Mensile internazionalc di cultura Anno XXVIII Giugno2015 N.

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Mensile internazionalc di cultura Anno X X V I I I Giugno2015 N.

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POESIA Mensile internazionale di cultura poética Anno X X V I I I - Giugno 2015 • N. 305

Fondazione POESIA Onlus Italian Poctry Foundation

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II diletto della poesía

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Paolo Galvagni | | | Andrej Bauman La prima nevé

Anua De Simone 5 8 Virgilio Giotti Un'ombra bianca di luna

Wit (Women in Translation)

Audre Lorde La poesia non é un lusso

Arnaldo Colasanti Wm Lo scaffale di Poesia e Daniele Piccini Bgf

M. Grazia Calandrone H ¡ Massimo Baldi "Cantiere Poesia" H i l Risveglio

In copertina: Rupert Brooke (foto: Archivio Effigie) Progetto gráfico di Andrea Basile

Ha del miracoloso la diífusione sem-pre maggiore deli'opera di Virgilio Giotti nei Paesi europei, in particola-re nel mondo di lingua tedesca « ni Spagna, dove sonó state pubblieate 70 poesie con un saggio introdutüvo: Co­lores (Antología 1909-1955) uscita nel 2011 a cura di Ricardo H. Herrera e Mariano Peres Carrasco per iniciativa della casa editrice Editorial Pre-Tex-tos (Buenos Aires, Madrid, Valencia).

La piccola cittá di Girona, in Cata-logna, in occasione della recente ceri-monia di consegna dei premi Líber Press, ha conferito a questo poeta, nel-la categoría Memorial, un premio in-ternazionale che costituisce un altissi-mo riconoscimento. Non solo: nel-Panniversario della morte (awenuta il 21 setiembre 1957), una delegazione proveniente da Girona ha consegnato ai familiari del poeta una targa da metiere sulla sua tomba per testimo­niare la fratellanza e la solidarietá del­la Catalogna verso il poeta e verso l'uomo che durante il Secondo con-ílitto mondiale, in Russia, subi la per-dita di due figli, Paolo e Franco, lette-ralmente cancellati dalla faccia della térra. Non basta: il diario di quella tragedia, consegnato alie pagine degli Appunti inutili, uno dei capolavori della letteratura novecentesca, é stato tradotto anche in catalano e pubblica-to dalla casa editrice Cal-lígraf.' Si tratta di un testo talmente intriso di dolore - ma sommesso, mai gridato -, che non si puó leggere senza rimaner-ne toccati nei profondo.

Con il suo stile piano e pacato, con la nuda dolorosa bellezza della sua prosa, Giotti ci trasmette sentimenti e valori universali: l'amore paterno, la dedizione alia famiglia, l'eroica silen-ziosa accettazione della sua orfanezza di padre. Come Giobbe, il poeta trie-stino si é dovuto caricare sulle spalle pesi insostenibili - la grave malattia della moglie, la morte dei due figli, la povertá di tutta la vita - ma ha subli-mato il proprio dolore nella poesia, nel disegno e nella pittura. "II Nove-cento letterario italiano non ha forse prodotto altre opere cosi piene di do­lore", ha scritto Pasolini, che nelle

poesie di Sera ha individúate "come un interno terrore, una nozione della morte e del disfacimento del mondo,

.delle cose care e degli affetti, che ha come un remoto accento ieopardia-no'V Coglie perfettamente nel segno Claudio Magris quando parla di "san-tita" di Giotti, testimoniata da tutte le ore di tutti i giorni della sua vita, diffi-cilissima e tribolata come poche altre, Ma i figli Paolo e Franco nelle poesie del padre hanno conosciuto una giovi-nezza perenne, come gli eroi dell'anti-ca Grecia, tanto cara al poeta triestino,

Eppure c'é stato un tempo in cui an­che Giotti era un ragazzo, studente a Trieste della scuola di pittura (poi Isti-tuto técnico industríale A. Volta), do-ve manifestó da súbito il suo talento di artista. E sempre a Trieste, nei suoi vent'anni, al caffé Rossetti, in Via del-l'Acquedotto (poi Viale X X Setiem­bre) si incontrava con il pittore Guido Marussig, che era stato suo compagno di banco a scuola, con violinisti e pia-nisti, con lo scultore e critico musicale Virgilio Doplicher, con il filosofo Giorgio Fano e con Umberto Saba.

Cominció a comporre intorno at 1909 i versi che leggiamo nel Picado canzoniere in dialetto, la sua prima raccolta di poesie, scritte quando vive-va giá a Firenze, dove si era rifugiato due anni prima per evitare, in quanto cittadino austríaco, l'obbligo del ser-vizio militare. Al contrario di tanti suoi conterranei, irredentisti fin dalla prima ora, Giotti conduceva una vita ritirata, e per sbarcare il lunario si adattava a fare cento mestieri, tra cui queilo di venditore di oggetti dell'arti-gianato toscano.

II Piccolo canzoniere in dialetto con­tiene giá alcune tra le sue poesie piú belle, autentici capolavori, ma i due-cento esemplari in cui lo fece stampa-re a sue spese a Firenze rimasero in-venduti, e quel che é peggio, non eb-bero la benché mínima risonanza.

Tra le poesie che si propongono ín questo articolo, che vuole onorare Giotti nel 130° anniversario della sua nascita (15 gennaio 1885), ve ne sonó alcune famose, altre meno note ma non meno belle: tra queste "L'inso-

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gno" ("II sogno"), tratta proprio dal Piccolo canzoniere, che risale al genna­io 1909 e apre la nostra rassegna. La donna che appare in sogno al poeta é Lina Wolfler, che di 11 a poco sposérá Saba e sará l'amica di tutta la vita del­la famiglia Giotti. Con quel sogno, Giotti crea un bellissimo dipinto d'e-poca. La donna indossa infatti un abi­to viola secondo la moda del tempo, che produce un bel contrasto con i suoi lineamenti delicati. Anna Mode-na patagona questa figura femminile a quelle ritratte dal pittore Giovanni Boldini (vedi V. Giotti, Colorí, Einau-di, Torino 1997, p. 12). II sogno é rae-contato con quel nitore e quella natu-ralezza, figlia di un "lungo studio" e di un "grande amore", che é la cifra stili-stica inconfondibile del poeta triesti­no, grazie al sostegno di un'arte raffinatissima, come rivela, per esem-pio, la scelta métrica della strofa saffica senza rime. Sempre al Piccolo canzoniere appartiene uno dei capola-vori della poesia italiana del Novecen-to: " I veci che 'speta la morte", che bi-sognerebbe far leggere ai ragazzi a scuola per almeno due ragioni: per­ché comincino a familiarizzare con un grande poeta di cui é probabile che ignoríno l'esistenza persino a Trieste, e perché si awicinino per il suo trami­te all'universo povero e umiliato della vecchiaia, cosí come la rappresenta un Giotti giovane e ricco di speranze.

In questo poemetto di 113 versi tro-viamo, inaspettatamente, suggestioni ed echi leopardiani: nei versi "col sol che va e che vien, / ch'i vardi in giro le campagne, e soto, / i copi e le strade-te del paese" riecheggiano alia lontana alcuni versi del "Sabato del villaggio" ("Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre / Giú da' colli e da' tetti, / Al biancheggiar della recente luna", w, 17-19). "Se sentí el fabro del paese bá-ter" richiama i versi 33-34 della stessa poesia ("Odi il martel picchiare, odi / la sega del legnaiuol"). Cosí scopria-mo che esiste un forte légame tra il poeta triestino e il grande recanatese, amato fin daH'adolescenza da Giotti, che poté avere il volume Le Monnier dei Canti (1851) soltanto quando un

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amico, i l pittore trentino Alfredo Bu-chta, glielo regaló. Lui non avrebbe mai potuto comprárselo. E noi oggi non guarderemmo con tanta commo-zione le pagine di quel volume, chio-sate e torméntate dal poeta triestino, che per leggere di sólito andava in l i ­brería e divorava i classici e i moderni. Questa fame di libri la trasmise anche ai suoi figli, che durante la maledetta guerra che se l i portó via, uno da Pan-telleria, l'altro dalla Russia, gli chiede-vano continuamente libri e gli manda-vano la loro modesta paga, ben sapen-do in quali condizioni economiche versasse: "Caro babbo... Questo ulti­mo invio di libri é stato particular­mente felice di scelta: tutti libri che leggeró volentieri e che ripor-teró a casa e térro cari. Ti ho spe-dito oggi un vaglia di lire 50 (mi dispiace di non avere attualmente di piú)" (Lettera di Franco da Pantelleria, 3/8/1942/XX).3

Nei versi del poemetto sui vec-chi che aspettano la morte si intra-vedono anche suggestioni pittori-che del goriziano Vittorio Bolaffio e spunti postimpressionisti nella mescolanza dei colorí " in quel bianchiz smorto de tuto": in quel bianchiccio smorto di tutto (vedi P.P. Pasolini, citato da A. Mode-na; nota in V. Giotti, Colorí, cit., p. 39). La figura del poeta giovane e innamorato, che sta aspettando una ragazza, crea un contrasto for-tissimo con quelle dei vecchi che se ne stanno seduti dove capita e hanno anche loro un appuntamento, l'ultimo, con la morte.

Ma perché Giotti un certo giorno decise di scrivere in dialetto? Se lo chiedeva anche Saba. Evidentemente per lui i l dialetto é stato molto piú di uno strumento, che seppe usare con straordinaria maestría, tanto che, é stato detto, la purezza dei suoi versi oscilla tra Orazio e Leopardi. Dialetto come lingua di poesia allora, mentre l'italiano, Giotti lo usava solo per la quotidianitá. Lo ricorda Pasolini, rac-contando questo aneddoto: "Siccome Giotti, parlando, usa la koiné italiana, un amico gli chiese un giorno perché

non parlasse i l suo dialetto. 'Ma co­me', rispóse Giotti, 'vuole che usi, per i rapporti di ogni giorno, la lingua del­la poesia?'"/

Lingua di poesia é certamente quel­la di una canzone come "El bel tem­po", in cui si awertono reminiscenze del "Passero solitario" e del "Sabato del villaggio". Alia felicita della stagio-ne primaverile, alia gioia dell'attesa (del di festivo) segué l'amara conclu-sione, il ripiegamento dell'io su se stesso, i l pensiero della morte. I I tutto detto con un nitore classico, auténti­camente leopardiano. Del resto, era questa la poesia che Giotti considera-

va come la piú intimamente leopardia-na di tutta la sua produzione. Si intui-sce la stessa malinconia di chi non ha saputo o potuto godere delle gioie del­la giovinezza.

In tutt'altra atmosfera ci introduce una poesia breve ma da incanto, gio-cata su splendidi contrasti cromatici. Awia la sezione di Colorí e si intitola "Felizitá". Qui i l pittore ha i l soprav-vento sul poeta, o per dir meglio, i l poeta non si dimentica mai di essere anche pittore: descrive, o piuttosto "dipinge" con le parole, quello che ha osservato sulla marina: non puó non incantare l'incontro di un asino ñero

dalle grandi orecchie che se ne sta vi-cino a vele canarino e arancione, e di un giovanissimo contadino con quella cosa immensa che é i l mare, con la sua luce, la sua vastitá. I giochi di colore e gli accostamenti insoliti creano effetti dawero speciali. L'irruzione sul mare della campagna - l'asino ñero, i l con-tadinello, un carro, due bigonce - tra-smette una sensazione di purissima autentica felicita. I contrasti di tinte non potrebbero essere piú armoniosi. Viene da pensare a un dipinto di Bo­laffio, ai suoi cordami, ai cavalli da t i­ro. Ma qui c'é qualcosa di piú, qui ir-rompe con forza sulla scena della poe­

sia quell'entitá misteriosa e pres-soché irraggiungibile che si chia-ma felicita, ed é affidata a un im­pasto fiabesco di colorí, di contra­sti di paesaggi, di mitezza degli animali "che awicinano a Dio". Dedicata al pittore Bolaffio é inve-ce un'altra poesia di Colorí. S'in-tola "Con Bolaffio" e ha come sfondo una piazza di Gorizia dove si respira l'atmosfera idéale per rinsaldare o awiare un'amicizia.

Tuttavia, la raccolta rappresen-ta anche, nella sezione intitolata Sera, una Spoon River giottiana. Quella di Giotti fu una tragedia che devastó la sua esistenza e dal­la quale forse si salvó, almeno in parte, dipingendo e scrivendo. Nelle poesie di Colorí incontria-mo quotidianamente la follia e la morte. Alia "Felizitá" subentra i l ricordo di Paolo, "scampá de le

boche d'i lupi" (sfuggito alie bocche dei lupi), i suoi persecutori fascisti. Ma solo per poco. Perché dopo i l con­fino a San Nicoló di Tremiti con l'ac-cusa di antifascismo, dopo la gioia del suo ritorno a casa ("El fio torna a ca­sa"), un'altra tragedia, ben piú grande e terribile, si prepara: la scomparsa di Paolo e Franco in Russia, dove erano andati al seguito dell'VIII Armata ar-ruolandosi come interpreti. Lo aveva-no fatto per conoscere finalmente la térra della loro madre. Ma se Paolo qualcosa riusci a vedere e qualche giorno sereno lo visse anche lassú ("II paesaggio é di una dolcezza che mi

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commuove immensamente. La steppa é piena di pappi che volano con un po' di vento a miriadi. La mattina é madreperlacea e la notte é piena di stelle cadenti, a volte grandissime e vi-cinissime. I I grano é tutto d'oro"),' per Franco non fu cosi: appena arrivato in Russia da Pantelleria fu immediata­mente travolto da una situazione drammatica e non ebbe i l tempo di conoscerla. Vennero i giorni durissimi della disfatta del Don, a cui pochi so-prawissero. Tra questi non ci furono né Paolo né Franco. I due fratelli non avevano neppure fatto in tempo a in-contrarsi un'ultima volta.

Giotti é stato sempre "l'uomo della misura", una misura classica che é ci­fra etica e stilistica insieme, nascendo la seconda dalla prima. E misurato ap-pare persino in questa sua insostenibi-le orfanezza di padre, che non conosce mai sfoghi d'ira, violenza verbale, en-fasi. Nemmeno nella prosa color cene-re degli Appunti inutili, i l diario cui pose mano i l primo febbraio del 1946, súbito dopo aver avuto la certezza del­la morte di Paolo dalla lettera di un soldato. Paolino era stato stroncato da una broncopolmonite, dopo una mar-cia di venticinque giorni nella nevé, in un campo di prigionia, nel gennaio del '43, primo italiano morto in quel cam­po. E Giotti cominciava cosi, tre anni dopo, i suoi Appunti: "Martedi 29 gennaio per la lettera d'un soldato che gli fu compagno di prigionia, ho sapu-to che Paolo é morto [ . . . ] . La notizia della sua morte mi sorprese; non me l'attendevo. Fu un momento d'ango-scia. Oggi, dopo tre giorni, mi pare di essere rassegnato. Forse é i l cuore che ancora non crede".6 Impossibile accet-tare quella morte. A cui si aggiunse i l dramma di Franco, del quale non si seppe mai piú nulla. Fino all'anno 2000, quando, dopo l'apertura degli archivi segreti dell'Unione Soviética, alia sua famiglia, rappresentata ormai solo dalla sorella maggiore, Natalia, detta "Tanda", custode meravigliosa delle memorie familiari, giunse dal mi-nistero della Difesa la notizia della fine di Franco nel campo 188 di Tambov, "uno dei campi di concentramento

piú lugubri, teatro di atroci sofferenze e di migliaia di decessi",' dove i l ragaz-zo mori di tifo i l 28 gennaio 1943, a pochi giorni di distanza dal fratello.

In una delle sue poesie piú alte, "El paradiso", Giotti immagina di riavere la famiglia unita attorno a una tavola con la tovaglia bianca, nella casa di Via Lamarmora 34, a Trieste. Staran-no tutti insieme, i grandi e i piccini, Paolino e Franco bambini e anche grandi. E la vecchia madre del poeta, morta anche lei. Allora questo vorrá diré che saranno finalmente in "para­diso". Ma i l paradiso di Giotti é pura ¿ilusione, un sogno surreale nato dal desiderio e dalla disperazione. Un so­gno che ci ha regalato una delle liriche piú alte e originali del Novecento ita­liano. Fa da controcanto a questo "Pa­radiso", la poesia " A i mii fioi morti", scritta nel 1948 e inserita nella raccol-ta Sera, che giá conteneva la Spoon R¿-ver giottiana.

In questa lirica é stata rawisata la suggestione di un'elegia del poeta lati­no Propefzio, l'undicesima del libro IV (A. Modena, Colón, cit., p. 283), che ancora una volta ci dice su qualé lunghezza d'onda si collochi questo poeta, classico per i l suo dialogo con­tinuo con gli antichi e per tante carat-teristiche della sua opera; romántico per la disperazione senza lacrime e per quel suo chiedere perdono ai figli -con una nobiltá d'animo che ha del-Pincredibile - per non aver dato loro quello che avrebbe desiderato daré. La chiusa, affine a quella del "Paradi­so", ci porta in un mondo alternativo, immaginato come i l luogo in cui un padre e i suoi figli si ritroveranno e po-tranno e sapranno ancora chiacchiera-re e ridere insieme. Sara questo i l loro "paradiso".

In "Ciaro de luna" siamo sulla linea di confine tra i l mondo classico e quel­lo romántico. Si awertono echi dei frammenti di Saffo ("Plenilunio") ed evidenti suggestioni leopardiane. D i un Leopardi assimilato e fatto proprio dal poeta triestino. La luna l i lega l'uno all'altro: la candida luna del pa-store errante é la stessa che rischiara la notte dolorosa del poeta novecente-

sco: " 'sta luse me ga dito / una bona parola. // [...] // nel ciaro che par giorno". Ed é ancora lei, un"'ombra bianca de luna", a strapparlo al suo desiderio di moriré attraverso la voce della nipotina, la piccola Riña, che lo chiama per allontanarlo dai dirupi reali e da quelli mentali, e restituirlo alia vita ("Con Riña").

Ma i l pensiero di Paolo e Franco, svaniti nel nulla, non abbandonerá mai piú questo padre, che in versi pubblicati solo dopo la sua morte im­magina di sentir bussare alia porta un giorno i l figlio minore, Franco; la casa allora tornera a essere "chiara" come una volta, quando si era tutti uniti, quando la vita era proiettata verso un domani celeste come gli occhí di Fran­co. Adesso al poeta non resta che pen­sare ai suoi morti e fingere di parlare con la madre nel bar dove lei andava a bersi un caffé. Ma non le dirá che i figli sonó morti. Non ne ha i l coraggio.

Su quest'uomo "qualunque" che non si riconosce piú nelle cose, nelle strade, nella cittá della sua vita, scende un invernó senza fine. Perché non c'é «un domani nei pensieri del poeta e non c'é piú vita nelle sue giornate: "Oh, questo dimenticare, questo smarrirsi nel presente, questo moriré restando vivi ! " . 8

Anna De Simone

NOTE

1 Virgilio Giotti, Apunts inútils, Textos o"An­na de Simone i Claudio Magris, Traducció d'Anna Casassas, Cal-lígraf, Figueres 2014. 2 P.P. Pasolini, "La lingua della poesia", in Passione e ideología, Garzanti, Milano 1960, p. 290. ' Vedi Paolo e Franco Belli, Lettere al padre, a cura di A. De Simone, introduzione di C. Se-gre, postfazione di C. Magris, II Ramo d'Oro Editore, Trieste 2005. 4 P.P. Pasolini, "La lingua della poesia", in Passione e ideología, Garzanti, Milano 1960, p. 281. ' P. Belli, Lettera a V. Giotti, I o agosto 1942, in Lettere al padre, cit., p. 69. 6 V. Giotti, Appunti inutili, 1. II . 46, con testo inglese a fronte, II Ramo d'Oro Editore, Trie­ste 2007, p. 36. ' Alfio Caruso, Tutti i vivi all'assalto, Longane-si & C , Milano 2003, p. 20. 8 V. Giotti, Appunti inutili, cit., 2.10.47, p. 76.

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