranza permanente al glutine e colpisce 1 individuo su 100.L’introduzione di alimenti contenenti glutine determina, infatti, nelle persone predisposte geneticamente, una risposta immunita-ria abnorme a livello dell’intestino tenue, con conseguente infiam-mazione e scomparsa dei villi intestinali: il cattivo assorbimento dei nutrienti ne è la logica conseguenza. La dieta priva di glutine resta al momento l’unica terapia possibile per la celiachia, poiché consente la completa normalizzazione della mucosa intestinale, con “ricrescita” dei villi ad altezza normale e scomparsa dei sin-tomi eventualmente presenti. Importanti e qualche volta irreversi-bili le malattie determinate da una diagnosi tardiva: osteoporosi, infertilità, aborti ripetuti, bassa statura nei ragazzi, epilessia con calcificazioni cerebrali e il temutissimo linfoma intestinale. Non sempre la celiachia si presenta in modo palese. Infatti le sue for-me cliniche possono essere molteplici. La forma tipica ha come sintomatologia arresto di crescita (nel bambino), vomito, diarrea e perdita di peso, quella atipica si presenta tardivamente con sinto-mi prevalentemente extraintestinali (ad es. anemia), quella silente ha come peculiarità l’assenza di sintomi eclatanti e quella poten-ziale (o latente) si evidenzia con esami sierologici positivi, ma con biopsia intestinale normale.

Che Cos’è il glutineIl glutine è un complesso proteico presente in alcuni cerea-li (frumento, orzo, segale, farro, kamut, spelta, triticale, avena) e nei prodotti alimentari derivati, rendendoli tossici ai celiaci che ad esso sono intolleranti. Gli alimenti non consentiti, se preparati con cereali tossici, sono: farina, amido, semolino, pasta (fresca, secca, con o senza ripieno), prodotti da forno dolci e sa-lati (pane, grissini, crackers, fette biscottate, pan carrè, focacce,

Che cos’è

Veneto

la celiachia

pizza, biscotti, torte, ecc.) e ancora crusca, malto d’orzo, müesli e fiocchi di miscele di cereali. Tra i cereali e i vegetali privi di glu-tine invece ci sono: amaranto, castagne, grano saraceno, legumi (fagioli, lenticchie, piselli, ecc.), mais, miglio, patate, quinoa, riso e riso glutinoso, sesamo, soia e sorgo. La contaminazione dei prodotti naturalmente privi di glutine. Per produrre prodotti idonei al consumo dei celiaci, le aziende de-vono applicare un corretto piano di controllo delle materie prime e del prodotto finito, e monitorare costantemente il processo pro-duttivo, gli ambienti di lavoro, le attrezzature, gli impianti e gli ope-ratori. Possono verificarsi, infatti, fenomeni di contaminazione per cui da un ingrediente naturalmente privo di glutine si può ottenere un prodotto finito contaminato (amidi, farine, fecole, ecc.). L’attuale normativa sull’etichettatura degli alimenti impone l’obbligo di ri-portare la presenza di glutine qualora sia aggiunto volontariamente nel prodotto finito, ma non obbliga a indicare la potenziale pre-senza in tracce dovuta a contaminazione accidentale. Per questo motivo AIC consiglia di consumare solo prodotti del Prontuario degli Alimenti, il cui consumo è reso sicuro dalle verifiche a cui sono sottoposti. Per i prodotti sostitutivi dietetici invece (pane sen-za glutine, la pasta senza glutine, ecc...) il Ministero della Salute ha istituito un apposito Registro Nazionale.

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AICMI VOGLIO BENE

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AIC

Nel bambino l’intolleranza si manifesta solitamente a distanza di circa qualche mese dall’introduzione del glutine nella dieta, con un quadro clinico caratterizzato da diarrea, vomito, anoressia, irritabilità, arresto della crescita o calo ponderale.Nelle forme che esordiscono tardivamen-te dopo il 2°-3° anno di vita la sintomato-logia gastroenterica è per lo più sfumata e in genere prevalgono altri sintomi, quali deficit dell’accrescimento staturale e/o ponderale, ritardo dello sviluppo puberale, dolori addominali ricorrenti e anemia si-deropenica che non risponde alla sommi-nistrazione del ferro per via orale. Alcuni esami di laboratorio possono rafforzare il sospetto diagnostico di celiachia, ma solo la documentazione di anomalie (atrofia parziale o totale dei villi) della mucosa enterica, prelevata mediante una biopsia, può consentire la diagnosi. Una volta for-mulata la diagnosi, la dieta senza glutine deve essere condotta con molto rigore, perché l’assunzione, anche in piccole quantità, può mantenere le lesioni della mucosa.

Rispettare una dieta rigorosamente priva di glutine non è una cosa drammatica, ma certamente pone una serie di ostacoli pratici con i quali i celiaci e le loro famiglie devono fare i conti ogni giorno, causando disagio alla vita quotidiana. Il veto agli ali-menti comuni comporta una educazione alimentare ed una consapevolezza a cui molte persone non sono abituate.Se l’ampia scelta di prodotti oggi propo-sti dall’industria alimentare permette di seguire a casa una dieta sicura e varia, l’inserimento nelle comunità è tuttora problematico. Per i bambini nelle refezioni scolastiche e gli adulti nelle mense azien-dali non è sempre stato facile alimentarsi: la “concessione” della dieta priva di gluti-ne dipendeva largamente dalla sensibilità dei responsabili dei servizi di ristorazione collettiva. Oggi che, grazie all’interven-to della L.123/05, il pasto senza glutine nelle mense pubbliche (scuole, ospedali e altre strutture pubbliche) è un diritto del celiaco, resta ancora il disagio del trasferimento per studio, lavoro, turismo e la difficoltà di incontrare operatori della ristorazione consapevoli delle regole della dieta senza glutine.

La celiachia può colpire a qualsiasi età ma spesso per gli adulti non viene presa in considerazione. L’intolleranza, invece, può comparire dopo un evento stressan-te (gravidanza, intervento chirurgico o infezione intestinale). Le manifestazioni cliniche sono varie: alcuni soggetti pre-sentano un quadro classico di malassor-bimento con diarrea, perdita di peso e carenze nutritive multiple; altri riferiscono uno o più sintomi cronici spesso estra-nei all’apparato digerente. Sono comuni disturbi quali crampi, debolezza musco-lare, formicolii, emorragie, gonfiore alle caviglie, dolori ossei, facilità alle fratture, alterazioni cutanee, afte, disturbi psichici. Molto frequente è l’anemia da carenza di ferro. Esistono anche soggetti che non lamentano sintomi o nei quali i disturbi sono talmente modesti da non richiedere l’intervento del medico; vengono diagno-sticati solo perché nell’ambito familiare c’è una persona affetta da celiachia. Non raramente alla celiachia sono associate malattie quali diabete, artrite reumatoi-de, epatite cronica attiva, alterazioni della tiroide e dermatite erpetiforme. Anche nell’adulto la diagnosi si basa sulla biop-sia intestinale.

nel bambinonell’adulto

in società

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Le leggende occidentali attribuiscono il merito della scoperta del tè a un remotissimo imperatore cinese, Shen Nong, celebre per la sua profonda conoscenza di erbe e piante medicinali. Questi, che amava molto viaggiare, durante le sue peregrinazioni era solito ristorarsi con acqua posta a riscaldare sul fuoco. Un giorno, nel 2737 a.C., si sarebbe seduto a riposare all’ombra di un albero di tè selvatico e alcune foglie staccatesi dalla pianta, sarebbero cadute nel recipiente dove l’acqua bolliva rendendo, all’istante, il liquido di colore giallo oro e diffondendo intorno una dolce fragranza. L’imperatore, incuriosito, avrebbe bevuto l’infuso dichiarando poi che dava vigore al corpo, felicità alla mente e determinazione negli scopi. Nacque così l’uso del tè. Secondo la tradizione cinese Shen Nong avrebbe usato il tè come antidoto contro le numerose piante velenose che ingeriva per scoprire e classificare le proprietà delle erbe medicinali.

La bevanda

Espressione di una cultura evoluta e complessa, da millenni ormai, il tè e gli infusi accompagnano la vita dell’uomo in molti momenti

della giornata, nei vari angoli del mondo.Rito ammantato di sacralità in Giappone. Fede-le compagno nei nostri uffici, in tazze sempre più grandi. Tradizionale momento d’incontro familiare nelle case inglesi, arricchito da latte e zucchero. Indispensabile alleato, nelle diete più svariate, per le sue mille proprietà benefi-che. Così importante da essere, dopo l’acqua, la bevanda più diffusa al mondo. Ma da dove arriva questo infuso, una volta sconosciuto ed esotico e oggi così comune da averne perduto le tracce nella memoria? Tante sono le leg-gende a riguardo ma le vere origini rimangono avvolte dal mistero. La storia ufficiale data il diffondersi del tè in Cina, ai primi secoli della nostra era. In precedenza le foglie della pian-ta erano raccolte e ridotte in poltiglia, fino a formare degli impiastri da applicare sulle parti doloranti per alleviare i dolori reumatici.

Ogni dinastia, una tradizione!Nel VII sec. d.C., sotto la dinastia Tang, il tè divenne la bevanda nazionale cinese. Le fo-glie della pianta venivano cotte a vapore e poi pressate ed essiccate, formando dei panetti duri e facili da trasportare. Per poterlo con-sumare si staccava la quantità necessaria da questo blocco, per poi frantumarla nel mortaio e bollirla in acqua con altri ingredienti come sale, zenzero, buccia d’arancia e latte; qualche volta addirittura cipolle. Ancora oggi in Tibet, Mongolia e India il tè viene preparato quasi

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allo stesso modo. Già nell’VIII secolo però, gran parte degli ingredienti erano scomparsi e il tè era ormai una bevanda alla moda, molto diffu-sa tra i dignitari di corte. Fu in questo periodo che venne scritta la prima opera “scientifica” sul tè: il Canone del Tè o Cha Ching, del poeta Lu Yu. Questo testo, divenuto famoso in breve tempo, descrive la pianta del tè da un punto di vista naturale, la scelta di foglie da effettuare durante la raccolta, la preparazione dell’infuso del tè e, infine, tutta la cerimonia che accom-pagna la preparazione e la degustazione della preziosa bevanda.

Dal X secolo, sotto la dinastia Song, il tè co-nobbe la massima popolarità giocando un ruolo preponderante nella civiltà cinese. Costi-tuiva parte del tesoro imperiale, era monopolio di Stato ed era usato come moneta di scam-bio. É di questo periodo la nascita di un nuovo modo di preparare e bere la preziosa bevanda. I pezzetti di pane di tè, venivano ora pestati fino a ridurli in polvere finissima che, messa poi in una ciotola con l’aggiunta di acqua cal-da, era sbattuta con un frustino di bambù fino a farla schiumare. Il tutto accompagnato da un rituale molto preciso che oggi sopravvive solo in Giappone nella Cerimonia del tè (Cha no yu).

L’invasione mongola e l’avvento della dinastia Ming, nel XIII secolo, fecero scomparire com-pletamente anche il ricordo di questa tecnica. Fu in quell’epoca, inoltre, che si passò dalla conservazione in pani a quella in foglie che vennero da allora cotte in padelle, essiccate e poi lasciate pochi minuti in infusione in acqua non bollente, seguendo il metodo che ancora oggi utilizziamo.

Nobile

la bevanda nobileMI VOGLIO BENE

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la bevanda nobile

Il Té e l’EuropaGli europei non conobbero l’esistenza del tè che assai più tardi. I primi furono i Portoghesi, che nel XVI secolo esplorarono il Giappone ma la prima importazione in Europa, avvenne solo nel 1610, ad opera della Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Nei Paesi Bassi il tè si impose con relativa rapidità grazie alla calorosa collaborazione dei medici che continuavano a cantarne le lodi. Ben presto anche in Francia e Inghilterra arrivarono i primi carichi di tè e, quando gli stessi europei ne ebbero apprezzato l’importanza economica, introdussero la sua coltivazione nelle loro colonie. Nell’Ottocento la pianta si diffuse anche nella Russia caucasica, a Ceylon (oggi Sri Lanka) e in India, a quel tempo ancora sotto la dominazione inglese. Agli inizi del Novecento, anche Turchia, Iran e altri paesi medio orientali intrapresero la coltivazione del tè.

Il tè Matcha e l’Arte del Tè giapponese. Come si svolge la Cerimonia del Tè e come mai questa tradizione si è conservata solo in Giappone assumendo un carattere quasi sacro?Il termine matcha (maccha) è una parola giapponese che indica un tè verde stabilizzato a vapore e polverizzato. Per preparare la bevanda si mescolano alcuni grammi di polvere di tè con l’acqua calda dentro a una tazza, usando uno speciale frullino in bambù. Questo tipo di preparazione era diffusa in Cina fino

all’inizio della dinastia Ming (1368-1644) poi è scomparsa lasciando il posto al tè in foglie intere preparato nella teiera. L’uso del tè in polvere è stato importato in Giappone nel XII secolo dal monaco buddhista Eisai. In Giappone si è evoluto all’interno di un tipo di preparazione codificata, nata nei monasteri buddhisti e diffusasi tra l’élite dei guerrieri. Alla fine del XVI secolo il famoso maestro Sen Rikyu ha perfezionato tale arte, i cui movimenti e principi vengono tramandati in modo preciso e rigoroso delle varie scuole di arte del tè fondate dai suoi

Intervista al Prof. Livio Zanini, presidente dell’Associazione Italiana Cultura del Tè e docente presso l’univesità Cà Foscari

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红茶Tè fatto ossidare completamente dopo la raccolta. In inglese black tea, chiamato in cinese hongcha 红茶 (tè rosso; in giapponese kōcha). Il termine inglese si riferisce al colore delle foglie e il suo uso storicamente precede il cinese hongcha, verosimilmente riferito al colore dell’infuso. L’equivalenza tra i due termini è attestata dai maggiori dizionari sul tè e dalle tabelle doganali cinesi. Il tè nero viene anche definito tè “completamente fermentato”, in cinese quan fajiao cha 全发酵茶 ed è prodotto molto in India e nei paesi africani per accontentare il gusto occidentale che richiede tè forti e ricchi di teina, capaci di sostituire egregiamente il caffè.

Tè fatto appassire all’aria dopo la raccolta. In inglese white tea, dal cinese baicha 白茶 (tè bianco). Prodotti solo in alcune aree della Cina con cultivar particolari e, da alcuni anni, anche in altri paesi. Il nome è attribuibile al colore argenteo delle pubescenze sulle gemme di alcuni di questi tè. L’appartenenza a tale tipologia è determinata dal modo di lavorazione e non dal tipo di materia prima. Il tè bianco è leggermente (parzialmente) ossidato ed è uno dei tè cinesi più preziosi e ricercati. Viene prodotto in quantità minime e solo una parte raggiunge l’Europa, ecco perché ha spesso prezzi proibitivi.

té nero

té bianco

té verde 绿茶

白茶

Tè stabilizzato dopo la raccolta senza essere sottoposto a ossidazione. In inglese green tea, identico al termine cinese lücha 绿茶 (tè verde). La stabilizzazione (in inglese fixation, in cinese shaqing 杀青) è il processo termico che inibisce gli enzimi responsabili dell’ossidazione e permette alle foglie di mantenere il loro colore verde. Può essere eseguita con calore secco (tostatura) come nel caso dei tè verdi cinesi, oppure calore umido (vaporizzatura) come nel caso dei tè verdi prodotti in Giappone e in diversi altri paesi. Il tè verde viene anche definito tè “non fermentato”, in cinese bu fajiao cha 不发酵茶 ed è proprio perché le foglie non vengono sottoposte a tale procedimento che conservano il loro colore verde, producendo un infuso chiaro e profumato.

eredi e discepoli. Il cha no yu, l’arte del tè giapponese (chiamata impropriamente “cerimonia”) si fonda sulla ricerca estetica di tutti gli aspetti dell’evento “tè”, a partire dallo spazio dove esso si svolge, fino al cibo di accompagnamento. In virtù della totale concentrazione richiesta nella preparazione della bevanda – come altre arti giapponesi – il cha no yu ha assunto le caratteristiche di esercizio spirituale. I principi estetici dell’arte del tè giapponese, hanno valicato i confini della preparazione e degustazione della bevanda, influenzando molteplici aspetti della vita materiale e spirituale del Giappone e occupando una posizione centrale nell’identità culturale di tale paese.

La pianta del tè è una e appartiene alla famiglia delle Camelie; è quindi solo la

lavorazione a creare le differenze? Da dove arrivano i ceppi originali? Quali sono stati i criteri di scelta nel tempo per cui alcuni tipi di tè sono rimasti mentre altri sono stati scartati e quindi perduti?La Camellia sinensis, (L.) O. Kuntze, ovvero la pianta del tè, è originaria dell’area tropicale e subtropicale che comprende la Cina sud occidentale e le zone limitrofe, come molte altre specie del genere Camellia. Nel corsodel tempo si è estesa a tutta la Cina meridionale. Come per tutte le specie vegetali, esistono numerose varietà di Camellia sinensis con caratteristiche proprie, che si sono diffuse in determinate aree in base alle specifiche condizioni pedoclimatiche. In Cina vi sono alcune varietà a diffusione nazionale e numerose varietà autoctone. Come per tutte le piante

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绿茶

la bevanda nobile

trattati di medicina europei del XVII secolo. Arrivati al XIX secolo in Gran Bretagna il tè aveva perso l’originaria immagine di bevanda straniera ed esotica bevuta nei locali pubblici. Il suo consumo era diffuso tra tutte le fasce sociali e si era colorato con le calde note della tipica vita domestica inglese, divenendo un elemento distintivo e irrinunciabile dell’identità culturale britannica.

L’Associazione Italiana Cultura de Tè. Perché è nata, cosa si propone e quali sono le sue attività principali?L’associazione era nata come un gruppo di ricerca, con l’obiettivo di unire le persone che si occupano di studi sulla cultura del tè, come una qualsiasi associazione di tipo accademico. C’è voluto poco tempo per capire che le persone che in Italia svolgono ricerca su questi argomenti si contano sulle dita di una mano. Nel contempo ci siamo resi conto che c’era una crescita di interesse per il tè nel nostro paese, a fronte della quale le uniche fonti d’informazione sulla bevanda disponibili erano rappresentate dai commercianti, spesso con una conoscenza limitata della materia e assai poco propensi a far conoscere qualsiasi cosa andasse oltre la lista dei propri prodotti, e da pochi libri, con poche eccezioni scritti da “esperti” improvvisati. Dal 2006 abbiamo iniziato a svolgere attività didattica organizzando corsi e seminari. Oggi la maggior parte dei nostri soci è costituita da professionisti del settore e appassionati della bevanda che prendono parte ai corsi e alle altre attività dell’associazione. Oltre a questo cerchiamo di svolgere attività divulgative con manifestazioni ed eventi pubblici.

Livio Zanini ,

Presidente in carica. Professore a contratto di Interpretazione dal Cinese dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, cofondatore dell’Associazione, consigliere onorario del China International Tea Culture Institute. Ha svolto studi e numerosi viaggi di ricerca per approfondire sia gli aspetti storici della bevanda, sia quelli legati alla sua produzione, preparazione e degustazione, con la visita a numerose aree di produzione in Cina, in Giappone e in Corea. Da anni impegnato nella diffusione della cultura del tè nel nostro paese, ha curato la realizzazioni di numerosi eventi legati ad esso. Autore di diversi articoli sulla storia e sulla tradizione della bevanda ha appena dato alle stampe il suo primo libro, “La via del tè: la Compagnia Inglese delle Indie Orientali e la Cina”, che uscirà nei prossimi mesi, edito da Il Portolano.

www.aictea.it

ad uso alimentare, la ricerca ha cercato di selezionare cultivar con determinate caratteristiche qualitative unite a una buona produttività e resistenza. Negli ultimi decenni la crescita del mercato interno cinese ha portato a una riscoperta delle varietà minori. Detto questo però, il fattore più importante che determina le caratteristiche delle diverse tipologie di tè in commercio è la lavorazione. Le foglie della stessa pianta possono dare prodotti completamente diversi in base al modo in cui vengono trattate.

Popolazioni assai diverse e distanti, come Giappone e Inghilterra, legano le loro tradizioni al tè. Se in Giappone è un rito, quale storia particolate lega invece l’Inghilterra al tè?Il tè è arrivato in Inghilterra piuttosto tardi rispetto ai paesi dell’Europa continentale. La prima locandina che ne pubblicizzava le virtù e la vendita risale al 1660. A differenza del Giappone, dove si coltiva il tè, per i paesi europei il tè è sempre stato un prodotto esotico d’importazione, così come il caffè. All’origine del successo del tè in Inghilterra vi è un inestricabile insieme di fattori che comprendono gli interessi commerciali della Compagnia delle Indie (l’unico importatore autorizzato), lo scarso coinvolgimento degli inglesi nella coltivazione del caffè nelle loro colonie e l’enorme disponibilità di tè di contrabbando che giungeva sulle isole britanniche. Le modalità di consumo tipicamente inglesi, con l’aggiunta di latte e zucchero, sono le stesse consigliate da gran parte dei vari

Associazione Italiana Cultura del Tè

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Il cachi melaOltre al cachi comune, esiste anche il cachi “mela” e “vaniglia”. La polpa è leggermente meno dolce, più soda e croccante e il frutto può essere sbucciato e tagliato come una mela.

Il cachi, abbreviazione del nome giapponese “Kaki no ki”, noto anche come “mela d’oriente” o “loto”, è un’antica pianta di origine

cinese, particolarmente estesasi poi in Giappone. La dolcezza e la ricchezza di questo frutto furono così apprezzate nel mondo, da essere chiamato Diospyros, cioè “Pane degli Dei”.I popoli asiatici lo considerano l’albero dalle sette virtù:

la lunga vita•la grande ombra•la mancanza di nidi tra i rami•l’assenza di tarli nel legno•la possibilità di giocare con le •foglie indurite dal geloil bel fuoco ricavato dalle sue •spesse foglie secchel’ottimo concime che si ottiene •dalle foglie cadute

In Europa arrivò nel 1700, prevalentemente come pianta ornamentale, ma la sua coltura si diffuse presto grazie alla bontà e alle qualità del suo frutto.

Il cachi infatti, chiamato così sia al singolare che al plurale, è ricco oltre che di zuccheri di beta-carotene che dona la brillantezza al suo color

Un’ottima maschera,

facile e veloce, si può

preparare semplicemente

schiacciando la polpa

matura del cachi e

spalmandola sul viso.

Al risciacquo con

acqua tiepida dopo 15-

20 minuti, avremo la

pelle del viso nutrita e

luminosa!

“CACHI, IL PANE DEGLI

DEI!”arancio. Il betacarotene è un potente antiossidante utile per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e il rafforzamento del sistema immunitario. É, inoltre, un precursore della vitamina A, necessaria per la protezione di pelle, unghie e capelli. Queste sue virtù, lo rendono largamente adoperato in cosmetica, per la preparazione di maschere nutrienti e rassodanti.Il cachi, ricco di potassio, calcio, fosforo e fibre ha proprietà diuretiche e lassative, utili alle funzionalità intestinali e indicate in caso di stipsi oltre ad essere un ottimo alleato contro la ritenzione idrica. La ricchezza di zuccheri e sostanze contenute nella polpa del frutto, lo rendono poi un ottimo rimedio per combattere le sindromi da stanchezza, nonché un valido ricostituente nei casi di debilitazione e convalescenza.

I cachi devono esser consumati a maturazione completa per evitare l’effetto astringente dovuto alla presenza di tannini, astringenti naturali, il cui sapore “lega”il palato. Durante la maturazione infatti, i tannini vengono sostituiti da zuccheri conferendo così, al cachi, il suo sapore dolce e delicato e rendendone la polpa morbida e cremosa.

Cachi, il pane degli Dei!MI VOGLIO BENE

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Cachi, il pane degli Dei!

I CONSIGLI DELLO CHEF:

Le scagliette di cioccolato posso essere sostituite con amaretti sbriciolati.

SENZA GLUTINE SENZA UOVA

INGREDIENTI (per 4 persone):

• 4 cachi• 200 g ricotta• 3 cucchiai di panna da montare• 1 cucchiaio di succo d’acero• cioccolato fondente a scaglie• foglioline di menta per guarnizione• liquore per guarnizione (a piacere)

PREPARAZIONE:

1. Svuotate i cachi con un cucchiaio eliminando completamente la buccia e le parti bianche e mettete da parte la polpa.

2. Montate la panna poi incorporatela gentilmente alla ricotta fino a ottenere una crema. Aggiungete quindi metà della polpa di cachi frullata e il succo d’acero.

3. Versate la crema in 4 coppette, o bicchieri, cospargete con le scagliette di cioccolato fondente e ricoprite il tutto con la restante polpa di cachi.

4. Lasciate raffreddare le coppette in frigo per almeno 3 ore e, prima di servire, guarnitele con le foglioline di menta e qualche goccia di liquore.

Dessert cremosocon salsa di cachi

Valori nutrizionali100 gr di cachi

• 65-70 kcal• acqua 80%• zuccheri 16-18%

Per favorire la maturazione dei cachi bisogna disporli su un

cartone, o in una cassetta, in un luogo caldo e

asciutto, distanziati tra di loro e intervallati

da delle mele. Le mele, infatti, liberano

acetilene ed etilene, due gas che favoriscono la maturazione dei cachi,

arricchendoli di zuccheri.

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Alberto Toso Fei

La Storia dietro la Maschera

Per molti secoli, nel mondo, la parola “Carnevale” è stata quasi un sinonimo di “Venezia”, tanta era la corrispondenza tra la teatralità e la festosità del periodo che precede la Quaresima e la vita della città lagunare.

A Venezia ci si poteva mascherare da ottobre fino a martedì grasso, anche se il culmine dei festeggiamenti iniziava a Santo Stefano, giorno nel quale terminava la “tregua” Natalizia e, con il “Liston delle Maschere”, ci si avviava alle lunghe settimane finali.

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Storie e storielleCelebri sono rimasti a Venezia i carnevali molto allegri di Elena Priuli, moglie del potente procuratore Federico Venier, che appostata alla verandina del suo “casinetto” situato sul ponte dei Bareteri, in piena Merceria, osservava da quel punto privilegiato lo sfilare delle maschere. Appena notata una “preda” appetibile, la nobildonna infilava larva e tricorno, e nascosta dalla sua bautta (la tipica maschera veneziana conosciuta anche come “volto bianco”) scendeva a sedurre il prescelto, invitandolo di sopra e trascinandolo nella sua alcova al suono dei violini di alcuni musicisti nascosti in una stanzetta attigua da cui la melodia si diffondeva.La Priuli non temeva certo d’essere sorpresa da qualche visita improvvisa: stando davanti alla porta d’entrata, da un foro ancora esistente sul pavimento del salone, semplicemente sollevando una piastrella, si poteva facilmente riconoscere il molesto importuno. Secondo la leggenda il Casino Venier aveva un’uscita segreta proprio sotto il ponte.

Non sempre però l’uso della Bautta garantì dei vantaggi, come emerge da un episodio del 1548 in cui, dopo aver partecipato a giostre e tornei in campo Santo Stefano, il Duca di Ferrandina si recò a Murano per una festa. Celato dietro la sua maschera, fece un invito troppo galante a una gentildonna locale, scatenando le ire di due nobili veneziani, tra cui Marco Giustinian. Ne nacque una rissa in cui il Giustinian ferì mortalmente alla testa il Duca, e quest’ultimo, per errore, sferrò una letale stoccata al proprio amico Fantino Diedo: morirono entrambi pochi giorni dopo.

Si tenne in campo Santo Stefano, il 22 febbraio 1802, l’ultima caccia dei tori di un carnevale veneziano. Era una sorta di corrida - ne avvenivano anche con gli orsi - che si teneva nel corso delle settimane finali, assieme alle più semplici “regatte” di carriole.

La maschera ha sempre assunto un significato rituale: era lo spogliarsi della propria identità pubblica per seguire con più libertà i propri istinti, in uno strano miscuglio di verità e illusione. Una sorta di abito magico che donava un potere nuovo e insperato a chiunque l’indossasse. Chiunque si mascherasse aveva l’impressione di non avere più vincoli e legami con la sua vita di sempre.

la storia dietro la mascheraMI VOGLIO BENE

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Tutti i festeggiamenti – in particolare quelli nobiliari privati – avevano sempre un’aura di grandissimo sfarzo. Signori incontrastati degli antichi Carnevali veneziani erano i giovani nobili appartenenti alle Compagnie della Calza, aggregazioni che organizzarono la vita di spettacolo veneziana tra il XV e il XVI secolo. Le varie Compagnie avevano nomi di fantasia ispirati alle virtù come i Floridi, degli Uniti o i Concordi e si distinguevano per i diversi colori con cui decoravano le proprie lunghe calze.

Fra le altre cose, i Compagni di Calza introdussero nei banchetti veneziani nuove consuetudini, specialmente durante il Rinascimento, quando si affermò l’uso di pasticci singolari, chiamati pastelli, che venivano serviti a tavola più per meravigliare i commensali che per essere mangiati. Una volta tagliati, da essi zampettavano fuori ricci, conigli e granchi vivi. Nel 1542, durante un banchetto del patriarca Marco Grimani, una delle novanta portate fu particolarmente spettacolare: tagliati i pasticci ne uscirono uccelli che cominciarono a svolazzare per la sala.

Non tutti i banchetti furono però un successo: i giovani della Compagnia degli Eterni, offesi per il misero pranzo imbandito in occasione delle nozze di Alvise Morosini, loro compagno di Calza, non trovarono di meglio che mettere a soqquadro la casa della sposa e impadronirsi di due bacili d’argento che impegnarono a Rialto per poi spendere il ricavato in una lauta cena all’osteria della Campana, si immagina alla salute degli sposi.

la storia dietro la maschera

Compagnie della Calza e banchetti

Il bisogno di mascherarsi, di

abbandonarsi all’ebbrezza e al

gioco è in realtà antichissimo, al

punto che sull’origine del moderno

carnevale si sprecano le ipotesi:

c’è chi vorrebbe far risalire i

festeggiamenti ai Saturnali romani,

chi alle orge dionisiache, chi a

perduti riti caldei.

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Dai festeggiamenti non erano peraltro escluse monache ed ecclesiastici, come emerge più volte nel corso dei secoli. Cosimo III di Toscana, narrando il suo viaggio per l’alta Italia, si stupì dell’eleganza civettuola delle monache di San Lorenzo, che vestivano “leggiadrissimamente con abito bianco come alla francese”, con busti di bisso a piegoline, capelli arricciati e bene accomodati. Scrive poi un anonimo libellista cinquecentesco: “Il Carnevale molte monache se ne mascarono, e poi a piedi, vanno per tutta la città e festini, e tornano quando gli pare.” Nel Settecento le cose non migliorarono di certo. Sappiamo da alcuni dispacci di agenti segreti, inoltrati agli Inquisitori di Stato nell’ottobre 1705, che i parlatori del monastero di San Lorenzo, erano “frequentati da maschere che vi dimorano per più ore, et a Santa Caterina ho osservato quei parlatori star aperti fino passate le quattro della notte”. Ecco, infine, cosa scriveva in rima il poeta Francesco Berni, sulle monache della Celestia:

“Stiamo in una contrada et in un rio Presso alla Trinità e all’Arsenale Incontro a certe monache di Dio Che fan la Pasqua come il Carnevale”.

L’Amor Sacro e l’Amor Profano

“L’abito fu la maschera veneziana, che voi conoscete, e che può dirsi piuttosto un abito di convenzione che di decorazione. L’uso di quella non è men vantaggioso al popolo che alla nobiltà. Questa vi si nasconde per entro con preziosa libertà, gran parte dell’anno e il popolo crede, che la rassomiglianza dell’abito lo inalzi a rassomiglianza in certo modo al signore. Il saggio Governo ha conceduto privilegi alle maschere, e il dabben popolare, lusingato da questa ingegnosa comunanza, crede di non aver più nessuno al di sopra, quand’ha la maschera al volto.” Giustiniana Wynne de Rosenberg, scrittrice amica di Casanova.

ALBERTO TOSO FEI

Alberto Toso Fei, appassionato di storia veneziana, discende da una antica famiglia di vetrai di Murano. Scrive libri sulla Venezia curiosa e del mistero, tra storia e leggenda, recuperando il patrimonio della tradizione orale: i più recenti, editi da Studio LT2, sono “I segreti del Canal Grande” e “Misteri di Venezia” (a cui è associato il libro gemello “Misteri di Roma”, della stessa collana). Sulle due città ha realizzato anche due libri-gioco per Log607/Marsilio, dando vita alla saga del “Ruyi”. È fondatore e direttore artistico del Festival del Mistero, interamente dedicato al Veneto e ai suoi luoghi leggendari.

www.albertotosofei.it

la storia dietro la mascheraMI VOGLIO BENE

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Nelle rigide giornate in-vernali, ci si protegge dal freddo con maglioni, sciarpe, giacche e cap-pelli. Alcune parti del

nostro corpo però, come viso e mani, restano più esposte alle intemperie. Le labbra in particolare, il cui colore più acceso è dovuto al fatto che la pelle lì è più sottile che nel resto del viso, sono messe a dura prova dagli agenti atmo-sferici e tendono a seccarsi fino a scre-polarsi, a causa di una sostanziale per-dita d’umidità. L’eccessiva secchezza porta poi a desquamazione, screpola-ture o piccoli tagli e ferite. Ecco perché cura e idratazione sono fondamentali, soprattutto quando siamo esposti a freddo e vento!

In queste situazioni si deve, prima di tutto, evitare assolutamente di umet-tarsi continuamente le labbra con la sa-

liva o mordicchiarle con i denti perché, dopo l’apparente sollievo, si peggiora la situazione e si aggravano le lesioni.

Miele

Prevenire il problema però si può, usando prodotti emollienti specifici per la cura quotidiana, ma ricorrendo anche a rimedi naturali come piccoli trucchi “casalinghi” e consigli della nonna, particolarmente utili quando le labbra danno i primi segni di disidratazione.

Il rimedio naturale per eccellen-

za è il miele, che nutre e favorisce la cicatriz-

zazione delle screpolature. Basta spalmar-ne un po’ con un cucchiaino, come fosse un rossetto,

e lasciarlo in posa sulle labbra per almeno

15 minuti, massaggiandole ogni tanto.

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Noterete immediatamente i suoi effetti le-nitivi ed emollienti! Anche il burro però, può essere un rimedio casalingo molto efficace per delle labbra sofferenti. Basta applicar-ne una discreta quantità, direttamente sulla bocca, e lasciarlo in posa per 10 minuti. Lo si può poi rimuovere con uno spazzolino morbido, favorendo così l’esfoliazione e la rimozione delle pel-licine. In passato si usava anche una sorta di burrocacao, ottenuto da cera d’api e olio d’oliva o di mandorla. Il proce-dimento è molto semplice. Dopo aver sciolto in un pentolino la cera d’api uni-ta all’olio, si mescola il tutto fino a rag-giungere la consistenza di una crema densa che si lascia poi raffreddare in un contenitore, o un barattolino, otte-nendo una specie di saponetta densa da spalmare poi, frequentemente, sulle

labbra. L’effetto balsamico e calmante è istantaneo e, l’uso di ingredienti na-turali, lo rende perfetto anche per chi è allergico alle sostanze chimiche conte-nute in molti prodotti cosmetici e mal tollerate dalla pelle.Un prodigioso prodotto per le epidermi-di delicate, particolamente efficace nel caso di infezioni micotiche e irritazioni cutanee, è poi l’olio di Tea Tree o “al-bero del tè”. Versandone qualche goc-cia con le dita e massaggiandolo sulle labbra, donerà un piacevole sollievo fin dalla prima applicazione.

Un altro rimedio curativo molto noto, è infine l’Aloe Vera, ricca di proprie-tà emollienti e lenitive. Scegliere un prodotto che ne contenga una buona percentuale consente, quindi anche, il mantenimento della corretta idratazio-ne della pelle. Le sue doti terapeutiche, sono frutto degli innumerevoli principi attivi e nutritivi presenti nelle foglie del-la pianta, a partire dai Mucopolisacca-ridi, ovvero quegli zuccheri complessi racchiusi nel gel interno alla foglia.

Labbra e mani sono più sogget-te a disidratazione, fragilità e screpolature. Perchè? Cos’han-no in comune? Sono entrambe prive di ghiandole sebacee. Il sebo è un grasso naturale che forma una pellicola protettiva ed evita che la pelle si sec-chi eccessivamente. La cute di bocca e mani si inaridisce quindi con maggiore facilità, screpolandosi e lesionandosi.

La pelle è un organo che va nu-trito e dissetato regolarmente, sia dall’interno che dall’esterno e questa è una regola partico-larmente valida per le labbra, che presentano una cute molto sottile e sensibile. La struttura della pelle delle labbra è, infat-ti, molto diversa da quella del resto del corpo poiché manca di cheratina, una sostanza che conferisce una certa rigidità all’epidermide in generale, ren-dendo quella delle labbra più morbida, delicata e esposta alle condizioni climatiche e ambientali.

Attenzione quindi a freddo e ven-to, ma anche a caloriferi e caldo troppo secco i n casa o in ufficio!

REAZIONI AVVERSE AI CIBI

MI VOGLIO BENE

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Page 29: MVB magazine

Fin dall’antichità siamo a conoscenza del legame esi-stente tra alimentazione e salute. Già nel 400 a.c. Ippo-crate aveva notato come il latte di mucca potesse pro-durre degli effetti negativi su alcuni soggetti. Egli sotto-lineava infatti, l’importanza dell’alimentazione sugge-rendo “che l’alimento sia la tua medicina e la medicina sia il tuo alimento”.

Tuttavia, le REAZIONI AV-VERSE AL CIBO rientrano ancor oggi tra le tematiche controverse della medicina e le definizioni di allergie e intolleranze alimentari sono al centro di un complesso di-battito in campo scientifico.Attualmente si utilizza il ter-mine di “REAZIONI AVVER-SE AI CIBI” per definire ge-nericamente i disturbi legati all’ingestione del cibo, spe-cificando poi la distinzione tra allergie e intolleranze.

Allergie o Intolleranze?

REAZIONI AVVERSE AI CIBI

reazioni avverse ai cibi

Nel tentativo di classificare le reazioni avverse al cibo, l’Accademia Americana di Allergologia, Asma ed Immunologia (AAAAI) ha classificato i cinque stadi di avversione secondo le caratteristiche dei vari tipi di reazione:

Reazioni allergiche • propriamente dette

Pseudoallergie da deficit enzimatici • (es. deficit di lattasi con intolleranza al latte)

Reazioni pseudoallergiche • (ipersensibilità con vari sintomi, come le cefalee)

Reazioni tossiche agli alimenti • (es. avvelenamento da funghi)

Intolleranze alimentari • (nelle quali, eliminando completamente l’alimento nocivo, scompare il sintomo)

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L’Accademia Europea di Allergologia ed Immunologia Clini-ca (EAACI) ha introdotto la distinzione tra reazioni avver-se tossiche e non tossiche, definendo quelle tossiche, o da avvelenamento, come causate dalla presenza di tossine nell’alimento ingerito (come nel caso di funghi velenosi) e le non tossiche come dipendenti dalla specificità dell’individuo, dividendole in allergie o intolleranze.Generalmente si ritiene che le allergie siano mediate da meccanismi immunologici mentre le intolleranze non siano provocate dal sistema immunitario.

Si parla di allergia alimentare quando il sistema immuni-tario reagisce istantaneamente, in maniera anomala, a un agente esterno (allergene) innocuo per la maggior parte del-le persone. Tale reazione si esprime al primo contatto attra-verso la formazione di anticorpi specifici, chiamati IgE, che hanno il compito di difendere l’organismo da ciò che, l’orga-nismo stesso, riconosce come estraneo a sé, comportandosi in modo simile a quando reagiscono a batteri o virus.

Le intolleranze alimentari dipendono, invece, da un pro-gressivo accumulo di sostanze infiammatorie nell’organismo che scatena reazioni negative anche a distanza di tempo dall’assunzione del cibo ingerito, coinvolgendo il metaboli-smo ma non il sistema immunitario. La reazione scatenata

reazioni avverse ai cibi

dall’ingestione di uno o più alimenti è legata alla quantità ingerita (dose-dipendente) ma, a differenza delle allergie ali-mentari, non è mediata da meccanismi immunologici, anche se si manifesta con l’insorgere di sintomi spesso sovrappo-nibili a quelli delle allergie stesse.

Le reazioni istantanee allergiche, come l’orticaria data dall’ingestione di fragole, l’asma, l’edema delle mucose dopo aver mangiato crostacei o lo shock anafilattico, sono diverse dalla sintomatologia associata alle intolleranze alimentari. Queste infatti, perdurando nel tempo, possono dare luogo a problemi cronici e provocare alterazioni come difficoltà digestive, palpitazioni cardiache, alitosi, stanchezza dopo i pasti, crampi diurni e notturni, ipersudorazione, afte orali, aerofagia, pruriti, ecc...Questi e altri sintomi sono indicativi per suggerire la pre-senza di eventuali patologie dovute a una difficoltà dell’or-ganismo a digerire o metabolizzare un alimento o un suo componente.É fondamentale quindi, se si ritiene di essere a rischio di allergie o intolleranze, consultare il proprio medico per in-dividuare con precisione i cibi responsabili delle reazioni avverse e valutare il metodo diagnostico più idoneo tra quel-li presenti, così da adottare delle sane abitudini alimentari escludendo gli allergeni responsabili.

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reazioni avverse ai cibi

Per maggiori informazioni, approfondimenti e suggerimenti pratici, vi consigliamo di visitare il sito del Ministero della Salute.

ALLERGIA ALIMETARE INTOLLERANZA ALIMENTARE¥che cosa é?É una reazione del sistema immunitario nei confronti di un alimento o di un suocomponente.

¥Quando si manifesta?I sintomi di un’allergia alimentare si manifestano in breve tempo dall’ingestione di un particolare alimento.

¥Quali sono gli alimenti coinvolti?Anche se le allergie alimentari possono manifestarsi con qualsiasi alimento o componente alimentare, tra i più comuni vi sono: latte vaccino, uova, arachidi, crostacei, frutta secca, soia.

¥che cosa é?É una reazione negativa che dipende da una difficoltà dell’organismo a digerire o metabolizzare un alimento o un suo componente.

¥Quando si manifesta?I sintomi di un’intolleranza alimentare posso comparire anche a distanza di tempo dal consumo dell’alimento responsabile.

¥Quali sono gli alimenti coinvolti?Le due cause più comuni responsabili di un’intolleranza alimentare sono: lattosio e glutine. fonte: www.ministerodellasalute.it

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L’amore per la buona cucina è qualcosa con cui Marika è nata e cresciuta, guidata e ispirata, in questa sua passione, dalle nonne, abilissime cuoche e dai genitori che adoravano coinvolgerla, fin da piccolissima, nelle loro “maratone culinarie”.Talento, creatività e una naturale predisposizione nell’arte del ricevere troveranno risposta nel 1998 nell’incontro con Yolanda Garretti e Viola Buitoni che offrono a Marika un ruolo di responsabilità nel loro Catering-Store di Madison Avenue. Nel 2001 Marika si diploma con successo all’Insitute of Culinary Education di NY che le aprirà le porte per una breve ma significativa esperienza presso uno dei ristoranti più rinomati di New York: Chantarelle, dal cui famoso chef owner David Waltuck, apprende tecniche e segreti dell’alta cucina francese.Nel Settembre 2001 Marika e i suoi soci, fondano, a New York, Acquolina e sarà l’inizio di un’incredibile avventura che porterà Acquolina ad affermarsi in pochi anni come il Catering di fiducia di importanti aziende di fama internazionale.Col ritorno in Italia prende forma in Marika il desiderio di riportare Acquolina e il suo successo alle origini e dove

Chef Marika Seguso

il sogno era iniziato. Cosi, mentre a New York le redini restano nelle mani dei suoi soci, in Italia, con base a Venezia, nel 2006, Marika crea la sorella Italiana di Acquolina.

Quella di Marika è una cucina che affonda le sue radici nella semplicità e nei sapori della tradizione italiana, ma sempre rivisitata e interpretata alla luce delle influenze e tendenze della cucina contemporanea in un’armonia di profumi e sapori, con un’estrema attenzione all’accostamento dei colori e delle forme: nascono cosi, piccole opere d’arte gastronomica che sono una gioia per gli occhi prima ancora di assaporarle!

...a proposito di Marika

L’Arte in cucina

In ogni numero di MVB, il nostro Chef prenderà spunto dagli argomenti proposti e preparerà ricette speciali adatte anche a chi ha speciali esigenze!

Villa Ines - B&B al Lido di Veneziawww.acquolina.com

L’Arte in cucinaMI VOGLIO BENE

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TEMPURA ALLA VENEZIANAChef Marika Seguso

L’Arte in cucina

INGREDIENTI (per 6 persone):

• 10 foglie di salvia intere• 1/2 peperone rosso tagliati a striscioline• 1/2 peperone giallo tagliati a striscioline• 1 piccolo cuore di finocchio tagliato a fettine • 1 piccola zucchina tagliata a rondelle• 1 piccolo porro tagliato a rondelle• 150 gr. formaggio fresco tipo primosale o riccotta tagliato a cubotti di 2 cm.• 1 tazza di farina di riso• acqua minerale gasata ghiacciata q.b.• sale q.b.

PER FRIGGERE:Olio di semi di arachidi o olio di semi di girasole

I CONSIGLI DELLO CHEF: Pulisci sempre l’olio da eventuali gocce di pastella e scarti tra una frittura e l’altra. Evita che l’olio si scaldi troppo e inizi a fumare.

PREPARAZIONE:

1. Con una frusta mescolare la farina di riso con acqua minerale gasata ghiacciata 2. Aggiungere a poco a poco l’acqua, la quantità adeguata per ottenere un composto liscio (senza grumi) e cremoso. 3. Salare e lasciar riposare il composto in frigorifero per 20 minuti. 4. Mondare e preparare le verdure e i cubotti di formaggio. 5. Scaldare l’olio in una pentola alta almeno 20 cm. 6. Preparare un vassoio foderato di carta assorbente e una schiumarola. 7. Fare un test per capire se l’olio è alla temperatura giusta: immergere una foglia di salvia nella pastella e lasciarla cadere gentilmente nell’olio. Se la foglia tocca il fondo e subito torna a galla significa che l’olio ha raggiunto la temperatura corretta. 8. Procedendo con una tipologia di verdura alla volta lasciar scivolare i pezzi coperti di pastella nell’olio bollente avendo cura di porli distanziati gli uni dagli altri. Muoverli subito con la schiumarola e girarli. 9. Appena prendono colore da entrambi i lati scolarli e disporli sulla carta assorbente. 10. Spolverizzare di sale prima di servire.

L’Arte in cucina 31MI VOGLIO BENE

SENZA GLUTINE

VASENZA UO

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PETTO D’ANATRA CON ARANCIA E TÈ AL BERGAMOTTO

Chef Marika SegusoL’Arte in cucina

INGREDIENTI (per 6 persone):

• 2 petti d’anatra (700 gr. totali)• un pezzo di porro tagliato a rondelle finissime• burro q.b. (sostituibile con olio evo)• 2 arance non trattate • 4 bustine di té al bergamotto• 2 cucchiai di Grand Marnier• 1 spicchio d’aglio• sale e pepe• pane ai cereali (senza glutine)

COMPOSTA DI ARANCE E SCORZETTE:• 500 gr di arance non trattate • 350 gr di zucchero

I CONSIGLI DELLO CHEF:Per verificare la corretta densità del composto mettere una goccia su un piatto e inclinarlo. La goccia dev’essere densa e far fatica a colare, altrimenti continuare la cottura fino a ottenere la giusta densità.

COMPOSTA:1. Togliere la parte gialla delle arance e tagliarla a listarelle. 2. Bollirle in acqua per 2-3 minuti. 3. Cambiare l’acqua e ripetere la stessa operazione altre 2 volte. 4. Pelare le arance a vivo scartando tutta la parte bianca. 5. Tagliarle a piccoli pezzi, aggiungere lo zucchero e cuocere a fuoco basso, in un pentolino antiaderente, per un’ora circa continuando a mescolare di tanto in tanto. 6. Aggiungere le scorzette ben scolate dall’acqua e cuocere a fuoco basso per altri 30 minuti.

PREPARAZIONE:1. Sciacquare e asciugare i petti d’anatra. 2. Marinare i petti di anatra con le 4 bustine di té al Bergamotto fatte rinvenire in poca acqua bollente e il succo di un’arancia. 3. Salare pepare e lasciare l’anatra coperta con la marinata per una notte (o per una paio di ore se è possibile metterla sottovuoto). 4. Dopo la marinatura scolare, asciugare e incidere la pelle creando delle losanghe con dei tagli in diagonale. 5. Salare e pepare entrambi i lati 6. In una padella antiaderente caramellare a fuoco bassissimo i porri in poco burro per 2-3 minuti. 7. Aggiungere i petti d’anatra con la parte della pelle verso il basso. 8. Far cuocere 3-4 minuti il lato grasso e quando prende colore girare e scottare l’altro lato. 9. Salare, pepare e bagnare col Grand Marnier e lasciar evaporare. 10. Portare a media cottura lasciando il centro rosa. Quindi togliere dal fuoco il petto e lasciar intiepidire. 11. Nel fondo di cottura aggiungere la spremuta d’arancia lasciar addensare e completare con una noce di burro o con l’olio evo. 12. Affettare i petti di uno spessore di 1/2 cm, condire col fondo di cottura ristretto e servire con pane ai cereali tostato e la composta di arance e scorzette a lato.

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FEGATO DI VITELLO ALLA VENEZIANA

Chef Marika SegusoL’Arte in cucina

INGREDIENTI (per 4 persone):

• 500 g di fegato di vitello tagliato a fettine sottili• 500 g di cipolla bianca tagliata finissima• 25 g di burro (sostituibile con 25 ml. di olio evo)• 5 cucchiai di olio evo• 10 ml di vino bianco secco• 1 cucchiaio di prezzemolo tritato fino• sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE:

1. In una pentola antiaderente con olio di oliva e eventualmente burro rosolare la cipolla per 10-15 minuti a fuoco bassissimo mescolando al bisogno.2. Sfumare col vino bianco, regolare di sale e pepe e lasciar cuocere per 20-25 minuti a pentola semicoperta mescolando di tanto in tanto.3. Mettere da parte le cipolle.4. Tagliare il vitello a striscioline (da 4-5mm) e aggiungerle al fondo di cottura. Cuocere a fuoco vivo per pochi minuti.5. Aggiustare di sale e pepe e aggiungere le cipolle alla preparazione.6. Lasciar insaporire insieme alle cipolle per un paio di minuti prima di servire.7. Cospargere (a piacere) di prezzemolo tritato e servire accompagnato da polenta alla griglia.

I CONSIGLI DELLO CHEF:

Il fegato deve cuocere per non più di 2-3 minuti a fuoco alto (una cottura prolungata tende a indurirlo) e le strisce di fegato devono stare ampie e ben distese al fine di dorare omogeneamente (se la padella è piccola cucinarle in più tempi).

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“Coccole ad alta Quota!”

“Coccole ad alta Quota!”

La montagna come cura per lo spirito, la mente e il corpo. Immersi in paesaggi meravigliosi, beauty farm e wellness center alpini riscoprono tradizioni antiche e rimedi contadini per ritemprare lo spirito e il corpo con mele, erbe officinali, latte, acini d’uva e cure di salute e bellezza che giungono di lontano.

I trattamenti tipici della montagna hanno storie e origini diverse, a volte intrise di leggenda. Rituali antichi che conoscono la natura e la sua forza, le erbe e le loro proprietà. Conoscenze remote, lontane dalle nostre vite frenetiche, che però ci attirano e invitano ogni giorno di più.

Ecco alcuni consigli su come staccare la spina dallo stress quotidiano, rilassarsi e ritrovare un profondo benessere psico-fisico attraverso il riavvicinamento agli elementi naturali.

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Bagno di FienoIl bagno di fieno è un trattamento cu-rativo naturale che agisce sul sistema immunitario; elimina tossine, scorie e ha proprietà rilassanti, depurative e defatiganti. Viene generalmente con-sigliato per i do-lori articolari, le patologie reuma-tiche, le nevral-gie e i disturbi dell’apparato mu-scolo scheletrico. L’erba utilizzata, raccolta e lascia-ta in fermentazione, combina numerose specie aromatiche e officinali, tra le quali anche arnica, gen-ziana, timo, pulsatilla, veronica e camomilla di montagna. Il trattamento termale consiste in un’im-mersione, a corpo nudo, in un letto di erba fresca in fermentazione naturale. Ricoperti con uno strato di 15-20 cm, eccetto il capo, ci si rilassa sfruttando il calore e la ricca componente aromati-

FitobalneoterapiaDetta impropriamente “bagni di fieno”, è una vera e propria fitoterapia anadermica che utilizza erbe di montagna fresche in via di fermentazione. Questa terapia affonda le sue radici nelle usanze rurali di Trentino e Alto Adige ed è uno dei rimedi naturali più antichi ed efficaci. I contadini infatti, quando si recavano agli alpeggi per rifornirsi di foraggio per gli animali, erano soliti dormire avvolti da strati di fieno appena raccolto che toglieva loro la spossatezza ridandogli le forze. Si svegliavano quindi riposati e pronti per un’altra giornata di lavoro! L’efficacia di questa cura è data dalle piante officinali contenute nella miscela di erbe: con il caldo umido che si sprigiona dal fieno i principi attivi contenuti in queste erbe vengono assorbiti dall’organismo.

ca. La durata del bagno varia in relazione alle condizioni cliniche del paziente ed alla tolleranza individuale. Segue quindi una seconda fase durante la quale si stimola ulteriormente la sudorazione corporea, dopo che il calore del fieno ha consentito l’apertura dei pori e la penetrazione dei principi attivi delle piante. Riposando an-cora per circa 40 minuti, si viene avvolti

Bagno con le meleIl Trentino Alto Adige è la più vasta zona d’Europa coltivata a mele e la mela, grazie alle sue infinite proprietà benefi-che, è l’ingrediente principale di nume-rosi trattamenti e percorsi wellness. Se ne beve il succo, la si usa nei prodotti di bellezza e nelle creme ed è usata an-che per i massaggi. La mela incide po-sitivamente, infatti, sull’elasticità della pelle rigenerandola e purificandola e ha un’azione anti età, anche grazie alle vitamine e alle pectine contenute.

Come funziona: dopo aver bevuto un bicchiere di succo appena spremuto, o un tè alla mela, ci si immerge in un bagno caldo rigenerante e profumato, arricchito da una sinergia di pezzi di polpa, succo e aceto di mela. Le vitami-ne, i minerali e le pectine presenti raf-forzano gli effetti purificanti, protettivi e depurativi della pelle durante il bagno e si gode di uno specifico peeling grazie anche alla presenza degli acidi della frutta. Il bagno con le mele è indicato anche per chi ha la pelle sensibile e delicata e vuole beneficiare di un trat-tamento disintossicante ed estrema-mente rilassante.

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in coperte di lana e ci si sdraia su un lettino di reazione, così da sfruttare al massimo la fase di purificazione. La su-dorazione, che nella prima fase è molto intensa, si protrae anche per 3-4 ore e lascia un senso di benessere che dura tutto il giorno. Al termine della seduta può essere praticato un massaggio.Un ciclo di fitobalneoterapia è compo-sto, in media, da dieci sedute spesso intervallate da un giorno di riposo.

Bagno al latteQuesto trattamento, già conosciuto dai popoli antichi, con le varianze d’uso del latte di asina, di capra e del siero di lat-te, venne reso immortale dalla Regina Cleopatra che, secondo la tradizione, era solita immergersi nel latte quotidia-namente, per mantenere splendente la sua preziosa bellezza. É il trattamento ideale per chi cerca sollievo per la pelle secca che, specialmente in in-verno, “tira” e prude ma anche per le pelli impure grazie a vitamine, mine-rali, aminoacidi e proteine. I moderni centri benessere propongono un ba-gno con un mix di elementi idratanti e emollienti, come miele e olii essenziali, utili anche per contrastare il forte odore del latte stesso.

BiosaunaSi tratta di una sauna rigenerante nel-la quale la temperatura non supera i 50°C, mentre l’umidità può arrivare al 65-70%. Il vapore, generato da erbe essiccate inumidite, riproduce le con-dizioni del bagno di fieno. É un tratta-mento intermedio tra la sauna finlande-se e il bagno turco, che si caratterizza da una temperatura non troppo elevata e un tasso d’umidità contenuto, ren-dendo maggiormente sopportabile e ri-generante la permanenza nella cabina. Grazie a queste condizioni meno stres-santi per la circolazione sanguinea, il trattamento si può prolungare rispetto

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ai normali tempi di una sauna classica, rendendolo un toccasana rilassante e purificante. L’alternanza con bagni o docce fredde allena attivamente il si-stema circolatorio e aumenta l’elasti-cità dei vasi sanguinei.

Massaggio con olio di Pino MugoIl Pino Mugo fa parte delle piante offi-cinali spontanee e viene utilizzato per estrarne un olio essenziale, ricavato dalla distillazione degli aghi e dei rami, che cura tosse e raffreddore, contusio-ni, storte e strappi muscolari.

Può essere usato nei bagni, avvolti in un lenzuolo e immersi in trucioli caldi di pino, oppure nei massaggi, con l’olio balsamico usato per rinfrescare la pelle e sprigionare le sua proprietà antisetti-che. La sinergia tra i benefici del mas-saggio e l’aroma sprigionato dall’olio agisce su più livelli di benessere, di-ventando un valido alleato anche nella cura e nella prevenzione di problema-tiche legate alle malattie dell’apparato respiratorio.

Vinoterapia e AmpeloterapiaLe cure purificanti a base d’uva, traman-dateci dalle civiltà Greca, Romana e Ara-ba, trovano riscontro negli studi scientifici odierni, secondo i quali alcune sostanze contenute nel vino aiutano a limitare il processo di invecchiamento.

L’elemento di studio è il polifenolo, una sostanza presente nell’uva, che viene estratto attraverso il processo di fermentazione e lo si ritrova anche nel vino. I polifenoli hanno delle potenti ca-pacità antiossidanti che, veicolate in di-versi trattamenti purificanti e disintos-

sicanti, donano un aspetto luminoso e sano e stimolano la circolazione.

L’ampeloterapia (dal greco “ampe-los”, vite), comunemente chiamata cura dell’uva, consiste nell’ assumere quotidianamente, per un determinato periodo di tempo, una crescente quan-tità d’uva. É dimostrato che la “puri-ficazione” di cui parlavano gli antichi, è l’effetto disintossicante dato dalle proprietà lassative del frutto, ricco di enzimi, pectine e cellulosa, ma anche di potassio, che favorisce la diuresi.

La vinoterapia è, invece, molto recente e si basa sull’impiego di succo e bucce d’uva, acini, foglie e vino, il tutto artico-lato in diversi trattamenti quali lo scrub con le bucce dell’uva, i massaggi con l’olio di vinacciolo, impacchi e masche-re di acini freschi e immersioni nel vino o applicazioni dello stesso sulla pelle.

Si utilizza l’uva allo stato fresco, ma anche il mosto concentrato – per ri-attivare la circolazione del sangue – e l’olio estratto dai vinaccioli, cioè i semi dell’uva, efficace rimedio contro il cole-sterolo “cattivo”. I trattamenti proposti hanno obiettivi estetici e curativi, con particolari proprietà rigeneranti, antios-sidanti, depurative e benefici anche per la circolazione sanguinea.

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CONSIGLIA...MI VOGLIO BENE

Una nuova saponetta è entrata nella linea White Castle, creata in due varianti: senza profumo, che garantisce l’assenza di possibili sostanze allergizzanti, o con olii essenziali naturali al 100% di “limone e lavanda” o “arancia e cannella”!

Si tratta di un COSMETICO BIOLOGICO CERTIFICATO, testato dermatologicamente presso l’Università di Ferrara, ottenuto da materie prime biologiche. Prodotta senza coloranti né conservanti, è adatta all’utilizzo quotidiano anche per le pelli sensibili e delicate, grazie alla sua schiuma soffice e cremosa. Abbiamo pensato anche all’ambiente che ci circonda, infatti il prodotto è completamente biodegradabile e l’astuccio è stato realizzato con cartoncino ottenuto da piantagioni gestite in modo ecologicamente corretto.

RISPETTA LA TUA PELLE E L’AMBIENTE! La Nordica, attraverso il proprio marchio WHITE CASTLE, in oltre 40 anni di attività, ha sviluppato un know how di alto livello grazie al quale ogni fase della lavorazione delle materie prime viene gestita internamente, il che significa mantenere un controllo diretto sui prodotti e azzerare gli sprechi, garantendo prodotti sicuri per l’uomo e per l’ambiente. Infatti, La Nordica ha ottenuto il certificato 100% Energia Pulita Multiutility perché favorisce la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (la cui generazione non causa l’immissione di gas responsabili dell’effetto serra) e tutti i prodotti White Castle NON sono testati sugli animali, come previsto dalla legge internazionale.

Saponi linea RomanticaOgni sentimento espresso attraverso il linguaggio dei fiori diventa sublime

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Da sempre, la magia dei fiori accompagna i momenti più indimenticabili della nostra vita. La ricerca dell’eccellenza che contraddistingue i nostri saponi naturali ha portato i maestri saponieri di Nesti Dante attraverso le meravigliose terre toscane alla ricerca di due bouquet che fossero la miglior rappresentazione della loro passione nel “fare sapone”.Hanno così raccolto le essenze di quelle che, per fragranza e rimandi emotivi, sono le gemme più romantiche della nostra terra, e le hanno rese le regine dei due nuovi saponi naturali di Nesti Dante: così che i migliori bouquet non siano solo un regalo per i momenti da ricordare, ma parte delle nostre coccole quotidiane.

Rosa Medicea e Peonia ∙ Glicine di Bolgheri e lilla ∙ Ciliegio Nobile e Basilico Giglio del Granducato e Narciso ∙ Violacciocca Fiesolana e Fucsia ∙ Spigo Toscano e Verbena

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