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14 DM Magazine è lieto di annunciare che, a par- tire dal numero di marzo, saranno pubblicati in anteprima i risultati di una ricerca che fotogra- fa, sul web, il sentiment dei consumatori italiani nei confronti della private label. La marca privata ha segnato e continua a se- gnare il senso evolutivo del retail. Agli inizi de- gli anni ’70, in Italia, si impose l’introduzione negli assortimenti del commercio associato di una gamma di prodotti a marchio pensati come proposta di convenienza non appesanti- ta da costi pubblicitari e promozionali. In alcuni casi la marca partiva identificandosi con l’inse- gna, in altri con un brand generico. In origine la selezione degli assortimenti verteva sulle li- nee più commodity e sui fornitori più a basso costo, ma presto, comprese le caratteristiche unificanti e fidelizzanti i propri soci, si orientò in modalità sempre più trasversali all’intero as- sortimento, avviando la crescita della quota di mercato complessiva della categoria. I retailer capiscono che la marca privata ha la possibili- tà di contribuire fortemente al posizionamento dell’impresa, pertanto evolvono da una missio- ne funzionale distributiva ad una orientata al mercato con una distintività propria di target, benefit, modi e momenti di fruizione, macroca- tegoria di mercati e prezzo-valore. Tra gli anni ‘90 e il 2000 il retail sorpassa il brand manufacturer con una progressiva lea- dership negoziale dei retailer verso l’industria di marca e una nascente competizione negli in- vestimenti in comunicazione, prima pressoché inesistenti: il marketing del retail non è più con- centrato solo sul format di punto di vendita, ma studia e propone la segmentazione dell’offerta a marchio, segmentando ha bisogno di qualità, Private label: cosa ne pensano i consumatori mercati L’osservatorio MDD e le strutture del retail adottano reparti e com- petenze sulla qualità dei prodotti, sul controllo delle filiere, sulla partecipazione allo sviluppo ed innovazione. Il retail, rendendosi conto che essere front del consumatore cittadino rende concreta l’interlocuzione di responsabilità, co- glie l’opportunità della comunicazione cogni- tiva, dell’educazione a consumi responsabili, all’uso di etichette autoesplicative, alla fideliz- zazione personalizzata. La filiera di fornitura si adegua o tramite nuove politiche di collabo- razione dei leader industriali di marca o con sviluppi industriali e di filiera dedicati. Queste evoluzioni esaltano la reputazione dei retailer in Italia e nel mondo e probabilmente il nuovo approccio delle ricerche di mercato focalizzato su ciò che i consumatori cittadini dicono, è un ottimo modo per documentarsi, comprendere e valutare cosa fare. Emanuele Plata, Presidente Planet Life Economy Foundation

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DM Magazine è lieto di annunciare che, a par-tire dal numero di marzo, saranno pubblicati in anteprima i risultati di una ricerca che fotogra-fa, sul web, il sentiment dei consumatori italiani nei confronti della private label.

La marca privata ha segnato e continua a se-gnare il senso evolutivo del retail. Agli inizi de-gli anni ’70, in Italia, si impose l’introduzione negli assortimenti del commercio associato di una gamma di prodotti a marchio pensati come proposta di convenienza non appesanti-ta da costi pubblicitari e promozionali. In alcuni casi la marca partiva identificandosi con l’inse-gna, in altri con un brand generico. In origine la selezione degli assortimenti verteva sulle li-nee più commodity e sui fornitori più a basso costo, ma presto, comprese le caratteristiche unificanti e fidelizzanti i propri soci, si orientò in modalità sempre più trasversali all’intero as-sortimento, avviando la crescita della quota di mercato complessiva della categoria. I retailer capiscono che la marca privata ha la possibili-tà di contribuire fortemente al posizionamento dell’impresa, pertanto evolvono da una missio-ne funzionale distributiva ad una orientata al mercato con una distintività propria di target, benefit, modi e momenti di fruizione, macroca-tegoria di mercati e prezzo-valore.Tra gli anni ‘90 e il 2000 il retail sorpassa il brand manufacturer con una progressiva lea-dership negoziale dei retailer verso l’industria di marca e una nascente competizione negli in-vestimenti in comunicazione, prima pressoché inesistenti: il marketing del retail non è più con-centrato solo sul format di punto di vendita, ma studia e propone la segmentazione dell’offerta a marchio, segmentando ha bisogno di qualità,

Private label: cosa ne pensano i consumatori

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e le strutture del retail adottano reparti e com-petenze sulla qualità dei prodotti, sul controllo delle filiere, sulla partecipazione allo sviluppo ed innovazione. Il retail, rendendosi conto che essere front del consumatore cittadino rende concreta l’interlocuzione di responsabilità, co-glie l’opportunità della comunicazione cogni-tiva, dell’educazione a consumi responsabili, all’uso di etichette autoesplicative, alla fideliz-zazione personalizzata. La filiera di fornitura si adegua o tramite nuove politiche di collabo-razione dei leader industriali di marca o con sviluppi industriali e di filiera dedicati. Queste evoluzioni esaltano la reputazione dei retailer in Italia e nel mondo e probabilmente il nuovo approccio delle ricerche di mercato focalizzato su ciò che i consumatori cittadini dicono, è un ottimo modo per documentarsi, comprendere e valutare cosa fare.

Emanuele Plata, Presidente Planet Life Economy Foundation

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LA RICERCA

Dal numero di marzo DM Magazine pubbli-cherà i dati della ricerca on going realizzata da www.web-research.it sul sentimenti dei consu-matori italiani verso le Private Label (Prodotti ad Etichetta Privata di proprietà delle insegne della Gdo).Gli articoli presenteranno questi argomenti:1 - Come il Brand Private Label è identificato con l’Insegna2 - Come cambia la percezione della Private Label al variare del prodotto: main stream premium low cost3 – Come cambia la percezione della Private Label nelle varie categorie: alimentare base cura casa base alimentare non base cura casa non base cura persona parafarmaco (generico) altri specializzati (esclusi bio ed equosolidali, trattati a parte)4 – Percezione delle Private Label per linee bio ed equosolidali5 – Percezione delle Private Label per fresco: ortofrutta carne pesce formaggi salumi 6 - Focus su sfuso secco (non confezionato)7 - Focus su consegna a casa (e-commerce)8 - Focus su monomarcaOgni tematica è clusterizzata per In-segne: associative grandi intermedieA distanza di 12 mesi si misureranno gli

scostamenti.Per questa ricerca, utilizziamo software per in-dagare - secondo algoritmi semantici, semiotici ed euristici - i testi lasciati nel web domestico in social network, blog e forum.La ricerca si è basata su analisi:Statistiche: analisi da un punto di vista numeri-co sia su base inferenziale che descrittiva.Semantiche: su items ad hoc, con focus sulle reti relazionali, gestione i contenuti con attribu-zione di una “personalità” al testo.Sociosemiotiche: individuazione delle implica-zioni sociali o le significazioni sociali partendo dai testi presenti nel web.Euristiche: attribuzione di peso e qualifica alla comunicazione, in base a ricorrenza di deter-minati termini e loro similarità con altri.Psicometriche: misurazione di atteggiamenti psicologici dall’analisi dei testi rinvenuti.

Gian Marco Stefanini www.web-research.it

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Qual è la differenza tra un brand di produttore e un brand di distributore?Il brand di prodotto vive di occasioni d’incon-tro intermediate, sia quelle create con la pub-blicità sia quelle create con gli assortimenti in negozio: al di là delle sue capacità intrinseche relative al mix offerto e all’azione istituzionale di company, il brand dipenderà anche da altri soggetti, ovvero i media e i retailer. Spesso il brand di prodotto sceglie a priori di vivere una sua essenza virtuale di pura fantasia, e fin da-gli anni ’50 sono numerosi gli esempi di mar-keting sofisticato. Al contrario, il brand di insegna vive di occa-sioni di incontro dirette, dove ha scelto di col-locarsi col punto di vendita e dove nello scaf-fale. Vive di sinergie visive, ripetute nel corso di ogni quotidiana esperienza di shopping, vive per definizione di comunicazione istituzionale. Di conseguenza il brand di insegna ha più for-za e prospetta più vantaggi del brand di pro-dotto, sia in termini di notorietà, che di immagi-ne, perché questa viene percepita come reale, verificabile, contattabile; in altre parole risulta diretta all’identificazione con un interlocutore. In tal senso allora i cittadini, consumatori più attivi e critici, ne saranno i primi sostenitori; for-

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se già questo spiega la correlazione più forte col pubblico urbano e del web, ma lo saranno anche quelli più prossimi che contano sulle re-lazioni umane.La scelta della catena di non usare l’insegna come marchio dei propri prodotti dovrà quin-di tener conto che tale scelta passa dalla rico-noscibilità dell’esclusiva, cosa meno forte, sia perché tradibile, sia perché selezionante sui frequentatori fedeli dei propri pdv. Ben diver-so se, con l’insegna come marchio ombrello, il retailer sceglie di usare marchi specifici per proporre la sua segmentazione.Il futuro del marchio è quindi favorevole al mar-chio insegna? La logica suggerisce di sì, ma dipenderà dai contenuti offerti, dalla coerenza col resto dell’assortimento, dalla distintività che il retailer saprà esprimere col format di pdv e con l’assortimento della gamma a marchio pro-prio; se cioè non considererà come KPI solo il numero dei pdv e il numero dei prodotti a mar-chio, ma la coerenza strategica complessiva. In quest’ottica, l’indagine del web listening si troverà nel giro di poco tempo a confrontare la forza del marchio insegna con un nuovo tipo di marchio… non del produttore, bensì del terri-torio!

Emanuele Plata, Presidente Planet Life Economy Foundation

Primo appuntamento con i risultati della ri-cerca che fotografa, sul web, il sentiment dei consumatori italiani nei confronti della private label.

Private label: in che modo il brand viene identificato con l’insegna?

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Dalla nostra ricerca risulta che c’è grande con-sapevolezza (91% dei pareri intercettati nel web domestico) sul fatto che la marca com-merciale indica la proprietà ma non il produt-tore; nel 90% delle opinioni lasciate in rete gli internauti sono consapevoli che le referenze ad etichetta privata sono realizzate dalle stes-se aziende che vendono prodotti analoghi, di-stribuiti anche dalla stessa insegna; dall’anali-si dell’ 88% delle citazioni rinvenute si evince che i naviganti hanno una perfetta percezione dell’appartenenza della private label alla cate-na anche quando il nome non coincide. Il mood a tale proposito è positivo nel 96% dei casi, qualifica sia la private label che la catena della GDO di appartenenza.

Sottolineiamo che una ricerca analoga realiz-zata con questionari cartacei, interviste telefo-niche e face to face ha quantificato nel 75% i pareri positivi relativi alla marca privata; ne consegue che il popolo del web è decisamente più propenso all’acquisto di private label.

- Nel 19% dei casi emerge un sentiment nega-tivo nei confronti del produttore – ma non della catena! - che vende lo stesso prodotto (o ana-logo) a prezzo maggiore (col proprio brand).

- Il 77% di chi scrive in rete è un abitudinario della marca privata, contro il 53% degli intervi-stati con le metodologie classiche di cui sopra.

Vediamo ora il profilo di chi scrive in rete di pri-vate label.

- Maggiori le donne (62%), cultura media–me-dio alta, concentrazione nelle fasce di età tra i 18 e i 50 anni (82%); aree da cui si digita: 33% dei pareri dal Nord Ovest, 30% dal Nord Est,

21% dal Centro (21%) e 16% da Sud e Isole.

- Si digita in rete riguardo le private label nel 36% dei casi da aree metropolitane, nel 34% da aree urbane, nel 21% da aree suburbane e nel 9% da aree rurali/piccoli insediamenti montani/costieri.

- Il luoghi web dove si concentrano la maggior parte dei pareri sono i blog (45%) a conferma di un dibattito svolto in ambito dedicato.

- Le insegne maggiormente menzionate sono (citazioni multiple): Coop (77%), Carrefour (65%), Lidl (58%), Auchan (56%), Esselunga (53%), Eurospin (49%), Conad (46%) e questo, con passaggio ardito, può essere considerata una brand awareness della rete.

Come abbiamo visto il popolo della rete è mag-giormente orientato alle private label rispetto al resto dei consumatori, a nostro giudizio ciò è indicativo del fatto che le marche private saran-no il futuro della GDO.

Nel prossimo articolo analizzeremo il mutare della percezione della Private Label al variare del prodotto: main stream; premium; low cost.

Gian Marco Stefanini www.web-research.it

Pl: il sentiment dei consumatori

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Se si abbandona il punto di osservazione di-fensivo di un segmento di offerta negli spazi di vendita di una catena di negozi che adotta la propria insegna come marca di una gamma di prodotti “propri” ai fini di fidelizzare i frequen-tatori del proprio punto vendita e aumentare i margini commerciali, si abbandona anche la logica speculativa di assortire prodotti di marca solo perché sostenuti da forti investimenti “pull” in primo luogo con le televisioni commerciali e fortemente contributive coi listing e budget pro-mo pubblicitari sulla catena.In una prospettiva non difensiva ma proattiva, il retailer adotta una politica di assortimento che sceglie sia per i propri prodotti a marchio sia per i prodotti di marca una complementarietà quanto più esclusiva, ovvero poco replicabile e distintiva nonché coerente con la scelta di po-sizionamento strategico sostenibile che adotta.Teoricamente fisserà prima il suo assortimento a marchio e poi quello delle marche industriali, elaborerà un piano di sviluppo per disporre di quelle filiere in grado di soddisfare la propria offerta a marchio, svilupperà competenze inter-ne di supply chain, controllo qualità e co-mar-keting molto forti e basate sulla condivisione di standard e di certificazioni.La reputazione e visibilità dei retailer potranno essere spese ingaggiando un mondo enorme di potenzialità che vanno dalle filiere agro ali-mentari ai servizi e alla tecnologia.Il punto per il retailer è capire e cogliere l’oppor-tunità di diventare protagonista della conver-sione dalla vecchia alla nuova economia, dove nella nuova ci sta tutto il tema dell’ambiente e del sociale assieme a quello del valore, ovvero

Lo sviluppo della Marca Privata

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del mercato. Tutti i dati dell’indagine sulla po-polazione web confermano questa tendenza: il forte vantaggio reputativo dell’insegna rispetto all’industria, il segnale che viene dal più delica-to settore che necessità di credibilità, ovvero l’alimentare, la forza già conquistata nelle linee “dedicate” ma lo stesso insegnamento che in altri settori diversi dal grocery hanno fatto vin-cere la verticalizzazione all’incontrario (per esempio la moda o la telefonia).Esiste quindi un grande mercato, diverso ma già in movimento. E’ opportuno citare il feno-meno dei Gas. Che cos’è se non un enfatiz-zazione dello sviluppo di marca propria? Certo bisogna avere competenze adeguate di strate-gia e di esecuzione, i casi come Altro Mercato possono essere ancora poco significativi ma non difettano nell’analisi di opportunità. Chi saprà cogliere nel territorio, quello giusto ovvero non di fantasia o di confini amministrati-vi, ma quello che identifica valori ed eccellenze e saprà coniugarlo con una più accurata azio-ne di marketing arricchito da un trade marke-ting territoriale più una nuova alleanza coi me-dia territoriali farà bingo!Lì si potranno concentrare anche le eco inno-vazioni, lì si potrà attuare la premialità virtuosa e la democrazia del portafoglio, tutte prospetti-ve aperte che possono rappresentare la pros-sima via da imboccare con le insegne e le loro gamme a marchio!

Emanuele Plata, Presidente Planet Life Economy Foundation

Secondo appuntamento con i risultati della ricerca che fotografa, sul web, il sentiment dei consumatori italiani nei confronti della private label.

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Il mutare della percezione della private label al mutare del prodotto

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In rete le menzioni per la marca privata sono nella quasi totalità dei casi riferite ai prodotti alimentari (86%), poche le citazioni riservate alle altre referenze (14%).Inerentemente ai prodotti alimentari (86% di pareri riguardanti le referenze alimentari a marca privata) i netsurfer menzionano le linee dedicate/diversificate (bio, ecologiche, solidali, specialità regionali…) nel 23% dei casi.Fatto 100 il restante 14%, i pareri riguardano le linee per bambini (42%), il pet food (39%) e nel rimanente 19% dei casi tutte le altre linee : cura casa, cura persona, parafarmaco, altro. I naviganti del web domestico quantificano il risparmio derivante dall’acquisto di private la-bel tra il 25% e il 50 % del prezzo dell’analogo prodotto di marca industriale; la maggioranza dei pareri (64%) stima un risparmio compreso tra il 30% ed il 40% rispetto ai prodotti top di gamma. Il sentiment in rete rispetto al prezzo è meno polarizzato riguardo le marche commer-ciali premium e primo prezzo, dove si registra anche una certa di confusione: per il 22% dei naviganti (pareri multipli) le linee premium co-stano più del top di gamma, un ulteriore 26% trova maggiormente conveniente il discount ri-spetto al primo prezzo.Stando ai mood intercettati in rete questi i mo-tivi alla base dei prezzi vantaggiosi delle priva-te label (pareri multipli): • potere di acquisto della catena distributrice (81%) • assenza di spese pubblicitarie (78%) • ottimizzazione della distribuzione (64%)

Sottolineiamo come nessuna motivazione sia un corruttore di reputazione (anzi!) o sia in contrasto con la qualità.Se suddividiamo i pareri relativi alle private la-bel tra marche bandiera e contromarche, ab-biamo la conferma della consapevolezza che

il popolo del web ha riguardo la proprietà dei prodotti, infatti i giudizi relativi alle marche ban-diera sono appena più positivi in generale di quelli riferiti alle contromarche. Analizzando le reason why di acquisto (pareri multipli), si ha:

E’ significativo osservare che a oscillare sia praticamente solo il prezzo. L’immagine, la re-putazione, i contenuti della marca privata sono solidi e trasversali alle tre linee. Nel prossi-mo articolo illustreremo le principali evidenze emerse dalla web research inerente a come cambia la percezione delle private label nelle varie categorie di prodotto: alimentare base/non base, cura casa base/ non base; cura per-sona; parafarmaco/generico; altri specializzati (esclusi bio ed equosolidali, trattati in un focus a parte).

Gian Marco Stefanini www.web-research.it

MAINSTREAM PREMIUM LOW COSTprezzo 91% 68% 98%qualità 86% 88% 84%sicurezza 56% 57% 55%sostenibilità 48% 50% 45%

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Un’analisi delle potenzialità delle insegne nello sviluppare una propria politica di marca e, in funzione di questa, divenire sempre più pro-tagonista con l’assortimento a marchio pro-prio, non può dimenticare la prospettiva del-la segmentazione dei propri format di vendita non solo come tipologia, metratura e localiz-zazione, ma anche come segmentazione. Di fatto molti “Master Retailer” sono nati con una definizione italiana di “Alimentari misti”, quando il traino era-no i prodotti di ne-cessità anche gior-naliera, gli alimentari freschi, per passare poi ad assortimenti di servizio sempre più ampi, il cura casa, il cura persona, i pet food, i prodotti per l’infanzia, il non food ovvero cartoleria, ac-cessori per la casa, intimo e abbiglia-mento, fiori e pian-te, bricolage, piccoli elettrodomestici, li-bri e riviste, il parafarmaceutico e il farmaco generico, etc. L’argomento veniva correlato soprattutto all’ampiezza della superficie a di-sposizione con un ovvio punto d’arrivo negli ipermercati e ancor più nei centri commercia-li. In questo divenire anche l’estensione della gamma a marchio si è progressivamente in-

serita, ma con alcune particolarità, ad esempio sono state preferite denominazioni di linee e di brand autonome, non collegate all’insegna, ritenuta troppo connotata nell’alimentare, e an-cor di più sono state ritenute competitive strut-ture di vendita specializzate, magari comple-mentari nella geolocalizzazione e sinergiche a monte nella filiera logistica del retailer, ma au-tonome nel posizionamento verso il pubblico. I

casi di successo sono numerosi nei drug store, nelle profumerie commerciali, nei negozi per animali e ancor più nell’elettronica di consu-mo, arrivando vicini a formule di category: è in questo contesto che la relativa debolezza delle citazioni su web delle marche private in cate-gorie diverse dall’alimentare, vanno valutate.

Lo sviluppo retail nella specializzazione Terzo appuntamento con i risultati della ricerca che fotografa sul web il sentiment dei consumatori italiani nei confronti della private label.

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Probabilmente esiste anche la barriera industriale e laddove si interessano settori a più alta con-centrazione produttiva, per vinco-li impiantistici – ricerca, brevetti e share of voice - più difficile è indivi-duare un’alternativa nella produzio-ne per conto analogamente forte, ma se c’è qualcuno che può farlo nel retail sono proprio coloro che hanno segmentato la propria rete per categoria. Questa opportunità è di fatto alla portata di tutti i retailer che hanno una forte presenza ter-ritoriale; si può anzi dire che una rete fortemente localizzata o, come accade spesso per la D.O. italiana, plurilocalizzata, con propri CEDI, con quote importanti nel mercato generalista in diverse regioni, hanno quasi naturalmente l’op-portunità di estendersi in comparti specialistici creando le sinergie a monte e verticalizzando quanto più possono all’interno dei diversi as-sortimenti. Questa ipotesi che dal territorio fa partire una penetrazione retail in diverse cate-gorie, in teoria è in grado di rilanciare anche capacità produttive abbandonate: vengono in mente le numerose competenze nella cosme-tica naturale, nell’artigianato, ma anche nelle offerte più moderne di elettronica, di accessori di prodotti e servizi sostenibili (ambientalmente

e/o socialmente). Il marchio privato, allora iden-tificato con uno specialista di categoria ma an-che potenzialmente con un distretto territoriale di eccellenza, assume una forza identificativa superiore anche nel valore di certificazione a endorsement internazionali, assume una va-lenza identitaria della comunità di pubblico a cui si riferisce, che non necessariamente deve ap-parire collegata all’insegna del generalista da cui magari dipende, ma che progressivamente può cross-fertilizzare delle iniziative come ad esempio una trasversalità ampia e compiuta delle carte di pagamento atte a riconoscere e a premiare gli acquisti virtuosi. La forza dell’insegna, reputativa e penetrante in un territorio non solo dà spazio alla crescita della propria offerta a marchio, ma consente di operare una segmentazione di retail nelle varie categorie, innescando un processo di virtuosi-tà nel territorio tra chi produce, chi vende e chi compra.

Emanuele Plata, Presidente Planet Life Economy Foundation

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Il mutare della percezione della private label al mutare del prodotto

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Abbiamo già visto che i pareri riguardanti le PL alimentari sono l’86%; fatto 100 il rimanente 14% di giudizi il mix per linea di prodotti è il seguente: Q bambini 42%Q pet food & care 39%Q altro / specializzato 8%Q cura casa 4%Q cura persona 4%Q parafarmaco / generico 3 %

L’approfondimento qualitativo basato sull’analisi semantica dei pareri intercettati illustra perché la ripartizione di giudizi per linea di prodotti non cor-risponde alle quote delle vendite.Emerge, infatti, in maniera netta un coinvolgi-mento emotivo decisamente superiore nei driver di acquisto di prodotti per bambini ed anima-li domestici rispetto a quello per prodotti per la casa. Per quanto riguarda la cura della persona assistiamo a due fenomeni che concorrono ad abbattere il volume di pareri: da un lato la ormai consolidata fiducia nella PL e dall’altro la relativa non specializzazione dei prodotti per la perso-na a marca privata ed in generale venduti nella GDO. Ciò è comune a quanto avviene per il pa-rafarmaco con l’aggiunta del fatto che i farmaci generici sono per ora quasi inesistenti nel totale delle PL. Il basso volume di opinioni relative ai prodotti per la cura casa della casa è dovuto, come in parte avviene per i “cura persona”, alla stima riposta nelle insegne e ad un ambito di in-tervento che “non accende il dibattito” in rete.

Ora analizziamo quantitativamente le principali reason why di acquisto (pareri multipli).

I dati sono auto evidenti; i cluster in cui si accor-pano i pareri relativi alle motivazioni di acquisto confermano e completano l’analisi semantica. Si evince come ogni linea sia ben connotata; assodate le motivazioni per cui si parla poco in rete di casa e persona, andrebbe a nostro giu-dizio fatta crescere la notorietà delle due cate-gorie “altro/specializzato” e “parafarmaco/ge-nerico”. Lo sbilanciamento del volume di pareri a favore dell’alimentare, linea in cui le marche private hanno iniziato la propria diffusione e segmento trainante della GDO, è da imputare invece alla recente diffusione delle PL nel mer-cato domestico. Non abbiamo trattato le linee bio ed equo solidali, che rappresentano la qua-si totalità dell’8% di “altro specializzato” e oltre un quinto dei pareri relativi alle PL alimentari, cui abbiamo dedicato un’analisi a parte, che descriveremo nel prossimo articolo.

Gian Marco Stefanini www.web-research.it

ALIMENTARE BAMBINI PET F&C ALTRO CASA PERSONA PARAFARM.prezzo 89% 96% 91% 92% 93% 90% 92%qualità 87% 94% 90% 89% 82% 89% 91%sicurezza 56% 73% 77% 88% 57% 68% 80%sostenibilità 47% 39% 41% 40% 51% 38% 31%

Nei due precedenti focus è emerso subito che i giudizi dei naviganti non variano tra segmenti “base” e “non base” (inutile quindi la distinzio-ne nella nostra analisi).

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Un argomento del genere in tempi di Expo Mi-lano 2015 si pone più che mai come centrale. Gli operatori attenti sanno che il fenomeno della biodiversità è al centro del dibattito dello svilup-po sostenibile. Non si parla più di biodiversità come elemento specifico del mondo agricolo ma si considera che l’agricoltura sia battistra-da di un ripensamento globale dei valori della biodiversità che incidono in modo pervasivo la società sia nelle persone fisiche che in quelle giuridiche ovvero le imprese, in altri termini tutti noi abbiamo da prendere coscienza della nostra biodiversità che trasliamo nelle comunità in cui lavoriamo e viviamo.

In questo contesto il cibo che è stata la prima bandiera ad affermare col prodotto biologico che si può vivere meglio senza omologazioni industriali tecnologicamente avanzate offre alla distribuzione l’opportunità formidabile di trasfor-mare gli assortimenti che oggi sono minoritari per il biologico in maggioritari.

La trasformazione è tanto più veloce se passa attraverso la gamma dei prodotti a marchio e la sfida è di non lasciare a insegne originalmen-te posizionate su questo fronte l’esclusiva della bioidentità.

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La stessa cosa vale per i prodotti di filiere con-trollate a tutela dei margini dei produttori e dei prezzi dei consumatori, la situazione attuale di prodotti classificati equo solidali ed altri no non ha senso, ovvero c’è l’ha in quanto la maggio-ranza degli operatori ha perso il senso non ri-conoscendo regole di conoscenza sostanziale ovvero la catena del valore reale di ciò che si commercializza.

In altre parole tutto potrebbe essere biologi-co ed equo solidale, se non lo è per una mi-stigazione acquisita per pigrizia, ma il trend è questo: recupero della bioidentità, salvaguar-da delle condizioni di vita di queste bioidentità come leve e fattori che consentiranno di battere il dramma del cambiamento climatico sul piane-ta e il dramma collegato della diseguaglianza assoluta.

La carta di Milano, la conferenza di Parigi, tutte scadenze prossime hanno ricadute sugli assor-timenti e le insegne col credito di reputazione che hanno dai cittadini potranno certamente agire promuovendo i loro posizionamenti in li-nea a queste esigenze e dando voce alla mol-titudine in movimento che i trend setter già co-noscono.

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Private label per linee bio ed equosolidali

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Posti uguali a 100 i pareri nel web nazionale riferite alle Private Label, il 21% riguarda linee dedicate, diversificate: bio, ecologiche, equo-solidali, di specialità regionali, dietetiche/per particolari regimi alimentari. D questo 21% il 98% è riferito alle linee Bio Alimetari (83%) e Equosolidali Alimentari (15%).

La prima evidenza è che “Bio” riferito all’ali-mentare ha per naviganti un’ampia accezione: comprende anche quanto proveniente da al-levamenti etici, come le uova di galline allevate a terra, tonno di provenienza tracciata/pescato nel rispetto delle quote CEE e con tecniche ri-tenute di minor impatto ambientale eccetera.

I Pareri negativi riguardanti il cibo bio a marca privata sono praticamente inesistenti (2%) e riferiti a dubbi sull’effettiva certificazione biolo-gica. Estremamente segmentate ma scontate, ovvie le motivazioni alla base del 98% di giu-dizi positivi. La seconda evidenza è che, per quanto concerne l’equo-solidale, i pareri sono polarizzati e incontriamo le critiche maggiori alle Private Label (41% del 15%), effettuate da parte di quegli internauti che con equo-solidale identificano la negazione di una politica di mas-simizzazione del profitto, dagli stessi associata alle insegne della GDO e dai grandi produttori.

Vediamo ora le motivazioni (multiple), fatto 100 il 59%, dei giudizi positivi riservati alle refe-renze alimentari equosolidali delle PL: divieto di lavoro minorile 92%, reinvestimento di parte

dei profitti in opere sociali quali la creazione in loco strutture sanitarie 87%, di orfanotrofi 81%, di pozzi per l’acqua potabile 82%, di scuole per l’infanzia 77%, scuole professionali 73%, con-trollo degli orari di lavoro adottati dai produttori locali 68%, impiego di materie prime rinnovabili 65%, rimboscamento 52%, altre infrastrutture 37%, altro 21%.Per quanto riguarda i prodotti equo-solidali le menzioni (multiple) sono per il caffè (68%), tè (46%), cacao 23%, zucchero di canna 19%, banane 17%, spezie 11% orzo 10%, frutta secca 9%, infusi differenti dal tè 7%, altro 4%. * continua nel numero di Luglio Gian Marco Stefanini www.web-research.it

Percezione delle private label per linee bio ed equosolidali(1° parte*)

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Anni fa, ritorno a fine anni 90, avevo approfondito un’indagine sul confron-to tra valenza della denominazione d’origine controllata rispetto alla qua-lificazione biologica nell’agroalimen-tare di prima trasformazione e venne fuori che la valenza salutistica del biologico superava quella dell’auten-ticità di un prodotto tipico. Oggi dalle analisi di Web Research emerge che la valenza salutistica del biologico si esprime in qualità e sicurezza e meno in soste-nibilità e ciò conferma che il pubblico considera prioritari gli effetti su se stesso che sull’ambien-te e la società che lo circonda. I valori passano prima attraverso l’ego e le sue emozioni.

Cosa potrà succedere in prospettiva?Le nuo-ve generazioni sembrano inclini ad influenzarsi reciprocamente con i social media e in questo ambiente la distribuzione gode di maggiore

reputazione dell’industria, nella distribuzione la sostenibili-

tà, in termini di impronta ecologica secondo gli studi Enea, dipende per l’85% dall’assorti-mento dei prodotti e tra i prodotti quelli a marchio dell’insegna

hanno maggior voce e influenza come testimo-ni di rispetto dell’ambien-

te e del sociale. Si spiega

Bio ed equo nel retail e nel prodotto a marchio

mercati L’osservatorio MDD

così la maggior diffusione dei prodotti fair tra-de sulle gamme del marchio insegna e ancora la difficoltà delle imprese di marca a lavorare su filiere equo solidali che in Italia stanno in-crementando grazie alle aziende agricole che recuperano i terreni confiscati alla malavita or-ganizzata e che sviluppano accordi distributivi con gli operatori retail locali.

In base a questo scenario se partisse un siste-ma di promozioni non sul prezzo ma sull’ac-quisto responsabile con l’evidenza a scaffale dei prodotti etici ci troveremmo una stragrande maggioranza di prodotti a marchio e pratica-mente tutta la gamma bio a marchio. La dimo-strazione l’abbiamo avuta a Milano durante il cash mob del 27 giugno dove accanto alle gamme certificate fair trade c’erano linee come frutti della pace ma rigorosamente contrattiz-zati da una sola catena!

Emanuele Plata, Presidente Planet Life Economy Foundation

reputazione dell’industria, nella distribuzione la sostenibili

tà, in termini di impronta

influenza come testimoni di rispetto dell’ambien

te e del sociale. Si spiega

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Percezione delle private label per linee bio ed equosolidali(2° parte)

Analizziamo quantitativamente le principali re-ason why di acquisto (pareri multipli).

Sicuramente le due linee sono ben connotate, hanno un posizionamento preciso ed i driver di acquisto sono evidenti. Confrontando le moti-vazioni dei consumatori con quelle illustrate nei precedenti articoli per le linee Alimentari (non Bio, non Equosolidali), Bambini, Pet Food & Care, Cura Casa, Cura Persona, Parafarma-co / Generico, notiamo che, per quanto riguar-da Alimentari Bio e Alimentari Equosolidali, il Prezzo ha l’incidenza più bassa in assoluto, la qualità negli Alimentari Bio ha il peso maggiore (ex aequo con i prodotti per Bambini), la So-

mercati L’osservatorio MDD

stenibilità tocca i valori più alti in assoluto, la ricerca di Sicurezza negli alimentari Bio è se-conda solo a quella dei prodotti per Bambini.

• Se il dibattito sulle PL si svolge nel 45% dei casi in ambienti web quali i Blog ed i Forum (e per il restante 55% nei Social) a conferma di un argomento trattato in maniera specifica, quan-do i consumatori italiani scrivono in rete i propri pareri sulle linee Alimentari Bio ed Equosolidali ad etichetta privata, la percentuale di utilizzo di Blog e Forum sale al 73% a testimonianza di una maggiore competenza. Ciò è confermato dalla ripartizione tra pareri ascrivibili ad Influen-cer che è del 48% contro una media web na-zionale del 20%, (ricordiamo che con Influen-cer indichiamo quei netsurfer il cui parere è ritenuto attendibile dagli altri naviganti nell’80% dei casi: sono coloro che fanno proseliti!).

Ma chi scrive nel web domestico di cibo Bio ad etichetta privata? Più donne (58%), anche

se la media per le PL in generale indica un 62% di femmine, princi-palmente di età tra i 30 ed i 45 anni (41%), principalmente dal Nord (est + ovest) 65%, di cultura media /medio alta (67%), che digitano da aree metropolitane, urbane e su-burbane (77%). Nel prossimo articolo parleremo del Fresco nelle PL, declinato per Ortofrutta, Carne, Pesce, Formag-gi e Salumi.

Gian Marco Stefanini www.web-research.it

AlimentAri Bio AlimentAri equosolidAli

prezzo 42% 38%qualità 94% 84%sicurezza 93% 83%sostenibilità 88% 96%