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Apis Editoriale Arturus Cenni su alcuni possibili aspetti da esplorare in un percorso di conoscenza Maathor Il Corpus della Duat Mizar Sull’Eptagramma in Magia e nella Qabalah Auri Campolonghi Gonella e Gianmaria Gonella Ricordando Marco Daffi Eleazar Su alcuni Gradi della sezione gnostico-ermetica del Rito di Mizraïm-Memphis Nadav Hadar Crivelli Cos’è la Cabalà Hathor Gor-Ex La mistica di Jacob Böhme ADM La Rosa: forza di un simbolo o delicatezza di un fiore? Apis Vetrina dei Maestri Passati: MARC HAVEN Calendario Operativo 2015-2016 Pag. 1 Pag. 5 Pag. 14 Pag. 29 Pag. 40 Pag. 53 Pag. 61 Pag. 68 Pag. 76 Pag. 88 Pag. 92 Anno 1 - n. 4 - ottobre 2015 Direttore responsabile: Mauro Cerulli Comitato scientifico: Fabrizio Fiorini Luizio Capraro Arrigo Gareffi Antonino Bonanno www.mizr.eu MIZR è uno strumento di divulgazione interna che presenta studi sul Martinismo, la Libera Muratoria e lo Gnosticismo. La raccolta (che non ha periodicità ed è riservata ai soli membri della Associazione Culturale MIZR) non è in vendita e può essere stampata in proprio scaricandola gratuitamente. Pertanto non può essere considerata una testata giornalistica o un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07.03.2001.

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Apis Editoriale

Arturus Cenni su alcuni possibili aspetti da esplorarein un percorso di conoscenza

Maathor Il Corpus della Duat

Mizar Sull’Eptagramma inMagia e nella Qabalah

Auri Campolonghi Gonella e Gianmaria Gonella Ricordando Marco Daffi

Eleazar Su alcuni Gradi dellasezione gnostico-ermetica del Rito di Mizraïm-Memphis

Nadav Hadar Crivelli Cos’è la Cabalà

Hathor Gor-Ex La mistica di Jacob Böhme

ADM La Rosa: forza di un simbolo o delicatezza di unfiore?

Apis Vetrina dei Maestri Passati: MARC HAVEN

Calendario Operativo 2015-2016

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Pag. 92

Anno 1 - n. 4 - ottobre 2015

Direttore responsabile: Mauro Cerulli

Comitato scientifico: Fabrizio FioriniLuizio CapraroArrigo Gareffi

Antonino Bonanno

www.mizr.eu

MIZR è uno strumento di divulgazione interna che presenta studi sul Martinismo, la Libera Muratoria e lo Gnosticismo.

La raccolta (che non ha periodicità ed è riservata ai soli membri della Associazione Culturale MIZR) non è in vendita e può essere stampata in proprio scaricandola gratuitamente.

Pertanto non può essere considerata una testata giornalistica o un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07.03.2001.

Il giorno 24 ottobre si terrà ad Albignasego, alle porte di Padova, il “Se-condo Convento della Fratellanza Martinista Italiana” al quale partecipe-ranno - oltre ai Fratelli ed alle Sorelle degli Ordini che fanno parte della F.M.I. -anche i Delegati dei più importanti Ordini Martinisti italiani e stranieri.

EDITORIALEApis

I DIECI SAGGI DI SODOMA E GOMORRA

Nella Bibbia, il libro della Genesi menziona Sodoma a partire dal capitolo 10 e la situanel territorio popolato dai Cananei. Secondo quanto riferisce la Bibbia nel cap. 18 della Genesi,Dio rivelò ad Abramo che stava per distruggere Sodoma e Gomorra, perché “il loro peccato eramolto grave” e “il grido che saliva dalle loro città era troppo grande”. Abramo intercedette per lepersone giuste della città contrattando con Dio e Dio gli rispose che non l’avrebbe distruttase avesse incontrato dieci persone giuste nella città. Secondo il prosieguo nel cap. 19, ai versetti1-38, due dei tre angeli di Dio che Abramo prima aveva incontrato, entrarono a Sodoma. Nelvederli, Lot li invitò nella sua casa e insistette affinché trascorressero la notte nell’abitazione.Tuttavia, prima che ciò potesse avvenire, gli abitanti di Sodoma attorniarono la casa ed esi-gettero che Lot consegnasse loro i suoi invitati per poter abusare di loro. Lot rifiutò, offrendoal loro posto le sue due figlie vergini pur di non commettere un grave peccato agli occhi diDio contro la legge dell’ospitalità, ma essi rifiutarono insistendo nelle loro pretese. Gli abitantidi Sodoma provarono così a fracassare la porta d’ingresso, ma i due invitati impedirono l’ac-cesso all’interno della casa agli assalitori accecandoli tutti con un’abbagliante luce. Dopodichéessi dissero a Lot di abbandonare subito con la sua famiglia la città, intimandogli di non vol-tarsi indietro. Lot avvisò i suoi generi, che però non gli diedero retta e così Lot abbandonò lacasa e la città solo con sua moglie e le sue figlie, chiedendo e ottenendo che si salvasse la pic-cola città di Zoar, nei pressi di Sodoma. Quindi Dio inviò una pioggia di fuoco e zolfo che in-cenerì del tutto Sodoma con i suoi abitanti, assieme ad altre città della pianura. L’ordine dinon voltarsi indietro a vedere quanto Dio aveva decretato accadesse alla città non fu eseguitodalla moglie di Lot che, per quell’atto di disubbidienza, fu trasformata in una statua di sale.

Lo zio di Lot, Abramo, da una montagna vide la colonna di fumo che si alzava daquella che era stata Sodoma.

Chiunque possieda un minimo di capacità critica e di discernimento si rende contoche il mondo intero è divenuto una unica ed immensa “Sodoma e Gomorra”: il mondo vivenel “peccato molto grave” e “il grido che sale dalle città” è troppo grande perchè possa rimanerea lungo inascoltato. Molto spesso ci capita di leggere, anche in siti, blog, gruppi dedicati al-l’esoterismo disamine precise e particolareggiate sui “peccati molto gravi” che affliggono ilNostro Paese, l’Italia, ed il mondo. Colpa dell’Isis? Colpa dei banchieri? Alcuni accusanol’Islam, altri il Sionismo Internazionale, altri ancora dicono che si tratta di due facce dellastessa medaglia.

Camminavo, qualche giorno fa, per le strade della città dove ho trascorso la mia gio-vinezza, Roma, e ripetevo a me stesso: “Roma: Bangladesh”, come uno slogan. Oramai le dif-ferenze con Calcutta, Bombay o qualsiasi altra città del terzo mondo sono impercettibili:pensate che nella fontana di Trevi, recintata e prosciugata per misteriosi (e continui) lavori, siaggiravano indisturbate quelle che nel Veneto vengono definite “pantegane” ed a Roma “zoc-cole”(termine che ha anche un altro significato, ma nel caso di specie mi riferisco ai roditori):colpa di Marino? O magari del suo predecessore Alemanno? O forse del clan dei Casamonica?

Potremo sbizzarrirci nel trovare tutte le risposte possibili ma vedete, ogni possibile“causa” altro non sarà se non un EFFETTO! Mi è stato insegnato, quasi 40 anni fa, da un Si-gnore di nome Massimo, che viveva a Roma ma che era nato nello stesso bellissimo paesinociociaro dove sono venuto al mondo io, che chi segue una Via Spirituale HA IL DOVERE di

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guardare la realtà in modo diverso rispetto agli esseri ordinari. Le cause di TUTTO, infatti,sono SEMPRE E SOLO cause karmiche e se, ad esempio, si ha ben presente quanto grave edoneroso sia il karma di questa povera nazione non ci si meraviglia, nè tantomeno ci si indignaperchè è logico, ovvio, giusto e razionale che questo paese sia condannato a perire.

Piuttosto bisognerebbe farsi una domanda: “esistono almeno 10 giusti, in nome deiquali la Divinità possa risparmiare Sodoma e Gomorra?” E, sopratutto: “IO sono tra questi giu-sti”? “IO SONO VERAMENTE UN GIUSTO (GIUSTIFICATO secondo la Scienza esoterica Egi-zia”?Un altro bravissimo Signore, Insigne orientalista e discepolo devoto del Personaggioprecedentemente indicato,a nome Pio, anch’Egli da me frequentato negli anni della mia gio-vinezza vissuta a Roma, era solito ripetere che il Mondo ha bisogno SOPRATTUTTO di genteche medita! Beh, miei cari, sapete che vi dico? Io di gente che medita (sul serio) in giro nevedo molta poca ed è un peccato ancora più grave di quelli di cui si macchiano “Sodoma eGomorra”perchè la marea di disperati che si aggirano nel mondo ed i loro carnefici, consa-pevoli o meno, non possiedono nessun strumento per la propria rettificazione nè per la pro-pria rigenerazione, nè (di conseguenza) per la propria reintegrazione.

Ma voi, cari Fratelli, Sorelle,”Cugini”, “Parenti” vari, interpreti di Questa o di Quella“Scuola”, “Corrente esoterica”, “Ordine Iniziatico”, voi, Carissimi, gli strumenti dovreste aver-celi,o no? Possibile che quasi nessuno comprenda che solo un Individuo Rettificato, Rigene-rato, Reintegrato, può VERAMENTE fare qualcosa per il mondo e per i propri simili? Pensatedavvero, Carissimi Fratelli, che bastino gradi, patenti, congruo numero di affiliati, o che bastiaver conosciuto Questo o Quel Maestro o (ancor peggio) che basti aver letto questo o quellibro per essere diversi dagli individui che possiedono un ordinario livello di coscienza?

Consentitemi,Carissimi, di darvi un piccolo suggerimento: quasi 40 anni fa MassimoScaligero mi consigliò di concludere ogni giornata ripercorrendo mentalmente, secondo unprecetto indicato da Pitagora nei “Versi Aurei”, gli eventi accaduti ed i miei comportamenti:non ho mai abbandonato tale pratica e posso assicurarvi che ogni giorno mi accorgo di avercommesso errori o di essere stato inadeguato in questa o in quella situazione; da ciò deducodi non essere ancora contemplabile nel novero di quei famosi “dieci giusti” di cui sopra e dun-que intensifico la mia attenzione sulle MIE storture, sui MIEI errori, sui MIEI veleni mentalipiuttosto che sul gruppo Bilderberg o sull’Isis o magari su Renzi o Berlusconi. Credetemi, valeDAVVERO la pena di farlo!

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CENNI SU ALCUNI POSSIBILI ASPETTI DA ESPLORARE

IN UN PERCORSO DI CONOSCENZAArturus

La formazione, gli insegnamenti (soprattutto religiosi) che si ricevono, sin da piccoli,abituano a dare per scontata la possibilità di non esistere solo in quella forma materiale chesi può percepire attraverso i sensi o tramite le estensioni amplificanti che si sono costruite.Possibilità, comunque, assolutamente contestata dagli atei e dai convinti “materialisti”.

Accedendo ad un cammino Iniziatico Tradizionale (in funzione di un desiderio, le cuivere origini dovrebbero far parte delle personali esplorazioni meditative, nei vari approfon-dimenti possibili), tale eventualità viene riproposta attraverso i Rituali ed i Vademecum presentinei diversi gradi/livelli, tramite cui è organizzato.

Però, poiché in molti casi, si tratta di un percorso teso alla conoscenza, è escluso chesi possa/debba ritenersi invitati ad accettare passivamente, ad esempio, un’ipotesi di trinomioesistenziale del tipo: Spirito, anima, corpo, come semplice atto di fede. Al contrario, vienesuggerito un metodo (ce ne sono tanti quanto le strutture esistenti in ogni parte del mondo;spesso, quando l’origine è genuina e Tradizionale, sono analoghi e convergenti), affinché taleipotesi possa essere esplorata per quanto possibile, e divenire, se verificata, una concreta presadi coscienza. Ovvero, viene suggerito e si è stimolati ad indagare, affinché divenga possibileessere coscientemente consapevoli dell’esistenza oltre il solo piano materiale, con tutte leconseguenze che ciò può comportare.

Per tentare di mettere in pratica una simile esperienza, credo si possa dire, in estremasintesi, che si tratta di cercare di riequilibrare i livelli di consapevolezza, cominciando, come

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S È Superiore

S È Inferiore(Ego, Personalità

Spirito

Corpo(Materia)

Anima

primo atto, a ridimensionare lo strapotere “rumoroso” dell’IO e delle passioni a lui collegate,consentendo alla coscienza, all’emanazione del S È di emergere progressivamente (l’indica-zione di IO e di S È sono ovviamente, per comodità, una sintesi grossolana che non vuole inalcun modo sostituirsi ai normali usi semantici degli specialisti, studiosi della mente).

L’approccio ad un ciclo delle meditazioni (spesso ben indicato dalla metodologia dideterminati percorsi), dovrebbe aiutare in questa impresa che però si scopre, quasi sempre,non essere semplice; ad esempio, per quattro motivi principali che si evidenziano, di solito,subito, ai primi tentativi di cammino:

• Il primo è costituito dal verificare di non avere affatto una volontà allenata e magari,per tutta una serie di motivi, di non avere neanche molto desiderio di potenziarla. Se si ten-tano degli esercizi di concentrazione “a freddo”, lo si scopre facilmente.

• Il secondo, di non essere avvezzi a dialogare sinceramente con s è stessi, in quantotroppo predisposti/impegnati a trovare giustificazioni per tutto ciò che si è fatto (di qualsiasigenere) e per i mezzi utilizzati nel farlo, soprattutto se hanno dato dei ritorni “convenienti”.

• Il terzo, può ricercarsi nella eventuale scarsa predisposizione/capacità d’uso di stru-menti che potremmo definire “divinatori”, come ad esempio i Tarocchi (od altri strumenti si-milari), e quindi nel non riuscire ad uscire dalle pastoie percettive dell’involucro materiale.

• Il quarto, strettamente collegato agli altri, induce a studiare malamente le disciplineche vengono suggerite, impedendo, poi, di ricavarne gli strumenti utili/necessari a compren-dere le analogie e le convergenze dei filoni tradizionali che, sovente, contribuiscono straordi-nariamente ad indirizzare il corretto approccio ed il filo conduttore in molte meditazioni.

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Ad ogni modo, nonostante le normali,previste, difficoltà, di solito si tenta di muoverequalche passo sul sentiero intrapreso e così èprobabile che si riesca, tramite un sempre piùassiduo dialogo con la propria coscienza, a pro-durre quelle scelte e quelle rettifiche che con-sentiranno di ritrovare un contatto più o menoconsapevole con la propria anima/essenza.

Qualcuno che pensa di esserci riuscitoe descrive qualche volta la propria esperienza(da considerare, però, sempre circoscritta nel-l’ambito strettamente personale), la illustracome il vivere di una confusa ma contempora-neamente illuminate espansione percettiva, inuna sorta di struggente, bellissimo, ritrovarsinella propria essenza e nei ricordi, quasi dopoun tempo “infinito” di abbandono e di solitudine in un luogo/dimensione abbastanza alienaper i canoni materiali.

È possibile che per arrivare a qualche cosa di simile, occorra tempo (in alcuni casi,anche molto), salvo poi intuire che, forse, ci si è solo posizionati all’inizio del percorso. Unpercorso, le cui caratteristiche non erano e non sono assolutamente deducibili o prevedibilicon le deboli facoltà dell’IO e dei sensi materiali.

Non credo sia poi da escludere, a quel punto, che oltre alla possibile consapevole per-cezione del corpo e dell’anima, si possa aver coscienza (magari per istanti, infinitamente brevi)anche di altro.

Se ciò avvenisse, chissà, forse, si potrebbe avere l’intuizione illuminante di un per-corso affatto solitario, dove ognuno si adopera in funzione di qualche cosa, di un indirizzo, diun impulso, a cui magari da un lato ci si è “arresi a sé stessi”, nel senso più bello del termine,

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e da un altro si è avuta, immediatamente, la sensazione (non escludendo lacrime digioia) di stare camminando sulla strada per fare ritorno a casa.Contemporaneamente, forse, si potrebbe scoprire che per camminare, per

avanzare, è necessario prepararsi, allenarsi, senza mai interrompersi, inuna sorta di perfezionamento continuo che, per certi versi, potrebbe ri-

cordare la formazione costante ed ininterrotta dei Samurai; quest’immaginesuggestiva, proprio in funzione del significato della radice (servire) del nome,conduce a meditare sulle analogie e sulle convergenze dei simboli, al di là diogni apparenza superficiale e, inevitabilmente, su un ruolo personale all’in-terno del percorso stesso, in cui, oltre a riuscire a rispondersi su questo

aspetto (cosa non facile), è improbabile che si possa intuire il complesso disegno della sor-gente divina. In effetti, penso che solo uno sciocco potrebbe sperare di riuscirci.

Ad ogni modo, ritornando per un attimo alla parte iniziale della dissertazione, credosia opportuno approfondire il problema dell’IO e delle passioni a lui collegate.

Dal punto di vista strettamente “animale”, appare evidente che si subisce tutti l’impe-rativo ineludibile di sopravvivere materialmente, aspirando ad una continuità con tempo in-definito, nello spazio e nel tempo.

Per farlo, si mette in campo ogni soluzione utile aprocurare il cibo adatto alle necessità (qualsiasi esso sia e,quindi, senza problemi di aggredire chiunque sia più deboledi noi), a curare eventuali deficienze funzionali del corpo, adifendersi od a fuggire dai nemici (macro e micro) e possi-bilmente, eliminando, superando, ogni fonte di dolore.

Però, poiché tutto ciò non da ancora garanzie, so-prattutto rispetto all’opzione di durata temporale infinita,si utilizza come alternativa, il processo riproduttivo (chediventa un altro potente imperativo esistenziale), per ovviare, in qualche modo, all’inevitabilemorte dei singoli soggetti.

Meditandoci un poco, non è difficile comprendere la predisposizione assolutamenteegocentrica che caratterizza, tale ambito, squisitamente materiale.

Non potrebbe essere altrimenti, visto il contesto predatorio, generale, in cui si vive.Ne consegue, ad esempio, che quando in determinate occasioni presenti all’interno

della docetica di un Ordine come quello Martinista, un Associato ascolterà dall’Iniziatore e

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poi leggerà, da solo, il suggerimento: “Sappi sacrificare la tua personalità tutte le volte che lonecessita il bene altrui”, non credo gli sarà d’immediata comprensione; infatti, il suo IO met-terà subito in campo, tramite l’elaborazione celebrale, il processo di valutazione dei vantaggie degli svantaggi, bocciando “sonoramente” qualsiasi ipotesi priva di congrui ed utili ritorni.

Così, l’unica parola che gli apparirà con un minimo di senso (però spiacevole) sarà ilverbo “sacrificare”.

Personalmente, non penso che sarebbestato utile/possibile suggerire un verbo diverso;infatti, in una fase iniziale come questa (quindiancora di piena profanità), una simile direttivapuò essere rappresentata e percepita solo comesacrificio. Col tempo, forse, se si sarà riusciti adialogare con la coscienza, a ritrovare il con-tatto con l’ anima ed a fare emergere progres-sivamente il S È, riequilibrando i rapporti di “potere” con l’IO, è probabile che si possa scoprirecome le ragioni degli altri valgono quanto le nostre ed, a volte, anche molto più delle nostre.

Però, sempre a mio parere, nel caso si tentasse di mettere in pratica i suggerimenti dicomportamento altruistico, seppur con unanuova consapevolezza, credo cha anche inquesta fase di iniziali tentativi di riallineamentodelle influenze interiori, una parte della perso-nalità ancora fortemente soggetta alle passioni(affatto quietate), continuerebbe a protestareveementemente per il sacrificio di non aver ri-cevuto o addirittura solo ipotizzato una con-tropartita.

Penso che solo dopo avere ricevuto la“grazia” di poter comprendere, abbastanza

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profondamente, il male che possiamo aver procurato nell’esistenza, magari unitamente allaintuizione/visione della parte “oscura” del personale stato dell’essere (ad esempio duranteun’azione aggressiva, caratterizzata dal delirio di potenza) si riuscirà, come conseguenza diuna dolorosissima presa di coscienza, a stabilizzare la presenza costante e cosciente del S È,come scelta cardine di quella che diverrà, da quel momento, una nuova esistenza.

In tal caso, non escluderei la possibilità del singolo di rivedere, almeno par-zialmente, il concetto di “sacrificare”, in quanto potrebbe essere subentrato un modo d’essereche, a parte le ancora possibili esibizioni di potenza non solo verso se stessi (quindi, nonescludendo mai i colpi di coda della controiniziazione, ben contemplati e descritti in diversipercorsi); così, esplorerà la possibilità, con le passioni acquietate, di donare, senza ricercarenulla in cambio, ma come istintivo e genuino atto d’amore.

Tutto ciò, ovviamente, a bilanciamento dei rigurgiti inevitabilmente egoisticiche comunque tenteranno di sopravvivere, almeno sino a quando avrà un corpo materiale(sarà comunque bene tenere presente che tali impulsi non possono/devono essere etichettatifrettolosamente come inevitabilmente malvagi).

Forse, allora, scoprirà di essere diventato veramente più umile, in quanto avràanche preso atto ed accettato di non conoscere nulla o quasi di ciò che non è solo materia eche quei suoi aspetti oscuri che attribuiva, concosì grande facilità, solo alle necessità del corpo,avevano, magari, delle corrispondenze ben piùimportanti, anche in altri livelli della sua essenza.

Questa situazione, però, porrà chiunquevi si troverà, nella necessità di comprendere qualisiano le regole vigenti in un tale contesto.

Da profani, si era stati abituati a conside-rare punti di vista, sia filosofici, sia semplice-mente pragmatici, in funzione dei quali si eracercato di organizzare le esigenze del vivere in quella materia in cui, per il momento, l’animaleuomo appare dominante. Le religioni, aggiungendosi, avevano contribuito, suggerendo pun-ti di vista che non tenevano in evidenza le sole ragioni della "carne" ma anche di una "leggedivina" dominante su ogni cosa, da cui tutto discendeva, discende, discenderà.

Considerando, però, che anche nel nuovo contesto continuerebbe ad essere difficilepercepire “cosa siamo e dove siamo veramente", non è da esclu-dere che si continuerebbe a comprendere un qualsiasi concetto,ad esempio di giustizia, coerente con quello derivato dal continuosuccedersi delle azioni, reazioni, in realtà binarie, condizionatoinevitabilmente dalle nostre emozioni che ci indurrebbero a for-mulare ipotesi continue di giustizia relativa.Tutto ciò, però, senzaescludere le possibilità d’intuire interazioni su piani contempo-ranei, avulsi dalle limitazioni di sincronizzazione temporale checonosciamo e probabilmente coesistenti nello stesso spazio od inspazi paralleli.

Quindi, la strada maestra, in un contesto così complicatoe sconosciuto, sembrerebbe obbligatoriamente quella indirizzataad abbandonare il metodo delle deduzioni (più congeniale al-l’IO), per affidarsi agli imperativi provenienti dalle intuizioni/vi-sioni che arrivano dal profondo di s è stessi (sperando di esserein grado di consentire loro di arrivare alla personale consapevo-lezza, senza farsi suggestionare da possibili fantasie con origini

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del tutto diverse).In tal modo, forse, sarà possibile effettuare le scelte che

produrranno le azioni “giuste” ma soprattutto, tenendo contoche gli equilibri si dovrebbero essere spostati a favore del SÈ, non è da escludere il manifestarsi di una predisposizionealtruistica; questa, pur prendendo correttamente atto diqualsiasi cosa, andrebbe oltre alle rigidità dei vincoli nelrispetto delle regole e così, oserei ricondurla concet-tualmente, nel riverbero della Caritas, quindi pro-veniente dall’emanazione luminosa dellaSorgente Divina.

In una tale evenienza, il verbo “sacrificare”di cui sopra, sembrerebbe poter cambiare stato e significato,diventando veramente una splendida opportunità per atti-vare quel canale di contatto che, nei testi, si dice passare at-traverso l’indicazione simbolica del cuore.

Tutto ciò, fino ad ora esposto, potrebbe spingere adadagiarsi sulla semplice acquisizione delle descrizioni piùo meno affascinanti, magari scivolando senza troppa fa-tica nell’accettazione per fede. Come precisavo all’ini-zio, non è però consentito; non è così che si può/deve camminare su unpercorso di conoscenza. Qualsiasi cosa indaghiamo o facciamo, abbiamo necessità di averedei riscontri concreti.

Ad esempio, indagando s è stessi, si possono utilizzare alcune “cartine di tornasole”sul nostro livello di “conoscenza”, sullo spostamento dell’equilibrio tra IO e S È e sulla pos-sibilità di un contatto più o meno forte con ciò che non è materia.

Forse, si potrebbe scoprire che alcuni Carismi (a me piace di più chiamarli “talenti” pernon fare confusione con le descrizioni effettuate in ambito religioso, ma da considerare co-munque dei doni, delle grazie) si sono manifestati più o meno improvvisamente, oppure si èrafforzato ciò che si sapeva di avere, sin dalla nascita.

Mi spiego meglio, con tutte le cautele che un simile argomento impone.Per quanto ne posso sapere, sia come esperienza personale, sia dai racconti di altri fra-

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telli/sorelle, accade, sistematicamente che, in certi passaggi di modifica dello stato dell’essere, simanifestano fenomeni che quasi sempre si consolidano ed acquistano carattere permanente.

La letteratura ce ne riporta un discreto elenco.Per quanto mi è dato sapere, ce ne sono alcuni che si manifestano più frequentemente.

In particolare mi viene spontaneo ricordare:• preghiera che sorge spontanea dal cuore/anima;• profezia;• facilità d’interpretazione corretta di ciò che per i più appare “occulto”;• reminiscenza;• trovare brani dei libri adatti al momento;• visioni;• sogni;• compassione e lacrime;• guarigione;• parola di conoscenza;• predisposizione straordinaria all’insegnamento;• discernimento degli spiriti;

Occorre però vigilare con attenzione su queste manifestazioni; infatti, alcune sono ri-scontrabili anche tra coloro che percorrono sentieri decisamente “poco illuminati” (su questaparte, vista la delicatezza dell’argomento e la possibilità di disquisire anche su ciò che non èluminoso, non mi dilungherò, in quanto credo sia da ritenersi materia di ogni maestro nelsuo ambito specifico).

Restano però manifestazioni collaterali molto interessanti che poi, se le si unisce al-l’acquisita capacità di dialogare con “chi” è previsto che si instaurino i contatti, diventano ri-ferimenti ancora più interessanti per valutare dove si stia camminando.

Concludendo, per il momento, credo che sia estremamente necessario ricordare che,forse, è oggettivamente concesso, conoscere solo ciò che si fa, ed essere solo ciò che si è fatto.

Come ho già avuto modo di ripetere in altre occasioni, se si avrà cosciente consape-volezza di s è, non solo come materia, allora, forse, per estensione, ciò che è dentro ed attornonon ci sarà più completamente ignoto ed il personale desiderio di conoscenza comincerà adavere qualche piccola risposta. n

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«Inno ad Osiride, Un-Nefer, il grande Signore dell’Abido».Il titolo Un-Nefer significa “colui che è sempre felice” sotto il cielo. Il disco solare è sorretto

da due braccia che escono da un Ankh sostenuto dalla colonna Djed.

IL «CORPUS» DELLA DUATMaathor

“Non sai, oh Asclepio, che l’Egitto è l’immagine del Cielo,proiezione, qui nel profondo,

di tutto l’ordinamento cosmico?”Ermete Trismegisto

“Che io viva o muoia, io sono Osiride.Io entro dentro e riappaio attraverso te,

mi decompongo in te, cresco in te.(...).

Io sono entrato in Maat,confido in Maat, divengo padrone di Maat,

emergo in Maat rendendo distinta la mia forma...”Testo dei Sarcofagi, 330

“Ink is maa hereu tep ta”,(Io fui veramente giustificato sulla terra)

da una stele funeraria

Quando nel 1842 Karl Richard Lepsius chiamò la sua prima edizione geroglifica “IlLibro dei morti” (Todtenbuch) - dizione che fu poi frettolosamente adottata dall’egittologiaaccademica - egli commise una notevole inesattezza: questo titolo gli derivava da Kitab el-Mayytun, letteralmente “Libro del Morto”, designazione araba impiegata dai violatori dellenecropoli faraoniche per qualsiasi rotolo di papiro rinvenuto nelle tombe. Al contrario, questilibri hanno contenuti e finalità tali che il loro titolo avrebbe potuto ben essere “Il Libro deiVivi” oppure “Il Libro che Insegna a come Sopravvivere alla Morte” e dunque il titolo con cui loconosciamo è fuorviante.

Infatti la traduzione esatta di “Per-hem-hru” è (Dell’) Uscire verso (la Luce del) Giorno,in riferimento alla virtù rigeneratrice di Osiride che viene attivata, mediante la recitazionedelle Formule Incantatorie, dal sacerdote lettore (Kheri-Heb) che evoca un perfetto percorsoiniziatico. Conseguentemente si deve attribuire al testo il valore di istruzioni per agevolare ilpassaggio dalla vita breve alla morte eterna dei milioni di anni e l’insediamento dell’Entitàspirituale del defunto in un nuovo stato di libertà simile a quella degli dèi (si deve confrontare,qui, quanto la Scuola di Pitagora dichiara nelle ultime righe dei Versi Aurei). Come Evola ha

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I NOVE COSTITUENTIGli antichi Egizi, collegate all’essere vivente, con-

cepivano diverse entità spirituali, nel mistero costituito dal 9(cifra di Toth), come 9 sono i rivestimenti che fasciano lamummia. Mai rigidamente separate le une dalle altre, essesono energie diverse che perseguono uno scopo comune.L’uomo le vive contemporaneamente e nella sua esistenzadeve portarle a uno o più gradi superiori. (N.B. Per le spiega-zioni che seguono ho elaborato informazioni attinte dal vo-lume di Lachaud, Magia ed Iniziazione nell’Antico Egitto).

1 - La morte (o nascita) ha come primo involucroil Khat, il cadavere putrescibile, mentre il Get è il corpo ma-teriale vivo. Il Khat è minerale inerte, supporto di ogni me-tamorfosi. La sua dimora è la tomba-crogiolo dove si attuanotutte le fasi di quella che è a tutti gli effetti la Grande Opera.

2 - Il Sekhem è la capacità aggregante di elementidiversi, ognuno con una funzione specifica, che garantisconola coesione della forma. Il Sekhem assicura la comunicazionetra questi fattori eterogenei. La forma femminile di Sekhem èSekhmet, la dea feroce contro le forze ostili all’unità.

3 - Il Ren (RN) è il nome di quell’essere, la sua iden-tità, la sua particolare vibrazione che concentra l’energia di-vina e permette all’uomo di animarsi. È il Verbo-Logos, tantoche il suo geroglifico è una bocca posta sopra la linea ondulatadell’acqua (è il Ren che fa nascere sulla superficie informe delNun la prima vibrazione vitale). Il Nome viene perciò asse-gnato (consacrato) con un rito analogo al battesimo e infineposto nel cartiglio e la corda solare che lo circonda è l’aureolache proclama un’esistenza sacerdotale. Una parte fonda-mentale della Magia risiede nella potenza intrinseca ai Nomipoichè il Nome è Potere. Dunque, conoscere il “Nome Nasco-sto” di qualcuno significa possedere la sua essenza più in-tima, il suo segreto e pronunciare il “Nome” equivale a creare,per mezzo della voce uscita dalle labbra, la sua immaginemateriale. Perciò il defunto (o l’Iniziato) deve dimostrare diconoscere il Nome di ogni Entità che può incontrare nel suoViaggio attraverso la morte, garantendosi così una sorta didominio sulla Entità stessa (“Io conosco i vostri Nomi, le vostrecaverne, i vostri segreti” dice, e supera l’ostacolo). Per questoquando si vuole distruggere e far sparire per sempre un in-degno si scalpella via il suo Nome, mentre al contrario pro-nunciarne il Nome significa far vivere quell’entità. Nei ritiiniziatici la frase “ricordarsi il proprio nome” equivale a “rico-noscere l’esatta natura della propria anima che è fuoco”.

4 - Sul Kahaibit, o Ombra (con funzione di prote-zione: “L’Ombra del dio è su di me” equivale a dichiararsi san-tificato) il Libro dei Morti definisce che “È la prima formadell’anima all’uscita dal corpo, immagine nera, alta e tenebrosa”prima di diventare luminosa. In stato latente da vivi (mapieno di coscienza istintiva accumulata durante la vita), ilKahbit inizia silenziosamente ad operare a partire dalla di-sgregazione della morte, libero di “passeggiare sulla terra”. Èla parte animica, il Corpo Eterico normalmente invisibile, chepermetterà durante la morte il passaggio dal visibile all’in-visibile, quello in cui l’uccello Ba spiccherà il volo.

5 - La forza rappresentata dal Ba (che si può tra-durre come essere presente) è l’involucro che potrebbe di piùavvicinarsi all’attuale concezione dell’anima. A volte simbo-lizzato dall’ariete sacro, di solito il Ba è rappresentata da unacicogna con volto umano, quello del defunto. È una forzamagica nutriente che permette al defunto di muoversi inqualsiasi spazio (uccello=movimento) e di assumere qual-siasi forma egli desideri penetrando senza sforzo la materia.A livello individuale corrisponde alla potenza interiore del-l’Essere che permette all’energia di esteriorizzarsi libera-mente. Unas mangia i Bau (plurale di Ba) degli dei che

incontra e con quest’atto integra in sè la loro natura divina.“Horo mi ha donato il suo Ba” equivale a dire “mi sono inve-stito delle sue divine qualità” e dunque ora io stesso, Unas,sono Horo. Il Ba è, insomma, colui che dà vita alla capacitàdi metamorfosi e di rinascere (l’uccello Bennu, la Fenice egi-zia, è il Ba di Ra mentre Ra stesso, in quanto grande animacosmica, è il Ba di tutto l’universo).

6 - L’Ab è colui che veglia, testimonia e designa ilcuore. È un testimone-memoria rivolto al passato e un testi-mone-immaginazione che guarda al futuro. Il cuore è la co-sciente forza morale e perciò il defunto, davanti ad Osiride,può dire: “Io ho la conoscenza del mio cuore”, cioè sono puro. Ilcuore è la sede dell’intelligenza profonda che sorveglia tuttoe dunque presiede all’attività creatrice nel segreto delle cose.Nelle danze rituali si comincia sempre spostandosi a sinistra,dalla parte del cuore. Con la gamba sinistra si entra nel Tempio.

7 - Il segno geroglifico del Ka, il più noto dei noveCorpi costituenti l’uomo, si scrive con un unico segno: duebraccia tese, che abbracciano e che sorreggono. Energia vitaleuniversale, il Ka protegge i vivi e continua a farlo anche dopola morte, poichè la morte altro non è che “raggiungere il pro-prio Ka”, il doppio energetico di ciascun essere vivente, ener-gia imperitura nascosta e più rossa della fiamma, riflessoimmateriale del corpo, forza motrice che alimenta il fuocovitale. I suoi colori sono il nero (energia latente) ed il rosso(energia attiva). È il corpo sottile, o Corpo Astrale, raccontatosempre da quelle due braccia levate che captano l’energiadel cosmo. “Aton ha milioni di Kau”, è il Ka dei Kau, cioè pos-siede tutti gli elementi suscettibili di contenere la vita: ognicreatura recupererà una scheggia del Grande Ka, particellache l’animerà per tutta la vita e che dovrà restituire con lamorte al Ka dell’Universo. Con le parole di Guilmot: “Nascereè ricevere l’Energia. Morire è restituirla all’universo. Vivo, l’uomopartecipa; morto, è in comunione tornando all’Oceano in cui tur-bina l’Energia” restituendo, però, un ka aumentato, capitalefatto fruttare. La Sfinge è il Ka dell’Egitto e Maat, quale Kadi Ra, stabilisce il suo destino.

8 - L’ Akh è una forza spirituale di carattere sovran-naturale, rappresentato dall’ibis con ciuffo e non è connatu-rato, ma deve essere acquisito attraverso un duro lavoro.Quando Amenhotep IV, il faraone mistico, decise di cam-biare nome, scelse questo Stato per aprire il suo patronimico:Akh-N-Aton (brillante grazie ad Aton, cioè capace di irradiarela Luce di Aton) perchè Akh è la forma dell’esistenza perfettae trascendente, connotazione degli esseri risvegliati, capacedi trasfigurarli, illuminati. Il segno geroglifico indica l’ “esserebenefico, efficace, glorioso”. Opposto al cadavere Khat che ap-partiene alla terra, l’Akh appartiene al cielo. Quando gli egiziparlano di “raggiungere il proprio Akh” per esprimere il con-cetto di “morire”, intendono che tale principio non è interioreall’uomo ma che corrisponde, piuttosto, al suo “io” spiritualesituato in un mondo divino e che si raggiunge solo dopo lamorte. Tutti i neter sono considerati Akhu, superpotenze ce-lesti. L’Akh cosmico è la luce che si genera dalle tenebre;l’Akh naturale è la luce che si incarna in un corpo materialeper attivarne il fuoco interno; l’Akh superpotenza rappre-senta la Luce dello Spirito, il mezzo per l’umano di ritornareall’Unità. Nella tradizione cristiana corrisponde al Corpo glo-rioso di Resurrezione.

9 - Il Sa-Hu è il nono involucro, il cui geroglifico èun nodo per fissare nell’uomo la natura divina. È il fluido vi-tale che circola liberamente attraverso il tempo e lo spazio.Il Sa è la conoscenza di tutte le cose, l’intelligenza supremache crea attraverso il Verbo: Horo. Hu è il principio nutritivo,l’essenza, la potenza divina del Verbo: Toth. Adorare Sa e Husignifica accedere all’intelligenza suprema, essere iniziati allaconoscenza che coronerà la saggezza. Insieme permettonodi praticare la magia creatrice.

ben evidenziato, iniziaticamente “uscire algiorno” significa penetrare nella Luce Immor-tale e questo è esattamente lo scopo segreto diogni alchimia spirituale.

Il “Libro per uscire al Giorno”, nei con-fronti della civiltà che lo ha generato, pare noncostituisca, come generalmente si crede, il“Libro sacro” degli antichi Egizi, paragonabileai Veda, alla Bibbia o al Corano. Tuttavia lo è nelsenso della definizione criptata (decodificabile,cioè, dai soli iniziati) delle tecniche che realiz-zano l’Identificazione in Osiride: dunque,come tale, può essere qualificato sacro. Questonon-libro rappresenta perfettamente la Tradi-zione Primordiale, Unica, Perenne ed Univer-sale: questa miscellanea raccolta di formule iniziatiche è un grimoire magico che suggeriscecome risolvere la massima aspirazione dell’uomo. Il Regno dei Morti era un luogo tenebroso,pieno di insidie e di pericoli, in cui un defunto - se sprovvisto degli accorgimenti magici ne-cessari - si sarebbe trovato come un naufrago in balia della tempesta, succube di ogni abitantemostruoso e malvagio, senza possibilità di visione, senza poter camminare o muoversi se-condo il proprio cuore o la propria volontà... In questo stato di tramortimento spirituale egliavrebbe poi subìto il giudizio davanti al Tribu-nale di Osiride. Ecco allora l’importanza fonda-mentale del Libro: le sue tappe mistiche sonoun cammino di potenza, mentre il susseguirsidelle Formule costituiscono uno specialissimoipertesto per immagini che inquadra le giustesequenze del cammino iniziatico dell’Osiride.Ma non dobbiamo ingannarci, solo la magiadelle formule nel loro esatto utilizzo possonofar aprire le Porte del Cielo, solo la magia ope-rativa riesce a far uscire verso la Luce Suprema.

Il “Libro per uscire al Giorno” è ancheun testo dove è celata una scienza antichissimache andava sotto il nome di «dottrina dell’an-data e del ritorno». Questa dottrina presentavadue aspetti: il primo era l’itinerario creativo-ri-velativo, quando è la divinità che scende nel-l’uomo; il secondo era il mistero della seconda nascita, dove è l’uomo che nasce nella divinità:“Và affinchè tu torni! Dormi affinchè tu vegli! Muori affinchè tu viva!” troviamo inciso nei Testidelle Piramidi della V Dinastia.

In una sede come questa diventa impossibile una analisi sistematica di questo Corpused inevitabilmente, talvolta, si incorre in ripetizioni. Per quanto riguarda l’eredità generaledello spirito egizio mi limiterò a dire che la sua grande sintesi costituisce le fondamenta allaTradizione Occidentale almeno su questi punti:

- una teologia della resurrezione sorretta dal mito iniziatico di Osiride;- una pratica delle scienze sacre ed occulte che hanno lo scopo di assicurarsi la padro-

nanza delle energie di potenza, le sole capaci di permettere la comunicazione tra mondi di-

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L’anima è pesata nella Grande Sala delle due Maat per essere dichiarata Maat-Kheru, o “Giusto di Voce”.

Il Ba spicca il volo

versi, quello sensibile ed il corrispettivo sovrasensibile fino al divino, basandosi sulla Leggedelle Corrispondenze;

- l’idea del Verbo Creatore;- una vita universale che ha nel Tempio il suo centro.

Il “Libro per uscire al Giorno” è, a tutti gli effetti, la prima vera “guida” per il viaggio deldefunto: ne indica il percorso, si concentra sulle varie fasi, offre quasi una mappa delle Regionidegli Inferi che si dovranno attraversare, indicandone le entità demoniache e definendo leprescrizioni utili (formule) per sventare i pericoli relativi. Tuttavia anche il termine “libro” (ela divisione in Capitoli) suscita un’impressione deviata sulla reale natura di questo testo, sug-gerendo una organicità concettuale, cronologica e stilistica che è invece del tutto assente. Itesti non formano affatto un’opera unitaria e non appartengono a un unico periodo. Le for-mule sono eterogenee e di disparata origine, indipendenti tra loro e poste alla rinfusa senzaalcun ordine di successione. In realtà sono una raccolta, una miscellanea, una compilazionedi istruzioni magicamente utili al defunto per orientarsi nel Regno dell’Amenti, inni, avverti-menti per evitare la guida cattiva, il Doppio nero, e riconoscere quella buona, il Doppio bianco,e regole per risolversi davanti al giudice che attende i morti ... ma anche per la preparazione“da vivo” in funzione di questo scopo, a ben guardare. È proprio in questo senso che si develeggere quanto il Re Unas, ultimo faraone della V dinastia (2510-2350), ha fatto incidere sulmuro meridionale della sua camera del sarcofago, nel complesso piramidale di Djoser vicinoa Saqqara: «Il faraone non se ne è andato da morto, se ne è andato da vivo».

All’inizio appannaggio dei soli faraoni, verso la IX Dinastia (2.000 a.C.) avvenne chequesto aristocraticissimo Corpus Funerario fosse tradito attraverso una sorta di rivoluzione“democratica”, per la quale il defunto comune venne elevato alla condizione di potersi iden-tificare con Osiride (il papiro di Leida descrive ampiamente questa forzatura delle Porte deiMisteri). Quindi tutti ebbero libero accesso ai beni dell’Al di là e dunque un semplice mortale,

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Riconosciuto virtuoso, la parrucca del defunto è diventata bianca. Egli si inginocchia davanti ad Osiride alle spalle del quale vigilano Iside e Neftis; davanti a lui, su un fiore di loto, i quattro figli diHoro e, sopra, la testa di falco emblema di Sokaris, dio funebre di Menfi, è contornata dai cobra.

dopo la sua morte, poteva divenire «re» e «dio» alla sola condizione di possedere le formule,le «parole di Potenza», appunto.

Da quell’epoca in poi le iscrizioni magiche si diffusero talmente che a tutt’oggi ne sonosopravissute molte migliaia. La più completa per estensione di queste raccolte - spesso sele-zionate dal vivente per la propria morte e poi trascritte dagli scribi - è conservata al Museo diTorino e consta di 160 frammenti (o Capitoli). Normalmente, comunque, il testo scelto si li-mitava a uno o più papiri della lunghezza molto limitata, anche se se ne conoscono di di-mensioni decisamente più ragguardevoli, fino a raggiungere i trentasette metri nel PapiroGreenfield conservato a Londra, l’esemplare più lungo al mondo.

La vasta raccolta di testi funerari del “Libro per uscire al Giorno” - la più antica deiquali risale al 2400 a.C. e fu scoperta nella piramide di Re Unas - ci è pervenuta in tre differentiversioni: l’eliopolitana, compilata dai sacerdoti del Collegio di Anu e contenente testi in usotra la V e la XII dinastia; la versione tebana, in uso dalla XVIII alla XXII dinastia, e la versionesaita, in uso a partire dalla XXVI dinastia, intorno al 600 a.C., sino alla fine delle dinastie datata31 a.C. Come ho detto, si tratta generalmente di inni, preghiere, formule e di racconti incen-trati sul viaggio notturno del Dio Sole nelle sue diverse manifestazioni (era anche chiamatodagli antichi egizi “Il Libro del ritorno nel Giorno”) e della sua lotta con le forze del male chetentano di fermarlo per non farlo risorgere al mattino. La conoscenza di questi testi permet-teva all’anima di scacciare i demoni che le ostacolavano il cammino e di superare le proveposte dai 42 giudici seduti in una lunga fila nel tribunale di Osiride, dio del Regno deiMorti: ognuno di essi doveva essere chiamato per Nome e si doveva negare il Peccatosu cui egli presiedeva. Se essi decidevano che il defunto era stato un peccatore, il ka eracondannato alla fame e alla sete o a essere fatto a pezzi da orribili carnefici; se invecela decisione era favorevole, il ka migrava nel Regno celeste dei Campi di Yaru, dove ilgrano cresceva altissimo e l’esistenza era una versione festosa della vita sulla Terra.Come pagamento per la sua benevola protezione Osiride chiedeva che i morti svol-gessero mansioni per lui, ad esempio lavorare i campi di grano. Questo compito,tuttavia, poteva essere evitato ponendo alcune particolari statuette, gli ushabti,nella tomba affinché fungessero da sostituti per il defunto (“Oh tu, Figurina magica,ascoltami! Se io sono convocato, se io sono condannato ad eseguire dei lavori di ogni sorta che si

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Gli Ushabti (“quelli che rispondono”)erano piccole statue che costituivano elementointegrante ed indispensabile del corredo funebre.Rappresentando forze costruttive positive face-vano parte della pratica magica e servivano dasostituti ai defunti giustificati. Ogni tomba avevacentinaia di esemplari perché la tradizione pre-vedeva un ushabti per ogni giorno dell’anno. Inquesto caso, ogni dieci statuette vi era anche unushabti caposquadra.

Sopra, due cofanetti loro contenitori.

fanno compiere agli Spiriti dei morti nell’Al di là, sappi dunque, o Figurina magica: in quanto tupossiedi attualmente degli utensili, obbedisci all’uomo nel suo bisogno! Sostituiscimi al cospetto deisorveglianti del Duat: alla semina dei campi, all’irrigazione dei canali, al trasporto della sabbia.Dall’Est all’Ovest... La Figurina risponde: - Eccomi... Io attendo i tuoi ordini...”).

Tra gli ushabti troviamo anche le cosiddette “statue del Ka” (come quella del sovranoAuibra-Hor posto sulla copertina di questo numero della rivista) destinate anch’esse al cor-redo funebre e che servivano da sostituto del corpo per ospitare il Ka del defunto, quando ri-tornava per assimilare, per loro tramite, l'essenza dei cibi lasciati dai vivi sulla tavola delleofferte. Ecco il motivo per cui tutti gli oggetti necessari per la vita nell’Amenti venivano postiordinatamente nella tomba.

La parola «Occulto» deriva dal latino occultus (nascosto) e normalmente, oggi, si riferiscealla conoscenza di ciò che è nascosto, o anche conoscenza del sovrannaturale in antitesi allaconoscenza del visibile, ovvero alla scienza. Tuttavia questo significato moderno del termine ètradotto in modo improprio quando lo si intende come sapere nascosto, conoscenza riservata apochi o sapere che deve rimanere nascosto. In realtà si tratta invece dello studio di una realtà spi-rituale tanto profonda da non poter essere compresa usando puramente la ragione o la scienzamateriale. In questo senso sono scritte le parole antichissime del “Libro per uscire al giorno”.

Il termine «Mistero» ci proviene dal latino «mysterium», traduzione del greco «télos»che significa «compimento» ed è analogo a «teleuté», che significa «morte». In ogni linguaggioiniziatico, dunque, i Misteri sono l’insieme dei riti, delle Parole, degli atti, delle prove fisichee morali, delle cerimonie e delle istruzioni occulte. Attraverso tutto questo processo dinamicoe progressivo vengono suggerite al neofita le chiavi (anche oggi quasi sempre simboliche)della sua morte e della sua resurrezione. Toccherà a lui, poi, non comprenderle come intellettoma viverle come verità: solo così potrà tentare di realizzare il passaggio di Stato dal mortaleall’immortale.

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Capitoli delle Porte.Si chiede al defunto di dire i Nomi dei 7 Arit, o “Castelli” e delle 12 Porte degli Inferi.

Il mistero della morte, infatti, è stato sempre il mistero cardine dell’uomo. Al contrariodi ciò che avviene in questi nostri sciagurati tempi, gli antichi egizi dalla loro origine fecero diquesto mistero non solo il fulcro della loro religione, ma anche la ragione fondante di ogniscelta politica e sociale. L’Egitto divenne la sede naturale della Scienza Sacra, teologia occultae laboratorio delle più nobili tradizioni dell’umanità. Questo scopo totalizzante fece nascereinnumerevoli centri esoterico-iniziatici dedicati alla sconfitta della morte. Il risultato fu l’ela-borazione di tutto un universo di tecniche che permettessero al defunto di non essere defini-tivamente escluso dalla Vita.

La morte fisica, per il defunto, non è altro che il primo anello di una catena di fatti d’or-dine metafisico e per questo è d’importanza capitale (“vitale”, sarebbe più esatto dire) iniziareassolutamente da questa Prima Porta se si vuole modellare il corso della propria evoluzionepost-mortem. La morte è, in realtà, la vera nascita: nella lingua geroglifica la morte ha nomeMUT, la dea avvoltoio del Sud, ed è una parola che significa nello stesso tempo sia madre chemorte.

Passata quella Prima Soglia il defunto procede ad abbattere le successive diventandoegli stesso ogni aspetto delle varie manifestazioni divine (falco, disco solare... e così via), finoa raggiungere la piena metamorfosi universale.

Per far questo la realtà fenomenica dev’essere frantumata insieme alla logica deltempo, dello spazio e della dualità così presente negli egizi. Si vive allora nell’impossibile (“Iosono la Madre di mio Padre e la Figlia di suo Figlio” dichiara Hator in un papiro). Tutto finalmente

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Papiro di Anhaï (1100 a.C.). Dichiarazione di “innocenza” (o “non colpevolezza”). Sulla parte destra Toth registra sulla tavoletta da scriba, quindi una entità dalla testa di falco

verifica la precisione della bilancia ed infine, sotto, la dea Maat.

si può amalgamare in un Tutto che non è solo Uno, ma Uno in ogni mondo visibile ed invisi-bile... e perciò egli può contemporaneamente sia implorare la protezione degli dei che con-cedere loro il suo stesso soccorso. Ha raggiunto la libertà svincolata dalla necessità e quindipuò creare con la Parola, volontà magica che conduce all’onnipotenza.

Non essendoci più logicità consequenziale, cioè una architettura lineare di causa-ef-fetto, il defunto percorre le vie segnalate dal Libro secondouna serie di quadri-visioni caotiche. Ma poi, quando è difronte all’immobile dio verde, sente una tale potenza di re-denzione e di luce che non può che esclamare: “In lui è salutee pegno di vita eterna” e pronuncia allora le formule sacre finoa realizzare l’unione mistica per identificazione.

Questo ricorda curiosamente che, se in Egitto si muorein Osiride, i cristiani muoiono in Cristo (“in Christo morimur”).

La Duat indica l’oltretomba. Gli Dei della Duat sonoAmon (l’Unico, il Solitario, il dio supremo del pantheon egizioe sposo di Mut), Osiride (dio dell’Oltretomba), Iside (sposa diOsiride dal quale ebbe Horus i cui figli sono Imset, Damutef,Hapi e Qebehsenuf), Anubi (padre di Kebechet e dio dell’im-balsamazione e del passaggio), Anput (moglie di Anubi), Thot(dio della luna e della scrittura), Ra (dio del sole e padre diMaat), Maat (figlia di Ra e dea della perfetta giustizia), Khepra(che presiede il divenire cosmico), Nun (è l’Oceano primor-diale che contiene i semi di tutti i mondi possibili), Ptah (ildio demiurgo), e Mehen (il benefico dio-serpente guardianodella barca solare di Ra).

Gli antichi egiziani credevano che il “Libro per uscire alGiorno” fosse stato ispirato, o anche scritto, da Thot medesimoche si esprimeva tramite la bocca del defunto rivelando la vo-lontà degli dei. L’Iniziato egizio partiva dal presupposto che lamorte fisica non fosse altro che una metamorfosi della co-scienza. Per lui l’anima, dopo aver varcato la Soglia, percorrevale successive tappe di una normale evoluzione. Per dirla conmaggior chiarezza, per mezzo della Magia gli Iniziati volevanomodificare la normale evoluzione dell’anima nella sua esi-stenza postuma e farle percorrere un tragitto conforme alla suamissione spirituale (“Che io compia tutte le possibili Metamorfosi

ed in tutte le Regioni dell’Al di là, secondo il beneplacito del mio Cuore”).E proprio in forma di manuale iniziatico il Libro tratta dell’animazione di forze, da

parte del dio Osiride, esplicata durante l’esperienza magica nell’attraversamento di dodiciore; forze dislocate in sedi apposite, sorvegliate da guardiani alloggiati in Torri di residenzadette «Arrit», sin dalla Prima Ora: «Il dio passa nell’aspetto di Ariete e compie le sue trasformazioni.(...) Chiunque avrà fatto ciò a similitudine di quello che è nella “Occulta dimora”, chiunque avrà co-noscenza di queste similitudini, che sono questo stesso grande dio, avrà grande giovamento sullaterra». Dunque è nel campo operativo del proprio vissuto che si attua la trasformazione e ilmutamento dell’esperienza, come specifica un papiro attinente al precedente: «Tu hai poteresui poteri che sono in te».

Ne consegue che la similitudine fondamentale dei testi funerari, oltre ad essere quelladella resurrezione di Osiride, è anche quella dell’assunzione di un percorso virtuale all’interno

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Metamorfosi: fasi delle trasformazioni.

delle forze preesistenti in ogni individuo, che vengono trainate nella nuova forma dal poteredi dislocazione dato dagli dèi del cielo. Le forze vengono in tal modo trasformate in archetipioperativi visualizzati da specifici geni che animano le ipostasi magiche.

A completare il “Libro per uscire al Giorno” c’erano anche tutta una serie di testi digrande importanza come il Libro dell'Amduat, le Litanie di Ra, il Libro delle Porte, il Libro delleCaverne, il Libro del Cielo ed il Libro della Terra.

Il Libro dedicato all’Am-Tuat (letteralmente “colui che è nell’Al di là”) è forse il principaletrattato egizio del Nuovo Regno sulla vita oltre la Porta della Morte. Chiamato dagli antichi “Illibro della Camera Nascosta”, è il più antico dei testi in qualche modo connessi alla sepoltura edè quello maggiormente rappresentato nelle tombe della Valle dei Re. Tratta, fondamentalmente,del viaggio del Dio Sole (nelle sue manifestazioni di Khepri, Ra ed Aton) nelle 12 divisioni delDuat, corrispondenti alle 12 ore della notte.

Nella prima ora il Dio Sole entra nell’orizzonte occidentale (Akhet, che è anche unastagione dell’Antico Egitto), un passaggio tra giorno e notte. Nella seconda e terza ora si at-traversa un mondo ricco d’acqua chiamato Acque di Osiride. Nella quarta ora si arriva all’im-pervio regno di sabbia di Sokar (o Seker), il Dio Falco degli Inferi, su un’imbarcazione-serpentecon una testa ad entrambe le estremità accompagnato, tra gli altri dei, da Hù (Parola Autorevole)e Saa (Pensiero) mentre il dio Upuaut (Colui che apre le Strade) sta ritto al timone. Nella quintaora il Dio scopre la tomba di Osiride, che è un recinto sotto il quale si nasconde il terrificanteLago di Fuoco; la tomba è coperta da un tumulopiramidale su cui sono scese Iside e Nefti sottoforma di due rapaci. Nella sesta ora si verifical’evento più significativo nel mondo sotterraneo:il Ba (o anima) di Ra si unisce con il proprio corpo(o, in altri papiri, con il Ba di Osiride all’internodel cerchio formato dal serpente Mehen). Questoevento è il punto in cui il Sole comincia la sua ri-generazione. È un momento di grande significatoma anche di estremo pericolo, visto che nella set-tima ora l’avversario Aapep (Apophis) sta in ag-guato e deve essere soggiogato dalla magia diIside e dalla forza di Seth assistito da Serqeth.Una volta che questo è stato fatto il Dio Sole apre le porte della tomba nell’ottava ora e poilascia l’isola di sabbia di Sokar remando vigorosamente in acqua nella nona ora. Nella decimaora il processo di rigenerazione continua attraverso l’immersione nelle acque fino a che nel-l’undicesima ora gli occhi del Dio (un simbolo indice della sua salute e del suo benessere)sono completamente rigenerati. Nella dodicesima ora egli entra nell’orizzonte orientalepronto a risorgere ancora come il Sole di un nuovo giorno.

Accennavo più sopra che nel “Libro per uscire al Giorno” viene descritta la Pesaturadel Cuore, certamente il passaggio più conosciuto di questo Corpus. Il defunto entra nella Saladelle Due Maat (tutto è duale nel pensiero simbolico egizio: due regni, due santuari per ognineter...). In questa Sala delle Due Verità si gioca il suo futuro e dunque egli cercherà di armo-nizzarsi proprio con Maat. Alla sua sinistra il defunto ha le sue braccia nella posizione del Ka,il suo doppio responsabile delle azioni da lui compiute: non saranno gli dèi a giudicarlo, malui stesso farà il bilancio della propria vita e stabilirà la sentenza. La bilancia è l’elemento cen-trale dell’azione: sul suo piatto sinistro viene posto Ib, il cuore sede dell’intelligenza, e suquello destro la leggerissima piuma di Maat. Il cuore... tutte le azioni e le parole del defunto

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Il defunto identifica ciascuna partedel suo corpo con quelledelle diverse divinità.

passano attraverso esso, perchè il cuore non può ingannare, è proprio lui il vero giudice severoed amorevole. Per questo, quando il defunto si rivolge a lui, lo chiama “madre mia”.

Toth, il Signore del Tempo Ciclico, siede sul perno della bilancia mentre sui bracci dellastessa si trovano Anubi (la Luce Intermedia) ed Horo (La Luce senza Ombre) che regolano labilancia verificando che tutto si svolga secondo la Legge-Maat. Osiride - la più pura essenzadella morte - se ne sta maestoso, dritto, immobile e muto, soggetto vivente di una giustiziadivina immutabile.

Il defunto dunque rivolge una “dichiarazione di innocenza” ad Osiride-Maat e la ripetesuccessivamente ad un tribunale rappresentato da 42 giudici, i 42 nòmi dell’Egitto visibile,

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Papiro di Ani (redatto tra il 1300 ed il 1250 Avanti l’Era Volgare.). Dichiarazione di “non-colpevolezza”.

che avevano il compito di denunciare e di punire una colpa o un peccato. Rudolf Steiner cisvela che i 42 giudici sono, in effetti, gli antenati (i Maestri Passati, se vogliamo): l’egizio avevala certezza “che la vita dell’uomo fosse connessa con quella di 42 antenati e, nel mondo di là, eglidoveva rendere loro conto se aveva o no accolto davvero in sè quanto essi gli avevano offerto spiri-tualmente.” (Rudolf Steiner, I misteri dell’Antico Egitto, Libritalia, 1997).

Colui che vive il proprio processo dimostra ai Maestri Passati che si è evoluto ha au-mentando il suo Ka, palesa con rigore la sua conoscenza dei segreti dell’Universo ed infinefornisce la prova di aver raggiunto in se stesso l’equilibrio dei contrari. Il suo cuore confermache questa è la verità, perciò viene proclamato Maakheru, cioè conforme a Maat, e Jakhu, Spi-rito santificato. Ora è giustificato, ora è Corpo di Gloria, ora è Osiride.

Come insegnano di vivere sia i Versi Aurei che ogni serio Ordine Iniziatico fino ai nostrigiorni, anche nell’Antico Egitto esisteva l’usanza che, al termine della giornata, ogni sudditodi qualsiasi rango o ceto di appartenenza si ponesse dinanzi al simbolo del Dio Thot e facesseapprofondito esame del suo comportamento quotidiano verso se stesso, verso gli altri, e versola Natura. In tal modo poteva essere sempre pronto, giunto nella Duat, a superare la temibilePesatura del Cuore, prova che poteva avvenire in qualsiasi momento. (Su questo punto è in-teressante l’analogia con il Testamento massonico di Iniziazione, nel quale si chiede appuntoall’Iniziando, chiuso da solo in un’apposita stanza, di riflettere sulla sua condizione e di chie-dersi cosa egli deve a se stesso, cosa deve agli altri, cosa deve a Dio. Del resto, tutti i Riti Ini-ziatici hanno questa caratteristica applicata alla ritualità, seppure con tempi e modalità diesecuzione differenti, ma l’analogia permane significativa).

Per quanto riguarda i riferimenti numerologici,troppo complessi per essere affrontati qui, penso possa es-sere sufficiente considerare come esempio i multipli dell’ot-tonario costitutivo (governati da Toth): alla Formula XXXII(32ª=4 x 8) si descrivono i quattro punti cardinali posti in re-lazione ad otto coccodrilli, cioè si definisce l’orientamentocosmico, mentre la Formula LXIV (64ª=8 x 8) chiarisce chela rinascita è già formata per cui l’Osiride può pronunciarela frase: «Io sono lo Ieri e conosco il Domani». Si avvia quindi ilprocesso di Trasfigurazione dalla Formula LXIV alla FormulaCXXVIII (128ª=8 x 16). Purificare e pesare il cuore nella salasacra della Bilancia (così come calibrare correttamente l’usodi altri organi preposti alla coscienza) equivale per il defuntoa dislocare le funzioni vitali dell’anima nelle sedi prepostealla evoluzione del proprio destino solare. Questo processoè figurato dal rinascere della Fenice (“Io entro come un sacrofalcone ed esco come un Bennu (Fenice) all’alba”) nell’ambitodel simbolismo cosmico che ha nella matrice ottonaria enella evoluzione novenaria il suo segreto.

Per concludere, vorrei citare alcuni frammenti la-sciando poi, a chi vorrà, leggere e studiare l’intero “Libro peruscire al Giorno”. Penso anche che risulti essere di vero aiutola lettura ad alta voce dei vari Capitoli ed il loro assorbimentobadando bene di non utilizzare l’intelletto, ma di lasciarsi trasportare dalla emozione incanta-toria che queste parole antichissime possono provocare e dalla forza potente delle immagini.

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Io entro nel Cielo, simile a un Falco. Io percorro le Regioni celesti, simile a una Fenice. Gli deiadorano Ra e gli apprestano le vie (...) Che io possa giungeread adorare Osiride, Signore della vita Eterna!

(...) Intraprendo, nella mia qualita di anima vivente,dei lunghi viaggi. Dirò: Io sono il dio Tum, solitario negli in-finiti Spazi Cosmici, io sono il dio Ra che sorge all’Alba deiTempi Primordiali, simile al dio Nu. Io sono la Grande Divi-nità che si genera da se stessa. I misteriosi poteri dei mieiNomi creano le Celesti Gerarchie. Io avanzo e gli dei non sioppongono; poichè io sono l’Ieri e io conosco il Domani.

(...) Giunto innanzi a lui, ormeggio la mia Barca epronuncio queste parole: “Dio possente! Signore della Sete!Guardami! Io sono appena nato! Io sono appena nato! Io sonoappena nato!” Egli risponde: “Io sono Ra che rende forti coloroche egli ama. Io sono il Nodo del Destino cosmico (...) la forzadella dea Hathor risplende nei miei occhi. L’Anima di Up-Uaut risuona nelle mie orecchie. Nel mio naso vivono le forzedel dio Khenti-Khas; le mie due labbra sono le labbra di Anu-bis; i miei denti sono i denti della dea Serkit; il mio collo è ilcollo della dea Iside, le mie mani sono le mani del possente Si-gnore di Djedu; è Neith, Sovrana di Sais, che vive nelle miedue braccia. La mia colonna vertebrale è quella di Seth, il miomembro virile è membro virile di Osiride; il mio fegato, e ilfegato del signore di Kher-Aha. Il mio petto è quello del Signoredei Terrori, il mio ventre ed il mio dorso sono quelli della dea Sekhmet. Le forze dell’Occhio di Horuscircolano al fondo del mio dorso. Le mie gambe, sono le gambe di Nut. I miei piedi, sono i piedi di Ptah.Le mie dita, sono le dita del doppio Falco divino che eternamente vive. In verita non esiste un solomembro del mio corpo in cui non risieda una divinità!”

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Nella cristianità è l’arcangelo Michele che pesa, come Maat,

le anime sulla bilancia

Io sono l’Oggi. Io sono l’Ieri. Io sono il Domani. Attraverso le mie numerose Nascite io sussistogiovane e vigoroso. Io sono l’Anima divina e misteriosa che, in altri tempi, creò gli dei e la cui celataessenza nutre le divinita del Duat, dell’Amenti e del Cielo. (...) Oh voi, Spiriti dalla testa di Sparvierodagli impassibili occhi, voi che dimorate nei luoghi altissimi, ascoltate attentamente le parole magiche(...) Ed i quattro piloni delle quattro Regioni dello Spazio con le loro Porte ed i Chiavistelli delle loroPorte, (siano esse collocate nel mio Mondo Interiore o Esteriore) possano essere abbandonate in poteredel mio braccio! (...)

Oh voi, sette Giudici che portate sulle vostre spalle la Bilancia! Quando nella Grande Nottedel Giudizio l’Occhio divino, al vostro ordine, mozza le teste, recide le gole, svelle, spezza i cuori e mas-sacra i Dannati nel Lago di Fuoco, in verità io vi conosco e conosco i vostri Nomi, e come io conosco ivostri Nomi, voi mi conoscete... Ecco che io mi dirigo verso di voi, o dei, come voi vi dirigete verso me.Voi vivete in me, come io vivo in voi! (...) Concedetemi il Verbo magico della vostra bocca (...) Concedetel’alito di Vita alle mie narici! Possano i miei occhi vedere nitidamente e distinguere (...)

Salve, o Signori dell’Armonia dei Mondi! Voi che, esenti dai Mali e dai Peccati, dimorate nel-l’Eternita e nell’infinita Durata! Ecco che io inizio il cammino sulla via che mi condurra a voi divenutoSpirito santificato. Io percorro tutte le Forme del Divenire. Il mio magico Verbo mi dona la Potenza. Iosono stato giudicato e santificato. Liberatemi dunque dai demoni dalla testa di coccodrillo che si celanoin queste Regioni e frequentano la Contrada della Verita e della Giustizia! Concedete alla mia bocca leParole della Potenza! (...) Possa, a mia volontà, compiere tutte le Metamorfosi, scendere e risalire, nellamia Barca, i canali di Sekht-Janru!

Salve, dio grande, Signore della Verita-Giustizia, Dio possente! Eccomi giunto a te dinanzi! La-sciami dunque contemplare la tua radiosa bellezza! Io conosco il tuo magico Nome e quello delle qua-rantadue divinita che, nella vasta Sala della Verità-Giustizia, ti circondano (...) Io non ho infertosofferenze agli uomini. Io non ho usato violenza ai miei consanguinei. Io non ho sostituito l’Ingiustiziaalla Giustizia. Io non ho frequentato i malvagi. Io non ho commesso dei crimini. Io non ho imposto, permio vantaggio, eccessivo lavoro. Io non ho intrigato per soddisfare una smodata ambizione. Io non homaltrattato i miei servi. Io non ho bestemmiato il Nome degli dei. Io non ho privato l’indigente dellasua sostanza. Io non ho commesso atti esecrati dagli dei. Io non ho permesso che un servo fosse mal-trattato da un suo superiore. Io non ho fatto soffrire il mio prossimo. Io non ho provocato delle carestie.Io non sono stato cagione di pianto per gli uomini, che sono miei simili. Io non ho ucciso nè provocatoomicidi. Io non ho provocato delle malattie fra gli uomini. Io non ho manomesso le offerte dei templi.Io non ho rubato i pani degli dei. Io non ho manomesse le offerte destinate agli Spiriti santificati. Ionon ho mai commesso azioni riprovevoli, nelle cinte consacrate dei templi. Io non ho arbitrariamentediminuite le razioni delle offerte. Io non ho tentato di accrescere, mediante mezzi illeciti, i miei beni ter-reni nè ho usurpato campi che non mi appartenevano. Io non ho falsato i pesi della bilancia, nè spostatoil suo ago. Io non ho tolto il latte dalle labbra al fanciullo. Io non mi sono mai impadronito del bestiamealtrui, mentre pascolava nelle praterie. Io non ho mai teso le reti a volatili destinati agli dei. Io nonmai pescato dei pesci con cadaveri di altri pesci. Io non ho mai ostruito le acque correnti ed i canali,quando era necessario il loro regolare flusso. Io non ho mai aperto le dighe poste alle acque correnti. Ionon ho mai estinta la fiamma del Fuoco, quando era necessario che ardesse. Io non ho violato le regoleposte sulle offerte della carne. Io non mi sono mai impossessato del bestiame appartenente al tempiodegli dei. Io non ho mai frapposto ostacoli al manifestarsi di un dio. Io sono puro! Io sono puro! Io sono puro!Io sono puro! (...) n

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La “Falsa Porta” è un elemento architettonico in pietra o legno raffigurante una simbolicaporta che con la sua magica funzione consentiva al Ka del defunto di transitare, attraverso la via del-l'Aldilà, dal regno dei morti a quello dei vivi e viceversa.

Se le offerte indispensabili alla vita del defunto non venivano effettuate, questi poteva utilizzarela lista degli alimenti incisa sulla porta insieme alle varie formule. La disposizione di queste ultime erasempre la stessa: nella parte superiore vi erano il nome e i titoli del defunto, a destra sullo stipite la for-mula dell'offerta ad Osiride, a sinistra la formula dell'offerta ad Anubi e sulle lastre laterali del fintovarco vi erano immagini del defunto con la sua famiglia.

Tra le lastre laterali e sotto l'architrave era rappresentata una stuoia arrotolata, che in origineera posta fuori della mastaba e sulla quale venivano poste le offerte.

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Eptagono regolare Eptagramma acuto Eptagramma ottuso

1

SULL’EPTAGRAMMAIN MAGIA E NELLA QABALAH

Mizar

Il settenario è sin dagli albori dei tempi collegato a specifici temi mistico-metafisici, lasapienza Egiziaca lo definiva come la completezza del manifesto e la Scuola Pitagorica iden-tificava le due file esterne del Tetraktis con 4 e 3 segni. La Qabalah individua sette lettere dop-pie, ossia ambivalenti, nel fonema e nelle possibili significanze.

Geometricamente il sette è rappresentato, per le energie in potenza e staticamente,dall’eptagono regolare, dinamicamente dall’eptagramma, volgarmente detta stella a settepunte.

Naturale l’associazione a questa figura di tutte le espressioni del sette tra cui appunto,nella Qabalah, le lettere doppie.

Ora, bisogna anche specificare che un livello intermedio di rappresentazione è figuratocon il cosiddetto eptagramma ottuso, endiadi di potenza e atto è associato al Mondo Astrale.Pertanto altamente idoneo alla pratica magica.

Per il principio delle corrispondenze, secondo il quale ad ogni numero corrisponde unalettera, ad ogni lettera una vibrazione, ad ogni vibrazione una qualificazione astrologica equindi a delle entità energetiche primeve o a delle intelligenze metafisiche, sfruttando il prin-cipio di analogia si può magicamente procedere alle trasmutazioni ed alterazioni ritenute edauspicate utili e necessarie alla rettificazione e reintegrazione del Sè.

Tale concetto di analoghe risonanze, ove la parte è un sotto-insieme del Tutto ed ana-loga ad altre parti in un continuum onnipervadente, è ben specificato nella Tavola di Smeraldo:

Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per compiere i miracoli della Cosa-Unica

Il Sette, quattro più tre, anzi meglio, tre (le forme) e quattro (le sostanze)1, quindi laforma più la sostanza o anche e pur diversamente, ciò che è intermedio tra le stesse, alludeimmancabilmente al Piano Astrale intermedio, per così dire, tra il Mondo Fisico e quello Spiri-

tuale, esso è la fondamentale sostanza connettiva del Cosmo. La scienza, con il procedere della tecnologia, espone e ri-vela antichi concetti aritmo-

sofici. Secondo la biochimica e più recente genetica il DNA è un polimero organico costituitoda nucleotidi formati con tre sostanze: una base azotata, un gruppo fosfato e il deossiribosio;ma attenzione, quattro sono le possibili basi azotate: adenina, guanina, citosina e timina;quindi tre più le quattro declinazioni costituiscono la magica elica della vita.

Sette secondo la Tradizione e in ragione di riscontri empirici i colori nella partizionediscreta, sette le note, sette i pianeti determinativi astrali e derivativamente i giorni di una set-timana.

La Cabala, antica sapienza Iniziatica, erede della sapienza Egizia come dei sistemi svi-luppatisi nell’antico vicino-oriente, ha straordinariamente sintetizzato queste corrispondenzemetafisiche.

Non delineeremo in questa sede la storia di questa corrente tradizionale ma confer-miamo essere il Sepher Yetzirah opera cardine e matura di queste conoscenze, per questo testo,in tutte le sue diverse versioni, le ventidue lettere dell’alfabeto ebraico sono classificate in basealla posizione degli organi vocali e alla qualità del suono che ne deriva pronunciandole, es-sendo la vibrazione sonora analoga per eccellenza al dinamismo del Cosmo Manifesto.

Da ciò la suddivisione delle lettere in:- Tre radicali, che sono chiamate madri;- Sette doppie, che hanno due suoni diversi a seconda dell’inflessione;

- Dodici lettere semplici, che esprimono un solo suonociascuno.

Gli studiosi ed i mistici hanno compendiato nellaforma della Rosa Mistica o Rota, tale formula-zione: le lettere sono disposte a seconda dellacategoria in tre anelli concentrici.Ora tutte le disposizioni delle lettere-cifreesprimono i cangianti aspetti del manifesto,la Chiave dei Grandi Misteri, come inter-pretata dal Magista Eliphas Levi nel XIXsecolo, risiede nella comprensione ed inte-riorizzazione delle emanazioni e dei sentieridell’Albero della Vita cabalistico, 10+22=32espressioni dell’Essere.

I 10 sono i Sefiroth o Sefirot, ספירות, mo-dalità ed espressione emanativa dell’Assoluto.Da un punto di vista teologico tali Sefirot o Luci

Increate sono dunque considerate increate ma, in qualità diemanazioni divine, non sono vere e proprie ipostasi, non possedendo

la natura completa del divino. Ad esse vanno associate le diverse potenze e categorie arche-tipiche in cui si declina la Manifestazione Cosmica.

I 22 sentieri, le lettere, i canali, sono l’attualizzazione della potenza emanativa.A seguire una rappresentazione in cui linee rosse individuano i sentieri delle lettere

madri, quelle blu le lettere doppie e in verde le 12 semplici. Si notino i parallelismi e le verti-calità, esprimenti dei profondi misteri.

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Rosa Mistica,Rota

Ora, tornando al sette, in tutta l’operatività magica tale concetto ap-pare nelle sue rappresentazioni operative con il cosiddetto Sigillum Dei,Sigillo di Dio o Signum Dei vivi, Segno del Dio vivente, diagrammamagico, sviluppato in età medievale, che permette al suo pos-sessore l’esecuzione di svariate metodologie magico-inizia-tiche, tra le quali l’ottenimento della visione beatifica,ovverossia la capacità di vedere le entità disincarnate, tra lequali gli Angeli.

La diffusione operativa di questo sigillo ha assuntoparticolare rilevanza nel XVI secolo mediante l’opera di JohnDee, Mago, Alchimista, matematico, astronomo, filosofo non-ché astrologo di corte della regina Elisabetta I.

Il complesso schema che estrinseca il 3+4=7 dianzicommentato, è formato principalmente da due circonferenze,un pentagramma, un eptagramma ed un eptagono, sui qualisono collocati i nomi Divini e degli Angeli, attenzione le iscri-zioni compaiono in caratteri latini, poiché i sigilli non stati ori-ginati da ebrei e presentano l’adattamento ad altri alfabeti, unelemento eterodosso accettabile in questo caso dalla preva-lenza delle forme eptagrammatiche per la tipologia di operazionemagica in esame.

Invero vi sono diverse descrizioni presentanti alcune varianti nellerappresentazioni grafiche, a seconda dei diversi autori, ma l’impianto co-mune si fonda sul settenario, gli astri che collegano l’Universo Esterno colMicrocosmo.

Documentalmente la più antica descrizione di questo sigillo è con-tenuta nel Liber Iuratus, anche noto come Liber Sacratus o Liber Sacer sive Iu-ratus, la cui copia più antica risale al XIV secolo (Sloane MS 3854, fol. 117-144, conservato

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British Museum. Disco di cera

con il Sigillum Dei Aemeth,utizzato da John Dee

Albero della Vita

Cabalistico

John Dee

presso la British Library), peraltro la sua redazione è sicuramente anteriore a questa data es-sendo già citato in opere del XIII secolo.

Tale opera appartiene ai co-siddetti grimori salomonici, libri diMagia basati sulla Tradizione ri-conducibile al mito di Re Salo-mone, fra questi esponente pereccellenza è la Chiave di Salomone2.

L’erudito Johannes Hartlieb(1410 circa-1468) cita l’opera con-siderandola tra le più efficace-mente usate nelle pratichenegromantiche. L’autore, nonchiaramente individuato è perlo-più ritenuto essere tale Onorio diTebe, invero un personaggio piùmitologico che storico, anche ci-tato dall’abate Tritemio nella Po-lygraphia del 1518 e da Cornelio

Agrippa nel suo De Occulta Philosophia del 1531. La descrizione del sigillo nel Liber Iuratuscomincia con le istruzioni per il suo disegno, che deve essere fatto con ben precise propor-zioni:

Fai un primo cerchio il cui diametro sia di tre dita, in relazione ai tre chiodi della croce del Signore, oppure cinque, in relazione alle cinque piaghe, oppure sette in relazione ai sette sacramenti, oppure nove in relazione alle nove schiere angeliche, ma in generale cinque ditasaranno sufficienti. Poi dentro a questo cerchio fai un secondo cerchio, distante dal primo due grani, in relazione alle due Tavole della Legge di Mosè, oppure tre grani, in relazione alle persone della Trinità3

I due cerchi così disegnati costituiranno una corona; all’interno di questa, dopo averapposto sull’apice una croce, vanno iscritte 72 lettere latine, la cui sequenza varia a secondadelle tradizioni; in MS Sloane 3853 la sequenza riportata (letta da destra verso sinistra) è:

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2

3

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h, t, o, e, x, o, r, a, b, a, s, la, y, q, c, i, y, s, t, a, l, g, a, a, o, n, o, s, v, l, a, r, y, c, e, k, s, p, f, y, o, m,e, n, e, a, u, a, r, e, l, a, t, e, d, a, t, o, n, o, n, a, o, y, l, e, p, o, t, m, a.

Questa sequenza di lettere determina anche i nomi degliAngeli Planetari, entità angeliche assegnate a ciascun pia-neta e nel loro insieme individua lo Shemhamepho-rasch: l’ineffabile nome di Dio, magnum nomen DominiSemenphoras licterarum 72, che mostra l’innegabilelegame del sigillo con le pratiche cabalistiche4.

Al centro dello schema si trova un penta-gramma, che riporta al suo interno la lettera grecaTau, simbolo di salute5 e perfezionamento; intornoad essa, sono sistemate le cinque lettere dei nomidivini El ed Ely, insieme ad altre cinque coppie dilettere: yl, al, el, al, um.

Intorno al pentagramma troviamo un primoeptagono, che lo racchiude completamente; all’internodei suoi lati sono trascritti i nomi di sette tra angeli e ar-cangeli: Cafziel, Satquiel, Samael, Raphael, Mahel, Michael eGabriel.

Ciò che troviamo, invece, tra l’eptagono e la corona esterna,varia da versione a versione, ma generalmente si tratta di una struttura basata su eptagoni oeptagrammi, comunque focalizzata su sette punti importanti attorno ai quali si incrociano di-versi nomi divini. Nella versione qui presentata, che è tratta dal Liber Juratus, si vede un epta-gramma che definisce sette punti focali dell’intero diagramma (punte della stella), i quali sonomarcati con una croce. Nei bracci della stella stanno intrecciati sette nomi divini, ciascuno divisonelle componenti sillabiche e messo in relazione spaziale con i nomi degli angeli che troviamonell’eptagono interno: la-ya-ly (con Cafziel), na-ra-th (con Satquiel), (e)t-ly-alg (con Samael),

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4

5

ly-bar-re (con Raphael), ve-h-am (con Mahel), ly-ba-res (con Michael) e y-al-gal (con Gabriel).Nei sette sub-segmenti che rimangono, leggiamo altri sette nomi, alcuni dei quali sono ripetuti:Vos, Vos, Gram, Gmney, Vos, Aira, Vos.

Infine, negli interstizi tra la corona e l’eptagramma, sono iscritti altri sette nomi chesono attributi di Dio. Si comincia nel primo settore con un curioso quadrato, diviso in quattroparti da una croce potenziata, dove sono poste le lettere a, g, l, a. Si tratta di un ben noto acro-nimo cabalistico, AGLA, che sta per Atãh Gibõr Le’õlãm Adõnãy, ossia Voi siete potente ineterno Signore6. A seguire, altri sei nomi: Ely ed Eloi (che entrambi significano Dio Altissimo),Christus, Sother (parola greca che significa ‘salvatore’), Adonay (Signore, ma anche padrone) eSaday (Onnipotente).

Il Liber Iuratus conclude la descrizione del simbolo e del suo metodo di realizzazioneindicando anche i colori che il sigillo deve avere: il pentagramma centrale è solitamente rossoo porpora, con i lati gialli; il primo eptagono blu, l’eptagramma giallo e i due cerchi neri. Inoltre,l’area compresa tra i cerchi e il resto delle figure deve essere colorata di verde.

Diverso è il caso se si utilizza il sigillo direttamente nelle pratiche magiche; ove esso

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6

andrà tracciato su pergamena vergine con sangue di talpa, piccione, upupa, pipistrello o altrianimali tra i quali buoi, cavalli o cervi.

Gli autori successivi, tra cui John Dee, suggeriranno invece di realizzare il sigillo susupporti di cera di opportune dimensioni, su cui verranno incise le figure ele scritte. Altre versioni del Sigillum Dei sono contenute nelle diverse edizionidella già citata Clavicula Salomonis e alcuni suoi derivati, segnaliamo percompletezza una particolare versione del sigillo in una Clavicula in linguaitaliana presente nella collezione Heimann Joseph Michael nella BodleianLibrary (MS Michael 276); di essa John Aubrey, nel 1674, realizzò una copia,anch’essa custodita nella medesima biblioteca (MS Aubrey 24).

Una delle più antiche versioni originali sopravvissute del Liber Juratusè, tuttavia, quella contrassegnata con il numero 313 nella collezione di HansSloane, custodita presso il British Museum (MS Sloane 313). Si dice che que-sta copia faceva parte della biblioteca personale del citato John Dee, che ana-lizzò e lavorò mediante il Sigillum Dei, attribuendogli un ruolo centrale nelV libro del suo Mysteriorum libri quinque, raccolta di cinque diverse opere sultema della cosiddetta Magia Enochiana.

Giova precisare che la versione del sigillo di Dee è leggermente mo-dificata e riveduta, è nota col nome di Sigillum Dei Aemeth, o Emeth, unaparola ebraica che significa Verità. (Nella tradizione ebraica del Golem, il gi-gante di fango a cui il rabbino Judah Loew ben Bezalel aveva dato vita,EM’TH (ossia, "verità") è la parola che doveva essere tracciata sulla frontedel colosso per dargli la vita. Al contrario, per renderlo nuovamente inanimato, era sufficientecancellare la prima lettera, dando così origine alla parola M’TH, che significa “morte”).

Il British Museum, a Londra, conserva alcuni oggetti usati da John Dee nell’applica-zione pratica della magia. Tra essi spicca un disco di cera del diametro approssimativo di unatrentina di centimetri, coperto con l’incisione del Sigillum Dei Aemeth, usato come supporto

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per una piccola sfera magica di vetro (anch’essa in mostra nella stessa teca) usata per l’evoca-zione delle entità angeliche.

Per questo suo approccio evocativo ed operativo, l’opera di Dee e di altri come lui venneaspramente criticata dal gesuita Athanasius Kircher (1602-1680), il quale inserì, nel settimocapitolo del suo monumentale trattato Oedipus Aegyptiacus, hoc est Universalis HieroglyphicaeVeterum Doctrinae temporum iniuria abolitae instauratio (1652-53), una raffigurazione del SigillumDei abbastanza conforme alle descrizioni originarie, unitamente ad una dettagliata descrizione.

In linea alla dottrina cristiana di cui egli è fervente portavoce, Kircher non risparmia disottolineare quanto il sigillo sia perico-loso, blasfemo ed eretico, oltre che im-preciso per l’errata traslitterazione dialcuni termini dalla lingua ebraica, dicui egli era certamente esperto cono-scitore.

Kircher aggiunge ancora che il si-gillo appartiene logicamente alla sferadei sigilli di Venere (per la posizionecentrale del Pentagramma, che è ancheun noto emblema venusiano) e chequindi poteva essere utilizzato per pra-tiche di ambigua natura, come quellevolte a suscitare istinti lascivi e legatialla sfera concupiscente.

Concludendo l’esame di questo si-gillo, espressione del settenario, è d’uopouna valutazione intermedia tra quella

espressa dal Dee e quella in opposizione del Kircher, poiché se è vero che le energie e le potenzepossono essere pericolosamente abusate è altrettanto vero che il percorso di rettificazione rein-tegrativa necessita anche di operare sulla fisicità, risultandone determinante l’intento e la vo-lontà dell’operatore al fine di qualificare come nobile o degradante l’operatività del Magista.

Ora, per chiudere il cerchio, resta da determinare la valenza del metodo delle Permu-tazioni e che afferenza abbiano le stesse col settenario.

In gran parte della Tradizione Cabalistica, il Combinare e Permutare le lettere dell’alfabetoebraico, quindi anche il connesso valore numerico; in associazione a tecniche respiratorie e con-templative è fondamentale per raggiungere stati estatici o livelli diversi di misticismo spirituale.

Questo essenzialmente per due motivi:- L’analogia espressa dai valori numerico-letterali in osservanza a quanto detto prece-

dentemente consentono di determinare una particolare Sinergia Dinamica nel Mago;- La ripetuta e continuata vocalizzazione e visualizzazione di suoni e lettere, immagini

e colori, con la focalizzazione dell’attenzione sulle Tzeruf, permutazioni del caso, liberano ilpensiero dalla mente che diventa, per risonanza, mero riflesso delle idee archetipiche

La Permutazione consente l’ultimo salto verso la comprensione del manifesto e dellasua sintetica ridisposizione ai fini reintegrativi; poiché non e altro che l’applicazione del prin-cipio di corrispondenza ed analogia su tutti i piani d’esistenza possibili.

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La tecnica Tzeruf usa la rappresentazione linguistica nel suo valore essenziale e, dato uncomplesso logico, lo rivolge a tutte le diverse rappresentazioni dell’esperibile e dell’ideabile.

Molti sono i sistemi di permutazione cabalistica, daquelli fonici a quelli letterali e saranno oggetto didiversi approfondimenti con capitoli a parte.

Evidente appare adesso lacompleta mutua interconnessione diidee archetipiche, simboli, cifre ed entiaccidentali come anche il qualificato edeterminato impegno che richiede ilpercorrere la via Magico-Iniziatica.

Osserviamo a conclusione come questeoperatività specie nelle loro attuazioni evocative

debbano essere condotte solo da Maghi di provata esperienza,poiché questi Offici sottendono alle componenti costitutive del Cosmo.n

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RICORDANDO MARCO DAFFI

Marco Daffi era il nome iniziatico del barone Ricciardo Ricciardelli, sin-golare figura dell’esoterismo italiano della prima metà del XX secolo.

Inizialmente discepolo del Kremmerz, Daffi se ne distaccò per elaborare unapersonale dottrina ermetica poi ampliata e riveduta dal Suo discepolo Gian MariaGonella (Giammaria).

Daffi fu il primo a rivelare che il misterioso N.R. Ottaviano era il PrincipeLeone Caetani di Sermoneta da Lui conosciuto in giovanissima età, e fu in strettocontatto con Vincenzo Gigante, l’Iniziato che successe al Principe Caetani allaguida del misterioso “Ordine Egizio” ovvero l’Antiquus Ordo Aegypti (A.O.E.).

Per volontà degli unici Suoi discepoli ancora viventi, Giammaria e Sua mo-glie Auri, vi proponiamo le Loro testimonianze dirette.

Auri Campolonghi Gonella DON RICCIARDO

Conobbi don Ricciardo con piacere e con un poco di curiosità, ma so-prattutto con un senso di rispetto e stima. Era un signore gentile e piace-vole, molto educato, che sapeva mettere a proprio agio gli ospiti.

Quando don Ricciardo aveva saputo che io consultavo le carte perme o per altri, mi chiese seavessi voluto consultarle ancheper Lui. Volentieri acconsentii eLui mi disse che mi avrebbescritto quando ne avesse avutobisogno. Così fu.

Ricevetti, quindi, dopopoco un Suo messaggio con lapreghiera di tirarne fuori l’ora-colo, ma con brevi parole emolto chiare. Feci del mio me-glio e da quel momento, a di-stanza di qualche mese,ricevevo una Sua domanda o uninterrogativo. Mi ringraziavasempre garbatamente e con pa-

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role di soddisfazione.Venne la volta che avrei dovuto Vedere se al-

cune persone, a Lui vicine, lo ‘tradivano’ - perquale ragione non so. Dalla visione della sfogliatami venne chiaro che stava per essere tradito, comegià era stato fatto per altro. Serena e convinta diaver fatto il mio dovere, attesi una Sua risposta;ma quando la risposta arrivò rimasi senza fiatoleggendo che avevo sbagliato tutto e che dovevoavere avuto le “traveggole” e insomma che “facessiattenzione prima di scrivere...”.

Riandai con la mente alla sfogliata, tornai a ‘vedere’ ma io, fuori daquell’interrogativo, non vedevo altro che il tradimento di quelle due per-sone. Però tacqui e finii per pensare che proprio dovevo aver sbagliato, miscusai per lettera ma lo stesso non riuscivo a capire il perché, dato che conla memoria rivedevo il tradimento. Dopo circa un mese mi arrivò una let-tera di don Ricciardo che si scusava con me, perché aveva purtroppo avutola prova che veramente era stato tradito da queste due persone. Così ri-prendemmo gli scambi di missive.

Venne però il momento che anche don Ricciardo se ne andò, con no-stro grande dispiacere.

Mi mancarono le Sue lettere ove mi chiedeva la Visione su qualchepersonaggio, cosa che adempivo con grande attenzione.

Quando don Ricciardo ci lasciò, ne ebbi e ne avemmo un vero e forte

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dispiacere, poiché era per noi la voce di una interiorità profonda che si ri-velava a tratti anche in momenti total-mente fuori da un contesto... tanto dasorprenderci, ma da accogliere come la‘voce’ che non era più di don Ricciardoma di un ‘ente’ al di fuori del ‘pesante’mondo che ci circonda.

Venne il momento che avremmodovuto leggere per alcune sere il“Salmo di Accompagnamento” per la di-partita di don Ricciardo. Così fu de-ciso, ed io sarei stata la seconda vocenel pronunciare le parole del salmo.

Tutto era pronto: la stanza oveavrei pronunciato le parole di ‘accompagnamento’ fino alla soglia dell’ ‘inco-nosciuto’ mi attendeva, purificata e senza altre presenze oltre la mia.

Ogni parola del salmo suonava in quel momento leggera e fluida, se-nonché ad un certo punto cominciai a percepire qualcosa di diverso: miparve che verso la mia destra ci fosse qualcosa, percepii una presenza in-visibile che però sembrava volesse impossessarsi della mia interiorità e im-provvisamente capii.

Chiusi il libro dei salmi, mi rivolsi a quella presenza e dissi: «No!»Dissi “no” al divenire una ‘Pizia’ alla mercé di chi voleva ancora ‘par-

lare’ attraverso di me, dissi “no” al cancellare la mia piccola vita e la miasia pure piccola sensitività.

«No!» dissi ad alta voce, «nel mio piccolo farò del mio meglio, dasola, integra e senza che nessuno, qui o dopo, mi prenda come stampella.Addio».

Dopo di che dimenticai l’accaduto e ancora oggi sono lieta di essereme stessa nella mia dimensione. Puoi essere piccola, ma il cammino è lungoper tutti.n

Giammaria Gonella LA VOCE

«Mi raccomando, stia tranquillo col Barone» mi disse il prof. GinoTesti, in vista di accompagnarmi dal Barone Ricciardo Ricciarelli. «Certa-mente» lo rassicurai, chiedendomi però, fra me e me, la ragione di una rac-comandazione del genere.

L’incontro - alIe 17, in casa del Barone, in via Tevere a Roma - fu del

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tutto normale, tanto che poi chiesi al professore il motivo della sua preoc-cupazione e del suo monito. In risposta lui ci raccontò che, una volta, avevaaccompagnato un tizio dal Barone al quale costui, nel corso dei discorsi,ebbe a dire che in una sua precedente vita si era suicidato. Alle sue escan-descenze il Barone gli disse, risentito, che gli avrebbe fatto rivivere quel-l’esperienza ed infatti, in piedi eretto, tracciò nell’aria dei segni con le manimormorando chi sa quali parole... Allora il tizio, in trans alzatosi dal divanosu cui seduto si diresse verso il poggiolo che dava fuori della stanza; «For-tuna» continuò il prof. Testi «che io fossi sulla porta del poggiolo, altrimentiquello si sarebbe buttato, ma lo bloccai e lo scossi tanto da farlo rinvenire».

Mi stupii non poco, poiché il Barone mi era parso persona tranquilla,posata, come poi ebbi modo di consta-tare nel corso di venti anni, anchequando si parlò del “processo Pu-gliese” (nipote del Kremmerz) in cui ilBarone, fra l’altro, venne ritenuto af-fetto da paranoia.

Per incidens, può anche, in sensoimproprio, dirsi paranoide (non para-noico) chi professi l’idea portante diuna “via iniziatica” e - perché no?-anche schizoide (non schizofrenico)chi, come il Nostro, si riteneva campodi effervescenza di più personalità abantiquo, in tutto un divenire reincarna-zionistico (v. “Marco Daffi e la suaopera” - ed. Kemi).

La reincarnazione era la suafissa, dalla quale per il vero prese a ria-versi negli ultimi tempi della nostra frequentazione, che fu (fuor ched’estate) mensile - nei primi 15 giorni - per i primi due lustri, settimanalepoi e via via meno per altri due sino al 1969.

Andavo da Don Ricciardo (cosi famigliarmente lo chiamavo) di po-meriggio, per fermarmi sino a sera anche avanzata. Non di mattina poichéera impegnato prima al Pontificio Ateneo Lateranense in Diritto Canonico,poi alla Romana Rota, e quindi presso un Istituto di Lingue e Diritti orien-tali, per due anni per questi, e arabo ed ebraico, nonché per sei anni perPsicologia Complessa presso un Istituto italo svizzero.

Ebbene, negli ultimi tempi mi diede esplicitamente atto di avere er-roneamente scritto nel saggio Ermetismo Alchimico (rivista “Ulisse”, ottobre

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1948) del “ciclo delle rinascite” quale principio ermetico-alchimico, e con-venne pure che è addebitabile al Teosofismo lo spaccio della reincarnazionequale fulcro del pensiero buddista, che anzi rifiuta la nozione di un egoche passi da una esistenza ad altra.

Che, d’altronde, il “samsara” sia manifestazione di una nuova esi-stenza sotto influsso di una precedente non significa né comporta che sitratti di reincarnazione; si può invece dire che in esso si esprime il feno-meno della metempsicosi, per cui la psiche del defunto - visto come com-plesso individuo di campi energetici - si assimila ai più diversi campienergetici psichici, così come si assimila a quelli fisici il fisico, e proprio ciòescludendo una qualsiasi reviviscenza personale. Insomma la metempsi-cosi propriamente è ne più ne meno che trasmigrazione di elementi psi-chici, così come di quelli fisici è la metemsomatosi, che si dà nella storiadell’arte e nella politica, in una delle sue forme, quando un grande artistao un capopolo lascia una impronta di sé, del suo pensiero e della sua arte,per un certo tempo, e di cui si fanno paladini i seguaci, consapevolmenteo meno.

Dunque la sua fissa era la reincarnazione, sebbene preso da “l’operadi espurgazione” necessaria - sono parole sue - “per divenire Nume” , per “farsiDio” (v. “Epistolario confidenziale”) nel Nome, in essa, di Morkohekdaph, dame tradottoin Marco Daffi.

Nell’ordine della sua espurgazione, una volta mi chiese expressis ver-bis di dargli una mano; avrei dovuto in pratica, seduto sul divano di fronte

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al tavolo suo di lavoro dietro al quale sedevacome abitualmente, guardare e dirgli quelloe quanto avessi “visto”...

Ovviamente mi apprestai all’uopo edopo neppure due, tre minuti gli dissi chevedevo la stanza trasformata in una sala diun tempio, con due alte colonne ai lati e, die-tro un’ara lui, dal volto più barbato ma pursempre riconoscibile come persona, palu-dato da sacerdote... egizio... quando ecco,dietro alla sua destra, in luogo della portadella stanza-sala era uno schermo nero, diun nero profondo... e ad un tratto da questoprese come a venirne fuori una vaga figura (umana?) che faceva sforzo peruscire alla luce... ma non ne veniva fuori.

«Ha visto quello che ho visto anche io» mi disse e «non sono riuscitoa vedere oltre» concluse ringraziandomi.

Per me fu un tipico caso di telepatia fra noi anziché di chiaroveg-genza di quel sacerdote della corte faraonica che, in illo tempore, - insidiatala moglie del Faraone - si sarebbe appropriato del tesoro del Tempio delSole, donde la situazione del Barone Ricciardo Ricciardelli con relativa mis-sione espiatoria, di espurgazione, al fine della emergenza del Marco Daffiin tutta la sua numinosità.

Sul peccatuccio ad divinitatem, con conseguente pagamento di dazio,è da dire che il tema si ritrova in due libri di Haggard: “Shea” e “Il ritornodi Ayesha”, ma per il Nostro era il retroterra storico - e sottolineo storico -da “solvere” e in questa esistenza, approfittando del patrimonio disponibiledi decine e decine e decine di milioni... di allora.

Da parte mia ero, piuttosto, interessato a che riuscisse a dare un certocorpo dottrinario all’Ermetismo, alchimico in particolare, non dico magicoin tanto in quanto il Magismo del Daffi era gnostico (non egizio e dunquepropriamente non “ermetico”) quale quello kremmerziano e di tutta laScuola di Napoli...

Riuscii, peraltro, negli anni ‘60 a dirottare su Auri (mia mulier in al-lora) le richieste di “oracoli” ed Auri, molto capace in fatto di taromanzia,venne più volte richiesta dal Barone di “fargli il Tarocco” finendo col dive-nirne “la pupilla”.

Da parte sua il Daffi studiò il Tarocco e l’I Ching non solo come mezzidi consultazione personali, ma pure come mantiche in termini filosofali,per non dire dell’Astronlogia, in punto alla quale mi scrisse (v. “Epistolario

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confidenziale”): “... quando chieggo i dati, fingo di chiedere i detti per mascherarecon una finta ricerca astrologica (in realtà astronlogica)... i miei poteri... mi bastaormai fissare una persona...” In parole povere: l’Astrologia riguarda la per-sona al secolo quindi anagrafica, biografica, ... l’Astronlogia, l’Io imperso-nale, numinoso, teso alla identificazione col Principio e di cui il Nome èrichiamo...

Comunque il lavoro sulle Tavole di Ermetismo proseguì lungo ilcorso de gli anni (v. “Epistolari”) e soprattutto proprio per comporle ai finie agli effetti di una loro pubblicazione, fondai il Corpo dei Pari, giusto poiil mandato espressamente avuto dal Nostro, quale suo esecutore testamen-tario (v. “Appendice de l’Epistolario confidenziale”).

A me rimase sulle spalle l’Astrologia.Certo è che il Daffi non mancò di intuizioni folgoranti in merito a te-

matiche della Filosofia Ermetica. Basti dire di ciò che ha scritto su l’Uno (v.“Epistolario Filosofico”): “L’Uno... è per sua natura una tenebra negativa, che solopuò conoscersi - ragione stessa di essere della creazione medesima - creando e in-dividuando” (!).

Donde l’ “indiazione’’ da parte dell’operatore alchimico a fare Oro daquel oro che personalmente ha. Di questo suo Iter il Daffi ha eloquente-mente scritto (v. “Epistolari”).

Ha scritto anche del Kremmerz e dei kremmerziani (v. ibidem e sulBollettino della Società Italiana di Metapsichica/Parapsicologia, anno I fasc. 2,luglio dicembre 1955 pagg. 84/86 e anno IV fasc. 1, gennaio giugno 1958pagg. 13/15. - in sintesi in Collecta, ed. Amenothes.

E non pochi kremmerziani a lui si rivolsero per riceverne pareri, sug-gerimenti, consigli per mia conoscenza diretta avendoli visti e stando aquanto, con molta discrezione, lui mi diceva; poi, però, quando è morto:come se mai fosse esistito! per mia conoscenza diretta, avendo casualmenteincontrato più di uno di quelli.

Non conobbero il Barone gli amici Bruno (svizzero), Otto (austriaco),Puska (polacco) che, da me conosciuti a Roma, si erano impegnati anch’essisull’Iter, ma lo conobbero e lo conobbero come Marco Daffi il Giorgio V.che ne ha scritto un breve saggio anche perché conosciutolo nell’arco dipoche ore, e l’Elio G., del quale dico in “Marco Daffi e la sua opera” e già di-scepolo del prof. Ugo Gallo, che si ritenne, potrei dire si volle, suo disce-polo, nonostante il Nostro mai e poi mai si fosse con chicchessia propostocome tale.

Posso aggiungere che i nostri rapporti divennero tanto famigliari davenire anche a Genova a trascorrere con me e con i miei qualche Natale eda offrire a me e a mia madre, venuta a Roma per l’occasione, una cena in

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un noto ristorante quando presi la licenza in “utroque iure” negli anni ‘50.Per quanto comunque concerne le vicissitudini del Barone Ricciardo

Ricciardelli, in questo mondo e di questo mondo, nulla di più eloquenteche “Il processo del Mago” (ed. Società Editrice del Libro Italiano) dalla cuilettura risulta che il Kremmerz, al momento della sua morte, era imputatoavanti il Tribunale di Chieti correo con kremmerziani a danno del Barone,ma questi con me parlando ha sempre esclusa una qualche sua correspon-

sabilità, ritenendolo però responsabile nei suoiconfronti (v. “Epistolario confidenziale”) in altritermini, su ben altro piano, che potrei dire“astronlogico”.

Per conoscere il pensiero del Daffi, nulla dimeglio che la lettura de gli Epistolari nei qualiegli spazia su più diversi temi ermetici, anche inmodo originale e di questa originalità, almenoper quanto concerne la pratica del Tarocco è te-stimone Auri (v. “Il Tarocco Egizio” - fuori testo)che con il Daffi, a richiesta dello stesso, ebbe peranni “un carteggio”, per non dire della sua espe-rienza (ibidem) dopo la morte del Barone, espe-rienza che può dare da pensare...

Insomma, “dietro” - “dentro” la persona delBarone Ricciardo Ricciarelli era l’iniziato MarcoDaffi, con tutte le sue ombre e le sue luci, ma con

l’intuizione netta che Grande Opera è un “indiarsi”, non anche purtroppocon la visione della vita come un sogno con quel che ne consegue, tipicohandicap di chi sia su una “via di potere” ove è più portato a cambiare il vi-vere-sogno che a svegliarsi da esso; ma poco, ma sicuro che come ebbe a bendire Auri, dopo averlo conosciuto, da Lui a momenti veniva la VOCE. n

L’OPERA OMNIA DEL DAFFI

Per incidens, il Nome Marco Daffi è stato mia “invenzione” bene ac-cetta dal Nostro (v. lettera del 19/1/53)... quanto all’ “opera letteraria”,dico del Daffi in senso lato poiché non tutta sub nomine, per quanto ne sap-pia, consiste nei seguenti scritti:

u l’EPISTOLARIO (nelle sue due da me distinte parti)u i DISSERTAMINA (nell’edizione integrale)u L’ERMETISMO ALCHEMICO (saggio pubblicato su la rivista Ulisse nel

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1948 a firma Ricciardo Ricciardelli);uDue articoli (a firma “un kremmerziano”: l’uno sul Bollettino della SocietàItaliana di Metapsichica fasc. 2, dicembre 1955 su il Kremmerz - Commenta-rium e altre opere, l’altro sul Bollettino della Società Italiana di Parapsicologiafasc. 1, giugno 1958 su il Kremmerz - Opera Omnia III vol. e Dialoghi su l’Er-metismo)u l’AVVERTENZA (v. Atti del Corpo)u la VISIONE ERMETICA (ibidem)u il COMMENTO a la novella Lo specchio delle verginiu Vita di KREMMERZ (in ediz. Alkaest)u STORIA della Myriam (ibidem)u NOTE critiche alle carte storiche della Myriam (ibidem)u INTRODUZIONE alle MANTICHE (v. rivista Kemi da nn. 36 a 39, u da 42 a 44, da 46 a 49)u su l’Yl CHING (v. ibidem n. 57)u Gli AVATARS (v. ibidem nn. da 32 a 34 e 41)uIl TAROCCO con EXCURSUS e DISPOSIZIONE (v. ibidem n. 79)u THESAURUS MEDICINAE DEIuALCHIMIA ERMETICAu SOLVE e COAGULAu TAVOLE e COMMENTI (v. Marco Daffi e la sua opera, ed. Kemi, u da pag 29 a pag 195)u RITI del CORPO dei PARI

Invero gli scritti prima de gli anni ‘50 (Introduzione alle mantiche, GliAvatars, Vita del Kremmerz, Storia della Miriam eNote) sono di mano e di testadel Barone Ricciarelli, mentre quelli posteriori (Solve e Coagula, ThesaurusMedicinae Dei, Tavole eCommenti) soltanto di mano sono dello stesso, che viae via andò sottraendosi all’influenza del pensiero del Kremmerz (v. che cosane dice in Epistolario confidenziale, lettera del 23 marzo ‘63) esprimendosi daLui la Voce di Marco Daffi... si legga il saggio su l’Ermetismo alchimico del‘48 (su la rivista Ulisse) per avere il quadro del personaggio, in allora, la cuivisione prese a cambiare, dopo che c’incontammo e ci frequentammo, tantoche negli ultimi anni della Sua vita, mentre ben chiara Gli era ormai la di-stinzione fra Magia ed Alchimia (v. Epistolario) anche l’idea della reincarna-zione aveva preso a vacillare, in Lui, in una apertura a una “estensione” nontemporale, non storica, ma “in interiore parte hominis”; fu in merito colpitodalla mia osservazione, ragionando terra a terra, che l’idea della reincarna-zione non quadra con l’aumento nel corso dei secoli degli esseri umani...

D’altronde, mentre al Daffi possono farsi risalire i primi saggi auten-

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tici, non solo “verbis”, di Ermetismo alchimico, poi dati alle stampe, alKremmerz può accreditarsi l’intento, andato fallito però con la fondazionedella Fratellanza di Miriam, di evincere in termini di terapia la Magia Na-turale dal “paranormale” all’insegna di una azione deliberata.

È un fatto che né il Daffi né il Kremmerz hanno avuto una precisanozione del Paranormale, che pur sempre è in questo mondo di questomondo. Non vuole suonare a discredito il ridimensionamento del Krem-merz alla personalità terapista del Ciro Formisano aureolata di magismo,solo di nome, correlato all’esoterismo iniziatico egizio, come solo a parolead esso si correlavano e si erano correlati personaggi della “scuola napole-tana”, come Lui tutti peraltro fuori della Via Alchimica.

I fatti sono quelli che sono. n

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SU ALCUNI GRADIDELLA SEZIONE GNOSTICO-ALCHEMICA

DEL RITO DI MIZRAÏM-MEMPHIS(i Gradi dal 35° al 38°)

Eleazar

35° GRADO – IL CAVALIERE DEL TEMPIOIl Grado di Cavaliere del Tempio (o Cavaliere del Tempio della Saggezza) è il primo

grado gnostico-ermetico che compare in 35° posizione nella Scala del Rito di Memphis diÉtienne Marconis de Nègre descritta nel noto saggio del 1849 “Le Sanctuaire de Memphis” conla denominazione di “Gran Commendatore o Gran Comandante del Tempio” e segue il Cava-liere Grande Ispettore.

Esiste, nella Scala di Étienne Marconis, al 28° Grado, un Cavaliere del Tempio, ma esa-minando il testo, si vede che è una elaborazione del 27° Grado del Rito di Perfezione a 33Gradi (Andrew Francken e successori), ovvero del Sovrano Commendatore del Tempio di Ge-rusalemme.

Nel Rito di Mizraïm di Venezia del 1788 il Cavaliere del Tempio compare al 36° posto,subito dopo il Cavaliere Prussiano (che nel Rito di Perfezione a 33 Gradi sappiamo essere alla21° posizione – come del Rito Scozzese – e nella Scala di Marconis al 22 posto).

Nella sua scala a 95 Gradi John Yarker lo pone al n. 35, mentre nella sua versione ri-dotta a 33 Gradi, lo troviamo al 13° posto.

La cosa più importante di questo grado è che, ultimati i gradi filosofici comuni al RitoScozzese, dopo il passaggio attraverso il Cavaliere di Scandinavia che fa un poco storia a sé,

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il Cavaliere del Tempio è il primo di una serie di gradi che assume delle denominazioni degliufficiali completamente differente rispetto a quelli che lo hanno preceduto.

Il Presidente assume quasi sempre la qualifica di Sublime Gran Comandante mentre iSorveglianti sono chiamati Cavalieri Interpreti, il Grande Esperto è chiamato Cavaliere Mare-sciallo, il Maestro delle Cerimonie è chiamato Introduttore e così via.

In questi gradi esistono poi ufficiali del tutto nuovi, come il Portatore della Spada o ilMessaggero della Scienza (o Arpocrate), o presenti in pochi dei gradi precedenti, come il Porta-stendardo o il Capitano della Guardia.

Più avanti nella Scala le denominazioni cambieranno ancora per assumere connota-zioni più marcatamente egizie: Sublime Dai, Mistagoghi, Hydranos, Ceryce, etc.

Questo è un grado che ha una certa rilevanza, perché inaugura una serie di gradi chepossiamo definire di “cavalleria” e perché lo stesso John Yarker lo ha mantenuto sia nella suascala a 95 gradi (più due riservati al governo dell’Ordine) che in quella a 33.

Contrariamente a quanto si possa pensare, il Tempio cui fa accenno la denominazionedel Grado non è il classico Tempio Massonico ma è invece l’Universo, Tempio in cui si celebrala gloria del Supremo Artefice dei Mondi.

Questo è un grado di “conoscenza” che ben figura nella serie ermetico-gnostica: inquesto grado si studia, secondo quanto insegna John Yarker, il mistero dell’avvicendarsi dellestagioni, l’apparente moto delle stelle nel cielo, la loro velocità e posizione durante l’anno so-lare (non a caso le Parole di Passo fanno riferimento a Sirio, stella importantissima per gliegizi, in quanto la sua levata eliaca annunziava la piena del Nilo). Ma in questo grado, che haanche natura alchemica, si studiano anche la purificazione dei metalli e come renderli duttili,le proprietà delle piante e dei vegetali ed il loro utilizzo a fini terapeutici.

Nonostante un rituale agile possiamo quindi dire che questo è un grado dove si lavo-rava intensamente ed a livelli molto profondi.

Il Sovrano Santuario Egizio Mediterraneo, per ragioni di coerenza ed unità del CorpusRituale, pur non praticando questo grado ha adottato, ai fini di studio, nella sua scala iniziaticala versione Memphis che è stata elaborata da Yarker, mantenendo tuttavia nel testo, ove pos-sibile, tutti i suoi elementi originari.

36° GRADO – IL CAVALIERE D’OCCIDENTEIl Grado di Cavaliere d’Occidente ha una genesi strana. Esso compare nella Scala del

Mizraïm di Venezia in 47° posizione con questa esatta denominazione ma, se si esamina iltesto di questo grado, si vede che non è altro che una riproduzione abbastanza fedele del 17°Grado del Rito di Perfezione di Étienne Morin, ovvero il Cavaliere d’Oriente e d’Occidente, cheè il primo dei gradi ioanniti, dove il Tempio è la riunione degli Anziani e dove il Neofita rompei sette sigilli descritti nell’Apoca-lissi di Giovanni di Pathmos.

Questo Grado, con la de-nominazione di Cavaliere Prin-cipe di Occidente, compare in 19°posizione nella Scala del Rito diMemphis di Étienne Marconis deNègre descritta nel citato saggiodel 1849 “Le Sanctuaire de Memphis” subito dopo il Principe Rosa+Croce di Heredon.

Con la fusione dei Riti di Memphis e Mizraïm, questo grado viene abbandonato daJohn Yarker, quantomeno nella sua denominazione, ma non si può escludere che nella crea-zione della scala esso abbia assunto una diversa denominazione, in quanto le tematiche er-metiche ed egizie di questo grado appaiono troppo importanti per essere messe da parte.

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Questo grado ha comunque continuato ad essere praticato dai regimi egizi anglosassoni,sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti ed è evidentemente un grado di derivazione Memphis.

Il Cavaliere d’Occidente è un grado dedicato all’arte della navigazione, sia dal puntodi vista materiale che da quello esoterico.

In questo grado infatti da un lato vengono insegnate al Neofita, in sede di cerimoniadi ricezione, i princìpi dell’arte della navigazione e gli viene spiegato che attraverso la navi-gazione sono state raggiunte e popolate terre lontane, e dall’altro viene rievocato il viaggioverso occidente che l’anima del defunto fa sulla barca solare per raggiungere il paradiso chesi trova là dove tramonta il sole e dove si ci può riunire ad Osiride ed Horus.

Tuttavia viene mantenuta nella cerimonia di ricezione una parte, piccola ma impor-tante, del testo del Mizraïm di Venezia, ovvero la rottura dei sette sigilli da parte del Neofita,chiamato a svolgere un compito che nessuno dei presenti vuole o ha il coraggio di fare. Tut-tavia il testo differisce da quello veneziano perché la rottura dei sigilli afferisce sempre al rag-giungimento delle terre occidentali.

Il testo restituito ed adottato dal Sovrano Santuario Egizio Mediterraneo è perfetta-mente in linea con il precedente: anche qui il Presidente assume la qualifica di Sublime GranComandante mentre i Sorveglianti sono chiamati Cavalieri Interpreti, il Grande Esperto Cava-liere Maresciallo, etc.

Va quindi evidenziato che non siamo in presenza di un doppione di grado ma solo diun rituale che riprende, in parte, tematiche di un precedente, sviluppandone altre del tuttonuove nel percorso ermetico-gnostico iniziato con il Cavaliere di Scandinavia.

A ben vedere, la parte della cerimonia di elevazione con la rottura dei sette sigilli mu-tuata dal 17° Grado della sezione filosofica potrebbe essere tranquillamente soppressa senzache il testo ne risenta, essendo altro il tema del grado: quello di una acquisizione di una mag-giore conoscenza – rappresentata dalle terre di occidente – alla quale si può giungere solodopo aver compiuto appieno il proprio dovere nelle terre di Oriente; questo perché solo dopoessere stati forgiati attraverso studi e preparazioni, si può essere in grado di prendere il largosulle acque che separano i continenti. Ed è qui che diventa necessario conoscere i segreti dellanavigazione che vengono svelati al Neofita che vuole raggiungere le terre occidentali.

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Il Delta del Nilo

37° GRADO – SAGGIO DELLA VERITA’Il Grado avente denominazione di Saggio della Verità (o Cavaliere Saggio della Verità),

che prosegue la linea “cavalleresca” iniziata con il 35° Grado (Cavaliere del Tempio), ha puresso origini alquanto singolari.

Nella scala del Rito di Memphis di Étienne Marconis de Nègre compare infatti in 65°posizione un Principe della Verità le cui caratteristiche sono però differenti da quelle del testoqui presentato, che proviene dalla scala di John Yarker a 33 Gradi (dove occupa la 16° posi-zione, subito dopo il Cavaliere del Serpente).

Nel Mizraïm di Venezia questo grado non compare affatto mentre nella scala di Yarker a 95Gradi lo troviamo al 37° posto con la denominazione di “Cavaliere di Shota o Saggio della Verità”.

Nel suo testo dedicato al Rito di Memphis, John Yarker fa tuttavia un espresso riferi-mento alle istruzioni di Marconis per questo Grado, per cui ne dobbiamo ipotizzare che il ri-ferimento vada indirizzato verso il pari grado della scala del medesimo Marconis, ovvero ilSaggio Shivaita (38° Grado).

Possiamo quindi ragionevolmente da un lato dedurre che Yarker abbia ripreso il testodi Marconis medesimo storpiandone il nome, per cui l’originario Saggio Shivaita sarebbe di-ventato Cavaliere di Shota o Saggio della Verità nella scala a 95 Gradi, per poi diventare Ca-valiere Saggio della Verità nella scala a 33 Gradi.

Il tema dello Shivaismo d’altra parte ben si sposa con le caratteristiche cosmopolitedel Rito di Memphis di Marconis de Nègre, che spazia in tutte le culture e tradizioni dell’an-tichità nella sua sezione ermetico-gnostica, per cui non è inutile in questa sede spendere dueparole su questo argomento.

Lo Shivaismo è una corrente dell’Induismo che riconosce Shiva come Dio supremo. I

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J E. Marconis de Nègre (Montauban 1795 - Parigi 1868) e John Yarker (Swindale 1833 - 1913)

seguaci dello Shivaismo, definiti “Shivaiti” o“Shaiva”, identificano Shiva con Îshvara,l’aspetto personale di Dio, pensando cioè cheincarni in sé il triplice principio dell’intera Tri-murti ed artisticamente ciò viene reso mo-strando Shiva in preminenza e Vishnu eBrahma che escono rispettivamente dal suofianco sinistro e destro. Gli Shivaiti identifi-cano Shiva anche con lo stesso Brahma,l’aspetto impersonale di Dio; lo veneranocome una delle tante forme differenti del-l’universo con cui si esprime la Realtà, inquanto è l’entità monistica – personale e im-personale al tempo stesso – nel quale si ri-specchiano tutte le cose, Shiva compreso. Inquesta visione, è da Shiva che scaturisconotutti gli altri Deva (ovvero gli esseri celesti),come suoi princìpi ed emanazioni; è essen-zialmente una conoscenza monoteistica col-legata alla bhakti, o devozione, un aspettomolto importante dello Shivaismo.

Uno degli scopi dei sistemi filosoficiispirati allo Shivaismo è inoltre quello di ri-svegliare una forma superiore di coscienzache conduca il praticante a superare i limitiimposti dalla Natura.

Lo Shivaismo riconosce negli Agama (“tradizione”, un gruppo di scritture sacre dellereligioni indiane come l’induismo ed il buddismo) le fonti della sua dottrina.

I richiami alla mistica indiana, sia pure in forma estremamente contenuta, li troviamonel rituale di questo grado solo nella parte finale dell’istruzione che segue la cerimonia di ele-vazione, dove si sostiene che il persiano Dario Hystaspes, spintosi in India, avesse appurato

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che le dottrine studiate colà fossero le stesse insegnate dai Magi mesopotamici.È probabile che Yarker, per dare unitarietà al suo Corpus rituale, abbia introdotto (o

ampliato) gli elementi di natura matematica e geometrica che caratterizzano i gradi prece-denti, e ridotto, ma comunque mantenuto, gli elementi shivaiti che dovevano essere contenutinel testo di Marconis, limitandoli tuttavia a quel fugace accenno ai Gymnosofisti ed alle loroconoscenze di carattere astronomico insegnate al re persiano.

A questo proposito facciamo notare come il gioiello di questo grado sia costituito dauna specie di anello piatto dove su un lato sono scritti i dodici mesi del Calendario egizianoe dall’altro sono incisi i dodici segni dello zodiaco.

Anche i segni dello Zodiaco sono presenti nel Tempio, identicamente a quanto avvienenelle Logge Simboliche: si potrebbe pensare che in questo grado, nella versione di John Yarker(Scala a 33 Gradi) siano stati mutuati alcuni elementi provenienti dal Grado di Principe delloZodiaco che compare al 39° posto della Scala di Étienne Marconis de Nègre ed al 44°postodella scala di Yarker a 95° Gradi (grado invece assente nella scala Mizraïm di Venezia).

È anche possibile che il testo primevo contenesse maggiori istruzioni sul moto appa-rente stellare rappresentato dal mutare dei cieli lungo le stagioni a causa dell’inclinazionedell’asse terrestre (elemento pure questo accennato nell’istruzione) e che quindi la simbologiazodiacale sia stata mantenuta.

Il rituale ricalca lo stile e la struttura dei due precedenti sia per quello che attiene gliufficiali e le loro posizioni sia per quello che attiene la ritualità vera e propria. Siamo in pre-senza di un’Apertura e di una Chiusura dei Lavori ancora più scarne delle precedenti, allequali fa da contraltare una cerimonia di Elevazione priva di pathosma ricca di istruzione, comeè tipico di questi primi gradi della serie ermetico-gnostica.

Nella scala di Yarker a 33 Gradi il Saggio della Verità precede il Filosofo Ermetico che,in un certo senso, corona un percorso iniziatico profondo ed intenso dedicato agli studi geo-metrici ed astronomici.

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38° GRADO – CAVALIERE DELLA CHIAVEIl Grado di Cavaliere della Chiave è un grado pressoché misconosciuto nella famiglia

dei vari Regimi egizi sorti nel secolo XVIII e nella prima metà del secolo successivo.Questo grado infatti non compare nella scala del Mizraïm di Venezia e neppure in

quella elaborata da Étienne Marconis de Nègre.Neppure troviamo un Cavaliere della Chiave nelle due scale di John Yarker, né in quella

estesa a 95 gradi e tantomeno in quella ridotta a 33: tuttavia, esaminando il testo a noi per-venuto, vediamo che questo ha una struttura assolutamente identica a quella dei cosiddettigradi cavallereschi del Rito di Memphis presenti nella prima parte della parte ermetico-gnosticadelle scale iniziatiche del medesimo John Yarker.

Viene dunque da pensare che si tratti di una rielaborazione di qualche grado del Ritodi Memphis sottoposto ad un cambio di denominazione per ragioni che restano oscure: il ri-tuale del Cavaliere della Chiave, come si è detto, fa parte di un gruppo di testi redatti in linguainglese risalenti al secolo XIX dove lo troviamo assieme ad altri gradi altrettanto poco cono-sciuti, come il Cavaliere del Delta o il Cavaliere di Libia (che pensiamo sia una diversa deno-minazione del Comandante della Catena Libica, il 75° Grado della scala di Yarker a 95 Gradi).Certamente si può escludere che il Cavaliere della Chiave sia un grado di derivazione Mizraïme quindi la sua provenienza Memphis non crediamo possa essere messa in discussione.

L’Apertura e la Chiusura dei Lavori, così come la disposizione del Tempio e le deno-minazioni degli Ufficiali sono estremamente simili – se non identiche, per quello che attienealle cariche di Loggia - a quelle del Cavaliere del Tempio odel Saggio della Verità e questo fatto dovrebbeportare alla conclusione che ci muoviamo inun ambiente tipico del Rito di Memphis edella tradizione anglosassone a noi giuntaattraverso John Yarker.

Il Cavaliere della Chiave, come altrigradi analoghi, è stato inserito nella Scala Iniziaticadel Regime Rettificato di Mizraïm-Memphis per le più volte citate esi-genze di unitarietà del Corpus Rituale, attraverso una elaborata fusione delletradizioni del Rito di Mizraïm e quello di Memphis, conservando cioè tutti queglielementi che consentono una progressione del cammino iniziatico attraverso la cono-scenza la più completa possibile del lavoro dei Maestri Passati.

È apparso assolutamente inutile conservare nella Scala Iniziatica dei gradi dicui si conosce a malapena il nome e, forse, qualche caratteristica come la Parola di Passo, madi cui si ignora assolutamente il contenuto perché i rituali sono andati inesorabilmente per-duti. Meglio dunque lavorare sull’esistente e cioè su quello che le varie linee tradizionali cihanno tramandato attraverso la trasmissione dei vari depositi iniziatici e cercare di arrivaread avere un corpus rituale non solo coerente ma anche il più completo possibile.

Il Cavaliere della Chiave sembra fatto apposta per soddisfare certe esigenze in quantosi tratta di un grado dalla ritualità estremamente concisa ma che ha caratteristiche uniche,come ad esempio l’Agape fra le due parti della cerimonia di Elevazione, o il richiamo allalibera muratoria operativa ed alla lavorazione dei metalli.

Anche il discorso dell’Oratore, molto più contenuto rispetto ai gradi precedenti ed aquelli che verranno, nella sua sinteticità mette di fronte il Neofita a quelli che sono i suoi do-veri nell’ambito della comunione iniziatica di cui fa parte.

In questo grado la chiave di cui è dotato il Neofita non è la chiave che permette di ac-cedere al Santo dei Santi e che gli viene consegnata: è il Neofita che deve costruire, sia puresolo in senso figurato, la chiave che gli consente di dimostrare la propria abilità ed il proprio

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impegno nel percorso di progressione e di conoscenza di sé stesso. La costruzione della chiave non rappresenta altro che l’avvenuto compimento del do-

vere da parte di colui che chiede di essere ricevuto ad un grado più alto.Anticamente, secondo quanto riportato nel testo del rituale, che fa riferimento ad una

versione operativa del grado, il candidato doveva subire un periodo di apprendistato di almenoun anno tutto dedicato allo studio ed alla pratica della lavorazione dei metalli: alla fine diquesto periodo egli doveva essere in grado, a partire da una serratura, di costruire una chiavedi metallo in grado di aprirla.

Se non ne era in grado – cioè se non riusciva a costruire la chiave – egli doveva conti-nuare il suo apprendistato per analogo periodo, non essendo stato capace di mettere a fruttogli insegnamenti che gli erano stati impartiti dai suoi Maestri.

Non occorre molta fantasia, una volta trasportata la situazione dalla massoneria ope-rativa a quella speculativa, che quanto insegnato in questo grado significhi che occorre averepazienza e dedizione per poter progredire nel miglioramento di sé stesso: non è sufficiente,cioè, un determinato lasso di tempo dedicato allo studio per avere la certezza di essere am-messi ad un grado superiore.

Quello che conta è invece il costante impegno e soprattutto la capacità di assimilare ecomprendere appieno le lezioni che, di volta in volta, vengono ricevute: per diventare Cava-liere della Chiave occorre prima di tutto saper essere costruttori della Chiave che, ancora unavolta, è la chiave che consente di aprire il proprio cuore e la propria mente ai migliori senti-menti di fraternità. n

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COS’È LA CABALÀ Nadav Hadar Crivelli

Tutti noi, leggendo i testi e i racconti della Bibbia, o ricordando quelle poche storieascoltate da bambini, abbiamo intuito che dietro a quei racconti c’era molto di più di quantonon sembrasse a prima vista. Sin dalla nostra infanzia siamo stati a contatto con gli episodibiblici più famosi: la creazione del mondo in sei giorni, Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden,il Diluvio, i Patriarchi, Mosè e l’uscita d’Israeledall’Egitto, il Decalogo. Abbiamo intuito che die-tro quelle narrazioni concise e leggendarie dovevaesserci un grande segreto, ma nessuno è mai riu-scito a rivelarcelo.

La Cabalà è l’unica forma di sapienza checi offra spiegazioni coerenti ed esaurienti per cia-scuno di quei episodi. Infatti, ben oltre il suo si-gnificato letterale, la Bibbia custodisce importantiinsegnamenti, scritti secondo dei codici segreti.Applicando al testo i codici di interpretazione, siscoprono autentici tesori di conoscenze spirituali e umane.

La Bibbia cessa così di sembrare un semplice libro di precetti morali e di nozioni sto-riche. Essa ci ispira le risposte alle domande fondamentali dell’essere umano, quali:

- l’esistenza di Dio,- i segreti della creazione,- la natura dell’anima umana, e come modificarne il carattere,- il perchè della dualità bene-male,- lo scopo della vita terrena e di quella futura.

La Cabalà è l’insieme di quei codici esistemi che, applicati alle Sacre Scritture, cipermettono di percepirne il significato se-greto. Infatti, la Sacra Scrittura contiene in sèquattro livelli:

4) esoterico o segreto,3) filosofico e morale,2) simbolico,1) semplice o letterale.

La Cabalà è l’entrata nel quarto e piùalto livello. Con questo, la Cabalà non è unafilosofia astratta e complicata, ma essa cispiega il senso della vita umana, quale sia ilsuo traguardo e come raggiungerlo.

I versetti della Bibbia ebraica, le parole,le stesse lettere dell’Alfabeto, contengono

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molte informazioni simultanee, che operano a vari livelli. Quando vengono interpretati corret-tamente, gli insegnamenti della Bibbia non solo diventano compatibili con la mentalità moderna,ma correggono il razionalismo della nostra società scientifica e tecnologica.

La Cabalà possiede delle chiavi capaci di unificare i diversi modi coi quali scienza ereligione interpretano la creazione e la vita. Alla scienza la Cabalà insegna l’umiltà, il rispettodel mistero; insegna l’importanza della crescita di tutto l’essere umano e non soltanto dellaragione logica, o dell’appagamento dei bisogni fisici. Le cognizioni umane sono i frutti del-l’albero della conoscenza del bene e del male. Ogni loro vantaggio è sempre accompagnatoda pericolose contropartite negative.

La Cabalà invece vuole ricondurci all’Albero della Vita, tramite l’unione di tutte le facoltàumane. Queste facoltà possono venire riassunte, dal basso all’alto, in cinque gruppi principali:

a) la capacità di operare con efficacia nel piano socio-economico;b) la sensibilità emotiva dell’uomo, i moti del cuore e i suoi sentimenti;c) l’intelligenza razionale, logica, riflessiva, e discorsiva;d) la consapevolezza superiore, libera dai legami causa-effetto; la comprensioned) del simbolo, del paradosso, l’intuizione, la sapienza;e) la spinta alla trascendenza, il senso del

mistero, la fede nella bontà intrinseca del Crea-tore e della creazione.L’insieme armonico di queste facoltà è l’Al-

bero della Vita. Uno dei soggetti più impor-tanti della Cabalà è come trovarle in ciascunodi noi, come attivarle e svilupparle.A parte la scienza, la Cabalà può insegnare

molto anche alla religione tradizionale, specienel conquistare l’apertura e l’elasticità men-tale, indispensabili nel mondo d’oggi.

La Cabalà è in grado di rivelare le affasci-nanti profondità degli insegnamenti spirituali,

risvegliando interesse anche in coloro che vivonosoprattutto nel piano materiale. Infine, la Cabalàspiega il perchè delle regole morali basilari, fa ca-pire il loro senso universale e la loro utilità per l’es-sere umano. Tali regole cessano così di sembrareesercizi di volontà, o usanze ormai sorpassate.Fino a qualche decennio fa, la conoscenza dellaCabalà era posseduta da pochi maestri illuminati.Recentemente essi hanno dato il permesso di dif-

fondere questi insegnamenti nel mondo, che ne ha semprepiù bisogno.

Pur basandosi sulla Bibbia ebraica, la Cabalà è utile e importante anche per coloro cheappartengono ad altre dottrine religiose e cammini spirituali. Infatti, la cultura occidentale èstata profondamente influenzata dall’esperienza ebraica. Gli archetipi biblici sono presentinel profondo di ogni popolo moderno. Tali radici però non hanno ancora potuto offrire il loro

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L’Albero nell’Albero

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contributo maggiore: la scoperta di come l’essere umano, grazie alla sua immagine e somi-glianza con Dio, possa portare la storia verso la pace mondiale, verso l’era messianica. Lo stu-dio della Cabalà aiuta l’attivazione di tali archetipi biblici, la scoperta che i racconti dellaScrittura sono modelli di vita validi e attuali.

Cosè la Cabalà- È un sistema metafisico che spiega le varie fasi della creazione del mondo, lo scopo

della vita umana e il rapporto con il Creatore.- È una scala di valori che definisce l’autentica differenza tra bene e male, insieme al

ruolo e al significato dell’uno e dell’altro, nella propria vita e nel mondo.- È un sistema di insegnamenti sul come rendere più profonda, sincera ed efficace la

nostra vita spirituale, la preghiera e la meditazione.- E una guida capace di condurci all’unione tra il lato maschile e quello femminile, sia

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all’interno di ciascuno di noi che nei rapporti tra uomo e donna.

Cosa non è la Cabalà- non è magia, ovvero la pretesa che il volere umano possa tutto, se impara come ma-

nipolare le forze segrete della creazione;- non è un occultismo fatto d’incantesimi e rituali, come purtroppo molti suppone-

vano;- non è una filosofia arida e astratta, volta solo ad insegnarci qualche complicato con-

cetto, peraltro inutilizzabile nella vita pratica.Gli insegnamenti della Cabalà sono alla portata di tutti, esperti e no.

La Cabalà ha un carattere particolare, grazie al quale ogni sua parte contiene infor-mazioni riguardanti il tutto. Essa si rivolge a persone di livelli e preparazione diversa. Nonpresuppone la conoscenza dell’ebraico, ma solo un sincero desiderio di conoscere la Verità edi sviluppare la consapevolezza spirituale.n

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LA MISTICA DI JACOB BÖHMEHathor Gor-Ex

“Fuori della Natura Dio è un mistero, un Nulla.Questo Nulla, abisso senza fondo, è l’occhio dell’Eternità

e contiene una Volontàche è il desiderio della manifestazione per ritrovare se stesso”

[J. Böhme]

Ho conosciuto Jacob Böhme per caso leggendo uno dei suoi scrittipiù famosi ‘Dialogo tra un’anima illuminata e una priva di luce’, ri-mastane molto colpita e, scoprendo poi che proprio il pensierodel mistico tedesco fu di fondamentale importanza per la for-mazione spirituale di Louis Claude de Saint Martin, ho sentitoquasi l’esigenza di approfondirne la conoscenza per meglio pe-netrare anche il pensiero del Filoso Incognito. Böhme nacque a Seidemberg nel 1575 da una famiglia di bene-stanti contadini. Ricevette da loro una dura educazione prote-stante, ma continuò poi individualmente gli studi interessandosi ai

testi della tradizione mistica tedesca e a quelli della filosofia naturale.Parallelamente alla ricerca di una maggiore libertà di pensiero rispetto alla

rigida realtà luterana, crebbe in lui la curiosità per le tradizioni esoteriche, cabalistiche, astro-logiche e le pratiche magiche, che si sviluppò frequentando i circoli umanistici della città e dicui faceva parte lo stesso Bartolomeo Scultetus, sindaco di Goerlitz seguace e sostenitore delleidee Paracelso, Weigel e Schwenckfeld; proprio qui stava prendendo forma ciò che sarebbe in-fine sbocciato nella prima metà del seicento come l’inizio della tradizione rosa cruciana.

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In seguito alla stesura della sua prima e im-portante opera Morgenröte im Aufgang (nota anchecome Aurora consurgens, l’Aurora nascente) venne ac-cusato di eresia, arrestato e subito rilasciato ma co-stretto a giurare di non scrivere più nulla a riguardoreligioso, silenzio che durò per sette anni nei quali ilfilosofo mantenne fede al giuramento.

Questo primo scritto, un testo a detta del-l’autore volutamente rimasto incompiuto, èun’opera chiave su cui riflettere con attenzione peravvicinarsi alla filosofia mistica di Böhme, dai chiaririferimenti biblici si sviluppa in un amalgama di ele-menti alchemici e immagini naturali.

Steso di getto, in breve tempo, senza ragio-namenti e correzioni d’ortografia, Aurora nascente èstato dettato da una pura e violenta ispirazione di-vina vissuta dal calzolaio di Görlitz in seguito a treesperienze mistiche avute dodici anni prima, tale è stato il tempo occorso perché queste vi-cende maturassero in lui prima di fluire all’esterno ed essere messe per iscritto.

“Si aprì in me man mano come in un processo di crescita, benchè in me sia durato 12 anni, edi ciò io ero gravido in me stesso e c’era una tensione violenta in me, prima che io potessi portarlo al-l’esterno, finchè mi assalì come uno scroscio d’acqua. Quello che colpisce, colpisce. Così accadde anche

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a me. Quel che potevo cogliere per portarlo all’esterno, lo misi per iscritto.” [da una lettera di Böhmea Kaspar Linder]

Böhme descrive questo impulso come violento e altrettanto furiosa la naturale oppo-sizione della sua individualità che, restia ad annul-larsi per farsi tramite del volere divino, creerà nelteosofo un costante conflitto interiore.

Il filosofo tedesco, dopo i sette anni di silen-zio indotti dai problemi giudiziari, passò i successivinel tentativo di evolvere il concetto espresso nel-l’opera prima in quelle seguenti, modificando il les-sico, ampliandolo, dando al lettore moltepliciprospettive, tasselli preziosi a formare nel loro in-sieme un’immagine più completa della natura Di-vina. L’intuizione mistica, letteralmente piombata sulcalzolaio di Görlitz, sarà il fulcro della sua vita, vis-suta nella costante ricerca di riuscire a trasmetterecon le parole il concetto di Dio. Nei suoi scritti e nellecorrispondenze epistolari egli stesso ribadisce dicome essi non debbano essere considerati frutto distudio e umana conoscenza bensì di un’illumina-zione, priva di logica e ragione, incompresa a lui stesso nella sua totalità. L’essenza di Dio nonè un’idea né afferrabile né traducibile con immediatezza dalla mente di Böhme, tant’è ch’eglispesso ribadisce di non capire a fondo ciò che ha scritto nella Morgenröte.

Com’è stato per l’autore l’intendere il significato di tale testo non sarà cosa immediatanemmeno per il lettore ma necessiterà un intenso lavoro interiore per comprendere in pro-fondità le parole, spesso caotiche o talvolta ingannevoli, nel loro senso più profondo e con-trastare il raziocinio che cercherà con costanza di insinuare il dubbio sulla loro veridicitàI testi di Böhme inducono man mano il lettore a penetrare ad un livello sempre piùprofondo di consapevolezza, avvicinandolo ad un concetto che non può essere uma-namente descritto, né recepito in pochi vocaboli, ma intuito nel silenzio meditativodopo una lunga e costante indagine inconscia poiché, solo dopo aver sondato gliabissi della natura umana e averla valicata morendo a se stessie alla propria individualità, potrà esserci rivelata quellatrascendente.

Böhme insegna che non è possibile comprendere laprofondità di Dio attraverso i sensi o l’intelletto ma solo gra-zie a una concessione Superiore, elevare il pensiero per di-scendere l’Abisso é il solo modo di intuire la vastità di Dio.

“Tale conoscenza non la vedo con occhi fatti di carne;piuttosto con quegli occhi, dove la vita partorisce se stessa inme: in quel luogo i portoni del Cielo e dell’Inferno rimangonoaperti a me…” [Aurora nascente]

La Morgenröte, nata dalla pura esperienza mistica,non è da considerarsi come un qualsiasi testo accademicoma la manifestazione del volere Divino che agisce attraverso

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il mistico tedesco come fosse un tramite, uno strumento,usandone l’inesperienza in qualità di innocente sempli-cità. “Io ho scritto non [traendo la materia] da insegnamentoumano, o dalla scienza che nasce dallo studio dei libri, piut-tosto dal mio proprio libro, che fu aperto in me, […]Non hobisogno di nessun altro libro”[Ivi, lettera di Böhme 12,14]

Infatti Böhme fa spesso uso di termini, formule al-chemiche (riferite non alla pratica manipolatoria dellamateria ma alla trasmutazione interiore) e latinismi, a luiculturalmente sconosciuti, con un’interessante quantopersonale peculiarità espressiva. Egli non si esprime at-traverso un tedesco accademico ma quasi ‘plastico’, pla-smandolo e rendendolo, a detta di alcuni, un vero eproprio linguaggio bhömiano, basato su di una logica bhö-miana che è necessario comprendere per penetrarne la fi-losofia. Il teosofo usa la lingua tedesca come mera based’appoggio,

Aurora nascente è quindi il testo chiave, il tronco,la base, il centro, da cui ramificano gli scritti successivi eche avranno lo scopo di chiarire al lettore la rivelazionedata dall’opera prima. Anelare all’immediata e totalitariacomprensione del concetto di Dio dopo la mera lettura di Aurora nascente non può che farcadere in errore, poiché essa è un lavoro parziale e imperfetto come lo è ciascuno degli scrittise considerato singolarmente tuttavia, letti nel loro insieme, possono avvicinare il ricercatoreall’essenza ultraterrena; gli scritti di Böhme quindi si pos-sono intendere come fili che intessono un’unica rete eche appaiono talvolta in contraddizione tra loro, illusonedata dall’impossibilità di mettere per iscritto con umaneparole ciò che invece l’umano trascende.

“Ma ciò che tu non trovi abbastanza chiarito in questolibro, lo troverai chiarito e limpido nel secondo e nel terzo: poi-ché a causa della nostra corruzione, la nostra conoscenza èparziale, e non perfetta in modo immediato” [Aurora na-scente,pref]

L’intera vita del calzolaio di Görlitz sarà votata allaricerca di un linguaggio che esprima efficacemente, inmodo sempre più ricercato e perfetto, l’intuizione piom-bata su di lui, Ungrund risulterà infine il termine più adattoa descrivere tale Essenza, parola che condensa in sé l’in-tera evoluzione lessicale operata dal mistico, in cui ribolleil concetto di un Dio inteso come Abisso senza-fondo, pro-fondo, primordiale; un Nulla Infinito raggiungibile vali-cando il proprio inferno interiore che, dissipato le tenebredell’ignoranza si rivelerà per quello che è, un’illusione.

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[...] poiché l’occhio non trova alcun fondamento, e si richiude su se stesso come prendendo lesembianze di uno specchio, nella forma di una sfera rotonda; così che esso sia immagine dell’eternità,così che esso possa trovare se stesso, poiché nell’Abisso [Abgrund] non c’è alcun trovare, poiché nonc’è alcun luogo o alcuna meta, ma solo il Senza-Fondo [Ungrund]: e se allora esso trova se stesso nel-l’occhio, allora non trova nient’altro che l’occhio, che è la sfera”. [Vierzig Fragen- Jacob Böhme]

Acquisita la consapevolezza che nulla è da cercare al di fuori di noi essendo l’uomoun microcosmo fatto a immagine e somiglianza di Dio, Böhme cerca di caratterizzare analo-gamente la forma divina a quella di una sfera poiché, non avendo nè inizio né fine abbracciatutto, lo avvolge, è priva di spigoli e reca ogni cosa al suo interno. La sfera ricalca la rotonditàdell’occhio che si chiude su se stesso avendo smesso di cercare al di fuori, avendo compresoche in lui vi è ogni cosa, Böhme lo paragona poi a uno specchio che quindi nulla può mostraredi esterno poiché riflette solo la propria immagine. La ricerca quindi non può che spingersi emuoversi sempre più in profondità, in un luogo dove il concetto di spazio si perde, nel senza-fondo, in cui l’idea che ci sia una meta o qualcosa da cercare perde significato perché è proprioall’interno di se stessi che si possiede tutto, un Tutto di cui siamo contenitore e parte.

«Dimostra che puoi far nascere GESÙ in te stesso, e che ne sei tu la levatrice: in caso contrarioi Kinder Christi diranno che hai trovato solo il Fanciullo delle storie, ossia la culla vuota» (JacobBöhme, Von der wahren Gelassenheit, 2,53) n

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“Le Voil d'Isis” fu una delle più importanti riviste di studi tradizionali ed esoterici. Venne fondata nel 1890 da Papus (Dr. Gerard Encausse). Nel 1935, su suggerimento di René

Guénon, diventato elemento essenziale della rivista, cambiò nome in “Etudes Traditionnelles”. Que-sto numero speciale è dedicato alla Tradizione dei Rosa+Croce e a Robert Fludd con articoli di Argos,René Guénon, M. Clavelle, T. Basilide, Paul Chacornac.

LA ROSA:FORZA DI UN SIMBOLO

O DELICATEZZA DI UN FIORE?ADM

Una rosa rossa non è egoistaperché vuole essere una rosa rossa.

Sarebbe terribilmente egoistase volesse che i fiori del giardino

fossero tutti rossi e tutte roseOscar Wilde

La rosa è un simbolo complesso, poiché racchiude in sé significati tra loro totalmentecontrastanti. È, infatti, ambivalente, potendo contemporaneamente significare perfezione ce-leste e passione terrena, tempo ed eternità, vita e morte, fecondità e verginità.

La rosa, forse anche per la sua struttura a forma rotonda è stato sempre reputato simbolodi completezza: rappresenta, infatti, la profondità del mistero della vita, la bellezza, la grazia, lafelicità, ma anche la voluttà, la passione ed è perciò, spesso associato alla seduzione.

Essendo stato da sempre un fiore abbinato alle divinità femminili, esso è amore, vita,creazione, bellezza e verginità; la sua rapidità nell’appassire simboleggia, al contrario, morte esofferenza, e le sue spine evocano, invece, il sangue ed il martirio.

La rosa è pertanto anche il simbolo del divenire e, per traslato, indica il perpetuarsi dellavita umana da quella terrena verso un’altra dimensione.

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Per questo motivo la rosa viene usata per raffigurare anche oltre alla vita eterna, la pri-mavera che, se vogliamo, è un piccolo assaggio terrestre della resurrezione.

È inoltre simbolo di silenzio e di riservatezza: una rosa era infatti appesa o raffigu-rata, nelle sale di consiglio per indicare riserbo e discrezione.

Per questo motivo papa Adriano VI fece scolpire sui confessionali una rosa acinque petali, simbolo del sacro vincolo della segretezza che ogni sacerdote devemantenere nei riguardi dei penitenti che si rivolgono a lui nella confessione, e la lo-cuzione latina “sub rosa” aveva appunto il significato di una cosa rivelata in assolutasegretezza e confidenza.

La rosa d’oro denota la perfezione.La rosa rossa il desiderio, la passione, la gioia, la bellezza, il rapporto sessuale; è il fiore

di Venere e il sangue di Adone di Cristo e Maometto.La rosa bianca è il fiore della luce; simboleggia l’innocenza, la verginità, lo sviluppo

spirituale, il fascino.La rosa bianca e rossa insieme rappresentano l’unione di fuoco ed acqua, una spe-

cie di unione degli opposti, mentre quella azzurra è il simbolo dell’impossibile.La rosa a quattro petali raffigura la divisione in altrettanti parti del cosmo

(terra, acqua, fuoco e cielo). La rosa a cinque petali rappresenta invece il microcosmo.

Nel mondo egiziano le rose erano fiori sacri alla divinità Iside, poiché rap-presentavano l’amore puro del tutto liberato dall’aspetto carnale; in Mesopotamiaerano sacri ad Ishtar, nell’Anatolia a Cibele, ma è nel mondo greco-romano che il cultodella rosa ha trovato maggiore sviluppo.

Presso i Greci la divinità Aurora è spesso chiamata “La dea dalle dita di rosa” proprio per-ché associata al sorgere del sole. Queste divinità rappresentano anche la Grande Madre, il ri-torno alle origini prenatali, cioè il processo di morte iniziatica, necessario per una radicalerigenerazione spirituale, per l’azzeramento degli inquinamenti e dei condizionamenti provocatidalle vicende esistenziali.

Nelle Istituzioni Libero-Muratorie la rosa riveste un’importanza fondamentale: peresempio, durante il funerale di un “fratello” è costume gettare nella tomba tre rose di colore di-verso, dette Rose di San Giovanni, che significano amore, luce e vita; il 24 Giugno, giorno della

festività di San Giovanni, è consuetudine decorare gliinterni di ogni loggia con tre rose di diverso colore. La rosa è simbolo della transizione o del passag-

gio necessari al raggiungimento della perfezione fi-nale: nella Divina Commedia nell’ultimo cantico delParadiso si giunge al paradiso attraverso “La Rosa Mi-stica” dove Dante è accompagnato da Beatrice e puòfinalmente contemplarla. Ma Beatrice non è altro chela donna angelicata dei Fedeli d’Amore, un gruppoesoterico di letterati che attraverso la poesia simbo-lica esprime in segreto concetti ermetici, proibiti dallaChiesa; il protagonista dell’Asino d’oro, primo ro-manzo iniziatico della letteratura, trasformato in unasino dal sortilegio di una maga, che rappresenta la

grande illusione del mondo esteriore, riacquista la forma umana mangiando una corona di rosevermiglie, offertagli dal grande sacerdote di Iside. E’ dottrina che una delle vie per raggiungere

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la perfezione sia quella dell’Amore, di cui la rosa ne è simbolo. L’amore, infatti, è unione, an-nullamento del dualismo, della separazione, ritorno dell’androgino primordiale, quindi mododi pervenire al centro.

Il simbolo dei Rosacroce è una rosa a cinque petali posta al centro di una croce, simileal sigillo personale di Martin Lutero, e cioè una croce che si erge su di un cuore all’in-terno di una rosa con cinque petali. La croce stabilisce un centro “indicato dall’inter-sezione di due assi (che devono intendersi della stessa lunghezza, così come indical’iconografia tradizionale). Questo centro è dunque rivelato dalla congiunzione di dueopposti, rappresentati dall’asse verticale e dall’asse orizzontale. Nella croce il tratto oriz-zontale rappresenta il femminile quello verticale il maschile: e, su scala universale, ri-spettivamente il principio fenomenico e quello

spirituale”.Secondo la mitologia greca e romana la Rosa

è nata dal sangue di Adone e da quello di Venere, per questorappresenta l’amore che genera e riproduce la vita: Adone,amante di Venere, viene ferito da un cinghiale, la dèa persoccorrere l’amato, si ferisce con alcuni rovi spinati e dal suosangue nascono le prime rose. Giove commosso permetteràad Adone di vivere per un certo periodo dell’anno nelmondo dei vivi e il resto nell’aldilà. La Rosa si qualifica per-ciò già da questo antico racconto mitologico simbolo del-l’amore che vince la morte, di grazia concessa dalla divinitàe di rinascita.

Come simbolo solare la Rosa compare anche nel Rosone gotico a partire dal XIII secolo:a seconda del numero dei raggi il Rosone può fare riferimento alla ruota zodiacale, al percorsoannuo del Sole oppure a quello diurno.

Simbolo chiave delle scuole ermetiche ed esoteriche occidentali ed orientali la Rosa lasi ritrova anche nelle tradizioni autoctone, e soprattutto nella leggenda del sacro Graal.

Sul piano della psicologia e del profondo il Graal, calice della Salvezza e della santifi-cazione, è un elemento femminile, simbolo della ricettività e della prodigalità, una sorta di uterospirituale per tutti coloro che si affidano alla dottrina segreta, ancora la ri-vificazione attraverso

un processo alchemico di unione del femminile e conil maschile, in questo caso l’eroe che beve dalla sacracoppa.Oltre ai significati di astinenza e di purezza, il sim-

bolismo tradizionale attribuisce alla Rosa Bianca ilsimbolo della morte. Alla Rosa di colore nero, in realtà rosso scuris-

simo, sono associati invece i significati di rinascita at-traverso il dolore e il sacrificio e, conseguentemente,di vita Eterna. I significati della rosa nera fanno dun-que esplicito riferimento al potere di trasmutazionedell’Amore, morte e resurrezione, attraverso il suosimbolo prediletto, la Rosa. Si tratta di quell’energiache può trovarsi sia a livello della passione animalecome a quello della pura forza spirituale.Potremmo semplificare dicendo che i principali si-

gnificanti di questo fiore perfetto sono almeno tre: al-chemici, geometrici ed iniziatici.

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A partire dal 1600 i trattati alchemici che circolano in Europa integrano la Rosa tra i lorosimboli prediletti ed erano detti “ rosari dei filosofi”: una rosa bianca in-sieme ad una Rosa Rossa diviene simbolo della dualità dei due principi Sul-phur et Mercurius.

A partire dalla concezione dantesca della “rosa candida”, la rosa di-viene perfetta conoscenza dei misteri della Grande Opera.

La rosa bianca indica la pietra filosofale non ancora perfetta, cioèil risultato della fase intermedia dell’opera alchemica, l’opera al bianco oAlbedo, raggiungibile dopo la lavorazione e purificazione degli elementiterra e acqua, tramite l’interazione degli elementi opposti aria e fuoco. Larosa rossa indica la pietra filosofale perfetta, con tutti i suoi poteri, cioè losbocco finale della Grande Opera, il risultato della fase denominata operaal rosso o Rubedo, raggiungibile dopo la lavorazione e purificazione deglielementi aria e fuoco, tramite l’interazione degli elementi terra e acqua, giàsublimati. Diverse immagini ermetiche rappresentano sette rose, oppureuna rosa che ha corolle con sette petali. I numero sette richiama i metallialchemici o gli archetipi planetari, da lavorare più volte nel crogiolo cruci-forme. Essi sono il piombo legato a Saturno e alle sue qualità, lo stagno legato a Giove e allesue qualità, il mercurio legato al pianeta Mercurio, il rame legato a Venere, l’argento legato allaLuna e infine l’oro legato al Sole. In un grado della piramide egizia la rosa canina passa da cin-que a sette petali.

Il numero dei petali della rosa, cinque, otto, dodici o quindici, è sempre posto in rela-zione all’interno della geometria simbolica con le sacre corrispondenze pitagoriche (o ritmo-machia), con gli sviluppi dimensionali e proporzionali dell’architettura, con la matematica“segreta”, con la quadratura del cerchio.

Il numero cinque in particolare collega la geometria della rosa ad aspetti iniziatici: la

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Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreutz.

rosa incarna la “conoscenza integrale” dell’uomo integrale e quindi allude all’illuminazione tra-mite l’apertura dei centri vitali (“far fiorire la rosa”).

L’ERMETISMO INTRINSECO NELLA ROSA

Attraverso la Rosa la natura ci rappresenta l’emanazione dell’Assoluto, che per l’erme-tismo alchemico è un campo di energia e di creatività costante, ma indeterminato e indefinito,dato che tale energia e creatività è eterna ed infinita. Nelle religioni la rosa simboleggia la Madrefecondata dal Padre e che ha generato il Figlio tramite lo Spirito Santo, che è percepibile anchefisicamente, tramite la sua particolare essenza profumata. Ritornando all’alchimia il simbolodella rosa nera è la Madre Cosmica, la Matrice Nera, la Prima Materia Il pensiero e la volontàdell’Assoluto attiva le potenzialità di tale matrice, venerata nell’antichità anche come VergineNera, e pertanto un fecondo e oscuro caos proteiforme produce continuamente innumerevoliforme e strutture, come le rose dagli svariati colori e profumi.

Nella raffigurazione grafica della rosa troviamo un altro elemento importante: il cerchio,che racchiude i petali e le corolle e conferma l’appartenenza del vari piani di manifestazionedel Tutto all’Uno, all’Assoluto. La Tradizione esoterica rappresenta l’insieme dell’uno e del Tuttocon il labirinto circolare. L’ermetismo alchemico paragona l’Assoluto proprio ad un cerchio, ilcui centro è ovunque e la cui circonferenza è in nessun luogo. Uno dei più importanti simbolirosacrociani (come detto sopra) raffigura cinque rose, una al centro della croce ed una su ogni

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braccio. Infatti il cinque è il numero che simboleggiale qualità dell’iniziato, raffigurato dalla stella a cinquepunte, segno distintivo dei Figli di Ermete o alchimisti.Le rose sulla croce sono l’allegoria dell’esistenza indi-viduale rivolta alla ricerca spirituale, esistenza che af-fronta il calvario mortificante della croce o lalavorazione nel crogiolo alchemico, per essere raffinatanegli elementi terra, acqua, aria e fuoco, tramite leprove dolorose e impegnative della vita, rappresentatedalle spine della rosa.

Nella Istituzione Libero-Muratoria l’immaginedella rosa a sette petali è affianca al simbolo del pelli-cano che si squarcia il petto per nutrire col sangue chesgorga i propri piccoli, il che è l’allegoria del sacrificioiniziatico di sé stesso per acquisire una nuova vita.Nella tradizione esoterica più antica la corona di roseo il roseto sono il cammino dell’uomo che, attraversouna serie di prove, rinasce dal punto di vista iniziatico,che sperimenta una realtà fuori dell’ordinario, lo statod’integrazione tra corpo, anima e spirito, il che tra l’altro è fondamentale per ottenere un pro-lungato stato di salute psicofisica. Tra l’altro la rosa è spesso rappresentata in pentacoli magicie cabalistici.

L’iconografia ermetica viene tramandata fino ai giorni nostri anche dalle sculture, daicapitelli e dai mosaici inseriti nelle chiese romaniche e gotiche. Nel Medio Evo mastri architettie scalpellini, le cui corporazioni erano legate ad ordini iniziatici, scrivono un messaggio esotericoeterno nella pietra o nel marmo tramite simboli geometrici, floreali ed animali - anche mitici,

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come serpenti alati e mostri - spirali o colonne ritorte, labirinti. Spesso l’immagine della rosa alchemica è circondata da api che volano intorno, perché

il simbolo dell’ape rappresenta la virtù operosa e quindi anche l’operatività alchemica perl’estrazione dalla materia grezza della quintessenza, che è associata al miele. Sovente il fiore èsorretto da uno stelo verticale che, con due rametti orizzontali e perpendicolari rispetto allostelo, forma i quattro bracci della croce, il crogiolo dove i quattro elementi sono sublimati pertrasformarsi in un quinto elemento, che non esiste in natura ma nel piano metafisico, appuntola quintessenza. Le diverse corolle delle rose alchemiche significano i diversi stati di energia, idiversi piani di percezione e consapevolezza del ricercatore, sperimentabili durante il lavoro ditrasmutazione. Nell’alchimia interiore una delle prime trasformazioni è lo spostamento del IOdagli strati superficiali e inconsistenti della personalità a quelli interni, permanenti, significativi.La ricerca alchemica all’interno della materia o il suo percorso all’interno dell’uomo nel mondoclassico è rappresentato da Ecate, dea degli in-feri, era talvolta rappresentata coronata diRose a cinque petali: il cinque indica la fine diun ciclo (4) e l’inizio di uno nuovo (4+1). Il nu-mero cinque segue il quattro, il numero delcompimento di un ciclo nel mondo materiale,strutturato dalle quattro coordinate dello spa-zio e del tempo, dai quattro punti cardinali.Pertanto il numero cinque segna l’inizio di unnuovo ciclo, nella dimensione della pura in-tensità, come la rosa dei venti esprime unacomplessità superiore ai quattro punti cardi-nali, con il superamento della semplice dimen-sione materiale.

La rosa rossa rappresenta anche lacoppa in grado di raccogliere, come il SantoGraal, il sangue rinnovato dell’alchimista. Larosa alchemica azzurra, che non esiste in natura, indica un risultato impossibile, contrario allaprassi alchemica, che deve vincere natura secondo natura. Invece quando è di colore rosa, inanalogia con termine latino ros, che significa rugiada, il fiore è simbolo della distillazione dellamateria prima, effettuata prima con il surriscaldamento, poi col raffreddamento e la condensa-zione dei suoi vapori sottili, delle sue essenze.

IL SIMBOLO DELLA ROSA COME PERCORSO ALCHEMICO INTERIORE

La via interiore può essere simbolizzata dallo schiudersi della rosa sulla croce. Eccoperché è considerata uno dei simboli di questo processo di cambiamento, di questa trasmuta-zione alchemica, simboli del Sé; queste situazioni archetipiche sono soprattutto da considerarecome un incoraggiamento ed esprimono il desiderio di andare più lontano; non è la fine delprocesso, ma un nuovo inizio per un nuovo giro di spirale.

La rosa può essere percepita come un meraviglioso simbolo dell’armonizzazione tra il“saper dare” e il “saper ricevere”. Questo equilibrio risulta da un movimento armonioso, daun’alleanza tra queste due componenti, movimento che costituisce una dinamica tra l’esterioree l’interiore di noi stessi. Nella nostra vita quotidiana, naturalmente, noi non selezioniamo il“saper dare” dal “saper ricevere”. La nostra psiche è costituita di energia maschile e di energiafemminile. L’energia maschile rappresenta la nostra capacità di azione nel mondo fisico: pen-

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sare, parlare, muoversi, per esempio. Il “saper donare” partecipa a questo processo di emissività.L’energia femminile rappresenta la nostra parte più intuitiva, quella porta interiore che puòaprirsi all’intelligenza suprema dell’universo. Per l’uomo, come per la donna, è la ricettività (lafunzione ricettiva) e il “saper ricevere” partecipa a questo processo di ricettività. Possiamo dire inmodo schematico che il processo creativo si traduce così:l’aspetto femminile riceve l’energia creatrice universale el’aspetto maschile la esprime nel mondo mediante l’azione;il tutto parte, ben inteso, della nostra alchimia mentale e spi-rituale.

Prendendo il simbolo della rosa ci rendiamo contoche ha un nucleo centrale da cui emanano i petali, le energieprovenienti dall’esterno passando attraverso i differenti petalie riunendosi al centro della rosa, rappresentano in qualchemodo il “saper ricevere” (dall’esterno verso l’interno, il feno-meno dell’interiorizzazione). Dall’altra, le energie che par-tono dall’interno, dal centro della rosa, diffondendosiattraverso i petali e aprendosi verso l’esterno, rappresentanoin qualche modo il nostro “saper dare”.

Tutto questo rappresenta simultaneamente la con-centrazione interiore e l’unione col mondo esteriore. È im-portante ricordare che nel “saper dare” come nel “saperricevere” è in gioco il piacere. Piacere di dare come il piaceredi ricevere, e viceversa.

E questo può essere fatto in modo naturale, comenell’esempio della rosa che riceve calore e luce e da profumoe splendore. L’equilibrio al quotidiano forse sta in questa giu-stizia, questo adattamento con flessibilità del “saper dare” edel “saper ricevere” simultaneamente si tratta di ciò che sichiama “l’apertura del cuore”, elemento essenziale nella viainiziatica.

Varie sono le immagine dell’iniziando con un bocciolo di rosa che non chiede altro senon di aprirsi, come se l’iniziando, nel suo viaggio interiore, farà sbocciare in lui l’essenziale.

Tre sono i punti simbolici concernenti la rosa in un approccio psico-spirituale, dunqueun triangolo, con:

al 1°punto, la rosa come simbolo del desiderio spirituale di realizzazione del Sé;al 2°punto, la rosa come simbolo del “saper dare” e del “saper ricevere”;al 3°punto, la rosa come simbolo dell’apertura del cuore.Tre punti simbolici che favoriscono la sensazione dell’unità. Tre in Uno. L’unità attra-

verso l’Amore e la Conoscenza, aiuta a edificare nuovi valori. A tutto ciò ci invita il simbolodella rosa che irradia nel senso spirituale del termine, ma anche nel senso psicologico con icambiamenti dei valori e dei comportamenti che questo induce nel mondo del pensiero e,beninteso, nel senso quotidiano con le applicazioni pratiche, concrete, pragmatiche nella vitadi ogni giorno. Dunque una irradiazione sui tre piani spirituale, psicologico e quotidiano.

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus

(“la rosa, che era, [ora] esiste solo nel nome, noi possediamo soltanto nudi nomi”)

Dal “De contemptu mundi” di Bernardo Cluniacense,monaco benedettino del XII secolo n

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Vetrina dei Maestri PassatiMARC HAVEN

Apis

Spesso abbiano espresso giudizi critici e preoccu-pati sul cosiddetto mondo occultistico. Riteniamo utile,in tale ottica, proporre questo brano di uno dei maggioriiniziati del secolo: Marc Haven, al secolo dr. EmmanuelMarc Henry Lalande.

Amico di Papus fin dalla giovinezza e suo com-pagno di studi universitari alla facoltà di medicina,Haven divenne il genero di Maître Philippe avendonesposato la figlia.

Membro del primo Supremo Consiglio dei Supe-riori Incogniti dell’Ordine Martinista e Patriarca GranConservatore, 95° Grado del Rito di Memphis e Misraïm,fu insignito da Papus dell’Episcopato Gnostico. Alla mortedi Papus Marc Haven divenne il precettore del figlio delsuo amico, Philippe Encausse, che avvià agli studi me-dici ed a cui conferì nuovamente l’iniziazione ai gradimartinisti che Papus aveva impartito al piccolo Philippeprima di partire per il fronte.

Philippe Encausse definiva Haven “il mio secondo padre” e lo considerava unodei più grandi esseri che avevano calcato le scene del mondo iniziatico.

Emmmanuel Lalande era nato a Nancy, in Lorena, il 24 dicembre del 1868. Lasua famiglia era originaria della Borgogna e a causa della professione del padre, ispettore sco-lastico, i Lalande cambiarono spesso dimora: Digne,Montpellier, Tolosa e infine Sens dove Emmanuel ter-minò il liceo.

Il suo interesse per l’esoterismo fu molto precocee si perfezionò ulteriormente nel fertile ambiente di Parigiove Emmanuel si trasferì per compiere gli studi in medi-cina. Frequentando la Librairie du Merveilleux, autenticocrocevia degli occultisti parigini, egli entrò in intimità conVictor-Emile Michelet che lo presentò a Gerard Encausse,anch’egli studente in medicina.

Emmanuel divenne dunque uno dei cosiddetti“Compagni della Jerofania” destinati a coadiuvare Papuse Chaboseau nella fondazione dell’Ordine Martinista enella ricostruzione del Rito di Memphis e Misraïm. Lopseudonimo (o, più correttamente, jeronimo) “Haven” de-riva dal «Nuctemeron» di Apollonio di Tiana e designa ilnome del genio della dignità. È da notare che anche Ge-rard Encausse scelse il proprio jeronimo dalla stessaopera: infatti “Papus” rappresenta il genio della medicina.

Divenuto, come Papus, Sedir, Teder, Michelet, di-scepolo di Maître Philippe, Haven si innamorò, ricam-

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Marc Haven

biato, della figlia del Suo Maestro,che sposò nel 1897. La giovane era però destinata ad lasciarela vita nel fiore degli anni e morì nel 1905. Haven si trasferì a Nizza, ove aprì un gabinetto diradiologia, e poi a Parigi, ove si occupò attivamente dell’educazione del figlio del Suo grandeamico e Mentore, Papus, scomparso nel 1916.

Prima di morire tradusse in francese il Tao Tè King di Lao-Tse, oltre che numeroseopere di cabala e di magia. Morì il 31 agosto del 1926. Philippe Encausse scrisse, nella Suaautobiografia: ”e quel giorno io divenni,per la seconda volta,orfano”.

“L’occultismo non è, in effetti, nè una dottrina precisa nè una settaomogenea; è un gruppo fittizio, nel quale si incontrano spiriti di ogni genere,dal più greve positivista fino al più sottile mistico; molti ignoranti, vanitosidi qualche lettura incompresa; alcuni ambiziosi,un piccolo numero di eruditiai quali il tormento dell’unità non lascia riposo, veri ebrei erranti del sa-pere; e, ancor più rari,alcuni esserei di buona volontà, i migliori,che cer-cano lì come farebbero altrove, un lavoro utile da fare per Dio e per gliuomini. Tutte queste persone si affiancano, fraternizzano pomposamente,si separano con strepito, passano dall’entusiasmo più vivo per gli unie per gli altri ai rancori più feroci; le loro beatificazioni sono impre-viste quanto le loro scomuniche, e altrettanto chiassose. È un mercatogenerale, piuttosto che un tempio. Come potrebbe tutta questagente,avere su una questione, su Cagliostro per esempio, un’opinione

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comune? Forse mi si troverà severo; ma dopo venticinque anni che vivo in mezzo agli occultisti, avendovisto sette d’ogni tipo e d’ogni livello, mi sembra che un solo punto le accosti, che un solo tratto sialoro comune. Tutti,quale che siano le loro apparenze, le loro dichiarazioni di principio, ricercano il fe-nomeno, tutti vogliono acquistare poteri eccezionali sulla materia, sulla vita, o almeno persuadersi opersuadere gli altri di possederli. È questa curiosità interessata, questa voglia di dominare sugli altriche riunì un tempo una folla di discepoli attorno al potente Cagliostro; sono questi stessi sentimentiche, ai nostri giorni, radunano ugualmente, attorno ad alcuni maestri meno qualificati, tanti spiritidisparati, sotto il nome di occultisti”.

(Marc Haven, “Le maitre inconnu, Cagliostro. Ètude historique et critique sur la Haute Magie”, Parigi,

in Italia edito da Editrice CambraMenti, Bologna, 2004) n

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