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Apis Editoriale Apis Sul Convegno Martinista Aldebaran Sugli Eggregori in generale e su quello Martinista in particolare Gianmaria Mens sana in corpore sano Eleazar Il Cavaliere d ‘Oriente e della Spada Apis Sugli dei egizi (parte quarta) Hawah “Pianto antico “ M. Mizar Massimiliano Savelli Palombara marchese di Pietraforte Hathor Go-Rex La pietra come simbolo ADM Una magia per sigillare il volere allontanandolo dall ‘Ego: A. O. SPARE Vetrina dei Maestri Passati: I IX punti della Regola di J. B. Willermoz Calendario Operativo 2016 Pag. 1 Pag. 5 Pag. 8 Pag. 20 Pag. 25 Pag. 31 Pag. 40 Pag. 51 Pag. 64 Pag. 71 Pag. 77 Pag. 84 Anno 1 - n. 5 - dicembre 2015 Direttore responsabile: Mauro Cerulli Comitato scientifico: Fabrizio Fiorini Luizio Capraro Arrigo Gareffi Antonino Bonanno www.mizr.eu MIZR é uno strumento di divulgazione interna che presenta studi sul Martinismo, la Libera Muratoria e lo Gnosticismo. La raccolta (che non ha periodicità ed é riservata ai soli membri della Associazione Culturale MIZR) non é in vendita e può essere stampata in proprio scaricandola gratuitamente. Pertanto non può essere considerata una testata giornalistica o un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07.03.2001.

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Apis Editoriale

Apis Sul Convegno Martinista

Aldebaran Sugli Eggregoriin generale e su quelloMartinista in particolare

Gianmaria Mens sana in corpore sano

Eleazar Il Cavaliered ‘Oriente e della Spada

Apis Sugli dei egizi(parte quarta)

Hawah “Pianto antico “

M. Mizar Massimiliano Savelli Palombara marchese di Pietraforte

Hathor Go-Rex La pietra come simbolo

ADM Una magia per sigillare il volere allontanandolo dall ‘Ego: A. O. SPARE

Vetrina dei Maestri Passati: I IX punti della Regola di J. B. Willermoz

Calendario Operativo 2016

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Anno 1 - n. 5 - dicembre 2015

Direttore responsabile: Mauro Cerulli

Comitato scientifico: Fabrizio FioriniLuizio CapraroArrigo Gareffi

Antonino Bonanno

www.mizr.eu

MIZR é uno strumento di divulgazione interna che presenta studi sul Martinismo, la Libera Muratoria e lo Gnosticismo.

La raccolta (che non ha periodicità ed é riservata ai soli membri della Associazione Culturale MIZR) non é in vendita e può essere stampata in proprio scaricandola gratuitamente.

Pertanto non può essere considerata una testata giornalistica o un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07.03.2001.

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EDITORIALEApis

Pochi giorni prima di scrivere questo editoriale mi trovavo a cena con due Fratelli, ap-partenenti ad un Ordine Iniziatico diverso dal Mio; di tale Ordine ben conosco la serietà edil rigore. Mentre analizzavamo alcune situazioni che destano la logica preoccupazione di chi,come noi, segue con grande impegno ed altrettanta serietà una Via Iniziatica, il più anzianodei due, rivolgendosi a me ha detto: “Sai, Fratello Apis, quale é il problema del Martinismo ita-liano oggi? Uno solo: non ci sono quasi più martinisti in giro,perché coloro che DICONO di esserloin realtà non lo sono“! Questa affermazione, apparentemente molto forte e paradossale fattada tale Fratello che chiameremo, dall ‘iniziale del Suo nome Iniziatico, Fratello A. é malaugu-ratamente molto vera, ma sarebbe doveroso estenderla ed affermare dunque, al contempo,che il problema della Massoneria risiede nel fatto che non ci sono più massoni, e che il pro-blema dello Gnosticismo é che non esistono più gnostici e, ancora, che il problema dell ‘An-troposofia, o della Teosofia é che non esistono più né antroposofi né teosofi, nell ‘accezioneche a tali termini sarebbe doveroso dare! Volendo estremizzare il concettosaremmo portati ad affermare anche che il vero problema dell ‘umanitàsta nel fatto che non esistono più uomini e lo dimostrano i recenti fattidi Parigi, che vanno doverosamente analizzati a tutto tondo: tenendo cioéconto delle criminali azioni terroristiche compiute (cosa abberrante) innome di un credo religioso, ma anche tenendo conto di certe reazionidella stampa altrettanto abberranti quali, ad esempio, il criminalizzareingiustamente, per quegli orrendi misfatti, tutto un mondo, quello mus-sulmano, che ha donato all ‘umanità l ‘algebra, la filosofia di Averroé equella di Avicenna, la mistica di Ibn Arabi e di Rumi, la poesia di OmarKayhamm, l ‘architettura dell ‘Alhambra di Granada e quella della mo-schea bleu di Istambul, e molto altro ancora.

Ma limitiamoci, visto lo specifico taglio di questa rivista, a fare sol-tanto alcune piccole considerazioni in ambito esoterico e spirituale: perciò,completando ulteriormente il ragionamento dell ‘ottimo Fratello A. diciamoche IL VERO PROBLEMA DELL ‘ESOTERISMO RISIEDE NEL FATTOCHE DI ESOTERISTI VERI, IN GIRO, NE SONO RIMASTI TALMENTEPOCHI DA AUTORIZZARCI A DIRE CHE L ‘ESOTERISMO È, ORAMAI QUASI MORTO.

Sto esagerando? Non credo proprio! Infatti, se consulterete l ‘enciclopedia Treccani viimbatterete nella seguente definizione di “esoterico “: “In ambito filosofico e religioso, si diconoesoteriche le dottrine e gli insegnamenti segreti, che non devono essere divulgati perché destinati apochi. Nella storia delle religioni e delle filosofie, il termine é stato usato per indicare gruppi o orien-tamenti di pensiero che si presentano come portatori di dottrine riservate a pochi discepoli o iniziati,e ne rifiutano quindi la divulgazione, occultandole in espressioni rituali, simboliche, mitologiche chesolo gli aderenti al gruppo possono comprendere. Le dottrine esoteriche si presentano sempre come ve-rità di particolare valore, soprattutto ai fini della salvezza individuale, della liberazione dal male, delprogresso spirituale. Per questo l ‘esoterismo é fortemente legato a varie forme di esperienza religiosae mistica, così nelle religioni dei popoli senza scrittura (ove le dottrine si tramandano oralmente all‘interno di un gruppo o di una casta), come in forme religiose di raffinata cultura (per es., religioni dimistero, gnosticismo). Motivi esoterici sono anche presenti nelle teorie alchemiche e magiche, in certecorrenti della cabala, in varie forme di moderno misticismo e soprattutto nelle correnti teosofiche.“

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Dunque, cari lettori, questa non é la definizione che vi fornisce Apis, bensì la defini-zione lucida, obbiettiva e, certamente non di parte, fornita dalla più prestigiosa enciclopediaitaliana! A voi pare che i vari imbonitori del web o affini si pongano come “custodi di dottrinee di insegnamenti segreti, che non devono essere divulgati perché destinati a pochi?“ Ma quandomai, non dico ai tempi degli egizi antichi ma fino ad appena 50 anni fa, una dottrina segretaé stata data in pasto a cani e porci come accade ora? Quando mai una verità di grande valore,destinata a liberare l ‘uomo dal male ed a favorirne il progresso spirituale é stata soggetta atariffe commerciali con tanto di prezzario: “Iniziazione Osiridea = euro 10.000“; Arcana-Arca-norum = euro 500 (prezzo modico, quest ‘ultimo, ma che volete, ci sono i ladri raffinati modelloArsenio Lupin ma anche i ladri di galline, “pure i picciotti hanno a campàri“). E ancora: quandomai un contenuto salvifico, destinato a pochi, viene viceversa offerto ad individui chiaramentedisturbati sul piano psichico?

No, amici miei, non é Apis che esagera: guardatevi intorno e lo verificherete!Ho già pubblicamente chiesto scusa, anni fa, ad Umberto Eco per la durissima conte-

stazione che mossi, a suo tempo, al suo bel romanzo Il Pendolo di Focault, da me giudicatocome un insulto gratuito a tutto il mondo esoterico ma, dice un noto cantautore modenese,“a vent ‘anni si é stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell ‘età“. All ‘epoca di quella miavivace sortita contro Eco io avevo in realtà più di vent ‘anni ma non importa: si é ancora giovanianche a trent ‘anni e giunto alla mia età attuale non sono più solito fare molte differenze traun ventenne ed un trentenne, guaglione l ‘uno e guaglione l ‘altro, nel senso che ancora si élontani da quella saggia (e un pizzichino ci-nica) visione della vita che si raggiunge sol-tanto quando i pochi capelli che ancorarimangono sono diventati del colore dellaneve. Quel mondo di pazzi, cialtroni, isterici,donnette di facili costumi, illusi ed imbroglionidescritti da Eco nel suo romanzo é sine ullodubio un fedelissimo spaccato del mondo eso-terico italiano, ma per comprenderlo bisognaaver visto quello che si é visto dopo quarant‘anni di onesta “militanza “ in tali ambienti!Pochi giorni dopo i fatti di Parigi (vissuti da mecon particolare dolore in quanto fu a pochecentinaia di metri da uno dei luoghi degli at-tentati che ricevetti, nel lontano 1979, la Luce Martinista) in un “forum“ (o qualcosa di simile)abitualmente molto frequentato da presunti esoteristi e nel quale mi limito ad osservare guar-dandomi bene dall ‘intervenire, lessi un allucinante commento scritto da un baldo giovanotto“diversamente pigmentato“ o meglio di colore come da espressione politically correct (però diredi colore potrebbe anche voler significare che il tizio in argomento ha la pelle gialla, rossa oviola, invece ha la pelle nera) il quale, candidamente, dichiarava che i francesi avevano avutociò che si meritavano e che, in definitiva, era giusto che l ‘Isis (o quello che é) “restituisse aifrancesi il male che essi hanno fatto“. Mi sono informato: il giovanottone é originario del Sene-gal, paese che ha certamente subito da parte della Francia un duro colonialismo, perciò, conil buonismo veltroniano oggi in voga potremmo anche giustificare questo figlio di una terrasfruttata dai biechi colonizzatori europei (anche se tali biechi colonizzatori hanno portato inquei paesi anche antibiotici, vaccini, ospedali, strade, corrente elettrica, acqua corrente, manon stiamo qui a sottilizzare, in fondo é vero che la libertà non ha prezzo e giustamentequando a Nelson Mandela un giornalista bianco fece un discorso del genere, egli rispose“credo che, potendo scegliere, il mio popolo avrebbe preferito morire di colera, vaiolo, tubercolosi, LI-

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BERO, che non essere curato da SCHIAVO“, grande risposta di un grand ‘uomo, niente da dire)ma no, non possiamo giustificarlo, sapete perché? PERCHE ‘ QUELLO SCELLERATO E ‘MARTINISTA “!!! Dunque, in barba ai principi martinisti di pace, amore, bontà, questo “en-comiabile “ Fratello ritiene che sia GIUSTO che la terra dove il martinismo é nato debba subire(in nome della legge del taglione, mi pare di capire, legge che dal Martinismo é lontana comeil diavolo lo é all ‘acqua santa) questi vili attentati a causa degli errori di quei pochissimi fran-cesi che pianificarono ed attuarono la politica coloniale! Come a dire: il Mio carissimo FratelloP., di religione ebraica e l ‘essere più pacifico che conosco, é autorizzato a mettere una bombaa Berlino in quanto circa 80 anni fa pochi criminali pianificarono ed attuarono la Shoà! Bene,che qualcuno faccia sapere al giovanotto in argomento che tale Fratello P. durante un Conve-gno nel quale uno studioso tedesco esprimeva imbarazzo e vergogna per quanto successo inGermania durante il nazismo, così si rivolse al medesimo: “Caro amico, mi creda, é giusto chedi tali orrori non se ne parli più anche perché ritengo che quei crimini abbiano fatto molti più dannialla sua gente che non alla mia“. Ed é PRECISAMENTE così che parla un Iniziato quale, senzatema di smentita, il Mio buon Fratello é.

Ora, che nessuno si azzardi a darmi del razzista, perché non lo sono (cosa del restoche sarebbe assai ardua vista la complessa composizione del mio sangue che rende il mioaspetto fisico piuttosto affine al Medio Oriente che non alla Scandinavia) e infatti io ho cer-cato, per questo idiota (sissignore, ci sono gli idioti bianchi, gli idioti neri e gli idioti gialli) unagiustificazione che mai avrei cercato se egli fosse stato europeo! Ma il problema, in definitivaquale é? Perché o Apis ti allontani dalla tua introduzione iniziale così divagando?

Perché, cari lettori, questo personaggio QUALCUNO DEVE PER FORZA averlo as-sociato al Martinismo, mica si é dato l ‘iniziazione da solo (per carità oggi succede anche que-sto, ma non é tale il caso)! Nessuno si azzardi, parimenti, a tentare sofismi del tipo “Si va bé,ma pure tra i martinisti devono esserci, necessariamente, degli imbecilli, e poi una rondine non faprimavera“. Non ci provate, ragazzi, in quanto in un Ordine Iniziatico NON POSSONO ar-rivare degli imbecilli e di casi di imbecillità altrettanto grandi ne osservo ogni giorno, nel mar-tinismo, come nella massoneria, antroposofia, etc. E dunque, come volevasi dimostrare: ilproblema del Martinismo é che non ci sono più martinisti, il problema dell ‘esoterismo é chenon esistono più esoteristi; a parte qualcuno, per fortuna, e scusate la presunzione, ancheperché più che a me stesso pensavo in questo momento a qualcun altro, compreso il Fratelloche, inconsapevolmente, con la sua affermazione ha ispirato questo editoriale, perciò, se viho annoiato prendetevela con lui!

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SUL CONVEGNO MARTINISTAApis

Il 23 e 24 ottobre 2015 si é tenuto a Padova il II Convento nazionale della Fratellanza Mar-tinista Italiana a cui hanno partecipato, oltre ai delegati dei quattro Ordini costituenti la F.M.I. anchei rappresentanti dei maggiori Ordini martinisti italiani e stranieri, direttamente o facendo per-venire una loro Questo il tema prescelto per i lavori del Convento:

“Per una corretta interpretazione del Martinismo.Strumenti e metodi dell ‘Associato Incognito. “

Le numerose relazioni su questo tema sono state pubblicate nella rivista online“Il Trulume “, Organo ufficiale della F.M.I. In questo numero di MIZR vogliamo ripro-porre la relazione del Nostro Sovrano Gran Maestro Apis.

Illustrissimi e Potentissimi Gran Maestri e Delegati degli Ordini accredi-tati, Carissime Sorelle e Carissimi Fratelli,

In questo periodo, tradizionalmente, diversi Ordini Martinisti svolgono i propri annualiConventi e, pur nella apparente separazione, tutti i Martinisti sono in realtà indissolubilmentelegati tra Loro dai Sacri Simboli, comuni alla Nostra Tradizione e dalla comune Nostra originesancita, nell ‘epoca moderna, dalla costituzione dell ‘Ordre Martiniste da parte degli Illustris-simi Fratelli Gerard Encausse e Augustin Chaboseau. Oltre il velo delle diversità legate a pos-sibili differenti interpretazioni o applicazioni della Dottrina Martinista, tutti Noi siamo, volentio nolenti, anelli di una stessa catena e tutti noi, volenti o nolenti dovremo, prima o poi, rendereconto delle nostre azioni all ‘Essere Supremo ed ai Maestri Passati. Io credo, carissime Sorellee Carissimi Fratelli, che in questo momento di gravissima crisi morale, politica, spirituale, delmondo Occidentale e del Nostro amato Paese in particolare, che io non mi vergogno di defi-nire con il Suo nobile nome di PATRIA, il Martinismo molto avrebbe da offrire alla società ci-vile attraverso i propri fondanti valori ed il proprio intrinseco senso di identità Cristiana cheé cosa ben diversa dal Cattolicesimo della Chiesa di Roma. Ma affinché ciò possa essere pos-sibile occorre che noi tutti ci interroghiamo, costantemente e quotidianamente nel modo sug-gerito dal grande Pitagora: “In che cosa ho mancato?Cosa ho fatto? Quale é il dovere che nonho compiuto “?

Io ritengo che questo sia l ‘unico modo per interrompere quelle sequele di piccole me-schinità di bottega, di inimicizie, rancori, sospetti e chiacchiere da comari, che assai spessohanno funestato, sopratutto negli ultimi quarant ‘anni, il mondo martinista italiano. Il Marti-nismo é fatto da uomini e questo é il limite Suo ed in generale di tutti gli Ordini Iniziatici:tuttavia se tali uomini avranno la forza, il coraggio, la perseveranza e l ‘intelligenza, di averesempre presente che il loro obiettivo é la Reintegrazione e non l ‘affermazione delle proprieegoiche pulsioni nel mondo del quaternario, allora quelli ideali di Fraternanza, Libertà, Ele-vazione Morale e Spirituale dell ‘Umanità che Louis Claude de Saint-Martin e Coloro che aLui si sono ispirati, hanno tentato con tutte le loro forze di far penetrare nel mondo, potrannofinalmente manifestarsi in tutta la loro originaria e rivoluzionaria potenza. Dobbiamo dunquesempre, anche nei momenti più difficili, avere bene presente che tutti Noi siamo FRATELLIed aver chiaro il senso interiore ed occulto di tale termine.Dunque questo Convento, il se-

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condo svolto sotto l ‘egida della Fratellanza Martinista Italiana, si apre, per quanto mi riguarda,all ‘insegna della più assoluta e cristallina manifestazione di Fraternità nei confronti di tutti iMartinisti e di tutti gli Ordini martinisti ivi compresi coloro, o meglio ancora SOPRATUTTOcoloro, perché più bisognosi di amore fraterno da parte nostra, che continuano a ricercarenella polemica e nella divisione un volano per l ‘affermazione delle proprie personali e profaneaspirazioni. Noi siamo decisi a procedere per la Nostra Strada, Strada che ci é stata indicatachiaramente dai Maestri Passati e siamo fermamente convinti che a certe affermazioni si puòrispondere unicamente con il silenzio e con la compassione perché é scritto: “Non vi é peggiorcieco di colui che non vuol vedere e peggior sordo di colui che non vuole ascoltare“.

Ma veniamo al tema che é stato prescelto per questo Convento ovvero “ Per una cor-retta interpretazione del Martinismo: Strumenti e metodi dell ‘Associato Incognito“. Io sonoconvinto che una pianta, per crescere e svilupparsi adeguatamente, deve essere correttamentecurata fin dal momento in cui viene inserita nel terreno, perché se la pianta viene annaffiatapoco o male o non dispone di sufficiente luce essa si svilupperà male, e spesso darà luogo adun albero storto o malato e, francamente, nel nostro ambiente di “alberi “ storti o malati io nevedo molti. Del resto é noto a tutti che un edificio non può essere costruito senza l ‘ adeguatacreazione delle indispensabili fondamenta e dunque possiamo, per analogia, concludere cheun Martinista che viene messo nelle condizioni di lavorare adeguatamente e correttamentenel grado di Associato Incognito diventerà, con molta probabilità, un buon Martinista; ma seegli non viene correttamente “impostato “ e “plasmato “, essendo materia vergine al momentodella sua Associazione, dal proprio Iniziatore, costui, inevitabilmente, si porterà sempre dietroquelle scorie egoiche, quelle zavorre istintuali, quei fardelli temperamentali che il lavoro ingrado di Associato dovrebbe ridurre per poi eliminare definitivamente nei gradi successivi.

Ma quale deve essere il lavoro dell ‘Associato? A questa domanda risponde il Ritualedei Lavori di Loggia in grado di Associato Incognito adottato da molti Ordini Martinisti dopola riforma degli anni ‘50 operata dal Figlio di Papus: “IL MIO COMPITO E ‘PURIFICARE LALUNA“. Si badi che tali Rituali sono stati costruiti in massima parte semplicemente aggiun-gendo quanto era già presente nei c.d. “Vademecum dei gradi“ la cui compilazione é stata a suotempo effettuata dal Nostro Fondatore Papus il quale, nel primo bollettino dell ‘Ordre Martini-ste, ci informa anche che lo scopo del lavoro in grado di Associato é quello di procedere ad unacorretta educazione del pensiero. Ciò ci porta a concludere che il lavoro Associativo martinistadeve basarsi essenzialmente sul fornire strumenti operativi atti a purificare “l ‘astralità “ delnuovo martinista modificandone la struttura profonda o nucleo centrale, ovvero “l ‘Io “, in mododa eliminare quelli impulsi disordinati e coattivi che sono propri dell ‘uomo ordinario o “uomodei cinque sensi “.Ciò si compie in primo luogo con l ‘utilizzazione di quell ‘eccellente strumentodi auto-osservazione meditativa costituito dalle Meditazioni di Sedir, strumento che vienemesso a disposizione del nuovo martinista addirittura PRIMA della sua Associazione! Alle me-ditazioni di Sedir vengono aggiunti,DOPO l ‘Associazione, altri strumenti di lavoro: le c.d. “Pra-tiche Accessorie“, il Rituale Giornaliero di Catena e il Rito di Purificazione del Novilunio. Contali strumenti il nuovo Associato viene lentamente trasformato da “soggetto passivo“ a “soggettoattivo“ed inizia perciò a compiere quel percorso “Operativo“ che dovrà poi completare e per-fezionare nei due gradi successivi,,Iniziato e Superiore Incognito, dato che il Superiore IncognitoIniziatore non é, come abbiamo avuto molte volte modo di dire, un grado, bensì una QUALI-FICA che nulla aggiunge (ma molto toglie) al lavoro individuale del S:::I:::

Comprenderete che qualsiasi “Operatività“ non può essere svolta senza una preventivarettificazione del Pensiero (liberazione del Pensiero dai sensi): in caso contrario si rischierebbedi giungere al lavoro Teurgico previsto nei gradi successivi con il medesimo “modus pensandi“(e dunque anche “modus agendi“) caratteristico del piano profano dell ‘esistenza e ciò, a miomodo di pensare, é la principale causa di scissione della personalità che con facilità é riscon-

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trabile in molti “esponenti “ delle Scuole Iniziatiche contemporanee. In parole povere senzauna propedeutica educazione dell ‘Anima non é possibile agire sullo Spirito. In termini occulti,infatti, Anima e Spirito sono due Arti costitutivi assolutamente diversi tra loro e una delle mag-giori confusioni di questi tempi é certo quella di confondere queste due parti superiori dell ‘Es-sere Umano. La antica Dottrina Gnostica dalla Quale, secondo Papus,deriva tutto l ‘OccultismoOccidentale moderno,aveva invece ben chiara tale distinzione dal momento che si distinguevaun Individuo “Psichico “ nel quale le forze dell ‘Anima erano ancora prevalenti su quelle delloSpirito, da un Individuo “Pneumatico “ nel quale le forze dello Spirito-Io erano pienamentemanifestate. Ma non si diviene Pneumatici per caso: occorre prima dallo stato Ilico, ovvero dalpiano della bruta profanità, passare a quello Psichico per poi finalmente conquistare lo stato diPneumaticità. La parola chiave del lavoro di Associato (ma che non dovrà mai venire menoanche nei gradi successivi) é dunque AUTO-OSSERVAZIONE. Da ciò l ‘importanza del diarioe delle periodiche relazioni che l ‘Associato deve sottoporre al proprio Iniziatore affinché egli sipossa rendere conto delle difficoltà e dei progressi dei propri “figlioletti “. Val bene ricordare,Carissime Sorelle e Carissimi Fratelli,che l ‘Iniziatore non é una sorta di “Guru “: con tutto ildovuto rispetto e la stima che é doveroso nutrire per le Vie Orientali (stima condivisa da Papusche, non a caso, nelle Lettere-Patenti e nei Bollettini dell ‘Ordine inseriva anche il nome dellaDivinità in caratteri sanscriti) é bene ricordare che il Martinismo, come ogni Via Iniziatica d ‘Oc-cidente, é una Via sapienziale, auto-realizzativa e gnostico-conoscitiva (queste le parole di Teder,Nostro secondo e comune Gran Maestro) e come tale essa deve agire in funzione di stimolarel ‘indipendenza e la libertà dell ‘Iniziato da ogni possibile “stampella “esteriore o interiore chesia. Val bene anche ricordare sempre che Papus afferma a chiare lettere che l ‘Associazione mar-tinista non può, in linea di massima, essere negata a chi la richiede ma che il grado di Associatodovrebbe, correttamente, essere considerato nella realtà come una sorta di “pre-grado “ poichél ‘Associato non é ancora completamente collegato all ‘Eggregoro dell ‘Ordine. Ciò impone all‘Iniziatore una grande prudenza ed una lunga osservazione in termini di tempo dell ‘Associatoonde non commettere il tragico errore di collegare eggregoricamente un individuo inadeguatoed impreparato. Perciò io rimango veramente sconcertato nel constatare che, sopratutto in Italia,esistono strutture che propongono ai loro affiliati delle vere e proprie “carriere veloci “con i ri-sultati che possiamo immaginare. Chi davvero vuole bene ai propri Associati evita accurata-mente di danneggiarli consentendo loro una adeguata sedimentazione ed assimilazione deimetodi di lavoro che gli fornisce.

L ‘Iniziatore che voglia operare secondo i canoni corretti del Martinismo vi dirà inoltre:“Non assumete il mio pensiero facendolo vostro in modo passivo (poiché altrimenti esso sarebbe un“pensato “ e non un pensiero) ma VERIFICATE INDIVIDUALMENTE tutto ciò che vi dico“. BuonIniziatore, dal mio punto di vista, é colui che si limita a mostrarvi la strada fornendovi il me-todo, metodo che ha a sua volta ricevuto da chi é venuto prima, senza aggiungere a tale me-todo fantasie fuordevianti o elementi provenienti da dottrine e tradizioni diverse da quellemartiniste, magari si tratta di dottrine o tradizioni nobilissime, efficaci quanto quelle martinistema in tal caso, allora, perché usare il termine MARTINISTA per caratterizzare ciò che marti-nista non é più? Il Figlio di Papus, che non finirò mai di benedire per avermi Egli, LETTE-RALMENTE salvato la vita, amava ripetere: “Carissimi, il Martinismo é semplice, quasielementare, potremmo definirlo anche con il termine di sistema minimale, e non necessita di una par-ticolare intelligenza, né di genio, né di creatività; tuttavia Esso é un percorso in sé completo che ri-chiede UNICAMENTE TRE COSE: VOLONTA ‘, CUORE, DISCERNIMENTO“. Seguendo talisemplici regole io ho conservato per il Martinismo lo stesso amore e la stessa passione cheho provato nel momento del mio incontro con Esso, avvenuto ben 36 anni fa: il mio augurioé che ciò possa avvenire anche per voi.

Con il Mio Q:::F:::A:: n

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SUGLI EGGREGORI IN GENERALEE SU QUELLO MARTINISTA

IN PARTICOLAREAldebaran

In relazione alla notevole confusione in cui versa oggi il c.d. “mondo iniziatico“, confusionepiù volte denunciata dalla rivista MIZR, ritienamo utile riproporre integralmente la seguente rela-zione che un grande Maestro Passato, Gastone Ventura,preparò per il Convento di S.Leo dell’OrdineMartinista, nel 1969.

Il conte Gastone Ventura (1906-1981), il cui nome iniziatico era Aldebaran,proveniva da una nobile famiglia parmigiana, giunta nel Veneto in età napoleonica;visse a Venezia e fu Gran Maestro dell’Ordine Martinista e Sovrano Gran JerofanteGenerale del Sovrano Santuario Adriatico dei Riti di Mizraim e Memphis. Venne ini-ziato, sia nel Martinismo che nei Riti Egizi, dal conte Ottavio Ulderico Zasio (Arte-phius), di Cui fu discepolo e strettissimo collaboratore ed al Quale successe nelle carichesopra indicate anche se, nell’Ordine Martinista, vi fu tra Zasio e Ventura la brevissimaparentesi della Gran Maestranza di Franco Bandarin (Manas) che morì appena 19giorni dopo la Sua nomina.

Il conte Ventura fu anche Reggente del Gran Priorato d ‘Italia del SUPERNUSORDO EQUESTER TEMPLI (Ordine templare). Prima della sua morte, avvenuta il28 luglio 1981 a Mestre, ‘pose in sonno ‘ l’Ordine del Tempio Italiano.Contrammiragliodella marina Italiana, fu giornalista, critico, scrittore ma, soprattutto, fu un grandeIniziato ed un ricercatore metafisico di profonda onestà.

Tra le Sue molteplici Opere ricordiamo: “Tutti gli Uomini del Martinismo “,“I Riti Massonici di Misraim e Memphis “, “Cagliostro, Uomo del Suo Tempo “, “IlMistero del Rito Sacrificale “, “Templari e Templarismo “.

Che cosa e un Eggregore? La parola viene dal greco ed indica un “insieme “, un “gruppo “ di per-

sone legate da sentimenti, ideali, usi e costumi comuni. Una famiglia é già unpotente Eggregore; un Ordine basato su regole ben determinate, dottrine preciseseguite da tutti i suoi componenti, regole, credenze, fedi ecc. é un Eggregorepossente.

Così come esistono Eggregori che chiameremo fisici (formati cioé da uo-mini o da esseri viventi), esistono Eggregori spirituali che generalmente deri-vano da Eggregori fisici. E come esistono Eggregori fisici che professano idee,usi, costumi ritenuti buoni, morali, altruistici, sociali, di elevazione spirituale, diavvicinamento al Creatore, ed altri che seguono indirizzi opposti, esistono Eg-gregori spirituali “buoni “ o “cattivi “, “positivi “ o “negativi “ a seconda delpunto di vista dal quale si osservano.

Ogni Eggregore fisico produce quindi, con le sue azioni, forze invisibiliquando di carattere magnetico, quando di carattere elettrico, quando di caratterevitale, che sono gli Eggregori spirituali prodotti dagli Eggregori fisici. Ad esem-pio, una folla di fedeli in preghiera é un Eggregore fisico: la sua azione - natu-

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ralmente tanto più efficace quanto più sentita la preghiera, e tanto più ancora se la preghieraé per tutti una e se é guidata, convogliata da chi ne ha i poteri,verso un determinato obiettivo, produce l ‘Eggregore spirituale.

Altro esempio: un campo di battaglia, dove nella lotta acorpo a corpo o all ‘arma bianca ognuno dei partecipanti dimen-tica ogni suo ideale, ogni sua ragion d ‘essere, nel desiderio di uc-cidere l ‘avversario o, almeno, di salvare la propria vita spegnendoquella altrui, é un Eggregore fisico. L ‘azione produce un campomagnetico, o elettromagnetico, o addirittura “vitale “ che lenta-mente si distacca dal piano fisico che lo genera (sotto forma divibrazioni con una certa frequenza) e forma un Eggregore spiri-tuale con caratteristiche di odio, egoismo e di volontà nefasta.

Mi limito a questi due esempi rilevando, poi, che per com-porre un Eggregore fisico capace di produrre un Eggregore spiri-tuale possono bastare anche due persone mentre non c ‘é alcunlimite al loro numero. Tanto più forte é la personalita dei parteci-panti all ‘Eggregore fisico e tanto maggiori sono i poteri di chi lodirige, tanto più forte risulta l ‘Eggregore spirituale che se ne di-stacca ad onde continue, una dietro l ‘altra, finché l ‘azione per-dura. In proposito consiglio per una più approfondita disaminadell ‘argomento quanto dice Aurifer (Roberto Ambelain ) nel suo“Gli Eggregori“, riportato da Nebo S.I.I. nel “Libro dell ‘Iniziato “alle pag. 17, 18, 20, 21 (la 19 manca per errore di numerazione). Pur non essendo d ‘accordosu tutto quello che l ‘Ambelain dice in proposito, mi pare che il suo saggio sia tra i più completied eloquenti finora scritti sull ‘argomento. Tentero , qui, di illustrare quanto si riferisce allacreazione ed al comportamento degli Eggregori spirituali secondo quanto risulta dalle mieesperienze e dagli insegnamenti ricevuti. - Gran parte di quanto si riferisce agli Eggregori sirichiama alla teoria dello “spazio “ considerato come una serie di “campi intensivi “ saturi d

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‘energie sconosciute, “vive “, per cui l‘idea dello spazio può confondersi conquella dell ‘ “etere vitale “ (il Mana), so-stanza impalpabile, invisibile e non per-cettibile che tuttavia é onnipresente e siinsinua ovunque, (più psichica che fi-sica), distribuita con una maggiore o mi-nore “densità “, (ovvio che tutti i terminiqui usati sono soltanto mezzi presi aprestito dalla lingua per esprimersi e nonper definire) tanto che un posto o l ‘altropuò esser più favorevole per un deter-minato vizio o una determinata virtù. Inaltre parole, questa “sostanza “ frutto divibrazioni, che si può anche concepirecome “luce “, si trova distribuita ovun-

que ma non nella stessa quantità e non con la stessa “densità “ o potenza. Ne consegue chepuò essere, più o meno influenzata, potenziata o diminuita, finanche debellata. (Terre e citta sante; luoghi magici che si potenziano con determinati riti o solo con il visitarli; o che si de-bellano anche con un solo “sacrilegio “ che provoca la disgregazione della “sostanza “).

Tradizionalmente, quindi, lo spazio e uno spazio quasi metafisico, vivente, magico,oppure magnetico o elettromagnetico, dove ogni gesto fatto, ogni segno tracciato, ogni parolapronunciata, ogni “operazione “ compiuta, hanno un senso assoluto, incancellabile, decisivo,positivo o negativo.

Qui entra in grado un fattore essenziale. É quello della razza o della stirpe, o del gradonella razza e nella stirpe. É per questo che negli Ordini costituiti (che sostituiscono la razza ola stirpe) la scelta di coloro che vi apparterranno deve essere accurata. Le differenze di razzao di stirpe sono annullate con l ‘Iniziazione o la conquista di un grado. Chi appartiene ad unOrdine Iniziatico - se veramente é stato e non ha prevaricato - appartiene ad una sola edunica razza, anzi, meglio ad una sola ed unica stirpe. L ‘ammissione all ‘Ordine attraverso ilRito iniziatico é una nuova nascita in un unica stirpe: la conquista di un grado nell ‘Ordine él ‘affinamento della stirpe e il suo ricongiungimento ai Mani di quella stirpe. Perciò, in ognigrado c ‘é un Rito. Non dimenticatelo mai.

Come e facile intuire da queste brevissime e sommarie indicazioni é moltofacile commettere un errore o provocare reazioni diverse da quelle prefissesi. Edé altrettanto facile “disgregare “ commettendo un sacrilegio.

Per questo nei Riti iniziatori, quando l ‘Iniziazione tenta di ottenere laconcentrazione delle “influenze “ (Eggregori) benefiche e propizie al fine diacquistarle (possedere cioé la loro “Gloria “) per poterle in parte trasferire coni suoi gesti e le sue parole sul postulante, il N.V.O. suggerisce (ed ha semprepreferito) l ‘Iniziazione diretta, individuale, a quella in gruppo. Un solo gesto sba-gliato da parte di uno dei partecipanti al Rito, una sola parola in più detta dall ‘Ini-ziatore o dal suo assistente (parola che appartenga a cerimonia di grado più elevato oad altro Rito, o addirittura estranea al Rito, se non ad esso contraria) può render tutto vanoed anche pericoloso. Perche il Rito é azione.

Non e possibile in cenni come questi, dare un ‘esatta spiegazione del comportamentodegli Eggregori. Ma, ricordando il detto: “Il modo superiore e mosso da quello inferiore, e questoda quello“ (Cfr. “Tavola di smeraldo “ e “Tavola di rubino “) si deve tenere presente che qual-siasi energia di qualunque specie o carattere, é generata e vincolata da e ad una frequenza e

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questa ad una ampiezza.In proposito va detto quanto segue: 1. a) La frequenza di un ‘energia é rappresentata dal numero di vibrazioni, nell ‘unità

di tempo, della materia o della sostanza che la energia compone. Se la sostanza o la materia,fossero prive di frequenza, l ‘energia esisterebbe soltanto in potenza.

b) La frequenza di un Eggregore spirituale é data dalla composizione (somma alge-brica) delle frequenze dei vari partecipanti all ‘Eggregore fisico in azione (Atto). Se l ‘Eggregorefisico é in riposo, le sue vibrazioni producono un “campo eggregorico“ che si dilata intorno all‘Eggregore fisico ma che non si stacca da lui. Talecampo ha azione diretta sui corpi viventi che si intro-ducono in lui, ma questi corpi se nutriti di principi con-trari possono anche diminuirne la potenza. Quando l‘Eggregore fisico entra in azione (dirige, in altre parole,la sua potenza verso un determinato scopo, con il Rito,passando dallo stato di potenza all ‘atto) il campo eg-gregorico entra in frequenza e si stacca dal corpo chelo genera in treni d ‘onda che si propagano e che sisommano gli uni agli altri fino a costituire l ‘Eggregorespirituale, vivo fino a quando la frequenza datagli nonsi spegne lentamente per mancanza d ‘impulsi.

c) La frequenza ha punte massime di ampiezzain un senso e nell ‘altro.

d) La frequenza é tanto più elevata, e di conse-guenza l ‘Eggregore spirituale tanto più compatto,quanto maggiore é la sincronia dei componenti l ‘Eg-gregore fisico.

2. a) L ‘ampiezza é data dal raggio d ‘azione delcampo eggregorico ed é tanto maggiore quanto mag-giore é la compattezza dell ‘Eggregore fisico.

b) L ‘ampiezza tende a diminuire (ovverosia si smorza) mano a mano che l ‘Eggregorespirituale si allontana da quello fisico che lo ha generato.

Tenendo presenti queste indicazioni, si può pensare che un Eggregore, una volta nello“spazio “, abbia una forma - più o meno - di un circolo o di una elisse e che si trovi ad esserecome qualche cosa di più “denso “ dell ‘aria ma nello stesso tempo più impalpabile e invisi-bile. Il comportamento degli Eggregori, per esperienze personali, studio e insegnamentidei nostri Maestri, dovrebbe essere, grosso modo, il seguente:

1. L ‘incontro fra Eggregori della stessa frequenza nello stesso senso e di ampiezza di-versa li pone in risonanza, provoca cioé una reazione che si traduce in una energia che rafforzal ‘ampiezza dell ‘Eggregore più debole ridonandogli potenza.

2. L ‘incontro fra Eggregori della stessa frequenza nello stesso senso e di ampiezzauguale provoca un Eggregore della stessa frequenza con un ‘ampiezza doppia. É questo il casodi cui al precedente n. 1°), quando l ‘Eggregore più debole, entrato in risonanza con quellapiu forte, ne acquista la stessa ampiezza. Può tuttavia darsi (e si verifica quasi sempre) che l‘Eggregore più debole entrato in risonanza, non arriva ad acquistare la stessa ampiezza delpiù forte per mancanza di impulsi da parte di questo (impulsi provenienti dall ‘Eggregorefisico che lo ha generato).

3. L ‘incontro fra Eggregori di frequenza diversa provoca la creazione di un nuovo Eg-gregore che ha per frequenza la componente delle due frequenze originarie. L ‘Eggregore che

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ne risulta può cadere sotto il controllo (con il verificarsi del fenomeno della risonanza) di unEggregore fisico od anche spirituale della stessa frequenza. Se, poi, la frequenza dell ‘Eggregoreche dovesse controllarlo avesse la stessa ampiezza, lo incamererebbe raddoppiando la suaampiezza. Ovviamente i due Eggregori che hanno composto quello nuovo sono, in ogni caso,perduti per coloro che li hanno generati.

4. Se il senso della frequenza di due Eggregori della stessa frequenza ma di ampiezzadiversa é in opposizione, si genera il fenomeno del “disturbo “ che provoca la produzione diun Eggregore della stessa frequenza con un ‘am-piezza minore. Ciò annulla gli sforzi di chi tenta dipotenziare il proprio Eggregore spirituale con conti-nui invii ed impulsi.

5. Se i due Eggregori di cui al precedente n.4)hanno la stessa ampiezza, si verifica il fenomenodella “interferenza “: si annullano.

6. Effetti diversi che danno luogo ad Eggre-gori diversi nella composizione delle frequenze, delleampiezze e del senso si hanno quando i sensi nonsono del tutto opposti ma intermedi. I casi sono mol-teplici e non é qui il luogo adatto per prenderli inesame. É peraltro relativamente facile immaginarli inmodo approssimativo.

Da quanto detto si può giungere alla conclu-sione che é molto difficile se non del tutto impossibile mantenere il controllo di un Eggregorespirituale che si é generato, se non si é certi di poter, ogni volta si pone in azione (col Rito) ilcampo eggregorico, produrre una frequenza tale da produrre la risonanza.

Ma anche se ciò é possibile a mezzo di determinate precauzioni, con la volontà deicomponenti l ‘Eggregore fisico e con la capacità di chi il Rito dirige, può sempre darsi che l‘Eggregore spirituale già formato sia stato assorbito, catturato, modificato e annullato da altriEggregori.

Sulle conseguenze di tutto ciò - senza entrare nel merito delle influenze che già esi-stono nello “spazio “ per motivi naturali, angelici, demonici o per formazioni derivanti da rea-zioni fisiche di gruppi animali (e quindi vitali) che possiedono campi magnetici edelettromagnetici e che producono frequenze (ma sui quali non possiamo qui intrattenere ancheperché assai scarse sono le indicazioni che finora si sono avute in materia) - sarebbe necessariofare una lunga dissertazione. Cio potrà essere argomento di studio da parte dei martinisti chehanno il grado adatto: ed é nostra opinione sia bene che lo studio sia fatto. In linea generale,peraltro, riteniamo che, dopo quanto abbiamo detto, non sia difficile farsene una idea.Nell ‘antichità i Mani di una famiglia (l ‘Eggregore base) potevano essere evocatisoltanto dal Capo-famiglia che, per la sua nascita (primogenitura) aveva i poterireali e sacerdotali in seno alla famiglia stessa. Lui solo sapeva come generare lafrequenza (attraverso il Rito) per produrre l ‘Eggregore spirituale che creasse larisonanza con i Mani della famiglia, cap- tandoli ed acquistandone la Gloria.Un errore, o il Rito eseguito da chi non aveva i poteri, provocava il sacrilegio,cioe la perdita dell ‘Eggregore spirituale in cui vivevano i Mani. Il sacrilegio con-sisteva, appunto, nell ‘abbandono dei Mani e nella loro perdita da parte del gruppofamiliare. Simili tradizioni si trovano tutt ‘ora fra i popoli che basano la loro metafisicasul Totem.

É certo, peraltro, che un centro eggregorico (ad esempio una Chiesa, un Ordine, unaconfraternita, un gruppo militare) puo stabilire un campo eggregorico molto forte e trattenere

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l ‘Eggregore spirituale. É però necessario che l ‘azione (il passaggio dalla potenza all ‘atto) sieffettui in continuazione? É questo il caso di un Santuario, della sede del Capitolo di un Or-dine, della Domus di una famiglia, del centro direzionale di una grande comunita industriale

o commerciale, di un comando militare.Basti pensare che la Chiesa ha per secoli

continuato a far recitare le stesse preghiere, lestesse formule, ha insegnato lo stesso Cate-chismo, ha eseguito le sue funzioni a deter-minate ore, ha fatto suonare le campane indeterminate maniere alla medesima ora; chein una caserma si eseguono sempre gli stessiesercizi militari; tutto é regolato secondo un“ritmo “ che sfugge ai borghesi ma che é benconosciuto dagli ufficiali e dai cosiddetti “ser-genti “, tanto vilipesi e derisi: i gesti sono glistessi, le divise le stesse, i comandi gli stessi,e via dicendo. Con i tempi moderni e il conti-nuo spostamento delle famiglie dalla loroDomus (diaspora delle famiglie), dei centri di-rezionali, dei comandi militari, e con la sma-

nia di modificare tutto in funzione di una pretesa civiltà sociale, restano ancora pochi santuarie qualche altro centro.

Sarebbe perciò opportuno risolvere la situazione come l ‘ha risolta, nella sua diasporail popolo ebreo con la tradizione della Shekinah. Ma per noi occidentali, imbevuti di idee so-ciali, succubi anche se indirettamente del razionalismo e dell ‘ateismo, condizionati dalle ideedemocratiche di uguaglianza, la questione é quanto mai aleatoria. É peraltro compito del Ma-rinista di studiare e applicare – se possibile – la tradizione di cui sopra. Su tutto il resto, si puòparlare di correnti o di formazioni eggregoriche momentanee, utili come forze indirizzate perun determinato scopo di carattere immediato.

Questa lunga premessa era necessaria per pren-dere in esame le possibilita eggregoriche del Martinismoin Italia e stabilire come e quando si possano eseguiredegli esperimenti di catena e di gruppo a fini eggregorici.Devo dire, miei cari Fratelli, che il N.V.O. ha attraversatotante e tante traversie in questi ultimi anni, ragion per cuiritengo difficile, allo stato attuale, che un Rito di catenapossa produrre effetti positivi.

La scarsa omogeneità dei componenti dell ‘Ordine,il difetto di univocità delle idee e delle tendenze scaturitedall ‘applicazione di riti diversi; l ‘incertezza finora provo-cata dalla pluralità delle dottrine ritenute martiniste; le in-filtrazioni di carattere umanistico, sociale, politico,religioso ecc. che – per quanto nobili e contingenti - nullahanno a che vedere con un Ordine esoterico che si inte-ressa di metafisica, anche se possono essere prese in con-siderazione nella vita esteriore dell ‘Ordine, ma mai inquella interna, hanno creato tra noi stessi delle diversità

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che non possono generare altro che frequenze diverse che molto difficilmentepossono amalgamarsi in una frequenza unica, con quella ampiezza, senso e di-rezione necessari per produrre un Eggregore. Che qualche cosa, in ogni caso sca-turisce da una nostra catena, ed anche il solo campo eggregorico che noiproduciamo sia già un fatto positivo, é certo: ma questo può essere consideratocome risultato sperimentale, puramente meccanico. Quale sarà la frequenza chene sortirà? Essa, per la diversità delle idee dei partecipanti alla catena, potrebbeanche risultare contraria agli scopi ed alle dottrine del Martinismo. Ed allora nonavremmo un Eggregore Martinista; potremmo avere un Eggregore prodotto daMartinisti di nome (in quanto appartenenti ad un Ordine Martinista) ma che ef-fettivamente nulla avrebbe di martinista nella realtà metafisica. Potrebbe ancheessere un Eggregore che facilmente si lascerebbe “catturare “ da un altro Eggre-gore più forte anche se negativo.

Ho sentito vagamente parlare di Maghi d ‘Oriente e Maghi di Occidente con accennia Mao-Tse - Tung, Ho-ci-min e cose del genere; ho sentito non vagamente ma concitatamentesostenere, anche su opere pubblicate che hanno avuto larga schiera di lettori, teorie sorte ed

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affermatesi dopo la cosiddetta “comparsa degli spiriti “ nellametà del secolo scorso.

Ho pure sentito proporre ambiziosi piani di intromissionedell ‘Ordine nelle sfere politiche e sociali. Indubbiamente, tutti co-loro che credono, pensano e propongono queste teorie (parlo dicoloro che fanno parte del N.V.O., perché degli altri non ci inte-ressa parlare ai fini di un Eggregore martinista) sono in buona fedee meritano rispetto. Ma fuori dal Martinismo, e non nel Martini-smo perché sbagliano.

Non mi stancherò mai di sostenere che il Martinismo (epotete credermi, perché quasi quarant ‘anni di questa attività,svolta a fianco degli ultimi tre Gran Maestri e con i consigli di altriMaestri anche se non si fregiavano di questo titolo, mi permettonodi affermarlo) non può e non deve interessarsi di questioni nobi-lissime finché si vuole ma profane se non come materia di studioa fini esoterici. Il Martinismo non é una palestra di proposte e ri-soluzioni umanitarie, non deve risolvere problemi di progresso odi benessere economico o sociale; il Martinismo e un Ordine Iniziatico, ripeto e sottolineo UNORDINE INIZIATICO che con la iniziazione per gradi annulla le differenze sociali, econo-miche, razziali, e crea un ‘aristocrazia di uomini di Desiderio che vogliono e devono raggiungerela tranquillità interiore e tramandare la fiaccola della tradizione. Chi non ha capito questo, chi

non si é reso conto del significato dei tre simboli fondamen-tali del Martinismo (Trilume, Maschera, Mantello) faccia unosforzo, studi, si applichi per capirlo e vedrà che tutto gli saràchiaro.

É per questo che noi diciamo al Superiore Incognito chesi prepara a ricevere i poteri iniziatici: “Ora che ti accingi adassumere i poteri iniziatici e a diventare guida dei tuoi fratelli,stai per giungere al pieno possesso della maschera e del man-tello che hanno fatto di te un Martinista. Se il Grande Segretoti é giunto, la solitudine sarà per te l ‘UNITA ‘ che ti amalga-mera a tutti gli Esseri, al TUTTO; ma se non hai capito i nostriArcani, sarà una terribile condanna che peserà su di te comeuna maledizione perché la trasmetterai a coloro che in teavranno creduto“.

Io penso che una catena capace di produrre Eggregore sidebba fare: e fondamentale che un nostro Eggregore sia lan-ciato nello spazio. Ma deve essere un Eggregore forte, com-patto: gli impulsi che lo rafforzano devono essere continui.Ma deve anche essere un Eggregore privo di scopi profani:in altre parole l ‘Eggregore di chi, conquistata la tranquillitàinteriore, sa che le cose di questo mondo, le lotte che ne ca-ratterizzano l ‘evoluzione o l ‘involuzione e cioé i problemieconomici, sociali, politici, religiosi e via dicendo sono sol-tanto questioni contingenti e quindi metafisicamente irrealiperché non stabili ma variabili, mentre ciò che conta é l‘equilibrio, la legge dei contrari che si sostengono l ‘un l ‘altro

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e permettono lo svolgersi delle attività umane cosìcome quelle cosmiche e di quelle universali.

Se, poi, volessimo sfruttare il nostro campoeggregorico per motivi fisici, per scopi benefici, mu-talistici e quindi materiali, legati a problemi profani,allora la questione é più facile: poniamo pure chenoi stessi qui riuniti, che con la sola nostra presenzaper uno scopo comune formiamo un campo eggre-gorico, ci concentriamo e ci “incateniamo “ per in-viare un pensiero, un aiuto, un ‘onda di forzasalutare a qualcuno che ci interessa. Produrremo,con il Rito adatto, un Eggregore generato da Marti-nisti (perche tali noi siamo o ci riteniamo) ma non l‘Eggregore martinista.

Inutile ch ‘io vi dia suggerimenti e consigli: essi scaturiscono da quanto ho detto: Dot-trina martinista; animo martinista; Riti comuni; volonta comune.

Se non ci sono queste premesse non c ‘é neppure un Ordine Iniziatico Martinista e diconseguenza, non ci puo essere un Eggregore martinista. n

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“Guai a quel medico che cura il corpo senza aver curato la mente, giacchè da essa tutto discende“.

Socrate,citato da Platone480 a.C.

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MENS SANAIN CORPORE SANO

Giammaria

È STATO COSI’ CHE...Al tempo delle elementari - mi riferisco agli anni 1931-33 - nello svolgimento del tema

“Cosa vorresti fare da grande“ scrissi: “... l’avventuriero“ spiegando che intendevo andare allaricerca “di non so bene cosa“, ma che “intendevo la ricerca come avventura...“

Un mio compagno di classe, figlio di una maestra della stessa scuola, scrisse “... il balio“, eh già, poiché di pomeriggio, essendo la madre impegnata a scuola appunto, lo lasciava incasa a badare alla sorella minore.

Passarono gli anni, ma in me rimase quel senso “... di una ricerca“ che si andò matu-rando, nell’adolescenza nella ricerca de “l’origine del Mondo“ e poi prima di lasciare casa perandare in guerra - avevo 18 anni - si tramuto nella ricerca del “senso della vita, della mia vita“dopo aver superato un periodo di profonda religiosità e poi uno di convinto ateismo.

La vita militare non tanto mi aprì gli occhi al problema profondo della mia natura diessere umano, con tutte le sue implicazioni, quanto piuttosto acuì in me l’importanza di af-frontarne e cercarne la soluzione.

Nell’immediato dopoguerra, quando a Milano vendevo stringhe da scarpe, una mat-tina, passando davanti ad una bancarella di libri usati, mi cadde l’occhio su un libro: lo presie ne sfogliai le pagine attrattone dall’argomento e ne lessi un poco.

Il giorno dopo ripassai e ne lessi ancora un po’ e così per qualche giorno andai avantinella lettura a spizzichi finché - sarà passata una settimana - il banchista, un uomo dell’età dimio padre, mi chiese: “Perché non te lo compri?“

“Perché non ho i soldi“ gli risposi in tutta sincerità. Tese la mano destra, perché gli dessi il libro, che gli passai e ne fece scorrere le pagine...

lo considerò per un momento e poi me lo consegnò dicendomi: “Va’ tienilo pure“ e mi fece uncenno di congedo. Non ci pensai due volte, ringraziai, e prima che potesse ricredersi mi al-lontanai col libro sotto braccio.

Non ne ricordo il titolo, ma ricordo che dalla edizione risalii all’editore, certo Spartaco

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Giovene, presso cui mi recai e dal quale fui accolto in modo veramente ospitale.Sentita la mia storia e la mia vicenda mi chiese se conoscessi in qualche modo il nome

del Kremmerz: e come gli dissi che lo sentivo per la prima volta, si fece portare due libri, deiquali mi fece dono, suggerendomi di leggerli attentamente, per farmi una idea sull’Ermetismo.

Era seduto al tavolo dell’ufficio e dietro di lui, in piedi, era un altro che subito ebbi inantipatia, chissà perché: ho pensato, dopo anni, che fosse il Manzi, chissà perché. Ma il Manziera ancora vivo a quel tempo?

Non ci siamo più incontrati ma la lettura di quel libri, per il vero più sui poteri “magici“ che su altro, mi indusse ad approfondire la conoscenza dell’Ermetismo, piuttosto sul versantealchimico, cui il testo pure faceva cenno, tanto che quando fui impegnato a Roma presso ilPontificio Ateneo Lateranense, ormai decisamente interessato all’Alchimia, avendo conosciutoil Prof. Giulio Testi (autore di un dizionario in materia, più di nome che di fatto) ed avendogliespresso il mio interessamento alla chiave di decifrazione dell’oscuro gergo degli alchimisti,ebbi da lui la proposta di essere presentato ad un personaggio, che “forse “ avrebbe potutomettermi sulla strada buona.

Ovviamente accettai e un pomeriggio, alle 17, il prof. Testi mi accompagnò a casa diquesti... Lo frequentai per due buoni lustri nonostante i nostri diversi “modi di vedere“ e d’in-tendere la correlativa operosità: orientato secondo l’Opus alchimico io, secondo quello magico

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Lui - come peraltro il Kremmerz - e più a parole direi di “ordine egizio“ come d’altronde tuttala tradizione meridionale italiana, di fatto infarcita di Magismo gnostico con forti connotazioniantinomiche...

Comunque, dopo quell’incontro presi l’aire (vd. Marco Daffi e la sua opera) peraltroincentivando con particolare attenzione la cura della navigazione sulla Barca Solare ritrovatamida madre Natura per il Viaggio Diurno secondo il monito “mens sana in corpore sano“, di cuiper la verità già da tempo e prima ancora della guerra avevo tenuto conto direi d’istinto: finchépoi, per il vero avanti negli anni, mi avvidi della realtà dei frutti di una regola di coabitazionedel genere... donde al tirar delle somme:

MENS SANA

- Cantato alla Radio allievo della soprano M. Carosio poi -- corista solista basso, direttore A. Corso- Disegno a scuola del pittore Gargani in anteguerra poi -- del M° L. Garaventa- Pittura scuola nel Gruppo Prisma diretto da Auri Scac- -- chi vinto un Campionato Provinciale a squadre partite alla - cieca- Giochi di prestigio; socio del CMI; - Inventato il XIV metodo per cambio della carta in portafogli - Interprete fra i Comandi militari italiano e tedesco- Laurea in giurisprudenza e procuratore e avvocato- Baccalaureato in diritto canonico- Licenza idem- Studio alla S.R.Rota quattro anni e avvocato presso i Tribunali Ecclesiastici- Studio biennale di lingue (arabo ed ebraico) e diritti orientali- Psicologia del Profondo 6 anni di frequentazione di Istituto Italosvizzero- Cattedra di diritto canonico in Canada (rinunciata)- Assistentato di diritto canonico presso l’Università di Genova precluso per ragioni di “baronia“- Libera Docenza di diritti orientali idem- Musica studiato 6 anni armonica a bocca, 1 anno chitarra, costituito quintetto di armoniche- Ferie Latinæ ove si parla solo latino, frequentate per diversi anni- Inventato metodo di memorizzazione nello scopone scientifico e scritto manuale ibidem- Scritto unico testo tecnico di Danza su ghiaccio- Conferenziere e Saggista su riviste- Scritti 21 libri (+2) uno premiato e altro con nomination da il Ministero per i Beni Culturali- Ospite in programmi TV e Moderatore in stage letterali culturali

in CORPORE SANO

- Ginnastica Ritmica 2° ai Campionati regionali, 13° ai nazionali esordienti- Tennis a livello preagonistico- Savate per circa 20 anni- Scherma di bastone anche come Maestro

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- Judo cintura nera (pareggiato incontro con campione italiano)- Corso di roccia e ghiaccio al CAI- idem istruttore ma interrotto per incidente di sci acrobatico- Aperta “via “ in Dolomiti (via Gonella) di III-IV gr.- Scialpinismo e pista per 30 anni- Corsi due di autosbandamento in Svizzera- Maestro di Ballo di stile moderno - Commissario di esami e Compilatore dei testi d’esami- Giudice nazionale di Danza su Ghiaccio e Direttore tecnico ibidem- Membro della Commissione nazionale FISG- Commissario dell’ENPA di GE- Istruttore Nazionale di Tiro con l’Arco- Maestro di Tiro con balestra: 2 record con balestra e 1 record con pistola balestra- Istruttore di tiro con la fionda, idem con cerbottana- Campione mondiale 1975 di Diatlon (arco corto - fionda - cerbottana)- Direttore di corsi di Survival- Orientering partecipazione a gare- Body Boulding dal 1990

Exempli gratiaN.B. in merito alla simbiosi fra salute fisica e psichica con riflesso sull’invecchiamento

stesso vd. sub Invecchiamento in Succhi Alchimici e cfr. l’Avatara Yoga nonché il Hsu Ming Fan(metodo per prolungare la vita). È peraltro da precisare che non ho preso in considerazione leesperienze del periodo bellico di militanza in reparto specializzato (RAP) e quale agente dell’UI(vd. inventario di guerra).

Comunque cultura ed educazione fisica sono pur tuttavia di questo mondo e quantosopra vale non per i contenuti sebbene per l’esercizio delle relative funzioni anche se c’è sem-pre qualcuno che può pensare ad una enumerazione esibizionistica del proprio operato... la-sciaglielo pensare secondo proiezione...n

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IL CAVALIERE D’ORIENTEE DELLA SPADA

Eleazar

Il Grado di Cavaliere di Oriente e/o della Spadamerita particolare attenzione in quantoesso, facente parte del corpus rituale della cosiddetta “Massoneria rinnovata “ del Rito di Per-fezione, ha subito nei riti di matrice egizia elaborazioni notevoli, come meglio si dirà piùavanti.

Il Cavaliere di Oriente ha costituito il 6° grado della Loggia Madre di Marsiglia, il 23°grado del sistema di Lione del 1761, il 7° ed ultimo grado del Rito Francese,prima dell’introduzione del grado di Rosa+Croce, il 6° grado dei Filaleti,l’11° grado della Massoneria Adonhiramita, l’11° grado degli “Eletti della Ve-rità “, il 15° grado del Rito di Heredon, il 17° grado dello Scozzese Primitivo, il41° grado del Mizraïm di Venezia 1788, il 15° grado del Rito Scozzeseed il 15° grado del Rito Antico e Primitivo di Memphis-Misraïm del1804 dei Fratelli Bédarride.

Prima di esaminare le elaborazioni nei riti egizi è bene pre-mettere alcune parole su questo grado.

Si ritiene comunemente che il Grado di Cavaliered’Oriente sia stato istituito attorno alla fine della prima metà delsecolo XVIII, quando i Gradi di quella che conosciamo come AnticaMaestranza (dal 4° al 14°) erano tutti conosciuti, ad eccezione, forse,del grado di Maestro Segreto.

Si parla di questo Grado in una lettera del 16 Maggio 1750 inviataai Perfetti Eletti di Bordeaux dove il suo estensore comunica che “…Vi è un Consigliodei Cavalieri d’Oriente a Parigi, ma oltre al fatto che non hanno il nostro scozzesismo, sono anche inerrore in più punti concernenti i loro Cavalieri d’Oriente“.

Questo fatto attesta, come se mai ce ne fosse bisogno, che già in allora esisteva unapluralità di rituali dello stesso Grado, anche in relazione alle difficoltà di comunicazione frauna città e l’altra della Francia.

Esaminando i rituali dell’epoca a noi pervenuti, rileviamo che a Marsiglia questo Gradoè chiamato Cavaliere della Spada soprannominato Cavaliere d’Oriente. Nel rituale marsigliesesono previsti due appartamenti: il primo, illuminato da settanta luci, è decorato con tendaggiverdi mentre il secondo è decorato con tendaggi rossi; la batteria è identica a quella del Ritualedi Etienne Morin.

Il rituale parigino si differenzia per il nome (Cavaliere della Spada e di Rosa+Croce) ma,nella sostanza, non presenta rilevanti differenze rispetto a quello provenzale, che è il ritualeche ha ispirato i regimi egizi.

È differente invece il rituale utilizzato dalla Loggia di Mirecourt, che prevede un soloappartamento, decorato con tendaggi neri e rischiarato da settanta luci.

Il rituale più classico, quello proveniente dal Manoscritto di Etienne Morin e ripresoda Andrew Francken, prevede un solo appartamento, decorato con tendaggi verdi screziati dirosso, che dovrebbe essere rischiarato da un complesso di settanta luci.

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Non siamo in grado di stabilire quale sia il ritualepiù antico fra quelli a noi pervenuti, ma si ritiene che laleggenda del Secondo Tempio abbia ispirato due diffe-renti Gradi originari, uno dei Cavalieri d’Oriente e l’altrodei Cavalieri della Spada e su questo punto ritorneremofra poco.

Nella misura in cui certi elementi saranno riuti-lizzati per il Grado successivo di Principe di Gerusa-lemme, si può sostenere che il materiale utilizzatoprima da Etienne Morin prima e poi da Andrew Fran-cken sia stato elaborato partendo da due fonti distinte.

Non è inutile spendere alcune parole sulla evolu-zione della Parola di Passo. La Leggenda del manualepiù antico sicuramente narrava del combattimento sulfiume ed alla reclamata Libertà di Passaggio, che tro-

viamo, nell’acrostico L.D.P., nel Compagnonaggio ma anche in altri Gradi del Rito di Perfe-zione. La Parola di Passo dei primi rituali, Libertas, unica ed identica in tutti, si ricollegacertamente a questa fonte.

Quella adottata da Morin, Yaveron Hamaim, corruzione di ya’avorou hamaim, che sipuò tradurre come con “essi passeranno le acque“ fa pensare ad una filiazione comune.

Dobbiamo tuttavia ammettere che nel nostro caso si tratta di un’espressione ebraicaintrodotta volutamente, perché, come detto più sopra, nei rituali più antichi l’espressione eralatina e limitata a Libertas.

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Il Grado di Cavaliere d’Oriente apre anche la cosiddetta Massoneria Rinnovata che suc-cede agli 11 Gradi dell’Antica Maestranza, ed è anche il primo dei cosiddetti Gradi dell’Esilio.

La materia della Leggenda di questo Grado è stata attinta nei Libri biblici di Esdra eNehemia, attraverso un libero adattamento del testo.

Ad esempio il passaggio del fiume Starbuzanai non figura affatto nella Bibbia e devequindi necessariamente provenire da altra fonte parallela. Inoltre va rilevato come non vi siamenzione della costruzione del Secondo Tempio nei manoscritti a noi giunti e reputati ante-riori al XVII secolo.

L’esame dei differenti rituali giunti sino a noi porta comunque a dubitare dell’opinionecomune secondo la quale attorno al 1762 i Cavalieri d’Oriente sarebbero stati i superiori deisistemi definiti Scozzesi.

Se si analizzano obbiettivamente questi rituali, si potrà constatare che sotto i diversinomi di Cavalieri della Spada, dell’Aquila, della Terra Santa, il Cavaliere d’Oriente è solo ilprimo Grado della Massoneria Rinnovata, senza che ne risulti necessariamente una funzioneparticolare di regolazione, al contrario di quanto previsto nel Grado successivo.

Ed ora, per completare queste brevi note, dobbiamo necessariamente vedere cosa siasuccesso di questo grado nel corso del secolo XIX, dove i Riti Egizi si sono sviluppati.

Etienne Marconis de Nègre, nel noto saggio del 1849 “Le San-ctuaire de Memphis“, a pag. 7 descrive la scala del Rito di Memphisdove, allontanandosi dalla tradizione scozzese imperante, sisdoppia questo grado, dividendolo nel 15°, Ca-valiere della Spada e nel 17°, Cavaliered’Oriente, ponendovi in mezzo il grado diCavaliere di Gerusalemme (la nota curiosa del testo di Marconis è chenella parte dedicata alle caratteristiche di tutti i gradi di ogni rito, pag.153 e seguenti, si indica come 15° Grado il Cavaliere d’Oriente o dellaSpada, come nel Rito Scozzese). Così facendo si riallaccia alla tradizionedel secolo precedente, che voleva i due gradi ben distinti e che solamenteEtienne Morin aveva fuso in un unico grado. Con la fusione dei Riti diMemphis e Misraim (che, lo ricordiamo, aveva un suo rituale di 41° Gradodi Cavaliere d’Oriente che solo in parte riprendeva le tematiche di Morin,arricchendole con elementi ricchi di pathos tipici diquel Rito), John Yarker si allinea con Etienne Morine fonde nuovamente i due gradi raggruppandoli alla15° posizione della sua scala a 95/97 gradi sotto la de-nominazione di Cavaliere d’Oriente o della Spada.

Si potrebbe pensare che la cosa finisca qui, manon è così: come è noto, al fine di creare un Rito snellolimitato ai gradi che reputava più importanti (dando la suapreferenza ai gradi di provenienza Memphis), Yarker ebbe acreare una scala ridotta a soli 33 gradi da praticare nella loro inte-rezza. La stranezza è che Yarker, nel creare questa scala “ridotta “, tornaal Rito di Memphis di Montauban e sdoppia nuovamente il grado, ri-pristinando all’8° posizione il Cavaliere della Spada ed alla 10° il Ca-valiere d’Oriente, ponendovi ancora una volta in mezzo il Cavaliere

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di Gerusalemme. Il tutto però dando caratteristiche differenti al Grado di Cavaliere d’Oriente,che viene ambientato ai tempi della rivolta dei Maccabei contro Antioco Epifane.

È evidente che Yarker dava estrema importanza a questo grado, che oggi è praticatoper lo più da comunioni francesi di filazione Ambelain. Il Sovrano Santuario Mediterraneo,che intende riportare alla luce la tradizione egizia più pura, nel disporre per i suoi adepti larestituzione di questo testo ai fini di studio, ha quindi optato per il testo integrale di Yarker.

Nel restituire il testo originale del grado avevamo diverse possibilità di scelta fra quantoa noi pervenuto dalle varie filiazioni legittime di matrice egizia.

Trattandosi di un testo dedicato ad approfondire le tematiche dei Riti Egizi di cui ilSovrano Santuario Egizio Mediterraneo detiene le filiazioni legittime, abbiamo reputato chela soluzione migliore fosse quella di restituire il testo di John Yarker nella versione in due gradidistinti, così come compaiono nella sua scala iniziatica a 33 Gradi, direttamente mutuato dallaversione originale del Rito di Memphis.

La scelta delle due fasi non è casuale in quanto anticamente la cerimonia di ricezioneera proprio divisa in due parti, proprio come avviene in un grado successivo, quello di Cava-liere degli Argonauti e del Vello d’Oro, che dobbiamo a Théodore de Tschoudy.

La prima parte, quella di Cavaliere della Spada, riprende il tema dell’esilio a Babiloniae della liberazione degli ebrei dalla cattività. Tuttavia, in questa versione rituale, più che gliaspetti storici della vicenda, appaiono in primo piano alcuni insegnamenti filosofici e di naturacomportamentale che ritroveremo anche nei rituali successivi. Mancano quindi clamorosa-mente gli aspetti più classici del grado, quelli secondo il quale il Cavaliere usa la spada conuna mano e la cazzuola con l’altra, dovendo al tempo stesso difendersi e ricostruire il Tempio.

Gli elementi di questo grado, come detto più sopra, li troviamo, in una versione prossimaa quella di Etienne Morin, nel Rito di Mizraim di Venezia al 41° posto della scala iniziatica.

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La seconda parte, quella di Cavaliere d’Oriente, è un quid novi nella tradizione mas-sonica, in quanto viene rievocata la rivolta dei Maccabei avverso il regno selucida di AntiocoEpifane. Viene meno quindi, nella scala originaria del Rito di Memphis, il Cavaliere d’Orientee d’Occidente (17° del Rito di Perfezione) che è uno dei gradi cosiddetti ioanniti.

Ritroveremo tuttavia parte della leggenda e dell’esoterismo di quel grado, quello dellarottura dei sette sigilli, in quello di Cavaliere d’Occidente, pur esso di derivazione Memphis,che per il suo contenuto, trova il suo posto nella sezione ermetico-gnostica della scala del no-stro Regime.

In ultimo va rilevato che nel testo originale di John Yarker i due gradi sono infram-mezzati da quello di Principe o Cavaliere di Gerusalemme che, nella scala iniziatica del Re-gime Rettificato di Mizraïm-Memphis si trova in sedicesima posizione e cioè subito dopo ilCavaliere d’Oriente o della Spada. Il Principe di Gerusalemme è la diretta continuazione diquello di Cavaliere della Spada.

Per concludere, reputiamo utile riprendere alcuni passaggi del discorso dell’Oratoreal termine della cerimonia di elevazione a cavaliere della Spada:

“Il Supremo Artefice dei Mondi che riceve le promesse degli iniziati, ascolta solo paroledi pace e di concordia, il linguaggio dei cuori elevati verso di lui che pregano perché i nostrifraterni legami possano essere ancora più forti.

Il nostro compito è quello di rimanere testimoni neutrali ed impassibili di ogni dissensopolitico e di non cercare mai di armare i plebei contro i patrizi.

Fratello mio, adora il tuo Dio, ama il tuo paese, supporta il debole, consola lo sfortunato;sii sempre indulgente con i tuoi simili e severo solo con te stesso.

Come figlio, rispetta ed onora tuo padre, ama teneramente tua madre che ti ha tenutonel suo seno.

Come padre, fa in modo che i tuoi figli siano cittadini laboriosi ed onorati; che le loroinfantili preghiere giungano sino all’Essere Supremo con toni che lo implorino di rendere piùdolci le sofferenze che l’umanità sta sopportando.

Educali in modo che in futuro il loro paese possa contare sulla loro abilità, intelletto ebraccia.

Così si conclude l’istruzione del grado di Cavaliere della Spada.“ n

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SUGLI DEI EGIZIALCUNE PROSPETTIVE DI OSSERVAZIONE

(4° PARTE)

Apis

La divinità egizia che possiamo indubbiamente associare alla Sephira Net-zach, Vittoria, è rappresentata dalla dea Hathor la quale possiede caratteristichecomuni sia alla dea Demetra che alla dea Afrodite. Nell’antichissimo (3.000 a.c.circa-2.700 a.c.) e nell’antico regno (2.700 a.c.-2.064 a.c.) la dea Haathor era

una autentica dea cosmica, rappresentata come una vacca,appunto la vacca-celeste, e perciò paredra del dio-toroApis. In tale aspetto essa simboleggiava il potere genera-tivo della Natura impegnata in un costante concepimentoe perciò in una costante creazione: essa era anche depu-tata al compito di favorire l’accrescimento ed il sosten-tamento di ogni cosa, dalle colture agli animali domestici,soprattutto le mandrie, alla stessa specie umana. Origi-nariamente era ad Haathor che ci si riferiva come “Madredi suo Padre e Figlia di suo Figlio“ poi, a partire dal medio regno (2.064 a.c.-1.543 a.c.), con l’indebolimento del culto di Haathor, tali attributi finironoper riversarsi o sulla dea Isis o sulla dea Nuit. Se rammentiamo quella leg-genda di cui abbiamo parlato nell’articolo pubblicato nel numero del sol-stizio d’estate, nella quale Horus mozza il capo della madre Isis e Thothtrasforma la testa di Isis in una testa di vacca, possiamo cogliere il senso re-condito di queste corrispondenze tra le due dee. In diversi casi la dea Haa-thor è raffigurata come una donna che porta un paio di corna tra le quali èinserito un disco solare; in altri casi la dea è dotata di una tiara costituita dapiume di avvoltoio e reca sulla fronte il serpente ureo a sua volta sormontato

da altri cinque urei. Quasi sempre, quando è raffigurata in forma muliebre, la dea impugnauno scettro e con l’altra mano tiene una croce ansata, o anck, simbolo di vita e diimmortalità.Talvolta le raffigurazioni di Haathor e quelle di Nuit si confondono, soprattuttonell’ultimo periodo della storia dell’Egitto. Come Haathor anche Nuit rappresenta il buono edil vero e tutto ciò che di positivo vi è, dal punto di vista della Tradizione, nella donna in quantomoglie devota, madre amorevole e figlia sollecita: ma sia Haathor che Nuit erano protretticidelle danzatrici, delle cantanti e delle etère, nonche degli artisti che delle loro opere. Di una

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donna particolarmente bella si diceva, nell’antico Egitto: “essa gode dei favori di Haathor“ e intutto ciò vediamo una notevole similitudine con la greco-romana Afrodite-Venere. Le corri-spondenze con Demetra sono invece da ricercarsi nella comune influenza sulla fertilitàdei campi,degli armenti e delle donne onde sia l’una che l’altra dea erano adorateanche nella veste di dee della vegetazione e dell’agricoltura a cui si rivolgevanosacrifici, ad esempio per propiziare un buon raccolto ma anche nella veste diprotrettrici della gestazione.Del resto la crescita e lo sviluppo erano considerati, dagliantichi egizi, come un vero e proprio atto d’amore.

Alla Sephira Hod, ovvero la Gloria corrispondono il dio egizioAnubi ed il suo corrispondente Ermete. Non dobbiamo fare l’errore diconfondere Ermete con Thoth dal momento che quest’ultima è piuttostouna divinità trascendente, cosmica, mentre Ermete è es-senzialmente un dio terrestre e quindi rappresentantedelle medesime qualità di Thoth ma su una ottava infe-riore. Ermete è dunque, come acutamente nota Israel Re-gardie, una divinità intellettuale, contingente, laddove Thoth è piuttosto una divinità che simuove oltre gli angusti confini dello spazio e del tempo, ovvero in una dimensione di trascen-denza assoluta. Sia Ermete che Anubi erano incaricati di guidare i mani dei defunti dal mondoterreno a quello sotterraneo. Mancano invece ad Anubi alcune delle connotazioni di Ermetequali, ad esempio, l’essere stato l’inventore della medicina, dell’astrologia, della botanica edella scrittura, oltre che l’aver organizzato le prime forme di governo e l’aver insegnato agliuomini a venerare gli dei organizzandone i culti (era in tal senso che Ermete era appunto vistonel mondo antico come il messaggero degli dei). Tali connotazioni sono invece presenti neldio Hermanubis risultato della fusione, appunto, di Anubi ed Ermete, operata nel periodo to-lemaico (323 a.c.- 30 a.c.). Secondo Budge in origine Anubi o Anpu era una divinità minoredel pantheon egizio, raffigurato con la testa di sciacallo per il semplice fatto che tale animaleera solito aggirarsi tra le tombe. Successivamente Anubi assunse sempre di più connotazionicinocefale, perciò egli diventò più che un dio-sciacallo, un dio-cane, con funzioni di vigilanza

e guardia nel mondo dei morti, ovvero nel Duat. Con si-gnificato analogico Anubi va considerato anche come ilguardiano della coscienza dell’uomo, ovvero esso è equi-parabile alla ragione umana che, appunto, di tale co-scienza è la guardiana! Fu del resto Anubi adimbalsamare il corpo di Osiris ucciso dal malvagio Seth,avvolgendolo nelle bende di lino preparate da Isis. Inmolti brani del libro dei morti egizi appare evidente l’im-portanza di Anubi come divinità sotterranea, niente af-fatto inferiore allo stesso Osiris per importanza e rango.Nella celebre scena del giudizio della Duat appare cheAnubi abbia un ruolo ancora maggiore di Osiride dal mo-mento che è lui a esaminare l’ago della bilancia ove vienepesata l’anima del morto ed è perciò Anubi ad essere l’ar-bitro del destino delle anime umane.

Alla Sephira Yesod, il Fondamento, corrisponde ladea Bast (o Bastet), figura femminile dalla testa di

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Amon Anubis Anuket Apis Atum

Bastet Bennu Geb Hathor Horus

Iside Khepri Khnum Maat Meretseger

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Min Neith Nephtys Nut Osiride

Ptah Ra Sekhmet Serket Seshat

Seth Shu Sobek Sopdet Thoth. . .

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gatto.Essa nell’epoca dell’antichissimo e dell’antico regno veniva anche denominata Pasht, emolto evidente era la strettissima corrispondenza con la fiera dea Sekhmet, dal momento che

Pasht veniva abitualmente raffigurata come unadonna con testa di leonessa sovrastata da un ser-pente e recante nella mano un sistro, ovvero unostrumento musicale fatto di lamelle o verghette at-taccate ad un supporto di metallo: tale strumentoera anche spesso presente nelle raffigurazioni diHaathor e di Isis. Successivamente la dea Bast di-venne l’aspetto “benefico “di Sekhmet e la perso-nificazione della luna, come del resto lo era suofiglio Khensu (o Khonsu) particolarmente adorato aTebe. Viceversa Sekhmet, la cui testa era spesso di-pinta di verde, rappresentava la luce del giorno: daciò possiamo comprendere come gli egizi, a diffe-renza di altri popoli, tendessero a considerare lanotte più benefica del giorno, in rapporto, certa-mente, alla maggior recettività spirituale chel’uomo manifesta nelle ore notturne e perciò allamaggior facilità di entrare in contatto con i mondisuperiori e con gli stessi dei, sopratutto con gli deipiù benefici e “luminosi “. Del resto l’eccessiva

forza sprigionata dal sole, soprattutto nei torridi mesi estivi, rendeva l’egizio incline a rifugiarsiin una autentica protezione quale gli assicurava il mite astro notturno che mitigava l’oppres-sione del calore del giorno. Bast dunque esprimeva l’aspetto lunare del cambiamento e delcontinuo divenire, del mutare, quindi, delle cose. La dea-gatto era anche considerata, e di con-seguenza adorata, quale dea dello spazio intermedio tra terra e cielo ed in tal senso era raffi-gurata a volte nell’atto di stringere uno scettro a testa di falco. Bast, in alcune raffigurazioni,regge il cielo con le mani, all’alba ed al tramonto ed in tal senso si può vedere in essa il prin-cipio vitale di tutte le cose, e perciò di componente della Luce Astrale assieme al dio dell’ariaShu, anch’esso connesso alla Sephira Yesod.

In tal senso possiamo analizzare un mito molto interessante riferito all’epoca in cui ildio Ra deteneva il governo assoluto degli uomini e degli dei. Un giorno l’umanità si ribellòalla sua autorità tanto da indurlo a distruggerla. Il sommo dio convocò a consulto molti dei e,su consiglio di Nuit, diede incarico ad Haathor di annientare gli uomini. Dopo qualche tempoRa si stancò di soggiornare sulla terra e, dalmomento che Nuit aveva assunto la forma diuna vacca, come Haathor, Ra la cavalcò per farsicondurre in cielo lontano dalla terra, oramai di-sabitata. Nuit dopo qualche tempo cominciò ascuotersi a causa dell’altezza e perciò Ra ordinòa Shu di sostenerla nel cielo onde lui stesso, si-stemato sul dorso della dea, potesse rimanervi.Shu prese quindi posto sotto la vacca sollevan-done il corpo, e di conseguenza si manifesta-

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rono la terra sotto ed il cielo sopra il corpo di Nuit, divenendo perciò le quattro zampe delladea i quattro puntelli del cielo, ovvero i quattro punti cardinali. In tal modo, conclude il mito,“il dio Seb nacque all’esistenza individuale“.

Seb era dunque il dio della terra ed è perciò che esso può, a ben ragione, essere messoin connessione con la decima Sephira che è appunto, Malkuth, ilRegno. La terra che formava il corpo di Seb era denominata “casadi Seb“come del resto l’aria era denominata “casa di Shu“ed i cieli“casa di Ra“. Seb veniva di norma rappresentato come un uomoche recava sul capo la corona, detta Ateph, alla quale spesso si ag-giungeva la figura di un’oca. Rappresentantazione della fertilitàdella terra, intesa come superficie terrestre, egli tratteneva coloroai quali,tra i defunti, veniva precluso l’accesso alla Duat. Nella re-ligione greco-romana l’equivalente di Seb era certamente rappre-sentato dalla dea Persefone o Proserpina la storia del cui rapimentoad opera di Ade, e della conseguente sua prigionia negli inferi eraalla base dei misteri di Eleusi. Se in termini semplicistici nel mitodi Persefone-Proserpina è ravvisabile un primordiale culto della vegetazione, essendo la deacome il chicco di grano, nascosto sotto la terra nei mesi invernali, ma affiorante sulla superficieterrestre nella seconda metà dell’anno e quindi sostentamento, in quanto nutrimento e ciboper uomini e animali, in termini più elevati, in tale mito è raffigurabile il mistero della scom-parsa dell’anima nell’incarnazione nel corpo (inferi) e della sua successiva liberazione allor-quando Persefone-Proserpina (appunto l’anima umana) ritorna dalla Madre (i mondisuperiori) ovvero abbandona il corpo.

Terminata con questa quarta ed ultima parte la nostra carrellata sulle caratteristichedei principali dei egizi e sulle loro corrispondenze, non ci resta che chiarire i motivi che ci

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hanno indotto a tale esposizione.Ogni lavoro Teurgico si basa, essenzialmente, sulle corretteprocedure di invocatio ed evocatio di quelle Forze Perenni che vengono denominate “Dei “.

L’Invocazione è l’ aspetto, per così dire “passivo“ (polo negativo/femminile) della Teurgia,compiuta dal fedele-sacerdote allo scopo di ingraziarsi i favori della divinità, attirandone labenevolenza, mentre l’Evocazione, rappresenta, di contro, l’elemento “attivo“ (polo positivo/ma-schile) della pratica Teurgica, atta a determinare una DIRETTA manifestazione (epifania) delladivinità, nel luogo e nel tempo (hic et nunc) ove questa evocatio viene effettuata ed è perciòche il fedele-mago (ovvero colui che compie l’evocatio) opera su un piano di maggiore intensitàe forza rispetto al precedente caso di specie. Dunque la evocatio richiede senza dubbio unamaggior preparazione che non la invocatio ma in entrambi i casi è INDISPENSABILE cono-scere perfettamente le Entità che si “invocano“ o che si “evocano“: conoscerle nei loro moltepliciaspetti, connessioni, principi, corrispondenze ed analogie. È impossibile soltanto il poter pren-dere in considerazione di occuparsi di Teurgia se non si conosce PERFETTAMENTE la naturadi ciò che definiamo “Dei “ unitamente a quei principi ed a quelle funzioni che dette Entitàesercitano nell’economia della Natura. Il Cosmo è governato da leggi stabili e perfette indi-pendentemente dal mutare delle condizioni della società umana e solo uno sprovveduto oduno sciocco (o un folle) potrebbe pensare di entrare nell’ordine di tali leggi, interferendo conle Potenze che ne sono alla base, senza conoscere le medesime. Ma oggi la presunzione umanaè giunta ad un tale apice da far sì che individui, palesemente privi di qualsiasi preparazione,si arroghino il diritto di “dare del tu“ad Enti che neppure sono in grado di concepire e di im-maginare. All’uomo saggio,al serio cercatore dello Spirito, per contro, questo nostro lavoropotrà essere utile come base di partenza per un serio ed approfondito studio sulla natura degliDei, presupposto, come abbiamo appena visto, fondante, di ogni possibile Teurgia. n

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“PIANTO ANTICO “Hawah

Il pianto è il primo atto palese della vitalità del bambino. L’abbandono dell’utero ma-terno, come luogo di benessere, provoca in lui un dolore a cui reagisce con il vagito, “primamanifestazione di ciò che è ancora agli inizi“. È il momento in cui abbandona il ventre maternodove ha soggiornato e maturato in sette quaterne.

Grembo che appare come un quadrilatero che riporta al 4, alla lettera ebraica dalet-d-che significa “porta “: ogni utero è quindi una porta. Ecco il momento dell’urlo, del pianto di-sperato che lo accompagnerà ogni volta che, raggiunta la maturità, cercherà di ritrovare quellostato di benessere perso, di ricucire quel cordone ombelicale che lo legava ad Elohim. “Piantoantico“, che risale alla notte dei tempi e che si perpetua con il dramma della caduta, dellaviolazione, della separazione dallo yod, dal divino, dal principio… e con la mente risaliamo aquel simbolico gesto:

Ecco che intelligenza e saggezza si votano allora alla conquista del regno divinoesterno a sé: Malkut. È come se le energie dell’uomo, invece di risalire lungo l’albero per rac-coglierne il frutto, scorressero a livello dei piedi-feriti ancorati alla terra, alle radici.

“Pianto antico “ quindi come espressione del dramma che suscita “lacrime “ per il“padre “ ucciso. In Egitto è Isis piangente che cerca disperatamente Osiris. Ridare a Malkut lasua funzione di “madre “, grembo universale, si realizzerà così nel guarire la ferita e ricostruirele energie atte a fare procedere verso l’ascesa. Ma quanto lontano e “antico “ è per noi, ormaiadulti, il momento della nascita al punto tale da non serbarne più alcun ricordo… purtroppo!Eppure penso che la parte “eterea “, che convive sin dalla nascita con quella materiale, vivainvece l’attimo della nascita come “morte spirituale “, come distacco da una condizione su-periore di “deità perduta “. E così, paradossalmente, in quell’attimo in cui il “pianto “ ci con-segna alla “vita “, contemporaneamente un “pianto “ interiore ci prepara alla “morte “: daquel momento la vita sarà un rincorrere la “morte “ per assurgere alla “vita “!

Partendo da queste riflessioni, mi accingo a dare una personalissima interpretazionedi una poesia in cui, secondo me, è possibile ravvedere quanto asserito. “Pianto antico “ è unadelle odi più note di Giosuè Carducci scritta nel terzo anniversario della morte del figlioletto

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Dante. Sicuramente una tra le più commoventi per il tema trattato e perché nata da una pro-fonda meditazione, quindi dotata di immediatezza emotiva. La particolarità dell’ode sta nelfatto che le parole usate dal poeta sono state scelte con minuziosa attenzione atte a celaresimboli universali per dare modo di approcciarsi all’interpretazione, secondo me, con diversechiavi di lettura. (Non dimentichiamo che Carducci fu anche Massone).

Il testo recita :v.1 L’albero a cui tendeviv.2 la pargoletta mano,v3 il verde melogranov.4 da’ bei vermigli fior,v.5 nel muto orto solingov.6 rinverdì tutto or orav.7 e giugno lo ristorav.8 di luce e di calor.v.9 Tu fior de la mia piantav.10 percossa e inaridita,v.11 tu dell’inutil vitav.12 estremo unico fior,v.13 sei ne la terra freddav.14 sei ne la terra negra,v.15 né il sol più ti rallegrav.16 né ti risveglia amor.

Oltre alla ovvia parafrasi letterale, proviamo a cercare di capirne il contenuto di fondoattraverso una serie di nuclei di significato, attraverso cioè una serie di immagini legate tra diloro, per arrivare ad una parafrasi interpretativa. Il tema è facilmente identificabile, sin dal ti-tolo, nel lutto e nello sconforto in cui si trova il poeta per l’improvvisa scomparsa di un figlioancora in tenera età. In questo senso il tema si regge su una contrapposizione: da un latol’idea della vita della natura e dall’altro la triste realtà della morte del figlio. I nuclei usati peresprimere ciò sono i fiori, la luce, il calore, il colore e la solitudine.

Nuclei TemaVita (della natura) Morte (del figlio)

Fiori bei vermigli fior estremo unico fiorColori verde melograno terra negra

vermigli fiorrinverdì

Calore/Luce lo ristora/di luce terra freddae di calor né il sol più ti rallegra

Solitudine da’ bei vermigli fior muto orto solingoestremo unico fior

A questo punto possiamo procedere con la parafrasi interpretativa.Per esprimere il suo dolore il poeta sviluppa il tema della vita contrapposta alla morte.

I primi otto versi infatti introducono l’immagine della vita che a primavera inoltrata si rinnovanella forma di un albero che si ricopre di “bei vermigli fior “. A questa immagine fanno da

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contrasto i versi 9-16 che sono invece dedicati al figlio al quale il poeta si rivolge invocandolodirettamente. In questo caso la vita non si rinnova più: il figlio si trova nella “terra negra “,nella “terra fredda “.

Tutta la poesia si regge quindi sulla contrapposizione vita/morte.

Proviamo adesso, sulla base di quanto esposto, a salire un gradino ancora più in altoe quindi cerchiamo di scoprire tra le parole altre verità perché, fermo restando che è insitanell’ode una netta contrapposizione tra vita e morte, è possibile, secondo me, ricavarne un’in-terpretazione esoterica e cabalistica. Fermiamo la nostra attenzione sulla figura su cui ruotatutto il contesto: l’albero (v.1 L’albero a cui tendevi).

Albero che in quasi tutte le tradizioni è considerato cosmico, asse del mondo, ponted’unione, antenna tra il cielo e la terra. Le prime due strofe della poesia ci confermano ciò e,a tal proposito, possiamo rapportarlo a questa figura:

Albero ancora che spesso assume il significato d’immorta-lità come ricorda una raffigurazione pittorica dell’ipogeo di Thut-mose III a Tebe della fine del XIV secolo a.C., dove un alberorigoglioso, raffigurato con una mammella ed un possente braccioche fuoriesce dalla chioma, è nell’atto di nutrire con la sua linfa ilfaraone che lo afferra con le sue braccia volgendo lo sguardo versol’alto (v.1 L’albero a cui tendevi / v.2 la pargoletta mano).

Sempre intorno all’albero della poesia scopriamo che sitratta di un melograno (v. 3 il verde melograno).

Il melograno è il frutto simbolo della rigenerazione dallamorte, processo che si attua con il ciclo vita/morte/vita. Si rifà al

mito di Demetra e di sua figlia Persefone rapita da Ade che la porta nel suoregno, nell’oltretomba. L’ira di Demetra è terribile: ella non lascerà più ger-mogliare alcun frutto fino a quando la figlia non sarà ritornata. Il signoredei morti è così costretto a liberare la fanciulla non prima di averle fattomangiare il melograno, cibo dell’Ade, e così, dopo avere rivisto la madre,

dovrà ritornare, per una parte dell’anno, negli inferi: ogni volta che laterra si ricoprirà di fiori, Persefone ritornerà sulla terra.

A questo punto riassumiamo quanto esposto, unendo parole edimmagine, ed otterremo:

v.1 L’albero a cui tendevi / v.2 la pargoletta mano, / v.3 il verde melo-grano / v.4 da’ bei vermigli fior, / v.5 nel muto orto solingo / v.6 rinverdì tutto or

ora / v.7 e giugno lo ristora / v.8 (la) di luce e (il) di calor.Ci accorgiamo che le rimanenti due strofe segnano una netta contrapposizione con

quanto affermato nelle precedenti: v.9 Tu fior de la mia pianta / v.10 percossa e inaridita, / v.11tu dell’inutil vita / v.12 estremo unico fior, / v.13 sei ne la terra fredda / v.14 sei ne la terra negra, /v.15 né il sol più ti rallegra / v.16 né ti risveglia amor.

Innanzi tutto notiamo che non viene più citata la parola alberoma, al suo posto, com-

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pare il termine pianta: v.9 Tu fior de la mia pianta... E “pianta “ ci riporta al verbo “piantare “,al porre dentro la terra come ci ricordano i vv. 13 e 14:

L’albero che nelle prime due strofe funge da antenna tra cielo e terra, si trasforma,nelle ultime due, nel suo inverso.

Proviamo quindi a rappresentare graficamente questa immagine accanto alle paroledi riferimento:

˜ ˜ ˜ ˜ v.9 Tu fior de la mia pianta / v.10 percossa e inaridita, / v.11 tu dell’inutilvita / v.12 estremo unico fior, / v.13 sei ne la terra fredda / v.14 sei ne la terra negra, / v.15né il sol più ti rallegra / v.16 né ti risveglia amor.

Se poniamo una linea di demarcazione tra le prime due quartine e le ultime due conle rispettive immagini, e sovrapponendole, otteniamo la seguente figura:

Ciò che ci appare è lo schema di un albero a tre rami e a tre radici, considerabile anchenei due sensi opposti, il che porta a due punti di vista complementari a seconda che lo siguardi dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto, ponendosi o dalla parte della manife-stazione o dal quella del principio.

Anche Dante, nel canto XXII del Purgatorio, descrive due alberi rovesciati vicino alvertice della “montagna “, immediatamente sotto il piano in cui è situato il Paradiso terrestredove, una volta giunti, gli alberi appaiono raddrizzati, rovesciati quindi al di sotto del puntoin cui ha luogo la “rettificazione“ e la “rigenerazione“ dell’uomo.

“Ma tosto ruppe le dolci ragioniun alber che trovammo in mezza strada,con pomi a odorar soavi e boni;

e come abete in alto si digradadi ramo in ramo, così quello in giuso,cred’io, perché persona su non vada. “

(Purgatorio, Canto XXII, vv.da 130 a 135)

Ritornando alla nostra poesia, non dimentichiamo che tra le prime due strofe e le ul-time due abbiamo posto una linea di demarcazione (˜ ˜ ˜ ˜) che potrebbe indicare la lineadelle acque che con le loro onde, atte ad innalzarsi ed abbassarsi in un moto perenne, ripor-tano al continuo flusso che dall’alto porta al basso e viceversa…

Non ci porta ciò a configurare quest’immagine con la lettera ebraica alef- a -?

Non possiamo considerare quella linea come un “piano di riflessione “ sul: “ciò che èin alto così è in basso “? Il sopra-cosmico si riflette in senso inverso in ciò che è in basso, nellasfera cosmica. Ma non dimentichiamo il titolo dell’ode: “Pianto antico “ quindi quella lineadelle acque potrebbe anche essere costituita dalle “lacrime “ versate per la rigenerazione.

Ritornando ai due alberi, albero della vita (ascendente) ed albero della morte (discen-

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dente), essi sono naturalmente sovrapposti per cui unopuò essere considerato il riflesso dell’altro e nel con-tempo i loro tronchi si assimilano in una continuità attaa formare due parti di un solo tronco.

L’albero rovesciato non è quindi solo un simbolo“macrocosmico “ ma anche “microcosmico “dell’uomo.Dice Platone “…l’uomo è una pianta celeste, il che signi-fica che è come un albero rovesciato le cui radici tendonoverso il cielo e i rami in basso verso la terra..“

Ancora questo simbolismo “assiale “ potrebbe ricondurci al fulmine inteso come “il-luminazione “ che incomincia al vertice e si estende in linea retta attraverso il tronco interofino alle radici.

Fulmine con il suo doppio potere di produzione e di distruzione di cui la vita e lamorte sono espressione nel nostro mondo e che è in relazione con le due fasi di “espi-razione “ e di “inspirazione “ della manifestazione universale

Continuando con la nostra speculazione, potremmo anche affermare che un sim-bolismo simile all’albero, come elemento “assiale “, potrebbe essere la scala sulla quale si ef-fettua un perpetuo movimento ascendente e discendente. I suoi due montanti verticalicorrispondono alla dualità dell’albero della cabala ebraicae la parte centrale, propriamente assiale, non è raffiguratain modo sensibile ma unificata dai pioli che congiungonoi due montanti e che, posti orizzontalmente tra questi,hanno i loro punti centrali proprio nell’asse : “ponte “ ver-ticale che eleva attraverso tutti i mondi e permette di per-correre l’intera gerarchia passando di piolo in piolo(mondi diversi).

Riportiamo alla mente il simbolismo biblico dellascala di Giacobbe lungo la quale gli angeli, cioè gli statisuperiori dell’essere, salgono e scendono. Scala quindi“piantata “ nella terra,

v.14 sei nella terra negra come supporto dalla quale deve partire la nostra “ascensione “.

Ed in questa ascesa / discesa percorreremo i tre momenti della trasmutazione alche-mica: Nigredo, Albedo, Rubedo.

Proviamo a leggere in tale chiave le parole evidenziate. v.1 L’albero a cui tendevi(vo)v.2 la pargoletta mano,v.3 il (al) verde melograno RUBEDOv.4 da’ bei vermigli fior,

v.5 nel muto orto solingov.6 rinverdì tutto or orav7 e giugno lo ristora v.8 (la)di luce e (il)di calor. ALBEDO

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Hawah

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v.9 Tu fior de la mia piantav.10 percossa e inaridita,v.11 tu dell’inutil vitav12 estremo unico fior,

v.13 sei ne la terra freddav.14 sei ne la terra negra, NIGREDOv.15 né il sol più ti rallegrav.16 né ti risveglia amor.

E se volessimo adattare ai vari passaggi che abbiamo analizzato le lettere ebraiche ela rispettiva numerologia, potremmo avanzare l’ipotesi che risalire l’albero è per l’uomo ilpassare dal 6 al 10 assumendo il 7, l’8 e il 9. Il 6, lettera waw w, indica l’inizio della formazione.

v.13 sei ne la terra freddav.14 sei ne la terra negra

Il 7, la lettera zayn z, indica una mutazione e l’inizio del cammino verso il mondo divino.L’8, la lettera het j , indica la prova.Il 9, la lettera tet u , è simbolo di perfezione.

v.7 e giugno lo ristorav.8 di luce e di calor.

E arriviamo al 10, la lettera Yod y , in cui l’uomo raggiunge la deificazione partorendoil bambino divino alla fine del “nono mese “ della sua vita, alla morte.

v.3 il verde melogranov.4 da’ bei vermigli fior

“Pianto antico“ quindi che ci sprona, attraverso i suoi versi, ad una attenta letturadella nostra vita per scoprire a che punto è la nostra risalita verso la chioma lussureggiantedell’albero che siamo, come ho rappresentato qui a sinistra. Percorso sicuramente arduo ancheperché allettanti sono gli stimoli che ci invitano a sostare lungo l’ascesa, ad adagiarci su quelcomodo letto che Penelope invitò Ulisse a spostare per scoprire se fosse o meno suo marito :“…Spostate il mio letto…“- disse Penelope - “...Non credo dipotercela fare. Quel letto è tagliato in un tronco d’ulivo che haancora le sue radici nella terra…“. Penelope lo guardava e duegrosse lacrime le bagnarono gli occhi.

O ancora potremmo rimanere appesi, come Pinocchio,alla grande quercia. Egli che ha provocato e visto la morte,adesso la prova : “…lo attaccarono penzoloni al ramo di unagrossa quercia… A poco a poco gli occhi gli si appannarono comea piangere...“.

Non ci riporta forse ciò alla mente la carta XII dell’ap-peso dei Tarocchi e la sua corrispondente lettera ebraicalamed/ l ?

L’appeso non è più un essere terreno, esula la mate-rialità vivendo su un piano ideale di saggezza, già esperien-

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ziata e vissuta, sostenuto da due alberi rovesciati, privi di rami. Non a caso la lettera ebraicache lo rappresenta è la lamed la quale esprime il moto “ascendente “, ponte di collegamentotra cielo e terra.

“Pianto antico“ nelle cui lacrime scopriamo il nostro passato, il tempo trascorso tragioie e dolori. Forse non è un caso che Harry Potter scopra la sua vera origine nell’ultima la-crima che Piton, che si è sempre celato, versa prima di morire.

Non dimentichiamo che ogni lacrima - dimah dfuh - è il “sangue “ dell’ “occhio “,cioè il provenire dalla conoscenza. Non si tratta però di lacrime “emozionali “ ma di quelleche sgorgano da una visione spirituale.

“Pianto antico“ quindi che sgorga dagli occhi, dagli organi di visione del mondo tra-scendentale e divino. L’ “occhio “ – ayn u - in ebraico è l’ideogramma stesso della lettera aynil cui valore numerico 70 implica la morte necessaria per la resurrezione e quindi sorgente divita. Non a caso la lettera ayn di valore 70 è molto vicina a sua sorella, la zain z di valore 7, ilcui ideogramma rappresenta una freccia che attraversa una pelle di animale, freccia che sim-boleggia la possibilità di raggiungere i livelli di coscienza ulteriori oltre le nostre “pelli “ checi imprigionano nel primitivo stato di caduta.

Colui che “vede “ e “piange “ il suo errore, discendendo verso la sua sorgente, riceveràda essa energia: sarà allora che, il suo essere uomo, si raddrizzerà – omed ufr - : la vertica-lizzazione dell’uomo, fatta delle stesse lettere delle “lacrime “, non si compie senza lacrime!

Come non ricordare ancora quel “Pianto antico“ che ci riporta indietro nell’anticoEgitto dove è proprio nella mitologia, o meglio nella cosmogonia, che ha origine il significatofondante di ‘lacrima’ come elemento creatore e rigenerante. Le lacrime come ‘acqua’ genera-trice di vita permeano tutta la storia egiziana sin dai tempi dei Testi delle Piramidi, scaturisconoanche, e soprattutto, dal corpo della divinità la quale è soggetta, come l’uomo, a passioni edebolezze.

L’atto del piangere nell’antico Egitto assume dunque un significato trascendentale: lelacrime non sono più solo “secreto “ finalizzato alla pulitura dell’occhio e alla sua lubrificazione,ma un atto divino con un fine ben preciso che eleva a rango di elemento sacro e indiscusso, unqualcosa a cui molto spesso, nell’antichità come nel presente, non è data molta importanza. Il

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pianto si delinea come atto puro di creazione divina ma anche come “peculiarità del divino. “Ci sono quattro vasi (mtw) all’interno delle tempie (dell’uomo) che portano sangue agli occhi.

Tutte le malattie degli occhi sorgono attraverso loro perché c’è un’apertura a livello degli occhi. Quantoall’acqua (lacrime) che viene giù da loro (i condotti), sono le pupille degli occhi che la producono.Oppure secondo un’altra affermazione: è il sonno che è negli occhi che la produce. (Eb. 854c).

Per esempio è scritto che dopo aver affrontato la nascita dell’Enneade divina, dalle la-crime del dio Ra fu creata l’intera umanità.

Io ho prodotto le lacrime a causadell’attacco verso di me, l’umanità(appartiene) alla cecità (špw) che èdietro di me. (CT 344).

Il dio piange a causa di una cecità temporanea che ha prodotto l’appannamento delsuo occhio, l’uomo è il prodotto di un momento di dolore e sofferenza e porta dentro di sé ilpesante fardello di non potere discernere chiaramente le cose e di non potere superare a pienoquesta empasse che il dio, al contrario, risolve con la secrezione delle sue lacrime.

Il ‘parto’ dell’uomo, attraverso le lacrime divine, evoca una nascita dovuta a un doloreche, nel momento della venuta alla luce, si trasforma nella soluzione del dolore stesso espulsodal corpo del dio.

Sua madre Akhet gridava, alzando la voce: vieni, vieni a me, opera mia; vieni, vieni a me fi-glio mio; vieni, vieni a me mia creatura. Io sono tua madre Akhet. Questo dio venne, la bocca aperta(sorridendo), le braccia aperte in direzione di questo Udjat e si gettò al suo collo. Èquesto ciò che feceil figlio quando ebbe visto la madre. Quando questo giorno arriva è la data stabilita per il debuttodell’anno. Infatti, quando piange nel Nun perché non può vedere sua madre Akhet gli uomini nasconodalle lacrime del suo occhio, e quando ride nel rivederla gli dei nascono dalla saliva delle sue labbra.(Esna 206, 8-9).

Il dio Ra, dopo aver deciso la distruzione dell’umanità colpevole di avere complottatocontro di lui, rinuncia a compiere fino in fondo la sua vendetta. Il ripensamento del dio è forsedovuto alla sua consapevolezza che l’umanità, nata dalle sue lacrime, è in definitiva parte

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stessa del suo corpo.Nella cappella di Ptah-Sokar, nel tempio di Seti I ad Abido, si fa riferimento a un’altra divinitàcreatrice appartenente però ad altra cosmogonia: Ptah. Incise sulla parete della cappella una serie di colonne verticali riportano gli epiteti del dio tracui (col. 17):

Parole da recitare per l’arido di lacrime, da parte del signore delle corone Seti, amato da Ptah.

L’epiteto ‘arido di lacrime definisce il momento successivo alla creazione dell’umanità,quando cioè il demiurgo ha già versato le sue lacrime e di conseguenza ne risulta ormai po-vero, ‘arido’ appunto.

In uno dei capitoli della Litania di Ra, presente su un pilastro della camera funerariadi Thutmosi III, si osserva l’immagine di Ra mummiforme con un vaso versante acqua al postodella testa. Al suo fianco una scritta fornisce la sua identità: è Ra nella sua forma di ‘PiangentÈo‘Colui che PiangÈ. Nella tomba di Merenptah, Ra è rappresentato come il Piangente semprecon il corpo di Osiride, ma in questo caso al posto della testa ha il disco solare da cui scaturisceacqua. La stessa rappresentazione si trova nella tomba di Montuemhat.

Il viaggio che Ra compie nell’Oltretomba, ha per scopo quello di condurlo alla rinascitail mattino seguente per tornare a splendere in cielo dopo aver percorso un tragitto irto di pe-ricoli. Ra discende negli Inferi, muore e rinasce così come è accaduto per Osiride.

Ecco che nel Libro della Terra, una delle ultime composizioni sull’ Oltretomba datateal Nuovo Regno, è descritta la scena della resurrezione di Ra, detto “Colui che è pianto “, informa di mummia posta sopra un tumulo all’interno del quale un grande occhio piangentesta insieme a quattro geroglifici rappresentanti parti di corpo che spesso identificano lo stessoOsiride. Il pianto degli dei è provocato quindi dalla rottura d’equilibrio dovuta alla morte diOsiride ma dal loro sconforto e dalla loro malattia nascono i rimedi per il male: ancora unavolta le lacrime acquistano un significato collegato alla rinascita in contrapposizione con lamorte.

v.7 e giugno lo ristorav.8 di luce e di calor.

Versi che concludono le prime due strofe di quell’ode da cui ha avuto inizio questamia personale riflessione e che, non a caso, mi riportano alla mente le parole scritte nelle ul-time pagine de “Il Barone rampante“ di Italo Calvino : “… Nella tomba di famiglia c’è una stele che lo ricorda con scritto: Cosimo Piovasco di Rondò –Visse sugli alberi – Amò sempre la terra – salì in cielo. “

Ma Cosimo Piovasco, appollaiato per tutta la vita sui rami di quegli alberi, non alzòmai lo sguardo verso l’alto ed i suoi occhi non versarono “lacrime “, lasciandosi così viveredagli eventi senza tentare di salire quella scala appoggiata all’ “albero che siamo “ nel tentativodi ritornare allo stato di luce in cui brillavamo prima di navigare in quel tempestoso “ Piantoantico “!

N.B. Si ringrazia לאר per l’apporto grafico.n

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MASSIMILIANO SAVELLI PALOMBARAMARCHESE DI PIETRAFORTE

SAGGIO E CONSIDERAZIONI BIBLIOGRAFICO-ALCHEMICHEM. Mizar

Nato a Roma il 14 dicembre 1614 da Oddo V marchese di Pietraforte e da Laura Ceuli,pressoché assenti notizie sulla sua giovinezza e formazione, si sa della sua vita pubblica, chericoprì la carica di conservatore in Campidoglio per due volte, nel 1651 e nel 1677.

Nel 1648 fu protagonista di alcune disavventure, dapprima unitosi quale capitano diventura nell’esercito francese che si trovava in Abruzzo, con lettere false fu messo in cattivaluce dei francesi che lo imprigionarono, scoperta la verità lo allontanarono. Tornando a Roma,fu quindi catturato in località Borghetto dal brigante Giulio Pezzola, capitano degli spagnoli,che lo tenne in prigione a ferreo regime; poi, ottenuto il riscatto, lo trasferì nella fortezza diPescara, da dove il Palombara riuscì a fuggire tornando a Roma dopo altre peripezie.

Il marchese fu devoto gentiluomo di Cristina di Svezia fin dal primo soggiorno romanodella regina nel 1655-56. Il suo testamento, redatto il 26 marzo 1680, conteneva la seguentesupplica, nel caso alla sua morte i figli non fossero stati ancora maggiorenni: “Chiedo la maestàdella Regina di Svezia mia benignissima Signora e Padrona a degnarsi continuare la protezione dellamia casa e descendenza, et avere particolare protezione di mia moglie, e dÈ figlioli piccoli, sperando perla servitù prestata alla Maestà sua di ottenere questa grazia“ (Roma, Arch. Massimo, Prot. I, 1).

La salda e durevole relazione con la regina era dovuta alla comunepassione per l’Alchimia. Palombara disponeva di un laboratorio, nel pian-terreno di un suo Casino sull’Esquilino (secondo lo storico romano Can-

cellieri, fonte principe di tutte le indagini successive perché riportatrascrizioni di epigrafi e di simboli poi perduti), mentre la so-

vrana ne aveva allestito uno in palazzo Riario, gestito dal-l’alchimista bolognese Pietro Antonio Bandiera. Ilrapporto è documentato anche dai manoscritti di poesiealchimiche di Palombara posseduti dalla regina e oggicustoditi presso la Biblioteca apostolica Vaticana. La fre-quentazione di Cristina fu occasione di incontri impor-tanti per le sue ricerche sulla creazione artificialedell’oro, così come per la sua produzione poetica.

Assidui della corte della sovrana erano infatti scien-ziati, artisti, letterati e personaggi illustri come il gesuita Ata-

nasius Kircher, autore di pagine sull’antica simbologiageroglifica ed alchimica egizia; due famosi alchimisti, il medico e

mistico milanese Giuseppe Francesco Borri e il poeta pesarese FrancescoMaria Santinelli, nominato da Cristina cameriere maggiore. A Santinelli sideve la Lux Obnubilata suapte natura refulgens (Venezia 1666), probabil-mente il più noto e celebrato poema alchemico del Seicento, ristampato etradotto più volte.

Tra le relazioni di Palombara fu anche quella con un non meglioidentificato poeta dal nome anagrammato di Lesbio Lintuatici, vicino agliambienti della compagnia teatrale dei Confederati (Raccolta di poesie vol-gari, e latine in vita, e morte della signora Eularia dÈ Bianchi comica Con-

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Cristina di Svezia con i suoi prediletti, tra i quali spiccavano Cartesio, AthanasiusKircher, gli alchimisti Massimiliano Palombara, Giuseppe Francesco Borri e FrancescoMaria Santinelli, discepolo di Francesco Gualdi, e l’astronomo e astrologo DomenicoCassini. Il cenacolo si riuniva tanto a Palazzo Riario che a Palazzo Palombara.

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federata, Padova – 1628 - p. 43). A costui, “suo caro amico “, Palombara scrive di avere confidatosu ispirazione divina e “per la sua bontà di vita e modestia“ quantosapeva della “professione del lapis“; riporta inoltre, nell’opera LaBugia del 1656, un sonetto di Lesbio sulle qualità della pietra filo-sofale.

Prospero Mandosio, famoso erudito, descrive il Palombaracome dotato di non comune ingegno e versato nelle lettere, spe-cialmente nella poesia. Egli fu indubbiamente dotato di talento,compose in italiano e latino, evidenziando una vena bucolica cosìcome una singolare capacità di inventare giochi di parole, ana-grammi ed enigmi in versi. Coltivò interessi lessicali ed etimologiciche, come documentano alcune sue annotazioni, spaziavano dallostudio delle opere del lessicografo e grammatico cinquecentescoFrancesco Alunno (Francesco Del Bailo) alla lingua artificiosadell’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, edita nel1499. Scrisse poesie di contenuto amoroso e faceto, ma soprattutto alchimico e filosofico-er-metico, rimaste perlopiù manoscritte.

La fortuna e la fama del Palombara si devono prevalentemente alla sua dedizione al-l’Ars Regia e in particolare alle scritte e ai simboli misteriosi che egli fece scolpire nel 1680 sualcune epigrafi, perdute, che ornavano la sua villa romana sull’Esquilino (talune ancora inloco fino ai primi decenni dell’Ottocento) e sulla cosiddetta Porta Magica, situata oggi nel-l’angolo settentrionale dei giardini di piazza Vittorio Emanuele II.

Secondo una leggenda, su cui in seguito verrà dato un approfondimento, tale manu-fatto testimonierebbe la celebrazione di una riuscita trasmutazione alchimica.

La collocazione originaria del monumento è incerta. Le testimonianze ottocentesche,anche fotografiche, la vogliono addossata al muro di cinta della villa, di fronte alla chiesa diS. Eusebio, lungo la via che conduceva da S. MariaMaggiore a S. Giovanni in Laterano. Tuttavia, ilsimbolismo iniziatico rappresentato richiederebbela riservatezza più volte sostenuta dallo stesso Pa-lombara suggerendone una primitiva e più di-screta posizione, probabilmente nei giardini dellavilla e non su una pubblica strada.

Nel 1873, nell’ambito della sistemazioneurbanistica postunitaria della capitale, la Porta fusmontata e ricostruita nel 1888 all’interno dei giar-dini della piazza, su un vecchio muro perimetraledella chiesa di S. Eusebio.

Alcune delle epigrafi, le poesie e altri scrittidi Palombara magnificavano gli horti della villa,descrivendoli come un locus amoenus, propiziatoredi benessere materiale e spirituale, e ricettacolodel mitico vello d’oro di Giasone. Così recitavaun’epigrafe posta su uno dei portoni esterni dellavilla, per come trasmessaci dal Cancellieri (1806):VILLAE IANUAM / TRANANDO / RECLUDENS

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IASON / OBTINET LOCUPLES / VELLUS MEDEAE / 1680, ovverossia: “Oltrepassando laporta della Villa Giasone scopre e ottiene il ricco vello di Medea 1680“. Il dato è assolutamente inlinea con gli studi ermetico-alchimici del Marchese, ricchi di riferimenti arcadici, idilliaci emitologici.

Secondo una tradizione trasmessa da alcuni testi tradizionali, specialmente dalla Suda,il lessico bizantino del X secolo ben noto nel Rinascimento, si credeva che il leggendario vellod’oro fosse una pergamena o un libro pergamenaceo contenete i segreti dell’arte di fabbricarel’oro. Il fatto che Palombara si dichiarasse in varie occasioni possessore, quasi nuovo Giasone,di quel vello o libro iniziatico, pare evidenziare qualcosa di più del favoloso riferimento, ovveroche nel suo giardino egli si dedicasse, oltre che alla prediletta chrysopoeia, anche a un’ampia ri-cerca naturalistica e metallurgica, rivivendo e sperimentando una sapienza degna di quel mito.

Infatti nei suoi horti pare si applicasse, oltre alle pratiche alchimiche metallurgiche, aspagiriche e metodiche investigazioni su erbe, piante officinali e sulle virtù delle pietre e deiminerali, come documenta il ms. 1346 della Biblioteca Angelica di Roma, autografo di Palom-bara, che riporta numerosi passi di Dioscoride (nella versione di Pietro Andrea Mattioli), diPlinio il Vecchio, di Giovanni Maria Bonardo, autore del trattato Le ricchezze dell’agricoltura del1589, e del medico e scienziato Gabriele Falloppio.

Dal matrimonio con Cassandra Mattei aveva avuto otto figli; dal secondo matrimonio,nel 1662, con Costanza Baldinotti altri tre maschi e due femmine.

Pochi anni dopo la realizzazione della Porta, il 16 luglio 1685, Palombara morì a Roma,nel proprio palazzo in Monte Citorio.

La Porta Magica costituisce una testimonianza architettonica più unica che rara nelcontesto della tradizione magico-alchimica occidentale, che grande diffusione e importanzaculturale ebbe in Europa fin dal Medioevo.

La prima documentazione della Porta e delle epigrafi di villa Palombara, lasciata dal-l’archeologo e storico romano Francesco Cancellieri nel 1806, è una ac-curata descrizione di tali reperti e delle vicende che ne ispirarono larealizzazione, pur se non priva di una certa ironia, poiché l’autore de-finisce “arte chimerica“ gli studi del marchese.

L’attenzione per il monumento riprese tra la fine del XIX e l’ini-zio del XX secolo, con le prime, sommarie interpretazioni a opera distorici della scienza, vedasi il Carrington Bolton, nel 1895 e di perso-naggi legati all’esoterismo e all’ermetismo quali il Pietro Bornia, nel1915, esegesi poi proseguite più tardi anche da Eugene Canseliet edal Pirrotta. In seguito vi fece cenno anche l’autorevole storico dellachimica e della farmacia Carbonelli.

Nel 1983 furono pubblicati brani in prosa e rime tratti dal ms.Reg. Lat. 1521 della Biblioteca apostolica Vaticana e dal ms. Prot. 35dell’Archivio Massimo di Roma, unitamente ad alcune liriche ermetiche(La Bugia – Rime ermetiche e altri scritti. Da un Codice Reginense delsec. XVII, a cura di A.M. Partini, Roma. Nel 1986 fu scoperto ed edito(in M. Gabriele, 1986, pp. 77-153) l’autografo de La Bugia. Opera d’in-certo Autore nella quale si tratta della vera Pietra dei sapienti 1656, il-lustrato con dieci disegni simbolici a penna: si tratta di una prima

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versione de La Bugia, diversa da quella contenuta nel ms. Reg. Lat.1521. Da quest’opera – un racconto allegorico in prosa sull’alchimia,comprendente due sonetti ermetici e anche riferimenti biografici –emerge l’adesione ideale di Palombara ai Rosacroce, di cui egli affermadi avere solo sentito parlare: parrebbe quindi una sintonia perlopiù spi-rituali e di condivisione di intenti.

Invero i simboli della Porta Magica risultano fedelmente copiatida testi alchemici rosacrociani pubblicati in tedesco e in latino, più inparticolare dalla: Commentatio de Pharmaco Catholico di Johannes deMonte-Snyder, apparsa quasi certamente a Francoforte nel 1662 e piùvolte ristampata, e dal: Aureum seculum redivivum di Henricus Mada-thanus (pseudonimo di Adrian Mynsich, medico e alchimista paracel-siano) edito nel 1621 [s.l.] e a Francoforte nel 1625 e nel 1677. Quest’ultimo viene espressamente citato da Palombara in La Bugia (Gabriele, 1986, pp. 89 s.).

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Lo stupore dell’alchimista davanti alla Meraviglia dell’Opera

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L’interesse del marchese Palombara per l’alchimia nacque dagli eruditi studi degli an-tichi testi e indubbiamente divenne preminente anche per la sua frequentazione sin dal 1656,della corte romana della regina Cristina di Svezia, a Palazzo Riario (oggi Palazzo Corsini) sullependici del colle Gianicolo, oggi sede dell’Accademia Nazionale dei Lincei.

La regina dopo aver scelto il cattolicesimo, abdicò al trono di Svezia e passò gran partedel resto della sua vita esule a Roma, dal 1655 fino alla sua morte avve-nuta nel 1689. Ella era così appassionata all’alchimia ed alle scienze (incui venne istruita da Cartesio) da possedere uno dei più avanzati labo-ratori romani gestito dall’alchimista Pietro Antonio Bandiera. Il marchesededicò a Cristina di Svezia il suo poema rosicruciano La Bugia redattonel 1656.

Secondo la leggenda, trasmessaci nel 1802 dall’erudito FrancescoGirolamo Cancellieri, uno stibeum pellegrino fu ospitato nella villa peruna notte.

Tale personaggio, per alcuni, invero un po’ azzardatamente, iden-tificabile con il sopra citato Francesco Giuseppe Borri, dimorò per unanotte nei giardini della villa alla ricerca di una misteriosa erba capace diprodurre l’oro. Il mattino seguente fu visto scomparire per sempre attra-verso la porta, ma lasciò dietro alcune pagliuzze del metallo del Solefrutto di una riuscita trasmutazione alchimica, oltre a un misterioso fogliopieno di enigmatici e simbolici glifi magico-alchimici, in esso il segretodella pietra filosofale.

Il marchese fece incidere, sulle cinque porte di villa Palombara esui muri della magione, il contenuto del manoscritto coi simboli e gli enigmi, nella speranzache un giorno qualcuno fosse riuscito a decifrarli.

Alcuni riconnettono l’enigmatica carta, per concordanze storiche e geografiche e peril passaggio tra le mani di alcuni appartenenti al circolo alchemico di villa Palombara, persinoal misterioso manoscritto Voynich, che faceva parte della collezione di testi alchimici appar-tenuti al re Rodolfo II di Boemia e donati da Cristina di Svezia al suo libraio Isaac Vossius, efinì nelle mani del saggio gesuita Kircher, a suo tempo insegnante al collegio proprio del Borri.

Il Borri nel 1659 fu accusato dalla Santa Inquisizione di eresia e veneficio. Datosi allafuga, dopo una vita avventurosa passata in varie città d’Europa dove esercitò la professionemedica, fu arrestato e restò recluso a Roma nelle carceri di Castel Sant’Angelo tra il 1671 e il1677. Ottenne la semilibertà nel 1678 e riprese a frequentare il suo vecchio amico Palombarache lo ospitò, in diversi momenti, nella sua villa negli anni successivi fino alla sua morte av-venuta nel 1680.

È ragionevole per alcuni pensare che tra gli anni 1678 e 1680 Borri e Palombara fecerole iscrizioni enigmatiche, di certo si sa che almeno una scritta della villa, quella apposta sopral’arco della porta in via Merulana, risale al 1680.

Il Borri finì in seguito nuovamente ristretto nelle carceri di Castel Sant’Angelo dal 1691dove morì nel 1695.

Opportunamente sottolineiamo quella dai più ritenuta una coincidenza, la asseritanascita nel 1698 di uno dei più misteriosi personaggi del settecento: il Conte di San Germanoo Saint Germain, un leggendario alchimista che avrebbe trovato il segreto dell’Elisir di LungaVita e la cui esistenza si sovrappone in parte con quelle del mago Cagliostro che a sua voltadichiarava di essere vissuto ben più di quanto anagraficamente riportato.

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Indubbiamente il confronto tra i ritratti di Francesco Giuseppe Borri e del Conte diSan Germano, pur separati da circa un secolo, mostrano secondo alcuni lineamenti comunie di ampia somiglianza.

APPROFONDIMENTO SULLA PORTA ALCHIMICA

La Porta Alchimica, detta anche Porta Magica o Porta Ermetica o Porta dei Cieli, è unmonumento edificato tra il 1655 e il 1680 da MassimilianoPalombara marchese di Pietraforte nella sua residenza ro-mana sull’Esquilino, villa Palombara, in posizione quasi cor-rispondente all’odierna piazza Vittorio, dove oggi è stataricollocata.

Originariamente dovevano esservi ben cinque portesimilari in detta villa, la Porta Alchimica è la sola superstite.Sull’arco della porta perduta ubicata sul lato opposto vi eraun’iscrizione che la datava al 1680; inoltre vi erano anchequattro iscrizioni perdute sui muri della palazzina all’internodella villa.

La ubicazione attuale della Porta, nell’angolo settentrionale dei giardini all’interno dipiazza Vittorio Emanuele II, la posiziona a circa settanta metri dall’ubicazione originaria versol’incrocio delle attuali via Carlo Alberto e via di San Vito. A suo tempo vi era lungo un muroperimetrale che fronteggiava la Strada Felice e villa Palombara era proprio situata tra le anticheStrada Felice e Strada Gregoriana (attuale via Merulana). La Strada Felice era un rettilineofatto costruire da papa Sisto V nel 1588, partiva da Trinità dei Monti passava per Santa MariaMaggiore e proseguiva fino a piazza Santa Croce in Gerusalemme.

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Nel 1873 la Porta Magica fu smontata e ricostruitanel 1888, in occasione della vasta ristrutturazione edile delpiano cittadino, all’interno dei giardini di piazza Vittorio,su un vecchio muro perimetrale della chiesa di S. Eusebio,accanto furono aggiunte due statue del dio Bes, rinvenuteoriginariamente nei giardini del Palazzo del Quirinale.

I simboli incisi sulla porta alchemica possono es-sere rintracciati tra le illustrazioni dei libri di alchimia e fi-losofia esoterica che circolavano verso la seconda metà delSeicento, che indubbiamente circolavano nel circolo diamicizie frequentate dal marchese Palombara.

In particolare il disegno sul frontone della Porta Al-chemica, recante i due triangoli sovrapposti e le iscrizioniin latino, compare quasi esattamente uguale sul frontespi-zio del sopramenzionato libro alchimico Aureum seculumredivivum edizione postuma del 1677 del Madatanus. Perinciso il frontespizio della prima edizione del 1621 è invecemolto diverso.

Analiticamente il frontone della Porta è costituitoda un rilievo con il sigillo di Davide circoscritto da un cer-chio con iscrizioni in latino, il vertice superiore occupatoda una croce collegata ad un cerchio interno e con il ver-tice inferiore dell’esagramma occupato da un cerchio più piccolo: il simbolo alchemico delsole e dell’oro.

Il fregio è chiaramente ricollegabile all’ambito dei Rosa Croce e ricorda anche il piùrecente emblema piramidale che compare sulle banconote statunitensi da un dollaro, unita-mente alla scritta Novus Ordo Seclorum che ricorda la scritta sul frontone Aureum Seculum Re-

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divivum. La piramide utilizzata nella banconota ha diretta ascendenza con una figura trattadalla Pyramidographia, opera di John Greaves e stampata in Londra nel 1646 di ritorno daun viaggio in Egitto. Tale simbologia fu adottata dagli Illuminati di Baviera, ordine in formamassonica che nacque circa cento anni dopo la pubblicazione del testo esoterico in Germaniadel 1677.

Le simbologie archetipiche tornano ricorrentemente nell’arco dell’evoluzione storicaovviamente declinate secondo le diverse inclinazioni dei tempi.

I simboli lungo gli stipiti della porta seguono la sequenza dei pianeti astrologicamenteassociati ai corrispondenti metalli: Saturno-piombo, Giove-stagno, Marte-ferro, Venere-rame, Luna-argento, Mercurio-mercurio.

La sequenza tradizionale era in quegli anni riscontrabile nel testo Commentatio dePharmaco Catholico pubblicato nel Chymica Vannus del 1666.

Per ogni pianeta viene indicato un motto ermetico, riportato nell’analisi a seguire se-condo il percorso indicato nella fotografia dalla freccia rossa, dal basso a destra, in senso si-nistrorso, per arrivare dall’altro lato in basso a sinistra, sull’architrave al centro è riportati incaratteri ebraici Ruach Elohim.

Il percorso indica, tra l’altro, le fasi realizzative della Grande Opera.

Descrizione analitica del manufatto

Sopra la porta è affisso un grosso disco (1) con un doppio triangolo a forma di stellaa sei punte del re Salomone, contornato dal motto TRIA SVNT MIRABILIA DEVS ETHOMO MATER ET VIRGO TRINVS ET VNVS, tre sono le cose mirabili: Dio e l’uomo, lamadre e la vergine, l’uno e il trino.

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La PORTA MAGICA: numerazione degli elementi significativi

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Un cerchio sormontato da una croce è sovrapposto alla stella e reca un altro motto,CENTRVM IN TRIGONO CENTRI, il centro è nel triangolo del centro.

Nella parte più alta dello stipite, una scritta in ebraico (2) recita RUACH ELOHIM,Spirito Divino; subito sotto (3) vi è un riferimento mitologico a Giasone: HORTI MAGICIINGRESSVM HESPERIVS CVSTODIT DRACO ET SINE ALCIDE COLCHICAS DE-LICIAS NON GVSTASSET IASON, il drago delle Esperidi custodisce l’ingresso dell’orto ma-gico e senza Ercole Giasone non avrebbe assaggiato le delizie della Colchide.

Gli alchimisti identificavano il Vello d’Oro cercato da Giasone nell’antico mito degliArgonauti con la Pietra Filosofale, uno dei massimi conseguimenti della Grande Opera.

Quindi partendo (4) dal basso a destra in senso sinistrorso e risalendo, leggiamo isimboli ed i motti così come riportati nella pagina qui a fianco. n

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LA PIETRA COME SIMBOLOHathor Go-Rex

“Non ha l’ottimo artista alcun concettoch’un marmo solo in sé non circoscrive col suo soverchio,e solo a quello arriva la man che ubbidisce all’intelletto “

[Michelangelo]

Innanzitutto ricordiamo che il simbolo è un segno o un oggetto che sintetizza e con-tiene un plurimo contenuto concettuale, questa molteplicità di significati rende perciò erroneal’idea che vi sia un’unica valenza interpretativa per ciascun elemento preso in considerazione,tutt’altro, oltrepassato il dato sensibile manifesto si potrà scoprire che in ciascuno risiede unaricca gamma di simbologie e questo, come vedremo, accade ancheper quanto riguarda la pietra, elemento ridondante nella mitologia,nei testi biblici e in molti culti religiosi.

In talune occasioni ci si riferisce al minerale in quanto materiacreativa dell’uomo, come ad esempio nel Vangelo di Matteo: “Il Battistaafferma: «Vi dico che Dio può far nascere ad Abramo dei figli da queste pie-tre». [Matteo 3,9]“, o nella leggenda Inca in cui il Dio Viracocha emersodal lago Titicaca, dopo aver creato il cielo, il sole e le stelle, scolpì gliuomini dalle pietre; o nel mito di Deucalione e Pirra in cui l’oracolo diTemi suggerisce loro di gettare dietro la schiena “le ossa della loromadre “ (per madre si intende la terra, e per le sue ossa i sassi) affinchénascano nuovi uomini; da qui si evince che anche la pietra possiedeuna natura ignea, vitale, seppur latente all’apparenza.

Tutt’altro significato invece le viene attribuito nel mito di Medusa che, con un solosguardo, era capace di tramutare gli uomini in pietra. In questo caso il minerale non è associatoalla creazione ma a una sorta di morte, di prigionia. La Gorgone rappresenta le pulsioni dellapsiche, rabbia, collera, odio, emozioni in grado di paralizzare i sentimenti più nobili, quali com-

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Maya,Cranio in cristallo di rocca

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passione, amore, carità, basti pensare al detto“avere un cuore di pietra “ e a come esso ritragganell’immaginario una specie di scorza, un invo-lucro che condanna a una vita arida, egoista, privad’amore. La pietra in questo caso rappresenta unindurimento dell’animo che tuttavia, propriocome dalla testa recisa della Gorgone per manodi Perseo nasce Pegaso il cavallo alato, ci insegnache proprio dalla sua rottura si può liberare virtù.

Altro esempio interessante tratto dalla mi-tologia lo troviamo nella leggenda di Sisifo, con-dannato a spingere per l’eternità un pesantemasso fino alla sommità di una collina senza peròmai riuscire a raggiungerne la cima, costretto

dalla mole della roccia a lasciarla ricadere poco prima di essere giunto all’agognata meta, quila pietra “Sísifo pure vidi che pene atroci soffriva, una rupe gigante reggendo con entrambe le braccia.Ma quando già stava per superare la cima, allora lo travolgeva una forza violenta di nuovo al pianorotolando cadeva la rupe maligna“. [Omero, Odissea, libro XI]

La pietra è un minerale, lo stadio meno evoluto che ritroviamo in natura, grezzo, rigido,passivo, plasmato dagli agenti atmosferici, parallelo interessante se accostato alla simbologiadella pietra grezza massonica che rappresenta lo stato profano di ignoranza, il punto di par-tenza da cui l’apprendista comincerà il lavoro su se stesso per liberarsi da vizi e passioni terrene.Il neofita ne viene posto dinnanzi e spinto a identificarsi con essa perché prenda coscienzadella propria natura rozza e imperfetta, da lì avrà inizio la sua opera di perfezionamento, unminuzioso lavoro atto a levigare e ad appianare ogni irregolarità interiore, nobilitandolo fino ache avrà plasmato la pietra da grezza a cubica, simbolo di ritrovato equilibrio e armonia in-teriore. La pietra grezza in massoneria raffigura l’io governato dall’ego, dai desideri materiali,dai vizi e dal mondo dei sensi, e lo scolpirla l’impegno individuale a un’intima rettificazione.

La pietra cubica ritrae il primo traguardo da raggiungere, uno stato in cui le potenzialitàche ciascuno porta in sé, soffocate e assoggettate dal mondo materiale, saranno finalmente li-berate, nonché il punto di partenza di un ulteriore attività trasmutativa del nostro essere, quellaatta alla creazione del Lapis Philosophorum, la Pietra Filosofale. “Sforzati di sviluppare le forze

latenti che sussistono in te. Ordina la tua vita seguendo le ar-cane norme. Tu sei la materia stessa della Grande Opera:fatti candido, spiritualizzati, purifica la tua astralità, svin-colati dalle ombre Cimmerie “. [LA GRANDE OPERA-Gril-lot de Givry]

La pietra filosofale (in latino lapis philosophorumo “pietra dei filosofi “) è la coronazione dell’opera al-chemica. Tre sono le qualità che si dice rendano questapietra straordinaria: dona l’immortalità, l’onniscienzae la capacità di convertire il piombo in oro, allegoriadella materia divenuta Spirito e simbolo del risana-mento dalla corruzione materiale. La creazione dellapietra filosofale non ha quindi una valenza unica-mente concreta quale sperimentazione empirica

sugli elementi naturali ma soprattutto spirituale, rap-presentando la trasformazione psichica dell’individuo. “La pietra filosofale è innanzitutto la crea-zione dell’uomo da parte di se stesso, vale a dire l’intera conquista del proprio potenziale e del proprio

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futuro; è in particolare la completa liberazione della propria volontà, che darà il dominio assoluto sul-l’Azoth e sul regno del magnetismo, vale a dire il potere assoluto sulla forza magnetica universale “[Eliphas Levi]

La pietra, come simbolo di avvenuta trasmutazione, la possiamo ritrovare anche nel-l’acronimoV.I.T.R.I.O.L., Visita Interiora Terrae, Rectificando, Invenies Occultum Lapidem e che sipuò tradurre con “Visita l’interno della Terra e, rettificando, troverai laPietra Occulta“, ossia l’invito a volgere lo sguardo nel proprio in-timo, prendere coscienza dei difetti e correggerli; morire a sestessi quindi, sgrossando la pietra dalle irregolarità e sgreto-lando in tal modo una personalità legata ai vizi e all’egoismo,involucro che imprigiona il nostro Sé più profondo e legamecon il divino.

Questa fase di lavoro interiore viene anche chia-mata anche nigredo, una destrutturazione dell’ego da ap-plicare in parallelo allo studio della vera essenza delle coseche porterà alla morte di ogni personalismo e alla conse-guente rinascita di un individuo dotato di maggior consape-volezza e un più elevato stato di coscienza.

Altra valenza simbolica della pietra è quella legata agliaeroliti portatori di un messaggio divino, un’importante distinzioneva fatta però tra «pietre discese dal cielo» e «pietre cadute dal cielo» le unefrutto di un atto cosciente come la venuta di un Avatar o per eccellenza la discesa del Cristo, lealtre di un’azione involontaria, subita, come ad esempio per la Pietra Nera di Cibele, la GrandeMadre e Dea della Montagna, manifestatasi proprio con una roccia piovuta dall’alto.

Anche il Santo Graal nel Parzifal del tedesco Wolfram Von Eschenbach viene descrittocome una pietra purissima, chiamata lapis exilis, nome che si suppone derivi dal latino: lapis excoelis, cioè “pietra caduta dal cielo “, e che per gli alchimisti era una delle designazioni dellaPietra Filosofale. Benché la forma più comune del simbolismo del Graal sia la coppa, accostarloa una pietra non è del tutto erroneo poiché si dice che il calice sia stato intagliato da una pietrapreziosa staccatasi dalla fronte di Lucifero durante la caduta, ossia il «terzo occhio» e quindianche simbolo delle potenzialità perdute dall’uomo precipitato nella materia.

Un altro aerolite di grande valenza sacra è la Pietra Nera incassata nella Ka’ ba allaMecca, venerata come molti altri betili, termine che deriva dall’ebraico Beith-El che significa“Casa di Dio “. Ricordiamo tra quelli di epoca pre-protostorica gli imponenti monoliti dell’Isoladi Pasqua, i betili maltesi, o i sardi nuragici.

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La pietra come simbolo si trova ampiamente usata sia nell’Antico che nel Nuovo Testamentoin cui, in svariati passi, il Cristo vi viene paragonato. “La pietra che i costruttori avevan disprezzataè diventata la principale pietra d’angolo “ [Salmi 118,22]E ancora: “Voi siete un edificio costruito sul fondamento degli apostoli e dei profeti, di cui Gesù Cristoè la principale pietra d’angolo ( “summo angulari lapide “), nel quale ogni edificio, costruito e legato intutte le sue parti, si eleva in un tempio consacrato al Signore, per mezzodel quale voi siete entrati nella sua struttura per essere l’abitazione di Dionello Spirito “ [Epistola agli Efesini, II, 20-22]

“Perciò così parla il Signore, Dio: «Ecco, io ho posto come fonda-mento in Sion una pietra, una pietra provata, una pietra angolare pre-ziosa, un fondamento solido; chi confiderà in essa non avrà fretta difuggire “[Isaia 28,16]

Inequivocabile è quindi il paragone del Cristo alla PietraAngolarema non altrettanto lo è il suo significato che spesso con-fonde san Pietro con Cristo stesso. «Tu sei Pietro, e su questa pietracostruirò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno su diessa» [Matteo, XVI, 18]

L’espressione “Pietra d’Angolo“ contiene un duplice significato, essendo sia la pietraposta a fondamento di una costruzione, sia quella che non sta nelle fondamenta ma sulla som-mità, rappresentante quindi sia il principio che la fine, l’alfa e l’omega, va precisato quindi ilsuo carattere allegorico distinguendo la Pietra Fondamentale, quella posta per prima all’iniziodella costruzione di un edificio o Prima Pietra, dalla Chiave di Volta all’estremità superiore,cioè il punto più elevato, e posata dall’alto in un significato concorde alla discesa dal cielo; LaPietra Angolare in cui si identifica il Cristo quindi va intesa come Pietra del Vertice, l’ultimapietra, il compimento finale dell’opera, il momento in cui Egli potrà manifestarsi ossia all’av-venuta costruzione del tempio interiore, tempio inteso come cosmo che si riflette nell’uomocome microcosmo.

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Numerosi riferimenti alla pietra si possono ritrovareanche nell’Antico testamento, in particolare ricordiamola Pietra del sogno di Giacobbe, usata come guancialee poi eretta come stele a indicare quel posto come “casadi Dio “. In questo caso il minerale ha la funzione di sta-bilire un collegamento tra l’uomo e il Creatore poiché,proprio da quella pietra nell’immaginario onirico del pro-feta, si ergeva dalla terra al cielo la scala su cui scende-vano e salivano gli angeli: “Allora Giacobbe si svegliò dalsonno e disse: “Certo, il Signore è in questo luogo e io non losapevo “. Ebbe timore e disse: “Quanto è terribile questo luogo!Questa è proprio a casa di Dio, questa è la porta del cielo “.Alla mattina presto Giacobbe si alzò, prese la pietra che si eraposta come guanciale, la eresse come una stele e versò oliosulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel “ [Genesi 28,16].

Ma soprattutto l’idea della forte valenza sacra della pietra si evince pensando alle Tavoledella Legge: “tavole di pietra, la legge e i comandamenti che ho scritto per istituirli “ [Esodo 24,12].Un materiale quindi adatto, che resiste al tempo, immortale e nel quale risiede ineluttabilmentelo Spirito di Dio. “Il Signore disse a Mosè: “Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anzianidi Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te sullaroccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà “ [Esodo 17,5] n

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UNA MAGIAPER SIGILLARE IL VOLERE

ALLONTANANDOLO DALL’EGOAUSTIN OSMAN SPARE

ADM

PREMESSA:LA MAGIA DEL CAOS

Non si può parlare di Austin Osman Spare senza prima parlare di magia del Caos ochaos magick in quanto tale arte prende le mosse proprio dai magi Spare e Crowley.

È una forma di magia rituale. Il termine Chaos Magick o Magia del Caos lo troviamoper la prima volta nell’opera letterale “liber null“ di Peter Carroll, pubblicato nel 1978. L’autoreformula molti concetti sulla magia che erano radicalmente differenti da quelli che furono con-siderati i “misteri magici “ ai tempi di Crowley e Spare. Coloro che praticano tale arte magicaritengono di poter modificare la realtà che li circonda utilizzando diverse tecniche o modi perraggiungere l’obiettivo prefissato. La magia del Caos non è necessariamente sincretica; ovvero,i praticanti non fondono né cercano di dare una forma coerente al rapporto tra i molteplicisistemi utilizzati nelle loro esperienze. Piuttosto, ammettono o credono temporaneamentealla verità del sistema che utilizzano con lo scopo di ottenere un determinato risultato. Pro-babilmente la caratteristica più peculiare della Magia del Caos è il concetto di trasformazionedel paradigma magico.

Uno dei principi della Magia del Caos più di frequente citati è quello che dice “nullaè vero, tutto è permesso“, una citazione attribuita ad Hasan-i Sabbãh e usato da FriedrichNietzsche nel suo lavoro Così parlò Zarathustra. Come il «fa ciò che vuoi sarà tutta la legge» diCrowley, che significa “non esiste una verità oggettiva al di fuori della nostra percezione, in questocontesto tutte le cose sono vere e possibili “.

Ogni caote (colui che esercita la magia del caos) sviluppai propri personali metodi per raggiungere lo stato di gnosi. Tuttiquesti metodi si fondano sulla teoria secondo cui ogni pensierosviluppato durante lo stato di gnosi influenza la mente inconscia,che influenza la realtà riuscendo così a raggiungere lo scopo ma-gico prefissato. Tale stato si raggiunge quando la mente di unapersona è focalizzata in un solo punto, pensiero od obiettivo etutti gli altri pensieri sono eliminati creando il vuoto.

La Magia del Caos risulta un caso unico nel panoramadelle tradizioni magiche in quanto non attribuisce significati par-ticolari a particolari divinità o simboli. Il simbolo che la identificaè la stella caote ad otto punte (caosfera o ruota del caos). È formatada un punto da cui si dipartono otto frecce equidistanti.

LA MAGIA DEI SIGILLI

«I sigilli sono monogrammi di pensiero per il governo dell’ener-gia… un mezzo matematico simboleggiante un desiderio che dandogliforma ha la virtù di eludere ogni pensiero e associazione a quel parti-

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colare desiderio (nel momento magico), sfuggendo all’identificazione dell’Ego, così che tale desiderionon sia frenato o legato alle proprie immagini transitorie, ricordi e preoccupazioni, ma gli permettadi passare liberamente nel sub cosciente» (A.O.Spare, «Il Libro del Piacere»)

Brevemente: Austin Osman Spare nacque a Londra e visse, per gran parte della suavita, nella capitale inglese. Entrò all’Accademia delle Belle Arti londinese e in breve venne sa-

lutato come un “genio “ dalla critica artistica del tempo.Si trovò ad essere un membro significativo di quella ri-

nascita artistica che caratterizzò la Londra degli inizi delNovecento, facendolo conoscere anche come giovane do-

tato nelle arti magiche.Fu inizialmente coinvolto nella tradizione dell’Or-

dine Ermetico dell’Alba Dorata, e degli Ordini che daessa si svilupparono come l’O.T.O. (Ordo Templi Orien-tis) e L’Argenteum Astrum di Aleister Crowley, ma piùtardi ruppe con questi Ordini per lavorare in manieraindipendente. Sviluppò teorie e pratiche che, dopo lasua morte, avrebbero influenzato profondamente il

patto degli Illuminati di Thanateros. Nello specifico,Spare è sopratutto famoso per la Teoria dei Sigilli, rea-

lizzati al fine di dare vita al proprio Desiderio. Egli scava nel profondo usando glifi in qualità di chiavi

universali. Di sé, dice: “Celato nel labirinto dell’Alfabeto è il mionome sacro, il SIGILLO di tutte le cose sconosciute. Sulla terra il mio regno

è l’Eternità del DESIDERIO. Il mio desiderio si incarna nella fede e diviene carne, perché IO SONOLA VERITA’ VIVENTE“. (Anatema di Zos)

Spare fu pioniere nello sviluppo di un personale alfabeto sacro, e fu un talentuoso ar-tista che usava le immagini come parte della tecnica magica.

Sebbene il termine “Chaos Magick “ sia stato coniato soltanto molto più tardi da PeterJ. Carroll (come sopra descritto) nel suo “Liber Null “, è innegabile che Austin Osman Sparefu il primo occultista moderno a praticare tale nuovo esercizio del potere sovrannaturale, opresunto tale.

Ciò nonostante, il suo esoterismo risultava ancora, in buona parte, legato alla Tradi-zione e ai suoi riti, alle cerimonie teurgiche i cui paradigmi, come accennato sopra, rimaserosostanzialmente immutati.

Al “Fa ciò che vuoi sarà l’intera Legge“ della religione Thelemitica di Crowley, ripresodalla celebre Abbazia di Rabelais, subentra il “Nulla è vero, Tutto è permesso“, ipotetico mottodella Setta degli Assassini di Hasan I. Sabbãh; nel suo significato più esoterico, cioè “non esisteuna realtà nell’ambito della percezione, di conseguenza ogni cosa è possibile e reale “.

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I QUATTRO CARDINI FONDANTIDEL SISTEMA MAGICO DI AUSTIN ORMAN SPARE

Il primo: una raffinata metodologia che si basa sull’interrelazione tra KIA e ZOS:KIA, la realtà finale o primordiale, l’immanifesto, l’eterna possibilità che attende di ma-nifestarsi, la fonte di tutti i fenomeni esistenti. Il metodo per raggiungere lo stato de-nominato KIA è la Posizione della Morte, che sia questa una pratica precisa, opiuttosto una condizione mentale indotta e di cui Spare dà alcuni esempi, comeil guardare uno specchio, l’iperventilazione in punta di piedi, oppure uno stato de-nominato ‘in mezzo a’ raggiunto come quando siamo vicini ad addormentarci e siamoallo stesso tempo presenti nelle nostre percezioni e sensazioni (gli interstizi). ZOS, ilcorpo considerato come un tutto, la nostra presente incarnazione in questo universo cheinteragisce con la realtà e cerca di tornare alla fonte originaria. Questo simulacro dialettico sistruttura in una triarchia ideale composta dalla Spoglia Bestiale che, abitata dal Demone sog-gettivo, è coronata di un’Anima, potenzialmente immortale;

Il secondo: un altro punto portante dell’architrave concettuale di Spare riguardo alsuperamento del dualismo esistente in questo universo è il concetto di “Né l’uno Né l’altro“,il superamento del dualismo attraverso gli opposti che creano uno spazio ‘neutro’ che a suavolta deve essere posto in opposizione ad un altro stato per creare un ulteriore “Né l’uno Nél’altro “ provocando così il collasso dell’intera struttura dualistica e il conseguimento del KIA;

Il terzo: L’artifizio strumentale dell’Alfabeto del Desiderio quale mezzo supremo perrisvegliare gli atavismi ancestrali e dipanare la matassa degli Archetipi originari, in un processopsichico teso a vivificare le segrete e celate virtù dell’ Inconscio Collettivo coniugate alle mi-steriche influenze dell’Essenza Cosmica. L’Alfabeto del Desiderio è composto di crittogrammi,ovvero lettere-sigilli. Con Spare i pittogrammi sono la trasposizione fisica e bidimensionaledi caratteri istintivi che l’operatore dell’occulto ottiene, in stato di trance, traducendo in Segnografico e simbolico la natura poliforme e multidimensionale di un archetipo;

Il quarto: definitivo ma non ultimo paradigma, la Sigillazione. Creato il Sigillo, sarà

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necessario che questo venga “caricato “ e successivamente “proiettato “, scagliato sia neglispazi dell’infinitamente grande, sia in quelli dell’incredibilmente piccolo. La via perla realizzazione del Desiderio passa attraverso l’oblio del Desiderio medesimo:abbracciare il Tutto per cogliere il Nulla, anelando a divenire, finalmente, Sé,ed essere, in tal frangente, icona fenomenica della libertà.

Il sigillo, toccando con una particolare metodologia estremamente ori-ginale le corde del subconscio, riesce ad entrare in sintonia con esso e a por-tare alla realizzazione dei desideri, anche se alcune volte questa può richiederediverse incarnazioni per realizzarsi, visto che i desideri, come Spare proclama,si realizzeranno sempre e comunque. Un desiderio conscio, come ben specificatoda Spare, ha difficoltà nel realizzarsi dal momento che per sua natura e in baseal gioco delle polarità crea immediatamente il suo opposto, il fallimento, cosicché si trova in-garbugliato in una complessa massa mentale da cui difficilmente può uscire. Toccare il sub-conscio, la fonte di ogni possibilità, con il sigillo invece la maggior parte delle volte è fruttuosoe proficuo.

Lo stesso Spare ha esplicitato in modo chiaro questo aspetto: quando voi desideratequalcosa, qualsiasi cosa a cui teniate, preparate un sigillo, caricatelo, dimenticatevene, e ungiorno realizzerete quello che avete desiderato. Ma Spare avverte: siate consapevoli che questo

è soltanto lo scalino più basso di una scala molto lunga, perché il giocodei desideri non è un gioco semplice e deve essere compreso e questoimplica una chiara determinazione dei propri obbiettivi e scopi per nonricadere nell’inferno del normale.I concetti di desiderio, identità, credenza e volontà sono i temi portanti

della cosiddetta “psicologia del credo“ di Spare e sono allo stesso tempomolto attuali per l’uso che se ne fa per l’eliminazione di cariche negativeall’interno del proprio essere, cariche date da esperienze passate, traumie ‘decisioni errate’, precedenti karma e stati non voluti dell’essere per ar-rivare alla creazione e realizzazione di obiettivi e scopi, attraverso ap-punto la creazione e l’affinamento dell’identità.

Con la sua analisi dei processi legati al dualismo Spare avvia così quello che è statopoi definito essenzialmente come rapporto di realizzazione soggetto-oggetto. Tra questi duevi è un’immagine falsa, una massa o carica mentale che ci pre-viene dal raggiungere l’unione tra i due stati perché non ab-biamo effettuato questo esaurimento dell’io per unirci nellacondizione di ‘in mezzo a’ o in uno stato di vuoto al nostro og-getto e farlo ‘uno’.

Ecco l’esaurimento che porta al vuoto e alla carica dei si-gilli: “Io sono“ è implicito in “Io desidero “, e aspetta l’influsso del“Io voglio “: la volizione inizia quando questi sono in armonia.

Spare, distinguendo così i due elementi che creano levere credenze o credi, ovvero da una parte il processo del cre-dere, e dall’altra la cosa che viene creduta, va in questa dire-zione. In questo gioco del “noi “ e dell’altro vi è il segreto dellarealizzazione e della libertà e comprenderlo permette di viverenel miglior modo possibile la propria vita perché a quel punto,come si usa dire, lo stesso universo girerà con voi se voi ci siete.Il compiere rapidi e permanenti cambiamenti alla strutturadella realtà interna ed esterna dipende così dall’abilità e dallaconoscenza di tecniche e metodologie per cambiare e rialli-

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neare il proprio credo alla volontà ed identità. Spare afferma “Io spero modestamente di rimanere sempre Io sono Io“, frase che potremmo

ridurre in “Io sono ciò che Sono“. È qui possibile vedere appunto l’impronta del pensiero gno-stico, di quella scintilla divina sepolta dentro di noi sotto strati e strati di massa mentale, diincarnazioni vissute e/o abortite e dei nostri stessi desideri.

Senza il nostro Io, senza questa esperienza diretta di Illuminazione (perché questonon è un semplice pronunciare ‘io sono Io’) non andiamo da nessuna parte, siamo preda dellenostre compulsioni e sarà difficile per noi capire il nostro ruolo in questo universo.

“L’incontro con se stessiè una delle esperienze più sgradevoli alle quali si sfugge

proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante.Chi è in condizione di vedere la propria ombra

e di sopportarne la conoscenzaha già assolto una piccola parte del compito “.

(Carl Gustav Jung)

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Vetrina dei Maestri PassatiI IX PUNTI DELLA REGOLA

DI J. B. WILLERMOZ

PROLOGO

Oh TU che stai per essere iniziato alle lezioni della saggezza! Figliodella virtù e dell’amicizia! Presta alle nostre parole un orecchio attento, eche la tua anima si apra ai precetti virili della verità! Ti insegneremo la stradache conduce ad una vita felice; ti insegneremo ad essere gradito al tuo Autoreed a sviluppare, con energia e successo, tutti i mezzi che la Provvidenza ti con-fidò per renderti utile agli uomini ed assaporare le delizie della beneficenza.

Art. I – DOVERI VERSO DIO E LA RELIGIONE

1. – Il tuo primo ossequio appartiene alla divinità. Adora l’Essere pieno di maestà checreò l’universo con un atto della sua volontà, che lo conserva per effetto della sua azione con-tinua, che riempie il tuo cuore, ma che il tuo spirito limitato non può concepire, né definire.Compiangi il triste delirio di colui che chiude i suoi occhi alla luce e vaga nelle spesse tenebredel caso: che il tuo cuore, intenerito e riconoscente dei paterni benefici del tuo Dio, rigetticon disprezzo quei vani sofismi, che provano la degradazione dello spirito umano quandos’allontana dalla sua fonte. Eleva spesso la tua anima al di sopra degli esseri materiali che ticircondano e lancia uno sguardo pieno di desiderio nelle regioni superiori, che sono la tuaeredità e la tua vera patria. Fai a questo dio il sacrificio della tua volontà e dei tuoi desideri,renditi degno dei suoi influssi vivificanti, adempi le leggi che ha voluto che tu compissi comeuomo nel tuo percorso terreno. Essere gradito al tuo Dio, ecco la tua fortuna; essere per sem-pre riunito Lui, ecco tutta la tua ambizione, la bussola delle tue azioni.

2. – Ma come oserai sostenere i suoi sguardi, essere fragile! che trasgredisce ad ogniistante le sue leggi ed offende la sua santità, se la sua paterna bontà non ti avesse procurato

un Riparatore infinito?Abbandonato agli smarrimenti della tua ragione, dove troverai la certezza

di un consolante avvenire? Consegnato alla giustizia del tuo Dio, dovetroveresti rifugio? Rendi dunque grazia al tuo Redentore; prosternatidavanti al Verbo incarnato e benedici la Provvidenza che ti ha fattonascere tra i cristiani. Professa in ogni luogo lo splendore dell’Altis-simo e non arrossire mai di appartenergli. La sua Legge è la basedei nostri obblighi; se tu non vi credessi, cesseresti di essere un Tem-

plare. Comunica in tutte le tue azioni una pietà illuminata ed attiva,senza ipocrisia, senza fanatismo; il Templare non si limita a verità spe-

culative: pratica tutti i doveri morali che insegna e sarai felice; i tuoi con-temporanei ti benediranno e comparirai sereno davanti al trono dell’Eterno.

3. – Soprattutto, compenetrati di questo principio di carità e d’amore, base di questaspiritualità: compiangi l’errore senza odiarlo e senza perseguitarlo; lascia soltanto a Dio lacura di giudicare, ed accontentati di amare e di tollerare. Massoni! Figli di uno stesso Dio, chequesto legame d’amore ci unisca strettamente e faccia scomparire ogni pregiudizio contrarioalla nostra fraterna concordia.

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Art. II – IMMORTALITA’ DELL’ANIMA

1. – UOMO! Re del mondo! Figlio di Dio e dio tu stesso! Capolavoro della vita cheDio animò col suo soffio! Medita il tuo sublime destino. Tutto ciò che vegeta intorno a te enon ha che una vita animale, perisce con il tempo ed è sottomesso al tuo dominio; la tuaanima immortale soltanto, emanata dal seno della Divinità, sopravvive alle cose materiali enon perirà affatto.

Ecco il tuo vero titolo di nobiltà; senti vivamente la tua fortuna, ma senza orgoglio;questo perse la tua razza e ti riporterebbe nell’abisso. Essere degradato! malgrado la tua gran-dezza primitiva e relativa, cosa sei al cospetto dell’Eterno? Adoralo nella polvere e separa concura questo principio celeste ed indistruttibile da leghe aliene; educa la tua anima immortalee perfettibile, e rendila suscettibile di essere riunita alla fonte pura del bene, quando sarà li-berata dai vapori grossolani della materia. È così che sarai libero anche se in catene, feliceanche nella sventura, incrollabile negli uragani e morirai senza terrore.

2. – Templare! Se mai tu potessi dubitare della natura immortale della tua anima e deltuo alto destino, l’iniziazione sarebbe senza frutti per te; cesseresti di essere il figlio adottivodella saggezza e saresti confuso nella folla degli esseri materiali e profani che brancolano nelletenebre.

Art. III – DOVERI VERSO LO STATO E VERSO LA PATRIA

1. – L’Essere supremo confidò in maniera più positiva i suoi poteri sulla terra ai reggi-tori dello Stato; rispetta e gradisci la loro legittima autorità nell’angolo della terra che abiti; iltuo primo ossequio appartiene a Dio; il secondo alla Patria.

L’Uomo errante nei boschi, senza cul-tura ed evitando i suoi simili, sarebbe pocoadatto a compiere i disegni della Provvidenza,e ad afferrare tutto l’insieme della fortuna chegli è riservata. Il suo essere cresce in mezzo aisuoi simili; il suo spirito si fortifica nel conflittodi opinioni; ma una volta riunito in società, do-vrebbe lottare senza tregua contro l’interessepersonale e le passioni disordinate, e ben pre-sto l’innocenza soccomberebbe sotto la suaforza o la sua astuzia. Occorsero dunque delleleggi per guidarlo e dei capi per mantenerle.

2. – UOMO sensibile! tu riverisci i tuoigenitori; onora allo stesso modo i padri delloStato e prega per la loro conservazione; essisono i rappresentanti della Divinità su questaterra. Se fuorviano, ne risponderanno al GiudiceSupremo; ma la tua opinione potrebbe trarti ininganno e mai dispensarti dall’obbedire.

Se tu venissi meno a questo sacro do-vere, se il tuo cuore non trasalisse più al dolcenome della Patria, i templari ti ricaccerebberodal loro seno come refrattario all’ordine pub-blico, come indegno di partecipare ai vantaggidi un’associazione che merita la fiducia e la

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stima dei governi, in quanto uno dei suoi principali moventi è il patriottismo e che, gelosa diformare i migliori cittadini, esige che i suoi figli adempiano, con il maggior impegno e purezzad’intenti, tutti i doveri del loro stato civile. Il guerriero più coraggioso, il giudice più integro,il maestro più dolce, il servo più fedele, il padre più tenero, lo sposo più costante, il figlio piùsottomesso deve essere il Templare, poiché i doveri ordinari e comuni del cittadino sono statisantificati e rafforzati dalle sue promesse libere e volontarie e che disattendendoli unirebbealla debolezza l’ipocrisia e lo spergiuro.

Art. IV – DOVERI VERSO L’UMANITÀ IN GENERALE

1. – Ma se il circolo patriottico che ti apre una carriera così feconda e soddisfacente nonriempie ancora tutta la tua attività; se il tuo cuore sensibile vuole varcare i limiti degli imperied infiammare di questo fuoco elettrico dell’umanità tutti gli uomini, tutte le nazioni; se, risa-lendo alla fonte comune, gradisci amare teneramente tutti quelli che hanno gli stessi organi,lo stesso bisogno di amare, lo stesso desiderio di es-sere utile ed un’anima immortale come te, vieni al-lora nei nostri templi ad offrire i tuoi omaggi allasanta umanità; l’universo è la patria del massone enulla di ciò che concerne l’uomo gli è estraneo.

2. – Osserva con rispetto questo edificiomaestoso, destinato a stringere i legami troppo ri-lassati della morale; ama teneramente un’associa-zione generale di anime virtuose, capaci di esaltarsi,diffusa in tutti i paesi, dove la ragione e le luci sonopenetrate, riunita sotto il santo vessillo dell’uma-nità, retta da leggi semplici ed uniformi. Senti infinelo scopo sublime del nostro santo Ordine; consacrala tua attività e tutta la tua vita alla beneficenza; no-bilita, epura e fortifica questa generosa risoluzionelavorando senza tregua alla tua perfezione, riunen-doti più intimamente alla Divinità.

Art. V – BENEFICENZA

1. – Crea ad immagine di Dio che si è de-gnato di rivelarsi agli uomini e spargere su di lorola felicità; accostati a questo modello infinito con lavolontà costante di versare incessantemente suglialtri uomini tutta la quantità di felicità che è in tuopotere; tutto ciò che lo spirito può concepire dibene è il patrimonio del massone.

2. – Osserva la miseria impotente dell’infan-zia, essa reclama il tuo appoggio; considera l’ine-sperienza funesta della gioventù, essa sollecita ituoi consigli; poni la tua felicità a preservarla daglierrori e dalle seduzioni che la minacciano; eccita inlei le scintille del fuoco sacro del genio, aiutala a svilupparle per il bene del mondo.

3. – Ogni essere che soffre o geme ha dei sacri diritti su di te; guardati dal miscono-scerli, non aspettare che il grido penetrante della miseria ti solleciti; previeni e rassicura lo

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sventurato timido; non avvelenare, con l’ostentazione dei tuoi doni,le fonti di acqua viva dove lo sfortunato deve dissetarsi; non cercarela ricompensa per la tua beneficenza nei vani applausi della molti-tudine; il massone la trova nella quieta approvazione della sua co-scienza e nel sorriso fortificante della Divinità, sotto i cui occhi èsempre posto.

4. – Se la Provvidenza liberale ti ha accordatodel superfluo, guardati dal farne un uso frivolo ecriminale; essa volle che, con un impulso liberoe spontaneo della tua anima generosa, tu ren-dessi meno sensibile la distribuzione inegualedei beni, che era nei suoi piani; godi di questabella prerogativa. Che mai l’avarizia, la più sor-dida delle passioni, avvilisca il tuo carattere, e

che il tuo cuore si sottragga ai calcoli freddi ed aridi chesuggerisce. Se mai dovesse inaridirsi al suo soffio tetro ed interessato, evitale nostre officine di carità; sarebbero prive di attrattive per te e non po-tremmo più riconoscere in te l’antica immagine della Divinità.

5. – Che la tua beneficenza sia illuminata dalla religione, dalla sag-gezza e dalla prudenza; il tuo cuore vorrebbe abbracciare i bisogni dell’umanità, ma il tuo spi-rito deve scegliere i più pressanti ed i più importanti. Istruisci, consiglia, proteggi, dona, dàsollievo a seconda dei casi; non ritenere mai di aver fatto abbastanza e non riposarti per letue opere che per trarre nuove energie.

Dedicandoti così agli slanci di questa sublime passione, una fonte inesauribile di gioiesi prepara per te: avrai su questa terra l’anticipo della felicità celeste, la tua anima crescerà etutti gli istanti della tua vita saranno riempiti.

6. – Quando infine senti i limiti della tua natura finita, e che non potendo essere suf-ficiente da solo a compiere il bene che vorresti fare, la tua anima si rattrista, vieni nei nostritempli; osserva l’insieme sacro dei benefici che ci unisce e concorrenti efficacemente, secondotutte le tue facoltà, ai piani ed agli impieghi utili che l’associazione massonica ti presenta eche realizza, rallegrati di essere cittadino di questo mondo migliore; assapora i dolci fruttidelle nostre forze combinate e concentrate per uno stesso obiettivo; allora le tue risorse simoltiplicheranno, aiuterai a fare mille felici invece di uno ed i tuoi voti saranno coronati.

Art. VI – ALTRI DOVERI MORALI VERSO GLI UOMINI

1. – Ama il tuo prossimo come te stesso e non fargli mai ciò che nonvorresti si faccia a te. Serviti del sublime dono della parola, segno esterioredel tuo dominio sulla natura, per prevenire i bisogni altrui e per stimolare intutti i cuori il fuoco sacro della virtù. Sii affabile e servizievole, edifica conl’esempio; condividi l’altrui felicità senza gelosia. Non permettere mai al-l’invidia di sorgere neanche per un istante nel tuo seno, essa turberebbe lafonte pura della tua felicità e la tua anima sarebbe in preda alla più cupadelle furie.

2. – Perdona al tuo nemico; non vendicartene che con opere buone;questo generoso sacrificio, di cui dobbiamo il sublime precetto alla religione,ti procurerà i piaceri più puri e più deliziosi; ritornerai l’immagine della Di-vinità che perdona con una bontà celeste le offese dell’uomo, e lo colma digrazie malgrado la sua ingratitudine. Ricordati dunque sempre che questo è

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il trionfo più bello, che la ragione prevalga sull’istinto, e cheil massone dimentichi le ingiurie, ma mai i benefici.

Art. VII – PERFEZIONE MORALE DI SE STESSI

1. – Dedicandoti così all’altrui bene, non dimenticare iltuo perfezionamento e non trascurare di soddisfare i bisognidella tua anima immortale. Discendi spesso nel tuo cuore, persondarne le pieghe più nascoste. La conoscenza di se stessi èil grande cardine dei precetti massonici. La tua anima è la pie-

tra grezza che occorre sgrossare; offri alla Divinità l’omaggio delle tue inclinazioni regolate,delle tue passioni vinte.

2. – Che i costumi casti e severi siano tuoi compagni inseparabili e ti rendano rispetta-bile agli occhi dei profani; che la tua anima sia pura, retta, schietta ed umile. L’orgoglio è il ne-mico più pericoloso dell’uomo, lo mantiene nell’illusoria fiducia nelle sue forze. Nonconsiderare il punto in cui sei giunto, rallenterebbe il tuo cammino; proponiti quello dove deviarrivare; la breve durata del tuo passaggio ti lascia appena la speranza di giungervi: togli al tuoamor proprio il pericoloso alimento del confronto con quelli che ti sono dietro; ascolta piuttostolo stimolo di un’emulazione virtuosa, guardando dei modelli più compiuti davanti a te.

3. – Che la tua bocca non alteri mai i segreti pensieri del tuo cuore, che essa ne sia sem-pre l’organo schietto e fedele; un massone che si spogliasse del candore per assumere la ma-schera dell’ipocrisia e dell’artificio, sarebbe indegno di abitare con noi e, seminando la diffidenzae la discordia nei nostri quieti templi, ne diventerebbe ben presto l’orrore ed il flagello.

4. – Che la sublime idea dell’onnipresenza di Dio ti fortifichi, ti sostenga; rinnova ognimattina la promessa di diventare migliore; veglia e prega; e quando sul far della sera il tuocuore soddisfatto ti ricorda una buona azione o qualche vittoria ottenuta su te stesso, soltantoallora riposa tranquillamente nel seno della Provvidenza e riacquista nuove forze.

5. – Studia infine il senso dei simboli e degli emblemi che l’Ordine ti presenta. La Na-tura stessa vela la maggior parte dei suoi segreti; non vuole essere osservata, confrontata espesso sorpresa nei suoi effetti. Di tutte le scienze di cui il vasto campo presenta i risultati piùfelici all’operosità dell’uomo ed a vantaggio della società, quella che ti insegnerà i rapporti

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tra Dio, l’universo e te, colmerà i desideri della tua anima celeste e ti insegnerà ad adempieremeglio ai tuoi doveri.

Art. VIII – DOVERI VERSO I FRATELLI

1. – Nella folla immensa di esseri di cui questo universo è popolato, hai scelto, con unvoto libero, i Templari come tuoi fratelli. Non dimenticare dunque mai che ogni Templare, diqualunque, paese o condizione sia, presentandoti la sua mano destra, simbolo di sincera fra-tellanza, ha dei sacri diritti sulla tua assistenza e la tua amicizia.

Fedele al voto della natura, che fu l’uguaglianza, il massone ristabilisce nei suoi templii diritti originari della famiglia umana; non sacrifica mai ai pregiudizi popolari ed il livello sacroassimila qui tutti gli stati. Rispetta nella società civile le distanze stabilite o tollerate dalla Prov-videnza; ve ne sarebbero tante da abolire e misconoscere. Ma guardati soprattutto dallo stabiliretra noi delle distinzioni fittizie che disapproviamo; lascia i tuoi gradi e le tue decorazioni profanesull’uscio e non entrare che con la scorta delle tue virtù. Qualunque sia il tuo rango nel mondo,cedi il passo nelle nostre Logge al più virtuoso, al più illuminato.

2. – Non arrossire mai in pubblico di un uomo oscuro, ma onesto, che nei nostri con-sessi hai abbracciato come fratello qualche istante prima; l’Ordine arrossirebbe di te a suavolta e ti caccerebbe, con il tuo orgoglio, per esporlo sulle scene pro-fane del mondo. Se tuo fratello è in pericolo, vola in suo soccorso enon temere di esporre la tua vita per lui. Se si trova nel bisogno, versasu di lui i tuoi tesori e rallegrati di poterne fare un uso così soddisfa-cente; hai giurato di esercitare la beneficenza verso gli uomini in ge-nerale, la devi preferibilmente al tuo fratello che geme. Se ènell’errore e si svia, va da lui con le luci del sentimento, della ragione,della persuasione. Riconduci alla virtù gli esseri che vacillano, e rialzaquelli che sono caduti.

3. – Se il tuo cuore ulcerato da offese vere o immaginarie nu-trisse qualche segreta inimicizia verso uno dei tuoi fratelli, dissipa al-l’istante la nube che si alza; chiama in tuo aiuto qualche arbitrodisinteressato; richiedi la sua fraterna mediazione; ma non oltrepas-sare mai la soglia del tempio prima di aver riposto ogni sentimento di odio e di vendetta. In-vocherai invano il nome dell’Eterno, perché si degni di abitare nei nostri templi, se non sonopurificati dalle virtù dei fratelli e santificati dalla loro concordia.

Art. IX – DOVERI VERSO L’ORDINE

1. – Quando infine tu fossi ammesso alla partecipazione dei vantaggi che derivanodall’Ordine, abbandonerai, in tacito scambio di una parte della tua naturale libertà; adempidunque rigorosamente gli obblighi morali che t’impone, conformati ai suoi saggi regolamentie rispetta quelli che la pubblica fiducia ha designati per essere i guardiani delle leggi e gli in-terpreti del voto generale. La tua volontà nell’Ordine è sottomessa a quella della legge e deisuperiori; saresti un cattivo fratello se non riconoscessi questa subordinazione necessaria inqualsiasi società e la nostra sarebbe costretta ad escluderti dal suo seno.

CONCLUSIONE

Se le lezioni che l’Ordine ti rivolge, per facilitare il tuo cammino di verità e di felicità,si imprimono profondamente nella tua anima docile ed aperta alle sensazioni della virtù; se

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le massime salutari, che impronteranno per così dire ogni passo che farai nel percorso mas-sonico, diventano i tuoi stessi principi e la regola immutevole delle tue azioni; o fratello mio,quale sarà la nostra gioia! compirai il tuo sublime destino, ricoprirai quella somiglianza divinache fu l’eredità dell’uomo nel suo stato di innocenza, che è il fine del cristianesimo e di cuil’Iniziazione massonica fa il suo oggetto principale; ritornerai la creatura teneramente amatadal Cielo: le sue feconde benedizioni si tratterranno su di te; e meritando il titolo glorioso diconsacrato, sempre libero, felice e costante, camminerai su questa terra alla stregua dei re, ilbenefattore degli uomini ed il modello dei tuoi fratelli.n

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