MilanoNera webpress

16
Numero 8 | giugno/luglio 2010 - anno III Rivista mensile dedicata alla letteratura gialla e noir. Edizione gratuita Il ritorno di Kane, cuore di tenebra COVER ALAN D. ALTIERI fotografato da Max De Martino E rimasero impuniti Nicolai Lilin Un tipo tranquillo a pagina 8 LA RECENSIONE a pagina 10 L'INTERVISTA a pagina 9 LA RECENSIONE Chiara Perseghin Francesca Colletti

description

MilanoNera web press: il numero di luglio

Transcript of MilanoNera webpress

Page 1: MilanoNera webpress

Numero 8 | giugno/luglio 2010 - anno IIIRivista mensile dedicata alla letteratura gialla e noir. Edizione gratuita

Il ritornodi Kane, cuoredi tenebra

COVER

alan D. altIERI fotografato da Max De Martino

E rimaseroimpuniti

nicolaililin

Un tipotranquillo

a pagina 8la RECEnsIOnE

a pagina 10 l'IntERVIsta

a pagina 9la RECEnsIOnE

Chiara PerseghinFrancesca Colletti

Page 2: MilanoNera webpress

La stagione del sole è finalmente arrivata. Quella delle letture da spiaggia, dove non c'è nulla da pensare, basta evadere. La ten-tazione alla facile associazione, pertanto, è forte. Quale? Ovvio:

quella che trova nel giallo il compagno perfetto da ombrellone.

Storia vecchia: in autunno si assiste alla sfilata dei grossi calibri, i nomi altisonanti della letteratura seria –

quelli da mettere in bella mostra libreria - mentre da giugno e settembre, fra sab-bia e olio solare, si leggono i gialli. Ci ca-dono persino coloro che durante l'anno li detestano e li schivano; magicamente col caldo e l'afa quelle letture vanno benissi-mo. E mentre lo scrivo non so se sorrider-ne o disperarmi... Tanto impegno e fatica per essere ridotti al rango di letteratura estiva non è certo esaltante ma noi lo vo-

gliamo vedere come un punto di partenza per sedurre nuovi lettori. Certo, è anche vero che, visto il livello di parecchi ro-manzi di genere pubblicati ultimamente, la tentazione a scoraggiarsi verrebbe... Non qui comunque, non a noi. Non su questa rivista dove sosteniamo il vessillo della letteratura di qualità: romanzi per tutti i giorni e non solo per una stagione selvaggia. Romanzi di genere, certo, ma non per questo con meno dignità tanto da essere considerati figli di un Dio mino-re.

Fate una prova, sceglietene uno a caso fra quelli segnalati in questo numero e metteteli alla prova: vedrete che i

mesi estivi passeranno veloci e voi arrive-rete a settembre pronti per le nostre nuo-ve iniziative. Al Festivaletteratura di Man-tova, innanzi tutto, dove verrà presentato il nuovo numero di MilanoNera Mag e

dove promuoveremo alcune iniziative importanti insieme ad amici, scrittori e, naturalmente, a voi lettori. Luogo, ora e sorprese le sveleremo a tempo debito sul portale: non rimarrete delusi!

Vi aspettiamo poi il 19 settembre, sem-pre nella Bassa, a Suzzara, per l'asse-gnazione del primo Premio Nebbia-

Gialla di letteratura poliziesca. Anche voi potete mettervi in gioco sin da ora e cercare di prevedere chi fra Gianfranco Nerozzi, Eugenio Tornaghi e Enrico Pandiani coi loro tre bei romanzi si ag-giudicherà il titolo. Una sfida che vi varrà anche tre buone letture da spiaggia. Non etichettatele, però, come letteratura da ombrellone; chiamatele, se volete, emo-zioni su carta.

M I L A N O • 2 • N E R A |

non chiamatela letteratura da ombrellone

MILANONERAPeriodico mensile, n. 8 anno III

Redazione: Via Galvani 24, 20124 Milano - Tel. +39 0200616886

www.milanonera.com

EDITOREMilanoNera Eventi S.R .L.

www.mne20.com

DIRETTORE RESPONSABILE:Paolo Roversi

[email protected]

CAPOREDATTORE:Francesca Colletti

[email protected]

REDATTORI:Adele Marini

[email protected] Spaterna

[email protected]

Hanno collaborato a questo numero:

Fabrizio Fulio Bragoni, Patrizia Debicke, Andrea Ferrari, Giampietro

Marfisi, Cristina Marra, Stefania Perosin, Chiara Perseghin,Giovanni

Zucca

IMPAGINAZIONE E PROGETTO GRAFICO

[email protected]

PUBBLICITà[email protected]

SERVICE E PUBBLICITàTESPI s.r.l., C.so V. Emanuele II 154

00186 RomaTel. 06/5551390 - mail: [email protected]

STAMPASIEM, Via delle Industrie, 5

Fisciano (Sa)

Registrazione presso il Tribunale di Milano n° 253 del 17/4/08

EDItORIalE

Paolo Roversi

MilanoNera E20 appUntamEntI ~ In Redazione ~

| Numero 8 - anno III

GIO 16 SETTEMBRE ORE 18,00Paolo Roversi

SAB 25 SETTEMBRE ORE 10,00Patrizia Debicke

SAB 2 OTTOBRE ORE 10,00Adele Marini

Svelata la rosa dei tre finalisti che si contenderanno la prima edizione del Premio NebbiaGialla per la

letteratura noir e poliziesca, relativo a opere di scrittori italiani.

Gianfranco Nerozzi Il cerchio muto (Nord)58 Voti

Eugenio Tornaghi Il debito dell’ingegnere (Todaro)47 Voti

Enrico Pandiani Les Italiens (Instar)45 Voti

La Giuria di qualità, composta dal pre-sidente Paolo Roversi e dai giallisti ospiti dell’ultima edizione del Nebbia-Gialla Suzzara Noir Festival, Simone Sarasso, Valerio Varesi, Giulio Leoni,

Davide Barilli, Patrizia Debicke e Ade-le Marini, ha decretato i tre romanzi fi-nalisti.Toccherà ora alla Giuria popolare, composta di 50 lettori, designati a sor-teggio fra coloro che ne avranno fatto richiesta all’Istituzione Città di Suzzara, scegliere il vincitore.I voti della Giuria saranno scrutinati pubblicamente nel mese di settembre, durante la Festa del Crocefisso: sarà di-chiarato vincitore il libro che ha ottenu-to più voti dalla Giuria Popolare.All’autore vincitore andrà un premio in denaro di 2mila euro. Al secondo e ter-zo classificato andrà un premio di 500 euro.Il Premio NebbiaGialla per la letteratu-ra noir e poliziesca, nasce dall’omonimo Festival, ideato e diretto dallo scrittore Paolo Roversi, dedicato alla letteratu-ra gialla e noir che si tiene nella cittadi-na della bassa. Nato da una scommessa, il NebbiaGialla Suzzara Noir Festival, da quattro anni è diventato un appun-tamento fisso per gli amanti del gial-lo: tre giorni all’insegna della cultura in una dimensione familiare, come quella di una piccola cittadina, in cui gli scrit-tori, tra presentazioni, tavole rotonde, workshop di scrittura creativa, aperiti-vi e il tradizionale pranzo con l’autore, raccontano i loro romanzi e si confron-tano col pubblico.

Premio Nebbiagialla 2010Nerozzi, Tornaghi e Pandiani: i finalisti della prima edizione del premio Nebbiagialla. Scopri il vincitore il 19 settembre.

®

I maEstRIDEl gIallORElOaDED

Torna la nuova edizione de I Maestri del Giallo, il labora-torio intensivo di scrittura de-

dicato agli amanti della letteratu-ra gialla e noir. Paolo Roversi, Adele Marini, Patrizia Debicke, ci guideranno nei meandri della tecniche di scrittura. Tre incontri di tre ore ciascuno per scoprire come imparare a scrivere, editare e leggere un romanzo, a partire dalla coerenza, verosimiglianza e consequenzialità, le caratteristi-che fondamentali di un buon gial-lo. Il laboratorio è rivolto a tutti i lettori e aspiranti scrittori di lette-ratura gialla e noir. Iscrizioni en-tro il 5/09/2010 a: [email protected]. Il costo del la-boratorio è di 125 Euro.

Page 3: MilanoNera webpress
Page 4: MilanoNera webpress

Fabrizio Fulio Bragoni COVER

M I L A N O • 4 • N E R A | | Numero 8 - anno III

R.B. Kane, il ritorno di cuore di tenebraTorna Sergio “Alan D.” Altieri e torna il tenente colonnello Russell Brendan Kane. E proprio alla figura mitica del master-sniper, del tiratore scelto dello Special Air Service dedicata questo nuovo volume, Killzone (Tea), che raccoglie sei racconti e un inedito, Dry Thunder.

Sergio “Alan D.” Altieri; nel tuo racconto Joshua Tree, si legge che “l'anticristo sia-mo noi”, e il resto di Killzo-ne, sembra chiarire il con-cetto: l'“armageddon” non

più come catastrofe nucleare lega-ta al contrasto tra superpotenze, ma effetto dell'operato di grandi società o corporazioni, e dei loro eserciti di “contractors”... visione distopica del futuro, o ritratto smaliziato del mon-do contemporaneo? È una semplice eventualità, o le cose stanno già così?

A mio parere, le cose stanno già così; voglio dire, i mercenari sono sempre esi-stiti, penso alle varie guerre africane dagli anni '50 in avanti, ma non solo... abbiamo visto guerre come il Vietnam, o l'occupazio-ne russa in Afghanistan ecc., ma ormai vi-viamo un momento in cui persino un paese come l'Italia ha rinunciato ad avere un eser-cito “nazionale”, abolendo la leva.

Penso che la prima guerra in Iraq, quel-la del 1990, sia stata l'ultima combattuta da eserciti nazionali in senso “tradizionale”. Dal 2001, le cose sono cambiate...

C'era una bella frase nel libro Jarhe-ad, quello da cui è stato tratto il film di Sam Mendes, una frase che chiariva molto bene la situazione: si diceva noi non siamo l'eser-cito americano, noi siamo la brigata petro-lio, carbone, diamante ecc. E, da allora, sono passati vent'anni.

Tra fine degli eserciti nazionali e tra-collo delle ideologie, rinasce uno spazio per i cavalieri solitari se non “senza macchia”, almeno “senza pau-ra”; personaggi che, pur avendo fat-to della guerra un mestiere, hanno ritrovato una forte etica personale. Sbaglio?

Purtroppo si tratta quasi esclusivamen-te di figure inventate per la letteratura o per il cinema; la realtà delle cose è ben diver-sa. È che c'è sempre bisogno di protagonisti

eroici, un po' come per i videogame: nessu-no ne vuole uno con un protagonista serial killer...

Qual è, in tutto questo, lo spazio per un personaggio come il tuo Kane?

Il mio è un personaggio che ha vissuto una transizione: nei primi romanzi del ciclo faceva parte di un esercito, ma poi, nel tem-po, i suoi rapporti con l'autorità si sono per così dire sfilacciati. Nel terzo romanzo, Vic-toria Cross, Kane ha anche tentato un riscat-to, ma poi è tornato a fare quello che sapeva fare: il mercenario.

Questa antologia, Killzone, consoli-da la transizione; si ricollega ai romanzi, ri-prendendo, con Dry Thunder, il finale di Victoria Cross, e raccontandolo da un altro punto di vista.

Nella prefazione a Dry thunder, si leg-ge che i romanzi della serie di Kane sono “per ora” tre. C'è un quarto epi-sodio in arrivo?

C'è un quarto episodio in preparazio-ne, Orizzonti d'acciaio, ma la serie com-pleta, per come l'avevo concepita, sarà com-posta di cinque episodi.

Quindi avevi già in mente una para-bola completa, quando hai iniziato a raccontare le avventure di Kane?

Sì, è così. Quando ho iniziato a scrivere Campo di fuoco, avevo già in mente di far-ne una serie.

La domanda è forse banale: la riedi-zione di tutti i tuoi racconti, raccolti in volume da TEA, è la celebrazione di un'opera il cui valore è ormai uni-versalmente riconosciuto; parlando di “nuove leve”, invece, quali sono, gli autori da tenere d'occhio?

Be', questa è una domanda che mi vie-ne rivolta molto spesso, e alla quale rispon-do volentieri: al momento, per quanto ri-guarda il panorama del “genere”, in Italia ci sono in attività tre generazioni di scrittori: cinquantenni, quarantenni e trentenni.

Per quanto riguarda le “nuove leve”, e quindi i trentenni, seguo con grande piacere Barbara Baraldi, che è in grado di spaziare tra generi diversi, dal noir al gotico ecc., Ste-fano Pigozzi, vincitore del premio tedeschi 2006 con Metal Detector, Mauro Baldrati, autore di La città nera, Pier Nicola Silvis, recentemente passato da Fazi a Cairo edito-re, con il quale ha pubblicato il conspiracy thriller Gli anni nascosti, Simone Sarasso e Patrick Fogli. Gli scrittori che ho citato, in fondo, non hanno tutti la stessa età, ma sono emersi tutti negli ultimi anni... e poi c'è Giu-seppe Genna, che secondo me, è uno dei più importanti autori italiani contemporanei.

Ultima domanda; negli ultimi tempi, molti giovani autori hanno manife-stato una certa tendenza a minimiz-zare l'importanza della suggestione cinematografica nella loro formazio-ne di narratori, confessando, piutto-sto, influenze televisive; da veterano della letteratura di genere e sceneg-giatore, qual è il tuo punto di vista?

Be', io preferirei che questo genere d’influenze non esistesse. Voglio dire, or-mai sappiamo che quello che vediamo in te-levisione è tutto finto... un esempio? I veri esperti americani, considerano C.S.I. come appartenente al genere “comedy”.

Ma l'influenza televisiva può essere uti-le per imparare a strutturare le storie; ecco, forse quello che vorrei dire a questi ragazzi è che solo se c'è un'osservazione, un'analisi, un concetto di base, l'influenza della televi-sione può diventare positiva.

Il mio è un personaggio che ha vissuto una transizione: nei primi romanzi faceva parte di un esercito, ma poi, i suoi rapporti con l'autorità si sono sfilacciati.

lO sCRIttORE/EDItOR Alan D. Altieri fotografato da Max De Martino

KILLZONEAlan D. AltieriTea, p.264, € 12,00

Page 5: MilanoNera webpress

Il mio è un personaggio che ha vissuto una transizione: nei primi romanzi del ciclo faceva parte di un esercito, ma poi, nel tempo,

Page 6: MilanoNera webpress

M I L A N O • 6 • N E R A | | Numero 8 - anno III

RaCCOntI storiacced'autore

Gelosia. Il movente che preferi-sco. Meglio dell'invidia, della brama di potere o del denaro. Mi piace perché è imprevedi-bile. Cova sotto la cenere per settimane, mesi magari, e non

sai mai quando ti brucerà. Stamattina a scottarsi sono stati in due, una coppia clandestina. I nomi non hanno importan-za; tanto non riesco a pronunciarli.Siamo appena usciti di pattuglia quando ci chiamano d'urgenza; arriviamo lì un attimo con la volante , via Lattuada ango-lo via Tiraboschi nel cuore pulsante della Chinatown milanese.Io e il collega procediamo cauti. Qui sono abituati a risolvere le controversie a modo loro. Questa volta, però, è diverso. Hanno chiamato noi. Così atterriamo lì: gli extra-terrestri in divisa blu. Gli sbirri. Comple-tamente fuori dagli schemi. Nostri e loro. Per questo dico che la gelosia è il moven-te che preferisco. Il più semplice e, forse, uno dei più bestiali. Istinto puro che ha lacerato anche questa comunità general-mente molto chiusa.Ci accoglie una piccola folla. Pare di esse-re a Shangai; io e il collega siamo gli unici italiani. Prima di entrare nel ristorante, il Soy, dove è accaduto il fatto, attendiamo che arrivi l'altra volante e i soccorsi. Dopo una decina di minuti entriamo insieme a quelli dell'ambulanza. C'è sangue ovun-que. Il medico è letteralmente sollevato di peso e portato al cospetto di due feriti: un uomo ed una donna. Lei devastata, lui messo male ma non in condizioni dispe-

rate. In pochi parlano italiano, ma riu-sciamo comunque a ricostruire i fatti. Il macellaio è il fidanzato della ragazza; ventitré anni appena. Lo troviamo stordi-to e legato come un salame: per bloccarlo hanno dovuto usare le maniere forti, ci spiega un vecchietto sdentato con la bar-betta bianca. In quattro: un barista, un panettiere, un dipendente di una conces-sionaria d'auto e un ecuadoregno che passava per strada a bordo del suo furgo-ne. Vedendo il fuggitivo è sceso con la mazza da baseball che teneva in cabina e l'ha randellato per bene. Cose da pazzi. Il collega vuole blindare anche lui ma gli di-co di lasciar perdere. Anche l'aggressore non scoppia di salute: ha la faccia tumefatta e due denti persi per strada.Non parla italiano. Ha l'aria, però, di uno che si è sfogato a dovere. Stando ai rac-conti è entrato nella cucina del locale e li ha sorpresi insieme: la sua dolce metà e un suo collega che lui sospettava da tem-po essere l’amante. Abbracciati davanti a tutti.“Nessun lispetto. Molto disonoLe”Non c'ha più visto: ha imbracciato un ma-chete e ha cominciato a giocare al giusti-ziare. Un machete capito? Azione preme-ditata per quanto mi riguarda. Chi è che va in giro con una mannaia? Voleva farci il sushi con la sua ragazza. Sì, lo so che non è roba cinese ma rende l'idea. Li ha rin-corsi per tutto il locale menando fendenti da paura finché non l'hanno disarmato.Ora la ragazza è al Policlinico in condizio-ni disperate. L'amante se la caverà nono-stante le ferite alla testa. Per noi il caso è chiuso e finalmente possiamo andarcene al bar per un caffè.

Non c’era luce…Parcheggiò la macchina sulla destra, a un isolato di distan-za scese e chiuse. Statura me-dia, jeans, giubbotto, capelli scuri. Un anonimo nessuno.

Via due Ponti era deserta. L’orologio gli disse: le tre e mezzo.

Camminò diritto verso il seminter-rato senza affrettarsi e alzò gli occhi. Il sovrapporta di vetro era scuro. Dentro non c’era luce. Infilò i guanti, prese la chiave e apri. Chiamò una, due volte… si fermò ad ascoltare …

Silenzio. Il ‘saggio’ aveva ragione. Quello che aveva versato al Quick nel bicchiere del trans, era efficace.

Accese la torcia e guardò il disordi-ne che lo circondava. Il cucinotto era in-vaso dalle stoviglie. Sopra il tavolo una bottiglia di wisky quasi piena e il portati-le acceso. Lo spense, lo prese e continuò il suo giro.

Il bagno era minuscolo. Doccia, wa-ter, bidet e… lavandino: chiuse il tappo, ci mise dentro il computer, aprì il rubi-netto e fece scorrere l’acqua fino a riem-pirlo.

Lasciò bene in vista le gocce di Mi-nias.

Tornando indietro, raccolse al volo la bottiglia poi, illuminando i gradini, si arrampicò sulla scaletta del soppalco. Brenda dormiva come un sasso rivolta verso di lui. La scosse, le puntò il raggio in faccia. Mugolò irosa, girandosi dall’al-tra parte.

Il Minias aveva funzionato a dove-re, il saggio aveva fatto un buon lavoro. Ora cominciava il suo.

La borsa era appoggiata accanto al materasso. L’afferrò e la capovolse. Ros-setto, kleenex, pinzette, caramelle, pre-servativi si sparpagliarono disordinata-mene. Li ignorò e invece ripulì il porta-fogli da fogli, foglietti e quanto c’era, la-sciando documenti e denaro. Poi afferrò i cellulari e se li mise in tasca.

Due grosse valigie erano allineate di fianco al materasso. Brenda doveva usarle come cassettone. Rovesciò a ter-ra il contenuto della prima. Calze, ma-gliette e biancheria costosa, da puttana. Svuotò la bottiglia sopra gli indumenti

Poi aprì lo zippo e l’accese. Lo lasciò cadere sopra un body leggero con le tri-ne. La fiammella si mosse tra la seta, al-lungandosi timidamente, poi si slanciò vorace, cominciando ad assaporare il tessuto. Prendeva forza.

Era ora di andarsene.Scese rapidamente e raggiunse la

porta. Uscì, richiuse dietro di sé e si avviò

tranquillamente verso la macchina.Mise in moto e fece la manovra in

due tempi per tornare da dove era venu-to.

Quando passò davanti alla casa di Brenda rallentò, girando la testa.

Si vedeva luce sopra la porta…Accelerò e mise la terza.

IL CINESE COL MACHETEdi Paolo Roversi

OMICIDIO IN VIA DUE PONTI

di Patrizia Debicke

patriziaDEBICKE

paoloROVERsI

Page 7: MilanoNera webpress
Page 8: MilanoNera webpress

RECEnsIOnI

18 giugno 1982. Il banchiere Roberto Calvi

viene trovato im-piccato sotto il ponte dei Frati Ne-ri, sul Tamigi. Ma perché Roberto Calvi avrebbe do-vuto andare in Francia per suici-

darsi? Nulla è come sembra. Sì, perché

quello che all’inizio venne bollato come un suicidio, si scoprirà in seguito che suicidio non era. Ma se Calvi non s’im-piccò volontariamente sotto il ponte dei Frati Neri con una corda arancione, chi fu a ucciderlo?

Se sperate di trovare la risposta a questa domanda leggendo il libro di An-tonella Beccaria, beh allora non state cercando un libro, un saggio, ma un ora-colo. E quindi? Cosa ci dobbiamo aspet-tare da E rimasero impuniti? Semplice. Un libro, anzi un saggio, che ha il pre-gio di farsi leggere come fosse un noir - oggi tanto di moda - ma che vi racconta un pezzo della nostra storia contempo-ranea. E così, partendo dall’omicidio di Calvi - rimasto impunito, come recita il titolo del libro - l’autrice ci guida at-traverso una ridda di persone che tutti noi conosciamo: Michele Sindona, Paul Marchinkus, Licio Gelli, Umberto Orto-lani (il braccio destro di Gelli), Callisto Tanzi, Bettino Craxi, Solidarnosc e tan-ti altri, tutti entrati direttamente o indi-rettamente in contatto con Calvi, con il Banco Ambrosiano o con lo IOR, la ban-ca del Vaticano.

A volte, lo confesso, leggendo E ri-masero impuniti si ha la sensazione che, sostituendo qualche nome con alcuni protagonisti della scena italiana attua-le, Antonella Beccaria ci stia raccontan-do la storia di oggi e non quella di quasi trent’anni fa.

Chiara Perseghin

Benvenuto, co-mandante Ed-gar Mendieta,

detto Zurdo (il Man-cino), della polizia messicana. Dici Messico e pensi su-bito ai narcos, ai car-telli della droga che fanno il bello e il cat-tivo tempo dalle par-

ti di Culiacán (e non solo). Come quello del “famigerato Valdés” un omino anziano e malato, che ha poteri di vita e di morte. Si parte con il cadavere di Bruno Canizales, avvocato, una pallottola d’argento in testa.

No, niente licantropi. Nella vita di Mendie-ta ce ne sono già troppi, di mostri (come quel prete, che da bambino…) Invischiato in un’indagine che il potere vuol vedere ar-chiviata (il padre del morto sta per candi-darsi a un’alta carica politica, con il soste-gno di Valdés) lo Zurdo dovrà destreggiarsi tra amanti deluse, poliziotti pronti a chiu-dere gli occhi, un medico legale assatana-to, la figlia bisex di Valdés e gli AK-47 dei suoi gorilla. E una donna dal profumo am-maliante, che sa esercitare una seduzione mortale. Un cellulare ossessivo con la tromba della cavalleria, altri cadaveri che si aggiungono al primo… Poi, Mendieta si imbatterà in una verità sgradevole, anche per lui, e lascerà che una giustizia sui gene-ris celebri un macabro trionfo. Colori, odo-ri, cibo e alcol e un paese dove ogni regola è stravolta, per un buon noir nevrotico e nervoso (grazie anche a Pino Cacucci), in cui la scelta di non marcare graficamente il discorso diretto, lo spostamento del punto di vista e il frequente ricorso all’introspe-zione rischiano talora di confondere il let-tore distratto.

Giovanni Zucca

Con Cinebrivi-do dello scrit-tore argentino

José Pablo Fein-mann la suspense ed i brividi del ci-nema hollywoo-diano dell’età d’oro diventano roman-zo. Il plot, al limite tra fiction cinema-

tografica e realtà, ruota intorno al pro-tagonista: il cineamatore Fernando Castelli. Commesso nella videoteca “Il bacio della morte” e impiegato alla ca-sa di produzione cinematografica To-dofilm, Castelli diventa sceneggiatore di una true story per accontentare la richiesta della famosa produttrice americana Greta Toland e raggiungere la notorietà. La storia thriller che Fer-nando racconta accade in tempo reale e dietro l’identità del serial killer Van Gogh, Fernando uccide a colpi di raso-io per poi sceneggiare le sue imprese omicide seguendo i consigli del suo al-ter ego Jack lo Squartatore. Degli omi-cidi seriali che sconvolgono Buenos Aires si occupa il fanatico commissa-rio Pietri e, suo malgrado, l’esperto ispettore Colombres. La finzione cine-matografica interferisce con le vite dei personaggi e s’insinua nelle loro scelte e offre lo spunto all’autore per rendere reali scene e interpretazioni memora-bili. Feinmann con ironia scrive un ro-manzo-sceneggiatura che celebra il grande film d’autore e lo sfrutta per svelare i tratti di una società sopraffat-ta e spesso vittima di modelli di riferi-mento sbagliati o distorti.

Cristina Marra

I l ritorno atteso di Mikkel Birke-gard, dopo il

successo italiano del suo I libri di Lu-ca ci trasporta in un ambiente e una dimensione diver-sa, dove si privile-gia l’angoscia.

La vita di Frank Fons, celebre scrittore danese, è diven-tata piatta, solitaria, ripetitiva. I suoi thriller, contorti e al limite della follia ma che gli hanno regalato il successo internazionale, hanno provocato la di-sgregazione della sua famiglia. Da oltre dieci anni vive da solo, squallidamente, in una casa di vacanza, restando per ore a tavolino a scrivere a computer quan-do non si dedica a vuotare una botti-glia. Ma una mattina lo squillo del tele-fono gli porta una terribile notizia: una ragazza è stata ritrovata torturata e an-negata in una cittadina della costa vi-cina alla sua abitazione. E, incredibile e spaventoso, le circostanze della mor-te sembrano le stesse di uno dei delitti descritti nel suo nuovo romanzo, Zona pericolo, che sta per presentare alla fie-ra del libro di Copenhagen. Ma quella morte è solo l’inizio di un incubo: giun-to nella capitale, un altro crimine viene compiuto e, questo, secondo il copio-ne di un altro suo libro. Un piatto fred-do. L’assassino insiste nelle sue maca-bre rappresentazioni. Com’è possibile? Gli indizi lasciati, che suggeriscono al-tri delitti a venire, costringono lo scrit-tore a entrare in scena, ma non impe-diranno il terzo orribile, sanguinoso omicidio, sulla fotocopia di un altro suo thriller, Una donna da poco. An-nichilendosi nell’alcol, Fons cerca un movente, un perché e infine scopre che lo sconosciuto, evidentemente suo let-tore accanito, vuole emendare i suoi ro-manzi da alcune imperfezioni… Come fermarlo?

Patrizia Debicke

I l paesaggio è spettrale. La ter-ra, pianeta so-

vrappopolato da megalopoli che pia-no piano hanno strappato il verde in maniera dissenna-ta, mettendola in pericolo, non c’è più. Non c’è sole.

Tutto ha un unico colore: il grigio della cenere che ricopre ormai ogni cosa. An-che la neve, che cadeva bianca e soffice,

ha assunto la stessa tinta e si è unifor-mata al resto del paesaggio, la cui mo-notonia è rotta dagli alberi bruciati, che come oscuri totem si ergono ostinati, come aspettassero che qualcuno arrivi a riportarli in vita. Ma ogni tanto il silen-zio è rotto dallo schianto di uno di loro che non ce l’ha fatta ad aspettare.

I protagonisti del romanzo di Cor-mac McCarthy si muovono in un’Ame-rica ormai fantasma. Sono un padre e un figlio. Non pronunciano i loro nomi, for-se li hanno dimenticati, impegnati come sono a cercare di rimanere vivi per per-dere tempo in convenevoli. Non sono gli unici a vagare come lupi affamati alla ri-cerca di una carogna che possa saziare la loro fame. Ogni tanto, lungo la strada incontrano degli altri esseri umani, che come loro probabilmente attraversano l’America per raggiungere il mare, con la speranza che almeno l’acqua possa ser-bare ancora un po’ di vita.

Cormac McCarthy tratteggia con sa-piente maestria il rapporto tra padre e figlio. Un padre disperato, la cui sola preoccupazione è la salvezza del figlio. Una pistola per proteggere entrambi e un carrello con tutti i loro averi: un cu-mulo di coperte lerce e del cibo, quando riescono a trovarlo.

Il registro del racconto può suonare monotono, ripetitivo, ma è solo un arti-ficio narrativo usato da McCarthy per suscitare nel lettore la stessa angoscia provata dai protagonisti. Anche il bam-bino, non del tutto convinto che il padre si comporti sempre nel modo giusto, ri-pete ossessivamente, come una fila-strocca che probabilmente il padre gli ha insegnato per tranquillizzarlo dalle sue paure: “Perché noi siamo i buoni. E portiamo il fuoco.”

Chiara Perseghin

MM e t t i a m o subito in chiaro che il

libro, a dispetto del titolo, non tratta di una malattia, o me-glio, non di una for-ma tradizionale di malattia. Insomma, non fatevi inganna-re dal titolo. Ma al-

lora, se non si tratta di una malattia (ma potrebbe anche esserlo) di cosa parla questo romanzo? Un semplicissimo bi-nomio: Virus = TV. Insomma una sorta di denuncia del sistema televisivo celata sotto la maschera di un romanzo noir.

Il protagonista, Max Ribaldi, che Alessandro Canassa Vigliani descrive minuziosamente in apertura, quasi a vo-ler fugare ogni dubbio, potrebbe essere uno dei grandi magnati proprietari tele-visivi. Silvio Berlusconi? Sì, questo è il primo nome che subito si potrebbe as-sociare a Max Ribaldi, ma anche un Ru-pert Murdoch potrebbe calzare perfetta-mente i panni del protagonista di Virus.

E RIMASERO IMPUNITIAntonella BeccariaSocialmente, p.124, € 12,00

VIRUS Alessandro Canassa ViglianiSocialmente, p.124, € 12,00

PROIETTILI D’ARGENTOÉlmer MendozaLa Nuova Frontiera,p.272 ,€16,00Traduttore P. Cacucci

CINEBRIVIDOJosé Pablo FeinmannMarcos y Marcos, p.391, € 11,50Traduttore G. Maneri

LA STRADA Cormac McCarthyEinaudi, p. 218, € 18,00Traduttore M. Testa

I DELITTI DI UNO SCRITTORE...

Mikkel Birkegard Longanesi, p.361, € 18,60Traduttore B.Berni

| Numero 8 - anno IIIM I L A N O • 8 • N E R A |

Page 9: MilanoNera webpress

RECEnsIOnI

Nel romanzo Canassa Vigliani ci guida, come un perfetto Cicerone, all’interno del sistema televisivo, quello pubblico, un po’ - anzi molto ˗ in stile Mediaset, incentrato com’è su Veline e Reality Show, mostrandocelo attraverso gli oc-chi di uno dei suoi pezzi da novanta, Max Ribaldi appunto, che a sua volta lo vede scorrere sullo schermo di un tele-visore. Ma perché il protagonista, invece di muoversi direttamente all’interno del mondo televisivo vede la TV da lui stes-so creata attraverso il display di un ap-parecchio televisivo?

Se sono riuscita ad attirare la vostra curiosità, leggete Virus di Alessandro Canassa Vigliani e troverete la risposta.

Chiara Perseghin

Non solo Oscar Wilde, bensì anche il cele-

bre Arthur Conan Doyle o la Divina Sarah Bernhardt e ancora, seppure per una breve ap-parizione, Emily Brontë, Louisa May Alcott, Henry Ja-

mes, Jules Verne, Emile Zola – insieme a molti altri illustri artisti e letterati di fine Ottocento – sono i personaggi che popo-lano le pagine di questo piacevole ro-manzo, dal titolo Oscar Wilde e il sipa-rio strappato.

Si tratta del terzo volume riconduci-bile all’'Oscar Wilde Mystery Series', con la quale lo scrittore britannico Gyles Brandreth ha riportato il poeta irlande-se a nuova vita. Grazie alla penna di Brandreth, infatti, Wilde diventa un astuto detective impegnato a risolvere misteriosi casi di omicidio, senza di-smettere mai le elegantissime vesti di fi-ne esteta e dandy letterato, che indossa nel nostro immaginario più banale.

E sarà forse per non deludere quest’immaginario che il personaggio è costretto a pronunciare i suoi famosi aforismi così spesso, finendo per risulta-re senz’altro più convincente quando, sullo sfondo di una spumeggiante Parigi di fine secolo, si trasforma in ironico Sherlock Holmes alle prese con indizi nascosti fra tartine al caviale e fiumi di Perrier Jouët, spettacoli teatrali e feste dissolute, partite a carte e sbornie d’as-senzio.

Riuscirà il nostro eroe a smaschera-re il responsabile delle inspiegabili mor-ti che sconvolgono la compagnia teatra-le di Edmond La Grange? Attraverso una stuzzicante mise en abyme si snoda que-sto mistery, vagamente manierato, ma vezzoso, davvero perfetto per dilettarsi sotto il caldo sole di luglio.”

Stefania Perosin

1942. Un ebreo tedesco fuggito dalla Germa-

nia con il compito di stoppare il più ardito piano anti-semita del Führer: sterminare gli Ebrei in Palestina, ai quei tempi Protettorato Britannico. Un

commando di sei uomini sta preparan-do la Shoah in Medio Oriente, e solo Sa-lomon Klein Ebreo Tedesco può evitare la strage.

Un romanzo storico militare che educa oltre i suoi meriti letterari: spiega una situazione passata che ha tuttora in-fluenza sul nostro presente e soprattutto su quello del Medio Oriente. Il terrore degli Ebrei ieri, e di Israele oggi, di esse-re cancellati per sempre dalla Terra, e la conseguente azione di eccessiva difesa che oggi leggiamo sulle pagine dei gior-nali e dei quotidiani.

La condizione ambivalente e deva-stante dell’essere Ebrei e Tedeschi allo stesso tempo, riscoprendosi sionisti “per esclusione”: non nazisti, non più tede-schi, un po’ Ebrei, molto nazionalisti in una Nazione che non è esistita fino al 14 maggio 1948.

Una spy story fatta di spionaggio e controspionaggio, dove si mischiano personaggi reali e immaginari, una ten-sione e una maledetta serietà propedeu-tica a tutti coloro che si avvicinano alle tematiche sioniste e che cercano di in-terpretare e capire i fatti che accadono in quella zona del mondo che da anni è il centro nevralgico di tutta la politica estera dei Paesi del Mediterraneo, dell’Europa ed anche dell’America.

Giampietro Marfisi

è raro che la vita dispensi con ge-nerosità solo

lunghi anni sereni. Se guardo dietro di me vedo gioie, ma anche tanti, forse troppi dispiaceri, dolori e rinunce mi-schiati a un costante, cocciuto tentativo di

riemergere e andare avanti. Forse anche questo mi porta a essere un turbine scate-nato come talvolta mi descrivono gli ami-ci. Ho affrontato La bambina di vetro con le molle. Non volevo leggerlo, non volevo lasciarmi trascinare nella sofferenza. Fa troppo male, lo so. Poi ho ceduto. Ne vale-va la pena. E’ un libro bello, dolce, che affa-scina e commuove. Convincente, scritto benissimo ti avvolge nelle sue spire, co-stringendoti a continuare masochistica-

mente a bruciare le pagine, capitolo per capitolo. Non auguro a nessuno di trovarsi a vivere la vita degli O’ Keefe, con la loro piccola tenera e coraggiosissima Willox la bambina affetta da OI, o osteogenesi im-perfetta, ossia la malattia delle ossa di ve-tro. Destinata a non crescere normalmente a subire centinaia di fratture dolorosissi-me. E questo porta a farsi la terribile do-manda, perché accade? E perché a qualcu-no piuttosto che a qualcun altro? Non au-guro a nessuno di dover fare la scelta che Charlotte s’impone, nell’illusione di rega-lare alla figlia un futuro migliore, trascu-rando la sua vita, il marito e l’altra figlia Amelia, a mio vedere le due figure più umane della storia. Così vero e plausibile il rifiuto del padre di mettere in piazza i suoi sentimenti, altrettanto struggente la rea-zione di Amelia, con il suo rifugiarsi nell’autolesionismo. Non mi entusiasma-no certe esasperazione di pathos che l’au-trice si concede con la figura dell’avvocato Marin e della famiglia di Piper, la gineco-loga di Charlotte, tradita dall’affetto e dall’amicizia, ma anche quelle portano ac-qua alla storia… Che poi resta la storia di Willox, unica, vera vittima sacrificale del destino.

Patrizia Debicke

Mario Rossi, una vita da mediano. Ra-

gioniere modello da quarantatrè anni presso una ditta d’imballaggi a Scan-dicci. Marito fedele (di Gisella), padre (di Simona e Fran-cesco) e nonno

esemplare. Una vita senza grandi proble-mi, né sussulti né scossoni: tutti i giorni a lavoro sempre con lo stesso autobus, la ce-na consumata in cucina imprecando da-vanti notizie del Tg2 e poi il pranzo dome-nicale con figlia separata e nipoti, la collina nel week end e il mare d’estate. Un’esisten-za piatta, abulica, assuefatta, che non ha mai avuto il coraggio di cambiare, anche se da qualche tempo comincia a sentire un senso di smarrimento. Finché: “Minestro-ne e filetti di pesce”. Le ultime parole della moglie. La scomparsa improvvisa di Lella lo porterà a svegliarsi da un torpore esi-stenziale che durava da troppo tempo e a uscire per le strade, visitare città che non aveva mai visto, mescolarsi fra la folla, as-saporare fantasie forti e pericolose, inna-morarsi di donne sbagliate, in poche paro-le, a vivere. Dopo aver passato una vita in-tera a “camminare lungo una strada con le righe bianche ai lati, adesso è in mezzo al deserto”: Mario ha davanti a sé un mondo da ricostruire dalla A alla Zeta, è tutto nelle sue mani. Potrà finalmente fare qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato, an-dare contro ogni convenzione, uscire dai confini che erano stati previsti per lui. Nes-suno potrà più rimproverarlo dicendogli: “Mario, non è da te”.

Una trama ossessiva, martellante, quella di Un tipo tranquillo, l’ultimo ro-manzo di Marco Vichi, il creatore della fortunata saga del Commissario Bordelli (nel 2009 premiato per Morte a Firenze con lo Scerbanenco): un’esplorazione nell’or-rore del quotidiano e una fine analisi della banalità dell’origine del male. Perché ba-sta poco per sconvolgere la vita di una per-sona e trasformarla da vittima in potenzia-le assassino, perché anche la personalità più insignificante può nascondere un mo-stro. Un ricordo di morte (quand’era dodi-cenne, Mario ha assistito, inerte, alla mor-te di un gattino indifeso) che è presagio di un terribile futuro, che tormenta ancora e che porta il protagonista a convincersi che gli sia piaciuto assistere in qualche modo a quell’evento. Con uno stile essenziale e leggero, Vichi, racconta il passaggio da una sopravvivenza grigia e insignificante a una vita nera ed emozionante, con una tensio-ne narrativa che sale in progressione pro-prio come in un crescendo rossiniano (quello che piace tanto al protagonista), fi-no a un finale sorprendente che suscita nel lettore sentimenti contrastanti, perché tut-ti, in fondo, abbiamo paura di scoprire che gli altri non sono sempre uguali a come li vogliamo.

Francesca Colletti

Ritorna l’ispetto-re Rizzo con u n ’ i n d a g i n e

che rivanga il suo passato più intimo e che disegna un pre-sente che profuma di amarcord e dolci certezze. Nessuno, nemmeno tu, il nuo-vo libro di Lucia Til-

de Ingrosso perfeziona i temi cari alla scrittrice e ne affina, portandola a compi-mento, l’abilità tecnica e il gusto del narra-re il bel mondo della Milano ex da bere, ora forse un po’troppo per bene e perbenista. Ci si inserisce nella vita dei personaggi in modo compiuto ed esaustivo e non si ha mai la sensazione di incappare in partico-lari ridondanti. La tensione narrativa non ha mai picchi improvvisi, ma ha il pregio di mantenersi costante e di invogliare alla let-tura. I personaggi sono rotondi e gestiti sa-pientemente all’interno del romanzo, ma forse sono un po’ troppo belli e perfetti. Il bel mondo patinato, descritto dalla Ingros-so, appare un po’ compiaciuto e la città , Milano, risulta essere solo uno sfondo più che una protagonista.

Il solco seguito è certamente quello tracciato da Renato Olivieri, ma i presup-posti s’intuiscono essere differenti. Il ro-manzo è comunque una lettura interes-sante e godibile fino all’ultima riga e lascia un sottile sapore consolatorio una volta letta l’ultima pagina. Una versione partico-lare e personale del noir italiano che esce dal coro dei commissari gourmet e donna-ioli. Rassicurante.

Andrea Ferrari

LA CACCIA DI S. KLEINFrancesco LomonacoMursia, p.500, € 18,00

UN TIPO TRANqUILLOMarco VichiGuanda, p. 235, €16,00

NESSUNO, NEMMENO TULucia Tilde IngrossoKowalski, p.341, € 15,00

OSCAR WILDE E...Gyles BrandrethSperling&Kupfer, p. 348, € 17,90Traduttore A. Garavaglia

LA BAMBINA DI VETROJodi PicoultCorbaccio, p. 575, € 19,60Traduttore L. Corradini Caspani

giugno/luglio 2010 | | M I L A N O • 9 • N E R A

Page 10: MilanoNera webpress

n. lilin: non chiamatemi scrittoreDopo l'esordio con Educazione siberiana, il controverso scrittore-tatuatore di origini russe emigrato in Italia torna con Caduta libera (Einaudi),il secondo atto di un'epopea letteraria, che racconta la sua esperienza di sabotatore durante la seconda campagna in Cecenia.

whItE sIDE Il lato candidodi milanonera

| Numero 8 - anno IIIM I L A N O • 1 0 • N E R A |

Cosa ti premeva comunicare ai lettori quando hai deciso di scrivere Caduta libera?

Volevo raccontare come ci si sente a vivere una guerra, a fare la guerra, a subirla, a stu-

diarla, a goderla, insomma a provare tutte le emozioni che ogni essere umano prova stando nel bel mezzo di un conflitto ar-mato. Ero molto deluso da come nel no-stro mondo viene presentata e raccontata la guerra; a volte attraverso il velo di ideo-logie, interessi, strumentalizzazioni, e alla fine viene vista dalla gente sempre come qualcosa di grottesco, al di fuori della so-cietà umana, un evento che molti credono essere creato e mandato avanti da qualche forza estranea a noi, lontana dalla visione abitudinaria dell'etica e della morale. In-vece bisogna capire che la guerra è neces-sariamente organizzata e fatta da uomini in carne e ossa, umani come tutti gli al-tri. Questo è il punto, con il mio libro io ho tentato di "umanizzare" la guerra, per far capire che fa parte di meccanismi sociali umani, basati sugli istinti primordiali che ognuno di noi porta dentro di sè. Hai definito la seconda campagna in Cecenia «la più grande operazio-ne antiterroristica di sempre. Che non sarà mai spiegata come si deve. Quella zona è sempre stata un tappo tra la Russia e il mondo islamico…». Cosa la differenzia dalla prima?

Non sono mai stato sulla scena del primo conflitto Ceceno, ma è stato un con-flitto molto contraddittorio, studiato a ta-volino da imprenditori, oligarchi e politici corrotti e pieno di intrighi, corruzioni, in-teressi economici che andavano al di là di quelli politici, territoriali, religiosi o nazio-nali. Molti militari che ho conosciuto, che avevano partecipato al primo conflitto, lo chiamavano "il teatrino". La seconda ope-razione è stata molto più chiara e gestita in modo eccellente in quanto a tattica e im-pegno militare. Certo, anche a quella sono legate molte perplessità, segreti, qualche interesse privato e casi di corruzione tra militari - ma questo purtroppo fa parte di ogni guerra, perché la guerra viene fat-ta da umani e gli umani per loro stessa na-tura sono deboli e spesso cedono davanti alle tentazioni di guadagnare soldi facili, di sfruttare il momento giusto, di giocare un asso tirato fuori dalla manica. Però in gene-rale, guardando i risultati, il secondo con-flitto è stato un fulmine senza pietà scarica-to sul terrorismo islamico internazionale. Siamo entrati ufficialmente in guerra alla fine di agosto nel territorio occupato dal-le formazioni terroristiche e l'abbiamo pre-so sotto controllo totale a dicembre, libe-rando una difficile regione che si estende tra le montagne del Caucaso. A quel pun-to gli scontri diretti sono finiti e il nostro la-voro era limitato ad operazioni preventive e di routine di mantenimento dell'ordine e legalità della Federazione Russa sul ter-

ritorio. Invece per quanto riguarda la defi-nizione temporale del primo conflitto, an-cora adesso si discutono le date, qualcuno dice che è finito un anno prima, altri dico-no un anno dopo di quello annunciato uf-ficialmente, qualcuno dice che non è finito proprio, che siamo stati tutti questi anni in diverse fasi di un’unica guerra...La Politkovskaja scriveva: i militari che hanno servito in Cecenia sono dei boia sistematici. Ma secondo te chi sono i veri criminali?

Politkovskaya, pace all'anima sua, era una brava giornalista, ma tendeva ad im-putare troppe colpe alle persone che non meritano di portare tutto il peso della guer-ra sulle loro spalle. Se i militari vengono chiamati "boia sistematici", posso dire che la parte del “boia” non è una scelta ma è un aspetto che fa parte del nostro lavoro; io ero cecchino nel reparto operativo dei sa-botatori paracadutisti, e di certo non sono stato addestrato per costruire case, cucina-re cibo, guarire i malati e assistere ai parti. I militari sono l'ultima ragione del potere e quindi quando entrano in azione creano caos, morte e paura, esistiamo per questo, ed è inutile guardare all’essere umano sin-golarmente, quando esistono l’esercito e le armi e quando l’opzione di un interven-to delle forze armate viene proposto come soluzione geopolitica moderna. I militari sono esseri umani che fanno il loro duro e ingrato lavoro, vivendo situazioni estreme, nelle quali spesso il cervello umano cede, e a quel punto chiunque, anche il più de-voto moralista e pacifista, diventa capace di compiere le atrocità più incomprensibi-li che esistano. Per giudicare chi fa la guer-ra è necessario provare a farla, capire come si vive in quella situazione, capire i mec-canismi politici che muovono gli eserciti e mandano gli umani al massacro. Allora si può dire di avere un’opinione veramen-te obiettiva. E’ ovvio che, stando comodi nella società pacifica, consumando quel-lo che viene prodotto grazie alle conquiste politiche principalmente spinte attraverso le guerre, risulta molto difficile vedere la faccia della guerra, soprattutto visitando i posti dove ci sono ancora segni freschi: vit-time civili, distruzioni, repressioni del re-gime militare nelle zone occupate. Viene subito spontaneo incolpare i militari, il re-gime, i politici e tutto il resto. Nessuno ha mai detto: "Colpa anche mia, perche sto facendo parte di una società che sostiene la guerra, che ha bisogno della guerra, che vive anche grazie all'impegno delle perso-ne che fanno la guerra". Comunque, que-sto è un tema molto importante per me, che potrei sviluppare all'infinito. Per bre-vità citerò un modo di dire tutto militare: "Con un colpo di coltello non si possono uccidere due persone. Con una firma sul-la carta se ne possono uccidere milioni". Fa riflettere.

Continua a pagina 13 ▶

Credo che soltanto i lettori possano definire una persona che scrive come "lo scrittore" , autoproclamarsi è sempre una questione di maleducazione.

© S

tefa

no F

usar

o

Francesca Colletti

Page 11: MilanoNera webpress
Page 12: MilanoNera webpress
Page 13: MilanoNera webpress

whItE sIDE

giugno/luglio 2010 | | M I L A N O • 1 3 • N E R A

Hai scritto: “Mentre una persona normale guarda un paesaggio e pensa alla bellezza della natura, io, contro la mia volontà mi accorgo di valutare dove si potrebbe mettere la mitragliatrice”. Com’è stato il ritor-no a casa dopo la trincea?

Tragico e insopportabile, il momento in assoluto più brutto che io abbia mai vis-suto nella mia vita. Dopo gli anni passati là mi sono reso conto che una volta che si partecipa alla guerra, ci si rimane per sem-pre. La società pacifica appare in tutta la sua falsità e molti meccanismi che vedo oggi nel nostro mondo di pace sono estre-mamente corrotti e disonesti. In guerra, nelle situazioni estreme, l'animo umano passa attraverso una sorta di purificazione, impara ad essere vero e semplice, per que-sto noi veterani abbiamo problemi a con-vivere con il mondo per il quale abbiamo sacrificato i nostri anni migliori, le nostre forze e molti di noi anche le proprie vite.“Nessuno lo saprà mai” è il titolo di uno dei capitoli del libro. Ma quan-to si sa davvero della guerra?

Poco o niente, perché la maggior par-te dell'informazione che appare in televi-sione, nei giornali e nei libri fa parte di un gioco di strumentalizzazione, di distorsio-ne della realtà. Quindi per me sarebbe me-glio se non ne parlassero proprio. Trovo che sarebbe più onesto se gli umani di oggi facessero finta che la guerra non esistesse, la ignorassero completamente, continuan-do tranquillamente a divertirsi, a gode-re dei diritti, a studiare e a lavorare, anzi-ché partecipare alle manifestazioni inutili a sostegno della cosiddetta "pace" - termi-ne che ha perso senso oggi, nella situazio-ne attuale in cui si trova il mondo. In tema di informazione, di verità, non siamo più capaci di percepire, sentiamo il bisogno di ascoltare solo menzogne, che ci fanno sta-re tranquilli, ci guidano, ci tolgono la ne-cessità di pensare in modo obiettivo.Di cosa hai paura?

Del nostro futuro, del futuro di mia fi-glia, del fatto che lei potrebbe trovarsi in una società distrutta dal caos, dall'incapa-cità degli umani di costruire e gestire pro-pria vita. Sarebbe troppo banale chiederti se hai ucciso qualcuno, né tantomeno se sia giusto. Ma quello che m’inte-ressa sapere è: ti è piaciuto?

Io ho partecipato all'operazione an-titerroristica e perciò combattevo contro i terroristi islamici. Per me una persona nel momento esatto in cui diventa terrori-sta perde ogni possibilità di essere tratta-to come un essere umano, non ha apparte-nenze razziali o religiose, lui è un nemico pericoloso e deve essere liquidato fisica-mente il più presto possibile. Mio nonno, che ha fatto la seconda guerra mondia-le ed era un cacciatore siberiano con una grande esperienza, una volta parlando con me del fatto di uccidere, ha detto: "Se ti ca-pita di uccidere un essere umano, fai at-tenzione a non diventare dipendente, per-ché la caccia all'uomo è tra le più belle che esistano". Ho capito le sue parole quan-do sono finito nell'esercito. Quando ucci-di una persona, con quella muore una par-te di te, da quel momento, per tutta la vita, è come se tu vivessi tra un mondo e l'altro,

è la legge della natura. Non è difficile ucci-dere, e non è un grande scandalo, almeno io i miei morti li ho visti e li ricordo, invece molti uccidono tante persone senza nean-che guardarle in faccia, li sacrificano agli interessi politici, religiosi, economici... Dal 1998 al 2000 sei stato in Cece-nia. Nel 2003 ti sei trasferito in Ita-lia. Cos’hai fatto dopo la guerra? Gira voce che sei stato nei servizi se-greti di sicurezza privati...

Non esistono servizi segreti di sicu-rezza privati, è un concetto tutto sbagliato. Capita che alcune ditte di sicurezza privata lavorino per qualche agenzia d’intelligen-ce, per brevi contratti, forse la situazione è cambiata con il passare degli anni, ades-so sono abbastanza lontano da quel mon-do. Non lo nego, ho lavorato nelle agen-zie di sicurezza privata per qualche anno, perché a diciotto anni ho imparato fare il mestiere di soldato e non avevo tante al-ternative nel mondo civile, che una volta tornato dalla guerra mi ha chiuso in faccia tutte le porte. Spesso il lavoro di contractor viene molto malvisto nella società pacifi-ca, per me sono persone che fanno un im-pegno utile e legale, non mi sento di par-larne male. Dopo Educazione siberiana si è det-to di tutto. Che è scritto troppo bene per essere frutto di uno che parla l'italiano da otto anni. Che le storie raccontate sono false, e la Transni-stria è un'oasi di civiltà. Che tu abbia militato nei servizi segreti. Adesso i tuoi rapporti con la stampa come sono?

Non ho mai avuto "rapporti" con la stampa, di me scrivevano e scrivono tut-to quello che passa per la mente al gior-nalista per creare uno scoop, io non leggo i giornali e non voglio sapere di cosa scri-vono oggi – se di Nicolai Lilin agente dei servizi segreti che ha inventato la Transni-stria, oppure della velina di turno che cam-bia fidanzati calciatori, oppure dell'enne-simo politico beccato con droga, trans e

tangenti. I nativi della Siberia hanno un proverbio: "Dell'inverno si raccontano tante cose, ma ogni anno lui arriva lo stes-so", così cerco di vivere anche io: la gen-te parla, intanto io faccio mio lavoro, scri-vo, cresco mia figlia e vado avanti senza far caso al resto.A settembre partiranno le riprese di Educazione siberiana, in qualche modo hai contribuito alla sceneg-giatura?

E poi dicono che sono io quello dei servizi segreti, in questo caso sei più in-formata di me, non sapevo niente delle ri-prese a settembre. Sì, ho partecipato alla scrittura della sceneggiatura, ma non l'ab-biamo ancora finita. Io sono molto tran-quillo per il destino del mio film, perché è nelle mani di Gabriele Salvatores e della casa produttice Cattleya, persone sensibili e cari amici, con i quali abbiamo stabilito un bel modo di lavorare. Credo che sarà un bel film, fedele alla storia originale.Perché non ti piace essere definito "scrittore"?

Perché non lo sono. Per me lo scritto-re è una persona che ha raggiunto un livel-lo molto importante nella letteratura, una persona che ha un enorme bagaglio pro-fessionale e umano, una persona che ha sensibilizzato le anime di molte persone, di diverse generazioni. Io non sono a que-sti livelli e preferisco stare al mio posto, con umiltà e onore. Non sopporto quan-do i giovani, persone ancora sconosciute, si definiscono "scrittori". Lo trovo molto disonesto. Poi, credo che soltanto i letto-ri possano definire una persona che scri-ve come "lo scrittore", autoproclamarsi è sempre una questione di maleducazione.Ti hanno definito il Saviano siberia-no. Come sono i tuoi rapporti con lui?

Non ho nessun rapporto con Rober-to, purtroppo. Mi piacerebbe sentirlo qual-che volta, semplicemente per accertarmi che stia bene, ma non abbiamo contatti. Lo considero lo stesso un caro amico, per-

ché ha creduto in me e ha percepito mol-to bene quello che è il senso del mio libro. Da quando lui ha cominciato a subire at-tacchi da parte dei giornalisti strumenta-lizzati per via delle sue lotte politiche, in mezzo di questa compagnia diffamatoria nei suoi confronti qualche volta tirano an-che me, tanto per usarmi come la pietra da gettare in faccia a Roberto. Prendo questa cosa con pazienza e cerco di essere molto calmo, come diceva mio nonno: "Il tem-po passa, piove, nevica, il vento soffia, e la montagna rimane sempre al suo posto".Per scrivere L’educazione siberiana ci hai messo due mesi, hai lavorato di notte, per scrivere Caduta libera?

Poco di più. Scrivo veloce, non sto tanto tempo sul testo, perché racconto quello che ho da raccontare usando il mio linguaggio, mi esprimo così come se stes-si parlando a un amico. Poi io non rileg-go quasi mai quello che scrivo, non ho pa-zienza. Non ho riletto i miei libri, qualche volta qualche pezzo per verificare la corre-zione dell’editor, ma in generale non fac-cio mai una lettura finale. Lavoro spesso di notte perche è il momento che più mi piace, perché non mi disturba nessuno e i pensieri scorrono con più fluidità. Hai fondato l’associazione culturale Libre, quali sono i progetti in corso e i prossimi?

L'associazione culturale "Libre" non l’ho fondata io, esisteva prima del mio ar-rivo in Italia. "Libre" è una bellissima as-sociazione, lavora nell'ambito cultuale da anni e ci siamo conosciuti perché loro sta-vano preparando uno spettacolo teatrale dedicato alla guerra e gli serviva uno spe-cialista che potesse insegnare ai loro atto-ri come muoversi sul palco, imitando i mo-vimenti del gruppo d'assalto. Così ci siamo conosciuti, abbiamo collaborato insieme in questa e in altre occasioni, siamo di-ventati buoni amici e senza accorgermi di come e quando è accaduto, anch’io sono diventato parte dell'associazione. Ades-so noi lavoriamo, tra gli altri, anche su un progetto di recupero di un’antica borgata in montagna abbandonata da quasi un se-colo, dove creiamo le case per noi e per chi desidera di condividere questo bellissimo progetto con noi, per vivere o passare le vacanze insieme, aiutarci a vicenda, lavo-rare e godere delle nostre bellissime Alpi piemontesi. Oltre a questo progetto ho fondato con un gruppo di amici un'asso-ciazione sportiva, "Pro Patria Italia" com-posta da veterani dell'esercito, con i quali organizziamo corsi di formazione operati-va per militari, agenti delle forze dell'ordi-ne e privati interessati. Cerchiamo di dare aiuto alle famiglie dei nostri caduti e ades-so sono in trattativa con un’organizzazio-ne umanitaria molto importante al livello internazionale, per poter donare alla loro causa una parte del versamento di ogni quota associativa. Parallelamente, sto or-ganizzando un progetto di dodici raccon-ti per dodici letture inedite, accompagna-te da musica. Tutto questo organizzato dall’associazione amica "2Roads" e dal-la "Libre". Nel frattempo sto scrivendo il terzo libro e qualche articolo, quando ho tempo. Disegno e tatuo amici, insomma, cerco di non stare mai fermo.

Francesca Colletti

Il lato candidodi milanonera

Mi sono reso conto che una volta che si partecipa alla guerra,ci si rimane per sempre.

◀ Segue da pagina 10

Page 14: MilanoNera webpress
Page 15: MilanoNera webpress

whItE sIDE

giugno/luglio 2010 | | M I L A N O • 1 5 • N E R A

Il lato candidodi milanonera

G ianni Tetti scrive racconti, lo fa con impegno, sforzandosi di essere ori-ginale e cercando di usare una sin-

tassi rapida e sintetica. Il trucco gli rie-sce per i primi racconti, poi alla lunga ci (si?) stanca, forzando la ricerca del dis-sacrante e dell'originalità. Il prodotto fi-nale di Tetti è comunque sufficientemen-te interessante, soprattutto in alcuni capi-toli (Aureliano, Per il resto niente e Doma-ni): solo i grandi, o presunti tali, ci fanno ridere quando parlano di morte, di vio-lenza, di stupri, e Tetti lo fa.

Il grottesco e l'orrido con cui riempe le pagine del libro vengono proposti con leggerezza, quasi noncuranza; i protago-nisti dei racconti sembrano vivere in un mondo parallelo fatto di dolce e tranquil-lizzante violenza: la casa editrice e la col-lana (Iena) che pubblicano il libro hanno fatto di questo genere una bandiera, forse per ricordarci come i mezzi di comunica-zione di massa tentino quotidianamente di vaccinarci e narcotizzarci con messaggi pieni di odio per innalzare le nostre difese immunitarie.

Tetti, evidentemente assuefatto alla "violenza-spettacolo", contribuisce a ren-derci sarcastici, cinici, dry, noir.

Giampietro Marfisi

Come cambia la vita di un branco di elefanti selvatici traumatizzati dopo il trasferimento nella riserva faunistica

in Sudafrica? E come e quanto questi mae-stosi e intelligenti animali a rischio di estin-zione “hanno trascinato nel loro mondo” Anthony, ambientalista e proprietario dell’immensa riserva nello Zululand? Il ro-manzo, con la collaborazione del giornali-sta Graham Spence, racconta in prima persona l’esperienza che l’autore che vive a stretto contatto con gli elefanti. È una sto-ria di amicizia, di scambio, di arricchimen-to reciproco tra l’uomo e gli elefanti ed in-segna che non esistono barriere tra l’essere umano, i pachidermi e tutte le creature vi-venti se non quelle che l’uomo stesso eri-ge. Con lo sfondo della natura selvaggia, l’autore narra, con uno stile giornalistico e partecipazione emotiva, la sua avventura fisica e spirituale iniziata sin dal giorno dell’accoglienza del branco nella sua riser-va: l’ambientamento difficile degli anima-li, i suoi appostamenti vicino alla loro re-cinzione per aiutarli ad acclimatarsi, la lo-ro iniziale aggressività e le fughe verso la li-bertà che trovano proprio a Thula Thula insieme a Anthony con cui hanno parlato e a cui hanno insegnato ad ascoltarli.

Cristina Marra

I CANI LA' FUORIGianni Tetti Neo, p.193, 12 euro

L'UOMO CHE PARLAVA...Lawrence Anthony Newton Compton, p. 336, € 14,90

JOsé saRamagO 1922 - 2010

l viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori

finiscono. E anche loro possono prolungarsi

in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando

il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della

spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere",

sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel

che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è

già visto, vedere in primavera quel che si è visto

in estate, vedere di giorno quel che si è visto di

notte, con il sole dove la prima volta pioveva,

vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra

che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era..

Page 16: MilanoNera webpress