Minastirith 02/11

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Anno II - Numero V Febbraio 2011 - Organo a diffusione interna (c.i.p) Ass. Cult. FUROR - Via San Giorgio (Catanzaro) - info: [email protected]

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Minastirith 02/11

Transcript of Minastirith 02/11

Anno II - Numero V – Febbraio 2011 - Organo a diffusione interna (c.i.p) Ass. Cult. FUROR - Via San Giorgio (Catanzaro) - info: [email protected]

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Militanti 24 ore al giorno

Venire a contatto con le regole

Tradizionali non vuol dire accettar-

le passivamente, come molti fanno

credendo che riempendosi la boc-

ca di alcune

terminolo-

gie o sfog-

giando frasi

ad effetto

in determi-

nate occa-

sioni si tra-

sformino

così in elet-

ti. Questi

esibizioni-

sti, vittime

del proprio

protagoni-

smo, sono

senza dub-

bio dei ne-

mici, molto

più vicini

alla ten-

denza mo-

derna

dell'appari-

re senza

essere che alla Tradizione. Accet-

tare la dottrina tradizionale signifi-

ca invece farla propria integral-

mente, darle spazio nella propria

vita, conducendo un’esistenza

conforme ai valori che essa impo-

ne (giustizia e verità prima di tut-

to), guardando alla Tradizione co-

me unico punto di riferimento su-

periore. Questa dottrina infatti è

l'unica che, se incarnata integral-

mente, può stabilire un legame tra

la vita terrena ed il sacro. Natural-

mente

l'uomo per

raggiunge-

re quel

migliora-

mento che

rende la

Tradizione

prima di

tutto uno

stile di vi-

ta, deve

prima cre-

scere inte-

riormente

attraverso

una pro-

gressiva

formazio-

ne. Per

formazio-

ne quindi

s'intende

sia lo stu-

dio appro-

fondito dei testi tradizionali, scritti

da chi prima di noi ha avuto la re-

sponsabilità di tenere accesa la

fiamma della tradizione e di tra-

smetterla a noi, uomini di oggi.

Oltre allo studio un altro mezzo

per raggiungere una degna forma-

zione è quello di crescere in una

_______________ indirizzi dottrinari _______________

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comunità militante, poiché solo

così si può venire a contatto con

valori come la gerarchia, l'ordine e

la disciplina, anch'essi fondamen-

tali per una cultura tradizionale

completa. Naturalmente tutto il

lavoro appena descritto sarà inuti-

le se ci si limiterà a comportarsi

secondo le regole della dottrina

solo nei momenti di lettura o di

riunione con gli altri militanti, poi-

ché non si costruisce così uno stile

di vita. D’altronde, leggendo que-

ste parole sembra facile raggiun-

gere gli obbiettivi sopra elencati,

ma tra il leg-

gerli e il

metterli in

atto bisogna

affrontare

tutte le diffi-

coltà che il

mondo mo-

derno ci pro-

spetta, sen-

za cedere ad

alcuna ten-

tazione. La

società in cui

viviamo infatti, nella quale gover-

na incontrastata la sovversione di

ogni concezione normale, punta ad

uccidere e seppellire per sempre

l'idea tradizionale sostituendo ad

essa tutte le idee sovversive che

già oggi governano incontrastate

nel mondo. Tanto per citarne qual-

cuna, possiamo pensare alle ten-

denze materialiste e consumiste

che ormai sono dominanti nella

maggior parte degli uomini e li

rendono schiavi di tutto ciò che è

unicamente fisico, allontanandoli

dalla nostra dottrina basata invece

su ciò che non ha vincoli di tempo

e spazio, ovvero la metafisica. Già

riflettendo su quest'ultima frase si

può capire la netta differenza che

distingue un uomo moderno da un

militante del fronte della Tradizio-

ne. Credendo esclusivamente nel

materialismo, l'uomo moderno po-

ne la sua esistenza come un qual-

cosa che inizia con la sua nascita e

termina con la sua morte, senza

che dopo quest'ultima ci sia una

vita superiore. Al contrario l'uomo

della Tradizione, ponendo il sacro

al centro della propria esistenza,

giudica la

sua vita

terrena

come un

passaggio

verso l'e-

ternità e

quindi non

pensa alla

morte co-

me se

fosse la

fine di

tutta la

sua esistenza. Da quanto appena

detto si può trarre una semplice e

diretta conclusione: il militante

della Tradizione dopo essersi for-

mato e aver fatto suo un preciso

ed esemplare stile di vita, deve

resistere affinché le tentazioni non

lo coinvolgano. Solo cosi la sua

vita sarà degna di tenere accesa

quella fiamma che brucia da mil-

lenni e che un giorno ritornerà ad

illuminare il mondo intero e solo

così la sua esistenza potrà essere

come la via della Tradizione: eter-

na. R.A.

Rispettare o amare la natura?

Ristabilire un rapporto corretto ed

equilibrato tra Uomo e Natura oggi

non è più così semplice, se

non si vuole scadere in quel pano-

rama caotico e irrazionale, in cui

fioriscono e pullulano infinite sigle

che

dicono ripetutamente di amare

l’ambiente e gli animali, senza in-

serire questo amore in un quadro

generale.

Ma visto l’inquinamento del mate-

rialismo moderno su tutto quello

che in realtà rappresenta qualcosa

di sacro,

anche le varie forme in cui si ma-

nifesta questo sentimento di amo-

re vanno giudicate innanzitutto

facendo ordine. Quando si parla

del verde ci si pone molto spesso

in una chiave di lettura che an-

drebbe forse rivisitata, perché sia

l’amore per la nostra terra che

quello per gli animali, deve sempre

partire da un punto di vista supe-

riore, inquadrata entro qualcosa di

più alto. Amare morbosamente o

troppo sentimentalmente qualco-

sa, a volte può portare a non ri-

spettare quella stessa natura così

intrinsecamente diversa da noi.

Crediamo che in questo contesto il

passaggio fondamentale sia costi-

tuito dallo sviluppo della concezio-

ne antropocentrica, ormai slegata

da ogni visione spirituale autentica,

il che ha portato a ridisegnare il

sottile confine di rispetto e di ge-

rarchie, tra noi, gli elementi e gli

esseri di qualsivoglia natura che ci

circondano.

Essere superiori non equivale ad

essere sfruttatori, così come esse-

re al centro dell’universo non e-

quivale per forza ad arrogarsi un

diritto che non esiste, cioè sentirsi

il padrone di questo mondo. Co-

mandare vuol dire aver saputo pri-

ma obbedire, di conseguenza

l’uomo, non ubbidendo o non a-

scoltando più le leggi inalienabili

del Creato, per forza di cose si sta

trasformando egli stesso in una

sorta di tiranno.

L’uomo dovrebbe tornare ad essere

un Dominus e non un dominatore,

un Signore (nel senso spirituale

positivo di questo termine e non di

materiale dominio) della Terra che

sa prima di tutto essere signore di

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_______________ spunti storici _______________

se stesso. Altrimenti si rimane con-

finati in una visione di semplicistico

e puerile possesso su cose che non

ci appartengono, che ci sono invece

donate per migliorarci, laddove una

assoluta equidistanza da esse deve

delineare una chiara visione orga-

nica piuttosto che un cieco gioco al

massacro con forze che non sono

soggette al nostro arbitrio, perché

esiste già Qualcuno” che pensa a

mantenere quest’ordine.

Riteniamo del resto che abitudini

arcaiche quali la caccia, possano

aver avuto un

ruolo, una giu-

stificazione ed

un significato

molto profon-

do e formativo

quando ciò

rappresentava

una “prova del

fuoco”, un

“rito di pas-

saggio”, una

sfida quasi alla pari anziché una

lotta impari come adesso accade.

Oppure quando ciò poteva soddi-

sfare una reale necessità, e non

prosegue invece per cupidigia o per

semplice voglia di uccidere senza

senso.

Gli Animali, ancor più che nel

“brutale” passato, sono oggi trattati

con una spietatezza ed una violen-

za inimmaginabile, trattamento ben

diverso da quello dei tempi passati

in cui, nonostante scorresse sem-

pre molto sangue, si riconosceva

quanto meno loro una certa digni-

tà. Non costituivano la semplice

catena di montaggio al nostro ser-

vizio o ludici giocattoli utilizzati nel

quotidiano, non erano oggetti privi

di valore e soprattutto non veniva-

no umanizzati, perché le differenze

in natura esistono e fanno si che

anche una semplice foglia non sia

mai identica ad una altra con con-

seguenze filosofiche ovvie che non

si può evitare di riconoscere.

Se non si tiene conto di questa vi-

sione organi-

ca, ampia,

parlare di

raccolta dif-

ferenziata, di

energie al-

ternative, di

tutela dei

parchi o di

benessere

degli animali

domestici,

rimane un esercizio monco, lontano

dalla realtà di una Natura che non

va vista né come business e né co-

me semplice materia, che non è né

pacifica ma neppure violenta, che è

soltanto quel mosaico in cui ognuno

di noi dovrebbe percepire il ruolo

che più gli è consono, armonizzan-

dosi ad essa, seguendo i suoi cicli

e i suoi ritmi e rispettandone le sue

leggi. Questo forse è più importan-

te che amare la Natura! Wolf

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SE NON ORA QUANDO?

Lo scorso 13 febbraio in molte piazze

italiane le donne sono scese in piaz-

za. Alcune donne. Ma c’erano anche

uomini. O meglio, le promotrici era-

no donne ma le manifestazioni erano

aperte a tutti. Correggiamoci ancora:

la manifestazione era per le donne

ma non avendo capito nessuna di

loro contro cosa manifestassero, i

cortei si sono trasformati in banali

iniziative contro il governo.

Potevano dirlo subito. Occorreva pro-

prio cercare una scusa così alta per

manifestare l’opposizione e la richie-

sta di dimissioni al premier Berlusco-

ni? Diciamoci la verità, della situazio-

ne femminile non importava a nessu-

no delle donne e degli uomini scesi

in piazza. Se non si fosse trattato di

Berlusconi le donne avrebbero anche

potuto continuare a stare nude

(come continuano ad essere) sui car-

telloni, in tv e dovunque la legge o la

morale non lo impedisca rigorosa-

mente.

Perciò andiamo oltre, dal momento

che qui si tratta di capire il motivo di

tanta confusione. Perché le donne

sono scese in piazza? Ne sono con-

sapevoli? Il sospetto - in realtà una

certezza - è che la donna qui centri

poco, ma sia tutta una strumentaliz-

zazione per andare contro il governo.

Ormai tutto fa brodo, perciò se Ber-

lusca ci si mette tanto d’impegno a

donare generosamente ai suoi oppo-

sitori ragioni per contestarlo, perché

non cogliere la palla al balzo? Ed ec-

co la protesta dal titolo enigmatico:

“se non ora quando?”. Appunto: per-

ché proprio ora? Perché non prima?

Ed eccola qui: la questione femmini-

le. Questione sulla quale le stesse

manifestanti hanno mostrato profon-

de divisioni: da una parte le morali-

ste, che in un certo senso contesta-

vano le donne che si vendono,

dall’altra le donne ideologicamente

schierate, che si sono ostinate ad

addossare tutto il malcostume sul

premier divenuto simbolo dell’uomo

che sottomette le donne. Non una

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denuncia del malcostume, dunque,

ma dell’uomo-padrone. Due fronti

che sono entrati ben presto in colli-

sione. Una spaccatura non casuale,

c h e a f f o n d a l e r a d i c i

nell’incomprensione circa la difesa

della figura della donna. Perciò noi ci

rivolgiamo a questo secondo fronte,

che del femminismo sessantottino

sembra essere erede: ci si rende

conto che è ridicolo manifestare oggi

contro la libertà sessuale quando il

femminismo è stato nient’altro che

questo? Se difesa della donna deve

essere, allora la donna va tutelata

nei suoi diritti civili, non trasformata

in una questione politica ambulante.

Se si deve difendere la donna ci sia-

mo. Se però ciò che si cerca non è il

rispetto della sua figura ma una

maggiore libertà sessuale per lei, la

distruzione di ogni gerarchia,

l’egualitarismo esasperato, allora qui

entra in campo l’ideologia con i suoi

paraocchi e non si tratta più di don-

ne ma di politica. Ecco, fare della

donna una questione ideologica, vuol

dire andare al di là della sua sacro-

santa difesa. Vuol dire strumentaliz-

zarla. Perché diciamo questo? Prova-

te a cercare la parola femminismo su

Google e date un’occhiata alle im-

magini che vengono fuori: reggiseni

in bella vista, donne che esibiscono il

proprio corpo, che rivendicano la

propria sessualità, tant’è che il sim-

bolo stesso del femminismo è il fa-

moso triangolo, chiara allusione

all’organo sessuale femminile. E si

tratta di immagini passate alla storia

del femminismo. Cercando un po’ in

giro si possono trovare slogan

dell’epoca ancora più espliciti, come

il seguente: “vogliamo il cazzo quan-

to ci pare”. Non va dunque dimenti-

cato, oggi che si protesta, cosa è

stato il femminismo: un movimento

che, in quegli anni di ribellione ai

valori tradizionali, ha espresso solo

la voglia di alcune donne di affran-

carsi dai tradizionali canoni di purez-

za e sacralità del corpo femminile. Si

è cercata la rivendicazione del piace-

re sessuale fine a se stesso, la famo-

sa libertà sessuale appunto, e le

femministe hanno preteso anche per

la donna questa stessa libertà. Poter

essere come l’uomo, senza essere

giudicate. Cosa che oggi è vista in

effetti come una conquista. Ma è da

lì che nasce la mercificazione della

donna. È il femminismo dunque il

male originario, che ora, avendo col-

to tutto lo squallore cui hanno con-

dotto le sue conquiste, protesta con-

tro se stesso ed è - come abbiamo

visto - in crisi di identità. Dhruva

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Noble art

Le origini del pugilato risalgono all'an-

tichità. Questo sport infatti iniziò a far

parte del programma olimpico nel 668

a.C.. Ma non erano previste categorie di

peso così la disciplina a livello agonistico

era riservata a soggetti di taglia notevole.

Il pugilato era presente anche nella Roma

antica: il combattimento terminava con la

resa di uno dei due contendenti; le ferite

gravi (e a volte anche la morte) erano

accettate essendo dovute alla superiorità

tecnica e atletica. Bisogna giungere al

1719 per vedere nascere a Londra una

scuola moderna di pugilato. Al tempo non

si parlava di boxe ma di "nobile arte della

difesa”. Non esistevano regole di combat-

timento e i pugili lottavano a mani nude.

Nel 1743 venne scritto un codice di regole

che includeva l'identificazione di un ring,

la presenza di due assistenti per il pugile

e di due arbitri. Diventavano vietati i colpi

portati con la testa, i piedi, le ginocchia e

i colpi sotto la cintura. Non vi era però

limite alla durata dei combattimenti. Nel

1825 il primo incontro tra un campione

britannico, Sayer e un campione ameri-

cano, Heenan, finì dopo 42 riprese con

un'invasione di campo da parte della

folla, la fuga dell'arbitro e un verdetto di

parità che calmò parzialmente gli spetta-

tori. Venivano solo dopo introdotte tre

categorie di pesi (massimi, medi e leg-

geri), i nuovi guantoni regolamentari ed

un numero di riprese prestabilite, che

l'arbitro poteva prolungare. Oggi la boxe

è uno sport molto diffuso anche tra le

donne e ciò dimostra che è sbagliato

giudicare il pugilato come sport violento.

Sarebbe più corretto valutarlo per ciò che

è: uno strumento per potersi misurare

con se stessi e poi con gli altri. Essenziali

sono il rispetto e la lealtà nei confronti

dell’avversario. Uno sport, come tutti gli

sport da combattimento, utile a man-

tenere un’ottima condizione fisica e so-

prattutto per cogliere in pieno i veri valori

dello sport.

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_______________ rubrica sportiva _______________

Una donna per amico?

Ha rischiato veramente grosso

il malese Tambun Gediu. Il

sessantenne, residente nello stato Perak,

in Malesia appunto, stava andando a cac-

ciare scoiattoli quando si è imbattuto

in una tigre, a poche decine di metri

da casa. Gediu non si è preoccupato

più di tanto, consapevole del fatto che ignorando l’animale, l’animale avrebbe ignora-

to lui. Ma qualcosa non ha funzionato come al solito, e la tigre ha aggredito l’uomo.

Gediu ha tentato di difendersi, ma si è trovato completamente sovrastato dalla forza

dell’animale. Ma le grida hanno richiamato la moglie dell’uomo che, armata di mesto-

lo da cucina, ha colpito la tigre in testa con il mestolo mettendolo in fuga.

Il cliente non ha sempre ragione!

Robert Smith, 32enne del New Hampshire, aveva deciso di pa-

gare due prostitute. Ma dopo aver dato alle due 150 dollari, una

ha rifiutato di fare sesso con lui. A quel punto Smith ha cercato

in tutti i modi di fare valere le sue ragioni, fino a chiamare la

polizia per farsi dare “ciò che gli spettava”. Ma nel New Ham-

pshire la prostituzione è reato e la polizia ha arrestato sia Smith

che la ragazza.

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American Psycho Tratto dal romanzo omonimo di Bret Easton Ellis, American Psycho, è un film davvero particolare che dona allo spettatore

tanti spunti su cui riflettere. Il pregio più evidente della pellicola si

sostanzia nella denuncia del “benessere insano” caratterizzante colo-

ro che non vivono una vita pur satura di ricchezze. American Psycho, infatti, racconta la vita di un giovane manager, spudoratamente ricco

e vizioso, che vive la sua vita apparentemente senza problemi, senza compiti da svolgere, senza preoccupazioni, pensieri o ansie. Come lui tutti i suoi ami-ci protagonisti di un esistenza fatta di esteriorità, invidiata dalla gente comune, ma al tempo stesso piatta, monotona e frustrante. Sotto l’epidermide della normalità, della

felicità sfrenata si nasconde invece un uomo triste, insoddisfatto, incapace persino di capire cosa vuole veramente. Geniale l’idea del regista nel sottolineare la cura ma-

niacale del protagonista riguardo al proprio corpo e sugli assurdi e parossistici inte-ressi per i biglietti da visita (stampati in carta particolarmente pregiata), sulle insen-sate gare a chi riesce a prenotare il tavolo migliore in uno dei locali più “in” della cit-tà… cose puerili e futili a cui si dedica, però, con tanto impegno. E’ sotto la facciata

della normalità, che Patrick Bateman cela i suoi due unici sentimenti: gelosia e odio. I suoi nervi cedono, fanno strani scherzi, i confini tra realtà e immaginazione non sono più netti. E Bateman inizia a sfigurare e uccidere, prostitute prima, e gente co-

mune poi. In preda a raptus che lo porteranno al limite dell’arresto. Un film che, pur retto da una buona regia, fa del messaggio principale il suo vessillo, mettendo in guardia dalla perdita di sé e della propria coscienza. Và

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“Come si esce dalla Società dei Consumi” di Serge Latouche

Una crescita illimitata è impossibile. L’idea di progresso indefinito, anzi, infinito va

abbandonata e può essere abbandonata. È la teoria della deindustrializzazione

caratteristica di Latouche e di innumerevoli pensatori vicini alle sue idee, presenti

in tutto il globo. Serge Latouche, professore emerito di Scienze economiche

all’Università di Parigi, non intende opporre uno sviluppo buono ad uno cattivo.

Non si trincera negli ideologismi, tanto meno quelli economici: si tratta infatti di u-

scire dall’ideologia connessa alla logica dell’industrializzazione a tutti i costi, una

logica che non lascia spazio ad altre vie, che uccide i modi di produzione tradizio-

nale e, paradossalmente, la stessa economia, come dimostrano le crisi che si ripe-

tono ciclicamente, insite nel sistema capitalista. È un testo in cui è evidente il dia-

logo con i saggi di Ivan lllich, André Gorz e Cornelius Castoriadis, in cui la stessa

crisi attuale è vista come una “buona notizia”, evento che costringerà ad aprire gli

occhi sulla questione dell’insostenibilità del progresso occidentale. Lo sviluppo è

una invenzione dell’uomo, sostiene Latouche, e questa è la prima presa di co-

scienza necessaria. Già il termine stesso è del resto fuorviante e induce a dimenti-

care che la felicità non dipende da questo. Una “decrescita serena” ed una rinno-

vata armonia con la natura dunque è possibile, all’insegna

di quella che chiama “opulenza frugale” intesa come

meno consumi e più ricchezza interiore.

_______________ angolo librario _______________

Esemplare Tania Cagnotto Tania Cagnotto ha vinto la medaglia d'oro nei tuffi dal trampolino di un me-tro agli Europei di Torino. L'azzurra ha

trionfato con 312,05 punti precedendo la russa Nadezhda Bazhina (288,75) e la svedese Anna Lindberg (287,80).

La Cagnotto ha dominato la gara ese-guendo cinque salti con regolarità e condotta da campionessa puro sangue. Con l'ultimo tuffo, un perfetto salto

mortale e mezzo rovesciato carpiato, ha ottenuto anche un punteggio stori-co davanti allo striscione esposto tra le fila della tribuna dai suoi fans tanto

accaniti quanto fedeli: "come te nessu-no mai!”. ”"Sono molto contenta per-

ché nelle eliminatorie non ero andata bene – asserisce la campionessa - Pri-ma della finale ero parecchio agitata e nel presalto poco fluida, così nel corso della gara mi sono concentrata su me stessa, senza considerare le altre. Ho

iniziato bene: il ritornato mi ha tra-

smesso tranquillità. Poi ho scalato la montagna più impervia, il doppio e mezzo avanti. Da lì ho proseguito con serenità". Parole profonde, segno ma-nifesto di una grande umiltà e forza di volontà che hanno da sempre contrad-

distinto la campionessa nostrana. Nello

sport come nella vita c’è “fame” di vit-toria, quella vittoria che non nasce improvvisamente ma scatu-risce dalla inevitabile combinazione di più fattori: sacrificio,

spirito di squa-

dra, volontà di ferro e im-

mancabile umiltà. Qualità, per le più fortunate, innate, per altre oggetto di conquista. In ogni caso mete a cui a-spirare sia a bordo piscina che nella

vita di tutti i giorni. La Cagnotto è cer-tamente esempio tangibile di uno sport “sano ed incontaminato” dove

l’esercizio mentale “gioca” un ruolo fondamentale. Che il gioco di parole ci spinga a riflettere: siamo noi, col no-stro corpo, con l’essenza della nostra

anima a vincere o perdere, siamo noi che , nello sport, in famiglia, a scuola, a lavoro, decidiamo – facendo o meno riferimento ai veri valori – da che parte

stare. Siamo noi che di fronte al bivio « sacrificio – risultato» o « superficia-

lità – vuoto » decidiamo quale strada percorrere. Siamo noi che pigri o at-tenti optiamo per una vita rispettiva-mente vacua o combattiva. Il corpo che ci è stato donato non è altro che un arma al servizio del “comandante”

che è lo spirito, il quale, rimanendo

ormai sempre più inascoltato, abdica lasciandoci smarriti ed in balia del ven-to della fragilità. Teniamo stretto il timone dei nostri valori, delle nostre potenzialità e non lasciamo che l’ice-berg della modernità distrugga la no-

stra integrità..che sia fisica o morale,

che sia sportiva o di vita quotidiana. Và

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Spazio curato dal gruppo femminile dell’associazione

APPUNTAMENTI

Ogni sabato alle 15.30 presso il Parco della Biodiversità

Allenamento e tecniche base Della kick boxing

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