Messaggero 2010-10 Apr-Giu

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I sacramenti: Unzione degli infermi Dieci minuti per te Messaggio dalla Madonna del Sasso Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare Aprile Giugno 2010 Rivista trimestrale - anno C 10

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Trimestrale di formazione e spiritualità francescana

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I sacramenti: Unzione degli infermi

Dieci minuti per te

Messaggio dalla Madonna del Sasso

Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare

AprileGiugno2 0 1 0

Rivista trimestrale - anno C

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MESSAGGERORivista di cultura ed informazione religiosa fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccinidella Svizzera Italiana - Lugano

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Hanno collaborato a questo numero fra Agostino Del-PietroGino DriussiFranca HumairAlberto LeporiFernando Leporifra Andrea Schnöllerdon Sandro Vitalini

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Intervista a don Sandro Vitalini 4

Per conoscere questo ignoto 6Sacramento

Tra “Luigi” e “Napoli” 10

Bigorio alto luogo dello Spirito 12

Le pagine dell’OFS 14

Tau simbolo francescano 16

Ricordo di p. Alberto Weingand 18

Messaggio biblico 20

Preghiera, ascolto e senso della vita 22

Appunti di vita ecclesiale 24Alberto Lepori

Rilanciare il dialogo con protestanti 28ed anglicaniGino Driussi

La rivista “Fogli” 30Fernando Lepori

Note importantiCompilando la polizza per l’abbonamento non mancate

di riportare l’esatto nominativo al quale la rivista è stata spedita.

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Se qualcuno…

Se qualcuno di voi è malato. chiami i responsabili della comunità. Essi pre-ghino per lui e lo ungano con olio, pregando il Signore. Questa preghierafatta con fede, salverà il malato e il Signore gli darà sollievo. Inoltre se il

malato avesse commesso dei peccati, gli saranno perdonati.Queste parole dell’apostolo Giacomo sono il fondamento biblico di tutto il di-scorso che in questo numero facciamo sul Sacramento degli infermi. Segno-sacro che ha bisogno di essere approfondito e liberato da molte paure che lofanno considerare una “estrema unzione” dopo la quale non vi è più nulla, senon la morte, vista non come francescana sorella, ma come appuntita falce cheti strappa da tutto e da tutti.

Se qualcuno di noi ha la tentazione di essere un cristiano chiuso, legga le paginededicate alla chiesa e agli avvenimenti ecumenici e troverà incentivi d’apertura.Oggi questa tentazione può essere anche forte, dato che la società sta semprepiù secolarizzandosi. Allora, invece di aprirsi ad un dialogo con chi professa, ma-gari in modo diverso, la stessa fede, si preferisce trincerarsi entro certezze permolti indiscutibili, confondendo quella che è la fedeltà alla tradizione con la fe-deltà al vangelo che è messaggio di apertura.

Ecco, come in ogni numero, lo schema anche di questo, poi arricchito da altrerubriche - Bibbia, meditazione, storia del santuario, annuncio di una Sacra rap-presentazione sul Cantico delle creature - e una pagina che ricorda padre AlbertoWeingand che di questa rivista fu per parecchi anni l’amministratore. Sappiamoche il “Messaggero” è apprezzato, anche se stenta a trovare nuovi lettori: per-ché non regalare l’abbonamento a qualche amico, a qualche giovane coppia?In un paese come il nostro – il Ticino – che ha urgente bisogno di un supple-mento d’istruzione cristiana per affrontare con coraggio le sfide della societàmoderna, troppe persone che si considerano “fedeli” si accontentano di unasaltuaria pratica sacramentale e dimenticano che il peccato più grave dei cri-stiani d’oggi è l’ignoranza, dalla quale nascono preconcetti, sospetti e critiche.Come frati (fratelli) abbiamo assunto l’impegno di essere voce per vincere que-sta ignoranza, così da aiutare tutti coloro che vogliano vivere la libertà del van-gelo ad essere convinti e convincenti messaggeri della “Buona novella”, di quelRegno di Dio del quale Francesco si è proclamato araldo.

la redazione

Lettera della Redazione

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Intervista a don Sandro Vitalini

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Il Sacramento degli infermiCome in ogni numero iniziamo a parlare di un Sacra-mento facendo alcune domande al nostro teologo donSandro Vitalini che ringraziamo sentitamente per lechiare risposte.

Che sacramento è mai questo che vienesolitamente amministrato quando l’infermo non capisce più nulla?

Nell’antichità le sacre unzioni venivano compiute sui ma-lati anche da laici. La persona veniva unta con olio cheaveva toccato le reliquie di Santi. L’olio benedetto dal Ve-scovo venne poi riservato alle unzioni praticate sui malatidai presbiteri. Lentamente anche la finalità dell’unzionecambiò. Mentre nell’antichità si mirava alla guarigionedella persona (come appare in Marco 6,13), nel medioevosi vide nell’unzione un sacramento per la guarigione del-l’anima e il perdono dei peccati, anche e soprattutto perchi non aveva più la possibilità di confessarsi. Si è allorapensato che anche il malato ormai incosciente potesse ri-cevere l’unzione, perché non si escludeva che interior-mente chiedesse perdono a Dio. Si è così insinuatol’abuso di dare l’unzione a chi è in fin di vita ed è inco-sciente. Nello spirito dell’antica tradizione e del VaticanoII non dobbiamo chiamare questo sacramento “estremaunzione”, ma “unzione degli infermi” (SacrosanctumConcilium n. 73) e prevederne la celebrazione al mo-mento in cui una malattia grave si profila in una persona.Il sacramento dei morenti resta il viatico. Ma l’unzionemira alla guarigione e al rinnovamento della persona. Lasua celebrazione dovrebbe essere comunitaria, in chiesa,avvolta da un’atmosfera pasquale (che si prolunghi in unamerenda festosa). Anziani e malati cronici possono rice-verla una volta all’anno per rinnovare il loro proposito dicombattere la malattia per essere testimoni della risurre-zione del Signore. Non si dovrebbe dare il sacramento auna persona oramai incosciente, soprattutto se si sa che,cosciente, l’avrebbe rifiutato. Questo sacramento, che ciunisce alla sofferenza di Gesù crocifisso, ci consacra a lot-tare contro ogni male. A volte esso è stato fonte di im-provvise guarigioni. Sia sempre fonte di rinnovata serenitànella lotta contro la malattia e ogni male nel mondo.

Si dice che tutti i sacramenti siano stati istituitida Gesù Cristo. Dove si legge nel Vangelo cheGesù istituì il sacramento degli infermi?

L’antica tradizione della Chiesa prevede che chi è malato

sia visitato dai presbiteri e che riceva un’unzione che losollevi spiritualmente e fisicamente (Giacomo 5, 14-15).In Oriente l’unzione ha conservato questa solennità “col-legiale”. Anche se in Occidente si sono conosciute un-zioni praticate da laici (che oggi definiremmo come“sacramentali”), bisogna riconoscere che nell’ambitodella missione apostolica, che prolunga quella di Cristo,del consacrato unto di Spirito Santo (Luca 4, 18), c’èanche l’ordine di Gesù: “Guarite gli infermi, risuscitate imorti, purificate i lebbrosi” (Matteo 10,8). A chi miobietta che la guarigione dei malati non sembra dipen-dere dall’unzione, preciso che anche Gesù non ha gua-rito tutti i malati che avvicinava (Giovanni 5,3), maaggiungo che la nostra attività sacramentale sarebbe piùefficace se accettassimo l’ordine che Gesù ci dà nel ver-setto seguente (Matteo 10,9): “Non procuratevi né ar-gento né oro né danaro…” Gesù ci richiede una povertàassoluta. Più volte ho indicato ai miei allievi la “ricetta”per guarire i malati e moltiplicare i pani: “Quando nonavremo più niente, saremo svuotati anche del nostro io eci abbandoneremo totalmente alla provvidenza del Padre,allora saremo degli strumenti atti a trasmettere i segni diDio!” È importante che ci rendiamo conto che un sacra-mento va visto in un contesto di liberazione globale del-l’uomo per la quale dobbiamo batterci anche se cimartirizzeranno. Non dobbiamo avere paura di denun-ciare come Chiesa i crimini di mammona, che dissan-guano e schiavizzano i poveri nel mondo. Più l’annuncioliberatore della Chiesa suona forte per gli oppressi, i di-soccupati, gli emarginati, gli anziani, gli infermi, e più ilVangelo del Cristo è credibile e operante.

In che contesto dovrebbe essere amministratoquesto sacramento, dato che spesso i parenti,quando entra il sacerdote nella cameradell’ammalato, lasciano la stanza?

Il contesto deve essere pasquale e va preferita la Chiesa.In un caso di improvviso aggravamento o in seguito a unincidente il sacramento è celebrato nella stanza del ma-lato. Se possibile venga ornata di fiori e si dia alla cele-brazione un carattere pasquale, eseguendo ad esempioun canto. L’unzione è in vista della guarigione. Io stessoposso testimoniare di aver visto malati molto gravi ri-prendersi perfettamente dopo l’unzione. Oggi i teologi siinterrogano se non si potrebbe prevedere che anche i dia-coni o chi assiste regolarmente un malato non possanoessere abilitati al suo conferimento. Se ci riferiamo allastoria dobbiamo ammettere la fondatezza di questa ipo-tesi, che dovrà maturare nel contesto di una riflessione

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di tutto il popolo di Dio. Bisognerà anche riconoscerecome i riti possano variare a seconda del genio dei singolipopoli, tenendo sempre presente che la celebrazione nonè funebre, ma pasquale.

È possibile dare l’unzione degli infermi ad unapersona appena morta?

Per un agonizzante credente si preveda il viatico, collo-cando la particola sulla lingua, secondo un’antichissima

tradizione. Per chi è morto non si può più prevedere unsacramento, ma solo lo si deve affidare all’infinita mise-ricordia di Dio che, come una fiamma sprigionante unamore infinito, avvolge la persona in un abbraccio di pu-rificazione (Luca 15,20) che lo porterà al convito cele-ste. Abituiamoci a dire che preghiamo con i nostri vivinell’aldilà e non per loro. La nostra preghiera non modi-fica l’infinita misericordia di Dio, ma approfondisce la co-munione con tutti i santi: della terra e del purgatorio e delparadiso.

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Dopo le risposte chiare di don Sandro Vitalini, appro-fondiamo la dottrina sul sacramento dell’unzionedegli infermi, segno-sacro fra quelli meno conosciuti

perciò disattesi o mal ricevuti. Ci facciamo aiutare dal ca-techismo della chiesa universale, che inizia a parlare di que-sto sacramento con una citazione della ‘Lumen gentium’:“Con la sacra unzione degli infermi e la preghiera dei pre-sbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signoresofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e lisalvi, anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passionee alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del po-polo di Dio”.Ma dove ha i suoi fondamenti dottrinali questo “segno”?Sono nell’Economia della Salvezza, cioè nel modo in cuiDio offre all’uomo la sua salvezza che, giustamente, partedalla considerazione delle varie funzioni che può avere lamalattia nella vita umana.La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemipiù gravi che mettono alla prova la vita umana. Nella ma-lattia l’uomo fa l’esperienza della propria impotenza, deipropri limiti e della propria finitezza. Ogni malattia può farciintravvedere la morte. Inoltre la malattia può condurre al-l’angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta persino alla di-sperazione e alla ribellione contro Dio. Ma essa può ancherendere la persona più matura, aiutandola a discernere nellapropria vita ciò che non è essenziale per volgersi verso ciòche lo è. Molto spesso la malattia provoca una ricerca diDio, un ritorno a Lui, così che spesso il malato si trova difronte a Dio. Già l’uomo dell’Antico Testamento vive la ma-lattia di fronte a Dio. È davanti a Dio che egli versa le suelacrime sulla propria malattia; è da Lui, il Signore della vitae della morte, che egli implora la guarigione. La malattia di-venta cammino di conversione e il perdono di Dio dà ini-zio alla guarigione. Israele sperimenta che la malattia èlegata, in un modo misterioso, al peccato e al male, e chela fedeltà a Dio, secondo la sua Legge ridona la vita: “per-ché io sono il Signore, colui che ti guarisce!” (Es 15,26). Ilprofeta intuisce che la sofferenza può anche avere un valoreredentivo per i peccati altrui. Infine Isaia annuncia che Diofarà sorgere per Sion un tempo in cui perdonerà ogni colpae guarirà ogni malattia.Ma è soprattutto nel Nuovo Testamento che il rapporto traParola e Persona di Dio diventa più esplicito.

Gesù è infatti considerato “Medico delle anime”

La compassione di Cristo verso i malati e le sue numeroseguarigioni di infermi di ogni genere sono un chiaro segnodel fatto che “Dio ha visitato il suo popolo” (Lc 7, 16) eche il Regno di Dio è vicino. Gesù non ha soltanto il potere

di guarire, ma anche di perdonare i peccati: è venuto a gua-rire l’uomo tutto intero, anima e corpo; è il medico di cui imalati hanno bisogno. La sua compassione verso tutti co-loro che soffrono si spinge così lontano che egli si identi-fica con loro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25, 36).Il suo amore di predilezione per gli infermi non ha cessatolungo i secoli, di rendere i cristiani particolarmente premu-rosi verso tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spi-rito. Essa sta all’origine degli instancabili sforzi per alleviarele loro pene.Ma spesso Gesù chiede ai malati di credere. Si serve di segniper guarire: saliva e imposizioni delle mani, fango e ablu-zioni. I malati cercano di toccarlo “perché da Lui usciva unaforza che sanava tutti” (Lc 6,19). Così, nei sacramenti, Cri-sto continua a “toccarci” per guarirci.Commosso da tante sofferenze, Cristo non soltanto si la-scia toccare dai malati, ma fa sue le loro miserie: “Egli hapreso le nostre infermità e si è addossato le nostre malat-tie” (Mt 8, 17). Non ha guarito però tutti i malati. Le sueguarigioni erano segni della venuta del Regno di Dio. An-nunciavano una guarigione più radicale: la vittoria sul pec-cato e sulla morte attraverso la sua Pasqua. Sulla croce,Cristo ha preso su di sé tutto il peso del male e ha tolto il“peccato del mondo” (Gv 1,29), di cui la malattia non éche una conseguenza. Con la sua passione e la sua mortesulla Croce, Cristo ha dato un senso nuovo alla sofferenza:essa può ormai configurarci a lui e unirci alla sua passioneredentrice.

L’azione di Cristo verso gli ammalati, programmairrinunciabile per i suoi discepoli.

Cristo invita i suoi discepoli a seguirlo prendendo anch’essila loro croce. Seguendolo, assumono un nuovo modo divedere la malattia e i malati. Gesù li associa alla sua vita dipovertà e di servizio. Li rende partecipi del suo ministero dicompassione e di guarigione: “E partiti, predicavano che lagente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevanodi olio molti infermi e li guarivano”. (Mc 6, 12-13).Dopo la risurrezione rinnova questo invio: “Nel mio nomeimporranno le mani ai malati e questi guariranno”, (Mc 16,17-18) e lo conferma per mezzo dei segni che la Chiesacompie invocando il suo nome. Questi segni manifestanoin modo speciale che Gesù è veramente “Dio che salva”.Inoltre lo Spirito Santo dona ad alcuni un carisma specialedi guarigione per manifestare la forza della grazia del Ri-sorto. Tuttavia, neppure le preghiere più intense ottengonola guarigione di tutte le malattie. Così san Paolo deve im-parare dal Signore che “ti basta la mia grazia; la mia po-tenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2

Per conoscere questoignoto Sacramento

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Cor 12,9), e che le sofferenze da sopportare possono averecome senso quello per cui “io completo nella mia carne ciòche manca ai patimenti di Cristo, a favore del Suo corpoche é la Chiesa” (Col 1,24).

“Guarite gli infermi!”, compito della Chiesa

Lo ha ricevuto dal Signore e cerca di attuarlo sia attraversole cure che presta ai malati sia mediante la preghiera di in-tercessione con la quale li accompagna. Essa crede nellapresenza vivificante di Cristo, medico delle anime e deicorpi. Questa presenza è particolarmente operante nei sa-cramenti e in modo tutto speciale nell’Eucarestia, pane chedà la vita eterna e al cui legame con la salute del corpo sanPaolo allude.La Chiesa apostolica conosce tuttavia un rito specifico in fa-vore degli infermi, attestato da san Giacomo: “Chi è malato,chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui,dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la pre-ghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzeràe, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati” (Gc 5,14-15). La Tradizione ha riconosciuto in questo rito unodei sette sacramenti della Chiesa.

Per completare quanto abbiamo già detto e importanteoffrire alcune indicazioni pratiche che rivaluti questosacramento e lo colleghi nella sua giusta funzione:

segno-sacro del sollievo degli ammalati. Lo facciamo conLawrence E. Mick che ha scritto quel libretto che consi-gliamo in ultima di copertina.

Nell’articolo precedente abbiamo detto che la Chiesa crede eprofessa che esista, tra i sette sacramenti, uno specialmentedestinato a confortare coloro che sono provati dalla malattia:l’Unzione degli infermi.Questa unzione sacra dei malati è stata istituita come vero eproprio sacramento del Nuovo Testamento dal Signore nostroGesù Cristo. Accennato da Marco, è stato raccomandato ai fe-deli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore.Nella tradizione liturgica, tanto in Oriente quanto in Occi-dente, si hanno fin dall’antichità testimonianze di unzioni diinfermi praticate con olio benedetto. Nel corso dei secoli,l’Unzione degli infermi è stata conferita sempre più esclusi-vamente a coloro che erano in punto di morte. Per questomotivo aveva ricevuto il nome di “Estrema Unzione”. Mal-grado questa evoluzione la Liturgia non ha mai tralasciato dipregare il Signore affinché il malato riacquisti la salute, se ciòpuò giovare alla sua salvezza.Anche recentemente la Costituzione apostolica “Sacram un-ctionem infirmorum” del 30 novembre 1972, in linea con ilConcilio Vaticano II ha stabilito che, per l’avvenire, sia osser-vato nel rito romano quanto segue: “Il sacramento dell’Un-zione degli infermi viene conferito ai malati in grave pericolo,ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio debitamente be-nedetto – olio di oliva o altro olio vegetale – dicendo una solavolta: Per questa santa unzione e per la sua piissima miseri-cordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo, e li-berandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi.

Chi può ricevere il sacramento dell’unzione?

Una corretta comprensione dell’unzione degli infermi ci per-mette di prendere decisioni altrettanto corrette circa questosacramento. Uno degli aspetti fondamentali riguarda chi sonopropriamente i candidati dell’unzione. Le premesse del Ritualeci danno alcune direttive in proposito: “Con ogni premura ediligenza si deve provvedere al conferimento dell’unzione aquei fedeli il cui stato di salute risulta seriamente compro-messo per malattia o per vecchiaia”. Il testo evita deliberata-mente di usare termini come “gravemente” o“pericolosamente” e parla semplicemente di malattia seria.Ciò indica il tipo di giudizio che si deve fare. Il candidato a ri-cevere propriamente questo sacramento è chiunque sia seria-mente ammalato. Il paziente non deve essere necessariamente

Per riceverlo con efficacia

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in punto di morte, ma neppure si deve amministrare il sacra-mento a una persona colpita da una malattia di poco conto.Come dicono le premesse del Rituale: “Per valutare la gravitàdel male, è sufficiente un giudizio prudente o probabile, senzainutili ansietà: si può eventualmente interpellare un medico”.Il sacramento si può anche ripetere se la persona guarisce, mapoi ricade nuovamente nella malattia oppure se le sue condi-zioni si aggravano.

È giusto chiederlo prima di una operazionechirurgica?

È diventato abbastanza comune che un malato riceva l’un-zione prima di una operazione chirurgica, cosa che il Ritualeapprova ogni volta che una malattia seria richieda l’interventodel chirurgo. Gli anziani possono ricevere l’unzione se sonoindeboliti, anche se non sia presente nessuna malattia seria,dato che la loro salute è deteriorata per il semplice fatto del-l’età avanzata in cui si trovano. Ciò non significa però chetutti gli anziani sono automaticamente candidati a riceverel’unzione degli infermi. Come dicono le premesse al rito, sipuò dare la sacra unzione ai vecchi solo quando c’è un “in-debolimento accentuato delle loro forze”.

I bambini possono riceverlo?

Anche ai bambini si può dare l’unzione, “purché abbiano rag-giunto un uso di ragione sufficiente a far loro sentire il con-forto di questo sacramento”. Anche qui si richiede un giudiziodi buon senso. Un bambino può trovare conforto nel sacra-mento, anche se è incapace di esprimere verbalmente la com-prensione del rito. L’imposizione delle mani e l’unzione conl’olio possono essere il tocco del Signore che consola e dàforza, e la preghiera della fede è di conforto anche per un bam-bino in tenera età. Se si trova in punto di morte, il rito racco-manda che siano celebrati per il bambino i sacramentidell’iniziazione (battesimo, cresima ed eucarestia), anche sela sua età fosse inferiore a quella abituale per la ricezione diquesti sacramenti.

E gli ammalati mentali?

Ci sono state notevoli discussioni e idee confuse circa l’usodi questo sacramento con persone affette da disturbi mentali.Il problema viene affrontato nelle premesse del Rituale, dovesi dice: “Quanto ai malati che abbiano eventualmente per-duto l’uso di ragione o si trovino in stato di incoscienza, sec’è motivo di ritenere che nel possesso delle loro facoltà essistessi, come credenti, avrebbero chiesto l’unzione, si puòsenza difficoltà conferir loro il sacramento”. Può essere con-

sigliabile in tali casi consultarsi con il medico curante per de-terminare se l’unzione possa verosimilmente dare aiuto e con-solazione al malato.

In che contesto deve essere amministrato?

E importante ricordare sempre che questo sacramento trova lasua giusta collocazione nel contesto di una cura pastorale adampio raggio che l’intera comunità della chiesa vuole svol-gere per il bene dei malati.Con l’unzione degli infermi, come con tutti gli altri sacra-menti, si deve evitare ogni idea magica a loro riguardo. I sa-cramenti sono esperienze umane e il loro beneficio dipendein larga misura dal modo in cui ci si prepara e li si celebra.Certamente Dio benedirà e si prenderà cura dei malati anchese noi prestiamo uno scarso servizio pastorale verso di loro.Ma una cura attenta e amorosa, unita a una celebrazione deisacramenti ben fatta e piena di rispetto, può sostenere e po-tenziare gli effetti dell’azione di Dio mediante i gesti sacra-mentali. Infatti i sacramenti mirano a essere il puntoculminante di come sperimentiamo la presenza di Dio nellanostra vita; una buona azione pastorale di tutti i membri dellacomunità cristiana può rendere evidente tale presenza pressoi malati proprio nel dolore della malattia.

Come celebrarlo?

Il sacramento stesso dell’unzione, per quanto possibile, do-vrebbe essere celebrato in un ambiente comunitario. In alcunicasi si può organizzare una celebrazione comune in cui par-tecipano parecchi ammalati, che ricevono l’unzione contem-poraneamente. Ma anche se l’unzione riguarda una solapersona, la comunità cristiana dovrebbe riunirsi attorno adessa. Idealmente dovrebbe esserci un certo numero di par-rocchiani amici del malato, ma se ciò non è possibile vannoincoraggiati a essere presenti almeno i membri della famiglia.A differenza delle abitudini del passato, quando i familiari disolito uscivano dalla stanza mentre si celebrava l’unzione(forse perché nel rito era compreso il sacramento della peni-tenza), il rituale oggi presume la presenza della famiglia, degliamici e di altri membri della comunità ogni volta che ciò siapossibile. Èun incontro di fede attorno a un fratello o sorelladolorante e “la preghiera della fede salverà la persona amma-lata” (Giacomo 5, 15).Essendo coinvolti i membri della famiglia, la celebrazione pro-durrà effetti benefici anche per loro oltre che per l’ammalato.Quando un membro della famiglia è colpito da una malattia,anche gli altri membri della famiglia ne vengono colpiti in varimodi. Può essere che si ammali l’unica persona che guada-gna lo stipendio necessario per vivere; e allora viene minac-

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ciata la sicurezza finanziaria della famiglia. I coniugi speri-mentano il dolore della separazione, spesso accompagnatada sentimenti di impotenza. I bambini soffrono la perdita dellapresenza di un genitore e della sua guida, almeno tempora-neamente. Tutti quelli che sono vicini all’ammalato possonosperi- mentare più profondamente la propria infermità o fra-gilità di fronte alla morte. Quelli che prestano il loro servizioai malati dovrebbero essere molto attenti al potere delle paroleche pronunciano e alle azioni che compiono sia sul grupporiunito sia sulla persona inferma.

Il sacramento ai moribondi

Una volta compreso che l’unzione è un rito per chi è amma-lato e non per i moribondi, ciò dovrebbe spingere le personea chiedere questo sacramento per se stesse o per i propri fa-miliari al momento giusto. Con la diminuzione costante delnumero di sacerdoti nel nostro paese, sarà sempre più irreali-stico pensare che un sacerdote sia sempre disponibile ognivolta che lo si cerca per amministrare l’unzione degli infermi.Se possibile, questo sacramento dovrebbe essere celebratoprima che la situazione diventi critica. Una persona che staper subire un’operazione di una certa serietà, potrebbe riceverel’unzione in parrocchia prima di andare in ospedale. Ciò po-trebbe aver luogo nella messa della domenica o in una messaferiale, dove altri parrocchiani possono essere invitati a con-dividere la preghiera e la celebrazione del rito. Quelli che en-trano in una casa di riposo o in un ospizio potrebbero riceverel’unzione poco tempo dopo essere stati accolti, invece diaspettare che ci sia il pericolo di morte.Le persone colpite da malattia terminale dovrebbero richie-dere l’unzione quando ricevono la diagnosi e poi nel corsodella malattia possono ricevere ancora il sacramento diversevolte. Se si evitano le richieste degli ultimi istanti, non solo sipermette al sacerdote di organizzare meglio la celebrazioneinserendola nella sua agenda, ma anche diventa possibile in-vitare altri membri della famiglia e alcuni parrocchiani, perchépartecipino al rito. Naturalmente capiteranno sempre delleemergenze e i sacerdoti sono sempre pronti a fare tutto quelloche possono in tali situazioni. Tuttavia dobbiamo distaccarcidalla mentalità “dell’ultimo minuto” che si è sviluppataquando questo sacramento era visto solo come “estrema un-zione”, come ultimo rito della vita.

Che rapporto c’è tra l’unzione e il viatico?

Un pro-memoria finale, di natura pratica, è di considerare ilviatico come il sacramento adatto ai morenti, in quanto rice-vere la comunione è il cibo necessario per il viaggio verso ilcielo. Ciò intende essere una consolazione per il malato;

quindi il viatico dovrebbe essere celebrato quando sia possi-bile la partecipazione attiva e cosciente della persona. Se siaspetta troppo a lungo, è probabile che il moribondo non siapiù capace né di mangiare né di bere, per cui è impossibileche riceva il sacramento. Se una persona rimane in vita dopoaver ricevuto il viatico, lo può ricevere ancora, anche ognigiorno.Se possibile, va preferita la celebrazione della messa comecontesto per amministrare il viatico. Spesso ciò si può orga-nizzare, raccogliendo un piccolo gruppo in un ospedale o inuna casa di cura o in famiglia. Se non si può celebrare lamessa, il viatico dovrebbe essere comunque un rito comuni-tario, raccogliendo attorno al morente un piccolo gruppo dicristiani. Benché il sacerdote sia considerato il ministro ordi-nario del viatico, il rito prevede chiaramente che un diaconoo un ministro straordinario della comunione possa ammini-strare questo sacramento quando un sacerdote non è dispo-nibile. La possibilità che un moribondo riceva il viatico èchiaramente più importante della persona del ministro che loamministra.

Conclusione

L’esperienza di una seria malattia è sempre un tempo di provaper il paziente, i suoi amici e parenti. La malattia ci pone difronte alla nostra condizione mortale e sconvolge molti aspettidella nostra vita normale e delle relazioni abitudinali. Le ne-cessità dei malati sono grandi e vanno oltre i bisogni fisici esanitari. La comunità cristiana tenta di rispondere a questenecessità generosamente, imitando l’amore e la sollecitudinedi Cristo stesso verso quelli che soffrono nel corpo e nellospirito. Il rituale rinnovato per la cura pastorale degli infermie per i moribondi offre una ricca risorsa per la comunità ec-clesiale. Se usato bene, aiuterà tutti i membri della chiesa amanifestare più chiaramente l’amore di Cristoverso i malati che sono in mezzo a loro.

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Tra ‘Luigi’e‘Napoli’

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ario Il Dizionario Storico della Svizzera (DSS) è un’opera dicarattere scientifico, che si prefigge però di presentare in

modo chiaro e accessibile la storia del nostro paeseanche ai non specialisti. In sintonia con una delle peculia-rità svizzere il dizionario è redatto nelle tre lingue nazio-nali. Il primo volume a stampa dei tredici che comporrannol’opera completa ha visto la luce nell’anno duemiladue. Daallora in poi i successivi tomi sono stati pubblicati con ca-denza annuale. Alla fine del duemilanove è stato presentatoufficialmente al pubblico, prima a Lucerna e poi a Lugano,l’ottavo volume del dizionario. Quest’ultimo libro contienetremiladuecentosette voci, da “Luigi” a “Napoli”. Assiemeai nomi di personaggi, di luoghi e di tematiche di grande ri-levanza per la storia del nostro paese, da Mazzini a Napo-leone, da Milano a Napoli, da Mercato a Mobilitazione,appare anche la voce Madonna del Sasso. Al nostro san-tuario è stata riservata un’attenzione particolare rispetto adaltri luoghi di culto, pur significativi per la storia del cantoneTicino. Fra i diversi motivi che possono aver favorito l’inse-

rimento della voce Madonna del Sasso nella monumentaleopera storiografica figurano certamente la struttura delcomplesso (chiese, Sacro Monte e convento), il suo svi-luppo nel corso dei secoli, l’importanza da esso assuntanella storia della Diocesi di Lugano, i monumenti d’arte cu-stoditivi e l’innegabile attrattiva turistica che il luogo con-tinua a suscitare.

Il complesso della Madonna del Sasso si estende attual-mente sul comprensorio di tre comuni confinanti: Orselina,Muralto e Locarno. Il frate conventuale, Bartolomeo daIvrea, che dal 1480 iniziò a vivere come eremita sul Sassosopra Locarno, apparteneva alla fraternità del cittadino con-vento di san Francesco, un complesso e una comunità con-ventuali molto significativi sia per la storia della diffusionedell’Ordine francescano, sia per le vicende storiche dellacittà di Locarno, sia per lo sviluppo del santuario della Ma-donna del Sasso. Fra Bartolomeo trascorrerà gli ultimi tren-t’anni della sua vita sul Sasso sopra Locarno, iniziando e

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portando a termine alcune strutture edili. In quello stessoperiodo, per iniziativa del frate francescano BernardinoCaimi, a Varallo Sesia veniva edificato il primo Sacro Montedella storia, che servirà da prototipo per le altre simili strut-ture sorte in seguito in Piemonte e in Lombardia (le princi-pali: Crea, Orta, Varese, Domodossola, Ghiffa, Arona,Oria-Valsolda, Ossuccio,Oropa, Graglia; per la no-stra regione ricordiamoanche Brissago). La co-struzione ai piedi delSasso sopra Locarno dellachiesa dedicata all’An-nunciata e la sua consa-crazione (1502), ancoravivente fra Bartolomeo,accredita l’ipotesi se-condo la quale fin dagliinizi si fosse pensato adun Sacro Monte ancheper il complesso locar-nese. Di fatto esso, nelcorso dei secoli, si è svi-luppato ed è diventato apieno titolo una di questestrutture, attualmente an-noverata tra quelle princi-pali sopra ricordate.

Tra le diverse opere d’arteconservate nel santuario,ne andrebbero annoverateanche due legate agli al-bori della sua storia, unadi indiscusso valore arti-stico, l’altra di fondamen-tale importanza per ladevozione mariana. L’an-cona lignea detta “della Pietà”, ma anche della “Deposi-zione dalla Croce” o “del Compianto”, è indicata esistentegià nel 1487, anno nel quale venne consacrato il sacelloche la custodirà. L’opera, ora concordemente assegnata allabottega milanese della famiglia De Donati, è stata oggettodi un minuzioso restauro: ha lasciato il santuario e vi ritor-nerà nella primavera del prossimo anno, dopo che sarà stataesposta anche alla pinacoteca Züst di Rancate. La statua li-gnea della Madonna del Sasso, è probabilmente pure deglianni 1485/87. Il suo pregio artistico è difficile da valutare,ma il suo valore per la devozione mariana nella nostra Dio-cesi continua ad essere considerevole, soprattutto dopo la

Grande visita del 1949, come lo ha dimostrato anche loscorso 6 settembre la commemorazione del 60° anniver-sario di quello storico avvenimento. Tra i libri conservatinella biblioteca conventuale spiccano i quattro codici mi-niati trecenteschi provenienti dal convento di san France-sco, che negli scorsi anni il Cantone ha fatto restaurare.

Dalla primavera del 2009 si sta scrivendo una nuova im-portante pagina della storia del santuario della Madonnadel Sasso. È infatti iniziata la seconda fase di un programmadi lavori di restauro che interessa l’intero complesso, dal1848 di proprietà del Cantone. Sia la chiesa dell’Annun-ciata sia la chiesa principale dell’Assunta sono attualmentechiuse al pubblico. La statua della Madonna del Sasso è cu-stodita in una cappella provvisoria, nella quale si svolgonoanche le funzioni religiose. Alla fine del 2011 l’intera strut-tura, completamente restaurata, sarà di nuovo e più co-modamente accessibile da parte dei fedeli e di tutti i suoiinnumerevoli estimatori.

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Bigorio alto luogodello Spirito

Se uscendo dalla galleria dal Gottardo arrivi nella pianadi Ambrì e ti sfugge l’occhio sulla montagna a sinistra,vedi un caseggiato fatiscente; è un ex-sanatorio, da

anni chiuso perché la malattia che ivi si curava - la tuber-colosi - nel nostro paese è ormai scomparsa. Se passi lungoil piano di Magadino e guardi sempre verso la montagnatrovi un altro caseggiato che un tempo era sanatorio perbambini, ora adibito ad altri scopi. Le malattie del corpopossono scomparire, mentre le malattie dell’anima arri-schiano di peggiorare. Ecco perché chi viene dall’Italia,giunto al piano del Vedeggio può vedere in mezzo ai boschiuna casa dalle armoniche proporzioni settecentesche, nonè un sanatorio del corpo, eventualmente dell’anima, è ilconvento di Bigorio, la prima residenza dei Frati Cappucciniin Svizzera che, quando fu aperta al pubblico fu definitaun “Alto luogo dello Spirito”.Quante persone in questi… anni hanno rifocillato e rin-francato il proprio spirito a Bigorio! Oggi, queste cure sonoquanto mai necessarie, perché i bacilli del materialismo edella superficialità si fanno sempre più aggressivi. Perciòluoghi come Bigorio sono preziosissimi e sono apprezzatida tutti coloro che sentono la necessità di momenti di spi-ritualità, indipendentemente dal proprio credo religioso. I frati cappuccini - che non per nulla si chiamano “frati”,quindi fratelli - accolgono nel limite delle loro possibilitàtutte quelle persone e gruppi desiderosi di momenti, o di si-lenzio o di dialogo, aiutandoli a compiere cammini inte-riori, magari intercalati con comminate nei boschi vicini, aldi fuori del baccano cittadino e dalle preoccupazioni delproprio lavoro quotidiano. Ecco perché a Bigorio si tengono dei corsi di silenzio, du-rante i quali i partecipanti sono invitati, attraverso stimolidiscreti, a vivere momenti interiori. Si organizzano giornatedi meditazione per apprendere delle tecniche particolari,suggerite anche da altre religioni. Non mancano corsi e in-contri di cultura religiosa, quelli su Gesù, i suoi miracoli ele sue parabole, dove oltre ad esposizioni aggiornate si di-scute e dialoga nell’assoluto rispetto delle idee di ciascunpartecipante. Corsi su arte, su musica sacra.Dall’inizio dell’apertura del convento si tengono incontriper fidanzati in preparazione al sacramento del matrimo-nio, per aiutare le giovani coppie ad affinare il proprio spi-rito aiutandole ad arricchirsi interiormente per poi donarsivicendevolmente nell’ambito di una vita che domanda con-sonanza ed unità di ideali e di intenti.Per questa sua attività Bigorio è quasi un “unicum” nel Ti-cino e resta la dimostrazione di come si può vivere oggi lapovertà francescana, che non consta nella scarsezza deimezzi, ma nell’offerta dei propri ambienti per vivere - inmodo laico - quelle giornate ed esperienze che una volta i

frati passavano in un antico convento così suggestivo e sti-molante per delle ascensioni spirituali. Il complesso è cu-rato, le piccole celle sono rimaste come un tempo, identicoè il refettorio conventuale, il coro. Sono state approntatesale per esposizioni dotate di tutti i più moderni mezzi tec-nici di comunicazione. Ed oltre alla chiesa conventuale aperta al pubblico, una cap-pella interna di grande gusto per le celebrazioni particolari.Bigorio, per fare paragoni francescani, assomiglia alle carcerisopra Assisi, alle Celle di Cortona, a La Verna sull’Appen-nino Toscano. Per molti ticinesi ed anche esteri è un luogonoto, perché vi hanno già passato momenti importantidella loro vita. Per altri è un ambiente tutto da scoprire; selo vogliono fare .... anche per mezzo di internet...

Per informazioni su queste giornate, ci si può rivolgere allasegreteria del convento al numero 091 943 12 22, in orarid’ufficio oppure visitare il sito www.bigorio.ch

Vi presentiamo le proposte che il convento offre a partire dal mese di settembre:11 Giornata di studio sui simbolisettembre nell’arte cristiana

dalle ore 10 alle ore 15.30, animatore Don C. Premoli, storico dell’arte

25 e 26 Le Parabole di Gesùsettembre dalle ore 9 di sabato alle 14 di domenica,

animatore Fra Callisto

9 e 10 Meditazione cristiana ottobre dalle ore 9.30 del sabato alle 17 di domenica,

animatore Fra Andrea

13 e 14 I Miracoli di Gesù novembre dalle ore 9 di sabato alle 14 di domenica,

animatore Fra Callisto

20 e 21 La riscoperta del silenzio novembre dalle ore 11.30 di sabato alle 17 di domenica,

animatore Fra Roberto

27 Giornata di studio sui simboli novembre nell’arte cristiana

dalle ore 10 alle ore 15.30, animatore Don C. Premoli, storico dell’arte

4 e 5 Meditazione cristiana dicembre dalle ore 9.30 del sabato alle 17 di domenica,

animatore Fra Andrea

18 e 19 In cammino verso la Culla dicembre dalle ore 16 di sabato alle 14 di domenica,

animatore Prof. Vaccani

Vi presentiamo le proposte che il convento offre a partire dal mese di settembre:

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Ritiro spirituale a Bigorio

Momento forte per i francescani secolari

Il convento di Bigorio e il ritiro spirituale di Quaresima hannoun posto particolare nel cuore dei francescani secolari. Illuogo, immerso nel silenzio, nella pace, nella natura impa-reggiabile che lo circonda, invita alla meditazione e alla pre-ghiera, all’incontro con Dio. Il momento, quello del tempoquaresimale, dove ognuno si concentra sulla grandezza delsacrificio di Gesù sulla croce, invita a fermarsi e a renderciconto dell’immensità del suo amore per noi. Tutto questounito alla gioia di incontrare tante persone care, che magarinon si vedono da tempo, fedeli all’appuntamento a Bigorio,dove si fa l’esperienza di essere famiglia francescana. Que-st’anno, dal 5 al 7 marzo, era con noi Padre Mario Bongio,della Fraternità dei cappuccini di Cerro Maggiore di Lombar-dia, il quale ci ha parlato delle Beatitudini. Lo ha fatto inuna maniera particolare perché, sostiene, le Beatitudini par-lano da sole, non hanno bisogno di commento. Ha iniziatocol farci conoscere ciò che sta intorno, cioè “la cornice”: illuogo, il protagonista, le folle, i discepoli.Le Beatitudini si collocano all’inizio del Discorso della mon-tagna, quella parte di Vangelo che “dà corpo alla nostravita di cristiani”. È il primo elemento da cogliere, quindidobbiamo anzitutto ricuperare il contesto del Vangelo. Percomprendere è necessario: proclamare – ascoltare concalma – far risuonare il testo nel nostro cuore. Il testo par-lerà da solo. Le Beatitudini sono contenute nei Vangeli diMatteo e di Luca, ma parliamo segnatamente di Matteo.Lui era ebreo e si rivolgeva alla sua comunità, quindi perfarsi capire usa tutti gli strumenti della cultura ebraica. Mat-teo vede in Gesù il nuovo Mosé e vuole spiegare che il Van-gelo supera la Torah. La giustizia dei farisei era fondata sui10 comandamenti. Essi non sono affatto aboliti, Gesù è ve-nuto per farne il compimento. I personaggi di questa paginadi Vangelo sono quindi Gesù, il Maestro, il protagonista,poi le folle, affascinate dai suoi discorsi e dai miracoli (mapoi si sa come andò a finire), infine i discepoli, che chiamòaccanto a sé. Ecco un primo insegnamento per noi: per ca-pire il Vangelo non basta una fede superficiale (quella dellefolle), ma bisogna che ci sia la fede che scaturisce da unadecisione, da una volontà. Gesù chiama quali primi disce-poli Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni, quelli che gli sta-ranno più vicini sempre, anche se uomini deboli anche loro. Il discorso della montagna è conosciuto anche fuori dal cri-stianesimo. Per comprenderlo non bisogna fare tanti ragio-namenti: basta proclamarlo, ascoltarlo, sentirne l’eco,lasciarlo lievitare. Allora il discorso “parlerà” e capiremocosa fare. Diventeremo come i discepoli, uomini del Si-gnore, anche quando ci sarà chiesto di portare la croce. Bi-sogna però che siamo capaci di staccarci da quello che è

superficiale (pensiamo al significato del “togliersi i sandaliprima di entrare nella sinagoga” praticato dagli ebrei).La nostra non è una religione “del Libro” ma è la religione“di una persona”: Gesù Cristo. Egli ci insegna ad essere po-veri di fronte a Dio, con la nostra adesione di fede, con lapresa di coscienza di ciò che siamo. Dobbiamo stare da-vanti a Dio con atteggiamento di figliolanza, dipendenti dalPadre: se il Padre non ci aiuta, da soli non possiamo fareniente. Comprendiamo questo se guardiamo ai piccoli, aipoveri, agli ultimi. Egli ci insegna ad essere miti, in un mondo dove regna laviolenza, l’arroganza, la prepotenza. La libertà di spirito, lasemplicità della vita e la bontà e la tenerezza sono i modiper vivere la mitezza. Egli ci insegna la giustizia del Regno, che è salvezza e mi-sericordia. È Dio che ci salva nonostante la nostra debo-lezza. È una giustizia che rende giusto chi è fondamen-talmente ingiusto.Egli ci insegna la purezza, cioè la semplicità interiore. Dob-biamo imparare a vedere Dio, vedere il Suo volto nella na-tura, nel creato. Qui san Francesco è maestro, soprattuttose pensiamo che ha scritto il Cantico delle creature quandoera cieco e non riusciva più a camminare…Egli ci insegna ad essere portatori di pace. Dovremmo es-sere professionisti alla scuola di san Francesco. Il suo saluto“Il Signore ti dia Pace” vuol dire il Signore sia con te, lapace di Dio io la do a te. Ma la pace si costruisce, non vieneda sé. Gesù ha detto: “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace”,non la pace del mondo, ma la Sua. Questa pace porta ve-rità, giustizia, perdono.

San Francesco è l’uomo del Vangelo, l’uomo del Discorsodella montagna, l’uomo delle Beatitudini. Egli parla abbon-dantemente delle Beatitudini nei suoi scritti. Sono citatinelle Ammonizioni (da 162 a 178), nella Lettera a un mi-nistro e in diversi altri suoi scritti.

Riportiamo solo un esempio, l’Ammonizione XXVII:Dov’è amore e sapienzaIvi non è timore né ignoranzaDov’è pazienza e umiltàIvi non è né ira né turbamentoDov’è povertà con letiziaIvi non è né cupidigia né avariziaDov’è quiete e meditazioneIvi non è né affanno né dissipazioneDov’è il timore del Signore a custodire la sua casaIvi il nemico non può trovare via d’entrata,Dov’è misericordia e discrezione,ivi non è superfluità né durezza.

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Bisogna ritornare alla purezza del Vangelo e di san France-sco. Quel san Francesco dei Fioretti che disse: “… Dio nonha trovato più vile creatura sopra la terra e perciò ha elettome per confondere la nobiltà , la grandigia e la fortezza ebellezza e sapienza del mondo acciò che si conosca cheogni virtù e ogni bene e da lui e non dalla creatura e nes-suna persona si possa gloriare nel cospetto suo, ma chi sigloria si glorii nel Signore a cui è ogni onore e gloria ineterno”. Quel san Francesco che chiese: “O, Signore, duegrazie ti prego che tu mi faccia prima che io muoia; la primache in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quantoè possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù sostenesti nel-l’ora della tua acerbissima passione ; la seconda che iosenta nel cuore mio, quanto è possibile, quell’eccessivoamore del quale tu, Figliolo di Dio, era acceso a sostenerevolentieri tanta passione per noi peccatori”. San Francesco ha cercato di fare proprio il mistero di GesùCristo, carne della sua carne, vita della sua vita. È un uomoattaccato alla terra. Ci insegna la strada del Vangelo, quelloche vien fuori dal Discorso della montagna. San Francescoha vissuto le Beatitudini, soprattutto la prima (beati i poveridi spirito, cioè quelli che sono poveridi fronte a Dio: Dio affiderà a loro ilsuo regno). Il Signore gli ha veramenteaffidato il suo regno. Umiltà, semplicità,povertà, gli sono state maestre. Egli havissuto il discorso della montagna nelletre dimensioni: preghiera – digiuno –elemosina. San Francesco ha vissuto inmodo particolare la Beatitudine del per-dono, guardiamo ad esempio la Lettera

ad un ministro. Senza perdono, non c’è giustizia; è il per-dono che fa il primo passo, come fa Gesù sulla croce, comefa san Francesco con la sua comunità. Il perdono è ciò chetiene in piedi le nostre Fraternità, dove il perdono diventapazienza, sopportazione, patimento.San Francesco, uomo di pace. Pace con Dio, con gli altri,con te stesso. San Francesco, uomo della gioia. La gioia delVangelo, che passa attraverso la croce. La gioia, la letizia,la gloria, la speranza passano attraverso la croce. Le coseche valgono sono quelle che costano di più. È sulla croceche il mistero si compie nella sua pienezza. Padre Mario, nei due giorni passati a Bigorio, ci ha fattocomprendere la bellezza di vivere le Beatitudini. Ora ciaspetta il “compito a casa”, come ha detto lui. Perciò, ri-mettiamoci i sandali, ritorniamo sulla terra, rinnovati nelcuore però. Vangelo e Fonti francescane sul comodino, cer-chiamo ogni giorno la parola, l’insegnamento, perché tuttoquello che durante il ritiro ci ha fatto comprendere cosa èla felicità, possiamo arrivare a sentirlo e sperimentarlo nelquotidiano. Quel quotidiano che è la nostra famiglia, la fra-ternità, la parrocchia, il posto di lavoro.

Un grazie di cuore a Padre Mario.Speriamo vivamente che sia con

noi anche l’anno prossimo. Gli ab-biamo espresso un desiderio: dopoaverci parlato delle Beatitudini, ciparli della preghiera del Padre No-stro. Un invito quindi per tutti noi:all’anno prossimo !

Franca Humair

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Tau simbolofrancescano

Frequentando i testimoni della Tradizione, in particolare quelli che hannoinfluenzato tutto il Medioevo, siamo diventati più capaci di compren-dere la devozione al Tau che animava S. Francesco. La sua è una de-

vozione non solo alla croce, ma a tutta la missione del Cristo, che si esprimeattraverso questo segno simbolico.

Il Tau è per lui certezza di salvezza (a causa della vittoria di Cristo sul male).A tal punto che, quando Fra Leone conosce il dubbio sul proprio destinoeterno, S. Francesco, per mezzo di questa lettera, il Tau, gli rende la spe-ranza.

Il Tau è per lui l’universalità della salvezza. “Attraverso la tua santa crocetu hai riconquistato il regno dei cieli”: questo è il finale della preghiera che isuoi fratelli e lui recitavano ogni volta che notavano “una croce o un’im-magine di una croce sul suolo, su un muro, sul tronco di un albero o in uncespuglio trovato lungo il cammino”.

Il Tau è per lui il simbolo di conversione permanente e di spoliazione totaledai beni terreni. Convertirsi, lasciarsi segnare dal Tau, è farsi poveri. Così,in una bella Laude, i fratelli dicono a Sora Povertà: “ tu eri con Gesù sottole urla degli ebrei, sotto i fischi e gli sputi, sotto i colpi di frusta; fin sullacroce, hai subito la tortura con lui. Ma alla fine, quando salì al cielo, egli tilasciò (il Tau) il sigillo del Re dei cieli per segnare gli eletti, affinché chiun-que aspiri al Regno eterno venga a trovarti e a supplicarti di esservi am-messo: perché non si può entrarvi se non segnati dal tuo sigillo”.

Il Tau è per lui un impegno necessario e di servizio verso gli altri, perché ri-corda che il Signore si è, lui stesso, fatto servitore fino alla morte. Francescosarà dunque, pure lui, servitore di Dio e servitore dei suoi fratelli, in tutte lesue azioni, nella preghiera come pure nella predicazione.

Il Tau, infine, è per lui segno della bontà e dell’amore di Dio; è il suo titolodi gloria e la sorgente della sua gioia perfetta.

Forse S. Francesco ha talvolta cantato, applicandolo a se stesso, questa strofadi un inno latino del XII secolo: “Marchiato dal Tau, segno di vita, prova chesi vuole servitore del Crocefisso”. Avrebbe comunque apprezzato l’allusionea questo profondo mistero e alla più lontana tradizione, inserita in un innomoderno, e avrebbe cantato con tutto il cuore:

Le vostre fronti sono segnateCon segni sacri:Le parole Gesù e vittoria !

(In corsivo, traduzione in italiano di un testo tratto dal libro “Le Tau” di Damien Vorreux, ed. Franciscaines, Parigi, 1977)

La croce del Tau prende il nomedalla lettera greca T, Il Tau, di cui ricalca la forma.

Ma in realtà è un simbolo dellastoria molto interessante cheaffonda i suoi più reconditisignificati all’alba delle civiltà cosìcome le conosciamo noi e cheattraversa gran parte della cultura edella fede occidentale.

Nel Medioevo al segno di Dio vienedato la forma della “T” greca, ancheperché é quella della vera “croce”.Rintracciandolo nei passi biblici, visi leggeva l’ennesima profeziadell’incarnazione di Cristo e del suomartirio per mezzo della croce. La “croce”, intesa come strumentod’esecuzioni capitali dei Romani, era formata da due elementi. Il primo era lo “stipes”, il paloverticale che generalmenterimaneva sempre piantato sul luogodestinato alle esecuzioni. L’altro elemento era il “patibulum”,ovvero il braccio orizzontale che fulegato sopra la schiena, agli omeri,alle braccia e ai polsi del Cristo eportato faticosamente lungo la “viadolorosa”. Il condannato veniva poi issato sulpalo verticale assieme al“patibulum” ed in questo modo lacroce assumeva la forma di unagigantesca e terribile lettera “T”.

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“Padre santo, Tu hai voluto che il tuo unico Figlio,autore della vita, medico dei corpi e delle anime,prendesse su di sé le nostre infermitàper soccorrerci nell’ora della provae santificarci nell’esperienza del dolore.Nel segno sacramentale dell’Unzionemediante la preghiera della Chiesa,ci purifichi e ci sollevi con la grazia dello Spiritoe ci rendi intimamente partecipi della vittoria pasquale.

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Missionario e capomastroentusiasta

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Nelle prime ore di mercoledì 5maggio 2010 all’ospedale LaCarità di Locarno, dopo un

breve periodo di degenza, conclu-deva la sua lunga e fruttuosa giornataterrena padre Alberto Weingand.Originario di Meienberg (AG), era

nato l’11 gennaio 1911 nella Frauen-klinik di Zurigo. Figlio di Karl e Cri-stina, nata Fäh, veniva battezzatocon il nome di Josef. Aveva due so-relle e tre fratelli. La madre Cristinamorì nel 1915 e il piccolo Josef venneaccolto nell’orfanotrofio di Walter-swil. Come chieri- chetto vi conobbeanche il cappuccino padre Antonioda Obervaz, candidato per la Mis-sione delle Seychelles, che lo indi-rizzò verso il Seminario francescanominore di Faido. L’otto settembre1924 il giovanissimo Josef attraver-sava per la prima volta il tunnel delsan Gottardo e per lui, in quel giorno,

ebbe inizio anche il periodo della for-mazione alla vita religiosa. Alla finedel mese di luglio del 1928 a Cesenaricevette l’abito cappuccino e comin-ciò il noviziato con il nome di frateAlberto. Tornato in Svizzera l’annoseguente, nel convento di Luganoiniziò gli studi di filosofia e di teolo-gia, necessari per diventare presbi-tero. Monsignor Angelo Jelmini loordinò sacerdote il sei dicembre1936. Dopo l’ordinazione fu dap-prima predicatore a Lugano, trascorsepoi un breve periodo nell’ospizio(convento) di Mesocco. In queglianni si stava costruendo l’ospizio(convento) di Bellinzona. Non ap-pena i lavori furono conclusi, padreAlberto venne assegnato alla nuovafraternità di stanza nella capitale. Nel1940 fu trasferito al santuario dellaMadonna del Sasso. In alcune suenote autobiografiche scriveva:“…mio padre era carpentiere. Mi ri-cordo di una volta che mi prese consé sul cantiere di una nuova grandecostruzione ed io, come un ometto,aiutai a spostare un gran numero ditegole; gli operai ne ebbero un granpiacere e mio padre fu probabilmentefiero del suo figlioletto. Credo puredi aver ricevuto una piccola paga peril lavoro prestato…”. I confratelli chenegli anni Quaranta e Cinquanta eb-bero padre Alberto come confratelloo come superiore, testimoniano con-cordemente che il lavoro manuale,soprattutto la carpenteria, suscitavain lui grande interesse. Numerosi fu-rono i lavori edili da lui avviati ed ese-guiti in quegli anni nei nostriconventi di Orselina e di Lugano. Distanza alla Madonna del Sasso padreAlberto visse uno dei momenti piùintensi e più significativi della sua at-tività pastorale nella nostra Diocesi.Abbiamo avuto l’occasione di ricor-darlo in modo particolare l’annoscorso, anche sulle pagine di questarivista (cfr. Messaggero 6 e 7). Dal 3

marzo al 3 luglio 1949 padre Albertofu infatti uno dei sacerdoti che com-ponevano il gruppo dei missionaridella Madonna Pellegrina durante lasua Grande Visita alla nostra Diocesi.Al termine di una rievocazione re-datta a cinquant’anni dall’evento,padre Alberto scriveva: “Il ricordodella Grande Visita della nostra Ma-donna del Sasso, cui ho potuto par-tecipare come membro attivo èindelebilmente impresso nel miocuore, e non mi resta che incontrarlain cielo e intonare insieme agli altrimissionari, che mi hanno precedutolassù, l’inno della nostra gioiosa eperenne gratitudine” (cfr. Messag-gero 5/99). Negli anni immediata-mente successivi a quellasingolarissima esperienza “missiona-ria”, il confratello chiese di potersi re-care in Missione per soddisfare ancheun desiderio sorto nel suo animo finda giovinetto. I superiori non accon-sen- tirono alla sua domanda e gli or-dinarono invece di assumersi ilcompito di guardiano (superiore delconvento) prima alla Madonna delSasso e poi a Lugano. Solo agli inizidegli anni sessanta gli venne con-cesso di esaudire il suo giovanile de-siderio. “L’11 gennaio 1962,” annota

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nel suo curriculum vitae, “col trenodiretto, sul quale mi aspettavano altriquattro missionari, iniziai il viaggioper raggiungere via mare il Tanga-nika, diventato poi Tanzania. Vi la-vorai fino all’inizio dell’Anno santo2000. Campo privilegiato fu natural-mente il lavoro pastorale. Quantiviaggi lunghi e lunghissimi sotto unsole cocente per raggiungere paesi epaesetti per l’istruzione catechistica,Confessioni e s. Messe. Ebbi anchel’incombenza di predicare i santiEsercizi spirituali ai padri Passionisti,Benedettini, Cappuccini per duevolte, alle suore di Baldegg e del pre-ziosissimo Sangue in diverse dimore:e ciò in italiano o tedesco o kiswa-hili. Non trascurai il lavoro materiale:diressi il lavoro per la costruzione abimis di due parrocchie, mi impegnaia restaurare e sistemare parecchiechiese a stregua della nuova liturgia.E in tutta questa attività non fui ri-sparmiato dalla malaria che dà colpisensibili alla salute.”Nei quarant’anni trascorsi in terraafricana padre Alberto ebbe quindimodo di coltivare, oltre alla sua vo-cazione missionaria, anche l’altra suapassione giovanile, la carpenteria.Bruder Arthur Hauser visse con lui a

Rhotia negli anni Settanta. Entrambivi giunsero nel 1973, come primicappuccini nella Diocesi di Mbulunel nord della Tanzania, nelle vici-nanze del parco nazionale del lagoManyara e Ngorongoro. A propositodel nostro confratello riferisce BruderArthur: “Alberto era un capomastro.Ha costruito la chiesa rotonda, conla nota statua della Madonna delSasso, poi la casa parrocchiale, lacasa delle suore e il piccolo ospedale(dispensario e maternità). Era capo-mastro con anima e corpo. Nel suolavoro non trascurava però la vita spi-rituale: breviario, corona del Rosarioe Via Crucis. Nella pastorale era sem-pre pronto a dare una mano. Predi-cava tutte le domeniche, a volteanche in stazioni esterne. La genteche lo conosceva con il nome diAkobori, che significa barba lunga, loamava. Quando i lavori di costru-zione a Rhotia furono conclusi, sitrasferì a Dawdi (1981), da BruderWendelin Hasler, per continuare lasua attività di capomastro.”Agli inizi dell’Anno santo 2000,padre Alberto, oramai sulla soglia deinovant’anni, fece ritorno in patria.Scelse di fare parte della fraternitàdella Madonna del Sasso. Molte coseerano nel frattempo cambiate sia nel-l’attività ministeriale sia nei fabbri-cati. Negli anni Sessanta c’era stato ilConcilio Vaticano II e alla fine deglianni Settanta il restauro del santua-rio. Nonostante la sua anzianitànegli ultimi dieci anni padre Albertoha dato ancora moltissimo alla fra-ternità e ai fedeli del nostro santua-rio. Vivendogli accanto in questotempo ho potuto constatare comenon di rado affiorasse nella suamente, nel suo sguardo, nelle sue pa-role un nostalgico ricordo degli anniin cui era stato capomastro e guar-diano alla Madonna del Sasso. Spe-riamo che il Signore gli consenta oradi seguire e benedire dall’alto le no-

stre vicende, soprattutto i lavori di re-stauro in corso in santuario, in modoche, a opera conclusa, possa essernepienamente soddisfatto.

fra Agostino Del-Pietro

Missionario della Madonna Pellegrina

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Sabato: non solo riposo

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Riprendiamo il discorso sulla Bibbiacon Genesi 2, 1-3, interrotto nell’ul-timo numero. Sappiamo che sono letticon piacere perché costituiscono uncommento facile per tutti coloro chedesiderano affrontare la lettura dellaBibbia.

Abbiamo visto nelle puntate pre-cedenti che Dio, secondo l’au-tore biblico, completò la

creazione in sei giorni; ma qualchecosa mancava: con che cosa Dio lacompletò?

Il commento ebraico alla Bibbia dice:“Dio completò la creazione con il sa-bato, giorno del riposo”. Veniamodunque a parlare di un giorno che ci èparticolarmente caro, il sabato, giornofestivo.

Noi cristiani questo giorno lo ab-biamo trasportato, in ricordo della re-surrezione di Cristo, il giorno dopo ilsabato e quel giorno lo abbiamo chia-mato “Dominicus die”, cioè dome-nica. Perciò tutto quello che in questoesposto noi diremo del sabato, dob-biamo applicarlo alla domenica,giorno che - malgrado tutto - rimaneancora sacro.

Per gli ebrei il sacro e il profano si col-locavano l’uno in faccia all’altro inluoghi diametralmente opposti. Seuna cosa era sacra lo era perché avevaabbandonato e allontanato da sétutto ciò che era profano; se una cosaera profana aveva abbandonato e al-lontanato da sé tutto ciò che erasacro. E non esistevano soltanto deitempi sacri, ma anche dei luoghi sacri.

Ma cosa, fondamentalmente, volevadire sacro per un ebreo? Era sacrotutto ciò che apparteneva alla divinità.Nei luoghi sacri l’uomo poteva acce-dere soltanto dopo avere adempiutoriti particolari; doveva per esempio pu-

rificarsi, assumere atteggiamenti ri-tuali, soprattutto non gli era consen-tito introdurvi o farvi alcunché diprofano. Nei tempi sacri doveva dedi-carsi in primo luogo a ciò che esigevala divinità: riti, sacrifici, preghiera.

Ma come l’uomo ha concepito e con-cepisce il sacro? Il primitivo immaginala santità e la sacralità come una forzainvisibile e pericolosa che distruggecolui che impruden- temente entra inrapporto con essa; questa conces-sione primordiale è anche, nei suoitratti più dubbi, espressione diun’esperienza di Dio, vista la divinitàcome ente del tutto diverso ed impre-vedibile, una potenza che assale.

Forse per questo anche oggi ci sonodelle persone - poche in verità almenonelle nostre latitudini - che hanno unaconcezione così terribile del sacro checon difficoltà si avvicinano ad esso econ paura cercano di amministrarlo.Al contrario la maggior parte dei con-temporanei ha quasi bandito il sacro,soprattutto il giorno sacro della setti-mana, la nostra domenica.

E’ ben vero che vi è un comanda-mento di Dio che dice: “Ricordati disantificare le feste”, ma tra tutti i co-mandamenti è certamente uno dei piùtrasgrediti, anche se in alcuni luoghiil “precetto festivo” è difeso anche daleggi civili.

L’uomo occidentale è stato preso dallafrenesia del lavoro, arrivando addirit-tura ad idolatrarlo, per cui un giornosenza lavoro sembra essere un giornoinutile, un giorno sprecato. I nostristressati lavoratori domandano la set-timana corta, ma la domandano, nonper diminuire il lavoro, ma per poterlavorare di più, per dedicarsi a quei la-vori che piacciono, in quanto la mag-gior parte delle persone fa un mestiereche gli è stato imposto dalle circo-

stanze e non scelto dalle propria vo-lontà. Per la verità la settimana cortaserve - e questo è un bene - per ricre-arsi dentro il lavoro dei propri hobby.

Ma che senso ha oggi rispettare,come fece Dio, il giorno del riposo fe-stivo? A mio modesto avviso tre sonogli elementi che dovrebbero caratte-rizzare il giorno sacro.

Il primo è lo stesso riposo: l’uomonon è uno schiavo obbligato a lavo-rare a tutti i costi per far piacere a unpadrone dispotico. L’uomo deve sen-tirsi libero anche di fronte al lavoro edeve interrompere questo lavoro perpoter dedicare il suo tempo, almenouna volta alla settimana, a ciò che glipiace, e ricuperare dentro il piaceretutte quelle forze indispensabili perpoter costruire completamente sestesso. In questo senso il riposo sab-batico o domenicale è rivalutatoanche da chi la domenica mattinadorme un po’ di più, a condizione chenon passi la maggior parte del dì fe-stivo a poltrire sotto le coltri. Inoltrequesto sonno deve essere veramenteriposante e non infastidito dagli in-cubi per ciò che ha fatto il sabato sera,o per ciò che dovrà fare la prossimasettimana.

Il secondo elemento che dovrebbe ca-ratterizzare il giorno festivo è quellodi vivere in comunità. Il lavoro ci portaad essere e a diventare sempre più so-litari; sono pochi i lavori che si fannoin comune e anche quei pochi do-mandano normalmente tale e tantaattenzione da non poter condividerele tue preoccupazioni con il vicinoche ti lavora accanto. Ma soprattuttovanno aumentando i lavori che devifar da solo; l’uomo davanti al compu-ter, che per tutto il giorno compie deigesti meccanici su una piccola tastierae aguzza i propri occhi su un tabulatoluminoso, può essere preso come il

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simbolo della solitudine! Il sabato, eper noi anche la domenica, dovrebbeessere invece il giorno della comunità,il giorno della famiglia per chi è spo-sato ed ha figli, il giorno da dedicarea quei rapporti indispensabili che per-mettono alle persone di scambiarsi leproprie gioie e i propri dolori, il giornodella vita associativa e perché no,anche il giorno dello stadio, il giornodella squadra, il giorno della passeg-giata in montagna, il giorno insommache si passa con gli altri per poter svi-luppare la nostra dimensione sociale.

Soprattutto non va dimenticata laterza caratteristica che permette al sa-bato o alla domenica di essere ancorail giorno sacro. In quel giorno i cri-stiani devono dedicare un po’ ditempo a Dio. Normalmente questotempo lo si indica con la partecipa-zione alla celebrazione eucaristica se-condo il precetto della Chiesa, mapurtroppo questa partecipazione vapiuttosto scemando. Un vero sforzoperché la partecipazione alla Messadomenicale aumenti è certamentequello di migliorare queste partecipa-zioni, rendendole più vive, parteci-pate, coinvolgenti. Assistiamo al fattoche parecchie persona cercano, anchefuori parrocchia, una celebrazioneviva che offra degli stimoli. Certa-mente non si va in chiesa per il cele-brante o per la comunità, ma èaltrettanto vero che sacerdote e co-munità devono essere stimolanti e ac-coglienti. Ma se proprio un cristianonon si sente qualche volta di parteci-pare alla Messa domenicale, o nellasua vita passa un periodo di crisiverso l’istituzione ecclesiastica e versole forme liturgiche, dovrebbe ugual-mente santificare il giorno festivo, me-diante altre iniziative; una fra questepotrebbe essere la lettura di una pa-gina della Bibbia con un suo brevecommento.

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Preghiera, ascolto e senso della vita

Ancora oggi, quando pronunciamo la parola preghiera,la mente corre quasi immediatamente a quello che co-stituisce l’aspetto più appariscente della pre ghiera:

l’aspetto formale, esteriore, fatto di formule, posture, prati-che di pietà, recite, canti, riti, gesti, simboli, ecc. La per-sona che prega molto è la persona che passa lunghe ore inchiesa, che moltiplica gli atti di devozione, che recita moltepreghiere, sia individualmente che con gli altri.Questo aspetto formale, esterno della preghiera ha la suaimportanza e non deve essere sottovalutato, perché quandol’uomo prega è tutta la persona che prega e, quindi, anchel’aspetto formale – fatto di tempi, di luoghi, di for mule, dicontenuti verbali e di pensiero – ha un suo significato. Manon è l’aspetto determinante della preghiera.Determinante e qualificante è soprattutto il cuore. «È ilcuore che prega», si legge nel Catechismo della chiesa cat-tolica (n. 2562). «Se esso è lontano da Dio, l’espressionedella preghiera è vana». E precisa: «Il cuore è la dimora dovesto, dove abito – secondo l’espressione se mitica: dove di-scendo. È il nostro centro nascosto, irraggiungibile dallanostra ra gione e dagli altri; solo lo Spirito di Dio può scru-tarlo e cono scerlo. È il luogo della decisione, che sta nelpiù profondo delle nostre facoltà psichiche. È il luogo dellaverità, là dove scegliamo la vita o la morte. È il luogo del-l’incontro, poiché, ad immagine di Dio, viviamo in rela-zione: è il luogo del l’Alleanza» (n. 2563).Se il cuore è aperto a Dio, allora è possibile l’ascolto. Allorala parola può scendere come pioggia che irriga la terra scre-polata (Ger 31,12), può scaturire dalla roccia come acquazampillante che disseta (Sal 114,18). Ma se il cuore èchiuso all’ascolto, se non è la canna di bambù cava vuotadentro, o la valle di ricettività, la preghiera rimane una sup-plica senza risposta; non raggiunge il cielo di Dio, «più in-timo a noi del nostro stesso intimo». Per comunicare conDio e vivere alla sua presenza occorre, più che parlare, rag-giungere questo intimo santuario del proprio essere, doveDio è presente ed è possibile ascoltarlo (Mt 6,6). Qui, al-lora, la Parola cele brata può essere gustata in tutta la suafragranza.

Pregare è scoprire il senso della vita

Pregare è essere in ascolto. «Io ascolto sempre il Padre»,dice Gesù (Gv 8,49). «Se il mio popolo mi ascoltasse!», èil lamento di Dio davanti a un popolo di dura cervice (Sal81,14). Ma essere in ascolto significa anche sapersi porredegli inter rogativi. È lasciarsi interrogare dalla vita ed è in-terrogarsi su ciò che, vi vendo, incessantemente s’incontrae si sperimenta.Da dove vengo? Dove vado? Quale è il senso della vita? Che

cosa è bene e che cosa è male? Quale è il mio posto nellavita? Che cosa si aspetta Dio da me? Come posso renderepiena e significativa la mia esistenza? Che cosa com portaessere se stessi? Chi sono io? Che cosa è la vita e che cosaè la morte? Quale è il senso recondito di ciò che viviamo?– Sono queste le do mande che alimentano l’intelligenzadel cuore; e sono queste le domande che, attese, nu tronola preghiera e la rendono un fatto vitale e significativo. «Ilsenso della vita, cioè il senso ultimo del mondo, possiamochia marlo Dio» dice Ludwig Wittgenstein. «E la preghiera èimmergersi nel senso della vita».«Gloria Dei vivens homo!», affermava sant’Ireneo: «La glo-ria di Dio è l’uomo vivente!». L’arcivescovo Romero tradu-ceva l’assioma di Ireneo, applicandolo al conte sto socialedell’America latina: «Gloria Dei vivens pauper!»: la pre ghierache dà gloria a Dio è la preghiera che trasforma il cuore e il-lumina l’in telligenza dell’uomo, che affranca il povero dallasua schiavitù e il ricco dalla tirannia del suo egoi smo.Ma l’uomo che si affranca dalle proprie schiavitù, l’uomoche si conquista degli spazi di libertà e impara a vivere, èl’uomo che interroga la vita e interroga se stesso; e, inter-rogando, impara ad ascoltare e a comunicare con il sensodelle cose.Purtroppo – affermava già padre Tillmann – nella nostrasocietà contempora nea «l’io superficiale deve pensare amille cose, mentre l’Io profondo – quello che nasce e si svi-luppa in noi in virtù del silenzio che interroga e ascolta lavita – intristi sce e muore».

Un insegnamento antico

Quanto si è appena detto, costituisce un messaggio anticosulla preghiera. È soprattutto l’insegnamento dei profeti. Lapreghiera è ascolto di Dio che, nel passato, ha «parlatomolte volte e in molti modi ai nostri padri per mezzo deiprofeti» e, «in questi ultimi, ha parlato a noi per mezzo delFiglio» (Eb 1,1). Ma – e ce lo ricordano proprio i profeti –Dio è anche colui che continua ad interpellarci attraversoquelle Sacre Scritture che sono le nostre reali situazioni divita e dell’umanità. Sono note le invettive dei profeti con-tro tutte le forme di culto che non sono ascolto di Dio edella sua volontà nel qui e ora concreto dell’esistenza. Forseil testo più robusto e incisivo è quello riportato da Isaia nelprimo capitolo del suo libro.Dice il Signore: «Cielo e terra, fate attenzione a quel chesto per dirvi. Ho cre sciuto dei figli, ma essi si sono ribellaticontro di me. Ogni bue riconosce il suo padrone e ogniasino chi gli dà da mangiare: Israele, mio po polo, non com-prende, non mi rico nosce come suo Signore. Guai a voi,gente malvagia, popolo carico di peccati, razza di delin-

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quenti, figli corrotti. Avete abbandonato il Signore. Avete ri-pudiato il Santo d’Israele, gli avete girato le spalle!». Isaia prosegue invitandoci ad ascoltare «quel che il Signoresta per dirvi, ascol tate quel che il nostro Dio vuole inse-gnarvi». Ossia: «Non m’importa dei vostri numerosi sa cri-fici: voi mi of frite pecore e le parti grasse dei vostri montoni.Non so cosa farne del san gue di tori, di agnelli e di capretti.Quando venite a rendermi culto, chi vi ha chiesto tutte que-ste cose e la confusione che fate nel mio santuario? Le vo-stre offerte sono inutili. L’incenso che bruciate mi dànausea. Non posso soppor tare le feste della nuova luna, leas semblee e il giorno di sabato, perché sono accompagnatidai vostri peccati. Mi ripugnano le vostre celebrazioni: perme sono un peso e non rie sco più a sop portarle. Quandoalzate le mani per la pre ghiera, io guardo altrove. Anche sefate preghiere che durano a lungo, io non le ascolto, perchéle vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi,basta con i vostri crimini. È ora di smetterla di fare il male,imparate a fare il bene, cercate la giustizia, aiutate gli op-

pressi, pro teggete gli orfani e difendete le ve dove. Ma siachiaro – dice il Signore – anche se per i vostri peccati sieterossi come il fuoco, vi farò diven tare bianchi come la nevee puri come la lana. Se mi darete ascolto, mangerete i fruttidi questa terra».Come ho detto, è un testo chiarissimo, robusto, incisivo eforte. Ma è anche un testo aperto. Come sempre nei pro-feti, alla fine lascia spazio alla speranza: «Se mi dareteascolto, anche se per i vostri peccati siete rossi come ilfuoco, io vi farò diventare bianchi come la neve e puri comela lana; mangerete i frutti di questa terra». Concludo con questa preghiera di uno yogin, che dimostradi aver capito meglio di quanto alle volte comprendiamonoi il senso genuino della preghiera che Gesù ci ha conse-gnato, e nella quale ci fa chiedere continuamente a Dio dipoter fare, nel concreto delle nostre situazioni di vita, lasua volontà, cioè il bene, con perseveranza e generosità.

fra Andrea Schnöller

Che io non preghi per essere al riparo dai pericoli ma per poterli fronteggiare senza paura.

Che io non implori la sospensione del mio dolore ma il cuore per vincerlo.

Che io non cerchi alleati nel campo di battaglia della vita ma la mia propria forza interiore.

Che io non brami ansiosamente di venire salvato ma confidi nella pazienza per conquistarmi la libertà.

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Come è cambiata la famiglia svizzera

Gli ultimi dati sull’evoluzione delle famiglie in Svizzera sonoriportati nel rapporto statistico 2008 “Le famiglie in Sviz-zera” dell’Ufficio federale di statistica. Le economie dome-stiche sono più numerose e più piccole: il loro numero si èaccresciuto di due terzi dal 1970 ad oggi, ma la maggior cre-scita è avvenuta nelle economie domestiche di una sola per-sona, mentre il numero di quelle con figli è rimastopressoché costante, e più di metà della popolazione vivetuttora in un’economia domestica con figli. Il matrimonio haluogo più tardi rispetto al passato, in media a 31 anni per gliuomini e a 29 per le donne, così come la nascita del primofiglio, in media a 30 anni per le donne. Complessivamente,oggi nasce la metà dei figli rispetto agli anni ‘60 (si contanocirca 1,5 figli ogni donna rispetto ai 2,1 del 1970), ed au-mentano le donne che non divengono madri. Tuttavia le in-chieste indicano che il numero di figli desiderato è maggioredi quello delle nascite e lo scarto è importante presso ledonne con un buon livello di formazione. Oggi divorzianotre volte più coppie rispetto al 1970 e il doppio di bambiniè confrontato con il divorzio dei genitori: la maggior partedi essi ha tra 5 e 14 anni. La metà circa delle persone di-vorziate si sposa nuovamente, anche se il fenomeno è indiminuzione rispetto agli anni ‘90. Le madri esercitano un’attività lucrativa più sovente rispettoal passato: due terzi delle donne che vivono in coppia e conun figlio sotto i 7 anni sono sul mercato del lavoro, di so-lito a tempo parziale. Rispetto alle economie domestichesenza figli, le famiglie investono nettamente più tempo nellavoro domestico e familiare, e questo onere non è ancorasuddiviso in modo uguale tra uomini e donne. Otto donnesu dieci con figli al di sotto dei 15 anni, infatti, risultano as-sumere di fatto la totalità dei compiti domestici e familiari.Sempre più donne lavorano fuori casa, e ai costi diretti deifigli si aggiunge un effetto indiretto: le ore consacrate allapresa a carico dei figli sono ore di cui i genitori non pos-sono disporre per l’attività lucrativa. Così le famiglie configli dispongono di un reddito minore rispetto alle economiedomestiche senza, anche perché in Svizzera i costi per i figlisono particolarmente elevati. Un terzo delle economie domestiche con figli (il doppio ri-spetto a 10 anni fa) ricorre ad aiuti esterni per la custodia deibambini. Nella metà circa delle famiglie la custodia è affidatain parte ai nonni, ma cresce la quota dei figli presi a caricofuori della cerchia familiare. Il ruolo sociale delle donne èimportante non solo per la cura dei figli: circa un quartodelle persone oltre i 50 anni effettua lavori informali non re-munerati al di fuori della propria economia domestica, e ciòcorrisponde al 44% delle attività di volontariato esercitate in

Svizzera. La cura alle persone anziane rappresenta una parteimportante: circa l’80% delle prestazioni verso gli anzianisono erogate dalle famiglie. Una particolarità della Svizzera consiste nel fatto che una fa-miglia su tre è di nazionalità o di origine straniera; più pre-cisamente, un quarto di esse sono famiglie immigrate, dueterzi sono state fondate in Svizzera o sono famiglie bina-zionali. Numerose giovani donne straniere, senza autoriz-zazione di soggiorno, sono attive nei settori della presa acarico dei bambini, delle cure alle persone anziane e dei la-vori domestici. Infine, le famiglie sono minacciate di povertà in una pro-porzione superiore alla media della popolazione. Ciò valesoprattutto per le famiglie monoparentali e le famiglie nu-merose. Già con il secondo figlio, il rischio di povertà superaquello medio. Complessivamente un quarto delle famigliemonoparentali e un quarto delle coppie con tre figli e più,vivono al di sotto della soglia della povertà. Dal 20% al 30%dei bambini che vivono in famiglie monoparentali dipen-dono dall’assistenza sociale: oggi per più di 70.000 minoribisogna attivare una prestazione assistenziale.(Questi dati sono stati ricavati dall’articolo di Matteo Fer-rari, nel dossier sulla famiglia, pubblicato dal numero 2-2010 de “Il Dialogo”, mensile delle ACLI svizzere).

Novita’ tra protestanti in Svizzera

Su mandato della Federazione delle Chiese evangeliche inSvizzera (FCES), Jorg Stolz, direttore dell’Osservatorio dellereligioni dell’Università di Losanna, ha realizzato uno studiodal titolo “Il futuro dei riformati”. Si tratta di una ricerca cheraccoglie e analizza dati, statistiche e dichiarazioni d’intenti,incrociandoli con le affermazioni ottenute intervistando re-sponsabili ecclesiastici evangelici di tutta la Svizzera. Il ma-teriale raccolto è stato messo in relazione con quelle chesono le previsioni di evoluzione, in generale, per l’insiemedella società elvetica. Le tendenze sono piuttosto chiare: siprevede, per esempio, un cambiamento dei valori di base,un’ulteriore individualizzazione della società, per cui glisvizzeri si costruiranno la propria visione del mondo cer-cando le informazioni di cui hanno bisogno. Per le Chiesequesto significa che sempre meno persone ascolteranno laloro voce. E i pochi che continueranno a farlo saranno so-prattutto i membri più anziani e più poveri della società.Jorg Stolz descrive così il profilo del classico candidato al-l’abbandono della Chiesa riformata: “È giovane, di sessomaschile, istruito, tendenzialmente di sinistra e in una si-tuazione di convivenza”. Chi corrisponde a questo profilodecide con ogni probabilità, a un certo punto, tra i 20 e i 40anni, di abbandonare la propria Chiesa, “…a meno che non

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Appunti di vita ecclesiale

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gli sia stata trasmessa, dai genitori, in gioventù, una visionepositiva dell’istituzione ecclesiastica”. I sociologi parlano di“megatrend” che definisce quella che è prevedibile come laSvizzera di domani, nella quale nel 2040 solo il 20 percentodella popolazione elvetica sarà ancora riformata; oggi glievangelici riformati costituiscono circa il 33 percento. Una speranza può venire alla Federazione delle Chiese pro-testanti svizzere (FCES), o meglio alle 26 Chiese cantonali,dalle oltre 300 “Chiese dell’immigrazione” già esistenti nellaConfederazione e che raccolgono molti immigrati dei piùdiversi Paesi e confessioni evangeliche. Ad esse è stata de-dicata un’inchiesta pubblicata recentemente dalla FCES. Idue autori - Simon Rothlisberger, etnologo e responsabiledel settore ‘migrazioni’, e Matthias D. Wuthrich, teologodell’Università di Basilea, per la prima volta fanno luce sulleforme di organizzazione, il numero e i membri delle Chiesedegli immigranti a livello nazionale. Per lo più sono comu-nità poco organizzate e poco strutturate, con un orienta-mento spesso di tipo pentecostale e carismatico oevangelicale-conservatore. Il fenomeno è largamente diffusoin tutta l’Europa occidentale, come evidenzia un testo diPhilip Jenkins, pubblicato anche in italiano dalla EMI di Bo-logna (“Il Dio dell’Europa. Il cristianesimo e l’Islam in uncontinente che cambia”). Nel quarto capitolo, intitolato“Nuovi cristiani”, il professore statunitense scrive : “La de-scrizione del crollo del cristianesimo trascura la crescita delleChiese degli immigrati tra gli africani, gli asiatici dell’est e ilatinoamericani” (p.135). Per quanto riguarda la Svizzera, ènoto che gli immigrati italiani, spagnoli, portoghesi, croati,ecc. hanno contribuito nel Novecento a dare il primato nu-merico, dopo il 1970, alla confessione cattolica, anche sel’integrazione non è stata facile e neppure ancora completa.Non è da escludere un “rafforzamento” del protestantesimosvizzero con questi contributi; è del resto quanto è già av-venuto in molte comunità in Italia, dove i “nuovi cristiani”sono ormai più numerosi che gli appartenenti alle Chieseprotestanti “storiche” (valdesi, luterani ecc.). Lo studio del professor Jorg Stolz, intitolato “Die Zukunft derReformierten” è pubblicato dal Theologischer Verlag Zürich(TVZ) .

Chiese e media

Due recenti studi hanno analizzato come i media riferisconodelle religioni. Ciò che porta i media a interessarsi delle co-munità religiose sono spesso fatti e avvenimenti per nientepositivi; così l’islam e il cattolicesimo sono molto presenti,spesso però a motivo di avvenimenti negativi, tendenzaconfermata in questi ultimi mesi, sia per i musulmani (que-stione del burka) sia per i cattolici (casi di pedofilia). I pro-

testanti lamentano spesso il fatto di essere dimenticati daimedia, ma in questo caso non è un male…Il primo studio, realizzato dalla ricercatrice Carmen Koch(“Wie Schweizer Medien über Religion berichten”, Com-municatio Socialis, 4/2009), ha analizzato quando e perchéi media parlano di religione. L’indagine è stata condotta nel2008 su quotidiani e trasmissioni televisive e radiofonichenelle regioni di Zurigo e di Losanna. La ricercatrice è giuntaa un risultato chiaro: la maggior parte dei servizi è dedicataal cattolicesimo e all’islam. Il numero di servizi dedicati alprotestantesimo è limitato (13% di 2800 servizi presi inesame). Molto spesso i servizi dedicati alla religione si oc-cupano di aspetti negativi, in modo particolare quando sitratta di religioni non cristiane. Anche il cattolicesimo rien-tra tuttavia in questa categoria: un numero rilevante di ser-vizi è dedicato infatti a casi di preti pedofili. Se si contano iservizi che parlano positivamente della religione, allora ilprotestantesimo risulta in testa (35,4%), davanti al cattoli-cesimo (33,4%), al buddismo (32,4%) e all’islam (30,5%).Del protestantesimo i media parlano raramente in manieranegativa (5% dei servizi analizzati), non così del cattolice-simo (12,7%). Questa classifica è guidata dall’islam, con il22,1% dei servizi. Per la ricercatrice, è possibile che al pro-testantesimo manchi un leader, come il papa dei cattolici,che attiri l’attenzione; così qualche protestante ha auspi-cato la nomina di un “vescovo svizzero”, per questo maanche per altri più seri motivi. La seconda ricerca, condotta da Guido Keel e Vincenz Wyssnel 2008 (“Journalistische Inszenierungstrategien zu reli-giösen Themen”, Communicatio Socialis, 4/2009), si basasu interviste a giornalisti che scrivono e realizzano servizisulla religione. Gli autori hanno interpellato 35 giornalisti di25 diverse redazioni di giornali, radio e TV nella Svizzeratedesca e Romanda. La maggior parte dei giornalisti inter-vistati sostengono che la religione offre scarsi motivi di in-teresse. “Il tema è noioso”, ha affermato un redattore di unatelevisione commerciale. E un altro redattore ha commen-tato: “Quando la Conferenza dei Vescovi svizzeri convocauna conferenza stampa per spiegare quali sono le direttivein vista dell’anno mariano o nell’ambito della pastorale gio-vanile, viene da chiedersi perché mai ci abbiano convocati”.Della religione è più facile parlare, ha aggiunto un altro re-dattore, se si può associare a sesso, violenza, educazione,scuola o politica. Questioni puramente religiose sono in-vece poco interessanti. I giornalisti intervistati ritengono cheil fatto di legare i temi a determinate persone, meglio se co-nosciute, è importante per poter parlare di religione neimedia. L’attenzione dei media è poi assicurata nel caso incui attori religiosi infrangano i principi a cui dovrebbero at-tenersi (è il caso dei preti pedofili). Il fatto che la religione

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non abbia molta importanza per i media è dimostrato, se-condo Keel e Wyss, anche dal fatto che solo le redazioni deimezzi di informazione di servizio pubblico hanno dei re-dattori specializzati sull’argomento. Per assicurare una mag-giore presenza della Chiesa cattolica nei media svizzeri, laConferenza dei vescovi ha attuato una riorganizzazione delsettore informazione, e quest’anno ha lanciato lo slogan“Più buone notizie”. Dal 1. aprile 2010 la Chiesa cattolicasvizzera ha al servizio della comunicazione due nuovi gior-nalisti, uno quale segretario esecutivo della Commissionedei media, e una collaboratrice dell’incaricato all’informa-zione. I vescovi hanno così deciso di dare attuazione alleproposte per migliorare il servizio d’informazione della Con-ferenza episcopale.(Testo rielaborato da “Voce evangelica”, aprile 2010)

Protestanti italiani a Zurigo

La Chiesa evangelica di lingua italiana di Zurigo è nata sulfinire dell’Ottocento, tra gli operai italiani arrivati in città incerca di lavoro. Da quella prima provvisoria comunità, igno-rata dalla Chiesa riformata perché composta da lavoratoristagionali, ma sostenuta da un circolo di pietisti zurighesi,ha preso avvio una storia lunga oltre un secolo e che conti-nua ancora oggi. Quella vicenda è stata ricostruita, con curameticolosa, dall’attuale pastore della Chiesa di lingua ita-liana, Matthias Rusch. Il volume di Rusch, uscito presso il Theologischer Verlag diZurigo, è una vera e propria miniera di informazioni, dinomi, di date, di episodi che contrassegnano il cammino digenerazioni di credenti di lingua italiana (italiani, ma anchesvizzeri, del Ticino e delle vallate meridionali dei Grigioni)che hanno vissuto e lavorato e pregato nella città della Lim-mat. Gli inizi della Chiesa di lingua italiana di Zurigo sono statiumili e difficili, e ci sono voluti cinquant’anni prima che lacomunità trovasse una certa stabilità. È sul finire degli anniTrenta del secolo scorso che il primo pastore valdese di Zu-rigo, Alberto Fuhrmann, imprime alla Chiesa una svolta im-portante: stabiliti contatti franchi e cordiali con la Chiesariformata zurighese, la Chiesa di lingua italiana si trasformain breve da un gruppo chiuso in una comunità accogliente,attenta agli avvenimenti della città e ai bisogni del mo-mento. E mentre la Casa d’Italia diviene la sede dei fascistiitaliani, la Chiesa di lingua italiana si profila come un luogodi libertà, di circolazione di idee, di difesa degli ideali de-mocratici. Vi approdano allora Franco Fortini e altri intellet-tuali antifascisti, e nella sua orbita gravita lo scrittore IgnazioSilone. Un’epoca irripetibile, una breve parentesi di straor-dinaria intensità, che produce nella Chiesa un’ulteriore ma-turazione. Ciò le permetterà di affrontare, con rinnovata

energia, le sfide che si aprono nel dopoguerra. Passata la bufera del conflitto, riprende l’immigrazione dal-l’Italia. Mentre in un primo periodo erano arrivate soprat-tutto persone dal Nord, ora giungono in Svizzera anchemolte persone provenienti dal Sud. La Chiesa di lingua ita-liana si mobilita, offre corsi di formazione per facilitare l’in-tegrazione, trova alloggi e funge da “ufficio dicollocamento” per migliaia di persone. Gli anni Sessanta e Settanta sono caratterizzati dall’inaspri-mento del clima sociale, dal rafforzarsi dello spirito xeno-fobo, dall’ostilità nei confronti degli stranieri. Si apre, nellaChiesa di lingua italiana, un vivace confronto sul tema del-l’integrazione; sono anche gli anni dei legami e contatti traprotestanti italofoni di Lugano, Poschiavo, Vicosoprano, Ba-silea, Zurigo e altre località in tutta la Svizzera. La Chiesa ri-sponde come può alle nuove sfide: alcuni suoi membri siimpegnano anche in campo politico e sociale, assumonoincarichi nelle associazioni per la difesa dei diritti dei lavo-ratori, si impegnano contro le iniziative antiforestieramento.La via battuta non è quella del ghetto e della chiusura iden-titaria, ma dell’integrazione nella società zurighese. A oltrecent’anni dalla nascita, la comunità zurighese di lingua ita-liana è guidata oggi, per la prima volta, da un pastore sviz-zero il quale ha dovuto imparare l’italiano per integrarsi trai suoi parrocchiani. E contrariamente alle aspettative, laChiesa non sta avviandosi verso la propria fine, ma registrasempre nuove adesioni di italiani e svizzeri, cattolici edevangelici, in cerca di una patria spirituale.

Celebrare la creazione

Le Chiese europee hanno deciso, all’assemblea ecumenicadi Sibiu, di dedicare ogni anno un “tempo alla Creazione”:per le Chiese svizzere è stato scelto il periodo dal 1. set-tembre (per le Chiese ortodosse è questa la giornata dellaCreazione) al 4 di ottobre (festa di San Francesco d’Assisi),tempo che comprende anche la Festa federale del ringrazia-mento (Digiuno federale). La Comunità “Chiesa e Am-biente” (in tedesco OEKU), organizzazione ecumenica cuiaderiscono più di 600 parrocchie e molti singoli cristiani,propone quest’anno come tema “La diversità, dono di Dio”,riferendosi a Genesi 1,12: “La terra produsse erba verde, ognispecie di piante con il proprio seme e ogni specie di alberida frutta con il proprio seme. E Dio vide che era bello” (tra-duzione in lingua corrente). Il 2010 è stato anche procla-mato “Anno internazionale della biodiversità”. Purtroppo labiodiversità è minacciata, specialmente per opera dell’uomo:riconciliarsi con la Creazione significa anche proteggere labiodiversità.Per informazioni e sussidi didattici: Oeku, casella postale7449, 3001 Berna; [email protected]; www.oeku.ch

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Il cantico delle creature di San Francescoproposto dallaComunità del Sacro Cuore di BellinzonaCantoria di Giubiasco

Il Cantico delle creature è una preghiera di lode all’Al-tissimo onnipotente e bon Signore ed è anche lo spec-chio dell’anima di Francesco. Lo ha composto negli

ultimi anni della sua vita per testimoniare il suo amoreper le creature del cielo e della terra e quale invito allaconcordia e alla pace.

Questa Sacra Rappresentazione ha per noi un valore ca-techistico: pregare per mezzo delle creature, o per ildono delle creature, vuol dire lasciarsi sensibilizzare sulvalore e il rispetto del creato. Per questo la definiamouna Sacra Rappresentazione “ecologica”.

Abbiamo tratto dalle fonti francescane e in particolaredai “Fioretti” quegli episodi che sintetizzano il signifi-cato spirituale profondo e il messaggio etico ancora at-tualissimo del Cantico.

Dalla profezia che annuncia a donna Pica, madre diFrancesco, la nascita “al mondo di un sole, come faquesto talvolta di Gange” (come disse poi Dante), alla“leggenda delle rose” che narra come, dopo un incon-tro spirituale tra Francesco e Chiara, la neve si sciolse ela terra si coprì “di coloriti fiori ed erba” verde di spe-ranza.

O ancora la strofa detta “del perdono e della pace” èrappresentata da tre episodi. Il primo è quello che lefonti dicono essere all’origine stessa della strofa: unaferoce lotta di potere tra il vescovo e il podestà di As-sisi si risolse quando questi ascoltarono il canto di lodeal Signore “per chi perdona per il tuo amore”. Il se-condo narra della pace che Francesco ottenne tra ilLupo e i cittadini di Gubbio. Col terzo episodio siamoin Egitto, a Damietta, quando Francesco cercò di fer-mare la crociata e, assieme al Sultano, volle costruire lapace tra musulmani e cristiani.

Quale invito a vivere spiritualmente questa Sacra Rap-presentazione facciamo nostre le parole di un profondoconoscitore del Cantico delle creature, fra GiovanniPozzi, che lo definì il canto di “un uomo che concepi-sce il dar lode e gloria a Dio come l’occupazione pri-maria del cristiano”.

Il testo è di padre Callisto Caldelari.La versione musicale di Giuseppe Liberto.La direzione del coro è di Michele Tamagni.La regia è di Matteo Casoni.

Sacrarappresentazione

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sabato 4 settembre ore 20.30 Locarno Chiostro del Santuario della Madonna del Sassovenerdì 24 settembre ore 20.30 Mendrisio Chiesa dei cappuccinisabato 25 settembre ore 20.30 Como Chiesa di Sant’Agatasabato 2 ottobre ore 16.00 Bellinzona Chiesa del Sacro Cuore (giornata francescana)domenica 3 ottobre ore 17.00 Lugano Chiesa Salita dei fratisabato 23 ottobre ore 20.30 Cavergno Chiesa parrocchialedomenica 24 ottobre ore 17.00 Claro Chiesa parrocchialesabato 27 novembre ore 20.30 Faido Chiesa parrocchiale

Calendario autunno 2010

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Rilanciare il dialogo conprotestanti ed anglicani 

Èopinione generale che, nel suoapproccio all’ecumenismo, PapaBenedetto XVI tenda a privile-

giare il dialogo con gli ortodossi, a sca-pito di quello con le Chiese dellaRiforma. Tuttavia, forse per correggereun po’ il tiro, dal 10 al 12 febbraioscorsi si è tenuto a Roma, presso lasede del Pontificio Consiglio per la Pro-mozione dell’Unità dei Cristiani, unsimposio di tre giorni per fare il puntosul dialogo ecumenico della Chiesacattolica con luterani, anglicani, rifor-mati e metodisti. A costituire la basedei lavori è stato il libro del cardinaleWalter Kasper, presidente del dicasterovaticano per l’unione dei cristiani, sulla“raccolta dei frutti” di 40 anni di dia-loghi bilaterali con questi partner e delquale abbiamo già parlato in questa ru-brica (per il momento è uscito solo ininglese, lo scorso anno a Londra, conil titolo “Harvesting the Fruits. BasicAspects of Christian Faith in Ecumeni-cal Dialogue”). Molto interessanti le conclusioni allequali è giunto il convegno. I parteci-panti, pur parlando “onestamenteanche dei limiti della diversità e delruolo della gerarchia delle verità”,hanno ribadito la necessità di una te-stimonianza cristiana comune ad ognilivello e hanno individuato nel “vivereil dialogo ecumenico come uno scam-bio di doni” un nuovo promettente ap-proccio. Al contempo –si legge in uncomunicato – sono state avanzate“proposte concrete volte a promuoverela ricerca dell’unità”. In particolare, si èproposto di stilare una Dichiarazionecomune su ciò che si è conseguito in-sieme ecumenicamente. Tale dichiara-zione, prosegue la nota, “potrebbeprendere la forma di un’affermazionecomune della nostra fede battesimale,comprendente un commento al Credoapostolico e al Padre Nostro”. I parte-cipanti al simposio hanno riconosciutoche “la capacità di organizzare similiincontri è una potenzialità caratteri-

stica di Roma, sottolineando in talmodo l’ampio servizio che il ministeropetrino può offrire all’ecumenismo”.

Il nodo del “subsistit”

Ai lavori ha dato grande risalto laRadio Vaticana, dalla quale ripren-diamo alcune interviste ai partecipanti.Partendo dal forte dibattito che persi-ste intorno al termine conciliare “sub-sistit in”, laddove la Lumen Gentiumafferma che la Chiesa di Gesù Cristo“sussiste nella Chiesa cattolica”, il car-dinale Kasper ha così risposto a chivede l’ecumenismo piuttosto come unritorno alla Chiesa di Roma : “Noi nonvogliamo parlare di un ritorno allaChiesa di Roma ma di una piena co-munione con la Chiesa di Roma: que-sta è un’altra cosa. C’era un grandedisagio su questo documento ma se silegge questo “subsistit in” nel conte-sto dei documenti del Concilio, so-prattutto della Costituzione sullaChiesa al numero 8, si vede che cisono due punti. Un punto è che lapiena realizzazione della Chiesa di Cri-sto è soltanto nella Chiesa cattolica,ma l’altro punto è che ci sono elementiimportanti di ecclesialità anche fuoridalla Chiesa cattolica, in quanto laChiesa di Cristo è presente in modooperante anche fuori dalla Chiesa cat-tolica. Si devono vedere i due punti,non soltanto uno”.Da parte sua, il teologo metodista Ge-offrey Wainwright, co-presidente dellaCommissione internazionale con-giunta per il dialogo cattolico-metodi-sta, si è detto favorevole a unministero universale che unisca i cri-stiani: “Abbiamo scoperto quanto ef-fettivamente abbiamo in comune negliaspetti fondamentali della fede cri-stiana. Per esempio, il metodismo èstato storicamente un movimentomissionario e quindi noi compren-diamo questo aspetto apostolico dellaChiesa cattolica. Tra le maggiori diffi-

coltà, vi sono alcune delle questionistoriche tradizionali che riguardanol’eucaristia o il ministero sacerdotale.Il problema più difficile è la questionedel papato, il ministero petrino. Ov-viamente, per la maggior parte dei pro-testanti ci sono delle difficoltà perquanto riguarda l’affermazione dell’in-fallibilità e dell’autorità del Papa. Perme una delle cose più promettenti èche si possa accettare tutto questo.Perché non vedo cos’altro possa tenereuniti i cristiani, essendoci una grandevarietà in tutto il mondo, con una cre-scita della fede in Africa e in Asia. Ab-biamo bisogno di un ministerouniversale che ci unisca. Una dellecose migliori che ho visto nei rapportiecumenici è stata l’enciclica di PapaGiovanni Paolo II ‘Ut unum sint’, cheera aperta nel cercare nuove vie concui il ministero tradizionale del Ve-scovo di Roma potesse essere eserci-tato nelle varie circostanze. E pensoche dobbiamo concentrarci su questo.Come ho detto, storicamente è moltodifficile, ma penso che, guardando alfuturo, sia una delle cose più promet-tenti cui possiamo guardare insieme”.

L’accordo sulla giustificazione

Kathryn Johnson, vice-segretaria ge-nerale per gli affari ecumenici della Fe-derazione luterana mondiale, si èsoffermata sul decimo anniversariodella dichiarazione congiunta tra cat-tolici e luterani sulla giustificazione,celebrato lo scorso anno: ”Dieci anninon sono un gran lasso di tempo,visto alla luce dei 500 anni della divi-sione . Quindi, non credo che possaessere considerato sorprendente cheancora ci interroghiamo sul significatodi questo documento. Abbiamo dettoche in questo punto cruciale noi nontroviamo nulla da condannare, né gliuni né gli altri! Noi luterani stiamo an-cora cercando di assimilare tutto que-sto: sicuramente tra di noi si possono

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sentire sermoni o ascoltare lezioni dicatechismo e di teologia che nonhanno accolto appieno il fatto che oranon ripetiamo più queste condanne.Ecco, questa è una delle cose chestiamo facendo: stiamo ancora assi-milando tutto ciò e preghiamo per tro-vare la via per affrontare questi nuovirapporti. Oggi stiamo facendo trecose, credo, nell’ambito del nostro dia-logo. Stiamo continuando questo pro-cesso di accoglienza: studiosi dellaBibbia stanno lavorando insieme con imetodisti e i riformati per accogliere ilmessaggio della giustificazione ed in-serirlo in un contesto biblico impron-tato all’ecumenismo. Inoltre stiamolavorando insieme sul significato ecu-menico del 500.mo anniversario dellaRiforma di Lutero, che cadrà nel 2017,e infine nel nostro nuovo dialogostiamo affrontando i temi del batte-simo e della crescita nella comunione.Non si tratta, principalmente, di undialogo sul battesimo ma è un dialogoche prende molto sul serio il vicende-

vole riconoscimento del rispettivo bat-tesimo affinché da esso possiamotrarre conseguenze per una crescitanella comunione che possiamo condi-videre appunto su questa base”.A rappresentare la Chiesa anglicana,Tom Wright, vescovo di Durham, ilquale ha evidenziato le sfide che de-vono affrontare le singole Chiese alloro interno: “Penso che ci sianomolte difficoltà nella vita di tutte leChiese di oggi perché, come tutti sap-piamo, c’è stata una sorta di fram-mentazione che alcune personechiamano “post-modernismo”, per cuiognuno dice tutto e il contrario ditutto. La domanda quindi è: chi parlacon autorità a nome della Chiesa? Equesto accade non solo all’interno del-l’anglicanesimo. Ci sono voci diversee noi dobbiamo tentare di capire sequeste voci sono compatibili l’una conl’altra. In un certo senso, ogni Chiesaè una sorta di movimento ecumenicoin miniatura: ha la sua ala destra, lasua ala sinistra, i tradizionalisti, i radi-

cali, comunque li si vogliano chiamare.Ovviamente, la Comunione anglicanasi è trovata a lavare i suoi panni spor-chi in pubblico negli ultimi anni e que-sto, sfortunatamente, per molteragioni. Questo significa che altreChiese, guardando a noi, dicano:“quando parliamo con gli anglicani,non siamo sicuri con chi stiamo par-lando!”. Tutto quello che possiamodire come anglicani in questo mo-mento è che abbiamo dei cosiddetti“strumenti” di comunione come l’ar-civescovo di Canterbury, la Confe-renza di Lambeth, l’incontro deiPrimati, l’Anglican Consultative Coun-cil, che hanno mantenuto una lineacostante su alcune questioni chiave;quindi, se si parla dall’interno di quelvasto consenso si può rivendicare il di-ritto di parlare per la Comunione an-glicana, anche se qualunque cosa tudica, sai che qualcuno dietro l’angolodirà che quella non è la sua visione”.

Gino Driussi

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Significativa visita, nel pomeriggio dello scorso 14 marzo, di Be-nedetto XVI nella Christuskirche, la chiesa evangelica luteranadi Roma, poco più di 25 anni dopo quella, storica, di GiovanniPaolo II. Il Papa ha partecipato al culto, che si è svolto in tede-sco e nel corso del quale vi sono state due predicazioni, quelladel pastore locale Jens-Martin Kruse e quella di Benedetto XVI(vedi foto). Il Papa, parlando a braccio, ha detto tra l’altro: “Oggiascoltiamo molte lamentele sul fatto che l’ecumenismo sarebbegiunto a un punto di stallo; tuttavia penso che dovremmo an-zitutto essere grati che vi sia già tanta unità. È bello che oggi, do-menica Laetare, noi possiamo pregare insieme, intonare gli stessiinni, ascoltare la stessa parola di Dio, insieme spiegarla e cercaredi capirla; che noi guardiamo all’unico Cristo che vediamo e alquale vogliamo appartenere, e che, in questo modo, già ren-diamo testimonianza che Egli è l’Unico, colui che ci ha chiamatitutti e al quale, nel più profondo, noi tutti apparteniamo (...). Naturalmente non ci dobbiamo accontentare di ciò, anchese dobbiamo essere pieni di gratitudine per questa comunanza. Tuttavia, il fatto che in cose essenziali, nella celebrazionedella santa Eucaristia non possiamo bere allo stesso calice, non possiamo stare intorno allo stesso altare, ci deve riem-pire di tristezza perché portiamo questa colpa, perché offuschiamo questa testimonianza”.

Il Papa nella chiesa luterana di Roma

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La rivista «Fogli»

Non è forse inutile ricordare al lettore di questa rubricadedicata alla Biblioteca Salita dei Frati che i compitidell’omonima Associazione, fondata nel 1976 con lo

scopo di “promuovere lo studio e la ricerca nelle scienzereligiose e nelle scienze umane” (Statuto, art. 1), sipossono così sintetizzare: curare l’apertura al pubblico dellaBiblioteca dei Cappuccini di Lugano, accrescendone ilpatrimonio bibliografico secondo criteri disciplinari etematici coerentemente perseguiti così da conferirle unasua specifica fisionomia nel contesto bibliotecario ticinese(vedi «Messaggero», gennaio-marzo 2008, p. 29, e luglio-settembre 2009, p. 30), e promuovere un’attività culturalepubblica con tre generi di iniziative: conferenze e convegnidi studio su tematiche di cultura religiosa (in particolarebiblica e francescana), filosofica, storica, letteraria ebibliografica; esposizioni di materiale librario ed iconico,con particolare attenzione al ‘libro d’artista’; pubblicazionidi una rivista, «Fogli», di censimenti e studi sui fondi dellabiblioteca e di atti di convegni organizzati.Vogliamo soffermarci, in questa nota, sulla rivista «Fogli»,regolarmente pubblicata con ritmo annuale: testimonianzapersuasiva delle scelte di politica culturale e bibliotecariaperseguite dall’Associazione sull’arco di un trentennio.La rivista nasce nel 1981, a cinque anni dalla fondazionedell’Associazione e ad un anno dall’apertura della biblio-teca al pubblico (27 ottobre 1980): con questa iniziativa sivoleva innanzi tutto informare sull’attività dell’Associa-zione, che stava vivendo la sua fase iniziale alla ricerca diuna propria identità, sia in ordine ai criteri da seguire nellagestione e nell’accrescimento della biblioteca che i Cap-puccini avevano affidato alle sue cure, sia in ordine ai temida proporre nelle conferenze e negli incontri di studio or-ganizzati fin dall’inizio, nella convinzione che la bibliotecadovesse essere anche un centro culturale. Ma, accanto aquesto compito informativo, che attribuiva a «Fogli» anchela funzione di un ‘bollettino’ destinato ai membri dell’As-sociazione, la rivista fu subito impostata anche secondoaltre finalità e intenzioni: segnalare e descrivere fondi e sin-gole opere della Biblioteca Salita dei Frati, raccogliere datisulle biblioteche e gli archivi d’interesse pubblico della Sviz-zera italiana, promuovere un dibattito sulla politica biblio-tecaria che stava nascendo in quegli anni, presentare le piùimportanti istituzioni culturali della Svizzera italiana, rac-cogliere schede descrittive delle ricerche di scienze umanein corso nella Svizzera italiana. Fu questa l’impostazionevoluta dal primo presidente dell’Associazione, Fabio Sol-dini, che continua a coordinare il gruppo redazionale di«Fogli», di cui fanno parte attualmente Mila Contestabile,Fernando Lepori e Giancarlo Reggi.Negli ultimi anni la rivista, rimanendo fondamentalmente

fedele alle scelte iniziali quanto aitemi e alle intenzioni di fondo, ha in-dubbiamente elevato il proprio li-vello, ospitando contributi dimigliore qualità: più impegnativi permetodo e originalità, pensati e re-datti per un pubblico non speciali-stico ma con i criteri dello scrittoscientifico (con rigore metodolo-gico e, fra l’altro, indicazione dellefonti e della bibliografia che con-sentono quei riscontri e quegliapprofondimenti che molti let-tori possono desiderare). Conquesto la rivista ha confermatoe rafforzato il proprio ruolo e lapropria posizione originale frale riviste culturali che si pub-blicano oggi nella Svizzera ita-liana. Non è un caso che,anche per sottolineare questavolontà innovativa, dal 2005,quando fra l’altro è statascelta una nuova veste gra-fica, al sottotitolo voluta-mente dimesso dei primianni Informazioni dell’As-sociazione Biblioteca Sa-lita dei Frati sia statosostituito il più confa-cente Rivista dell’Asso-ciazione Biblioteca Salitadei Frati. È stata anche meglio de-finita e precisata l’arti-colazione della rivista.Ogni numero com-prende cinque sezioni:nella prima (Contri-buti) sono contenuti i vari saggi su temidi storia dell’editoria, su problemi bibliografici, su fondi li-brari importanti della Svizzera italiana e così via; la seconda(Rara et curiosa) ospita segnalazioni e descrizioni di operedi particolare interesse o rarità bibliografica e culturale pos-sedute dalla biblioteca; segue la sezione In biblioteca, dovesi legge abitualmente un ricco resoconto di Alessandro Sol-dini, responsabile del porticato, sull’attività espositiva; lapenultima sezione è la Cronaca sociale, dove sono pubbli-cati la Relazione del Comitato sull’ultimo anno sociale e iconti, per documentare l’attività svolta dall’Associazione e

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la situazione fi-nanziaria; chiude la rivista la sezioneNuove accessioni, dove sono elencate, suddivise per disci-pline, tutte le opere entrate in biblioteca nell’ultimo anno ci-vile perché acquistate dall’Associazione per decisione dellaCommissione per gli acquisti librari (che segue in modo ri-goroso criteri basati su un’accurata indagine delle opere chesi pubblicano negli àmbiti che interessano e su una precisaconoscenza del volume che si decide di acquistare), come

pure parte delle opere donate alla biblioteca.Quest’ultima sezione, nella sua apparente ari-dità, ci risulta sia consultata con interesse tral’altro da molti bibliotecari e offre al lettore at-tento informazioni preziose sull’attività dellabiblioteca e sui criteri seguiti per l’accresci-mento dei fondi librari. Al lettore del «Messag-gero» potrà forse ad esempio interessare che,nell’ultimo quinquennio (2005-2009), in biblio-teca sono entrati poco meno di 150 opere suFrancesco d’Assisi e il francescanesimo e oltre400 opere di agiografia e spiritualità.La rivista è consultabile, da quando viene pubbli-cata con stampa digitale (cioè dal 2002), nel sitodella biblioteca (www.bibliotecafratilu-gano.ch):qui sono disponibili, a cura di Aldo Abächerli,anche due utilissimi indici (tematico e degli autori)di tutti gli scritti apparsi su «Fogli» dal primo all’ul-timo numero.Concludiamo questa nota ricordando sintetica-mente che lo scorso mese di aprile è puntualmenteuscito il numero 31 di «Fogli». Il primo articolo dellasezione Contributi, di Ottavio Besomi, si soffermasugli studi di italianistica (filologia e critica letteraria)che hanno caratterizzato il panorama culturale dellaSvizzera italiana nell’ultimo ventennio del secoloscorso. Il secondo contributo documenta, con ric-chezza di particolari indicativi del clima storico deltempo, attraverso una ricerca originale di FabrizioMena, la messa all’Indice (1840) di uno dei più signifi-cativi libri dell’Ottocento ticinese: la Svizzera italianadi Stefano Franscini, “autore liberale in tutto e anticat-tolico”. Al Fondo Bodoni della Biblioteca cantonale diLugano è dedicato il terzo contributo, di Paola Costan-tini: l’autrice ricostruisce la vicenda che portò a Lugano455 pezzi (libri, opuscoli, fogli volanti) stampati da Gio-vanni Battista Bodoni e collezionati da Richard Hall, unintellettuale (acquafortista e scultore) di origine ungheresestabilitosi ad Ascona nel 1938. I Rara et curiosa sono que-st’anno due. Marina Bernasconi Reusser illustra un prege-vole e curioso manoscritto miscellaneo di fine Seicentoconservato nel convento di Bigorio e confezionato da frateTommaso da Scareglia, contenente un trattato di morale eduno sull’arte di costruire gli orologi solari. Luciana Pedroiadescrive l’esemplare conservato nella Biblioteca Salita deiFrati della Idea bibliothecae universalis di Pierre Blanchot(1643): si tratta della prima bibliografia delle bibliografie,pregevole anche per la sua rarità perché sopravvissuta inpochissime copie.

Fernando Lepori

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Mick E. L. Unzione degli infermi. Per capire il sacramentoPadova, Messaggero, 2008

Presentiamo questo agile libretto che ha ser-vito per qualche articolo del presente numero.Le sue pagine offrono in sintesi la visione deisacramenti nata dal concilio Vaticano II, in par-ticolare l’importanza dell’Unzione degli infermi,con chiarificazioni e distinzioni indispensabiliper non ridurre questo gesto-sacro ad una“estrema unzione”, nome e prassi purtroppo an-cora comuni. Può servire non solo per cappel-lani d’ospedale, ma anche per medici edinfermieri cattolici, soprattutto per parroci e ca-techisti che vogliono approfondire i sette sacra-menti e sottolineare questo che tra i sette è forse il meno conosciuto.

Borghi E.Dieci parole per essere umaniAssisi, Cittadella Editrice, 2010

Si tratta di un piccolo libretto per presentare le“Dieci parole” più importanti per ogni uomo:le più famose del monoteismo giudeo cri-stiano. Giustamente l’autore – il noto presi-dente dell’Associazione Biblica della SvizzeraItaliana e coordinatore della formazione biblicadella nostra diocesi – scrive che “Il Decalogoaiuta donne e uomini ad essere più liberi da sèe per gli altri, cioè ad essere più umani”. Questoscopo dice da solo che vale la pena di leggerequeste pagine. Il libretto fa parte di una collana curata dalla Cit-tadella e detta “L’asina di Balaam”, che in modosistematico e continuativo, intende offrire a coloro che ricercano Dio con cuore puro e sin-cero un aiuto per la meditazione della Parola, per approfondimento teologico e per la ve-rifica della quotidiana speranza suscitata dalla fede. Questa associazione ha prodotto deilibretti di formazione spirituale scritti dai maggiori esponenti del cattolicesimo italiano. Percitarne alcuni: Carlo Maria Martini, Celebriamo la fede in famiglia; Bruno Maggioni, L’in-cessante ricerca; Enzo Bianchi, Può la morte tradire la vita?

Abbiamo letto...abbiamo visto...

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Convento dei CappucciniSalita dei Frati 4CH - 6900 Lugano