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Mobbing Il mobbing: elementi caratteristici di Sara Petrilli - Consulente legale Enti Pubblici e Imprese Il mobbing è da diversi anni al centro dellattività della psicologia e medicina del lavoro e della giurisprudenza. La complessità del fenomeno del mobbing sul luogo di lavoro si riflette sia nella difficoltà di individuarlo chiaramente e di definirlo, sia di indagarne le cause e approntare rimedi per contrastarlo e prevenirlo. Proprio il contributo della psicologia e della giurisprudenza permet- te oggi di poter individuare i casi di mobbing, grazie agli indici e criteri che consentono di deli- neare il confine tra mera conflittualità e condotta persecutoria. Premessa Le parti prendono atto che nelle pubbliche ammi- nistrazioni sta emergendo, sempre con maggiore frequenza, il fenomeno del mobbing, inteso come forma di violenza morale o psichica in occasione di lavoro - attuato dal datore di lavoro o da altri di- pendenti - nei confronti di un lavoratore. Esso è caratterizzato da una serie di atti, atteggiamenti o comportamenti, diversi e ripetuti nel tempo in mo- do sistematico ed abituale, aventi connotazioni ag- gressive, denigratorie e vessatorie tali da comporta- re un degrado delle condizioni di lavoro e idonei a compromettere la salute o la professionalità o la di- gnità del lavoratore stesso nell'ambito dell'ufficio di appartenenza o, addirittura, tali da escluderlo dal contesto lavorativo di riferimento(1). I contratti collettivi della pubblica amministrazio- ne si sono posti ormai da un decennio all avan- guardia rispetto al legislatore nazionale, che, ad og- gi, non è ancora intervenuto sul tema del mobbing, un fenomeno che pare tuttaltro che in regressione. Da una recente indagine condotta dallAgenzia Eu- ropea per la Salute e la Sicurezza del lavoro, circa la metà dei lavoratori ritiene che il problema dello stress correlato con il lavoro sia comune sul luogo di lavoro. Tra le cause più frequenti di stress legato al lavoro figurano la riorganizzazione del lavoro op- pure linsicurezza del lavoro, le lunghe ore lavorati- ve oppure l eccessivo carico di lavoro nonché le molestie e la violenza sul lavoro (2). Nel perdurante vuoto legislativo in materia di mobbing, la giurisprudenza ha, ormai da anni, for- nito indicazioni per connotare giuridicamente il fe- nomeno, coniugando le norme vigenti nellordina- mento con gli studi della psicologia del lavoro. Cosè il mobbing? Per fornire una breve panoramica delle definizioni del mobbing, il riferimento al contributo della psi- cologia del lavoro è dobbligo. Uno dei più autorevoli studiosi dellargomento, lo psicologo tedesco Heinz Leymann, ha utilizzato il termine mobbing (dallinglese to mob, che signifi- ca attaccare, aggredire in massa, accerchiare), mu- tuandolo dalletologia (in particolare dagli studi di Kondrad Lorenz) (3), definendolo come quella for- ma di comunicazione ostile ed immorale diretta in maniera sistematica da uno o più individui (mobber o gruppo di mobber) verso un altro indivi- duo (mobbizzato) che si viene a trovare in una po- sizione di mancata difesa. Di fondamentale importanza nella trattazione della materia è il contributo degli studi del noto psicolo- go italiano Harald Ege, secondo cui il mobbing è un processo di comunicazioni e di azioni conflit- tuali tra colleghi o tra superiori in cui la persona attaccata è messa in una posizione di debolezza e (1) Art. 8 CCNL comparto Regioni e Autonomie locali 22.01.2004, che ha istituito il comitato mobbing (come per gli altri comparti della PA), oggi sostituito dal Comitato Unico di Garanzia, istituito con la Legge 4 novembre 2010, n. 183. (2) https://osha.europa.eu/it/themes/psychosocial-risks- and-stress. (3) Il termine è utilizzato per indicare laggressione da parte del branco nei confronti di un esemplare isolato, finalizzata ad isolarlo ed allontanarlo dal gruppo. Il punto su ... Azienditalia - Il Personale 10/2015 515 cristina lorenzoni - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.

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Mobbing

Il mobbing: elementicaratteristicidi Sara Petrilli - Consulente legale Enti Pubblici e Imprese

Il mobbing è da diversi anni al centro dell’attività della psicologia e medicina del lavoro e dellagiurisprudenza. La complessità del fenomeno del mobbing sul luogo di lavoro si riflette sia nelladifficoltà di individuarlo chiaramente e di definirlo, sia di indagarne le cause e approntare rimediper contrastarlo e prevenirlo. Proprio il contributo della psicologia e della giurisprudenza permet-te oggi di poter individuare i casi di mobbing, grazie agli indici e criteri che consentono di deli-neare il confine tra mera conflittualità e condotta persecutoria.

Premessa

“Le parti prendono atto che nelle pubbliche ammi-nistrazioni sta emergendo, sempre con maggiorefrequenza, il fenomeno del mobbing, inteso comeforma di violenza morale o psichica in occasione dilavoro - attuato dal datore di lavoro o da altri di-pendenti - nei confronti di un lavoratore. Esso ècaratterizzato da una serie di atti, atteggiamenti ocomportamenti, diversi e ripetuti nel tempo in mo-do sistematico ed abituale, aventi connotazioni ag-gressive, denigratorie e vessatorie tali da comporta-re un degrado delle condizioni di lavoro e idonei acompromettere la salute o la professionalità o la di-gnità del lavoratore stesso nell'ambito dell'ufficiodi appartenenza o, addirittura, tali da escluderlodal contesto lavorativo di riferimento” (1).I contratti collettivi della pubblica amministrazio-ne si sono posti ormai da un decennio all’avan-guardia rispetto al legislatore nazionale, che, ad og-gi, non è ancora intervenuto sul tema del mobbing,un fenomeno che pare tutt’altro che in regressione.Da una recente indagine condotta dall’Agenzia Eu-ropea per la Salute e la Sicurezza del lavoro, circala metà dei lavoratori ritiene che il problema dellostress correlato con il lavoro sia comune sul luogodi lavoro. Tra le cause più frequenti di stress legatoal lavoro figurano la riorganizzazione del lavoro op-pure l’insicurezza del lavoro, le lunghe ore lavorati-

ve oppure l’eccessivo carico di lavoro nonché lemolestie e la violenza sul lavoro (2).Nel perdurante vuoto legislativo in materia dimobbing, la giurisprudenza ha, ormai da anni, for-nito indicazioni per connotare giuridicamente il fe-nomeno, coniugando le norme vigenti nell’ordina-mento con gli studi della psicologia del lavoro.

Cos’è il mobbing?Per fornire una breve panoramica delle definizionidel mobbing, il riferimento al contributo della psi-cologia del lavoro è d’obbligo.Uno dei più autorevoli studiosi dell’argomento, lopsicologo tedesco Heinz Leymann, ha utilizzato iltermine mobbing (dall’inglese “to mob”, che signifi-ca attaccare, aggredire in massa, accerchiare), mu-tuandolo dall’etologia (in particolare dagli studi diKondrad Lorenz) (3), definendolo come quella for-ma “di comunicazione ostile ed immorale direttain maniera sistematica da uno o più individui(mobber o gruppo di mobber) verso un altro indivi-duo (mobbizzato) che si viene a trovare in una po-sizione di mancata difesa”.Di fondamentale importanza nella trattazione dellamateria è il contributo degli studi del noto psicolo-go italiano Harald Ege, secondo cui il mobbing è“un processo di comunicazioni e di azioni conflit-tuali tra colleghi o tra superiori in cui la personaattaccata è messa in una posizione di debolezza e

(1) Art. 8 CCNL comparto Regioni e Autonomie locali22.01.2004, che ha istituito il comitato mobbing (come per glialtri comparti della PA), oggi sostituito dal Comitato Unico diGaranzia, istituito con la Legge 4 novembre 2010, n. 183.

(2) https://osha.europa.eu/it/themes/psychosocial-risks-

and-stress.(3) Il termine è utilizzato per indicare l’aggressione da parte

del branco nei confronti di un esemplare isolato, finalizzata adisolarlo ed allontanarlo dal gruppo.

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mancanza di difese, aggredita direttamente e indi-rettamente, da una o più persone con aggressionisistematiche, frequenti e protratte nel tempo il cuifine consiste nell'estromissione, reale o virtuale,della vittima dal luogo di lavoro”.Il mobbing, quindi, è fenomeno ben diverso rispet-to alla mera conflittualità sul lavoro, in quanto es-so si caratterizza per essere costituito da una seriedi atti posti in essere per un periodo di tempo, conun andamento via via crescente.È proprio la reiterazione nel tempo di atteggiamentivessatori e persecutori che può arrivare ad incidere

sullo stato psico-fisico della vittima, con sintomi edesiti anche molto gravi (tra i più diffusi vi sono de-pressione, disturbi del sonno, fobie), senza contare idanni patrimoniali subiti dalla vittima qualora l’abusosfoci in eventuale esclusione dal mondo del lavoro.Esso è dunque un fenomeno complesso, formato dauna pluralità di atti e comportamenti in cui sonocoinvolti talora più soggetti, come si evince dal mo-dello elaborato da Ege, articolato in sei fasi “legatelogicamente tra loro e precedute da una sorta di pre-fa-se, detta Condizione Zero, che ancora non è Mobbing,ma che ne costituisce l'indispensabile presupposto”:

"CONDIZIONE ZERO": Non si tratta di una fase, ma di una pre-fase, di una situazione iniziale normalmente presente in Italia e del tuttosconosciuta nella cultura nordeuropea: il conflitto fisiologico, normale ed accettato. Una tipica azienda italiana è conflittuale. Sono po-che le aziende che sfuggono a questa regola. Questa conflittualità fisiologica non costituisce Mobbing, anche se è evidentemente unterreno fertile al suo sviluppo. Si tratta di un conflitto generalizzato, che vede tutti contro tutti e non ha una vittima cristallizzata. Non èdel tutto latente, ma si fa notare di tanto in tanto con banali diverbi d'opinione, discussioni, piccole accuse e ripicche, manifestazionidel classico ed universalmente noto tentativo generalizzato di emergere rispetto agli altri. Un aspetto è fondamentale: nella "condizionezero" non c'è da nessuna parte la volontà di distruggere, ma solo quella di elevarsi sugli altri.I FASE: IL CONFLITTO MIRATO: la prima fase del Mobbing in cui si individua una vittima e verso di essa si dirige la conflittualità gene-rale. Il conflitto fisiologico di base dunque prende una svolta, non è più una situazione stagnante, ma si incanala in una determinata di-rezione. a questo momento l'obiettivo non è più solo quello di emergere, ma quello di distruggere l'avversario, fargli le scarpe. Inoltre, ilconflitto non è più oggettivo e limitato al lavoro, ma sempre più adesso sbanda verso argomenti privati.II FASE: L'INIZIO DEL MOBBING: Gli attacchi da parte del mobber non causano ancora sintomi o malattie di tipo psico-somatico sullavittima, ma tuttavia le suscitano un senso di disagio e fastidio. Essa percepisce un inasprimento delle relazioni con i colleghi ed è porta-ta quindi ad interrogarsi su tale mutamento.III FASE: PRIMI SINTOMI PSICO-SOMATICI: La vittima comincia a manifestare dei problemi di salute e questa situazione può protrarsianche per lungo tempo. Questi primi sintomi riguardano in genere un senso di insicurezza, l'insorgere dell'insonnia e problemi digestivi.IV FASE: ERRORI ED ABUSI DELL'AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE: Il caso di Mobbing diventa pubblico e spesso viene favoritodagli errori di valutazione da parte dell'ufficio del Personale. La fase precedente, che porta in malattia la vittima, è la preparazione diquesta fase, in quanto sono di solito le sempre più frequenti assenze per malattia ad insospettire l'Amministrazione del Personale.V FASE: SERIO AGGRAVAMENTO DELLA SALUTE PSICO FISICA DELLA VITTIMA: In questa fase il mobbizzato entra in una situazionedi vera disperazione. Di solito soffre di forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie, che hanno solo un effet-to palliativo in quanto il problema sul lavoro non solo resta, ma tende ad aggravarsi. Gli errori da parte dell'amministrazione infatti sonodi solito dovuti alla mancanza di conoscenza del fenomeno del Mobbing e delle sue caratteristiche. Conseguentemente, i provvedimentipresi sono non solo inadatti, ma anche molto pericolosi per la vittima. Essa finisce col convincersi di essere essa stessa la causa di tuttoo di vivere in un mondo di ingiustizie contro cui nessuno può nulla, precipitando ancora di più nella depressioneVI FASE: ESCLUSIONE DAL MONDO DEL LAVORO: Implica l'esito ultimo del Mobbing, ossia l'uscita della vittima dal posto di lavoro,tramite dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al pre-pensionamento o anche esiti traumatici quali il suicidio, lo sviluppo di manieossessive, l'omicidio o la vendetta sul mobber. Anche questa fase è preparata dalla precedente: la depressione porta la vittima a cercarel'uscita con le dimissioni o licenziamento, una forma più grave può portare al pre-pensionamento o alla richiesta della pensione di invali-dità. I casi di disperazione più seri si concludono purtroppo in atti estremi.

Tratto dal sito http://www.mobbing-prima.it/mobbing-parolaesperti1.html.

Il mobbing può assumere diverse forme, cui corri-spondono altrettante definizioni.Si parla di mobbing verticale quando il comporta-mento vessatorio viene posto in essere da un sog-getto in posizione gerarchica differente rispetto allavittima.In esso si distingue tra mobbing ascendente (o bos-sing) quando l’autore è un superiore, mentre dimobbing verticale discendente quando il mobber èun dipendente sottordinato.Esiste poi anche il mobbing orizzontale, quando vit-tima e autore sono colleghi di pari grado.

Si parla altresì di mobbing strategico, che di normarappresenta una vera e propria strategia aziendalefinalizzata all’estromissione definitiva della vittimadi mobbing dall’azienda, inducendolo in sostanzaalle dimissioni, dove quindi il problema non si an-nida nel rapporto tra mobber e la sua vittima.È stato osservato come il bossing sia il fenomeno digran lunga prevalente nelle pubbliche amministrazio-ni, laddove l’azione persecutoria del mobber è voltasoprattutto ad estromettere il soggetto dal processolavorativo, neutralizzandone, di fatto, l’attività (4).

(4) Sul punto, si veda la ricerca realizzata dall’Ispels e presen-tata dalla FLAEI-CISL intitolata Indagine conoscitiva sul fenomeno

mobbing nel settore elettrico del 27 giugno 2002, reperibile all’in-dirizzo http://www.ispesl.it/informazione/IndagineMobbing.pdf.

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Poiché il mobbing provoca conseguenze per la vitti-ma anche al di fuori del lavoro, si parla anche di c.d.doppio mobbing, che si realizza quando all’emargina-zione sul luogo di lavoro si associa anche l’emargina-zione in ambito familiare della vittima di mobbing.Secondo Harald Ege, in Italia si registra, infatti,un’ulteriore forma di aggressione nei confronti dellavoratore che subisce il mobbing: all’isolamentosul posto di lavoro si aggiunge quello in famiglia(da cui l’espressione “doppio mobbing”). Data l’in-tensità dei rapporti familiari nella cultura italiana,infatti, il lavoratore mobbizzato tende a ricercarenella famiglia il sostegno per affrontare le vessazio-ni sul posto di lavoro: tale coinvolgimento, tutta-via, può determinare il verificarsi di gravi crisi chepossono dar luogo ad una reazione “difensiva” daparte dei familiari nei confronti del mobbizzato (5).Nel recente studio dell’Agenzia Europea sul temadella violenza e delle molestie sul luogo di lavoroWorkplace Violence and Harassment: a European Pic-ture - EU-OSHA (6) emerge che fenomeni come laviolenza fisica e/o psicologica, la molestia ed ilmobbing siano tutt’altro che in diminuzione, e chei rischi e le conseguenze correlate a tali fattori sia-no caratterizzate da una sorta di effetto domino,dove ai gravi danni per la salute della vittima si as-sociano conseguenze sull’azienda, danni in seno alfamiglia ed elevati costi sociali.Per quanto attiene più specificamente al fenomenodel mobbing, l’Agenzia dà atto dell’esistenza di di-verse definizioni, evidenziando però che da esse so-no desumibili alcuni elementi comuni, ovvero cheil mobbing implica:· una serie di atti e comportamenti ostili, negativie aggressivi;· una possibile varietà di atti ostili o negativi;· la difficoltà di difesa della vittima (7).

Analogamente a un precedente studio del 2002,l’Agenzia individua, tra le cause del mobbing sulluogo di lavoro, alcuni fattori direttamente ricon-ducibili all’ambiente di lavoro ed alla cultura orga-nizzativa: lo sviluppo di questi elementi viene indi-cato come la strategia più semplice per prevenire eridurre il mobbing sul lavoro.Viene infatti evidenziato come nella maggior partedei casi di mobbing, sono sempre presenti almenotre o quattro dei seguenti casi:· problemi nell’organizzazione/struttura del lavoro(per es. conflitti di ruolo);· incompetenza nella direzione e nella leadership;· posizione socialmente esposta della vittima;· clima ostile o negativo;· una cultura che consente o premia il mobbingnell’organizzazione. (8)Ulteriori interessanti indicazioni sul fenomeno delmobbing si ricavano da una pubblicazione dell’I-SPELS (Istituto superiore per la prevenzione e lasicurezza del Lavoro (9)) e della FondazioneIRCCS Ospedale Maggiore Policlinico MangiagalliRegina Elena (10), dal titolo Stress e mobbing - Gui-da per il medico.Nel documento, si individuano alcune modalità dimanifestazione del mobbing, distinguendoli in “at-tacchi alla persona” e “minacce alla carriera profes-sionale”.Tra i primi rientrano, ad esempio:· danneggiamento di oggetti personali;· derisione, soprattutto in presenza di colleghi o su-periori;· diffusione di false informazioni;· intrusioni nella vita privata;· istigazione da parte dei colleghi contro la vittima;· maldicenze continue;· minacce di violenza;· molestie sessuali;

(5) Cfr. sul punto Laura Orsini, Mobbing: le linee generali diun fenomeno complesso, in AranNewsletter n. 6/2003, pag. 8.

(6) Cfr. nota 10.(7) Libera traduzione dal documento Workplace Violence

and Harassment: a European Picture - EU-OSHA, https://os-ha.europa.eu/en/tools-and-publications/publications/report-s/violence-harassment-TERO09010ENC. pag. 25: “Althoughthe definitions used by researchers, experts and institutionsabout workplace harassment (bullying, mobbing) differ fromeach other in some points, most of them share some commonfeatures. Accordingly harassment involves: repeated negative,aggressive or hostile acts; a possible variety of negative or ho-stile acts; and the victim having difficulty in defending him/her-self”.

(8) Libera traduzione dal documento Workplace Violenceand Harassment: a European Picture - EU-OSHA cit., pag. 74:“As a summary of the causes of harassment, it has been sug-gested that in most of the cases of bullying at least three or

four of the following can be found: (i) problems in work design(e.g. role conflicts); (ii) incompetent management and leaders-hip; (iii) a socially exposed position of the victim; (iv) negativeor hostile social climate; and (v) a culture that permits or re-wards bullying in an organisation (155). Organisational cultureand the leadership behaviour of the immediate supervisor arealways related to the onset and escalation of bullying at workand, therefore, the role and actions of supervisors and mana-gement are, in many ways, crucial to the onset as well as theprevention and management of harassment at work. Develop-ment of the work environment and organisational factors be-hind bullying is the best and, at thesame time, the eeasiest fstrategy to prevent and decrease harassment at work.”

(9) Per completezza, si segnala che con il D.L. n. 78/2010,convertito in legge n. 122/2010, il legislatore ha disposto l’in-corporazione dell’Ispels (e Ipsema) nell’Inail.

(10) Cfr. nota 8.

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· offese verbali.Sul fronte delle minacce alla carriera professionalevengono in rilievo comportamenti quali:· assegnazione di compiti nuovi senza formazione osenza gli strumenti necessari ovvero di compiti pe-ricolosi o inadatti alla salute, oppure senza signifi-cato;· azioni disciplinari infondate;· controllo eccessivo;· critiche e rimproveri ripetuti;· esclusione da riunioni, progetti o corsi di forma-zione;· inattività forzata;· minacce di azioni disciplinari;· retrocessioni di carriera;· sottostima intenzionale o sottovalutazione delleproposte;· sovraccarico di lavoro con scadenze impossibili darispettare;· trasferimenti ingiustificati in posti lontani o re-moti;· valutazioni di profitto ingiustificatamente basse.

Quadro normativoCome è noto, ad oggi nessuna norma giuridica de-finisce e soprattutto appronta forme di tutela e san-zioni specifiche contro il mobbing nel nostro ordi-namento, a differenza di altri paesi europei (11).Tuttavia, grazie anche al contributo della giuri-sprudenza, molte norme possono oggi supplire allamancanza di una soluzione legislativa specifica sul

punto, poiché alcune condotte tipicamente ricon-ducibili al mobbing sono già previste e sanzionateda precise disposizioni.Senza pretesa di esaustività, in sede civile possonosicuramente essere invocate le seguenti norme, inbase alle singole condotte che si vengono a realiz-zare nel caso di specie:· l’art. 2087 Cod. civ., che sancisce l’obbligo deldatore di lavoro di adottare le misure necessarie atutelare l’integrità fisica e la personalità morale delprestatore di lavoro;· gli artt. 2103 Cod. civ. (12) e l’art. 52, D.Lgs. n.165/2001, applicabile ai pubblici dipendenti, inmateria di c.d. demansionamento, talora invocatocome indice di mobbing ai danni del lavoratore;· il D.Lgs. n. 81/2008, in materia di tutela della sa-lute e della sicurezza nei luoghi di lavoro;· l’art. 15, legge n. 300/1970 (statuto lavoratori),che sanziona con la nullità gli atti discriminatoriin danno del lavoratore;· l’art. 2049 Cod. civ., che pone a carico dei padro-ni e committenti la responsabilità per i danni arre-cati dal fatto illecito dei loro domestici e commes-si;· l’art. 28 Cost., secondo cui i funzionari e i dipen-denti dello Stato ed enti pubblici sono direttamen-te responsabili, secondo le leggi penali, civili e am-ministrative, degli atti compiuti in violazione di di-ritti, ed estende, in tali casi, la responsabilità civileallo Stato e agli enti pubblici.

(11) Tra gli Stati che hanno disciplinato a livello normativo ilfenomeno del mobbing figurano, tra gli altri, Francia, Finlan-dia, Svezia. Per un esame dettagliato dello stato della normati-va contro la violenza fisica sul luogo di lavoro, proveniente dacolleghi o superiori o da terzi, sulle molestie sessuali e sulmobbing all’interno dei diversi paesi europei, cfr. lo studioWorkplace Violence and Harassment: a European Picture – EU-OSHA cit., capitolo 2 e appendice II.

(12) Questo il nuovo testo dell’art. 2103 Cod. civ., modifica-to dal D.Lgs. n. 80 del 15 giugno 2015: «Prestazione del lavo-ro. - Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le qualiè stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento su-periore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansio-ni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadra-mento delle ultime effettivamente svolte.

In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali cheincide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere asse-gnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento infe-riore purché rientranti nella medesima categoria legale.

Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario,dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il cui mancato adem-pimento non determina comunque la nullita' dell'atto di asse-gnazione delle nuove mansioni.

Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti allivello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella mede-sima categoria legale, possono essere previste dai contratticollettivi.

Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il muta-

mento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità,e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inqua-dramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta ec-cezione per gli elementi retributivi collegati a particolari moda-lità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, o avantialle commissioni di certificazione, possono essere stipulati ac-cordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria le-gale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione,nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazio-ne, all'acquisizione di una diversa professionalità o al migliora-mento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistereda un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisceo conferisce mandato o da un avvocato o da un consulentedel lavoro.

Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratoreha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e l'as-segnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavora-tore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sosti-tutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato daicontratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

Il lavoratore non puo' essere trasferito da un'unità produtti-va ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, orga-nizzative e produttive.

Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quar-to comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni pat-to contrario è nullo.».

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In sede penale, invece, le condotte che spesso si ri-collegano ai casi di mobbing possono essere ricon-dotte alle seguenti norme:· l’art. 572 Cod. pen., che punisce con la reclusio-ne da due a sei anni chiunque maltratti (...) unapersona sottoposta alla sua autorità o affidatagliper l’esercizio di una professione o arte. Se dal fattoderiva una lesione personale grave o gravissima, oaddirittura la morte, la pena è aumentata (da quat-tro a nove anni, o da sette a quindici anni, da do-dici a ventiquattro anni);· l’art. 582 Cod. pen., che punisce con la reclusio-ne da tre mesi a tre anni chi cagiona una lesioneda cui derivi una malattia nel corpo o nella mente;· l’art. 594 Cod. pen.: che punisce chiunque offen-de il decoro o l’onore di una persona presente;· l’art. 595 Cod. pen., che punisce chi offende l’al-trui reputazione comunicando con una o più perso-ne;· l’art. 323 Cod. pen., che punisce il pubblico uffi-ciale ovvero l’incaricato di pubblico servizio che,nello svolgimento delle funzioni o del servizio, inviolazione di norme di legge o regolamento, ovveroomettendo di astenersi in presenza di un interesseproprio o di un prossimo congiunto, o negli altricasi prescritti, intenzionalmente (...) arreca ad altriun danno ingiusto;· l’art. 328 Cod. pen., che punisce il pubblico uffi-ciale o incaricato di pubblico servizio che indebita-mente rifiuta un atto del suo ufficio;· gli art. 609-bis e ss., che puniscono la violenzasessuale;· l’art. 610 Cod. civ., che punisce chiunque, conviolenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerareod omettere qualcosa.

Il mobbing nella giurisprudenza

I principi generaliCome osservato dianzi, è proprio grazie al contri-buto della dottrina e della giurisprudenza che le

vittime di mobbing hanno negli ultimi anni otte-nuto legittima tutela, pur in assenza di disposizioninormative.La giurisprudenza e la dottrina hanno infatti stu-diato ed esaminato il fenomeno già da anni, grazieal contributo della psicologia del lavoro e della me-dicina legale, elaborando principi ormai consolida-ti in materia.Con la recentissima sentenza n. 10037 del 15 mag-gio 2015, la Corte di Cassazione è nuovamente in-tervenuta sul tema del mobbing, fornendo, ancorauna volta, preziose indicazioni per riconoscere lapresenza di un caso di mobbing.La Suprema Corte ha confermato la sentenza dimerito, con cui un comune veniva condannato arisarcire i danni conseguenti alla condotta mobbiz-zante nei confronti di una dipendente, in solidocon i responsabili della predetta condotta.In particolare, la corte di merito aveva ritenutoprovati diversi episodi, come lo sottrazione dellemansioni, l’isolamento, lo spostamento immotivatoda un ufficio all’altro, la subordinazione ad un col-lega che prima era un sottoposto, l’assegnazione adun ufficio aperto al pubblico, con conseguente im-possibilità di poter lavorare.Secondo la Corte di Cassazione, le risultanze pro-cessuali hanno fatto emergere una fattispecie ri-conducibile al mobbing, come si evince dalla moti-vazione dei giudici di appello, i quali avevano po-sto a base della motivazione le risultanze della peri-zia eseguita in sede penale da uno dei massimiesperti in materia, la quale aveva rilevato la pre-senza dei sette parametri tassativi di riconoscimen-to del mobbing.I parametri a cui fa riferimento la sentenza sonoquelli elaborati dal Prof. Hege (c.d. Metodo Hege2002), illustrati nella tabella seguente (13).

Parametri per il riconoscimento del mobbing Requisiti

Ambiente Il conflitto deve svolgersi sul posto di lavoro

Frequenza Le azioni ostili devono accadere almeno alcune volte al mese (...)

Durata Il conflitto deve essere in corso da almeno sei mesi; almeno tremesi nel caso del "Quick Mobbing".

Tipo di azioni ostili Le azioni subite devono appartenere ad almeno due delle cinquecategorie del "LIPT Ege" (1) (salvo caso del "sasso nello stagno")

(13) Tratto da https://www.ospedalivarese.net/comitato-ga-ranzia/Dispensa%20Ege.pdf e http://www.aosp.bo.it/files/feno-

meno.pdf (Tabella tratta da: H. Ege, La valutazione peritale delDanno da Mobbing, Giuffrè Milano 2002, pag. 69).

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Dislivello tra gli antagonisti La vittima è in una posizione costante di inferiorità.

Andamento secondo fasi successive La vicenda ha raggiunto almeno la II fase ("L'inizio del Mobbing")del modello italiano Ege a sei fasi.

Intento persecutorio Nella vicenda deve riscontrabile un disegno vessatorio coerente efinalizzato, composto da scopo politico, obiettivo conflittuale e ca-rica emotiva e soggettiva.

(1) “Il primo LIPT (Leymann Inventory of Psychological Terrorism) è un questionario anonimo messo da punto da Heinz Leymann all'inizio degli anni'90 ed è attualmente lo strumento più usato in Europa per la rilevazione del Mobbing. Contiene una lista di azioni ostili, suddivise in cinque catego-rie (Attacchi ai contatti umani, Isolamento sistematico, Cambiamenti di mansioni, Attacchi alla reputazione, Violenza e minacce di violenza), che ilsoggetto è tenuto a segnalare, oltre alle indicazioni relative alla frequenza e alla durata del trattamento negativo e alle conseguenze psicofisiche pa-tite. Nel 1995 Harald Ege ha elaborato la versione italiana del questionario, denominata "LIPT modificato", che contiene importanti aggiunte e adat-tamenti alla realtà italiana. (…) Nel 2002, un ulteriore sviluppo ha portato alla stesura di una versione non anonima, sostanzialmente rivisitata edampliata del questionario, detta "LIPT-Ege", che insieme al relativo "Metodo Ege", già riconosciuto da vari tribunali italiani con alcune importantisentenze, è volta alla valutazione del Mobbing e alla quantificazione del Danno da Mobbing ai fini giuridici risarcitori. (…). » Tratto da :http://www.mobbing-prima.it/cosa_facciamo-professionisti-lipt.html.

Sul mobbing è intervenuta espressamente anche laCorte Costituzionale con la sentenza n. 359 del 19dicembre 2003.“È noto che la sociologia ha mutuato il terminemobbing da una branca dell'etologia per designareun complesso fenomeno consistente in una serie diatti o comportamenti vessatori, protratti nel tem-po, posti in essere nei confronti di un lavoratoreda parte dei componenti del gruppo di lavoro incui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da unintento di persecuzione ed emarginazione finalizza-to all'obiettivo primario di escludere la vittima dalgruppo. Ciò implica l'esistenza di uno o più sogget-ti attivi cui i suindicati comportamenti siano ascri-vibili e di un soggetto passivo che di tali comporta-menti sia destinatario e vittima.Per quanto concerne i soggetti attivi vengono inevidenza le condotte - commissive o, in ipotesi,omissive - che possono estrinsecarsi sia in atti giu-ridici veri e propri sia in semplici comportamentimateriali aventi in ogni caso, gli uni e gli altri, laduplice peculiarità di poter essere, se esaminati sin-golarmente, anche leciti, legittimi o irrilevanti dalpunto di vista giuridico, e tuttavia di acquisire co-munque rilievo quali elementi della complessivacondotta caratterizzata nel suo insieme dall'effettoe talvolta, secondo alcuni, dallo scopo di persecu-zione e di emarginazione.Per quanto riguarda il soggetto passivo si pongonoprincipalmente problemi di individuazione e valu-tazione delle conseguenze dei comportamenti me-desimi. Tali conseguenze, secondo le attuali acqui-sizioni, possono essere di ordine diverso. Infatti, laserie di condotte in cui dal lato attivo si concretiz-za il mobbing può determinare: l'insorgenza nel de-stinatario di disturbi di vario tipo e, a volte, di pa-tologie psicotiche, complessivamente indicati co-me sindrome da stress postraumatico; il compimen-

to, da parte del soggetto passivo medesimo o neisuoi confronti, di atti che portano alla cessazionedel rapporto di lavoro (rispettivamente: dimissionio licenziamento), anche indipendentemente dall'e-sistenza dei disturbi di tipo psicologico o medico dicui si è detto sopra; l'adozione, da parte della vitti-ma, di altre condotte giuridicamente rilevanti, edeventualmente illecite, come reazione alla persecu-zione ed emarginazione.”In tale nota pronuncia, la Consulta dà atto dell’as-senza nel nostro ordinamento giuridico di una di-sciplina a livello di normazione primaria avente adoggetto specifico il mobbing, ciò che tuttavia nonha impedito ai giudici di essere chiamati a pronun-ciarsi “in controversie in cui tale fenomeno entrava avolte come fonte della pretesa al risarcimento del dannobiologico - per patologie, soprattutto psichiche, che siaffermavano causate da comportamenti vessatori e per-secutori subiti nell'ambiente di lavoro da parte del dato-re di lavoro o di uno o più colleghi - a volte come ele-mento di valutazione di atti risolutivi del rapporto di la-voro, la cui qualificazione si faceva dipendere dall'ac-certamento di determinate condotte integranti il feno-meno in questione”.Come osservato dalla Corte (ed evidenziato sopra)la giurisprudenza ha prevalentemente ricondotto leconcrete fattispecie di mobbing nella previsionedell'articolo 2087 Cod. civ. che, sotto la rubrica«Tutela delle condizioni di lavoro», contiene ilprecetto secondo cui «l'imprenditore è tenuto adadottare nell'esercizio dell'impresa le misure ... ne-cessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalitàmorale dei prestatori di lavoro», e che è stato inte-so come fonte di responsabilità contrattuale del da-tore di lavoro.Una delle prime sentenze in tema di mobbing nellapubblica amministrazione è quella del Tribunale diTempio Pausania del 10 luglio 2003, n. 157, di cui

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si riporta un passaggio: “(...) Passando all’esamedella domanda avente ad oggetto l’attività persecu-toria posta in essere (...) nei confronti della ricor-rente, vanno ricostruiti gli episodi lamentati (...)onde stabilire se gli stessi, esaminati singolarmente,siano viziati da illegittimità e se, considerati nel lo-ro complesso, appaiano inseriti in una strategiapersecutoria, nell’ambito della quale la ricorrentesia stata sottoposta ad una serie di condotte o diprovvedimenti finalizzati ad uno scopo ingiusto,consistente nel danneggiarla, emarginarla e discri-minarla, sino a provocarle danni alla salute. (...)”Negli anni, la giurisprudenza ha ovviato al vuotolegislativo fornendo via via indicazioni e criterisempre più precisi per ricostruire la fattispecie delmobbing, e individuare i possibili strumenti di tu-tela (14).Senza pretesa di esaustività, si può procedere nel-l’esame di alcune recenti pronunce particolarmentesignificative ai fini della conoscenza ed il correttoinquadramento del fenomeno sotto il profilo giuri-dico.Con la sentenza n. 12048 del 31 maggio 2011 la Su-prema Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ha affron-tato l’esame di una richiesta di risarcimento deldanno proposta da una dipendente, dapprima col-laboratrice con contratto di collaborazione coordi-nata e continuativa, la quale lamentava di esserestata vittima di una serie di comportamenti vessa-tori ed ostili, tesi ad emarginarla ed isolarla dalcontesto professionale e dai colleghi di lavoro.I giudici di legittimità, nel richiamare quanto inprecedenza affermato dalla stessa Corte con la sen-tenza n. 3785 del 17 febbraio 2009, ha affrontatol’esame della questione muovendo dalla definizionegiurisprudenziale del mobbing, per soffermarsi poisulle sue caratteristiche essenziali, giungendo, nelcaso specifico soggetto al suo esame, a dichiarare ilricorso infondato, non avendo ravvisato il ricorreredegli elementi fondamentali del mobbing.Secondo la Cassazione, “per mobbing si intendeuna condotta del datore di lavoro o del superioregerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenu-ta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di la-voro, che si risolve in sistematici e reiterati com-portamenti ostili che finiscono per assumere formedi prevaricazione o di persecuzione psicologica, dacui può conseguire la mortificazione morale e l'e-

marginazione del dipendente, con effetto lesivo delsuo equilibrio fisico - psichico e del complesso del-la sua personalità.”Da questa definizione emergono dunque quattro ele-menti fondamentali, esplicitati dalla Suprema Corte,in presenza dei quali si ritiene sussistente la fatti-specie del mobbing e, dunque, la condotta lesivadel datore di lavoro, e precisamente:

- la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, ille-citi o anche leciti se considerati singolarmente, che siano statiposti in essere in modo miratamente sistematico e prolungatocontro il dipendente con intento vessatorio;

- l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;

- il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superioregerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore;

- la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecuto-rio.

Ciò posto, è possibile evidenziare con maggiorechiarezza quali siano gli elementi caratterizzantidella fattispecie sotto il profilo giuridico.Come tutti i fenomeni complessi, esiste molta con-fusione sui tratti essenziali della sua manifestazio-ne.Per quanto concerne il primo degli elementi consi-derati, è interessante rilevare quanto già affermatosopra nelle diverse definizioni di mobbing, ovverocome non sia possibile parlare di mobbing in assen-za di una pluralità di condotte.Un singolo episodio non è sufficiente per poterqualificare il comportamento del datore di lavorocome persecutorio e discriminatorio.L’aspetto più interessante risiede tuttavia nell’inci-so “illeciti o anche leciti se considerati singolamente”.In sostanza, un disegno persecutorio può benissimoessere realizzato non solo attraverso atti illeciti (iquali, come si è visto sopra, possono trovare giàautonoma tutela e sanzione in norme giuridiche vi-genti), ma anche attraverso una serie di condottedi per sé lecite, se considerate singolarmente, maillecite se esaminate complessivamente.È naturale che in presenza di condotte quali ingiu-rie, offese, maltrattamenti fisici o violenze sessualiil disvalore etico e giuridico della condotta delmobber appare immediatamente in tutta la sua por-tata.

(14) Cfr. anche, ex multis, le seguenti sentenze: Cass., sez.lav., 27 dicembre 2011, n. 28962, Tar Lazio, 23 novembre2011, n. 9192, Cons. Stato, 1° ottobre 2010, n. 4738, Tar Um-bria, 24 settembre 2010, n. 469, Cass., sez. lav., 17 febbraio

2009, n. 3785, Cass. pen. 29 agosto 2007, n. 33624, Cortecost., 19 dicembre 2003, n. 359, Cass., sez. lav., 19 gennaio1999, n. 475.

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Più difficile è invece provare ed evidenziare l’esi-stenza di un intento vessatorio quando questo sicela dietro provvedimenti del superiore o del dato-re di lavoro apparentemente leciti, come, ad esem-pio, trasferimenti, contestazioni disciplinari, ripetu-te visite fiscali, controlli continui e penetranti sul-l’attività svolta.Un efficace esempio di come una serie di compor-tamenti di per sé legittimi se isolatamente conside-rati possano invero rappresentare manifestazione diun intento vessatorio è fornito dalla nota sentenzadella Cassazione n. 475 del 19 gennaio 1999, con laquale la Suprema Corte riconosceva l’esistenza diun atteggiamento persecutorio in un caso in cui ildatore di lavoro aveva richiesto la reiterazione divisite fiscali nei confronti di una dipendente, daeseguirsi continuamente e quotidianamente, anchedi sabato e domenica, riconoscendo che tale com-portamento del datore di lavoro aveva aggravato lostato di malattia della dipendente.Il riconoscimento esplicito da parte della giurispru-denza della potenzialità lesiva anche di una serie dicondotte di per sé lecite se isolatamente considera-te contribuisce alla presa d’atto dell’esistenza delfenomeno del mobbing e dei suoi tratti caratteriz-zanti.Nella sentenza n. 12408/2011, la Cassazione precisache “La domanda di risarcimento del danno propo-sta dal lavoratore per il mobbing subito è soggettaa specifica allegazione e prova in ordine agli speci-fici fatti asseriti come lesivi (Cass. n. 19053/2005).La Cassazione, sentenza 6 marzo 2006, n. 4774 hapoi ritenuto che l'illecito del datore di lavoro neiconfronti del lavoratore consistente nell'osservanzadi una condotta protratta nel tempo e con le carat-teristiche della persecuzione finalizzata all'emargi-nazione del dipendente (c.d. mobbing) - che rap-presenta una violazione dell'obbligo di sicurezzaposto a carico dello stesso datore dall'art. 2087Cod. civ. - si può realizzare con comportamenti mate-riali o provvedimentali dello stesso datore di lavoro in-dipendentemente dall'inadempimento di specifici obbli-ghi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto dilavoro subordinato” .Per quanto concerne le conseguenze per la vittimadi mobbing di tipo fisico e psicologico, è evidenteche, affinché si possa chiedere un ristoro dei dannipatiti, è necessario che si sia verificato un eventolesivo della salute o della personalità della vittimadi mobbing.“La sussistenza della lesione del bene protetto edelle sue conseguenze deve essere verificata - pro-cedendosi alla valutazione complessiva degli episo-

di dedotti in giudizio come lesivi - considerandol'idoneità offensiva della condotta del datore di la-voro, che può essere dimostrata, per la sistematicitàe durata dell'azione nel tempo, dalle sue caratteri-stiche oggettive di persecuzione e discriminazione,risultanti specificamente da una connotazioneemulativa e pretestuosa, anche in assenza della vio-lazione di specifiche norme attinenti alla tutela dellavoratore subordinato” (Cass. 12408/2011 cit).Affinché si possa parlare di mobbing, è necessarioche la condotta illecita del datore di lavoro si pon-ga in rapporto di causa-effetto rispetto al dannopsico-fisico subito dal dipendente.In altre parole, il pregiudizio all’integrità psico-fisi-ca della vittima di mobbing deve essere conseguen-za immediata e diretta di quella condotta, e nongià dipendere da altre cause.È evidente, da quanto sopra evidenziato, che l’esa-me di un’asserita condotta mobbizzante implica ilvaglio di numerosi elementi.Particolarmente efficaci sul ruolo del giudice sonole osservazioni sulla “cautela di giudizio” rinvenibiliin una pronuncia del Tar Umbria, precisamentenella sentenza 24 settembre 2010, n. 469 che preli-minarmente tratta delle caratteristiche essenzialidella fattispecie.“il mobbing non è ravvisabile quando sia assente lasistematicità degli episodi, ovvero i comportamentisu cui viene basata la pretesa risarcitoria siano rife-ribili alla normale condotta del datore di lavoro,funzionale all'assetto dell'apparato amministrativo,o imprenditoriale, nel caso del lavoro privato; o,infine, vi sia una ragionevole ed alternativa spiega-zione al comportamento datoriale (cfr. TAR Pie-monte, I, 8 ottobre 2008, n. 2438; Cons. Stato, VI,6 maggio 2008, n. 2015). E che, sempre per confi-gurare il mobbing, non sia sufficiente un singolocomportamento, bensì debba riscontrarsi una diffu-sa ostilità proveniente dall'ambiente di lavoro, chesi realizzi in una pluralità di condotte, frutto di unavera e propria strategia persecutoria, avente di miral'emarginazione del dipendente dalla struttura or-ganizzativa di cui fa parte (cfr. TAR Campania,Salerno, I, 29 giugno 2006, n. 881; TAR Lazio,Roma, I, 7 aprile 2008, n. 2877; III, 25 giugno2004, n. 6254; TAR Puglia, Lecce, III, 10 settem-bre 2007, n. 3143; TAR Lombardia, Milano, III, 8marzo 2007, n. 403; Cass., lav., 9 settembre 2008,n. 22858).Del resto, anche nella succitata sentenza n.359/2003 (della Corte Costituzionale, n.d.r.), ilmobbing viene definito come ‘fenomeno consisten-te in una serie di atti o comportamenti vessatori,

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protratti nel tempo, posti in essere nei confronti diun lavoratore da parte dei componenti del gruppodi lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratte-rizzati da un intento di persecuzione ed emargina-zione finalizzato all'obiettivo primario di escluderela vittima dal gruppo’.(…) Il tratto strutturante del ‘mobbing’ - tale daattrarlo nell'area della fattispecie comportamentiche altrimenti sarebbero confinati nell'ordinariadinamica, ancorché conflittuale, dei rapporti di la-voro - è proprio la sussistenza di una condotta vo-lutamente prevaricatoria da parte del datore di la-voro volta a emarginare o estromettere il lavorato-re dalla struttura organizzativa. Pertanto, in ordineall'onere della prova da offrirsi da parte del sogget-to destinatario di una condotta mobbizzante, que-st'ultima deve essere adeguatamente rappresentatacon una prospettazione dettagliata dei singoli com-portamenti e/o atti che rivelino l'asserito intentopersecutorio diretto a emarginare il dipendente,non rilevando mere posizioni divergenti e/o con-flittuali, fisiologiche allo svolgimento di un rappor-to lavorativo (cfr. TAR Lombardia, Milano, I, 11agosto 2009, n 4581; T.A.R. Lazio, Roma, III, 14dicembre 2006, n. 14604).In altri termini, il mobbing - proprio perché nonpuò prescindere da un supporto probatorio oggetti-vo - non può essere imputato in via esclusiva maanche prevalente al vissuto interiore del soggetto,ovvero all'amplificazione da parte di quest'ultimodelle normali difficoltà che connotano la vita lavo-rativa di ciascuno (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, I, 7aprile 2008 , n. 2877).La sussistenza di una condotta "mobbizzante" devedunque essere esclusa qualora la valutazione com-plessiva dell'insieme di circostanze addotte (ed ac-certate nella loro materialità), pur se idonea a pa-lesare ‘singulatim’ elementi ed episodi di conflittosul luogo di lavoro, non consenta di individuare,secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattereunitariamente persecutorio e discriminante neiconfronti del singolo del complesso delle condotteposte in essere sul luogo di lavoro (cfr. Cons. Sta-to, VI, 1° ottobre 2008, n. 4738; V, 27 maggio2008, n. 2515).”I giudici del TAR Umbria precisano ulteriormentecome debba essere condotta l’indagine del giudice.“(...) nell'esaminare i casi di preteso "mobbing" ilGiudice deve evitare di assumere acriticamentel'angolo visuale prospettato dal lavoratore che asse-risce di esserne vittima. Da un lato, infatti, è possi-bile che i comportamenti del datore di lavoro, purse oggettivamente sgraditi, non siano tali da provo-

care significative sofferenze e disagi, se non in per-sonalità dotate di una sensibilità esasperata o addi-rittura patologica (per tacere dell'ipotesi, non scar-tabile a priori, che la rappresentazione delle soffe-renze sia inveritiera e meramente strumentale alloscopo di supportare una domanda di risarcimento).Da un altro lato, è possibile che gli atti del datoredi lavoro (di nuovo, pur sgraditi) siano di per sé ra-gionevoli e giustificati e in particolare che abbianouna certa giustificazione o quanto meno spiegazio-ne siccome indotti da comportamenti reprensibilidello stesso interessato, ovvero da sue carenze sulpiano lavorativo, difficoltà caratteriali, ecc. Non sideve cioè sottovalutare l'ipotesi che l'insorgere diun clima di cattivi rapporti umani derivi, almenoin parte, anche da responsabilità dell'interessato.Tale ipotesi può anzi essere empiricamente conva-lidata dalla considerazione che diversamente nonsi spiegherebbe perché solo un determinato indivi-duo percepisca come ostile una situazione che in-vece i suoi colleghi trovano normale”.Ancora si possono citare le utili precisazioni forni-te dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 4738 del1° ottobre 2010.Per quanto concerne l’onere della prova, i giudicidel Consiglio di Stato precisano che “Secondo unconsolidato orientamento giurisprudenziale (...),nell'ipotesi dell'accertamento di fatti mobbizzantiche si assume aver cagionato al prestatore di lavororilevanti conseguenze sul piano morale e psicofisi-co, la responsabilità del datore di lavoro ex art.2087 Cod. civ. ha natura contrattuale (in specie,laddove la domanda risarcitoria risulti espressa-mente fondata sulla lamentata inosservanza, daparte del datore di lavoro, degli obblighi inerenti ilrapporto di impiego), potendo ipotizzarsi una con-figurazione aquiliana dell’actio risarcitoria solo lad-dove il lavoratore abbia chiesto in modo genericoil risarcimento del danno senza dedurre una specifi-ca obbligazione contrattuale (sul punto, cfr. - explurimis - Cass. Sez. Un. 4 novembre 1996 n. 9522,28 luglio 1998 n. 7394, 14 dicembre 1999 n. 900,12 marzo 2001 n. 99, 11 luglio 2001 n. 9385, 29gennaio 2002 n. 1147, 25 luglio 2002 n. 10956, 5agosto 2002 n. 11756, 23 gennaio 2004 n. 1248).Ora, pacifico essendo in atti che l’azione risarcito-ria che ne occupa rinvenga il proprio presuppostonell’espletamento dell’attività lavorativa da partedell’Appellante e nella ritenuta violazione, da par-te del datore di lavoro, dell’obbligo di sicurezza sudi esso incombente ai sensi dell’art. 2087 Cod.civ., ne consegue in modo pacifico il carattere con-trattuale della proposta azione risarcitoria.

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Una volta ricondotta la controversia risarcitoria inquestione nell’alveo della responsabilità contrat-tuale ex art. 1218 Cod. civ., la distribuzione dell’o-nere probatorio fra il prestatore (asseritamente)danneggiato e il datore di lavoro deve essere opera-ta in base al consolidato orientamento giurispru-denziale secondo cui grava sul lavoratore l’onere diprovare la condotta illecita e il nesso causale traquesta e il danno patito, mentre incombe sul dato-re di lavoro – in base al principio di inversionedell’onus probandi di cui al richiamato art. 1218cod. civ. - il solo onere di provare l’assenza di unacolpa a se riferibile (in tal senso, ex plurimis: Cass.Civ., Sez. Lavoro, sent. 25 maggio 2006, n. 12445;id., Sezione Lav., sent. 8 maggio 2007, n. 10441).E’ evidente al riguardo che, laddove il lavoratoreometta di fornire la prova anche solo in ordine allasussistenza dell’elemento materiale della fattispecieoggettiva (i.e.: della complessiva condotta mobbiz-zante asseritamente realizzata in proprio danno sulluogo di lavoro), difetterà in radice uno degli ele-menti costitutivi della fattispecie foriera di danno(e del conseguente obbligo risarcitorio), con l’evi-dente conseguenza che il risarcimento non sarà do-vuto, irrilevante essendo ogni ulteriore indagine inordine alla sussistenza o meno del nesso eziologicofra la condotta e l’evento dannoso (...)”.Anche in questa pronuncia, si sottolinea la tenden-za ad una certa cautela di giudizio nell’esame degliepisodi portati all’attenzione del giudice. Secondo ilConsiglio di Stato, infatti, “se sotto il profilo defini-torio può essere condivisa la tesi giurisprudenzialesecondo cui il c.d. ‘danno da mobbing’ consiste inuna condotta del datore di lavoro sistematica e pro-tratta nel tempo, connotata dal carattere della per-secuzione, finalizzata all’emarginazione del lavorato-re ed idonea a concretare una lesione dell’integritàpsicofisica e della personalità del prestatore, altresì(sotto il diverso profilo dell’accertamento del dan-no) deve essere condiviso l’orientamento giurispru-denziale secondo cui tale accertamento comportiuna valutazione complessiva degli episodi lamentatidal lavoratore, i quali devono essere valutati in mo-do unitario, tenuto conto da un lato dell’idoneitàoffensiva della condotta datoriale (come desumibiledalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione ediscriminazione) e, dall’altro, della connotazioneunivocamente emulativa e pretestuosa della richia-

mata condotta (in tal senso: Cass. Civ., Sez. Lav.,sent. 6 marzo 2006, n. 4774)”.In ambito penale, è interessante ribadire quantoespresso dalla nota sentenza della Cassazione sez.Penale n. 33624 del 29 agosto 2007, erroneamenteindicata dagli organi di stampa come una pronun-cia con cui la giurisprudenza di legittimità avrebbeescluso tutela penale al mobbing (15).La sentenza della Suprema Corte, infatti, non solonon esclude in alcun modo che vi siano strumentidi tutela in sede penale per le vittime di mobbing,ma indica addirittura quale norma avrebbe potutoessere correttamente invocata per offrire la suddet-ta tutela nel caso sottoposto al suo esame (16).Con la nozione di mobbing, precisa la Cassazione,“si individua la fattispecie relativa ad una condottache si protragga nel tempo con le caratteristichedella persecuzione, finalizzata all'emarginazione dellavoratore, onde configurare una vera e propriacondotta persecutoria posta in essere dal prepostosul luogo di lavoro”.Partendo dal dato evidente ed incontestabile dellamancanza nel Cod. pen. di una norma che sanzionispecificamente la fattispecie sopra descritta (in al-tre parole, non esiste una espressa sanzione per ilmobbing), nel caso sottoposto all’esame della Cas-sazione la “difficoltà di inquadrare la fattispecie inuna precisa figura incriminatrice, mancando in se-no al Cod. pen. questa tipicizzazione”, deriva - nelcaso di specie - dalla erronea contestazione del rea-to da parte del P.M.”Il P.M. nel caso di specie aveva invocato la sanzio-ne prevista dall’art. 582 Cod. pen., che punisce chicagiona una lesione da cui derivi una malattia nelcorpo o nella mente, con le aggravanti di cui al-l’art. 583 Cod. pen.Tuttavia, secondo la Cassazione, “l'atto di incolpa-zione è assolutamente incapace di descrivere i trat-ti dell'azione censurata”. Tale conclusione si impo-ne alla luce della definizione di mobbing riportatasopra.“La condotta di mobbing”, precisa la Suprema Cor-te, “suppone non tanto un singolo atto lesivo, mauna mirata reiterazione di una pluralità di atteggia-menti, anche se non singolarmente connotati darilevanza penale, convergenti sia nell'esprimere l'o-stilità del soggetto attivo verso la vittima sia nel-l'efficace capacità di mortificare ed isolare il dipen-dente nell'ambiente di lavoro”.

(15) Vedi la rassegna stampa riportata nel contributo diPierluigi Rausei, “I reati da mobbing”, in Diritto e Pratica delLavoro, n. 37/2007, IPSOA.

(16) Per un approfondimento, vedi S. Petrilli, “Il fenomenodel mobbing: la rilevanza penale e gli strumenti di tutela”, inAzienditalia – Il Personale, n. 3/2008, pag. 156.

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Proprio per l’insufficienza di un singolo atto lesivoa configurare l’ipotesi di mobbing, ma anche allaluce del fatto che anche una pluralità di atti di persé singolarmente irrilevanti sotto il profilo penale,possano in realtà dar luogo alla condotta mobbiz-zante, la Corte precisa, citando una pronuncia resain sede civile, che “la prova della relativa responsa-bilità "deve essere verificata, procedendosi alla va-lutazione complessiva degli episodi dedotti in giu-dizio come lesivi... che può essere dimostrata per lasistematicità e durata dell'azione nel tempo, dallesue caratteristiche oggettive di persecuzione e di-scriminazione, risultanti specificamente da unaconnotazione emulativa e pretestuosa ..." (cfr.Cass. civ., Sez. L, 6.2006, Meneghello/UnicreditSpa, CED Cass. 587359).La figura di reato maggiormente prossima ai con-notati caratterizzanti il mobbing secondo la Supre-ma Corte “è quella descritta dall’art. 572 Cod.pen., commessa da persona dotata di autorità perl’esercizio di una professione.(...)”La norma indicata dalla sentenza recita infatti co-me segue: “Chiunque (...) maltratta una personasottoposta alla sua autorità, o a lui affidata (...) perl’esercizio di una professione o un’arte, è punitocon la reclusione da uno a cinque anni.” Il secondocomma prevede inoltre che “se dal fatto deriva unalesione personale grave, si applica la reclusione daquattro a otto anni; se ne deriva una lesione gra-vissima, la reclusione da sette a quindici anni; sene deriva la morte, la reclusione da dodici a ventianni”.La Cassazione, prosegue indicando che, qualora siaccolga tale prospettazione, “risulta evidente che,soltanto per l’ipotesi dell’aggravante specifica dellacitata disposizione, si richieda la individuazionedella conseguenza patologica riconducibile agli attiilleciti”.

Lavoro pubblico e mobbingPer quanto riguarda in particolare il lavoro alle di-pendenze della pubblica amministrazione, alcunesentenze hanno evidenziato alcune specificità dellavoro alle dipendenze dipendenze della PA.In una recente sentenza del Consiglio di Stato, la n.5419 del 4 novembre 2014, i giudici hanno esami-nato il ricorso di un docente universitario, che la-mentava di aver subito danni da mobbing e da de-mansionamento, per asserite azioni vessatorie e di-scriminatorie asseritamente protrattesi per circa 25anni.Nel caso in esame, i giudici del consiglio di Statonon hanno ravvisato la sussistenza del mobbing o

illecito demansionamento, alla luce dei principitratti da precedenti pronunce del medesimo Consi-glio:“- per mobbing, in assenza di una definizione nor-mativa, si intende normalmente una condotta deldatore di lavoro o del superiore gerarchico, com-plessa, continuata e protratta nel tempo, tenutanei confronti di un lavoratore nell'ambiente di la-voro, che si manifesta con comportamenti inten-zionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitan-ti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione delrapporto, espressivi di un disegno in realtà finaliz-zato alla persecuzione o alla vessazione del lavora-tore, tale che ne consegua un effetto lesivo. A talfine, la condotta di mobbing del datore di lavorova esposta nei suoi elementi essenziali dal lavorato-re, che non può limitarsi davanti al giudice a gene-ricamente dolersi di esser vittima di un illecito(ovvero ad allegare l'esistenza di specifici atti ille-gittimi), ma deve quanto meno evidenziare qual-che concreto elemento in base al quale il GiudiceAmministrativo possa verificare la sussistenza neisuoi confronti di un più complessivo disegno preor-dinato alla vessazione o alla prevaricazione (Sez.IV, 6 agosto 2013, n. 4135; Sez. VI, 12 marzo2012, n. 1388);- non si ravvisano gli estremi del mobbing nell'ac-cadimento di episodi che evidenziano screzi o con-flitti interpersonali nell'ambiente di lavoro e cheper loro stessa natura non sono caratterizzati da vo-lontà persecutoria essendo in particolare collegati afenomeni di rivalità, ambizione o antipatie recipro-che. In particolare nel lavoro "pubblico", per confi-gurarsi una condotta di mobbing, è necessario undisegno persecutorio tale da rendere tutti gli attidell'amministrazione, compiuti in esecuzione di ta-le sovrastante disegno, non funzionali all'interessegenerale a cui sono normalmente diretti (Sez. IV,19 marzo 2013, n. 1609; Sez. VI, 15 giugno 2011,n. 3648);- la ricorrenza di un'ipotesi di condotta mobbizzan-te deve essere esclusa quante volte la valutazionecomplessiva dell'insieme di circostanze addotte (edaccertate nella loro materialità), pur se idonea apalesare, singolarmente, elementi od episodi diconflitto sul luogo di lavoro, non consenta di indi-viduare, secondo un giudizio di ordinaria verosimi-glianza, il carattere esorbitante ed unitariamentepersecutorio e discriminante nei confronti del sin-golo del complesso delle condotte poste in esseresul luogo di lavoro. Segue da ciò che, nel verificarel'integrazione del mobbing è necessario, anche inragione della indeterminatezza normativa della fi-

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gura, attendere ad una valutazione complessiva edunitaria degli episodi lamentati dal lavoratore, daapprezzare per accertare tra l'altro, da un lato, l'i-doneità offensiva della condotta datoriale (desumi-bile dalle sue caratteristiche di persecuzione e di-scriminazione) e, dall'altro, la connotazione univo-camente emulativa e pretestuosa della condotta(Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 856; Sez. IV, 10 gen-naio 2012, n. 14);- non si può addebitare un disegno persecutorioqualora non sia possibile desumere elementi di pro-va dalla illegittimità dei provvedimenti, non essen-do stati, tali atti, impugnati, e non siano state pro-vate condotte personali dei superiori del dipenden-te tali da manifestare il connotato della vessatorie-tà, delle minacce, della violenza e delle ingiurie.Di conseguenza, la domanda di risarcimento deidanni discendenti da illecito demansionamento emobbing non può essere accolta qualora il lavora-tore non abbia tempestivamente impugnato i prov-vedimenti organizzativi, adottati dall'Amministra-zione nell'ambito della sua attività gestionale, dacui è derivata l'asserita modifica peggiorativa delrapporto lavorativo (Sez. V, 27 maggio 2008, n.2515).”.Il Consiglio di Stato, dunque, ribadisce e precisache:- la mera conflittualità non è mobbing- nel lavoro pubblico, l’intento persecutorio deveessere tale da rendere tutti gli atti dell’amministra-zione, esecutivi del disegno persecutorio, non fun-zionali all’interesse generale cui sono normalmentediretti- la domanda di risarcimento per mobbing o per il-lecito demansionamento non può essere accolta seil lavoratore non ha tempestivamente impugnato iprovvedimenti organizzativi da cui si afferma esserederivata la modifica peggiorativa del rapporto di la-voro.Continuando l’esame di alcune pronunce relativeal pubblico impiego, si può citare la recente sen-tenza resa dal Tar della Campania, sez. VII, n.2048 del 10 aprile 2015.Nel caso in esame, il lavoratore che agiva per il ri-conoscimento dei danni da mobbing faceva partedel Corpo di Polizia di Stato.La Corte, negando la sussistenza di un caso dimobbing, ha richiamato il consolidato orientamen-to della giurisprudenza amministrativa con riferi-mento al pubblico impiego.“Con mobbing, in assenza di una definizione nor-mativa, si deve intendere normalmente una con-dotta del datore di lavoro o del superiore gerarchi-

co, complessa, continuata e protratta nel tempo,tenuta nei confronti di un lavoratore nell'ambientedi lavoro; tale condotta si deve manifestare concomportamenti intenzionalmente ostili, reiterati esistematici, esorbitanti o incongrui rispetto all'ordi-naria gestione del rapporto, espressivi di un dise-gno finalizzato alla persecuzione o alla vessazionedel lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesi-vo.”I giudici passano poi all’esame dei casi in cui ilmobbing è da escludere, ovvero:“- un'ipotesi di condotta mobbizzante deve essereesclusa tutte le volte che la valutazione complessi-va dell'insieme di circostanze addotte ed accertate,pur se idonea a palesare, singolarmente, elementiod episodi di conflitto sul luogo di lavoro, nonconsenta di individuare, secondo un giudizio di or-dinaria verosimiglianza, il carattere esorbitante edunitariamente persecutorio e discriminante neiconfronti del singolo del complesso delle condotteposte in essere sul luogo di lavoro (Cons. StatoSez. VI, 17 febbraio 2012, n. 856; Sez. IV, 10 gen-naio 2012, n. 14);- non si ravvisano gli estremi del mobbing nell'ac-cadimento di episodi che evidenziano screzi o con-flitti interpersonali nell'ambiente di lavoro e cheper loro stessa natura non sono caratterizzati da vo-lontà persecutoria essendo in particolare collegati afenomeni di rivalità, ambizione o antipatie recipro-che;- nel pubblico impiego inoltre, per configurarsi unacondotta di mobbing, è necessario un disegno per-secutorio tale da rendere tutti gli atti dell'ammini-strazione, compiuti in esecuzione di tale sovrastan-te disegno, non funzionali all'interesse generale acui sono normalmente diretti (Cons. Stato Sez. IV,19 marzo 2013, n. 1609; Sez. VI, 15 giugno 2011,n. 3648).”Proprio facendo applicazione dei principi generalisopra illustrati, i giudici del Consiglio di Stato, conla sentenza n. 1945 del 16 aprile 2015, hanno rico-nosciuto la sussistenza di una condotta mobbizzan-te ai danni di una dipendente dell’Inail.Dopo aver definito mobbing come “una condottadel datore di lavoro o del superiore gerarchico,complessa, continuata e protratta nel tempo, tenu-ta nei confronti di un lavoratore nell’ambiente dilavoro, che si manifesta con comportamenti inten-zionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitan-ti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione delrapporto, espressivi di un disegno in realtà finaliz-zato alla persecuzione o alla vessazione del lavora-tore, tale che ne consegua un effetto lesivo della

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sua salute psicofisica ai fini della configurabilitàdella condotta lesiva di mobbing, da parte del da-tore di lavoro”, il collegio si sofferma sull’indicazio-ne degli elementi costitutivi della fattispecie, ovve-ro:- una serie di comportamenti di carattere persecu-torio - illeciti o anche leciti se considerati singolar-mente - che, con intento vessatorio, siano posti inessere contro la vittima in modo miratamente si-stematico e prolungato nel tempo, direttamente daparte del datore di lavoro o di un suo preposto oanche da parte di altri dipendenti, sottoposti al po-tere direttivo dei primi;- l’evento lesivo della salute psicofisica, della per-sonalità o della dignità del dipendente;- il nesso eziologico tra le descritte condotte e ilpregiudizio subito dalla vittima nella propria inte-grità psico-fisica e/o nella propria dignità;- l’elemento soggettivo dell’intento persecutoriounificante tutti i comportamenti lesivi.”I giudici chiariscono inoltre che, in sede di giudi-zio, grava sul lavoratore l’onere di provare la con-dotta di mobbing, non potendosi questi limitare aduna generica doglianza, né può limitarsi ad “allega-re l’esistenza di specifici atti illegittimi, ma devequanto meno evidenziare qualche concreto ele-mento in base al quale il giudice – eventualmente,anche attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi– possa verificare la sussistenza, nei suoi confronti,di un più complessivo disegno preordinato alla ves-sazione o alla prevaricazione, in quanto la pur ac-certata esistenza di uno o più atti illegittimi adotta-ti in danno di un lavoratore non consente, di persé, di affermare l’esistenza di un’ipotesi di mobbing(v. Cons. St., Sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1388). In-fatti, la ricorrenza di un’ipotesi di condotta mob-bizzante deve essere esclusa quante volte la valuta-zione complessiva dell’insieme di circostanze ad-dotte (ed accertate nella loro materialità), pur seidonea a palesare, singulatim, elementi od episodidi conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di in-dividuare, secondo un giudizio di verosimiglianza,il carattere esorbitante ed unitariamente persecuto-rio e discriminante nei confronti del singolo delcomplesso delle condotte poste in essere sul luogodi lavoro (v. Cons. St., Sez. IV, 10 gennaio 2012,n. 14).Segnatamente, nel rapporto di pubblico impiego,un singolo atto illegittimo, o più atti illegittimi digestione del rapporto in danno del lavoratore, nonsono, di per sé, sintomatici della presenza di uncomportamento mobbizzante, occorrendo la pre-senza di un complessivo disegno persecutorio, qua-

lificato da comportamenti materiali, ovvero daprovvedimenti, contraddistinti da finalità di volon-taria e organica vessazione nonché di discrimina-zione, con connotazione emulativa e pretestuosa.Occorre rilevare al riguardo che ciò che caratteriz-za il fenomeno del mobbing rispetto ad altre figuredi illeciti è la sua capacità di unificare in una fatti-specie unitaria una pluralità di azioni, atti, compor-tamenti, alcuni dei quali, in sé considerati, potreb-bero essere neutri, ma il cui reale fine dannoso e il-lecito si apprezza soltanto se i medesimi sono lettiin unione con altri ed in un’ottica finalistica com-plessiva.Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, affinchépossa configurarsi il fenomeno del mobbing, è suffi-ciente che la sequenza di atti e comportamenti po-sti in essere assuma una valenza persecutoria e ri-sulti implicito il perseguimento di una finalità ille-cita. In definitiva, il motivo discriminatorio o ves-satorio si rivela nella finalità illecita, apprezzabilein sede giudiziale in ragione dell’attitudine dellacondotta a pregiudicare il lavoratore, che può esse-re accertata avuto riguardo a tutte le circostanze difatto connotanti il caso concreto.Anche la giurisprudenza della Corte di Cassazioneha da tempo chiarito che il mobbing si realizza inpresenza di una condotta sistematica e protrattanel tempo che concreta, per le sue caratteristichevessatorie, una lesione all’integrità fisica e alla per-sonalità morale del prestatore di lavoro, garantitedall’art. 2087 Cod. civ. La sussistenza della lesionedel bene protetto e delle sue conseguenze deve es-sere verificata, procedendo alla valutazione com-plessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesi-vi e considerando l’idoneità offensiva della condot-ta del datore di lavoro, che può essere dimostrata,per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo,dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione ediscriminazione, risultanti specificamente da unaconnotazione emulativa e pretestuosa, anche in as-senza della violazione di specifiche norme attinentialla tutela del lavoratore subordinato (Cass. civ.,Sez. lav., 25 maggio 2006, n. 12445; Cass. civ.,Sez. Un., 4 maggio 2004, n. 8438).”Nel caso in esame, la Corte rilevava che la dipen-dente aveva svolto la sua attività con piena soddi-sfazione dalla data dell’assunzione per oltre quindi-ci anni, senza accusare problemi di salute. Successi-vamente all’insediamento di una nuova dirigente,la dipendente aveva manifestato una serie di pato-logie. Secondo i giudici, nel corso del giudizio erastata fornita la prova di una serie di condotte ves-satorie plurime e reiterate ai danni della dipenden-

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te, come censure ripetute nel corso della giornatadinanzi a colleghi ed utenti, espresse in forma vio-lenta e spesso con turpiloquio, trasferimento aduna postazione di lavoro priva di strumenti di lavo-ro, svuotamento delle mansioni, l’esistenza di unclima di intimidazione che aveva ingenerato nellavittima uno stato di angoscia, e così via.

Demansionamento e mobbingIl demansionamento, ovvero l’adibizione a mansio-ni inferiori, viene spesso indicato come uno degliindici di una condotta di mobbing in sede di giudi-zio.La norma a tutela di illegittimo uso dello ius va-riandi del datore di lavoro è, per il lavoro pubblico,l’articolo 52 del D. Lgs. n. 165/2001 (17).La sentenza n. 8581 del 28 aprile 2015 della Cortedi Cassazione ha precisato che il demansionamentonon implica necessariamente l’esistenza di unacondotta di mobbing.Nella vicenda in esame, la ricorrente lamentava diessere stata prima adibita a mansioni superiori, edin seguito a mansioni inferiori rispetto alla sua qua-lifica.In relazione a tale seconda fase, nelle precedentefase di appello, i giudici riconoscevano alla ricor-rente il diritto al risarcimento del danno per ille-gittimo demansionamento.Venendo, tuttavia, alla domanda della ricorrentevolta a riconoscere l’esistenza di una fattispecie dimobbing, la Suprema Corte ne ha ritenuta tuttavial’infondatezza, in quanto, pur in presenza di un’ipo-tesi di demansionamento, non era stata fornitaprova da parte della lavoratrice, su cui gravava ilrelativo onere, dell'intento persecutorio che è allabase del mobbing, richiamando, a tal fine, i princi-pi in tema di sussistenza del mobbing indicati inproposito dalla sentenza n. 17698 del 6 agosto2014 della Corte di Cassazione secondo la quale, aifini della configurabilità del mobbing lavorativodevono ricorrere:a) una serie di comportamenti di carattere persecu-torio - illeciti o anche leciti se considerati singolar-mente - che, con intento vessatorio, siano posti inessere contro la vittima in modo miratamente si-stematico e prolungato nel tempo, direttamente daparte del datore di lavoro o di un suo preposto o

anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al po-tere direttivo dei primi;b) l'evento lesivo della salute, della personalità odella dignità del dipendente;c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e ilpregiudizio subito dalla vittima nella propria inte-grità psico-fisica e/o nella propria dignità;d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecuto-rio unificante di tutti i comportamenti lesivi)....

Conclusione

Come si può desumere dalla breve disamina di cuial presente scritto, il fenomeno della violenza psi-cologica sul luogo di lavoro, meglio conosciuto co-me mobbing, è oggi più che noto.Si registrano infatti una pluralità di definizioni dimobbing, di opinioni circa i fattori scatenanti, diproposte di soluzioni per reprimere il fenomeno edi metodologie di prevenzione.Dalle numerose definizioni del mobbing, emergeche esso non debba essere confuso con la meraconflittualità sul luogo di lavoro, consistendo inve-ce in una fattispecie ben più grave, dove la vittima,soggetta ad una serie di comportamenti oggettiva-mente vessatori, umilianti e persecutori, subiscegravi danni all’integrità psico-fisica, manifestandopatologie talora di palese gravità con esiti anchefatali, nei casi più gravi. È indispensabile non tra-scurare questo dato, per non correre il rischio disottovalutare la gravità del fenomeno.Il mobbing, dunque, non può esaurirsi in un singo-lo episodio, essendo esso un complesso di condottereiterate, sistematiche, intenzionalmente dirette avessare, umiliare e isolare la vittima.Il mobbing non coincide automaticamente con ildemansionamento, trattandosi di una fattispeciecomplessa, dove l’intento persecutorio è presente eunifica la condotta vessatoria.È principio ormai acquisito che, al di là delle tuteleofferte alla vittima di mobbing per i danni all’equi-librio psico-fisico subiti ed accertati, lo strumentopiù efficace è rappresentato dalla prevenzione delfenomeno, che naturalmente ne presuppone la co-noscenza.Nonostante il contributo della giurisprudenza, del-la psicologia e medicina del lavoro, l’importanza

(17) Art. 52 D.Lgs. n. 165/2001, come modificato dalD.Lgs. n. 150/2009: “1. Il prestatore di lavoro deve essere adi-bito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioniequivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero aquelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia succes-

sivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cuiall'articolo 35, comma 1, lettera a) L'esercizio di fatto di man-sioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non haeffetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegna-zione di incarichi di direzione. (…)”.

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della codificazione normativa in tema di mobbingè innegabile.Come osservato dall’Agenzia Europea per la Salutee la Sicurezza del lavoro, i vantaggi di un interven-to normativo sono notevoli, in quanto offrono unamaggiore visibilità al fenomeno, aumentando laconsapevolezza e il riconoscimento dei problemi, eincoraggiano ed aumentano la discussione in senoalle organizzazioni. La legge, inoltre, aumenta il

senso di sicurezza tra i lavoratori. Le leggi, infatti,sono una forza che obbliga le organizzazioni a in-tervenire per prevenire e gestire i problemi legatialle forme di violenza ma offrono anche giustifica-zione per l’adozione di svariate attività sul luogo dilavoro, offrendo inoltre alle autorità lo strumentoper obbligare le organizzazioni ad avviare il proces-so di contrasto alle molestie e alla violenza sul luo-go di lavoro (18).

(18) Cfr. la recente relazione sul tema della violenza e dellemolestie sul luogo di lavoro Workplace Violence and Haras-sment: a European Picture - EU-OSH , ovvero Violenza e mole-stie sul luogo di lavoro: un quadro europeo, sul sito: http://os-ha.europa.eu/it/press/press-releases/workplace-violence-and-harassment-on-the-increase-in-europe-1.

“The existence of regulation and legislation has many ad-vantages: it makes the problems of violence and harassmentat work more visible; increases the awareness and recognition

of the problems; and encourages and increases discussion inorganisations. Law also increases the workers’ feeling of secu-rity. Laws are a force that obliges organisations to take actionto prevent and handle the violence problems but they give alsoa justification to different kinds of activities in the workplaces.They also give authorities a tool to oblige organisations to takethe first step in the process of taking action against haras-sment and violence”. Ivi, pag. 41.

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