MUSICA DOMANI Indice

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Ricerche e problemi 03 François Delalande, Per una ricerca scientifica centrata sull’educazione Strumenti e tecniche 08 Alessandra Anceschi, L’avvio dell’autonomia: dalle parole ai fatti 13 Maria Isabella De Carli – Annibale Rebaudengo, Gioie e dolori dello studio musicale Pratiche educative 19 Maria Rosaria Barba – Antonella Boscolo, I viaggi musicali del fantastico Gulliver 25 Gaetano Mercadante, Costellazioni sonore nel firmamento di Webern Confronti e dibattiti 29 Da cosa nasce cosa: dialogo sulla creatività a cura di Enrico Strobino 31 Antonio Giacometti, Rumori di fondo da ascoltare con curiosità 32 Mario Piatti, Solo col mi minore: la creatività delle piccole cose 34 Antonella Talamonti, Allargare il campo delle possibilità Biblioteca 36 Franca Mazzoli, Cento esercizi per migliorare l’ascolto [su R. Murray Schafer, Educazione al suono, Ricordi] 40 Davide Zambelli, Come è difficile rendere facile la scrittura musicale [su Giandomenico Piermarini, Finale con brio, Armellin Musica] 41 Schede 42 Cecilia Luzzi, Una storia della musica che dichiara le proprie scelte [su Giordano Montecchi, Una storia della musica, Rizzoli] 43 Da non perdere (a cura di Luca Marconi) 45 Rassegna pedagogica (a cura di Roberto Albarea) Rubriche 06 Ascolti da scoprire, di Angela Cattelan 12 Parole Chiave: Accordatura, di Francesco Bellomi 18 Musica in bit: EyesWeb, di Amedeo Gaggiolo 23 Taccuino di animazione: Identikit dell’animatore, di Maurizio Vitali 38 Questioni di metodo, di Donatella Bartolini 46 Bemolli, di Cidrolin 47 Osservatorio, di Maurizio Disoteo 48 Fuoricampo, di Rinconete Cortadiglio Trimestrale di cultura e pedagogia musicale Organo della SIEM Società Italiana per l’Educazione Musicale Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 411 del 23.12.1974 - ISSN 0391-4380 Anno XXIX, numero 113 dicembre 1999 Direttore responsabile Rosalba Deriu Redattori Franca Mazzoli Davide Zambelli (Vice-direttore) Segretaria di redazione Simonetta Bettio Comitato di redazione Mario Baroni, Maurizio Della Casa, Giovanni Piazza Segreteria di redazione Vicoletto cieco San Carlo, 2 37129 Verona Tel. e Fax 045/8346104 E-mail: [email protected] Grafica copertina Raffaello Repossi Preparazione pellicole Cierre Grafica Caselle di Sommacampagna - Verona Tel. 045/8580900 - Fax 045/8580907 Stampa Nuova Arti Grafiche Ricordi S.r.l. Editore CASA RICORDI - BMG RICORDI S.p.A. Amministrazione, promozione, pubblicità Via Berchet, 2 - 20121 Milano Tel. 02/8881.2204 - Fax 02/8881.2212 E-mail: [email protected] Indirizzo Internet: www.ricordi.it Un fascicolo L. 8.000 Abbonamenti annuali Italia £ 30.000 - Estero £ 35.000, comprensivo di quattro fascicoli della rivista. Gli abbonamenti pos- sono essere effettuati tramite assegno intestato a BMG Ricordi S.p.A., Via Berchet 2, 20121 Milano, oppure a mezzo vaglia postale, sempre intestato alla BMG Ricordi S.p.A., con l’indicazione «Musica Domani». La Rivista è inviata gratuitamente ai Soci SIEM in regola con l’iscrizione. Quote associative SIEM per l’anno 2000 Soci ordinari £ 60.000 - Studenti £ 50.000 - Soci sostenitori da £ 100.000 - Biblioteche £ 60.000 - Gio- vani (senza pubblicazioni) £ 10.000. Le quote associa- tive si ricevono sul c.c.p. 19005404, intestato a Società Italiana per l’Educazione Musicale e vanno spedite a: SIEM - Via Guerrazzi, 20 - 40125 Bologna. Le comu- nicazioni dei soci vanno spedite allo stesso indirizzo. Iscrizione all’ISME International Society for Music Education Socio individuale 75$ - Istituzioni 150$. Organizza- zioni 150$ - Biblioteche 75$, per il biennio 1998- 99. Le quote possono essere versate con carte di cre- dito Visa, American Express, Master Card o cheque bancaria a: ISME, University of Reading, Bulmer- she Court - Reading RG61HY Gran Bretagna. Indice MUSICA DOMANI

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Ricerche e problemi

03 François Delalande, Per una ricerca scientifica centratasull’educazione

Strumenti e tecniche

08 Alessandra Anceschi, L’avvio dell’autonomia: dalle parole ai fatti13 Maria Isabella De Carli – Annibale Rebaudengo, Gioie e dolori

dello studio musicale

Pratiche educative

19 Maria Rosaria Barba – Antonella Boscolo, I viaggi musicali delfantastico Gulliver

25 Gaetano Mercadante, Costellazioni sonore nel firmamento diWebern

Confronti e dibattiti

29 Da cosa nasce cosa: dialogo sulla creativitàa cura di Enrico Strobino

31 Antonio Giacometti, Rumori di fondo da ascoltare con curiosità32 Mario Piatti, Solo col mi minore: la creatività delle piccole cose34 Antonella Talamonti, Allargare il campo delle possibilità

Biblioteca

36 Franca Mazzoli, Cento esercizi per migliorare l’ascolto[su R. Murray Schafer, Educazione al suono, Ricordi]

40 Davide Zambelli, Come è difficile rendere facile la scritturamusicale [su Giandomenico Piermarini, Finale con brio,Armellin Musica]

41 Schede42 Cecilia Luzzi, Una storia della musica che dichiara le proprie

scelte [su Giordano Montecchi, Una storia della musica,Rizzoli]

43 Da non perdere (a cura di Luca Marconi)45 Rassegna pedagogica (a cura di Roberto Albarea)

Rubriche

06 Ascolti da scoprire, di Angela Cattelan12 Parole Chiave: Accordatura, di Francesco Bellomi18 Musica in bit: EyesWeb, di Amedeo Gaggiolo23 Taccuino di animazione: Identikit dell’animatore, di Maurizio

Vitali38 Questioni di metodo, di Donatella Bartolini46 Bemolli, di Cidrolin47 Osservatorio, di Maurizio Disoteo48 Fuoricampo, di Rinconete Cortadiglio

Trimestrale di cultura e pedagogia musicaleOrgano della SIEM

Società Italiana per l’Educazione Musicale

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 411del 23.12.1974 - ISSN 0391-4380

Anno XXIX, numero 113dicembre 1999

Direttore responsabileRosalba Deriu

RedattoriFranca Mazzoli

Davide Zambelli (Vice-direttore)

Segretaria di redazioneSimonetta Bettio

Comitato di redazioneMario Baroni, Maurizio Della Casa,

Giovanni Piazza

Segreteria di redazioneVicoletto cieco San Carlo, 2

37129 VeronaTel. e Fax 045/8346104

E-mail: [email protected]

Grafica copertinaRaffaello Repossi

Preparazione pellicoleCierre Grafica

Caselle di Sommacampagna - VeronaTel. 045/8580900 - Fax 045/8580907

StampaNuova Arti Grafiche Ricordi S.r.l.

EditoreCASA RICORDI - BMG RICORDI S.p.A.

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Tel. 02/8881.2204 - Fax 02/8881.2212E-mail: [email protected]

Indirizzo Internet: www.ricordi.it

Un fascicoloL. 8.000

Abbonamenti annualiItalia £ 30.000 - Estero £ 35.000, comprensivo diquattro fascicoli della rivista. Gli abbonamenti pos-sono essere effettuati tramite assegno intestato aBMG Ricordi S.p.A., Via Berchet 2, 20121 Milano,oppure a mezzo vaglia postale, sempre intestato allaBMG Ricordi S.p.A., con l’indicazione «MusicaDomani». La Rivista è inviata gratuitamente ai SociSIEM in regola con l’iscrizione.

Quote associative SIEM per l’anno 2000Soci ordinari £ 60.000 - Studenti £ 50.000 - Socisostenitori da £ 100.000 - Biblioteche £ 60.000 - Gio-vani (senza pubblicazioni) £ 10.000. Le quote associa-tive si ricevono sul c.c.p. 19005404, intestato a SocietàItaliana per l’Educazione Musicale e vanno spedite a:SIEM - Via Guerrazzi, 20 - 40125 Bologna. Le comu-nicazioni dei soci vanno spedite allo stesso indirizzo.

Iscrizione all’ISMEInternational Society for Music Education

Socio individuale 75$ - Istituzioni 150$. Organizza-zioni 150$ - Biblioteche 75$, per il biennio 1998-99. Le quote possono essere versate con carte di cre-dito Visa, American Express, Master Card o chequebancaria a: ISME, University of Reading, Bulmer-she Court - Reading RG61HY Gran Bretagna.

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MUSICA DOMANI

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Hanno collaborato a questo numero:

Roberto Albarea docente di Pedagogia all’Università di UdineAlessandra Anceschi docente di educazione musicale a Reggio EmiliaMaria Rosaria Barba operatrice musicale, VeneziaDonatella Bartolini operatrice musicale, FirenzeFrancesco Bellomi docente di Elementi di composizione per didattica al Conservatorio di MilanoAntonella Boscolo operatrice musicale, Venezia

Angela Cattelan docente di Pedagogia musicale al Conservatorio di Fermo (Pescara)Cidrolin libero pensatore

Rinconete Cortadiglio libero pensatoreMaria Isabella De Carli docente di Pianoforte al Conservatorio di Milano

François Delalande responsabile delle ricerche teoriche del “Groupe de Recherches Musicales”all’Institut National de L’Audiovisuel di Parigi

Maurizio Disoteo docente di educazione musicale a BruxellesAmedeo Gaggiolo collaboratore IRRSAE Liguria

Antonio Giacometti docente di Composizione al Conservatorio di BresciaGaetano Mercadante docente di educazione musicale a Palermo

Mario Piatti docente di Pedagogia musicale al Conservatorio di La SpeziaAnnibale Rebaudengo docente di Pianoforte al Conservatorio di Milano

Antonella Talamonti operatrice musicale, RomaMaurizio Vitali responsabile del Centro Studi Musicale e Sociale “M. Di Benedetto” – Lecco

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Musica Domani - n. 113 - Dicembre 1999

Il problema di una buona relazione tra la ricerca sulcampo e la ricerca scientifica nell’ambito dell’edu-cazione musicale potrà avere nei prossimi anni

un’influenza determinante nello sviluppo della pedago-gia musicale. Queste due forme di ricerca appaionooggi in crisi, ma può essere proprio la possibilità diriconsiderarle nella loro articolazione reciproca a risol-vere le difficoltà attuali e a prospettare nuovi sviluppi.Chiaramente la sola consapevolezza del problema nonbasta: occorrono risposte sia a livello organizzativo cheistituzionale.

Dal punto di vista della ricerca scientifica, soprattut-to in campo psicologico o psico-sociologico, il laborato-rio scientifico costituisce oggi una sorta di rifugio per ilricercatore. Chi deve realizzare una tesi, per esempio, ègeneralmente spinto a trovare un soggetto di ricercaall’interno di un campo già esplorato, del quale esisteun’ampia letteratura, dove sia possibile attivare contatticon altri ricercatori che su quel soggetto hanno già lavo-rato. Una scelta di questo tipo faciliterà inoltre la pub-blicazione di un articolo sul suo lavoro, che andrà adaumentare la collezione di ricerche sull’argomento.

L’esempio evidenzia quello che Kuhn ha definito unproblema di paradigmi e riguarda, oggi, tanto il pianodei soggetti che quello della metodologia. Qual è l’in-conveniente principale di questo fenomeno? È che citroviamo con una serie di temi approfonditi all’eccesso,mentre altri, dei quali ci sarebbe un forte bisogno diconoscenza per promuovere una pedagogia musicaleall’avanguardia, non vengono neanche esplorati. Ilcampo pedagogico-musicale è ricco di situazioni nuoveche mettono in gioco comportamenti e leggi psicologi-che le quali non riescono a essere oggetto di osservazionisistematiche: gli educatori pongono ai ricercatori nume-rose domande su questioni fondamentali che non trova-

no risposta perché questi ultimi sono impegnati a lavo-rare sempre nei medesimi ambiti di ricerca.

Esiste quindi un primo tema che riguarda la restitu-zione del lavoro scientifico al mondo dell’operatività,che è una sfida lanciata alla ricerca scientifica. Non sitratta, è ovvio, di concepire esclusivamente una ricercaapplicata, quanto di assumere il problema del rapportotra la ricerca scientifica e la sua utilità sociale: qui inmodo particolare in quando rivolta agli educatori.

Il contesto

Una seconda ragione che spinge in questa direzione èdi carattere tipicamente scientifico e riguarda l’impossi-bilità di isolare tutti i fattori implicati dalla ricerca peda-gogico-musicale: una ricerca, per esempio, sui compor-tamenti musicali infantili, non può essere mai completa-mente dissociata dall’ambiente in cui si trova il bambi-no. Questo problema è ben conosciuto nell’ambito dellapsicologia: alcuni fattori di contesto non possono esserecompletamente eliminati, altrimenti si rischia di osserva-re delle situazioni senza alcun rapporto con la realtà.

Supponiamo di lavorare sull’invenzione musicale: ilbambino che è abituato a lavorare in un certo contesto,con altri bambini, con un adulto che lo guarda, concorpi sonori che conosce, produrrà un certo tipo dimusica; se queste condizioni non ci fossero probabilmen-te non nascerebbe in lui alcuna idea musicale. Dunque èimpossibile fare un’osservazione sull’invenzione musicalea prescindere dal contesto. Questo principio vale ancheper il laboratorio scientifico: quello che si osserva è daconsiderare un risultato direttamente dipendente dallasituazione artificiale che è stata creata e non è mai dimo-strabile che le conclusioni che si traggono in quel conte-

Ricerche e problemi

Per una ricerca scientificacentrata sull’educazione

Non sempre i ricercatori conoscono direttamente leproblematiche del mondo dell’educazione; allo stesso modo nonsempre gli insegnanti conoscono i risultati della ricerca inambito educativo. Si tratta di uno scollamento grave che haripercussioni negative sia sull’educazione sia sulla ricercascientifica. L’autore lancia qui la sua proposta: una ricercaeducativa, seria ed efficace allo stesso tempo, può nascere solodalla collaborazione fra insegnanti e ricercatori.

FRANÇOIS DELALANDE

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sto abbiano una qualche pertinenza altrove. Si può direche non ci sono delle osservazioni di comportamento inastratto, ma solo comportamenti nel contesto e, se cam-biamo radicalmente il contesto, le leggi che abbiamo sta-bilito non sono più valide: quindi anche le leggi del labo-ratorio scientifico non sono trasferibili, cioè non sonoapplicabili perché non sono sempre valide o possono per-fino essere sbagliate in un contesto diverso.

Rendersi conto che non è possibile isolare delle varia-bili essenzialmente collegate al fenomeno che si osserva èuna concezione relativamente moderna della ricercascientifica, ma che, qualche volta, è ancora contrastata.Penso a un’opera che è apparsa recentemente sullo svi-luppo del senso musicale del bambino. Gli autori che nehanno scritto l’introduzione affermano che la ricercascientifica deve essere sviluppata per proprio conto e chesolo una volta che ha stabilito le sue conclusioni potràessere trasmessa agli insegnanti che la applicherannonella loro operatività. Ci troviamo qui di fronte al per-manere di un errore comune per la ricerca e nel librostesso la maggior parte degli autori coinvolti dicono edimostrano in realtà il contrario: il lavoro scientifico habisogno di poter osservare la realtà educativa e ha biso-gno di raccogliere le osservazioni che nascono e si svi-luppano in campo operativo.

Non si può comunque non registrare, anche nell’am-bito scientifico, l’aumento di consapevolezza e diresponsabilità in merito alla necessità di un avvicina-mento tra ricerca scientifica e ricerca sul campo condot-ta dagli educatori.

L’educatore ricercatore

Se ho mostrato fin qui i limiti di una modalità diricerca scientifica che esclude l’ambiente educativo, cioèil luogo di vita dei bambini, provo ora a osservare il pro-blema dall’altro punto di vista, convinto che se l’attivitàeducativa assumesse la dimensione della ricerca, ci sareb-be per gli educatori un guadagno sia sul piano dello svi-luppo della propria carriera professionale che del lorointeresse e motivazione al lavoro quotidiano.

Educatori, insegnanti, animatori sono tutte personeche realizzano costantemente qualcosa che ha a che farecon la ricerca, anche se solo a uno stato embrionale: nonsvolgono cioè una vera e propria osservazione scientifica,ma notano, per esempio, che i bambini sono più moti-vati a fare una certa cosa se si trovano in un determinatocontesto, che la loro capacità di invenzione è stimolatadalla presenza di un pubblico, che hanno degli stilimusicali individuali legati alla loro personalità. Nel lorocontatto quotidiano coi bambini, gli educatori sviluppa-no una serie di osservazioni non organizzate che, anchese non sono scritte, registrate e sistematizzate, costitui-scono un’immensa ricchezza, un vero e proprio sapereche purtroppo non è preso in sufficiente considerazione.Il risultato di questo mancato riconoscimento, oltre a

essere frustrante per gli operatori, è deplorevole per lacapitalizzazione del sapere.

Il lavoro educativo è spesso ripetitivo e, alla lunga,può essere immobilizzante; al contrario il lavoro di ricer-ca è un progresso costante. Un educatore, un insegnan-te, o anche un genitore che vedono vivere un bambino efanno certe osservazioni dovrebbero poi poterle trasmet-tere, scrivendo un breve testo, comunicandole ai colleghio semplicemente partecipando a delle riunioni di lavoroche permettano loro di mettere in comune le conoscenzeacquisite sul campo. Occorre quindi costruire situazionidi avvicinamento tra ricercatori ed educatori, affinchéquesto sapere possa essere accumulato e valorizzato;necessitano istituzioni che favoriscano questo processo,che coordinino e organizzino un lavoro che permettaagli insegnanti di comunicare le loro osservazioni e airicercatori di aiutarli a sviluppare questo sapere origina-rio e intuitivo.

Per una collaborazionefra insegnanti e ricercatori

Ciò che servirebbe è un dispositivo istituzionale ingrado di favorire questo processo, di cui esistono alcunirari esempi, generalmente isolati e comunque non orga-nizzati su grande scala.

Gino Stefani, alcuni anni fa, ha favorito una ricercadi base effettuata da persone che non avevano una quali-fica scientifica elevata, ma che erano comunque degliottimi osservatori. Ha per esempio favorito la pubblica-zione di un libro esemplare da questo punto di vista,Dal blues al liscio, in cui autori debuttanti hanno assem-blato delle osservazioni su alcune pratiche di musicapopolare che non erano mai state oggetto di uno studioapprofondito, ottenendo risultati molto utili sul pianoscientifico.

Personalmente ho avuto l’occasione di collaborarecon altri progetti esemplari da questo punto di vista,quali un’esperienza di laboratorio pedagogico musicale aReggio Emilia e un progetto di formazione all’osserva-zione in alcuni nidi di Firenze. In quest’ultima esperien-za la ricerca condotta direttamente dalle puericultrici edal personale dei nidi, accompagnati nel lavoro da alcu-ni ricercatori specializzati, ha prodotto un corpo diosservazioni sulla produzione musicale infantile nei nidiche ritengo essere uno dei più ricchi che esista, anche inambito scientifico.

Il primo livello:l’osservazione spontanea

Il limite maggiore di tutte queste esperienze, comesi diceva, è l’isolamento, la mancanza di comunicazio-ne e interscambio tra sperimentazioni e ricerche di talgenere.

Ricerche e problemi

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Il dispositivo istituzionale di cui auspico la nascitadovrebbe essere in grado di accumulare queste esperien-ze e di articolarle con gli ambiti scientifici. Penso a unostrumento in grado di creare una continuità tra lavoroeducativo e ricerca scientifica in cui, per esempio, glieducatori possano annotare le loro osservazioni, presen-tarle ad altri, prima di tutto ai colleghi, per confrontarlee organizzarle a un primo livello. In un secondomomento potrebbe subentrare un’osservazione più siste-matica, facilitata, per esempio, dal coinvolgimento nelprocesso di studenti universitari.

L’osservazione spontanea legata alla pratica educativanon dispone di strumenti idonei a svolgere annotazionicomplete, non riesce a indagare con adeguatezza le diffe-renti variabili: un insegnante quando osserva i bambiniche ha davanti non può annotarsi tutte le osservazioni, èlimitato dal proprio compito di insegnamento, per diver-si motivi può non riuscire a proporre una situazione ana-loga per tutti i bambini, è sempre legato alla dimensioneimprevista della vita quotidiana; in sintesi potremmo direche, anche se il suo campo di osservazione è molto ricco,la sua possibilità di osservazione è limitata.

Il secondo livello:l’osservazione sistematica

È dunque necessario prevedere un secondo livello diosservazione più organizzato e sistematico, per il qualegli studenti universitari possono essere utili risorse. Cisono molti giovani ricercatori che hanno bisogno di unsoggetto di tesi per la laurea o per il dottorato. Potrebbeallora essere stimolante immaginare delle coppie formateda giovani ricercatori e insegnanti, raggruppando dueruoli differenti, indispensabili l’uno all’altro, e orientan-doli a un progetto comune. L’educatore, per esempio,potrebbe proporre una problematica sulla quale ha rac-colto una serie di osservazioni e, insieme al ricercatore,mettere a punto un piano di nuove osservazioni e for-mulare delle ipotesi su singoli aspetti del problema.

A questo punto potrà lavorare con i bambini sfruttan-do diverse modalità (lavoro collettivo, individuale, auto-nomo) mentre il giovane ricercatore potrebbe essere pre-sente in classe e realizzare una documentazione audio,video e scritta, che sarà oggetto di successive osservazionipiù sistematiche. Tali osservazioni potranno, a loro volta,essere confrontate su un piano scientifico con le teorieconosciute per cominciare a trarre delle conclusioni.

Questa idea di un secondo livello di osservazione, nelquale lavorano simultaneamente un insegnante e unricercatore, consente di costituire un corpo di documen-ti da sottoporre ad altre équipes all’interno di seminari aiquali potrebbero partecipare, oltre agli educatori e aigiovani ricercatori interessati, degli studiosi e degliesperti, che conoscendo bene la letteratura del proble-ma, potrebbero mettere in relazione le osservazioni fattesul campo con il sapere delle discipline psicologiche,

cognitive, sociologiche ecc., e formulare delle ipotesi perun eventuale e ulteriore lavoro di laboratorio. Avremmocosì attivato una circuitazione equa tra tre poli: gli edu-catori, i giovani ricercatori, i ricercatori esperti.

Il terzo livello:il laboratorio scientifico

A questo punto può essere significativa la presenza diun terzo livello di osservazione, legato a esperienze dilaboratorio scientifico, quando, per esempio, si isolanodelle questioni psicologiche più ampie del campo osser-vato. Potrebbe essere il caso del ruolo giocato dall’inven-zione nella costruzione della forma musicale nel qualeinterviene, con un ruolo determinante, la memoria delbambino. Un bambino di tre anni non usa la memoriaallo stesso modo di uno di sei, perché a questa età entra-no in gioco dei processi cognitivi più complessi che per-mettono al soggetto, per esempio, di costruirsi una rap-presentazione mentale del pezzo che sta realizzando e difare previsioni sul futuro; entra quindi in gioco la capa-cità di anticipare gli eventi, una capacità generale, chenon è propria dell’esperienza musicale. Si tratta quindidi riuscire a considerare abilità generali, utilizzabili inambiti diversi, da cui trarre delle informazioni che pos-sano essere applicabili anche all’esperienza musicale.

Esistono dunque problematiche più acute, più gene-rali del campo di applicazione, che avranno interesse aessere trattate in situazioni che chiamo di laboratorio,situazioni completamente controllate, dove tutte levariabili, risultanti dalle diverse esperienze sviluppate,possano essere maggiormente isolate e analizzate.

Credo sarebbe quindi molto positivo che si possanosviluppare dei dispositivi in grado di favorire un proces-so di ricerca scientifica che si sviluppi dall’ambiente edu-cativo, in cui l’oggetto di ipotesi venga formulato dallabase verso l’alto e che sia progressivamente depuratoattraverso osservazioni sempre più sistematiche, che pos-

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sano essere riprese, in certi casi, nei laboratori scientifici.La circolazione potrà così migliorare anche nell’altro

senso, perché se una cosa sarà stata ben sviluppata dallaricerca scientifica interesserà maggiormente gli educato-ri, soprattutto se porta nuove informazioni e risposte ailoro problemi. Ma perché questa circolazione funzionisono necessarie delle istituzioni, probabilmente a livellouniversitario, in grado di far vivere il sistema, di pro-muovere relazioni tra centri di ricerca periferici e centra-li, di agevolare l’incontro tra studenti universitari ededucatori, di organizzare seminari e curare la pubblica-zione dei lavori con regolarità.

È un modello istituzionale ancora tutto da immaginare.

Riferimenti bibliografici

T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, TorinoAA.VV., Musique en tête, actes du Colloque sur la psychopedagogie de

la musique (Gennevilliers, novembre 1979), EAP, Issy-les-Mouli-neaux, France, 1981; si veda anche, a cura di I. Deliège, J. Slobo-da, Naissance et développement du sens musical, PUF, Paris, 1995.

G. Stefani (a cura di), Dal blues al liscio, IANUA, Verona, 1992.

Il testo, redatto su richiesta del Centro Studi Musicali e Sociali Mau-rizio Di Benedetto di Lecco, è stato tradotto e curato da Maurizio Vitali.

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Ascoltando le creazioni diCollin Walcott, Don Cherrye Nana Vasconcelos conte-

nute nel cd intitolato Codona 3, misono tornate alla mente alcuneatmosfere sonore vissute in classedurante le attività di improvvisazio-ne collettiva. Il paragone potrà sem-brare azzardato soprattutto se con-sideriamo le abilità strumentali e lagrande esperienza di questi musici-sti. Fra gli anni 70 e gli anni 80 essihanno aderito a un filone di jazzcontemporaneo che utilizzava variemodalità di improvvisazione facendoriferimento, a volte anche in manieramolto indiretta, a una pluralità digeneri e contesti stilistici.

Codona 3, l’ultimo disco fruttodella loro collaborazione, è un esem-pio di quest’ottica musicale “enciclo-pedica” dove convivono blues, tradi-zioni folcloriche di tutto il mondo esperimentazioni di nuovi spazi sonori.

I sette diversissimi brani conte-nuti nel cd sembrano comunquecostruiti all’insegna della semplicità:mancano completamente cliché vir-tuosistici strumentali, parossismi freee procedimenti armonici complessi,mentre sono privilegiate le raffina-tezze timbriche e i dialoghi lineari.Chiari e accessibili i contesti formali.

Il berimbau e i mille colori dellepercussioni di Vasconcelos, i partico-lari timbri della sanza, del dulcimer edel sitar di Walcott e la tromba diCherry costruiscono le improvvisa-zioni partendo da idee e materialielementari: melodie modali, sonoritàdel parlato, ostinati di ispirazionefolclorica, suoni dell’ambiente, cantipopolari.

Le affinità fra alcuni brani e certeattività comunemente svolte in clas-se sono lampanti: ad esempio in Tray-ra Boia, giocato sulla ripetizione con-tinua di una frase parlata nelle sue

variazioni di velocità, registro eintensità, o in Clicky Clacky, una balla-ta nella quale sono riprodotti suonie ritmi del viaggio in treno. Ma èpossibile cogliere anche altri proce-dimenti inventivi confrontabili con lepratiche didattiche: Lullaby, ci offreuna curiosa e delicata versione persitar di una ninna nanna occidentale;Hey Da Ba Doom, canto tradizionaleafricano, ci mostra in che modo ilsolista esorta il coro con frasi parla-te, richiami e giochi ritmici. Goshaka-buchi infine propone una interessan-te e bellissima improvvisazione diCherry su una melodia modale ditradizione giapponese: dapprima unatrama sonora di suoni metallici aritmo libero con lunghi silenzi, poiun incalzante accompagnamento dipercussioni e dulcimer.

Un disco di grande vitalità, chepermette di familiarizzare con lapratica dell’improvvisazione e conuno dei tanti volti del jazz.

ANGELA CATTELAN

RUBRICHE

Ascoltida scoprire

C.Walcott, D. Cherry, N.Vascon-celos, CODONA 3, ECM, 1983, 827420

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In collaborazione conAPEM, Asociação Portuguesa de Educação Musical; ISME

España, Sección Española de la Sociedad Internacional de Edu-cación Musical; ISME France, Section Française de la SociétéInternationale pour l’Education Musicale.

Con il patrocinio diUniversità di Bologna: Dipartimento di Musica e Spettacolo eDipartimento di Scienze dell’Educazione; Università di Padova:Facoltà di Psicologia; Conservatorio di musica “G.B. Martini”di Bologna; ISME (International Society for Music Education):Commissione di Ricerca; ESCOM (European Society for theCognitive Sciences of Music); IASPM (International Associationfor the Study of Popular Music).

Obiettivi del Convegno• Promuovere la ricerca per la didattica musicale, in particolare neipaesi di lingua neolatina, attraverso l’uso di adeguate metodologie.• Individuare i principali problemi della didattica musicale sia nel-l’educazione generale sia in quella professionale.• Favorire lo scambio di esperienze didattiche che siano state veri-ficate attraverso lavori di ricerca.• Promuovere a livello internazionale la diffusione di risultati utilialla didattica.• Promuovere la comunicazione tra docenti e ricercatori di paesidiversi favorendo la realizzazione e lo scambio di ricerche condotteda gruppi internazionali.

Temi del ConvegnoLe ricerche verranno presentate da una cinquantina di relatori italia-ni e stranieri (Spagna, Francia, Svezia, Inghilterra, Islanda, StatiUniti, Argentina ecc.) nelle Sessioni parallele organizzate intorno aiseguenti temi:Didattica musicale per la formazione dei musicisti: didattica del pia-noforte, del flauto, della direzione d’orchestra, della storia dellamusica ecc. Educazione della voce: uso della voce, sviluppo dellecapacità vocali, problemi di intonazione, canto spontaneo dei bam-bini. Sviluppo della percezione uditiva: classificazione dei suoni,discriminazione delle durate, sincronizzazione ritmico-motoria. L’a-scolto: aspetti metodologici, individuazione dello stile, gusti musica-li. Didattica dell’improvvisazione e composizione con i bambini.Didattica della lettura e scrittura musicale. Il problema dell’orecchioassoluto. Formazione dei musicisti professionisti. Formazione degliinsegnanti di musica nella scuola di base: curricoli, contenuti, pro-grammazione. Il multiculturalismo nell’educazione musicale. Multi-medialità e didattica. Musica e handicap.

Lingue ufficiali del ConvegnoItaliano, francese, spagnolo, portoghese, rumeno, inglese.

Programma

Giovedì 24/2 • 10,30 Saluti delle Autorità• 11-12 Lo stato della ricerca così come emerge dalle

relazioni inviate.J. Tafuri . Dibattito• 12-12,30 Concerto• 14,30-18 Sessioni parallele

Venerdì 25/2 • 9-12,30 Sessioni parallele• 12,30-13 Concerto• 14,30-18 Sessioni parallele• 18-19 L’ISME e il suo futuro in Europa • 21 Concerto

Sabato 26/2• 9-12,30 Sessioni parallele• 14,30-17 Sessioni parallele • 17-20 Assemblea Nazionale Siem• 20,30 Cena sociale

Domenica 27/2• 9-10,30 Prospettive sul rapporto tra ricerca

e attività didattica- Ricerca e attività didattica in ambiti

disciplinari diversi. G. Tassinari- Ricerca e insegnamento musicale

nei Paesi anglofoni. G. Welch- La ricerca per la didattica a partire

dal presente Convegno. M. Imberty• 10,30-11 Dibattito• 11-11,30 Pausa• 11,30 -13 Proposte di iniziative comuni

per lo sviluppo della ricercaDibattito. Conclusioni

Comitato Scientifico del Convegno: Mario Baroni, Alain Carré,Graziela Cintra, Maravillas Diaz, Michel Imberty, Cecilia Pizzorno,Giuseppe Porzionato, Johannella Tafuri.

Per ulteriori informazioni rivolgersi a:Siem, Via Guerrazzi 20 – 40125 Bologna – Italia

Fax: +39 011 9364761 e-mail: [email protected]

www.siem-online.it

La SIEM – Società Italiana per l’Educazione Musicale organizza il

C O N V E G N O I N T E R N A Z I O N A L ELa ricerca per la didattica musicale

Bologna, 24-27 febbraio 2000Conservatorio di musica “G. B. Martini”

Entro il 10 gennaio 2000• £ 100.000• Soci ISME e Soci delle Associazioni Nazionali rappresentanti l’ISME

(Siem, APEM, ecc.): £ 80.000• Studenti: £ 40.000• Partecipanti provenienti da Europa Orientale, America Latina e

Africa: esenti dal versamento della quota di iscrizione.

Dopo il 10 gennaio 2000• £ 120.000• Soci ISME e Soci delle Associazioni Nazionali rappresentanti l’ISME

(Siem, APEM, ecc.): £ 100.000• Studenti: £ 50.000• Partecipanti provenienti da Europa Orientale, America Latina e

Africa: esenti dal versamento della quota di iscrizione.

Quote di iscrizione al Convegno (comprensive degli Atti)

In caso di rinuncia pervenuta dopo il 20 gennaio, la quota di iscrizione non verrà restituita

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L’avvio dell’autonomia:dalle parole ai fatti

Gli istituti comprensivi rappresentano una realtà recentedell’istituzione scolastica italiana, ancora tutta da verificare:scuole materne, elementari e medie, appartenenti a uno stessoterritorio, vengono raggruppate e affidate a un unico capod’istituto. L’esperienza qui raccontata mostra come la collaborazione frainsegnanti di ordini diversi di scuole possa rappresentare unostimolo all’innovazione e alla sperimentazione di percorsiformativi calibrati sulle reali esigenze del territorio.

ALESSANDRA ANCESCHI

Musica Domani - n. 113 - Dicembre 1999

Ho sotto gli occhi in questi giorni il n.109 diMusica Domani del dicembre 1998 e leggo conparticolare interesse gli articoli relativi all’auto-

nomia scolastica raccolti nella sezione Confronti e dibat-titi. Dell’articolo di Maria Teresa Lietti raccolgo subitol’invito a «dare la più ampia circolazione possibile alleesperienze significative in atto» e a «favorire il fare e l’e-sperienza anziché il parlare astrattamente»: tento perciòdi descrivere e commentare una prima esperienza diautonomia scolastica.

Gli istituti comprensivi

L’ambito in cui si è mosso il percorso che delineerò èun istituto comprensivo dell’Appennino reggiano cheraccoglie sotto un’unica presidenza i plessi delle scuolematerne ed elementari del Comune di Casina, oltre allascuola media.

Gli istituti verticalizzati sono di costituzione relativa-mente recente e vale forse la pena puntualizzarne meglioi contorni nonché le motivazioni che hanno portato allaloro nascita prima di addentrarsi nella descrizione deiprogetti messi in opera.

Gli istituti comprensivi sono stati creati su tutto il ter-ritorio nazionale a partire dall’anno scolastico 1995/96;le cosiddette scuole verticalizzate1 raggruppano sottoun’unica presidenza o direzione scuole materne, elemen-tari e medie.

La legge a cui questa nuova normativa fa riferimentoè quella del 31 gennaio 1994, n. 97, art. 21 che defini-sce nuove disposizioni per le zone con particolari proble-mi socio-economici e culturali e con popolazione infe-riore ai 5000 abitanti. La successiva O.M. del 9.11.94

prevedeva all’articolo 9 la creazione di Istituti scolasticicomprensivi guidati da un dirigente scolastico, fosse eglipreside oppure direttore didattico.

Tale provvedimento, giustificato dalla necessità diun’azione congiunta in rapporto alla continuità educati-va, ha alla base due motivazioni di carattere più praticoche pedagogico:a) in alcune zone montane le scuole hanno l’esigenza diraggrupparsi per non morire;b) lo Stato, in modo sempre più pressante e prioritario,ha necessità di razionalizzare le risorse umane e materialial fine di realizzare un risparmio economico. Ciò convo-glia tutti i compiti dirigenziali e amministrativi su di unsolo dirigente scolastico e su di un unico responsabileamministrativo.

Se inizialmente il provvedimento ha coinvolto solo lezone montane, attualmente le scuole coagulate attorno aun’unica direzione (a volte per loro esplicita richiesta)sono sorte anche in quelle zone che non necessitavano diparticolari esigenze di raccordo.

Nello scorso anno scolastico (1997/98) hanno fun-zionato 566 istituti comprensivi, di cui 314 diretti dapresidi di scuola media e 252 da direttori didattici.

In previsione, per l’anno scolastico 1999/2000, laprovincia di Reggio Emilia conterà 27 istituti com-prensivi.

Le motivazioni di un progetto

Gli istituti comprensivi, inizialmente vissuti comel’ennesimo provvedimento teso alla razionalizzazione eal taglio della spesa nel campo dell’educazione, hannorivelato risorse e prospettato ambiti d’azione per certi

Strumenti e tecniche

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Musica Domani - n. 113 - Dicembre 1999

versi insospettabili. Il corpo docente di diversi ordini discuole è stato chiamato a lavorare congiuntamentesecondo modalità e obiettivi non sempre comuni,dovendosi occupare anche di problematiche molto lon-tane dal proprio ambito specifico; d’altra parte il contat-to “forzato” dei docenti ha permesso di sfruttare al mas-simo le competenze di ciascun docente, per riempirefinalmente di significato quella continuità scolastica dicui si è sentito spesso parlare in modo vacuo.

Il pretesto iniziale da cui si è partiti per costruire ilpercorso qui raccontato è stata la richiesta di completa-mento orario di cattedra dell’insegnante di Educazionemusicale della scuola media per 4 ore settimanali dadestinare alle classi terminali del secondo ciclo (IV e V)della scuola elementare e da effettuare in compresenzacon le maestre responsabili di Educazione al suono e allamusica.

Ecco quali sono state le caratteristiche strutturali delprogetto.

Finalità del progettoe obiettivi specifici

La finalità prima è stata quella di favorire tra i diversigradi di istruzione interessati una maggiore integrazionedidattica, disciplinare e curricolare.

Il progetto si proponeva di operare in modo più qua-lificato e incisivo relativamente all’insegnamento delladisciplina musicale nella scuola elementare così da porrebasi sicure per i successivi anni della scuola media.

Questi gli obiettivi identificati:a) realizzare concretamente una continuità dell’insegna-mento della disciplina tra scuola elementare e scuolamedia, proponendo un percorso graduale con obiettivispecifici via via più complessi;b) migliorare la qualità dell’insegnamento della discipli-na stessa grazie al coordinamento integrato tra i docentidi scuola elementare e quello di scuola media in qualitàdi esperto;c) realizzare progetti di aggiornamento dei docenti discuola elementare e materna con una ricaduta immedia-ta sull’operato scolastico.

Il contesto

Il territorio reggiano è stato particolarmente attivonell’aggiornamento musicale dei docenti di scuola ele-mentare e materna; ciò nonostante, è stata più volte rile-vata l’assenza di contatto diretto con le problematichescolastiche da parte dei formatori. Il progetto qui deli-neato è invece stato messo a punto dai docenti per idocenti e quindi formulato “su misura”, in base alle realiesigenze espresse dagli insegnanti e utilizzando le risorsepresenti nell’istituto comprensivo, in modo da permette-re un’immediata ricaduta didattica.

Inoltre, anche le più recenti disposizioni che regolanola gestione degli istituti comprensivi sollecitano l’attiva-zione di percorsi integrati tra gli ordini di scuole.2

Gli aspetti didattico-organizzativi

Le strutture verticalizzate pongono frequentementein relazione gli operatori dei vari ordini di scuole: idocenti coinvolti hanno così maggiori possibilità diconoscere i percorsi formativi delle diverse discipline, leesigenze di raccordo e di sviluppo tra le discipline stessenell’iter scolastico, le necessità e i bisogni di aggiorna-mento del personale docente. Questo scambio di infor-mazioni ha consentito di articolare il percorso in duemomenti: a) impiego del docente di Educazione musicale di scuo-la media in progetti di formazione e aggiornamento,l’uno mirato ai docenti di scuola elementare, l’altro aquelli di scuola materna. b) impiego del docente di Educazione musicale in pro-getti disciplinari nella scuola elementare, da condurre incompresenza con il docente di Educazione al suono ealla musica, per un totale di quattro ore, due nella classeIV, due nella classe V.

Il corso di aggiornamento si è sviluppato nell’arcocomplessivo di 22 ore distribuite lungo l’anno scolastico,e ha affrontato gli ambiti sotto elencati, trattati secondol’ordine di scuola coinvolto:• percorsi d’ascolto;• percorsi di musica d’insieme;• utilizzo e scelta di un repertorio di brani cantati;• utilizzo dello strumentario di base e del movimento.

I risultati di questa prima esperienza, e in previsionedi un allargamento del progetto di aggiornamento,suggeriscono che l’istituto comprensivo potrebbediventare un polo di formazione territoriale o deldistretto e la sede per l’aggiornamento dei docenti discuole elementari e materne. Questa prima esperienzasuggerisce inoltre che la cadenza degli incontri diaggiornamento potrebbe essere mensile o quindicinale(soprattutto in funzione delle risorse finanziarie); laloro supervisione e il loro coordinamento potrebbeessere utilmente affidato all’insegnante di Educazionemusicale. Ciò permetterà di definire i contenuti e lemodalità di attuazione dei percorsi, di concerto tra gliinsegnanti e l’esperto.

L’organizzazione e lo svolgimento delle attivitàmusicali nelle classi elementari ha avuto sede nel labo-ratorio di Educazione musicale della scuola media, gra-zie a un accordo dell’istituto con i trasporti comunali.Tale opportunità ha inoltre permesso una razionalizza-zione degli spazi e dei materiali (tutto lo strumentariodidattico disponibile, oltre alle apparecchiature presen-ti nella scuola, è stato raccolto in un unico luogo) inmodo da evitare inutili dispersioni di tempo, mezzi edenergie.

Strumenti e tecniche

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Musica Domani - n. 113 - Dicembre 1999

I risultati dell’esperienza

La compresenza del docente di Educazione musicalecon gli insegnanti elementari ha prodotto:• un controllo qualitativo del lavoro svolto coi bambini;• una prosecuzione dell’attività di formazione e aggior-namento per le insegnanti di scuola elementare presentinelle due classi coinvolte;• una concreta possibilità di progettare la continuitàdisciplinare nell’ambito dell’Educazione al suono e allamusica nella scuola elementare ed Educazione musicalenella scuola media.

Una ulteriore valutazione a medio e a lungo terminedell’esperienza ha portato le due insegnanti della scuolaelementare coinvolte in prima persona nell’attuazionedel progetto ad affermare che: «la presenza di unadocente della scuola media all’interno della scuola ele-mentare ha rappresentato non solo per i docenti masoprattutto per gli alunni, una concreta visione di conti-nuità fra i diversi segmenti scolastici. Per molti bambinidella scuola elementare infatti, conoscere e lavorare conun insegnante che ritroveranno alla scuola media è lapremessa per una progressione scolastica più serena, gui-data dalla presenza di una specie di “tutor” affettivo checonosce le loro individualità e che ha collaborato piena-mente al loro percorso di crescita formativa. In secondoluogo, la possibilità per i docenti della scuola elementaredi assistere e di collaborare direttamente ad attivitàdidattico-musicali progettate con il docente della scuolamedia in qualità di esperto, rappresenta una efficaceforma di aggiornamento professionale perché permettela ricaduta immediata delle competenze».

Particolarmente efficace, a detta delle insegnanti ele-mentari, è stato il miglioramento evidenziato dagli allie-vi in altre abilità scolastiche grazie allo sviluppo delleabilità musicali: «L’educazione musicale assume concre-tamente il valore di disciplina formativa trasversale voltaa potenziare il livello di competenza e di abilità deglialunni in ambito linguistico, logico e psico-motorio. Leproposte didattiche e i percorsi operativi sono stati infat-ti progettati nell’ottica dell’interdisciplinarità che nonesclude la specificità disciplinare, ma la valorizza comepremessa indispensabile per la conquista dell’unità delsapere. Gli esercizi di pratica vocale e di formazioneaudio-percettiva rappresentano ad esempio un validissi-mo supporto per la corretta acquisizione e produzionefonetica dei suoni della lingua italiana, con un conse-guente miglioramento dell’ortografia; le attività ritmico-motorie stimolano la coscienza del sé corporeo, svilup-pano la tecnica della lettura espressiva (attraverso l’esplo-razione del ritmo verbale e della prosodia); l’ascolto e l’a-nalisi di proposte musicali evocano processi cognitivi didecodificazione di elementi complessi e favoriscono laricerca di strutture essenziali e di caratteri tipici, cosìcome accade nella soluzione di problemi e nella scopertadi principi generali estendibili e applicabili a situazioninuove. L’impiego in modo creativo delle strutture essen-

ziali e dei principi generali identificati nelle indagini dianalisi permette al bambino di riutilizzarli in una liberaespressione musicale contribuendo così a valorizzare lanecessità generalizzata e improrogabile di costruzionedei processi formativi di carattere creativo. A tutto ciò siaggiunga la possibilità, attraverso la pratica strumentale,di rendere il bambino artefice della propria comunica-zione e del proprio essere con l’uso di un nuovo codice edi un nuovo linguaggio, quello musicale appunto».

__________Note

1 È doverosa una breve riflessione sulla denominazione di “vertica-lizzazione” che porterebbe a ulteriori approfondimenti non opportuniin questa sede. Si valutino quanto meno i contrasti che la definizionemette in rilievo. Il termine infatti indica una dinamica ascensionale, unmovimento dal basso verso l’alto, una serie rigidamente delineata diconquiste conoscitive progressive e ordinate nel tempo. Si potrebbecontrapporre alla presunta linearità degli apprendimenti la complessitàdelle conoscenze che si compongono nella trasversalità dei concettiappartenenti alle diverse discipline e ai diversi ordini di scuole. Inoltre,il movimento in verticale potrebbe essere capovolto ed esplorato insenso inverso, alla ricerca delle necessarie e ineludibili necessità dellaprima infanzia. La continuità educativa dovrebbe porsi così in unimpianto organizzativo unitario dove vengono indagate e valorizzateuguaglianze e differenze, sincronie e diacronie.

2 La C.M. n. 454 del 28/7/97 recita alcune disposizioni di orienta-mento per gli istituti comprensivi, e precisamente: a) favorire tra idiversi gradi di istruzione interessati una maggiore integrazione didatti-ca, disciplinare e curricolare; b) suggerire proposte e linee di orienta-mento volte a implementare il funzionamento degli Istituti stessi,anche nella prospettiva di potenziamento dell’autonomia delle istitu-zioni scolastiche, del riordino dei cicli e del sistema scolastico.

Strumenti e tecniche

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CANDIDATURE PER LE CARICHE SOCIALI

Consiglio Direttivo Nazionale

Augusto Dal Toso insegnante di educazione musicale nella scuola media.È membro da diversi anni della commissione di studio della Siem sullascuola media ad indirizzo musicale. Membro del consiglio direttivo dellasezione territoriale di Vicenza, della quale ha ricorperto per due mandatila carica di Presidente. Ha svolto attività di aggiornamento per i docenti.

Claudio Dina etnomusicologo e polistrumentista, docente nella scuolamedia in laboratori su tematiche interculturali. Ha esperienza di aggior-namento di docenti. È impegnato in progetti per la didattica strumentalecon particolare attenzione alla musica d’insieme. Membro del Direttivodella sezione di Torino e del Direttivo Nazionale uscente, della commis-sione scientifica Siem/Edt e responsabile dell’inserto Siem Informazione.

Miriam Mazzoni operatrice musicale si dedica alla formazione musicaledi base dei bambini e all’aggiornamento degli insegnanti di scuola mater-na ed elementare. Condirettrice della Commissione Corsi Estivi Interma-zionali Siem. Membro del Direttivo Nazionale uscente.

Cecilia Pizzorno operatrice musicale si dedica all’educazione musicale deibambini in laboratori e corsi in diverse realtà. Ha esperienza di aggiorna-mento di docenti. È Presidente della sezione di Savona, membro dellaCommissione per l’organizzazione interna. Membro del Direttivo Nazio-nale uscente in qualità di Tesoriere.

Annamaria Prinzivalli insegnante di educazione musicale nella scuolamedia. Presidente della sezione di Palermo, specializzata in didattica dellamusica, esperta in progettazione, promuove nel proprio territorio corsi dimusica di base per bambini e adulti presso strutture pubbliche e private.Ha esperienza di aggiornamento docenti. Membro del Direttivo Naziona-le uscente.

Annibale Rebaudengo docente di pianoforte al Conservatorio di Milano.Docente di didattica del pianoforte nei Corsi Internazionali Estivi. GiàPresidente della sezione di Milano. Presidente Nazionale uscente.

Maria Cecilia Sciddurlo conduce laboratori nella scuola elementare e hasvolto attività di aggiornamento di docenti di scuola elementare e dell’in-fanzia e ha collaborato con l’Università di Bari per conto della sezione diBari della quale è membro da due mandati del direttivo territoriale.

Maria Teresa Villa insegnante di educazione musicale nella scuola media,collaboratrice di agenzia nel settore dei servizi musicali. Ha esperienza diaggiornamento di docenti. Segretaria Nazionale uscente, membro dellaCommissione Corsi Internazionali Estivi di aggiornamento e Direttoredei Corsi Internazionali Estivi di Gatteo a Mare. Membro della commis-sione per l’organizzazione interna.

Collegio probiviri

Elena Asero già insegnante di “Musica e canto” nell’Istituto Magistrale,ha diretto cori e ha lavorato con bambini della scuola materna ed elemen-tare, ha esperienze di aggiornamento di docenti. Membro del DirettivoNazionale nel biennio 1994/95, Presidente della sezione territoriale diCatania.

Rosanna Casella già insegnante di educazione musicale e pianoforte nellescuole medie sperimentali ad indirizzo musicale, continua a dedicarsi aquesta ed alla musicoterapia. Ha esperienza di aggiornamento di docenti.Ha organizzato e partecipato come relatrice in diversi convegni nazionali.Già Presidente della sezione di La Spezia, Direttore dei Corsi Internazio-nali Estivi e del Direttivo Nazionale. Membro del Collegio dei Probiviriuscente.

Maurizio Della Casa già insegnante e preside di Scuola Media. Autore dinumerose pubblicazioni pedagogiche e didattiche. È stato vice-presidentenazionale della Siem e direttore di Musica Domani.

Carlo Delfrati insegnante di didattica presso il Conservatorio. Haesperienza di aggiornamento di docenti. Autore di pubblicazioni peda-gogiche e didattiche su riviste nazionali e internazionali. PresidenteNazionale Siem dal 1969 al 1977. Membro del Collegio dei Probiviriuscente.

Collegio revisori dei conti

Francesca Pagnini insegnante di flauto presso il Conservatorio di Bolo-gna, ha svolto attività concertistica sia in Italia che all’estero. Già mem-bro del Direttivo della sezione di Bologna, ha ricoperto la carica di Teso-riere nazionale. È membro del Collegio dei Revisori dei Conti uscente.

Ester Seritti docente di propedeutica musicale. Attiva nella ricerca sul-l’educazione musicale si è anche dedicata alla ricerca etnomusicologica.È autrice e curatrice di pubblicazioni, ha svolto e coordinato esperienzepedagogico/musicali rivolte in particolare alla fascia d’età 0-10 anni.Ha partecipato in qualità di relatrice a numerosi convegni, seminari econgressi. È membro del Collegio dei Revisori dei Conti uscente.

Johannella Tafuri insegnante di Pedagogia musicale al Conservatoriodi Bologna, si dedica all’aggiornamento degli insegnanti e alla ricerca esperimentazione nei settori della pedagogia, didattica e psicologia dellamusica. È autrice di libri e di articoli comparsi su riviste nazionali einternazionali. Direttore della commissione scientifica Siem/Edt e deiQuaderni della Siem. È membro del Collegio dei Revisori dei Contiuscente.

ASSEMBLEA NAZIONALEdei soci della Società Italiana per l’Educazione Musicale

L’Assemblea Nazionale Ordinaria dei Soci è convocata Sabato 26 Febbario 2000 a Bologna presso la sala con-ferenze IRRSAE - Emilia Romagna,Via Ugo Bassi 7 (dalla stazione autobus linea 25 o 30) alle ore 17.00 in primaconvocazione e alle ore 17.30 in seconda convocazione.All’ordine del giorno:1) Relazione del Presidente uscente2) Relazione della Segretaria uscente3) Attività dell’Associazione4) Presentazione del bilancio consuntivo 19995) Presentazione del bilancio preventivo 20006) Elezione della commissione elettorale e votazione per le cariche dell’Associazione, biennio 2000/2002.

I soci che fossero impossibilitati a intervenire possono farsi rappresentare da altri Soci munendoli dell’apposita delega (qui acclu-sa) debitamente compilata. Non sono ammesse più di tre deleghe per Socio. I partecipanti sono tenuti ad esibire la tessera d’i-scrizione alla Siem. I Soci Sostenitori con personalità giuridica possono essere rappresentati dal rispettivo titolare oppure dele-gato munito di attestato nominale. La presente comunicazione costituisce regolare convocazione dell’Assemblea come da Art. 9dello Statuto.

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Musica Domani - n. 113 - Dicembre 199912

Osservare e ascoltare un bravo accordatore allavoro è un’esperienza che ogni esecutoredovrebbe fare. L’accordatore che accorda

periodicamente il mio pianoforte in poco più di un’oraha già finito. Ma chi accorda un organo di medie dimen-sioni passa in rassegna qualcosa come mille, milledue-cento canne. È un lavoro che può durare giorni. Sentirel’avvicinarsi progressivo all’unisono, con i battimenti chegradualmente rallentano fino alla sensazione di unsuono fermo, è qualcosa di ipnotico. Talvolta è ancheun’esperienza faticosa: quando si lavora sui suoni piùgravi l’effetto ombra è così forte che in certi momentinon si sa più cosa ascoltare; quando si lavora sulle pic-cole canne si arriva a casa alla sera con le orecchiepiene di fischi. Eppure si scoprono molte cose.

Ad esempio che una accordatura temperata perfet-ta con tutti i semitoni assolutamente uguali è semplice-mente brutta da ascoltare. Il bravo accordatore tempe-ra ad orecchio la sua prima ottava, e non va avanti finoa quando il temperamento di quell’ottava non “suonabene”. In realtà suona bene semplicemente perché èquasi perfetto.Altro mistero: gli intervalli di quinta, nel-l’accordatura temperata, come è noto, sono leggermen-te calanti. Ma gli intervalli di quinta di alcune canne chefanno parte delle cosiddette “file di ripieno” dell’organosono assolutamente giusti. Logica vorrebbe che l’ascol-tatore percepisse una accozzaglia di battimenti insop-portabili fra le quinte calanti degli accordi prodotti dal-l’esecutore e le quinte giuste del ripieno. Niente ditutto questo, anzi con molti strumenti si ha perfino lasensazione di un suono limpido e cristallino.

Quando poi si ha a che fare con le accordatureantiche le sorprese sono veramente molte. Per esem-pio tutti noi abbiamo imparato, da diligenti studenti distoria della musica, che, con i 24 preludi e fughe delClavicembalo ben Temperato, J. S. Bach ha sancito defini-tivamente l’uso del temperamento. Basta applicare leregole per accordare suggerite dai trattati di organa-ria, anche del secolo successivo, per capire che si ècontinuato a utilizzare altre accordature anche dopoBach. Che poi l’accordatura temperata sia una scoper-ta dell’epoca di Bach si scontra con la constatazioneche il liuto produceva una accordatura temperata findall’epoca rinascimentale. Allora si scopre che in untipico ensamble barocco, con liuti, tiorbe, organo, cor-netti ecc., alcuni strumenti erano accordati in modotemperato e altri no.Ve lo immaginate il risultato? Giài detrattori della filologia musicale non sopportano

questi strumenti originali così aspri e stonacchiati,figurarsi se ci mettiamo ad accordarli in modo diver-so! Eppure, varrebbe la pena di provare. Suonando i24 preludi e fughe di cui sopra con un’accordaturaineguale si scoprirebbe così che quello in si maggioreti contorce le budella con le sue terze sempre troppograndi o troppo piccole e che in fondo non era poitanto pazzo il buon vecchio Johann Mattheson (1713)quando diceva che si maggiore è la più dura e dispera-ta di tutte le tonalità. Altro che do maggiore un semi-tono sotto!

Educare il nostro orecchio ad assaporare anchequesti sottili “profumi sonori” non sarebbe un obiettivoproprio da buttare via. Oggi la tecnologia ci aiuta a gio-care con facilità anche con le accordature. Alcunetastiere hanno diverse accordature già programmate erichiamabili solo pigiando un bottone. Oppure è possi-bile decidere l’altezza voluta tasto per tasto. Personal-mente non resisterei alla tentazione di assegnare lealtezze in modo assolutamente casuale mettendo, cheso, i fa diesis al posto di re, i mi bemolle al posto dei siecc. per poi provare a suonare una sonata di Mozart.Un bell’esercizio di dissociazione dita\orecchi! Oppureassegnare un do al tasto più grave, un re al più acuto, emettere in mezzo tutte altezze intermedie. Come cam-bierebbe la stessa sonata di prima? Ma assolutamentemicidiale sarebbe poter invertire la dinamica dei tasti:un tasto appena sfiorato suona fortissimo, premuto atutta forza suona pianissimo. Potremmo chiamarli gio-chetti, esperimenti di deprivazione sensoriale o, come faKagel, nuova filologia. Si potrebbero scoprire delle coseinteressanti, oppure no.

Ma la curiosità, la creatività, la capacità di esprimeree di esprimersi nascono alle volte da giochetti comequesti. Non si sa chi abbia effettivamente scoperto l’ef-fetto detto rossignoli presente su alcuni organi rinasci-mentali. Si tratta di un paio di piccole canne capovolteimmerse per una parte nell’acqua di una bacinella. L’a-ria, uscendo dalla canna, passa attraverso l’acqua e pro-duce delle bolle il cui gorgoglio fraziona il suono lungodella canna facendolo sembrare una specie di canto d’u-signolo. A me piace pensare che l’idea sia nata dai figliscatenati di qualche fabbricante di flauti che volevanoprovare a suonare sott’acqua. Forse si sarebbero presiqualche scapaccione se il loro papà non si fosse fermatoall’ultimo momento ascoltando e pensando: «Però,niente male come effetto!» e se ne fosse tornato trot-terellando verso il laboratorio grattandosi la nuca.

ACCORDATURA

FRANCESCO BELLOMI

Parole chiaveRUBRICHE

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Musica Domani - n. 113 - Dicembre 1999

Sul numero 110 di Musica Domani, nella rubrica“Confronti e dibattiti”, abbiamo letto con interes-se le risposte dei pedagogisti al problema delle

motivazioni dell’imparare la musica e in particolare learticolate riflessioni sull’ipotetica conflittualità fra lanecessaria ripetizione, il piacere di fare musica e il biso-gno di sempre nuovi stimoli. Altrettanto coinvolgente èstato il dibattito sulla collocazione della propria identitàmusicale nel proprio ambiente culturale e sociale.

Un’inchiestaal Conservatorio Verdi di Milano

Gli interventi di Franca Mazzoli, Renato Rovetta eFranca Ferrari ci hanno dato l’occasione per fare un’in-chiesta fra i nostri allievi di Pianoforte del Conservatorio“G. Verdi” di Milano. Abbiamo voluto sentire dai direttiinteressati come stanno vivendo lo studio strumentale intermini di ripetitività e/o di piacere e come essi, “musici-sti classici”, si rapportano con il mondo secolarizzatodella musica “altra”. Abbiamo quindi riformulato così ledomande:1) La necessità di ripetizione nello studio del pianoforte èin conflitto con l’interesse e il piacere di far musica? Se sì, inche modo riesci a unire l’interesse e il piacere di suonare conil miglioramento strumentale?2) L’essere un pianista di musica classica come ti fa colloca-re nel tuo ambiente sociale?

Gli allievi pianisti coinvolti sono stati trentaquattro;alle domande hanno risposto anche gli allievi di EddaPonti che si è resa disponibile nel collaborare allanostra inchiesta. Dodici frequentano il corso inferiore

di 5 anni (età fra gli 11 e i 15 anni), nove il corsomedio di 3 anni (età fra i 16 e i 25 anni) e tredici ilcorso superiore di 2 anni (età fra i 17 e i 25 anni). Diquesti ultimi, otto frequentano o hanno frequentato ilcorso di Didattica pianistica tenuto da Maria IsabellaDe Carli per il conseguimento del diploma sperimen-tale a indirizzo esecutivo-didattico. Le risposte proven-gono quindi anche da allievi di altre classi di Pianofor-te del Conservatorio milanese.

Le risposte non hanno messo in risalto differenzetra gli allievi che fanno riferimento ai diversi docenti.L’amore per la musica e per lo strumento sono costantie indipendenti dai nostri giudizi di docenti sui lororisultati.

La ripetizione è un male necessario?

Le risposte alla prima domanda sono essenzialmentedi due tipi. Due terzi circa degli allievi considerano laripetizione come un male necessario e rimandano a unsecondo momento il piacere di fare musica. Riesconoquindi a trovare gli stimoli allo studio ripetitivo nellaprevisione di una soddisfacente esecuzione. Il rimanenteterzo trova proprio nella ripetizione il piacere di farmusica.

Le fasce d’età e i tre periodi di studio non sembranoinfluenzare le risposte a questa prima domanda, mentrecontribuiscono alla maggiore o minore elaborazione nel-l’argomentare le proprie riflessioni.

Per rendere esplicite le varie sfaccettature delle rispo-ste ci sembra opportuno citare testualmente alcuni degliinterventi che abbiamo ritenuto più significativi.

Strumenti e tecniche

Gioie e doloridello studio musicale

Lo studio, a qualunque campo si applichi, è capace disuscitare i sentimenti più disparati: interesse e piacere, maanche noia e rancore. Come vive un allievo di conservatorio la necessità di dedicaretante ore del suo tempo allo studio di uno strumento? Alcunidocenti del Conservatorio di Milano hanno voluto chiederlo aipropri studenti, nella convinzione che la riflessione pedagogicapossa essere arricchita dal contributo dei diretti interessati.

MARIA ISABELLA DE CARLI

ANNIBALE REBAUDENGO

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Musica Domani - n. 113 - Dicembre 1999

Dal primo gruppo abbiamo scelto:Quando ascolto un pianista che suona un pezzo che magarimi piace particolarmente l’istinto immediato è quello dipensare a quanto sarebbe bello avere una bacchetta magicaper impararlo subito; poi però penso che anche quel piani-sta deve aver lavorato per prepararlo così bene. (Monica,14 anni, 5° corso)

Credo che in primo luogo si debba essere consapevoli chenon si può raggiungere un “livello musicale elevato” senzala ripetizione, […] quando ci si rende conto di ciò, si vaavanti perché si è capito che, malgrado la ripetizione che avolte è noiosa, la musica è troppo importante. (Paola, 16anni, 6° corso)

Lo studio ripetitivo è una componente essenziale e garanti-sce il raggiungimento di risultati molto soddisfacenti. (Ric-cardo, 16 anni, 8° corso)

La ripetizione è madre dell’apprendimento, e questo è l’uni-co modo per sperare di ottenere qualche risultato in uncampo tanto meraviglioso quanto spietato. (Beatrice, 17anni, 8° corso)

L’unico antidoto alla noia della ripetizione che posso pro-porre è il far comprendere all’allievo che la ripetizione serveper raggiungere la “perfezione”. (Paola, 18 anni, 9° corso)

Ci vuole una motivazione […], la necessità di renderechiara agli altri la partitura richiede un grande sforzo infase di studio, che è finalizzato al piacere dell’esecuzione inpubblico. (Andrea A., 19 anni, 9° corso)

Lo studio lento e la ripetizione sono alla base di un correttostudio per una buona esecuzione musicale, […], qualchevolta la ripetizione è veramente dura, […], ma non inten-do farne a meno. (Simone, 20 anni, 9° corso)

La ripetizione è data dal fatto che noi suoniamo con le dita- anche se facciamo musica con il cervello - ma queste dasole non si muovono: occorre allenarsi, come ci si allena perqualsiasi attività fisica, e non credo che fare 300 flessioni o50 vasche sia meno faticoso o più piacevole che esercitarsiripetendo alla tastiera. (Daniela, 20 anni, 10° corso)

[…] il difficile è prendere la decisione di mettersi a studia-re, e non semplicemente suonare. (Eleonora, 21 anni, 9°corso)

A un certo livello di studio, chi trova conflitto tra il lavoronecessariamente ripetitivo e l’interesse per la partiturafarebbe bene a cambiare mestiere. (Sem, 21 anni, 9°corso)

Non è in conflitto se è chiaro lo scopo […], il difficile èdecidere di affrontare lo studio ripetitivo. (Sara, 22 anni,10° corso)

Cambiare l’ordine dello studio aiuta a non stancarsi dellaripetizione infinita. Facendo le cose meno piacevoli all’ini-zio, ci si può regalare un’oretta di “solo piacere”, per esempioimprovvisando. (Anna, 25 anni, 9° corso)

Dal secondo gruppo abbiamo scelto:Se non studiassimo accuratamente un pezzo, non potremmomai amarlo. (Andrea, 13 anni, 4° corso)

Cerco poi di inserire la musica in vari contesti così da diffe-renziare ogni esecuzione. Ad esempio a volte penso a unprato con le farfalle così da fare il brano leggero, altre volteal tramonto così da eseguire il brano in modo cantabile-mezzoforte. (Letizia, 14 anni, 4° corso)

La continua necessità di ripetizione, spesso indispensabile perla riuscita di un passaggio difficile all’interno di un contestomusicale, vuol dire “far musica”. Nel mio caso, ad esempio,posso dire che la soddisfazione che ho nel suonare un piacevo-le brano dall’inizio alla fine, appunto “facendo musica”, cel’ho anche nello studiare, magari lentamente e scrupolosa-mente, sezioni di brano. (Claudia, 15 anni, 5° corso)

Io sostengo che il piacere di fare musica e lo studio specifico(con le conseguenti ripetizioni), siano due cose unite e chedipendano l’una dall’altra. (Sara, 16 anni, 6° corso)

Anzi, il piacere di fare musica, a mio avviso, sta proprionella ripetizione […], solo in questo modo ho la possibilitàdi provare oltre all’emozione di sentire un brano fluire sottole mie dita, anche quella di sentirlo vivere sempre di piùnella mia persona. (Raffaele, 18 anni, 8° corso).

La ripetizione è fonte di benessere poiché attraverso essasento il mio corpo liberarsi progressivamente, adeguarsi almovimento e al respiro del pezzo. L’importante è essere sem-pre in ascolto […], quando mi accorgo di annoiarmi vuoldire che non sto facendo un buon lavoro. (Giulia, 19 anni,7° corso).

Non sento contrasto con il piacere del fare musica, anzipenso che se ne aggiunga uno tutto particolare: quello che tiporta la soddisfazione di sentire che ormai quel determina-to passaggio difficile ti “appartiene”, permettendoti di gode-re fino in fondo il piacere di quella musica. (Laura, 22anni, 10° corso)

Nella prima fase dello studio trovo che la ripetizione sianon solo utile, ma anche piacevole. Mi sembra che seziona-re un pezzo, scegliere i punti che necessitano di più atten-zione, individuare il vero problema di una battuta, e aquel punto ripetere con pazienza maniacale il passaggioscomodo […] siano fasi di un lavoro che si avvicina a quel-lo di uno scultore che vede la pietra prendere pian piano laforma desiderata. (Ilaria, 22 anni, 10° corso)

L’interesse presuppone lo studio nella sua globalità, dalle

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fasi preliminari sino all’interiorizzazione; è fuori di dubbioche la ripetizione si innesti in questo processo come elemen-to indispensabile: “tagliare e poi scolpire, levigare e poilimare”. (Paolo, 25 anni, 8° corso)

Queste due ultime citazioni, provenienti da allievi didue classi diverse, hanno in comune un rapporto con ilfare musica che ha introdotto un insolito ma fascinosoparagone fra lo strumentista e lo scultore. Nel leggerequeste, ma anche altre risposte, è stato spontaneo pensa-re a Delalande e al suo studio sulle condotte musicali(Clueb 1993). L’autore francese ha interpellato concerti-sti affermati, ma i giovani studenti non sono da menonella percezione di sé, nella riflessione e nel cogliere per-tinenti paragoni tra chi utilizza le mani nei pur differen-ti linguaggi artistici.

La citazione che segue comprende, invece, le duealternative del dovere e del piacere.

La mia inclinazione all’organizzazione, alla ricerca di unordine […], mi fa ritrovare a mio agio nel principio dellaripetizione, poiché rappresenta un elemento rassicurante[…]. La ripetizione deve a mio avviso avvicinarsi il piùpossibile al gioco, poiché la dimensione ludica mi sembra ilpiù efficace mezzo valido a risolvere il conflitto tra la neces-sità di stimoli sempre nuovi e la noia del ripetere. (Flavia,22 anni, 10° corso)

Anche se in termini statistici potrebbe non esserepresa in considerazione, ci sembra opportuno citare l’u-nica voce fuori dal coro:

Sinceramente, per quanto mi riguarda, la necessità di ripe-tizione è in conflitto con la voglia di suonare. Infatti,quando comincio a studiare un pezzo, mi rammarico pen-sando a quanto tempo dovrò studiarlo prima di poterlo suo-nare bene. (Giovanni,14 anni, 3° corso)

Questa presa di posizione dei primi di aprile presagi-va l’abbandono del conservatorio (se pur non dello stru-mento) alla fine dell’anno scolastico.

Problemi di identità musicale

Alla seconda domanda, le risposte si differenzianoinvece per fasce d’età e sono tra loro omogenee. Ci sem-bra di poterle così sintetizzare: quando gli allievi sononella scuola elementare o ricordano il loro vissuto esi-stenziale musicale dell’età corrispondente a questa scuo-la, emerge una sostanziale armonia con il loro ambiente,che fanno corrispondere a quello parentale. Nella scuolamedia inferiore traspare la diversa cultura musicale fra ipianisti “classici” e i loro coetanei, e un certo senso didisagio oltre che il rammarico di non essere o di nonessere stati in armonia con la musica dei propri amici.Ma se in alcuni allievi si esplicita l’imbarazzo di non

saper suonare la musica “altra”, in allievi differenti simanifesta la sorpresa o l’orgoglio di essere oggetto diattenzione per la propria “diversità”. Gli studenti chefrequentano o hanno frequentato la scuola media annes-sa al conservatorio sembrano essere meno toccati dallaloro specificità musicale. Nella fascia liceale e post-secondaria la propria identità musicale è vissuta coscen-temente e come elemento che dà valore alla propriaindividualità. A volte è ben inserita nel proprio contestosociale, soprattutto per chi frequenta o ha frequentato ilLiceo musicale del conservatorio, a volte invece si colle-ga a una malcelata solitudine.

I nostri interlocutori ci hanno fornito risposte artico-late, in cui emerge la consapevolezza di una identitàmusicale ed esistenziale ben definita. Ogni rispostameriterebbe l’intera citazione, ma ragioni di spazio nonce lo consentono. Con un certo arbitrio abbiamo sele-zionato quanto segue.

Mi sento molto amata dalle persone che mi circondano evengo rispettata molto dai miei compagni. (Arianna, 11anni, 3° corso)

Il resto dei parenti manifesta orgoglio ed entusiasmo per lamia attività musicale e questo mi fa piacere, anche se avolte mi sopravvalutano. Quando invece una persona a cuisono stata presentata viene edotta della mia attività, laprima tendenza è quella di stupirsi e complimentarsi, poiinvece avverto la sensazione di essere trattata come unoggetto fragile e delicato, quasi una bambola di porcellana.In questi casi mi sento un po’ a disagio, perché non è affattocosì. (Monica, 14 anni, 4° corso)

Il fare musica mi ha dato una piccola notorietà anche fragli amici di mio padre e di mia madre, mi sento circondatodi curiosità e sincero affetto da parte dei compagni, degliinsegnanti delle elementari, del barbiere e del parroco.(Marco, 14 anni, 4° corso)

Nel mio caso, frequento la seconda Liceo musicale nel Con-servatorio, non ho alcun problema giacché sono numerosi imiei amici che hanno gli stessi interessi. […] Maturità escelta di vita perché chi suona uno strumento dev’esserepronto a sacrificare pomeriggi e serate di uscite e diverti-menti. (Claudia, 15 anni, 5° corso)

In certe occasioni mi trovo un po’ a disagio, ad esempioquando mi chiedono notizie su gruppi di musica moderna,perché in materia sono abbastanza ignorante. […] nonsarebbe male che mi documentassi in proposito […]. (Ric-cardo, 16 anni, 8° corso)

Per certe persone il mio studio è ritenuto molto particolare eaffascinante, altri sono stupiti per il genere di musica di cuimi occupo. (Sara, 16 anni, 6° corso)

Io mi trovo perfettamente inserita nel mio contesto sociale.

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Purtroppo non è sempre così: una mia amica è un po’ isola-ta dalla classe proprio per la sua sfrenata passione per il suostrumento. (Paola, 17 anni, 9° corso)

Una reazione una volta mi ha incuriosita: una ragazzami aveva chiesto che scuola frequentassi, alla mia rispostami ha guardata come se le avessi detto che facevo l’astro-nauta! O ancora, una volta a una mia compagna di classeche era sul tram con il violino e il libro di Italiano, unasignora le ha detto: ma fate anche letteratura? Come se unmusicista dovesse essere per forza ignorante! (Laura, 18anni, 10° corso)

Nei miei primi anni di studio, non avevo una grande con-siderazione dai miei compagni, che avrebbero voluto che iosuonassi brani meno “classici”. Quando ho cominciato ilLiceo Classico ho invece ottenuto una grande stima daparte dei miei compagni. (Andrea A., 19 anni, 9° corso)

Complessivamente l’essere un pianista mi ha sempre aiu-tato anche nella socializzazione. (Andrea B., 19 anni, 9°corso)

Sono semplicemente una persona più sensibile delle altre[…] che si trova a volte a dover condividere alcune emozio-ni sola con se stessa. (Raffaele, 19 anni, 8° corso)

Nella società con cui sono venuta a contatto, tutte le perso-ne, seppur molto diverse fra loro e alcune diverse da me,hanno saputo trovare dei lati positivi nella mia “diversità”e per questo ho imparato a ritenermi fortunata. (Sara, 20anni, 8° corso)

Nell’ambiente sociale in cui vivo […], il suonare il pia-noforte viene considerato un’attività simile a quelle chesvolgono altri individui, ovvero: mentre io suono, un altrofa le versioni di latino, un altro le tavole di architettura ecosì via…(Daniela, 20 anni, 10° corso)

Tra i giovani coetanei, compagni di liceo, mi è capitato divivere il mio interesse musicale come qualcosa di alienante,che mi rendeva distante dal gruppo, perché di fatto la miamusica non aveva “potenzialità socializzanti” come avvieneinvece nel caso in cui si sappia improvvisare alla chitarra,riprodurre canzoni e brani di un mondo meno arcano elontano da quello contemporaneo. (Flavia, 22 anni, 10°corso)

Quando ero bambina, ci sono stati gli anni in cui la musi-ca non era popolare tra le mie amiche. Come adulta trovoun gran piacere nel suonare bellissimi pezzi alle feste, ancheaccompagnando altri strumentisti. (Anna, 25 anni, 9°corso)

Sappiamo bene che questa fotografia dei nostri allievinon può essere portata come modello scientifico e stati-stico di condotte musicali giovanili o di benessere socia-

le/scolastico. È però una ricerca che ha permesso ancorauna volta di capire quanto sia utile, forse indispensabile,dare la parola a chi vive il problema, capire quanto gliallievi, piccoli e grandi, possano contribuire alla riflessio-ne pedagogica, solo se interpellati. Questa nostra inchie-sta è una raccolta di testimonianze che sta concretizzan-dosi in una ipotesi di lavoro per una ricerca da condursinel nostro conservatorio. Diversi colleghi, naturalmenteanche di altri strumenti, si sono dichiarati disponibili adare voce ai propri allievi.

È possibile che da una indovinata rubrica di MusicaDomani nasca una ricerca pedagogico-musicale di uncerto interesse. Vi faremo sapere.

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Ènato l'European Music Journal, una rivista suInternet con una pagina in 4 lingue: tedesco,

inglese, francese e italiano. Nasce in Germaniacon un Comitato direttivo tedesco affiancato daun comitato internazionale del quale fa parte,come rappresentante per l'Italia, Johannella Tafuri.

La rivista si rivolge a insegnanti di musica inscuole di ogni ordine e grado, nei Conservatori eUniversità, a professionisti e dilettanti, agli stu-denti e a tutti coloro che amano la musica.

A tutti la rivista intende offrire articoli teoricie pratici pubblicati nella lingua originale dell'auto-re e accompagnati dalla sintesi nelle altre tre lin-gue; proposte e materiali didattici; informazioni suavvenimenti, pubblicazioni, politiche scolasticheecc.; forum di discussione su argomenti interes-santi per la didattica musicale.

L'indirizzo è: www.music-journal.com.Chiunque desideri far pervenire informazioni

su Convegni, festivals, materiali e iniziative varie èinvitato a inviarle presso l'indirizzo elettronico diMusica Domani: [email protected], indi-rizzandole "a Johannella Tafuri per il GiornaleMusicale Europeo".

European Music JournalEuropean Music Journal

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I l futuro dell’informatica musicale nella didattica èsicuramente rappresentato da sistemi che consenta-no all’utente di interagire in maniera sempre più fisica

con il calcolatore.Fino a oggi, almeno a livello scolastico, sul calcolato-

re si sono sviluppate soprattutto applicazioni che hannopoco a che fare col corpo. Nell’editare partiture, peresempio, o nel comporre musica utilizzando programmidi intelligent music è il clic del mouse che mette in azio-ne processi e azioni che si realizzano interamente all’in-terno del calcolatore senza alcun contributo fisico daparte dell’utente. La sola eccezione si ha con le tastieremidi, dove l’esecutore produce manualmente musicache può essere registrata e manipolata successivamentesul calcolatore.

Comunque, al di là dell’innegabile utilità di questetecnologie sia dal punto di vista musicale che pedagogi-co, queste esperienze rimangono sempre legate in lineadi massima ad abilità tradizionali, che l’utente deve giàpossedere a prescindere dal calcolatore.

Oggi si stanno studiando sistemi hardware/softwaredove, anche senza una preparazione propriamente musi-cale, si può creare musica a partire dalla propria espe-rienza corporale e dalle proprie emozioni. Il calcolatoretraduce in musica i movimenti spontanei del corpo, rico-nosce l’espressione del viso, crea spazi virtuali all’internodei quali è possibile aggirarsi creativamente.

Non si tratta di tecnologie fantascientifiche, ma dinuovi strumenti che sono già alla portata della scuola,anche se ancora in una fase sperimentale.

In questo senso si sta muovendo il Laboratorio diInformatica Musicale (http://musart.dist.unige.it), diret-to dal prof. Antonio Camurri dell’Università di Genova,che sta effettuando studi su modelli di interazioneuomo-macchina nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale.

Le ricerche che il prof. Camurri e la sua équipe stan-no conducendo, oltre a essere interessanti dal punto divista scientifico e artistico, tengono conto non solo diun’utenza specializzata, ma mirano a raggiungere anche ilmondo della scuola.

Il laboratorio a tal proposito ha allo studio un siste-ma hardware/software denominato EyesWeb, che oltre aessere impiegato ad alti livelli, in un futuro abbastanzavicino verrà sperimentato con gruppi di insegnanti ealunni, in quanto capace di funzionare anche su comunicomputer multimediali.

EyesWeb grazie a una telecamera, non particolarmen-te costosa (circa 500 mila lire) collegata al computer, è in

grado di rilevare e analizzare i movimenti, la voce e isuoni prodotti da una o più persone e utilizzare questeinformazioni per controllare in tempo reale sintetizzato-ri collegati via midi, sistemi di luci o più semplicementela scheda sonora interna al calcolatore (ad esempioSound Blaster). Il sistema è particolarmente sensibile enon si limita a captare solo gesti ampi e grossolani, ma ècapace di percepire le sfumature espressive e gestuali dichi si muove davanti alla telecamera cogliendone lacomponente emotiva.

EyesWeb, come lo definisce Camurri, può essere con-siderato uno strumento per estendere le facoltà mentalie percettive attraverso la tecnologia: una sorta di esten-sione tecnologica del corpo.

Il recente prototipo del sistema EyesWeb, che com-prende una serie di moduli software, è attualmente infase di ingegnerizzazione e verrà distribuito nell’autunno1999 a un ristretto gruppo di utenti affinché lo speri-mentino in applicazioni didattiche e artistiche.

Il progetto EyesWeb si pone due obiettivi principali:lo studio di nuovi ambienti esecutivi e lo sviluppo e rea-lizzazione di sistemi di intelligenza artificiale a supportodi performance sia in ambito artistico che didattico.

L’utente attraverso EyesWeb può plasmare l’ambien-te, in quanto il sistema registra le varie posture delcorpo regolandosi di conseguenza; ad esempio un danza-tore che si ferma in un punto fisso dello spazio imitandoi movimenti di un percussionista, indurrà il sistema acreare delle percussioni virtuali in quel punto; il danzato-re troverà in quel punto, fino a quando non si avrannonuove mutazioni del sistema, percussioni ‘invisibili’ (iper-strumenti) da percuotere.

Il danzatore/musicista può aggiungere nuovi strumen-ti virtuali in altre posizioni dello spazio soltanto imitan-done i gesti; gli strumenti che non vengono più suonati,gradualmente si dissolvono.

Il tipo di sonorità che il sistema crea sono stretta-mente condizionate dal modo di muoversi dell’utentedavanti alla telecamera; ad esempio di fronte a movimen-ti morbidi, EyesWeb darà vita a situazioni sonore delica-te, di fronte a gesti duri, il sistema produrrà suoni diforte impatto timbrico; il sistema interagisce con l’utente(bio-feedback) adattandosi progressivamente ai suoicomportamenti.

In EyesWeb si tratta di appropriarsi di tecniche musi-cali nuove, che mettono l’insegnante e l’alunno alla pariin una ricerca comune stimolata passo dopo passo dallacuriosità e dalla creatività.

EYESWEB

AMEDEO GAGGIOLO

RUBRICHE

Musica in bit

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Musica Domani - n. 113 - Dicembre 1999

«Perché gli uomini invece di star fermi se nevanno da un posto all’altro?» La domanda è diB. Chatwin.1 Da Ulisse in poi il tema del

viaggio è stato uno dei più frequentati dalla letteraturaoccidentale e, in particolare, dalla letteratura per l’infan-zia. Delle mille metafore legate a questo tema una ci staparticolarmente a cuore: il viaggio come crescita. Il bam-bino che cresce è, in fondo, un esploratore entusiasta eimpaurito di mondi sconosciuti, un viaggiatore che conil suo piccolo bagaglio di cose già esperite si imbarca allascoperta della vita. D’altra parte anche noi, come educa-trici-insegnanti, ci siamo sempre considerate delle viag-giatrici disposte a cambiare in ogni momento la rotta delviaggio educativo intrapreso e, a posteriori, abbiamosentito i nostri viaggi come momenti di crescita profes-sionale e anche personale.

L’itinerario didattico che raccontiamo, ispirato a Iviaggi di Gulliver di J. Swift, è un progetto che ha coin-volto i bambini di alcune scuole dell’infanzia di Veneziae, in un secondo tempo, è diventato il tema di una seriedi corsi di formazione realizzati in collaborazione con ilProvveditorato e il Comune di Venezia.

Il tema del viaggio avventuroso di Gulliver ci ha con-sentito di far emergere quell’ambivalente sentimento dicuriosità e paura che ogni bambino prova rispetto alnuovo, al non ancora conosciuto. Particolarmente sor-prendenti sono i mondi esplorati dal bambino-Gulliverche, prima gigante (tra i Lillipuziani) e poi piccolissimo(tra i Giganti), sperimenta in campo ludico-simbolico ilsuo essere a volte piccolo, a volte grande, secondo i con-testi o le relazioni in cui è coinvolto. In tal modo il bam-bino sperimenta il carattere dinamico della propria iden-tità che si definisce anche attraverso le vicissitudini delsuo mondo relazionale.

In questa prospettiva il canovaccio narrativo di Gulliversi è inserito all’interno di un progetto comunicativo che hatenuto conto delle modalità espressive proprie dei diversilinguaggi: verbale, musicale, visivo, motorio-gestuale.

La tempesta

Il nostro Gulliver viaggia per mare e noi partiamocon lui, a bordo di un veliero immaginario, navigandoin acque calme e limpide dalla forma di un grande telodi fodera azzurra. Il telo, tenuto ai quattro angoli dalleinsegnanti o dai bambini stessi, viene fatto ondeggiareseguendo l’andamento tranquillo e acquatico di unamusica New Age2. I bambini si fanno cullare dalle ondedel tessuto frusciante e luminescente, oppure possonotuffarsi nel fondo marino (sotto il telo) e scoprire con-chiglie, sassi appiattiti, piccoli rami levigati, stelle mari-ne e cavallucci.

Successivamente l’ascolto de Il Temporale, tratto dalBarbiere di Siviglia di Rossini, suggerisce ai bambinidistesi sotto il mare di cominciare a muovere a poco apoco il telo, prima spingendo con la punta delle dita persimulare le goccioline d’acqua che rimbalzano a cerchisulla superficie del mare, e poi con gomiti, ginocchia,piedi, e alla fine con tutto il corpo per creare l’agitazionedi una vera e propria tempesta. Quindi, seguendo lamusica che si placa, a poco a poco anche il mare ritornaal suo stato iniziale di quiete.

Il gioco del mare si amplia con la costruzione dimaracas fatte di grandi bottiglie di plastica trasparente:in questo modo il contenuto visibile di varia grana,forma, dimensione e colore può essere osservato nel suoipnotico ondeggiare. I bambini rimangono incantati dalsuono leggero, continuo, granuloso, simile a quello dellarisacca e osservano con concentrazione il lento scorreredei granelli di riso, sabbia, farina, pastina, perline, chetrasformano la bottiglia in clessidra. Una sonorizzazionecon le bottiglie del mare, dapprima calmo e poi in tem-pesta, viene proposta ai bambini tenendo come sfondole musiche (quella New Age e Il temporale) ascoltate edrammatizzate in precedenza; oppure la sonorizzazioneviene guidata dal dito magico del Mago del Vento, che apiacere fa scoppiare la tempesta o la fa cessare.

Pratiche educative

I viaggi musicalidel fantastico Gulliver

I viaggi di Gulliver costituiscono il pretesto narrativo per nume-rose attività, musicali e non: la scoperta delle abitudini e deigusti di lillipuziani e giganti, porta i bambini di una scuolamaterna di Venezia a indagare se stessi e gli altri.

MARIA ROSARIA BARBA

ANTONELLA BOSCOLO

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Alla ricerca del sound:il Lillipuziano e il Gigante

Lilliput e Brobdingnag (le nostre esperienze hannovoluto soffermarsi soltanto su questi due viaggi, dalmomento che l’Isola Volante dei Saggi di Laputa e il Paesedei Cavalli presentano una satira feroce su argomentiestranei all’età infantile) sono le isole su cui Gulliver siritrova naufrago in seguito a due potenti tempeste mari-ne, e dove gli capitano strani eventi paradossalmente spe-culari. Anche le attività sonoro-musicali da noi proposteai bambini hanno voluto mantenere la caratteristica diessere appunto a specchio, facilmente paragonabili e con-frontabili nelle contrapposte connotazioni di tipo: • timbrico (suoni leggeri e tintinnanti contrapposti asuoni pesanti e rimbombanti); • esecutivo (staccato contrapposto a legato; ricerca digesti che producono suoni diversi sugli stessi materiali);• dinamico (piano/pianissimo contrapposto a forte/for-tissimo);• agogico (velocissimo contrapposto a lentissimo); • motorio (movimenti leggeri e scattanti contrapposti apesanti e ondeggianti); • vocale (vocina acuta e squillante contrapposta a vocio-ne gutturale e tuonante); • strumentale (costruire strumenti piccolissimi contrap-posto a strumenti enormi); • grafico (le impronte che suonano: minuscole contrap-poste a grandissime); • pittorico (chiaro contrapposto a scuro, i costumi deiLillipuziani contrapposti a quelli dei Giganti);• teatrale (le dita-marionette che si muovono in un tea-trino lillipuziano contrapposte alle gigantesche ombreproiettate su un grande telo).

La scelta di repertori utilizzati per facili coreografie,per drammatizzare particolari momenti della storia, percreare sfondi musicali su cui far muovere i personaggi delteatrino o del teatro d’ombre, ha voluto mantenere e anziaccentuare queste diversità di sound: quello dei Lillipuzia-ni oppure quello dei Giganti: il Balletto dei pulcini nei lorogusci tratto dai Quadri per una esposizione di Musorgskij,ad esempio, è stato scelto per la drammatizzazione dellascena in cui Gulliver disteso sulla spiaggia viene circonda-to e osservato curiosamente dai Lillipuziani, mentre suL’Elefante dal Carnevale degli animali di Saint-Saens èstato realizzato un goffo valzer lento con inchini e bacia-mani alla corte del Re dei Giganti.

Le canzoni Siamo i Lillipuziani e la Marcia dei Giganti– la cui funzione è stata quella di contenitore simbolicodell’esperienza3, che grazie al canto viene ricordata e rivis-suta dal bambino – sono state proposte a conclusione diciascuna unità e hanno ricreato e condensato il sound diciascun popolo attraverso scelte compositive con-trapposte4. Così la canzone dei Lillipuziani è veloce e stac-cata, accompagnata alla tastiera da suoni leggeri e acuti;essa contiene nel testo alcuni esempi paradossali e nelritornello il famoso Giuramento acrobatico «.. tenere il

piede destro nella mano sinistra, piazzare il dito medio dellamano destra sulla sommità del capo e il pollice sulla puntadell’orecchio destro».5 da eseguire rispettando una precisascansione temporale data dai suoni del guiro (crac),legnetti (tic) flauto a coulisse (uuuuuuuuuuuiiii).

La canzone dei Giganti, pensata con un arrangiamentodi ottoni e contrabbassi, è lenta, con suoni legati, unasorta di marcia dondolante e buffa per un popolo che uti-lizza nuvole e monti al posto di coperte e cuscini.

I Lillipuziani acrobatie l’orologio di Gulliver

Quando Gulliver, naufrago, fa la conoscenza dei Lilli-puziani, alti come un dito mignolo, essi gli sembranominuti e indifesi; in realtà essi si rivelano agguerriti gene-rali, feroci politicanti e loschi congiurati che quasi riesco-no a far fuori il gigante-Gulliver con la potenza delle loroarmi velenose e con complotti e congiure di palazzo.

Un aspetto del romanzo che ci ha particolarmentedivertito, è stato notare l’abilità dei Lillipuziani candidatialle alte cariche di corte nel danzare sulla fune, nell’esegui-re acrobazie ginniche e salti mortali «Quando un alto uffi-cio è vacante, per morte o per caduta in disgrazia (il cheaccade spesso) cinque o sei candidati avanzano petizioneall’Imperatore per intrattenere Sua Maestà e la Corte conuna danza sulla fune, e chi salta più in alto senza cadere suc-cede nell’ufficio. Ma molto spesso gli stessi primi ministrihanno l’ordine di mostrare la loro perizia e di convincerel’imperatore che non hanno perduto capacità»6.

I bambini trasformati in Lillipuziani si muovono rapi-di e nervosi, si salutano e chiacchierano in un linguaggioinventato fatto con vocine leggere e acute, inventano unagiornata-tipo da omini piccoli, e poi si cimentano in gio-chi di equilibrio, destrezza e abilità eseguendo comandisonori.

Camminare sulla fune tesa per terra o sull’asse di equi-librio: le maracas, in mano ai bambini, suonano quandouno di loro avanza in equilibrio sulla fune, un colpo ditamburello sonorizza la caduta.

Salti e capriole: i bambini eseguono capriole su tappeto(oppure si rotolano per terra) al suono del cimbalo, salta-no in piedi al suono del piatto.

Saltare sopra e sotto la corda: viene tesa una corda adun’altezza da terra di circa venti centimetri; quando suonail flauto i bambini saltano sopra la corda, se invece suona-no i legnetti devono passare sotto la corda.

La danza di corte lillipuziana si esegue sul tempo velo-cissimo di Trepak da Lo Schiaccianoci di Cajkovskij: ibambini formano tanti piccoli girotondi e la coreografiaconsiste in salti e giri, movimenti alternati delle gambecon le mani sui gomiti come fossero cosacchi, battiti sullecosce e finale centrifugato con caduta conclusiva.

Stanchi del loro frenetico muoversi i Lillipuzianivanno finalmente a letto, in un lettino che è più piccolodella scarpetta di un bimbo! Sarà bello (e piacevolmente

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regressivo) per ogni bambino provare a rilassarsi in unminutissimo lettino immaginario al suono della campanadi Lilliput (triangolo).

Poi i Lillipuziani vanno a frugare nelle tasche dell’Uo-mo Montagna: dal momento che Gulliver è loro prigio-niero essi devono assicurarsi che egli non possieda armi oaltri aggeggi pericolosi. «Gli ordinammo di estrarre la cosaappesa alla fine della catena […] e constatammo che era unglobo per metà d’argento e per metà di una sorta di metallotrasparente […] Colui ci avvicinò all’orecchio il meccanismo,che emetteva un rumore incessante, simile a quello di unmulino ad acqua. Reputiamo che si tratti […] di un dio chelui adora […] avendoci egli assicurato […] che raramente faqualcosa senza consultarlo. L’ha chiamato il suo oracolo e hadetto che gli scandisce il tempo per ogni azione della vita»7.La paradossale descrizione dell’orologio fatta da un Lilli-puziano, che non ne conosce l’uso – quasi come un bam-bino della scuola materna – e che evidentemente ironizzasul nostro vivere sempre scandito da un meccanismoquasi divino, ha suggerito l’idea di una filastrocca ritmicache nel corso di aggiornamento per insegnanti è stata ese-guita anche a canone. I bambini hanno accompagnato lafilastrocca con due gesti-suono: battito sulle cosce (tichetache) e battito delle mani (don). Quindi sono stati intro-dotti gli strumenti: due blocchi sonori o due note delloxilofono o legnetti (tiche tache) e piatto sospeso (don).Variazioni sul tema dell’orologio sono state apportateaggiungendo talvolta un “Cucù” eseguito con la voce esuggerito da un bambino, oppure trasformando lenta-mente l’ostinato ritmico (tiche tache) in uno scioglilinguaveneto molto popolare (Ti che te tachi i tachi, tàchime itachi a mi, mi che te taco i tachi, tàchite ti i to tachi) che ibambini si sono cimentati a ripetere e a tradurre congrande entusiasmo.

Vespe e chiocciole giganti

«Mosche [...] grandi quanto le allodole [...] mentre sedevoa pranzo non mi davano pace con il loro continuo ronzare efrusciare alle mie orecchie. A volte si posavano sulle cibarie eci lasciavano sopra uova ed escrementi nauseabondi, a meben visibili mentre non lo erano per i nativi di quel paese».

«Una ventina di vespe [...] mi volarono dentro la stanza,ronzando più forte dei bordoni di molte cornamuse[...]. Tut-tavia ebbi il coraggio di alzarmi, prendere il pugnale e attac-carle per aria».8

«Mi scorticai lo stinco destro sul guscio di una lumacacontro cui mi capitò di inciampare».9

Il bambino-Gulliver nel paese dei Giganti si trasformae acquista a sua volta le dimensioni di un Lillipuziano: ciòche è minuscolo nel nostro mondo (gli insetti, una bricio-la di pane, un guscio di lumaca) quanto diventa grande aBrobdingnag! I bambini cercano di immaginare questopaese dove ogni cosa ha dimensioni enormi, guidati poiin una riflessione sul concetto di relatività: un bambino diquattro anni è piccolo rispetto a un adolescente o a un

adulto, ma apparirà grande agli occhi di un bambino diuno o due anni.

Ai bambini viene quindi richiesto di drammatizzare ingruppi di tre o quattro il lento strisciare di una chiocciolagigantesca. Le soluzioni trovate sono tutte interessanti eoriginali: due bambini strisciano per terra, mentre altridue a cavalcioni sui compagni formano con le bracciaunite tra loro un arco; un bambino striscia mentre il com-pagno si distende sopra senza toccare il tappeto e si fa tra-sportare. Per sonorizzare il movimento della chiocciolavengono utilizzati fogli di cellophane, oppure sacchetti diplastica di tipo leggero e bianco, che, anche nel loro lucci-care, ricordano la bava lucente lasciata dalla lumaca.

Gulliver deve inoltre lottare contro agguerrite vespe,grandi come uccelli, che un giorno gli girano intorno allatesta «ronzando più forte dei bordoni di molte cornamuse».10

La scena viene drammatizzata sul frammento Asini Selva-tici da Il Carnevale degli animali di Saint-Saens, ripetutotre volte, immaginando che Gulliver affronti e sconfiggacol suo pugnale tre vespe giganti.

Ora i bambini diventano Giganti, si muovono lenti epesanti, parlano con un vocione grosso e scuro. Quandodormono nei loro letti, grandi come palazzi, cogliamol’occasione per farli rilassare, associando a ogni parte delcorpo che viene via via nominata la sensazione di pesan-tezza propria dell’immaginarsi Giganti.

I due popoli si incontrano

A conclusione del laboratorio abbiamo ipotizzato unincontro tra questi due popoli stravaganti e dalle caratteri-stiche opposte, attraverso un confronto musicale tra ledue orchestre.

Per l’orchestra lillipuziana la ricerca fatta dai bambini èstata quella di trovare i suoni “piccoli” di ogni oggettosonoro a loro disposizione, sperimentando diversi gestiper produrre suoni, movimenti, modalità esecutive varie,magari anche inusuali rispetto all’oggetto da esplorare(grattare leggermente la pelle del tamburello, strofinare iltriangolo, soffiare sul piatto sospeso ecc.); successivamenteè stato richiesto a ogni bambino di inventare uno stru-mento musicale che potesse essere suonato da un Lillipu-ziano. Le idee dei bambini ci hanno sorpreso: due botton-cini con asola come piatti, una scatoletta di svedesi conun unico granello di riso come maracas, due stuzzicadenticome legnetti, una cannuccia come flauto, e altri ancora.

Al contrario per l’orchestra dei Giganti si dovevanotrovare suoni “grandi”, anche utilizzando mobili, suppel-lettili della scuola, armadi di metallo e qualsiasi altrooggetto a disposizione.

Ogni orchestra ha poi elaborato una partitura informa di impronte che suonano, fissata in due cartellonicolorati ed eseguita in contrapposizione seguendo l’indi-cazione di un direttore d’orchestra: piccoli punti vicini infila o sparsi su tutto il foglio per i Lillipuziani, grandi pie-doni pieni di colore per i Giganti.

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Davanti ai Re di Lilliput e di Brobdingnag i due popo-li si salutano infine con un buffo Minuetto11 a specchio: imovimenti (passi in avanti e indietro, leggere corsette einchini in uno spazio idealmente suddiviso a metà) pro-posti dai Lillipuziani, vengono ripetuti rispettando le frasimusicali dai bambini-Giganti, vestiti con lunghi cappelli acilindro di cartoncino e con larghi vestiti imbottiti dicarta di giornale.

In un’epoca di così profondi odi razziali, l’eleganteMinuetto haendeliano ballato da gruppi etnici tantodiversi come i minuscoli abitanti di Lilliput e i giganti diBrobdingnag, ben si prestava a dimostrare la possibilitàdella tolleranza e dell’amicizia tra i popoli.

Note

1 Da una lettera di B. Chatwin a T. Maschler, 1969.2 Midnight Mist, New Age Music and Sounds, vol. 32, n. 7.3 A. Boscolo, S. Lucchetti, “Il simbolico e il fantastico come motivazio-

ne per i piccoli”, Musica Domani n. 95, giugno 1995, pp. 12-14.4 Le canzoni sono state arrangiate al computer da Marina Penzo, che ha

scelto sonorità e timbri in forte contrasto.5 J. Swift, I Viaggi di Gulliver, Giunti Editore, Trad. Giuliana Berlin-

guer, ill. Massimiliano Longo, 1998, p. 37.6 ibidem, p. 32 e sgg.7 ibidem, p. 278 ibidem, p. 1219 ibidem, p. 13110 ibidem, p. 12111 Minuetto da Musica sull’acqua di G. F. Haendel.

Pratiche educative

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Siamo tanto piccolinimolto più di voi bambiniSvelti svelti camminiamoquando a spasso ce ne andiamo.

rit. Siamo i LillipuzianiSiamo ometti molto straniSe con noi vorrai restarea far così dovrai impararecrac tic uuuuuuuuuuuiiii.(gesti del giuramento)

Abbiam navi e bastimentiSiamo armati fino ai dentiNavighiamo su un battello grande quanto il tuo cappello.

rit.

Sua maestà il nostro monarcase gli presti una tua scarpacon sua “Altezza” la Reginaci farà una dormitina.

rit.

rit. Avanti, avanti siamo i Gigantilenti e pesanti come elefantiAvanti, avanti siamo i GigantiTrallalero lallà.

Il mare è la nostra piscinaVulcano è la nostra cucinaI pini ci fanno contentiLi usiamo per stuzzicadenti.

rit.

La luna ci serve da pallaL’aereo è la nostra farfallaI monti ci fan da cuscinoLe nubi ci fan da piumino.

rit.

Siamo i LillipuzianiM. R. Barba

Marcia dei GigantiA. Boscolo

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A ll’interno della Scuola estiva di AnimazioneMusicale di Lecco, parallelamente all’attivitàformativa, si svolge da un anno un lavoro che

potremmo definire di ricerca condivisa. Gli iscritti allascuola sono invitati ad analizzare e a rielaborare conti-nuamente la propria esperienza e il progetto dellascuola.

La ricerca si sviluppa, tra l’altro, a partire dalladomanda: Cosa fa animatori musicali?, secondo una meto-dologia che procede dall’esperienza alla teoria. I risultatiraccolti e sintetizzati si riferiscono al primo anno dilavoro.

Potremmo definire quanto è emerso come un primoidentikit, un’iniziale raccolta di indizi che consentono diintravvedere alcuni tratti dell’identità dell’animatore/ani-matrice musicale.

I diversi elementi sono stati raccolti in cinque cate-gorie: le qualità umane, che rimandano all’essere dellapersona, le conoscenze che riguardano il sapere di cuideve essere in possesso, le capacità metodologiche cheinteressano quanto deve saper fare e saper far fareprima, durante e dopo l’azione animativa e, infine, gliatteggiamenti e i comportamenti che rimandano a unsaper essere, fondamentale per sviluppare la funzionemetaoperativa.

Entriamo dunque nella ricerca e proviamo a costrui-re il nostro identikit. Si può affermare, come prima cosa,che si tratti di una persona musicale, che ha cioè svilup-pato positivamente la propria musicalità e che sa man-tenersi curiosa, critica e creativa nei confronti dellamusica. Tra le sue qualità principali sembrano esserci lasensibilità, l’intuito, la spigliatezza, la creatività, l’equili-brio, la capacità di comunicare e di assumersi responsa-bilità.

Dovrebbe essere poi una persona almeno un po’carismatica, capace di autocritica e di autoironia.

Poiché si tratta di un soggetto dotato di precisecompetenze musicali, abbiamo provato a indagare qualisono i saperi che un buon animatore musicale deve pos-sedere. Innanzitutto deve essere in possesso di unacompetenza musicologica interdisciplinare, particolar-mente attenta alle letture proposte dall’antropologia,dalla psicologia, dalla sociologia e dalla semiologia dellamusica, avere conoscenze pedagogiche generali, legislati-ve e relative alla metodologia del lavoro sociale.

Osservando i tratti più specificatamente musicali, ilnostro dovrebbe poter dimostrare una non superficialecompetenza polistrumentale, sostenuta da un’adeguatacompetenza a lavorare con supporti tecnologici. Le sue

principali abilità musicali riguardano la lettura e l’analisimusicale, il saper cantare, anche accompagnandosi conuno strumento, l’arrangiare e orchestrare brani musica-le ad hoc per i suoi interventi, l’essere sufficientementeavvezzo alla pratiche dell’improvvisazione e della com-posizione. Dovrebbe inoltre possedere un’ampia cono-scenza di tecniche dell’animazione ed essere in grado diutilizzare diversi linguaggi espressivi attraverso differenticanali comunicativi.

Quando entra in azione, l’animatore musicale esper-to dimostra precise competenze metodologiche: innan-zitutto sa mettersi in ascolto attento e paziente dellediverse situazioni che incontra. Investe poi molto sullacapacità di progettazione e valutazione, che articolaoperativamente nella costruzione di attività musicaliappropriate, accessibili e congruenti con la programma-zione che si è dato. Facilitatore di processi creativi epromotore di eventi musicali in grado di mettere le per-sone a proprio agio, sa leggere e valorizzare le qualità, lepotenzialità e le competenze musicali di ognuno, delgruppo, dell’ambiente e promuoverle all’interno di uncontesto che favorisce processi di cambiamento. Per farciò sa mettere in atto comportamenti accoglienti, favo-rire la relazione, costruire processi di comunicazione. Èpersona coinvolgente, gli piace giocare, inventare,costruire. È alla continua ricerca di una visione esteticae artistica della realtà che possa emozionare, stupire,generare desiderio.Ama lavorare coi simboli e coi segnie ha l’abitudine di far confluire le esperienze educativein un gioco di rappresentazioni.

Attento ascoltatore e osservatore di ogni cosa,aperto e disponibile ai cambiamenti e alle contaminazio-ni è un instancabile ricercatore della qualità dei processie delle esperienze collettive. Flessibile nella conduzionedelle attività, sa essere, all’occorrenza, anche direttivo,istrionico, trasgressivo… senza eccedere, naturalmente.

Già gli elementi raccolti potrebbero essere sufficien-ti per costruire un primo identikit, ma c’è un ultimotratto che ci ha incuriositi ed è sembrato particolar-mente interessante: è che ci troviamo di fronte a unpersonaggio che ha la strana tendenza di diventare invi-sibile.

Chi partecipa alle sue attività ha spesso dichiarato disentirsi rassicurato dalla sua presenza anche quandonon c’è: in effetti, regola fondamentale del lavoro di ani-mazione è proprio quella di rendere la propria presenzanon necessaria, fino a prevedere la sua completa spari-zione. Dove c’è animazione il suo intervento non è piùnecessario.

IDENTIKIT DELL’ANIMATORE

MAURIZIO VITALI

RUBRICHE

Taccuino di animazione

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Pubblicità 2/2Suvini Zerboni

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Nel 1939, a proposito della sua Op. 5, Antonvon Webern così scriveva a Hildegard Jone:«Ogni volta che si è trattato di questo quar-

tetto c’è stata la guerra». Ebbene, se non ci intimidissel’altissima lezione etica ed estetica del compositoreaustriaco, dopo aver proposto l’ascolto del terzo deiCinque movimenti op.5 per quartetto d’archi ai ragazzidella terza media della Scuola Internazionale di Paler-mo, non esiteremmo a contraddire la sua poco fiducio-sa affermazione. Gli undici allievi di questa classehanno, infatti, progressivamente fugato i loro pregiudi-zi d’ascolto, immergendosi nella fruizione consapevoledell’oggetto sonoro proposto.

Il numero non eccessivo di studenti mi ha consenti-to di tradurre in concreta prassi didattica le indicazionipsicopedagogiche di Leonardo Calì1 e talune idee filo-sofico-musicali di T. W. Adorno2. Durante l’interoanno, ho cercato di presentare una serie coerente dibrani, facendoli analizzare attraverso dei grafici d’ascol-to. Tale metodologia, utilizzando grafemi informali,

permette una sorta di lettura uditiva dell’architetturasonora, ricodificando in rapporti visivi, fissati nellospazio, la logica musicale dileguantesi nel tempo.

Ogni brano ascoltato è stato sempre introdottodalla definizione di musica elaborata da GiovanniDamasceno: «La musica è una successione di suoni chesi chiamano l’un l’altro». Questa frase ha costituito unaspecie di leitmotiv dell’intero corso scolastico.

In tutte le esperienze d’ascolto ho cercato sempre direndere percepibili e intellegibili le leggi di connessionetra i suoni e le reti di relazioni compositive, nella con-vinzione che il linguaggio musicale non si sedimentinei singoli suoni, ma si articoli tra insiemi sonori.

La segmentazione del brano musicale

Il terzo movimento dell’Op. 5 è stato l’ultimo degliascolti proposti. Ho preparato il lavoro individuando inpartitura 21 configurazioni sonore (vedi pagina seguente).

Pratiche educative

Costellazioni sonorenel firmamento di Webern

I ragazzi di una terza media ascoltano il terzo dei Cinquemovimenti op. 5 di Anton von Webern.La realizzazione di un grafico consente loro di cogliere lastruttura compositiva di un’opera da molti considerata “ostica”.

GAETANO MERCADANTE

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Pratiche educative

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Ero certo, infatti, che il continuum sonoro weber-niano, dopo il primo ascolto integrale (della durata di38 secondi nell’esecuzione dello Juilliard StringQuartet), sarebbe stato percepito come un flusso indi-stinto, come un firmamento tempestato di punti sono-ri dissociati. Gli allievi più discreti espressero un mode-rato stupore, altri, meno controllati, non disdegnaronosferzanti considerazioni demolitrici: sembravano pren-dere minacciosamente forma le prime avvisaglie dellasopracitata guerra weberniana.

Con il prezioso aiuto di un lettore cd, ho fattoascoltare più volte di seguito le prime quattro configu-razioni sonore, chiedendo agli allievi se riuscivano aidentificare una tradizionale melodia. Le risposte furo-no variamente critiche circa tale possibilità, ma quasitutti ammisero la costante presenza di due piani sono-ri: uno che fungeva da figura e l’altro da sfondo.

Subito dopo, facendo riascoltare isolatamente e ripetu-tamente ciascuna configurazione fino alla quarta, ho invi-tato ciascun allievo a formulare, per tentativi progressivi,la propria rappresentazione grafica di quanto andavaascoltando. A questo punto ho chiesto cosa poteva distin-guere e differenziare le quattro configurazioni.

Lentamente sono emerse le seguenti considerazioni:la prima configurazione era un puro sfondo senza figu-ra; tale sfondo continuava identico a se stesso fino allaquarta; le figure della seconda, terza e quarta configu-razione si differenziavano tra loro perché gli strumentiadoperavano diversi modi d’attacco (al ponticello, piz-zicato, con l’arco) e diverse dinamiche (p - ff - p). L’ini-ziale diffidenza si andava trasformando in curiosità: gliallievi riformulavano, ciascuno a suo modo, il propriografico per renderlo più fedele al livello analitico-per-cettivo raggiunto (la figura di pagina 27 illustra sola-mente uno dei tanti possibili esiti finali3).

Cogliere la struttura compositiva

Bisognava, adesso, rendere più espliciti i nessi tra lequattro configurazioni identificate. Nei precedentiascolti (i primi periodi della Sinfonia n. 41 K 551“Jupiter” di W. A. Mozart e della Ouverture del Barbieredi Siviglia di G. Rossini) c’eravamo occupati dell’arti-colazione per contrasto tra le cellule motiviche.

Gli allievi avevano scoperto che sia Mozart che Ros-sini usavano connettere cellule motiviche contigue giu-stapponendo scritture musicali, timbri e dinamichecontrastanti: il flusso melodico si opponeva alla scan-sione ritmica, il forte al piano, il tutti a una singolasezione strumentale. Ben presto si andavano accorgen-do che anche in Webern le configurazioni 2, 3 e 4 siconcatenavano per contrasto: i diversi modi d’attaccogarantivano una netta differenziazione timbrica, ladinamica procedeva per opposizioni pp-ff-pp, la dire-zione melodica alternava un profilo ascendente a unodiscendente. L’uniformità dello staccato del violoncel-

lo, contrastando con la varietà compositiva delle figure,costituiva una sicura àncora percettiva. Facendo ria-scoltare di seguito le quattro configurazioni, la musicacominciava ad avere senso: il più era fatto ed erano giàpassate quasi due ore.

Come spesso accade, nelle due lezioni seguenti, ilritmo di redazione del grafico andava accelerando pro-gressivamente: punti, linee curve, segmenti spezzati e trat-tini fotografavano analogicamente le caratteristichemicrostrutturali di ogni configurazione (rinominata piùcomodamente dagli allievi “gruppo” o “insieme sonoro”).

Parallelamente si andava scoprendo che il collantelogico-musicale tra le diverse forme sonore era dato dal-l’attività di pensiero degli stessi allievi, ogni qualvoltariuscivano a identificare e oggettivare graficamente leverità linguistiche di ogni costellazione sonora. Si anda-va chiarendo l’ordito articolatorio, il gioco di interrela-zione tra le parti: a un movimento ascendente in cre-scendo con l’arco, rispondeva un frammento tematicodiscendente al ponticello (configurazioni 5 e 6); l’impul-so antecedente in forte (configurazione 7) raggiungeva ilsuo culmine dinamico all’inizio della configurazioneconseguente in fortissimo, per dileguare momentanea-mente in un diminuendo (configurazioni 8); la tensioneagogica e dinamica accumulata (configurazioni 11, 12,13) si smantellava temporaneamente in elementi minimi(configurazioni 14, 15, 16) fino al totale ammutolirsi(configurazione 17), preparando a sua volta l’inesorabi-le crescendo accumulatorio (configurazioni 18 e 19) e lascarica finale (configurazioni 20 e 21).

Riascoltando l’intero brano, seguendone le peregri-nazioni nella redazione definitiva del grafico, ne emer-geva il carattere unitario, la necessità logica, la coerenzacompositiva: i ragazzi potevano finalmente vederedistintamente le ricchezze del mirabile firmamentoweberniano.

__________Note

1 Calì Leonardo, Mentalità pedagogica e musica, BM Italiana,Roma 1991 e Verso una musica educativa. L’ascolto musicale, UCIIM,Roma, 1984.

2 Adorno Theodor W., Il fido maestro sostituto, Einaudi, Torino,1982.

3 Al termine di questa esperienza d’ascolto, l’esito grafico definiti-vo è stato trascritto dai ragazzi su cartellone; da tale risultato è statafedelmente ricavata, in seguito, la figura di pagina 27, curata grafica-mente da Patrizia Pandolfo (coadiuvata da Valentina Rinaldo), che haimpreziosito i tratti meno gradevoli formulati dai ragazzi.

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Confronti e dibattiti

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Da cosa nasce cosa:dialogo sulla creativitàa cura di ENRICO STROBINO

«Una parola circospetta, edunque conveniente, ingrado di rendere conve-

niente l’abbraccio, non è mai sola,non è mai l’unica, perché non sareb-be più una parola circospetta. […]Perché l’abbraccio sia ‘conveniente’, edunque si sottragga al possesso, leparole devono darsi la mano, per dircosì, l’un l’altra, ed esse stesse parteci-pare al giro, entrare nel girotondo.

[…] La parola stessa, per dir così,deve rivolgere a se stessa uno sguardoironico: deve sapere di essere essa stes-sa, come ogni parola, presa nel giro.E che forse solo così, in questa preca-rietà del linguaggio, potrà darsi unabbraccio conveniente». 1

La creatività si nutre di fantasiae d’immaginazione, si nutre di unpensiero che ha a che fare con ilgioco e con la curiosità, che a sua

volta spinge alla ricerca e alla sco-perta, che porta all’invenzione e/oalla costruzione di nuove connes-sioni tra le cose, e quindi al cam-biamento. Ma la creatività è ancheequilibrio tra originalità (meravi-glia, stupore, sorpresa…) e familia-rità (consuetudine, prevedibilità,sicurezza…), tra attese e imprevisti:mettere un po’ di sconosciuto dentro acose (contesti, situazioni, occasioni)

Il termine creatività è un termine al tempo stesso forte e labile: da un lato siimpone come uno dei cardini dei pensieri pedagogici, come nodo fondamenta-le, come parola chiave; dall’altro ha confini sfumati, rimanda a nebulose di

sensi, è disponibile a diverse contestualizzazioni.Forse allora si tratta di una parola - un concetto, un pensiero… - a cui non pun-

tare dritti cercando definizioni altrettanto forti, ma invece un’idea a cui girareintorno, da circondare, a cui fare la corte, da prendere in giro. Forse è più conve-niente parlare di quest’idea per mezzo di una pratica di circonvenzione, di circoscri-zione, di circospezione, avvicinandovisi per analogie, metafore, vicinanze di senso:un girotondo, un gioco di risonanze, un abbraccio di pensieri e parole.

Ho coinvolto in questo gioco di parole tre amici, a mio parere molto curiosi e crea-tivi: Antonio Giacometti, compositore e docente di composizione al Conservatoriodi Brescia; Mario Piatti, docente di Pedagogia della Musica al Conservatorio di LaSpezia, e Antonella Talamonti, musicista con grande esperienza nell’ambito dell’im-provvisazione. Tutti e tre, al di là delle diverse formazioni e ambiti di lavoro con esulla musica, con un’ampia storia di ricerca pedagogica. Ho rivolto loro tre domandestimolo, accompagnate da alcune delle riflessioni esposte nel mio contributo.1)Possiamo provare a mettere in gioco le parole, una rete di parole, abbracciandole dalpunto di vista musicale? Fantasia, gioco, invenzione, costruzione, immaginazione,curiosità, ricerca, scoperta….2)Come siamo creativi? Piccolo racconto autobiografico3)La creatività si può insegnare? Pensieri, metodi, tecniche, attività, materiali….

Li ringrazio per aver accolto l’invito in modo creativo: ne sono usciti tre testimolto diversi ma con molte risonanze reciproche, tre testi che regalano un bell’ab-braccio alla creatività.

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conosciute.2 La rottura di questoequilibrio trasforma la creatività inarbitrarietà, in cui non è più visibi-le l’azione di allargamento, di scon-finamento, di spaesamento…3

Sia la ricerca estetica che la ricer-ca scientifica tendono ad avvertire ea provocare l’emergere del nuovo.Entrambe spingono verso il fuori disé, verso l’allargamento dell’espe-rienza comune e quotidiana. In que-sto senso entrambe si fondano sullacreatività. Non c’è contraddizionequindi tra educazione estetica ededucazione scientifica.

Uno studio sulla fantasia può sem-brare a molti una impresa impossibile.

Per certe persone la fantasia ècapriccio, bizzarria, stranezza. Peraltri è finzione, nel senso di nonrealtà, voglia, estro, ubbìa.

Per certi contadini è il ballo popo-lare. Per altri è allucinazione, fisima,ghiribizzo. Può essere intesa come fan-tasticheria, come fantasmagoria, comeispirazione, come vena. Per i militariè un esercizio che si fa ogni tanto,diverso dalle Regole Rigorose normali.

Fantasia è anche irregolarità, farea vanvera, a casaccio. E poi, come senon bastasse, l’invenzione non è anchefantasia? E la fantasia non è ancheinvenzione? E come la mettiamo conl’immaginazione?

Una bugia è fantasia, invenzioneo immaginazione?

Ma l’immaginazione non è anchefantasia? E le immagini della fantasiapossono essere anche sonore? I musicistiparlano di immagini sonore, di oggettisonori. Come si inventa una fando-nia, un motore ad aria fredda, unanuova materia plastica?

In effetti tutte queste facoltàumane agiscono simultaneamente edè difficile cercare di distinguere levarie attività e le relative operazioni.Però se riusciamo a dare delle defini-zioni sia pure provvisorie, a scopo diindagine, ad ognuna di questefacoltà, e quindi analizzarle cercan-do se ci sono costanti comprensibilialla logica, e comunicabili; avremofatto un’opera di divulgazione e diaiuto all’uso di queste possibilitàumane.4

Credo che possa tornare utilepensare alla creatività anche come aduna qualità, ad uno stato dicoscienza: sono creative tutte quellesituazioni (contesti, esperienze, azio-ni, pensieri, musiche…) che in qual-che modo ci rapiscono, che ci cam-biano, che ci alterano fisicamente eintellettualmente, che coinvolgonosia la testa che il corpo, che sannodonarci un tremito, un’ebbrezza.

In questo senso c’è musica quan-do c’è creatività: esistono molte pra-tiche e occasioni definite comemusicali dove non abita la creatività.In questi casi penso che non vi sianemmeno musica. In questi casinon c’è emozione, né fisica né intel-

lettuale. In questi casi non si viveuna vera e propria esperienza musica-le. Nella scuola questo accade spes-so: la musica è raccontata, esemplifi-cata, letta, vista; più raramenteviene vissuta sulla propria pelle.Anche fuori dalla scuola, nella vitareale, non si contano situazionisimili: quando la tecnica è il finedominante; quando si passa tutta lavita a esercitarsi per…; quando sistudia ma non si suona mai.

Si può insegnare una qualità?Forse non nel senso tradizionale;forse si può mostrare, si può comuni-care, si può utilizzare, e quindi sipuò mettere in contatto, si può

avvicinare, si può abituare. In questo senso penso che lo

sforzo creativo debba puntaresoprattutto a qualificare la relazioneche si instaura tra l’insegnante e iragazzi e le ragazze che ha in classe;in altre parole, penso che nella scuo-la di oggi ci sia bisogno di creativitànon soltanto sul piano dei contenutima, ancor di più, sul quel pianometodologico e affettivo che con-sente di valorizzare le identità che alsuo interno intervengono.

È creativo chiunque si senta e siponga come un artigiano innamora-to del suo saper fare e del suo saperfar fare: forse ciò che è davveroimportante, per imparare qualcosadi veramente fondamentale, diessenziale, della musica o di qualsia-si altra cosa, per capire veramente ache cosa diavolo serva ad esempiouna qualsiasi azione artistica, oanche qualsiasi vero gioco, è fareesperienza di incontri emozionali,sensuali, amorosi. Forse è questo ilfine più importante, la condizioneche consente poi di saperdistinguere, di saper scegliere, di sapervalutare, le musiche che incontria-mo. Forse per educare creativamenteè fondamentale far provare la sensa-zione dell’innamoramento, così chepoi ognuno di noi continui nellavita a cercare di mantenere o di rin-novare questa sensazione, nei con-fronti non solo delle persone, madelle azioni, degli oggetti, dei luo-ghi, delle musiche. Vivere un’espe-rienza creativa non è molto vicinoall’innamoramento? E ogni innamo-ramento non è principalmente un’e-sperienza legata alla gioia dei sensi, equindi all’estetica che unisce corpo emente? (E. S.)

_________Note

1 A. Dal Lago, P. A. Rovatti, Per gioco,Cortina, Milano, 1993, p.110.

2 Rubo questa frase a Ives Favier, sceno-grafo parigino con cui, nell’ambito della Scuo-la di Animazione Musicale di Lecco, ho lunga-mente e piacevolmente discusso, ipotizzato,immaginato e progettato situazioni estetiche.

3 Cfr.: Umberto Galimberti, Psiche e Tech-ne, Feltrinelli, Milano, 1999, p.214.

4 Bruno Munari, Fantasia, Laterza, Bari,1977 p. 7.

Confronti e dibattiti

Musica Domani - n. 113 - Dicembre 199930

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Rumori di fondo. Fastidiosi.O carezzevoli. Molteplici.Musiche di fondo. Ripetiti-

ve. Sempre quelle. Molteplici.Rumori di fondo e musiche di

fondo molteplici. E intrecciate.Attenzione all’intreccio: contrap-punto. Curiosità per la faccia ottusadei suoni quotidiani generosamenteofferti al nostro orecchio dallaciviltà industriale.

– Ascolta, figliolo: clacson, sirena,martello pneumatico, telegiornale. Esilenzio.– Quale silenzio, papi? Qui c’è solocasino.– Quello che hai dentro tu, figliolo.– Ah!

Immaginazione. Prima manipola-zione del reale, sostituzione dioggetti con fantasie, vicarianza difunzioni.

– Piantala di battere la forchetta sultavolo e il coltello sul bicchiere!– Ma io sto suonando, papi!– Pensa a mangiare!– Posso mangiare e suonare.– Ah!

Gioco di scoperta. Fantasie comeluoghi della sostituzione. E nonaccontentarsi mai. Ricerca di unmodo di esprimersi, far sapere chesi esiste quando nessuno ha tempoper te. L’anima egotica della crea-zione.

– Questa canzone non fa così. Sbaglile note!– Ma sto inventando, papi!– Ah!

Invenzione come ricerca delnuovo attraverso la trasformazionedell’esistente. Variazione di vissuti,

manipolazione di modelli, persona-lizzazione di stereotipi. Gioco diruoli. E costruzione.

– Perché pasticci al piano, figliolo?– Non sto pasticciando, sto compo-nendo. Ascolta, papi, se questo lometto prima, che cosa cambia?– …– Va bene se questo lo suono piùalto, papi?– …

Costruzione come arredamentodello spazio e del tempo. Gioco diregole: ogni cosa al suo posto.Ogni cosa al suo posto col suosignificato.

Una definizione? Ci posso tentare.Creatività: capacità di mettersi in

gioco, costruendo con la fantasiamondi immaginari, inventati elabo-rando curiosità e attenzione per ilquotidiano, cioè scoprendo la facciaottusa di quanto sembra apparente-mente ovvio.

Sempre che te lo lascino fare!Sono stato uno di quei bambini

che gli insegnanti ‘primi Sessanta’amavano definire estrosi e pieni difantasia, ma mentalmente disordi-nati e poco logici, naturalmenteguardandosene bene dal promuove-re il lato immaginativo perché trop-po impegnati ad umiliare le defi-cienze di quello razionale.

Ammetto del resto che la miacreatività non s’è mai attivata nellasfera del problem solving.

Esame di quinta elementare. Mentresono alla cattedra per il colloquioorale, entra un Ispettore di passaggio.– Posso fare una domanda a questofanciullo?– …?– Che strada fai per andare in Afri-

ca, partendo dalla tua scuola?– …??

Solo più tardi compresi che quelbuon uomo, a cui comunque devogli incubi di un’intera notte, preten-deva probabilmente da me nulla piùche una generica indicazione dire-zionale (“vado verso sud”, o roba delgenere). Allora feci scena muta, per-ché avevo il problema di come usci-re dal quartiere in cui la scuola sitrovava.

Non sono dotato di una creati-vità finalizzata, ma neppure di unacreatività univocamente espressa edefinita in un medium, tanto che,fino al momento in cui mi miseroin mano una chitarra, a undici annicompiuti, non mi sfiorò mai l’ideache la musica potesse diventare perme il ‘cosa farò da grande’.

Verso gli otto anni scrivo piccolitesti teatrali, che realizzo con amici dicortile in performance di burattinicostruiti col das e animati su unoscassatissimo palcoscenico di legno.

La mia creatività ha bisogno dicontatti, di scambi osmotici, di reci-proche invadenze fra diversi ambitiespressivi. Ma, una volta realizzataquesta specie di trasversalità interna,si fa dilagante e, soprattutto, impre-vedibile: parola che si trasforma insuono, gesto che diventa figuramusicale, luogo matematico che sianima in architettura temporale.

Non credo di aver mai scrittouna sola nota pensando in terminipuramente musicali, né ho mai sta-bilito tra i diversi media relazionifisse, buone per tutti gli usi e tali dapermettere il realizzarsi di ciò chealcuni chiamano cifra stilistica, mache si trasforma spesso in comodorimasticamento di se stessi (se la for-mula mi dà sicurezza, perché abban-donarla?).

L’affermazione della mia creati-vità musicale ha implicato sempre laricerca, l’esplorazione, l’irresistibilerichiamo del diverso, del nuovo.Anche a rischio del cortocircuito.

Dodici anni. Leggo una poesia diGarcia Lorca e si stabilisce subito uncontatto. Scrivo una pagina: grafiascorretta, figure ritmiche approssima-

Confronti e dibattiti

Rumori di fondoda ascoltare con curiositàANTONIO GIACOMETTI

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Confronti e dibattiti

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tive, nozioni ‘solfeggistiche’ faticosa-mente adattate ad una realtà musicalein movimento. Ma le connessioni cisono. Ingenue, prevedibili, ma ci sono.Un ragazzetto di seconda media sentel’esigenza di comporre un brano musi-cale partendo da una poesia di Lorca.Ce ne sarebbe abbastanza percostruirci sopra un percorso didatticodi rinforzo e di consapevolezza.– Le piace, Maestro?– …– L’ho scritto io.– …– Lo posso suonare, Maestro?– È troppo presto per comporre. Lacomposizione richiede anni. È unostudio difficile. E poi, non vedi chenon sai neppure scrivere. Hai fattotutte le gambette storte!

Certamente la creatività, in sé,non si può insegnare. Così comenon si può insegnare nulla di quan-to attiene la sfera delle facoltàumane individuali, siano esse intel-lettive, psicoemotive o neuromusco-lari: non s’insegna la reattivitànecessaria a diventare un pilota diFormula 1 o ad avere le mani abba-

stanza grandi per eseguire uno Stu-dio trascendentale di Liszt.

Tuttavia, da educatori, la creativitàsi può promuovere o rinforzare, cosìcome la si può umiliare e annientare.Ciò in particolare nei luoghi in cuiessa costituisce condizione primaria efine ultimo dell’azione didattica,come in un corso di composizione.

Nella mia ormai ventennale atti-vità d’insegnamento di tecniche estili e di quant’altro serva a costruiree organizzare suoni con finalità este-tiche e comunicative, ho avutomodo di sperimentare diverse strate-gie d’approccio creativo, adattando-ne le relative metodologie didattichea singoli soggetti, spesso tra loroassai diversi per età, conoscenzamusicale e provenienza culturale. Equattro sono sempre state le parolechiave che hanno guidato il miolavoro. Parole che stanno alla base diuna certa filosofia educativa. Paroleche trascendono l’imprescindibilelibertà delle scelte didattiche perso-nali, perché mirano al cuore delconcetto stesso di creatività.• Intuizione delle tendenze di cia-scun allievo, dei suoi bisogni espres-

sivi, delle motivazioni forti che stan-no alla base del suo desiderio d’ap-prendere.• Rispetto per ogni proposta cheprovenga da un’attività divergente,da un’associazione libera ed estem-poranea, con rinuncia ai filtri delpregiudizio culturale e della corret-tezza tecnico-artigianale. • Riflessione sulle strategie didatti-che e sui modi comunicativi chefavoriscano, nell’allievo, un gradualesviluppo della consapevolezza delleproprie scelte compositive, aprendospazi all’autoverifica e al conseguen-te miglioramento della costruzionein rapporto a referenti stilistici e amodelli culturalmente consolidati.• Duttilità come capacità di piegaree adattare di volta in volta non solole strategie didattiche, ma anche lepiù radicate convinzioni estetiche eculturali, cercando di comprendere iperché e i come dell’altrui creatività,per aiutarla a crescere e a arricchirsisenza costringerla entro i binarimorti delle false verità.

Del resto, come afferma T.Powell Jones, «è più facile ostacolarel’immaginazione che stimolarla».

La regola sarebbe di risponderealle domande di Strobino conordine. Ma questa volta non

riesco a essere creativo (originale,diverso, divergente, fantasioso, sti-molante, provocatorio… questisono alcuni nodi della rete di parolevoluta da Enrico) rispettando leregole. Parto invece da un piccoloaneddoto autobiografico.

C’era una volta un bambino chevoleva accompagnare subito anchelui con la mia chitarra la canzone chegli avevo appena cantato (Per fare untavolo…, testo di Gianni Rodari, inFilastrocche in cielo e in terra, pag.149). Ma quella canzone aveva unasuccessione di accordi un po’ difficiliper quel bambino. Ci sarebbe volutoun po’ di tempo per impararli. Ma il

bambino era impaziente. Allora mison detto: perché non fare una can-zone da accompagnare con un soloaccordo (in fondo anche Celentanoha fatto Il mondo in Mi7)? Prendia-mo un accordo facile: ad esempio ilmi minore. «Prova», dissi al bambino.«Sì, è facile», rispose. Nella paginaaccanto di Filastrocche in cielo e interra c’è Quanti bugiardi: “Ci sonodelle cose / che fanno finta / di esserealtre cose…”.

Incomincio a canticchiare, men-tre il bimbo mi accompagna con unsemplice ritmo. In dieci minutinasce una nuova canzone (ora nellaraccolta È arrivato un bastimentocarico di…, PCC, Assisi). Ho la sen-

Solo col mi minore:la creatività delle piccole coseMARIO PIATTI

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sazione di essere stato creativo. Sepoi la mia canzoncina sia un oggettocreativo, in grado di attivare a suavolta un po’ di creatività, è un altroproblema (però sembra di sì, vista lastrumentazione creata dall’amicoMarco Deflorian).

Considerazione: per essere creativioccorre talvolta accettare, o darsi, deicompiti difficili, mettersi alla prova,lavorando attorno, dentro, con unapiccola cosa. Quel giorno ho lavoratocon un accordo di chitarra. Altrevolte ho usato solo fogli di giornale,o piccole scatole di plastica (due perogni partecipante del gruppo), osemplici bastoni di legno comeoggetti stimolo in grado di produrreeventi sonori ai quali la nostra fanta-sia, ma anche il nostro corpo, ilnostro muoversi, le nostre parole, ilcontesto operativo riuscivano a daresensi musicali sempre diversi.

Le tecniche che, per me, trovosempre utili ed efficaci – anche nelladidattica musicale – sono prevalen-temente quelle che Rodari ha esem-plificato nel suo libro Grammaticadella fantasia: il binomio e l’ipotesifantastica, il ricalco, l’inversione,l’errore creativo ecc.

Ciò che conta, fondamentalmen-te è avere una mente aperta, dispo-nibile all’imprevisto, al diverso, adaccettare anche l’imperfezione (unlibro di Rita Levi Montalcini si inti-tola Elogio dell’imperfezione), a met-tersi in gioco: «Ci sono persone acui è permesso, socialmente, di con-tinuare a giocare per tutta la vita.Sono poeti, artisti, scienziati, inven-tori. Persone che possono continua-re a cercare più in là di quello chegià si vede, ed analizzare e sperimen-tare nuove possibili combinazioni diparole, di idee, di concetti. […]Queste persone per tutta la loro vitacompiono un lavoro che per loro èun grande gioco. Che comporta lamobilitazione, dentro di loro, nonsolo della creatività scientifica, maanche della creatività ludica. Cisono oggi molti che studiano anchele omologie tra il processo di creati-vità scientifica e quello di creativitàartistica» (G. Rodari, Quello che ibambini insegnano ai grandi, in Eser-

cizi di fantasia, Editori Riuniti,Roma, 1981, p. 80)

E passo alla terza questione: forsela creatività non si può insegnare.Certo si può imparare a essere sem-pre più creativi, con un po’ di (ocon tanto) esercizio di immaginazio-ne, fantasia ecc. (tutte le parolericordate anche da Munari). Infondo, mi trovo molto d’accordocon Munari stesso; quando glivenne chiesto di dare una definizio-ne di creatività rispose: «Credo chesia la ricerca sincera di varianti».

Le varianti delle cose, deglioggetti, delle parole, dei suoni, masoprattutto, credo, le varianti deicontesti in cui opero, cioè variantidi spazio, di tempo, di colori, dipaesaggio, di senso e di significatodal mio agire, del mio rappresentar-mi di fronte agli altri, varianti dellamia identità. Una identità creativa èuna identità dalle mille più unasfaccettature, un mosaico non fini-to, un caleidoscopio sempre inmovimento, una metafora perenne,un leggero cluster che copre tutte lefrequenze possibili.

Imparare a cercare varianti vuoldire anche porsi più problemi diquante risposte siamo in grado didare. Occorre quindi attivare unamente divergente disponibile a met-tere in dubbio quel che si ha l’im-pressione di vedere, di sentire, ditoccare nell’immediato; quel che inparticolare i gestori dei mass media

ci vogliono indurre a credere, anchefalsando la realtà (confronta, adesempio, Claudio Fracassi, Sotto lanotizia niente, Libera InformazioneEditrice, Roma 1994).

Forse allora insegnare la creati-vità, o meglio, aiutare gli altri adiventare creativi, significa crearecontesti e situazioni educative dovesi possa scegliere tra le infiniteforme del possibile e dell’impossibi-le, dove non si debbano raggiungerestandard predefiniti da esperti pocoinclini al sapere creativo (il riferi-mento al dibattito attuale sugli stan-dard d’uscita per i vari ordini discuola è voluto), dove si abbia ilcoraggio, come Giordano Bruno(ma sperando di non fare la suafine…), di mettere in discussioneantiche certezze e di andare allaricerca delle variazioni fantastichesui possibili.

E allora una domanda che puòattivare creatività pedagogicapotrebbe essere: quali sono le cer-tezze dell’attuale didattica dellamusica? Quali energie esprimonogruppi, singoli, associazioni, centri,università, conservatori, scuole peruscire da stanchi rituali di perpe-tuazione di una educazione musi-cale rassicurante?

La musica, o meglio, le musiche,nella loro molteplicità di funzioni, distili, di generi, di usi, di pratichesono già oggi segno e testimonianzadi una creatività diffusa, quotidiana,che non si lascia imprigionare inschemi disciplinaristici utili solo achi si accontenta di una creativitànelle regole. Accogliere le musiche,ascoltare con curiosità tutto ciò cherisuona nel mondo, provare a inven-tare qualcosa valorizzando conoscen-ze e competenze anche minime chegià possediamo, può essere un buoninizio per diventare più creativi:«ogni vita è un’enciclopedia, unabiblioteca, un inventario d’oggetti,un campionario di stili, dove tuttopuò essere continuamente rimescola-to e riordinato in tutti i modi possi-bili» (Italo Calvino, Lezioni america-ne, Garzanti, Milano 1988, p. 120).

Rimescoliamoci e riordiniamoci.Senza paure.

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Gioco 1. Prendere un foglioe, partendo dalla parolacreatività, scrivere per libere

associazioni tutte le parole che ven-gono in mente. Trascriverle nellospazio bianco sottostante con l’ordi-ne, la forma e i caratteri ispirati dalmomento. L’unico limite è lo spazioa disposizione. Guardare per qual-che istante la partitura che ne risultaed eseguirla da soli e/o con personedi proprio gradimento:

Varianti: 1) Eseguirla in due per-sone (o due gruppi), partendo chidall’inizio, chi dalla fine (se la parti-tura prevede un inizio e una finedefiniti). 2) Partire tutti dal centro edirigersi verso la periferia. 3) Partireognuno dove vuole. 4) Discutereanimatamente sul punto da cui par-tire (potrebbe essere una buonaIntro). 5) Non mettersi affatto d’ac-cordo e partire ognuno da una paro-la diversa, eventualmente separando-si e inventando una sequenza perso-nale di parole, che potrebbe diventa-re una nuova partitura da eseguire insuccessione, sovrapposizione o alter-nativa all’altra. E così via.

Gioco 2. Trascrivere la partituradel Gioco 1 (in senso letterale, oimitando il disegno, o ispirandosiliberamente) utilizzando solo traccedi cibo (olio, vino, sugo per lapasta, chicchi di riso, briciole, foglied’insalata e quant’altro). È possibile:a - rieseguirla notando le varianti

ispirate dal nuovo materiale; b.mangiarla; c. metterla in lavatrice;d. combinare in successione osovrapposizione a, b e c ; e. altro

Varianti. Trascriverla utilizzando:1) solo i mobili di casa; 2) solooggetti da campeggio; 3) Solo mate-riali da discarica; 4) solo il necessai-re per cucire; 5) e così via.

E così via, è possibile anche,varianti, alternative, altro, oppure,sono parole dietro le quali sta inagguato la creatività. Nel momentoin cui si definisce un campo d’azio-ne, subito appaiono bivi, incroci,strade laterali, una molteplicità didirezioni potenziali che implicanodelle scelte, che a loro volta apronoaltre porte su nuovi bivi. Il nuovo,quella particolare, irripetibile combi-nazione di eventi, appare a ogniistante della giornata, anche quandoci sembra di ripetere azioni fattemille altre volte. In un certo senso,non ripetiamo mai, perché una stessaazione, svolta in un tempo diverso, equindi in un contesto modificato,non è più esattamente la stessa.

La creatività, intesa come l’azio-ne di scegliere che implica delleconseguenze e che quindi crea unarealtà piuttosto che un’altra, è sem-pre in azione.

Da molti anni mi occupo diimprovvisazione vocale, come vocali-sta e soprattutto come insegnante, esono stata per un lungo periodocoordinatrice didattica della ScuolaPopolare di Musica di Testaccio diRoma. Il dubbio amletico suscitatodalla possibilità di insegnare l’improv-visazione ha tormentato le menti dinumerosi insegnanti in riunioni econvegni. A volte ci si bloccava allamera antinomia che i due terminisembravano esprimere. Penso che ilproblema sia da saltare a piè pari.

Non si tratta di insegnare come unamateria quella mi sembra essere unadelle facoltà umane più sviluppate(basta pensare alla comunicazioneverbale orale, una ininterrotta seriedi atti improvvisativi). Il punto èrendere gli allievi consapevoli diquello che già fanno, indagare su comefunziona la loro creatività e allargareil campo delle possibilità.

Dunque la prima funzione diuna eventuale didattica della creati-vità è quella di rendere i fruitoriconsapevoli del fatto che qualunqueazione è in qualche modo un attocreativo, nel senso che modifica lasituazione rispetto a un prima del-l’azione e che apre a uno spettro dipossibilità direttamente conseguentidall’azione stessa.

Che cosa porta con sé un mate-riale sonoro (lo spazio che si sta per-correndo)? Quali sono i segnali a cuirivolgere la propria attenzione (le vielaterali)? Quanti altri se ne evidenzia-no dopo la prima svolta? E comeaccorgersi della strada che un altromembro del gruppo sta individuan-do nel dialogo sonoro?

Lavoro sempre con gli adulti e insituazioni collettive e il mio primooggetto di attenzione è la qualitàdelle relazioni all’interno del gruppo:creare un clima di accoglienza e nongiudizio in cui le persone possanopermettersi di essere serenamenterecettivi nei propri confronti innan-zitutto, e poi verso gli altri; esseredisponibili a scoprire di più di sestessi (quello che già sono) e a rivol-gere con acutezza (non è il terminepiù giusto, ma rende l’idea) la loroattenzione agli altri.

Le prime volte do delle consegneabbastanza strette, in modo che siachiaro il campo di indagine e si affi-nino gli utensili impiegati. Col pro-seguire del lavoro, i temi diventanomolto più aperti e le forme e lesoluzioni adottate sempre più diver-se. Cresce anche il livello di elabora-zione rispetto alla spazializzazionedel suono. Gli improvvisatori scel-gono la loro disposizione nello spa-zio, gli eventuali movimenti (anchein relazione ai materiali sonoriusati) e la disposizione del gruppo

Allargare il campodelle possibilitàANTONELLA TALAMONTI

Gioco 1

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Confronti e dibattiti

Musica Domani - n. 113 - Dicembre 1999 35

degli ascoltatori. A volte anche gliascoltatori possono essere in movi-mento, o lo decidono autonoma-mente durante l’esecuzione. Il grup-po, nel complesso, è pronto nell’ac-cogliere le sollecitazioni del momen-to e a interagire con rapidità. Unterritorio che era fatto solo di stradedi larga viabilità, si colora di vialetti,sottoporteghi, archi, passaggi, cam-minamenti, gallerie.

Dopo le improvvisazioni ci siinterroga sui percorsi fatti. Allarga-mento della percezione e allagamen-to della consapevolezza. Lo spaziodedicato all’analisi è, per me, unostrumento fondamentale. È unmomento in cui si verificano glistrumenti a disposizione e se neaggiungono di nuovi; si discute sullepossibilità che il gruppo ha scartatoo non ha individuato, sulle facilita-zioni che ha adottato, sui rischi cheha affrontato, eventualmente sugliincroci in cui si è separato. Il tuttoutilizzando i parametri del suono edello spazio, cercando di parlaremusicalese.

Alcune domande vengono posteal gruppo: cosa è stato rispettatodella struttura/consegna data? Cosa èaccaduto di diverso? Dei codici pro-posti, quali sono stati compresi?Quali altre strade (sviluppi, finaliecc.) avrebbe potuto prendere l’im-provvisazione?

Altre sono un piccolo autotest:

ricordi dei tuoi interventi in cui haiconsapevolmente scelto rispetto alparametro x (che forse è l’oggetto diindagine di quell’improvvisazione,esempio note vicine, o risposta perimitazione ecc.)? E dei tuoi interventiche a posteriori ti sono sembratifuori luogo e perché? Cosa vorrestimigliorare in una prossima improvvi-sazione?

Generalmente, in un clima dicuriosità e di fiducia, l’insieme dellerisposte sugli interventi poco perti-nenti dà il quadro e le ragioni musi-cali delle parti meno riuscite dell’im-provvisazione, senza innescare mec-canismi di giudizio reciproci e senzacolpevolizzare o svalutare nessuno.Allo stesso tempo aiuta le persone aformulare i propri obbiettivi: ognunoha una certa consapevolezza del suolivello di percezione in quel momen-to (le strade che è capace di vedere) estabilisce per sé il gradino successivo(la direzione che vorrebbe imparare aindividuare).

Spesso le persone restano sorpre-se dalla propria ricchezza. E questaricchezza è il dono che portanoall’interno del gruppo, l’unicità e laparticolarità che fa sì che ogni grup-po esprima qualcosa di assoluta-mente irripetibile. E che io mi troviad ascoltare cose mai ascoltate e amettermi in gioco con tutti gli altriogni volta. Perché più prosegue l’e-sperienza e meno so quello che acca-

drà. È la bellezza e la fatica di que-sto lavoro.

Fare con quello di cui si è fatti,fare a partire da quello che c’è. Imateriali di lavoro vengono da que-ste due sorgenti. Le musiche cheabitano le persone e gli stimoli delmomento.

Non tutte le ciambelle riesconocol buco. Gli incontri negli angolibui fanno parte del cammino, comele improvvisazioni che si arenanonella mancanza di ascolto, nellamancanza di energia, nel giudizio dichi si tira fuori, nel non desiderio dimettersi in gioco, nelle alchimie digruppi difficili, nelle diversità perso-nali e culturali.

Anche per me si tratta costante-mente di fare a partire da quello chec’è. E da quello che porto con me. Eda quanto sono capace e disposta inquel dato momento a rischiare, al dilà delle competenze e delle tecniche.E da quanto è grande la mia apertu-ra, la mia attenzione, la mia disponi-bilità alla meraviglia, la mia pauradegli angoli bui.

Spesso le strade più interessanti sirendono visibili nei momenti diempasse, quelli in cui sembra che intutto il territorio esplorato non ci siauna sola via percorribile.

Spesso.Ogni tanto, però, è possibile anche

sedersi a un caffè del corso, e guarda-re gli altri che passano.

L’associazione alla Siem è un’occasione preziosa per:• partecipare e far progredire il dibattito pedagogico e didattico in ambito musicale;• conoscere esperienze, tecniche e metodi nuovi per l’educazione musicale;• intervenire nelle sedi istituzionali per ampliare e migliorare la formazione musicale in Italia.

I soci, oltre a partecipare alle attività e alle iniziative della Siem, ricevono:• la rivista Musica Domani;• i Quaderni di ricerca e di didattica della Siem;• Siem informazioni, inserto dei numeri di marzo e ottobre del Giornale della Musica,

inviato gratuitamente ai soci;• fascicolo informativo sui corsi estivi della Siem.

Siem - Società Italiana per l’Educazione MusicaleVia Guerrazzi, 20 - 40125 Bologna

telefono e fax: 011-9364761

diventa socio QUOTE PER IL 2000: soci ordinari £ 60.000studenti £ 50.000biblioteche £ 60.000soci sostenitori £ 100.000

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«L’ambiente che mi cir-conda mentre sto scri-vendo è un paesaggio

sonoro. Attraverso la finestra apertaposso sentire lo stormire dellefoglie dei pioppi al vento. È giu-gno, le uova si sono schiuse e l’ariaè piena del canto degli uccellini.All’interno il frigorifero si avvia dicolpo con il suo mugolare stridulo.Io respiro profondamente, poi con-tinuo a fumare la pipa che alle mieboccate scoppietta sommessamen-te. La penna scorre agilmente sulfoglio bianco, scricchiolando a trat-ti e facendo clic! quando aggiungoun punto o una i al termine di unafrase.

Provate a confrontarlo con ilvostro paesaggio sonoro mentrestate leggendo questi appunti.»

Dalla strada sento il clang delmio cancello che si chiude, seguitoda qualche passo secco e veloce chesubito si perde lontano; il ronziocontinuo del computer acceso simescola piacevolmente con i lrumore di un motorino che passa,poi torna a tessere il suo bzzz soli-tario. Io sto masticando unagomma e adesso mi sembra di pro-durre un suono terrificante: comeho fatto a non sentirlo fino ad ora?Per fortuna il trillo prolungato deltelefono mi offre l’occasione peralzarmi (suono strisciato della sediae frap frap delle mie pantofole sulpavimento di legno), liberarmidella gomma (apertura di sportello,soffio deciso, soffice atterraggionella pattumiera, chiusura di spor-tello) e rispondere (voce) «Sì?».

Anche nel suo ultimo semplicetesto, Murray Schafer riesce a met-tere in moto la curiosità e il deside-rio di verificare cosa può accaderegiocando con l’ascolto e con isuoni.

A me è successo già sul finiredella prima pagina, come ho appe-na dimostrato, ma sono sicura chetutti i lettori di questi «100 eserciziper ascoltare e produrre il suono»,pubblicati nel volume «Educazioneal suono», edito da Ricordi nellacollana «Metodi e strumenti didat-tici», sono destinati a trovarsi coin-volti in un interessante processo dianalisi e riflessione personale.

Il testo infatti offre numerosispunti da elaborare, da soli e ingruppo, per migliorare la nostracapacità di ascolto, e forse qualcosadi più perché, come al solito, ilmusicista canadese riesce a mesco-lare interrogativi complessi («Esi-stono suoni che subiscono unadiscriminazione culturale, così danon essere ascoltati affatto? E inquali modi l’ambiente acustico agi-sce sui suoni che decidiamo diascoltare o di ignorare?») a disposi-tivi di analisi e produzione sonorasemplicissimi, da sperimentare permettere in gioco il nostro rapportocon i suoni.

Le motivazioni che portanoSchafer a raccogliere in un unicotesto tanti diversi modi per incon-trare i suoni e dirigere su di loroun’attenzione più intenzionale, sibasano proprio sulla constatazionedel continuo aumento del rumorenelle nostre città e a un’evidentetendenza alla sordità sempre piùgeneralizzata. Dunque l’ascoltoviene inteso da Schafer sia comepossibilità di conoscenza del suono,ma anche come difesa dall’inquina-mento acustico, che può esserecontrastato soltanto dalla consape-volezza delle soglie acustiche entrole quali ci muoviamo.

«Io ritengo che migliorare ilpaesaggio sonoro del mondo siaassai semplice. Dobbiamo imparare

ad ascoltare. È un’abitudine chesembriamo aver perduto. Dobbia-mo rendere l’orecchio sensibile almeraviglioso mondo di suoni checi circonda. Dopo avere sviluppatouna certa abilità nell’ascoltare, pos-siamo portare avanti progetti piùampi, con implicazioni anchesociali, in modo da coinvolgerealtri nelle nostre esperienze. Il fineultimo dovrebbe consistere nelprendere decisioni inerenti allaprogettazione del paesaggio sonoroche ci circonda.»

E per presentare questa sua ideanel modo più efficace e convincen-te, Schafer organizza una raccoltadi esercizi che parte con la propostadi un ascolto attento dei suoni pre-senti nel paesaggio sonoro del let-tore e la loro successiva analisisecondo criteri di catalogazioneempirica, che poi si sviluppano ingiochi di percezione e riconosci-mento, da svolgere agli angoli dellestrade, a casa, a scuola, nei negozi ein molti altri luoghi ancora.

L’esercizio 13, ad esempio, con-siste in una «passeggiata d’ascolto»che può essere vissuta da una classeche si muove in fila indiana e che,dopo aver eseguito un certo percor-so, dovrà riuscire a rispondere adalcune domande che permettono dielaborare sia l’esperienza percettiva(individuare il suono più debole,oppure il suono più acuto, o tresuoni in movimento davanti a sé...)sia quella emotiva (individuare ilsuono più brutto, quello più degnodi interesse, quello di cui si è avver-tita la mancanza...). Ovviamente lerisposte devono essere intese comelo stimolo per una discussione del-l’esperienza che consenta al gruppodi confrontare le percezioni e leemozioni diverse e comprendere laricchezza soggettiva dell’esperienzad’ascolto.

Arrivati all’esercizio 14 si trovauna proposta inconsueta: tenere undiario dei suoni, «appunti su suoninon comuni che avete udito ecome avete reagito a essi, conside-razioni generali sull’ambiente acu-stico, e ogni cosa riteniate significa-tiva.» È un gioco da sperimentare

Cento eserciziper migliorare l’ascoltoFRANCA MAZZOLI

Musica Domani - n. 113 - Dicembre 199936

Biblioteca

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mentre si eseguono i rimanentiesercizi, come opportunità perso-nale di ripensare al proprio mododi ascoltare e vivere i suoni, e tro-vare le parole giuste per esprimerele sensazioni veicolate dai suoni.

È interessante notare che largaparte degli esercizi richiedono di«immaginare» alcuni suoni, per poiconfrontare l’immagine sonora conla percezione del suono eseguitodirettamente, come a sottolineare illegame che esiste tra percezioneuditiva, memoria ed elaborazionedella percezione.

Numerosi esercizi di ascolto eproduzione portano poi all’idea del“concerto naturale” dell’esercizio43, e all’interrogativo proposto dal-l’esercizio 48: «In inglese il gatto fapurr-purr. In francese il gatto faron-ron. In tedesco il gatto fa sch-nurr-schnurr. (...) Sono le diverseculture che percepiscono i suoni inmodi diverso, o sono gli animali,gli uccelli, e gli insetti del mondoche parlano davvero dialetti diversicome facciamo noi?».

L’invenzione di parole con qua-lità onomatopeiche in una linguapersonale e i giochi di produzione eascolto della voce procedono finoall’esercizio 62, che propone diriflettere sui “suoni fantasma”, vere eproprie illusioni sonore che a tutticapita prima o poi di percepire.

Molti i suggerimenti legati allepotenzialità della voce, nella con-vinzione che «soltanto esprimendo

(esternando) il suono possiamodimostrare che la nostra percezioneè stata completa e accurata. Noiimpariamo il linguaggio ascoltan-do, ma è parlando che dimostria-mo di conoscerlo».

E visto che molti tra i giochi dinomi proposti risultano divertenti,Schafer ne approfitta per proporredi ascoltare anche una propria risa-ta spontanea, esperienza apparente-mente banale ma in realtà non pro-prio facile: provare per credere...

L’esercizio 63 propone di indivi-duare qualche paradosso sonoro: «Ilfilosofo greco Zenone ne individuòuno dei più strani. Disse che quan-do un chicco di grano cade al suoloproduce un certo suono, ma quan-do un intero sacco di grano vienerovesciato sul pavimento produceun suono che non è la somma ditutti i singoli chicchi di grano, maun suono completamente diverso eapparentemente non affine».

Seguono molti esercizi legati allapercezione del silenzio e al suo pote-re evocativo, che sfociano in alcuneproposte mirate a sviluppare unamemoria acustica capace di ricorda-re voci e parole, suoni e sequenzemusicali.

Una parte di esercizi è poi dedi-cata alle potenzialità d’uso del regi-stratore, utilizzato nella logica diSchafer per conservare i suoni cherischiano l’estinzione. Seguono poiesercizi per allenare la memoriaacustica, inerenti sia alle produzio-

ni delle persone che a quelle delpaesaggio sonoro (passato e presen-te), finalizzate anche a un migliora-mento del design acustico dell’am-biente.

Il percorso termina infine conalcune proposte di progettazioneacustica decisamente complesse: gliesercizi 98, 99 e 100, dedicatirispettivamente a una “caccia altesoro sonora”, una “passeggiatasonora al tesoro” e un “suonomobile”, concludono il testo conipotesi di ascolti suggestivi e parti-colari, che implicano un grandesforzo progettuale e organizzativo eil coinvolgimento di professionalitàdiverse.

Poche, ma significative, le paro-le a commento degli esercizi chechiudono il testo di Schafer:

«Ho sempre insistito sul fattoche il design del paesaggio sonorodeve iniziare dal di dentro, e deveessere voluto da cittadini sensibili,prima che lo si possa realizzareeffettivamente. È un processo edu-cativo che inizia con gli individui opiccoli gruppi e gradualmente siallarga, come onde su uno stagno,includendo gruppi sempre piùnumerosi di persone, finché nonarriva a coinvolgere l’intera comu-nità, e infine, i Governi di ogniPaese. Allora, e solo allora, ci potre-mo aspettare che il paesaggio sono-ro mondiale cambierà e migliorerà,diventando più elegante, più belloe più caratterizzato localmente.»

Un libro essenziale ma ricco dispunti e di riflessioni che ciascunlettore potrà sviluppare in modopersonale, vista la flessibilità delleproposte che sempre prevedonovarie possibilità applicative inerentia contesti e situazioni differenti.

Da leggere e da ascoltare, perascoltare e leggere meglio il nostroambiente sonoro.

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R. Murray Schafer, Educazione alsuono, 100 esercizi per ascoltare eprodurre il suono, Ricordi, Milano,1998, pp. 52, £ 10.000

Biblioteca

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Una grafica molto curata, tanti disegni, pagine apieno colore, testi spiritosi che enfatizzano l’a-spetto ludico. Il look è ormai divenuto quasi un

imperativo della didattica strumentale. I metodi “moder-ni”, pubblicati di recente, sono tutti così. Moltissimi diquesti metodi, inoltre, ostentano la loro modernità ancheproclamando un profondo rinnovamento rispetto alladidattica tradizionale. Termini come creatività, metodoattivo, imparare divertendosi, preparazione musicale glo-bale si sprecano.Talvolta, però, sorge il dubbio che resti-no solo belle parole sulla carta colorata.

Tra i maggiori successi editoriali degli ultimi anni, unposto di rilievo è certamente occupato dal MetodoBastien per pianoforte. Più che un semplice metodo,quello dei Bastien costituisce una vera e propria collanadidattica che comprende una quantità di titoli davveroesorbitante (oltre 450 solo nel catalogo italiano).

I materiali proposti sono rivolti a diversi livelli di pre-parazione e di età: vi sono testi per adulti e per bambini,volumetti di tecnica, teoria, letteratura, carte-gioco, silla-bari da colorare, adesivi e quant’altro. Il metodo Bastienviene così a riunire una vasta gamma di proposte con loscopo di evitare agli insegnanti il compito – faticoso, ma

anche fondamentale e determinante – di ricercare ognivolta i percorsi più stimolanti e più opportuni per ogniallievo.

Tra questa enorme massa di materiali prendiamo inesame il volume dedicato all’approccio strumentale per ibambini tra i cinque e i sette anni. Qui, infatti, l’imposta-zione metodologica prescelta dagli autori si delinea conmolta chiarezza.

Il testo esordisce presentando quelle nozioni comu-nemente considerate necessarie per una prima letturasul pentagramma e per l’orientamento alla tastiera. Ogniapprendimento viene accuratamente programmato gui-dando l’allievo attraverso una serie di tappe successive.

Nessuna proposta originale o innovativa, il percorsosuggerito è quello consacrato dalla tradizione didattica.Di questa tradizione, il metodo Bastien accoglie piena-mente il concetto lineare di gradualità: ogni obiettivoviene diluito in tanti piccoli obiettivi intermedi in mododa evitare all’allievo ogni sforzo o impegno eccessivo.

Anziché affidarsi allo stimolo dettato da una fortemotivazione musicale, gli autori preferiscono puntaresulla riduzione delle difficoltà e sulla gratificazione conti-nua enfatizzata dai gadget alla fine della lezione o dagliattestati di merito a conclusione di ogni volume.

Le attività proposte – che proprio grazie alla lorogradualità offrono un certo margine di garanzia e sicu-rezza agli insegnanti – sono strutturate però in modotalmente vincolante da impedire ogni iniziativa autonomadell’allievo.

In nome di un modello in cui la conoscenza procedesemplicisticamente per tappe lineari e progressive vienesacrificato ogni spazio che permetta di seguire inclinazio-ni personali e stili cognitivi diversi.

Evidenziare le dinamiche presenti nell’apprendimento,anziché imporre una direzionalità esterna, è compito pro-blematico e complesso. Infatti, la creatività infantile non siesplica in percorsi facilmente riconducibili alla logica adul-ta, non segue criteri organizzativo-logici lineari. Per evita-re pericolose deviazioni, il Bastien - come del resto moltialtri metodi simili - strutturano l’apprendimento attraver-so una salda predeterminazione di ogni obiettivo.

I percorsi proposti, però, proprio a causa della loroestrema prevedibilità e del carattere in qualche modocostrittivo finiscono spesso per dimostrarsi agli occhi deibambini come scarsamente attraenti.

Eseguire passivamente le istruzioni di un libro, infatti,non è mai troppo divertente. E allora ecco i disegni, icolori, i testi spensierati delle canzoncine. Ecco le imma-gini di bambini felici che saltano sull’altalena, ecco ortaggiche marciano soddisfatti, e animali, nuvole, aeroplani;quanto di più avvincente si possa immaginare compareper divertire il piccolo allievo.

DONATELLA BARTOLINI

RUBRICHE

Questioni di metodo

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Fig. 1 – Come si impara a disegnare una chiave di violino? Ilsegno viene scomposto in elementi semplicissimi, copiato dalbambino seguendo le linee tratteggiate e ripetuto più volte.Gradualità e ripetizione sono alla base del metodo Bastien.James Bastien, Theory & Technic for the Young Beginner (Primer A),Kjos Music Company, San Diego, 1987, p. 25.

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Ma è un divertimento questo, ottenuto spostandol’interesse verso elementi del tutto estranei alla musica,un divertimento che non ha alcun rapporto con ciò chesi sta imparando, che non ha alcuna relazione con il pia-cere di suonare.

Questa deviazione delle energie del bambino versofulcri di attenzione non musicali si ripropone, nel corsodel metodo Bastien, anche utilizzando stimoli e motiva-

zioni diverse, spesso di tipo competitivo. Sono molte,infatti, le attività che ripercorrono il modello dell’agoni-smo sportivo.Tra queste, una emerge con particolare evi-denza. La incontriamo più volte in A Celebration of Notes,un volumetto supplementare rivolto essenzialmente allosviluppo delle abilità di lettura. L’attività proposta consi-ste nel leggere le note (o scriverne il nome) il più rapida-mente possibile. Occorre “allenarsi” tutta la settimanaper essere i più veloci. Chi riesce a eseguire il compito inmeno di un minuto viene accolto tra i membri del «One-minute Club».

Potremmo rimanere un po’ perplessi di fronte a inci-tamenti così competitivi e così poco musicali. Questaperplessità ci spinge a identificare con maggiore chiarezzagli obiettivi verso i quali è indirizzata l’azione didattica:

imparare a leggere le note, saper suonare qualche melo-dia, saper disegnare una chiave di violino?

Osservare l’apprendimento strumentale attraversoun’ottica globale – ottica che guardi alla crescita del bam-bino nella sua interezza – appare un’operazione assai piùproficua.

Infatti, se si offrono opportuni spazi per la ricercamusicale e per la creatività, se si pone l’interesse musicale

come centro propulsore dello studio fin dal primo con-tatto con lo strumento, forse, allora, non sarà più cosìnecessario “divertire” gli allievi con immagini spiritose oallettarli con gare di velocità. Ognuno, con i propri tempie con il proprio stile, avrà l’opportunità di percorrere unastrada, individuale e irripetibile, per crescere.

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Jane Smisor Bastien, A Celebration of Notes, Book 1,Kjos Music Company, San Diego, 1990, p. 28.Il Metodo Bastien è distribuito in Italia da RugginentiEditore – Milano.

Fig. 4 – Per diventare membri onorari del One-minute Club i bambinidovranno imparare a leggere una intera pagina di note in meno di unminuto. Facendo leva sullo spirito competitivo, i Bastien propongonoqueste attività per incrementare l’abilità di lettura degli allievi.

Fig. 3 – Il metodo Bastien comprende molti fascicoli comple-mentari. Tra questi il Sillabario da colorare è considerato dagliautori, un utile mezzo per ripassare le note e una sorta di pre-mio per lo studio compiuto.Jane Smisor Bastien, Coloriamo le note! Un sillabario da colorare,Kjos Music Company, San Diego, 1992, p. 10.

Fig. 2 – I disegni occu-pano un ruolo diprimo piano nellastrategia didattica deiBastien. Immaginidivertenti e animatesopperiscono alla qua-lità piuttosto scadentedelle proposte musi-cali.James Bastien, Pia-noforte per il piccoloprincipiante, Prepara-torio A, Kjos MusicCompany, San Diego,1994, p. 23.

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In principio sono gli amici. Inseguito, con la prima copiaacquistata, arriva la documenta-

zione in inglese: ottima, completa,ma in lingua originale. Poi inizianoa girare fotocopie di dispense dicorsi fatti chissà da chi e chissàdove. A quel punto, la Midi Musicdi Torino, ditta importatrice, pareaccorgersi che vale la pena fare losforzo di tradurre in italiano le quasimille pagine che accompagnanoquell’incredibile software di nota-zione musicale prodotto dallaamericana Coda Music Technologyche tutti quelli che si occupano dimusica in qualche maniera co-noscono o di cui hanno sentito par-lare: Finale.

Il programma è senza discussioniconsiderato lo stato dell’arte in fattodi elaborazione della partitura attra-verso il computer, un po’ comeWord della Microsoft: puoi amarlood odiarlo, puoi usare altri dieci ela-boratori di testo, ma certe cose,come lui, non le fa nessuno.

Ma per quanti sforzi si facciano,la manualistica di riferimento, benorganizzata, rimane maledettamentein inglese e poco coinvolgente perun utente alle prime armi. Nel 1994fa timidamente capolino un primolibro ‘indipendente’: Finale: La scrit-tura musicale, l’impaginazione e l’e-strazione delle parti con Finale 3.0.1.Lo scrive Fabrizio Fanticini e lopubblicano le edizioni Sam, di Pisa.Il testo, in poco più di cento paginesi propone di dare i fondamenti del-l’utilizzo di Finale, senza pretesa diesaustività.

La lotta fra i diversi programmidi notazione musicale, nel frattem-po, si fa sempre più serrata. Nel giu-gno 1997 sulla rivista Applicando,Paolo Trammanoni pubblica un belconfronto con tanto di tabelle com-

parative fra i più diffusi software dinotazione: Nightingale, Overture,Mosaic, Logic, Cubase Score e Finale.Pur con gli inevitabili difetti, lostrumento della Coda si conferma,in assoluto, il più completo anche senon gli vengono risparmiate le accu-se di una certa complessità di inter-faccia utente.

La difficoltà della lingua – fino aora è sempre l’inglese che fa dapadrone – spinge una casa italiana,la Sincrosoft, a proporre un nuovosoftware di notazione: Opus. La suaprima versione (1.6) non sembraperò in grado di mettere in crisi ilprimato costruito sulla completezzae la versatilità di Finale, che intantocorre rapidamente verso le versioni97 , 98 e ora 2000.

E non sembrano voler dormiresugli allori gli sviluppatori dellaCoda. Rilanciano, infatti, con Alle-gro 98 una versione alleggerita diFinale, pensata per chi ha meno esi-genze e, non contenti, in questimesi stanno portando negli scaffalidei negozi una versione ulterior-mente semplificata, PrintMusic!,espressamente dedicata a chi inizia aconfrontarsi con la scrittura musica-le attraverso l’elaboratore (che sia lavolta buona che le scuole si dotinodi un bel software di notazione,pensato e organizzato in funzione diun giovane utente?). Vista la vivacitàdegli sviluppatori d’oltreoceano e laloro preminenza assoluta sul merca-to, in Italia la Midi Music sta ulti-mando la localizzazione (ovvero latraduzione completa dell’interfacciadi un programma) di Finale 98,portando nella nostra lingua softwa-re e manuali: uno sforzo davveronotevole.

E finalmente anche l’editorianostrana, visto il gran movimento,inizia a rendersi conto che, come

per tutti i programmi di larga diffu-sione, occorre offrire dei prodotti,diversi dai manuali allegati al pro-gramma, pensati per un migliorecoinvolgimento dell’utente e magaria diversi livelli di competenza(quanti tipi di supporti editorialitroviamo per uno strumento comeWord?).

La fatica se la assume Giando-menico Piermarini che con Finalecon brio punta a offrire un prodottoaccattivante di intermediazione frautente e programma, specificamenteFinale 97 per Windows. Va subitodetto che anche chi possiede l’ormaidatata versione 3.7 o anche i superaggiornati con la versione 98 posso-no trovare in questo testo quasitutto quello che cercano, perlomenoai livelli delle operazioni più diffuse.Così chi lavora con Macintosh ha ache fare con una interfaccia sostan-zialmente identica.

Il libro è organizzato intorno adieci capitoli che affrontano altret-tante questioni legate alla scritturamusicale attraverso l’elaboratore: leimpostazioni di base del programmae di una partitura; l’inserimentodelle note; la gestione di gruppi irre-golari e degli elementi di testo; lagestione della parte midi, sia perl’inserimento delle note che per l’a-scolto; l’aggiunta degli elementiespressivi; l’uso delle potenti funzio-ni di copia e elaborazione offertedallo strumento mass mover; i ritoc-chi sulle accollature; l’aggiunta ditesto, degli accordi e la notazionedelle percussioni; le raffinatezzetipografiche sulla partitura; la stam-pa e l’estrazione delle parti. Trovia-mo, inoltre, un preambolo con rapi-dissimi cenni generali su computer,periferiche e schede midi e, in chiu-sura, un buon indice analitico con-sente di trovare con rapidità gliargomenti.

Pur non volendosi porre in alter-nativa alla documentazione origina-le del programma, il testo offreeffettivamente una panoramicamolto completa sull’utilizzo di Fina-le. Il lettore viene accompagnato inquell’affascinante labirinto che è unprogramma di scrittura musicale

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Come è difficile rendere facilela scrittura musicaleDAVIDE ZAMBELLI

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professionale che pretende di offrireuna soluzione per ogni problema:dai quattro modi di inserire le notealle sei unità di misura possibili, dalcontrollo numerico di ogni elemen-to sulla partitura alla assoluta libertàdi posizionamento delle accollaturesulla pagina, dalla capacità di tra-scrivere musiche con notazione anti-ca o contemporanea, inserire ele-menti grafici o esportare parti dellavoro come semplici file di grafica,il controllo completo dei testi liricio di qualsiasi altro tipo, fino a unraffinato controllo della esecuzionevia midi: non manca veramentenulla. Il problema non è mai seFinale può fare una certa cosa, èsolo come fargliela fare. Certo, lanecessità di illustrarne tutte lepotenzialità porta talvolta l’autorealla schematicità e a rimandare indiversi casi alla manualistica di rife-rimento

La articolazione del volume èlineare, nel senso che l’autoreaffronta e sviscera progressivamentele varie problematiche legate allanotazione digitale. Purtroppo, però,questa organizzazione per blocchi(per sapere come si stampa occorreandare a pagina 321) senz’altro pri-vilegia un utilizzatore scaltro, checonosce i fondamenti del program-ma e che, cavandosela male con l’in-glese, cerca di districarsi nei mean-dri, talvolta veramente problematici,di questo software musicale.

A mio avviso, se il testo fossestato pensato in forma circolare,proponendo in poche decine dipagine l’acquisizione dei fondamen-ti – dall’inserimento della simboli-stica, all’ascolto, alla stampa – perpoi riprendere gli argomenti e svi-scerarli nei minimi particolari,avrebbe offerto un miglior servizioanche al nuovo utilizzatore di Fina-le. Insomma, l’organizzazione delvolume 1 (Installation & Tutorial)proposta nei manuali originali dellaCoda, rimane, per il novizio, senzadubbio la più efficace.

Inoltre, al di là delle simpaticheillustrazioni che fanno capolinoovunque, una impaginazione un po’barocca, spesso troppo fitta e non

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Il pianoforte come strumento collettivo, al quale accostarsi in più perso-ne per suonare insieme: idea non più tanto peregrina per chi conosce lerecenti esperienze didattiche riguardanti la propedeutica allo strumento,

ma che pare ancora avveniristica se si pensa alla situazione di tante aule diconservatorio e non solo. Lì infatti è ancora solidamente radicato il mito del“pianoforte monoposto” a uso del solista per eccellenza: il pianista.

Ora, anche senza voler fare l’apologia del lavoro in gruppo, credo che lavita di ciascuno si costruisca sull’equilibrio di entrambi i momenti: agire inprima persona, con responsabilità totale e saper interagire e collaborare conaltri.

In questi ultimi anni abbiamo assistito a un fiorire di pubblicazioni dibrani facili per pianoforte a quattro mani, mentre effettivamente non esisto-no molti corrispettivi per il pianoforte a sei mani; la raccolta di Piazza con-tribuisce a colmare questa lacuna con pezzi di diversa difficoltà, utilizzabilidurante i primi anni di studio dello strumento.

Qualche perplessità suscita però la scelta dei materiali: i brani propostiusano un melodie e ritmi un po’ datati e idee musicali non sempre significa-tive e interessanti per i ragazzi di oggi. Credo infatti che, se vogliamo giocaresul loro piano, dobbiamo accettare la sfida che essi pongono fino in fondo,cercando nella loro musica, nel rock e nel pop che essi amano, ritmi, melodiee armonie più vicine al loro vissuto. A meno che il fine non sia quello, affer-mato a mezza voce in premessa, di fornire brani a uso dei saggi scolastici.Ma qui si apre un altro discorso. (Donata Paderni)

“Nulla a questo mondo va considerato «normale», perché la cate-goria normalità rende pigri e atrofizza inesorabilmente quellafacoltà, tutta infantile, di stupirsi.”

É così che Antonio Giacometti, autore di Mika, introduce il suo lavoro,da poco pubblicato per la nuova casa editrice Kookaburra. Certamente untesto, questo di Giacometti, capace di stupire distaccandosi non poco daquella che è la «normalità» della produzione didattica corrente. I motivi dioriginalità di questo testo sono svariati. Mika propone un linguaggio attuale,contemporaneo, evitando sia i soliti cliché, che un modernismo di maniera.Evitando, soprattutto, di confinare le possibilità espressive del linguaggioentro gli ambiti angusti della «musica per bambini». Già, perché quello cheha capito Giacometti (a differenza di molti altri autori) è che scrivere perbambini non vuol dire affatto scrivere per degli incapaci; tutt’altro.

Determinante, nella stesura di quest’opera, è l’intento di indagare le inte-razioni tra linguaggi di matrice diversa. In Mika, infatti, convergono, in un’u-nità coerente, musica, testo (tratto da Jostein Gaarder) e immagini (di EvaFeudo Shoo). Tre linguaggi diversi, uniti da relazioni profonde, che vanno acreare sinergie capaci di coinvolgere pienamente i giovani allievi. Ma, soprat-tutto, il testo di Giacometti si distacca dal panorama abituale proprio per iltentativo - ben riuscito - di evitare le strade dell’ovvio, del banale, del giàdetto. Un tentativo che ritrova, nel contatto con i bambini, una dimensionericca, stimolante, piena di stupore. (Donatella Bartolini)

SCHEDE

Giovanni Piazza, Drei mal zwei Tre per due, Dieci pezzi facili per pianofortea sei mani, Schott, 1998

Antonio Giacometti, Mika – 8 quadri per tre flauti, Gli Zirli, Kookaburra, 1998

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Il libro di testo ideale è per uninsegnante come l’araba fenice:quantomai arduo trovare quello

che soddisfi i molti requisiti pretesi.Ancora più difficile trovare l’idealetesto di storia della musica destina-to agli studenti di un liceo musicalesperimentale.

In realtà il volume di GiordanoMontecchi, Una storia della musica,non è affatto concepito come librodi testo, ma la sua lettura risultaparticolarmente stimolante per uninsegnante quale io sono, così dasuggerirmi alcune riflessioni sullasua proponibilità e impiego in con-testi didattici diversi.

Nel panorama editoriale attualenon mancano i contributi nel setto-re della manualistica storico-musica-le: l’aspetto metodologico-didatticoappare però ignorato nella quasitotalità dei casi, mentre si privilegiageneralmente un approccio tecnicoalla storia della composizione –attraverso la definizione dei caratteristilistici di un’epoca, dei diversigeneri musicali, della produzionedei singoli autori – rispetto alladescrizione del contesto storico-cul-turale in cui sono prodotti e recepiti

gli eventi o le opere musicali.È ormai generalmente accettato

invece che un buon libro di testonon possa limitarsi a un aggiorna-mento dei contenuti sulla base diun’ampia documentazione biblio-grafica, ma debba innanzituttorispondere a esigenze di tipo meto-dologico-didattico: come insegna-re/apprendere la storia della musi-ca? con quali obiettivi? e quale sto-ria della musica? Si sottolinea lanecessità di tenere presente il desti-natario – il suo sviluppo cognitivo,le potenzialità di comprensione lin-guistica e le competenze tecniche –,stimolando un apprendimentosignificativo e proponendo, dovepossibile, un approccio diretto allefonti storico-musicali per avvicinarealla ricerca storica con attività diriflessione, di analisi, di interpreta-zione, di ricostruzione dei fatti sto-rico-musicali. È invece frequenteriscontrare negli alunni liceali (iquali dovrebbero essere cresciuticon i nuovi programmi della scuolaelementare e media, nei quali l’ap-prendimento del metodo di ricercastorica è privilegiato rispetto all’ac-quisizione dei contenuti e delle

nozioni) una scarsa consapevolezzadella relatività della storia: per lorola storia imparata a scuola rappre-senta più il racconto di una veritàche non una costruzione che nascedall’analisi e dall’interpretazione didocumenti.

Qui sta il primo pregio del lavo-ro di Montecchi, il quale fin daltitolo denuncia la sostanziale relati-vità del lavoro storico attraversoquell’articolo indeterminativo chespiega nella prefazione ai lettori: «Sichiama Una storia della musica per-ché, pur somigliando a ciò che untempo veniva chiamata “storia dellamusica” tout court, muove dallaconvinzione che tutte le storie chevengono scritte scaturiscano sem-pre, per forza di cose, da un puntodi vista e siano quindi tutte provvi-sorie e da riscrivere» (p. 5).

Il corposo volume (che giungefino all’Ottocento, lasciando la trat-tazione del nostro secolo a unsecondo tomo, di prossima uscita)pur scritto in forma di narrazione,come saggio di critica, pensando aun lettore medio, non ignora, nelleintenzioni dell’autore, una prospet-tiva didattica. Frutto anche dell’e-sperienza di insegnamento in Con-servatorio, il lavoro ha alla base la«convinzione che il primo obiettivoda inseguire come narratori e comeinsegnanti sia quello di far nascerela consapevolezza che in storia nullasi sa e tutto invece si racconta» (p.29). Senza cadere in un eccesso di

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sempre chiara, e una grafica pococoerente non aiutano certo a supe-rare gli scogli del programma.

Finale, ne sono convinto, con-sente con facilità di eseguire le ope-razioni base di stesura di una parti-tura; le operazioni più complesseinvece non sono sempre intuitive.Ma queste ultime, fortunatamente,sono anche quelle utilizzate più

raramente e quindi possono trovareun approfondimento successivo,mano a mano che se ne presenta lanecessità. Poiché le critiche più fortirivolte a questo strumento sonoquelle di una certa cripticità diinterfaccia e di complessità operati-va, è inevitabile attendersi, da untesto che si propone di facilitare l’u-tente, chiarezza e semplicità. Qua-

lità, queste ultime, che l’autore,purtroppo, non riesce sempre aoffrire.

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Giandomenico Piermarini, Finalecon brio, Armellin Musica, Padova,1998, pp. 375, £ 59.000

Una storia della musicache dichiara le proprie scelteCECILIA LUZZI

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Biblioteca

relativismo, gli alunni hanno biso-gno di capire che pur partendo dadati comuni, la storia è fatta diinterpretazioni.

Nonostante questa vocazionedidattica, Montecchi sceglie di nonrivolgersi a un lettore ben preciso(«a chi sa di musica, ma anche a chinon ne sa, o almeno non ne sa ungran che», p. 6): la struttura discor-siva del saggio critico e la narrazio-ne accattivante e scorrevole si indi-rizzano piuttosto verso un pubblicopiù ampio, di acculturati (musical-mente parlando) che intendanoconoscere fatti che già sanno in unanuova chiave interpretativa, o dicultori che desiderino apprenderecose nuove o approfondire le loroconoscenze, in uno stile scevro dalle“pesantezze” della musicologia acca-demica. La pubblicazione in unacollana ad alta diffusione come laSuperBUR della casa editrice Rizzolisottolinea questa prospettiva divul-gativa e nello stesso tempo rappre-senta il segnale della volontà diabbattere le tradizionali barriere cheseparano la cultura musicale dallacultura tout court (che si rispecchiapoi, come vedremo, nell’approcciostoriografico). Si tratta di scelte deltutto condivisibili, soprattutto sepensiamo al panorama italiano, incui l’isolamento della cultura musi-cale, intesa come sapere esoterico,per iniziati, ha provocato incalcola-bili danni, influenzando negativa-mente sia gli indirizzi culturali sia leistituzioni educative.

La rinuncia a qualsiasi apparatodi note, a indicazioni bibliograficheper approfondimenti, all’inserimen-to di documenti (nonostante nelcorso della narrazione vengano cita-ti passi significativi tratti da fonti didiverso tipo), esempi musicali oanalisi, che avrebbero appesantito lastruttura del volume rende il testoaccessibile e produttivo a partire daltriennio delle superiori, nell’ambitodel conservatorio (nei corsi di Sto-ria della musica per strumentisti,ma ancora di più nel contesto delleScuole di didattica) e dell’univer-sità. Il testo inoltre può risultare digrandissima utilità come guida per

un insegnante che voglia impostarein modo nuovo percorsi interdisci-plinari, a partire da progetti d’ascol-to fin dalla scuola elementare esoprattutto nelle fasce scolastichesuccessive. La musica è inserita,infatti, in un tessuto ricco di nessicon la storia sociale ed economica,

con la storia delle idee, col piùampio contesto culturale, ponendoattenzione oltreché alla dimensionepoietica, a quella della ricezione diun’opera o di un evento musicale.

In particolare risulta preziosa lacapacità dell’autore di fornire ampiquadri d’insieme (di fenomeni epo-

LUCA MARCONI

Wayne Bowman, docente universitario canadese, mette in guardiagli educatori musicali dai rischi ai quali, a suo parere, essi possonoincorrere adottando, nell’esercitare la loro professione, un atteg-

giamento universalista, consistente nel ritenere che esistano dei criteri assolu-ti, universalmente validi, che permettono di distinguere ciò che è musica daciò che non rientra in tale categoria, la buona musica dalla musica priva divalore, e ciò che è giusto compiere nell’ambito dell’educazione musicale daciò che è sbagliato. In opposizione a tale atteggiamento, Bowman, rifacendosialle posizioni dei filosofi Richard Rorty e Joseph Margolis, sostiene l’opportu-nità di assumerne invece un altro, relativista. Egli distingue tale atteggiamen-to da quello scettico, secondo il quale, rispetto a qualsiasi questione, ciascunadelle posizioni adottabili ha la stessa validità di ogni altra posizione alternati-va. Piuttosto, un atteggiamento relativista nell’ambito dell’educazione musi-cale consiste innanzitutto nel considerare che nel mondo esistono pratiche econcezioni musicali molto diverse tra loro, che, più che avere un nucleoessenziale comune, presentano tutt’al più una ‘somiglianza di famiglia’; insecondo luogo, si tratta di tener presente che una certa musica e una certaattività di educazione musicale possono essere giudicate più valide di altrenon in assoluto, ma rispetto ad alcune situazioni particolari.

Maurizio Spaccazocchi, docente di pedagogia musicale del Conser-vatorio di Pesaro, affronta, con un’impostazione sapientementetrans-disciplinare, alcune delle principali metafore sulle quali si

fonda il vissuto musicale umano: musica come energia, nutrimento, esserevivente, movimento, personalità, spazio, soggetto che ci tocca ed entra inrelazione con noi. Le riflessioni sollevate dall’esplicitazione di tali metaforepossono essere un utile punto di partenza per un confronto tra diverse espe-rienze musicali, volto a rilevare uno strato comune, antropologico, o perfinoriconducibile alla «dimensione bio-zoologica dell’essere umano», alla qualespesso questo saggio fa riferimento, distinguibile da altri strati più specifici,dipendenti dal fatto di vivere in una certa realtà socio-culturale e di aver svi-luppato determinati percorsi personali.

DA NON PERDERE

Wayne Bowman, “Universals, Relativism and Music Education”, Bulletin ofthe Council for Research in Music Education, n. 135, Winter 1998, pp. 1-20.

Maurizio Spaccazocchi, “E se la musica fosse...”, Musica & terapia, Quaderniitaliani di musicoterapia vol. VII n. 1, gennaio 1999, pp. 4-14

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cali, generi musicali, correnti stili-stiche) all’interno dei quali i daticonsueti sono osservati da prospet-tive diverse, con attenzione adaspetti solitamente trascurati dallastoriografia tradizionale di stampoottocentesco, attenta, come sottoli-nea l’autore, a «cogliere lungo ilcorso dei secoli le linee di sviluppodella musica attraverso il susseguirsidelle opere e degli autori, eviden-ziandone le influenze reciproche ele implicazioni tecniche ed esteti-che» (p. 15).

È un esempio di questa imposta-zione l’eccellente panorama dellamusica nell’era cristiana, in cui l’au-tore cerca di ricostruire gli aspettidella formazione del repertorio cri-stiano – che rimangono indistintiproprio perché caratterizzati dallatrasmissione orale – quali l’influenzadell’antichità classica e della tradi-zione ebraica; ancora più interessan-te appare il tentativo di chiarire ilsignificato che assume il passaggioda una trasmissione orale a una tra-smissione scritta sia nella fissazionedel repertorio sia negli sviluppi delletecniche compositive successive.

Siamo qui di fronte a una sceltache appare tanto più interessantequanto più si consideri che leespressioni musicali tipiche dellacultura dell’oralità, o caratterizzateda una marcata incidenza delle tec-niche improvvisative, sono statelasciate spesso in ombra da una tra-dizione storiografica che ha di fre-quente sopravvalutato la trasmissio-ne scritta e lo sviluppo di sistemi dinotazione assai elaborati, i qualirappresentano certamente tratticaratteristici della civiltà musicaleoccidentale colta ma non gli uniciutili a capire l’evolversi dell’espe-rienza musicale.

Si tratta di stereotipi e precon-cetti che, nei limiti dei nuovi mate-riali di studio disponibili, Montec-chi cerca di sconfessare, per tuttol’arco storico affrontato, valorizzan-do, dove possibile, quelle espressionimusicali che non hanno finoraavuto diritto di cittadinanza nellestorie musicali, o sono state sottova-lutate ed etichettate come generi

minori. E ancora di più, s’immagi-na, questa strada sarà percorsa nel-l’esame della scena musicale del XX

secolo, argomento del secondo volu-me in preparazione, i cui lineamentisono annunciati già nell’introduzio-ne di questo primo volume.

L’esempio più eclatante di que-sta ottica è rappresentato da unintero capitolo dedicato a «L’ascesadella musica d’intrattenimento bor-ghese» nell’Europa dell’Ottocento eda un paragrafo «La belle époque inItalia: romanze, canzoni, café-chan-tant, varietà, operetta» nell’Italia trai due secoli. Qui Montecchi dàampio spazio alla descrizione diambienti, pratiche musicali che,pur avendo notevole incidenza neltessuto della vita sociale e culturale,sono state lasciate in ombra dallatradizionale storia della musica laquale «dal Medioevo all’AncienRégime è in gran parte storia di unamusica destinata alla ricreazione dicorte e ai cerimoniali civili e religio-si [dalla quale] è invece quasi com-pletamente assente la musica per ildivertimento dei ceti popolari,prima contadini e poi urbani, checomincia a diventare visibile all’e-poca della rivoluzione industriale eborghese» (p. 454). Altro esempiodelle scelte operate da Montecchi èla rivalutazione del ruolo e dell’inci-denza di una produzione musicale“minore”, quella dello stile galante,compressa com’è, per consuetudine,dalla grandezza della musica di J. S.Bach e di Mozart.

Emerge dunque con chiarezza ilmetodo storiografico adottato dal-l’autore per il quale i grandi musici-sti e le grandi opere (gli stili, le tec-niche compositive e le implicazioniestetiche) non sono più oggettoesclusivo dell’indagine storica, masono esaminati in rapporto alla lorosostanza storica, cercando di porrein luce i nessi con la storia delleidee, quella sociale ed economica,occupandosi oltre che della storiadella composizione anche della rice-zione di queste opere, che muta nelcorso dei secoli.

L’autore stesso dichiara nell’in-troduzione il suo debito con i nuovi

orizzonti della storiografia generale,ovvero la concezione della «nuovastoria» elaborata dal gruppo diintellettuali (Bloch, Febvre, e suc-cessivamente Le Goff ) gravitantiattorno alla rivista Annales d’histoireéconomique et sociale, della storio-grafia letteraria, la jaussiana teoriadella ricezione e in ambito musicaledella prospettiva storiografica diCarl Dahlhaus.

In questo quadro l’aspettomeno sviluppato – per scelta del-l’autore – è un approccio prope-deutico agli sviluppi delle tecnichecompositive, ai profili dei grandicompositori e della loro produzio-ne. Grande spazio è infatti dedicatoalla presentazione di contesti, di

Libri e dischi ricevuti

Hans-Günter Heumann, DerEtüdenband – Die schönstenEtüden von Czerny bis Chopin,Schott, 1998

Hans-Günter Heumann, Pianokids im duett, Schott, 1998

Hans-Günter Heumann, Pianokids classic fun, Schott, 1999

Bedrich Smetana, Die Moldau,Schott, 1998

Georges Bizet, Carmen, Schott,1999

Antonio Vivaldi, Die vier Jahre-szeiten, Schott, 1999

Peter Tschaikowsky, Nussknacker-Suite opus 71a, Schott, 1998

Ugo Morale, Introduzione aBeethoven, Bruno Mondadori,Milano, 1999

Giannantonio Mutto - MassimoRizza, I suoni del Vento, motivipopolari per clarinetto e pia-noforte, Mela Music, Verona,1998

Albumblatt 1, Eunomio e il Nove-cento, raccolta di pezzi perpianoforte, Fabio Trippettipianista, Regione Abruzzo,1998, EA00101, cd fuoricommercio.

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generi, di forme – eccellenti adesempio il profilo su oratorio emusica sacra in Italia nel Seicento,il quadro storico-sociale dell’operanel Settecento, l’ introduzioneall’Ottocento romantico –, a scapi-to di quello riservato ad alcunigrandi compositori e alla loro pro-duzione, J. S. Bach o Mozart, adesempio. Il lettore viene avvicinatoai fatti e alle loro interpretazionicon gradualità, mentre sono con-densati in poco spazio la letturadell’opera dei “grandi” della musi-ca, la quale necessita di una preli-minare conoscenza di base permeglio comprendere l’interpreta-zione data dall’autore della loroopera. Il testo dunque, prezioso insede didattica, richiede una letturae un impegno diversificati in baseagli argomenti e alla prospettivacon cui l’autore li affronta, diversaogni volta per sua scelta, come sot-tolineato nell’introduzione.

Per concludere, la parola a duealunni di una quarta liceo musicaleai quali sono stati presentati passitratti dal volume di Montecchi,dopo che essi avevano già affronta-to gli stessi argomenti sui loro libridi testo, il Manuale di storia dellamusica di Surian, edito da Ruggi-nenti e il volume della collanaEDT, L’età di Mozart e di Beethovendi Pestelli.

«La mia impressione riguardo alparagrafo L’opera buffa e Mozart, èstata l’immediata sensazione chefosse tratto da un saggio e non daun libro scolastico. Infatti ho avver-tito una certa discorsività, caratteri-stica che nei libri di testo da noiutilizzati è sostituita da un impor-tante requisito, la schematicità.Credo sia proprio questo l’aspettoche maggiormente differenzia que-sto dai testi utilizzati in classe: ilparlare di vari argomenti ponendolitutti sullo stesso piano, compiendopassaggi da un concetto all’altro,seguibili solo per chi conosce già unpo’ l’argomento. Il linguaggio èricco, quasi barocco, ed è forse que-sta ricchezza che confonde un po’ illettore». (Elena Abbado)

«Il capitolo Caratteri del Classici-

smo. Mozart tratta con estrema sinte-si l’argomento: l’autore non si soffer-ma sui cenni biografici, sui viaggi,l’infanzia; tralascia date, ma riesce adare una lettura meno schematica efredda, parlando dei caratteri dellamusica di Mozart in modo quasiappassionato; la sintesi non incidesulla precisione e acutezza della trat-tazione, ma il testo non può essere amio avviso utilizzato come libro ditesto da cui apprendere le primenozioni su Mozart, perché ci sonopoche notizie sull’opera musicalemozartiana, pochi esempi ed analisimusicali; tuttavia credo che questotesto possa essere un ottimo sussidio,perché la parte che introduce l’opera

di Mozart, chiarisce il succedersidegli stili, dei compositori, senzaridurre ogni argomento a uno sche-ma, ma unendo tutti i temi, rielabo-rando i concetti in modo organicoed esauriente» (Jacopo Facchini).

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Il testo nasce da un’azzeccata analisi della fase attuale in cui si trova lascuola italiana. La scuola e, più in generale, l’educazione sembrano esse-re investite da un forte senso di precarietà, di incertezza, di disagio, che

si riversa sulla professionalità docente causando una generale caduta dimotivazione, un certo “disamore” fra gli insegnanti e fra il personale dellascuola verso il proprio lavoro. Sono fenomeni non nuovi, che solitamente sifanno collegare a periodi di transizione e di trasformazione, ma l’ipotesi dacui nasce questo libro è più profonda e coraggiosa.

Nella Introduzione il curatore del volume, Claudio Desinan, ne illustra itratti salienti:• «L’illusione che le scienze dell’educazione possano essere in grado disostituire la filosofia dell’uomo sta cedendo» (p. 7); il paradigma scientisti-co, necessario per certi versi, non può sostituire l’esigenza di una concezio-ne dell’uomo e dei suoi valori di riferimento;• la collaborazione tra le varie scienze, dell’educazione e non, è segnata dacontinue invasioni e difensioni di campo;• l’interdisciplinarità sembra piuttosto rivelarsi come uno smembramentodell’educazione e degli ambiti disciplinari senza che essa porti ad una visio-ne articolata e comprensiva dei saperi ivi implicati;• sul piano istituzionale l’autonomia è soggetta a continue ambivalenze:da un lato può essere uno strumento per realizzare un efficace servizio, allaluce dell’idea-guida delle pari opportunità formative, coniugando i tre ele-menti cardine della funzione scolastica (la sua funzione istituzionale pubbli-ca, la sua caratteristica di organizzazione di servizi, la concezione più peda-gogica di essere una comunità educativa); dall’altro l’autonomia può ridursiad essere (come è stato spesso in varie sedi ribadito) poco più che uno “sca-ricamento” di compiti e responsabilità sulla singola istituzione scolastica,

RASSEGNA PEDAGOGICAROBERTO ALBAREA

Biblioteca

Giordano Montecchi, Una storiadella musica. Artisti e pubblico inOccidente dal Medioevo ai giorninostri, Vol. I: Dal canto cristianoalla fine del XIX secolo, Milano,BUR, 1998, pp. 753, £ 20.000.

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senza che si siano assicurate le risorse umane, organizzative e finanziarie perraggiungere gli obiettivi dell’offerta formativa.

Anche il recente decreto ministeriale che istituisce corsi di formazioneper il conferimento della qualifica dirigenziale ai capi di istituto, con l’in-tenzione di integrare l’approccio pedagogico, quello organizzativo e mana-geriale, dovrà inserirsi in tale problematica e, soprattutto, rispettare le speci-ficità, la storia e le tradizioni della scuola italiana. Il confronto con le istitu-zioni scolastiche europee è oltremodo positivo e vantaggioso, ma ciò nondeve portare a una cieca importazione di modelli slegati dal contesto .

L’autonomia si incontra anche con il motivo della qualità scolastica:come ho già avuto modo di osservare in Rassegne precedenti, i modelli dellibero mercato in educazione e della scuola efficientistica possono portare aun abbassamento generale della qualità dell’educazione e a un allargamentodella forbice nei rendimenti e nella preparazione dei ragazzi. Il risultato diciò è una dequalificazione della scuola pubblica, intesa come democraticoservizio, statale e non statale. In tale cornice il motivo della qualità e del-l’autonomia nasconde insidie non facilmente risolvibili se non si chiarisce,come tenta di fare il testo che segnalo all’attenzione dei lettori, «... la que-stione della funzione politica della scuola, un nodo che deve essere risoltoper poter poi veramente discutere di qualità» (p. 8).

Da qui la interessante strada seguita: si tratta di esporre i pro e i contro(cioè «discutere») di alcune tematiche, teoretiche e fondative, concrete eoperative, vivacemente dibattute nella scuola. «L’impostazione del volume èil più possibile problematica, evitando una sorta di contrapposizione radica-le e semplificata tra tesi diverse, e puntando più a coglierne le ragioni ed amantenere aperto il dibattito che a dare soluzioni, anche se è chiaro chequando si scrive di argomenti così importanti come quelli affrontati non èpossibile mantenersi assolutamente neutrali» (p. 9).

La prima parte riguarda le dimensioni dell’educare: e qui abbiamo unadiscussione delle antinomie (o dei «falsi dilemmi») tra insegnare/educare,tra unità/pluralità a proposito della funzione educativa e docente, tra conti-nuità/discontinuità nell’ambito scolastico e nelle due accezioni di conti-nuità “verticale” e “trasversale”.

La seconda parte investe le strutture: in questo caso si evidenziano le dif-ferenti posizioni in merito al tempo-scuola, al problema del rapporto traintegrazione e adattamento a proposito degli alunni disabili inseriti nel pro-cesso educativo, con tutti gli interrogativi conseguenti (e includenti il bino-mio socializzazione-apprendimento, educazione-rieducazione, scuola-fami-glia) e si riportano i motivi addotti a favore e a sfavore nei confronti dell’au-tonomia.

La terza parte riguarda gli strumenti (intesi in senso ampio, non solocome “arnesi” o “attrezzi”): la prima questione affrontata concerne la rela-zione educativa, il rapporto tra il “fare” e “l’ascoltare”; successivamente sianalizzano le diverse connotazioni che può assumere la programmazioneeducativa (programmazione per obiettivi, programmazione “adattiva”, pro-grammazione progettuale, etc.); infine emerge, con una disamina anchesemantica condotta dall’autrice (Bianca Grassilli), la questione della tecno-logia, in bilico tra esaltazione e riserve.

Claudio Desinan (a cura di), Discutere la scuola. Ipotesi, contenuti e prospet-tive a confronto, FrancoAngeli, Milano 1998, pp. 271, £. 40.000.

Biblioteca

Conservatorio. Scuola diDidattica.

Un giorno il Maestro entrain classe e annuncia tutto felice:«Oggi cominciamo a esercitarcinell’improvvisazione. Lei, signorOmbrellari, mi improvvisi conla voce una melodia in fa diesisminore così composta: settebattute in tre quarti, tre battutein sette ottavi, cinque battute intempo tagliato, due battute indue sedicesimi. Questo è il la.»e suona il la a 440 hertz delpianoforte.

Segue qualche istante delpiù perfetto silenzio mai uditoda orecchio umano. Alla fine ilsolito Ombrellari si schiariscela voce e chiede: «Come,scusi?»

«Non ha capito? Glielorispiego subito: sette battute intre quarti, tre battute in setteottavi, cinque battute in tempotagliato, due battute in due sedi-cesimi. Questo è il la.» Plin a 440.

Altro silenzio.Alla fine il solito Ombrellari

si azzarda ancora a dire: «Ma...»«Non ha ancora capito?

Glielo rispiego subito: settebattute in tre quarti, tre battutein sette ottavi, cinque battute intempo tagliato, due battute indue sedicesimi. Questo è il la.»

Repetita juvant.

bemolli Cidrolin

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Le eclissi di sole sono sempreaccompagnate da t imoripopolari e paure irrazionali,

annunci di catastrofi e apparizionidi esseri misteriosi.

L’eclisse di sole dello scorsoluglio ha costituito così l’occasioneper la vicenda teatrale su cui si èincentrata l’edizione 1999 di Tova-glia a quadri, manifestazione che sisvolge nella bella cornice costituitadal paese di Anghiari, in provincia diArezzo.

Tovaglia a quadri presenta carat-teristiche assolutamente particolari,nel quadro delle numerose iniziativeestive che si svolgono in Italia cen-trale. Si tratta infatti di «una cenatoscana dentro le mura con una sto-ria da raccontare in quattro porta-te». Gli spettatori-avventori, in tuttoun centinaio, sono invitati a sedersiattorno ad alcuni tavoli, rigorosa-mente apparecchiati con tovaglie aquadri, come nella migliore tradizio-ne toscana, per consumare una cenatipica in quattro portate.Tra un piat-to e l’altro si sviluppano le scenedello spettacolo L’eclisse del gatto-puzzolo di cui vogliamo parlare.

L’eclisse del gattopuzzolo è unospettacolo divertente e intelligen-te, in cui si immagina che il paese diAnghiari sia stato, unico in Italia,testimone di un’eclissi totale disole e che durante questo fenome-no sia apparso un mitico e spaven-toso animale, appunto il gattopuz-zolo, terribile annunciatore di sven-ture. La vicenda si sviluppa, seguen-do canoni consolidati nel teatro ditradizione popolare, attraversol’apparizione in sequenza di diversibizzarri personaggi: pellegrini inviaggio verso Roma per l ’annosanto, un improbabile “citto (figlio)di Piero Angela”, cercatori di funghidispersi nei boschi della Serbia, un

rude allevatore tedesco di caniferoci e altr i ancora. I l tuttomescolato a divertenti riferimenti afatti ed eventi politici e di costumesia locali che nazionali.

I l testo, molto piacevole , èopera di Paolo Pennacchini eAndrea Merendelli, quest’ultimoanche regista dello spettacolo. Tut-tavia, sono altre le caratteristiche diquesto spettacolo che ci interessasegnalare maggiormente.

In particolare il fatto che quasitutti gli attori e tutti i musicisti cheanimano lo spettacolo non sonoprofessionisti ma cittadini diAnghiari che hanno lavorato allarealizzazione dello spettacolo nelloro tempo l ibero. In secondoluogo segnaliamo l’uso intelligenteche il regista Merendelli ha saputofare dello scenario naturale offertodal Poggiol ino, un quartiere diAnghiari posto presso le mura anti-che della città. Le scale e le finestredelle case, i magazzini e i porticicostituiscono così la scenografiadello spettacolo, in cui si muovonocon estrema sapienza gli attori-cit-tadini anghiaresi. La parte musicaledello spettacolo è costituita davarie canzoni popolari eseguite daalcuni attori-cantanti che fannoparte della Compagnia dei Ricompo-sti, gruppo di canto popolare che fariferimento, nel suo nome, alle sto-rie di migrazione dei suoi compo-nenti, rientrati in seguito nella citta-dina toscana.

Tovaglia a quadri non è quindisolo una piacevole occasione teatra-le per gli anghiaresi e per i turistiche affollano la Toscana durante l’e-state ma è anche, e soprattutto, un’i-niziativa di animazione culturale incui sono coinvolte attivamente per-sone che per il resto dell’anno eser-citano professioni che nulla hanno a

che vedere con il teatro e a cui col-labora una compagnia di cantantinon professionisti costituitasi all’in-terno della comunità cittadina.

Tutto questo ci sembra moltoimportante in un momento in cuisempre più si parla di disgregazionedel tessuto sociale dei piccoli cen-tri, di perdita d’identità e di memo-ria locale e in cui la passività cultu-rale sembra sempre più coinvolgerecittà grandi e piccole. Per questeragioni Tovaglia a quadri ci sembraun’esperienza che merita di essereconosciuta e diffusa.

Per la cronaca, il gattopuzzolo sirivela essere, al termine dello spet-tacolo un innocuo e tenero gattinobianco di pochi giorni.

Informazioni su Tovaglia a quadripossono essere richieste all’Asso-ciazione “Pro Anghiari”, Via Mat-teotti, 103, Anghiari (AR), telefono efax. 0575/742979.

MAURIZIO DISOTEO

RUBRICHE

Osservatorio

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L’attribuzione delle «funzioniobiettivo», previste dal con-tratto collettivo nazionale

della scuola, sta incrinando i rappor-ti – sin qui di pacifica tolleranza –fra gli insegnanti della scuola mediaXXXX della ridente provincia diYYYY, e quelli delle due sedi stacca-te (già istituti autonomi, poi accor-pati). Sono in gioco difatti quattropoltrone, che nella realtà sin quipiattamente paritaria della scuolapaiono introdurre uno stuzzicanteprofumo di potere. Né è da trascu-rare il fatto che a ciascuno dei quat-tro incarichi è connesso un aumen-to di retribuzione di ben tre milioniannui (lordi), che schiudono la pos-sibilità di acquistare un frigoriferonuovo o di rinnovare il guardarobaormai datato.

Il fatto è che la scuola madre,che si è già aggiudicata la vice-presi-denza (alias collaboratore-vicario),vorrebbe fare man bassa degli altridicasteri in palio (alias funzioni-obiettivo), facendosi forte dellamaggioranza, sia pur risicata, di cuigode nel collegio docenti. È que-st’ultimo infatti, come ben sa chi haavuto la ventura di leggere il testoministeriale , a scegl iere fra ledomande presentate ed a ratificarele nomine. I plessi minori, però, nonvogliono stare a un gioco che –parole loro – è patentemente«liberticida», «antidemocratico» e«stalinista». Se un direttorio s’ha dafare, questo deve essere rappresen-tativo di tutti i gruppi presenti nelparlamentino scolastico. E, vistoche la formazione maggiore fa orec-chie da mercante, e lascia intendereche sosterrà sino all’ultimo le pro-prie candidature, sono disposti adar battaglia, con ogni mezzo, perconquistarsi un posto al sole.

Sono allo studio, così, diverseiniziative, che dovrebbero spezzareil fronte compatto degli avversari. Inuna riunione segreta al la qualehanno preso parte gli esponenti più

battaglieri della minoranza, sonostate avanzate – attraverso un ani-mato brainstorming – varie propo-ste, di cui riportiamo qui le piùinteressanti:

1. Avviare trattative con la cor-rente di centro-destra degli inse-gnanti della scuola madre, notoria-mente titubante circa la nomina delprof. Rossi, fortemente voluta inve-ce dai colleghi. Si potrebbe offrire ilsostegno alla prof. ssa Verdi, rappre-sentante di punta della corrente, incambio dell’appoggio a un candida-to dei plessi aggregati.

2. Indire un «function day» (unamanifestazione seria deve esseretitolata in inglese) nel cortile dellascuola, con la distribuzione divolantini di protesta. Oppure, con ladiffusione elettronica di messaggi evignette satiriche (i tre plessi sonocollegati via Internet, che finalmen-te renderà un utile servizio). Il prof.Bianchi, insegnante di educazioneartistica, ha abbozzato seduta stan-te una caricatura della prof.ssaNeri, candidata alla funzione PianoOfferta Formativa, in cui si mostra-no le sue grazie debordanti cheschizzano fuori dagli abiti con unarosa di «POF!» molto eloquenti.

3. Raccogliere informazioni com-promettenti sui candidati del grup-po maggiore, così da screditarli. Peresempio, si sa che il prof.Viola, pro-postosi per la funzione di «sostegnoal lavoro dei docenti», è incline afarsi sostenere, nella redazione deipropri piani di lavoro (e forse nonsolo), dalla collega di italiano.

4. Disertare , come extremaratio, i l collegio dei docenti, inmodo da far mancare il numerolegale.

Dal canto loro, i portavoce dellaformazione maggioritaria fannospallucce. I docenti dei plessi mino-ri, a loro giudizio, si comportanocome i cespugli di ben nota memo-ria, non esitando a ricorrere a mezzisubdoli e ricattatori pur di ottenere

un po’ di «visibilità». Ma poichéentrambi reclamano l’assegnazionedi una funzione, alla fine si elideran-no a vicenda, spianando la stradaalle candidature della scuola madre.

Alcuni professori, peraltro, sitengono ai margini di queste diatri-be, accarezzando altri disegni. Essipuntano ad accaparrarsi i sei milioniannui del trattamento economicoaccessorio, che si conquista attra-verso un concorso. Se gli andràbene, potranno appuntarsi sul pettoil distintivo di «insegnanti di primaclasse» e intascare ogni anno ungruzzolo consistente, continuando afare esattamente quello che faceva-no prima, ossia senza doversi accol-lare alcuna funzione o impegnoaggiuntivo rispetto ai colleghi (chene saranno, certo, molto felici). Allafaccia di chi si danna per un incaricooneroso e assai peggio retribuito.

ALBERI ECESPUGLIRINCONETE CORTADIGLIO

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Fuoricampo

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