MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO...

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ASSEDIO DELLA SICCITÀ, INCERTEZZE DELLA POLITICA SOMALIA, ASSETATI DI PACE MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 3 - WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA DONAZIONI ORA IL CINQUE PER MILLE, POI SERVE UNA POLITICA VIAGGIO NELLE PERIFERIE L’OMBRA PESANTE DELLE DIGHE E DELLE VELE MOZAMBICO I “RAGAZZI DEL LIXO”, UNA VITA IN DISCARICA aprile 2006

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ASSEDIO DELLA SICCITÀ, INCERTEZZE DELLA POLITICA

SOMALIA, ASSETATI DI PACE

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 3 - WWW.CARITASITALIANA.IT

Italia Caritas

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DONAZIONI ORA IL CINQUE PER MILLE, POI SERVE UNA POLITICAVIAGGIO NELLE PERIFERIE L’OMBRA PESANTE DELLE DIGHE E DELLE VELE

MOZAMBICO I “RAGAZZI DEL LIXO”, UNA VITA IN DISCARICA

aprile 2006

I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 0 6 3

editoriale di Vittorio NozzaDIFENDERE OGNI VITA NEI CROCEVIA DELLA STORIA 3parola e parole di Giovanni NicoliniHA LOTTATO CON DIO, GESÙ CI RENDE “DATORI DI VITA” 5verso verona di Giancarlo PeregoLA FESTA CHE RIVELA IL VALORE DEL LAVORO 6

nazionaleDISCRIMINAZIONI RAZZIALI, NON CHIUDIAMO GLI OCCHI 8di Oliviero Forti e Pietro Gavadall’altro mondo di Delfina Licata 11ORA IL CINQUE PER MILLE, POI SERVE UNA POLITICA 12di Paolo Pezzanadatabase di Walter Nanni 15PERIFERIE: L’OMBRA PESANTE DELLE DIGHE E DELLE VELE 16GENOVA Dimenticati dietro i due giganti di Francesca AngeliniNAPOLI La città-modello divenuta ghetto di Giuseppe Vanzanella“VOCAZIONE ECOLOGICA”, OCCASIONE DI DIALOGO 20di Pietro Gavacontrappunto di Domenico Rosati 22

panoramacaritas IMMIGRAZIONE, FILIPPINE, SAHARAWI 23progetti AIUTO ALL’AFRICA 24

internazionaleMOZAMBICO: I “RAGAZZI DEL LIXO”, UNA VITA IN PATTUMIERA 26di Paolo Roncoguerre alla finestra di Paolo Beccegato 31POCA ACQUA, TANTI FUCILI: SOMALIA A RISCHIO CARESTIA 32testi e foto di Emiliano Bos e Davide Bernocchicasa comune di Gianni Borsa 36TEMPO DI EUROPA SOCIALE, LA CARITAS VERSO ATENE 37di Laura Stopponi e Maria Chiara Cremonacontrappunto di Alberto Bobbio 39

agenda territori 40villaggio globale 44

ritratto d’autore di Maria Rita SaulleLO STUDENTE SOSPESO TRA LA TESI E LA GUERRA CIVILE 47

sommario ANNO XXXIX NUMERO 3

IN COPERTINAUn ragazzo abbevera

un cammello nei pressidella pozza di Safarnolay,

sud Somalia. In molte zonedel Corno d’Africa colpite

dalla siccità anche berediventa un’impresa

foto Emiliano Bos

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Mensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della Ceiviale F. Baldelli, 4100146 Romawww.caritasitaliana.itemail:[email protected]

DIFENDERE OGNI VITANEI CROCEVIA DELLA STORIA

editoriale

protratti nel tempo ed entrati nelle abitudini danno luogoa vere e proprie strutture mentali, culturali e sociali. “Strut-ture di peccato”, come le ha definite Giovanni Paolo II nel-l’enciclica Sollicitudo rei socialis.

Immersi e quasi schiacciati da queste abitudini men-tali, culturali e sociali, finiamo per armare le nostre paure,non controllare le nostre violenze, stagnare nella nostraindifferenza e nel nostro cinismo. In nome di ciò ci faccia-mo paladini di una cultura di morte. E così diventa nor-male, a livello di comportamenti individuali o collettivi(magari regolamentati anche a livello legislativo), mani-polare embrioni, ammazzare o abbandonare neonati,non tutelare le famiglie, i bambini, gli anziani e i disabili,farsi giustizia da sé, assuefarsi a meccanismi che produ-cono profonde disuguaglianze e che, a livello mondiale,

lenza, questo è un messaggio digrande attualità e di significato mol-to concreto” (Deus caritas est, n. 1).La bussola dell’amore indica untracciato di comprensione e riconci-liazione e non lascia spazio alle pro-fezie di sventura. L’amore di Dio perl’uomo si prolunga tra gli uomini, einevitabilmente sui loro rapporti.

Una cultura di morteEssenziale è anche il valore della vita,sacra ed inviolabile, perché in ogni vi-ta c’è l’impronta dell’immagine e del-l’amore di Dio. Ogni vita va dunquedifesa con tanto più vigore, in unmondo in cui perdura l’abitudine diuccidere, cioè di non rispettare la vitao di considerarla come una variabiledipendente da altri fattori ritenuti su-periori: il mercato, il potere economi-co e finanziario, il tornaconto perso-nale, l’egoismo, l’edonismo, la guerrain tutte le sue espressioni. Si tratta dicomportamenti umani negativi, che

Imutamenti e i problemi che stiamo vivendo fanno pensarea una necessaria nuova creazione del mondo. Si avverte unasensazione di ressa e confusione, con troppi interessi e

mentalità lontane, con smarrimento e paura. Si tratta di dareordine a una folla immensa, a popoli e culture diversi, di ri-spondere a bisogni e desideri sterminati, favorendo le condizio-ni minime di fraternità e giustizia. E la nostra cultura offre sì ri-sorse ingegnose e scintillanti, ma nell’ordine degli strumenti, abbondanti e raffinati, poveri però difini, speranze, significati e legami checi tengano uniti in un’unica avventu-ra. È una cultura che ci immerge inun individualismo libertario, inadat-to ad affrontare queste grandi sfide.Una cultura che è complessata neiconfronti di Dio: non c’è buona,equilibrata armonia tra Dio e l’uomo,tra la sapienza divina e la sapienzaumana. I più evoluti, i più modernipreferiscono relegare Dio nel privatodelle singole coscienze. In questa si-tuazione è urgente trovare una bus-sola. Lungo le vie della Quaresima, con lo sguardo punta-to sul mistero di passione, morte e risurrezione di Cristo,siamo chiamati a vivere, a riaffermare con forza e a difen-dere ciò che è essenziale.

Essenziale è un rinnovato accordo con Dio, una rin-novata capacità di dialogo con la sua sapienza e il suoamore. Essenziale è il richiamo di Benedetto XVI allacentralità dell’amore, alla passione per l’amore, alla suaforza e alla sua mitezza. Da Dio alle sue creature e da unacreatura a un’altra, l’amore segue due percorsi di luce:un percorso scende e risale da Dio e verso Dio; un altro,circolare, avvolge in un abbraccio comunitario l’uma-nità intera, tutti e ciascuno, senza distinzione di razza edi fede. “In un mondo in cui al nome di Dio viene colle-gata la vendetta e perfino il dovere dell’odio e della vio-

Siamo avvolti da unacultura complessata

nei confronti di Dio, unindividualismo libertario

inadeguato alle sfide della contemporaneità.Serve un nuovo dialogocon la sapienza di Dio.

Per scardinare tante“strutture di peccato”

di Vittorio Nozza

ItaliaCaritas

direttoreDon Vittorio Nozzadirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato,Renato Marinaro, Francesco Marsico, Francesco Meloni, Giancarlo Perego, Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna ([email protected])Simona Corvaia ([email protected])stampaOmnimediavia Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408sede legaleviale F. Baldelli, 41 - 00146 Romatel. 06 541921 (centralino)

06 54192226-7-77 (redazione)offertePaola Bandini ([email protected])tel. 06 54192205inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie arretrateMarina Olimpieri ([email protected])tel. 06 54192202spedizionein abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478dell’8/2/1969 Tribunale di Roma

Chiuso in redazione il 17/3/2006

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editoriale

condannano a morte buona parte della popolazione delpianeta. E così diventa normale fare la guerra e addirittu-ra farla in nome di Dio.

Eppure fare la pace richiede più coraggio che fare laguerra. Difendere la vita richiede più coraggio che soppri-merla. È questa una sfida sempre più vasta e cruciale, daaffrontare con la piena consapevolezza che la vita è il pri-mo dono di Dio. Se ci disponiamo a una vita che diventaprogetto a partire da questo dono, impareremo a rispetta-re e accogliere la vita dell’altro; perché anche la sua vita èun dono.

In questa prospettiva la storia non è un semplice suc-cedersi di fatti, ma è qualcosa di più – un luogo in cui alcredente è chiesto di porsi in ascolto di un Dio che invi-ta al cambiamento e alla missione –; allora ogni fatto ciinterpella, è un avvenimento che provoca le nostre co-munità, quasi forzandole a uscire dal lento quanto an-noiato percorso di vita, per accogliere una domanda cheda “altrove” giunge a esse. Il vangelo non è il custode del-le coscienze tranquille. È piuttosto dono da realizzare,fuoco da portare e sogno in cui abitare.

Contemplazione e missioneMai come oggi un’evangelizzazione seria sarà legataalla realtà che si vive ogni giorno, ai temi e alle proble-

matiche forse scontati, ma ineliminabili, della vita,della giustizia, della dignità, dello scoraggiamento,della disperazione e del futuro di tantissime persone,per nulla sereno. Frequentare e abitare le nostre espe-rienze ecclesiali, dentro la storia e i territori a cui ap-partengono, significa saldare la pastorale dell’acco-glienza con il dovere della denuncia, con il coraggiodell’andare a cercare, dell’andare dove la dignità del-l’uomo è più calpestata e dove il grido è più soffocatoe zittito: “La stessa sollecitudine per il vero bene del-l’uomo che ci spinge a prenderci cura delle sorti dellefamiglie e del rispetto della vita umana si esprime nel-l’attenzione ai poveri che abbiamo tra noi, agli amma-lati, agli immigrati, ai popoli decimati dalle malattie,dalle guerre e dalla fame (…). Ricordiamoci sempredelle parole del Signore: quello che avete fatto a unosolo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto ame” (Benedetto XVI, assemblea generale Cei, 30 mag-gio 2005). Al convegno ecclesiale di Palermo, nel 1995,si chiese un salto di qualità, congiungendo una più in-tensa spiritualità e una più coraggiosa presenza diChiesa nelle vicende della storia: contemplazione emissione, appunto.

Questo è il percorso su cui giochiamo la scommessadi una nuova creazione.

greto della vera potenza. Dio ha rive-lato quale sia la sua potenza. La po-tenza di Dio è l’Amore. Nell’Amore èveramente Onnipotente. Nessuno civuole bene come Lui e più di Lui.

Non mi lascia precipitareUn padre di recente ha perso il suobambino e a bruciapelo, in mezzo atanta gente, mi ha chiesto: «Secondolei, è vivo?». «Sì, ne sono certo», ho ri-sposto, lottando contro la mia incre-dulità. «E come fa a saperlo?». «Lo so,perchè so quanto mi ama, e come siadunque impossibile che mi lasci pre-cipitare nella morte». Nella morte èentrato Lui una volta per sempre: isegni della Croce sono indubitabili! Edalla morte ci ha liberati.

E adesso? Adesso ci manda, co-me il Padre ha mandato Lui. E “co-me” ci manda? Piccoli, poveri, fragi-li, ma ricchissimi d’amore. Non perl’amore che abbiamo, che è scarso.Ma per l’Amore di cui Lui stesso ci

riempie con quel soffio del Suo Spirito, che stabilisce lanovità rispetto al vecchio Adamo: lui, il primo uomo,anima vivente; noi, con Gesù, l’ultimo Adamo, l’Adamonuovo, datori di vita, nome nuovo della nuova umanità!Per questo ci manda. Per annunciare e comunicare atutti il regalo di una liberazione dalla morte, perchè tut-ti possano essere fecondi di vita. Ormai da Lui abbiamocapito che abbiamo la vita... per dare la vita! Dare la vi-ta: nome nuovo della morte. Memoria affettuosa di tut-ti coloro che nell’amore ci hanno dato la vita nel SuoNome. Progetto che avvolge l’intera nostra esistenza.Prospettiva di vita che fa bella la vita.

La sera di Pasqua è ancora paura,secondo la memoria evangelica diGiovanni. Paura dei giudei, paura del-la morte che ha avvolto di sé la perso-na amata di Gesù. Ed ecco, Lui, ilnuovo Signore della creazione e dellastoria, entra nel chiuso delle porte, edei nostri cuori. Si ferma in mezzo anoi e dice: «Pace a voi». E siccome or-mai non si può riconoscere la Paroladi Dio se non nella concretezza dellacarne di Gesù, Egli mostra la sua car-ne: trafitta. “Mostrò loro le mani e ilcostato”: quella carne trafitta è la cer-tezza che questo è veramente il Pastore buono. Quello cheè entrato nel recinto della nostra storia non attraverso laviolenza della conquista e del potere della morte, ma attra-verso la porta dell’obbedienza al Padre fino alla Croce.

Adesso viene riconosciuto e suscita la gioia nei nostricuori: “Gioirono al vedere il Signore”. Lo riconoscono co-me Colui che li ama. Lo riconoscono perchè porta nellasua carne il segno dell’Amore che ha per loro, quell’Amo-re che l’ha condotto alla suprema lotta con Dio. Lotta cheGiacobbe aveva profetizzato. Lotta che è il nome di Israe-le, che ha combattuto con Dio e ha vinto. Gesù ha vinto.E Dio pienamente benedice. In Gesù, Dio ha rivelato il se-

L’uomo ha bisogno di un Dio nuovo,

dopo tanta violenza.Nella sera della pauraagli apostoli compareGesù. Colui nel quale

il Padre manifesta la sua potenza.E che ci invia

ad annunciare laliberazione dalla morte

HA LOTTATO CON DIO,GESÙ CI RENDE “DATORI DI VITA”

Dopo tanti dèi, grandi, grossi, ricchi, lontani, armati, violenti, vin-

citori, che sanno tutto, che possono tutto... ci occorre un Dio

nuovo. Soprattutto in questi tempi terrificanti, nei quali talvolta

ci chiediamo come potrà sopravvivere il nostro povero, vecchio mon-

do in mezzo a tutte le violenze scatenate senza scrupolo dagli dèi e dai

signori della mondanità, ci vuole veramente un Signore nuovo. Lo ri-

ceviamo dai padri ebrei, che ne hanno custodito e ne custodiscono la

profezia, cammino essenziale per arrivare al grande incontro con Lui.

parola e paroledi Giovanni Nicolini

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogodove si trovavano i discepoli per timore dei giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse:“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Giovanni 20,19-23)

Oggi sembra diventato normale fare la guerra,e addirittura farla in nome di Dio.Eppure fare la pace

richiede più coraggio che fare la guerra

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LA FESTA CHE RIVELAIL VALORE DEL LAVORO

verso verona

del progetto ecclesiale Policoro ha segnalato – per af-frontare in maniera seria e condivisa la fuga dei giovani,la disoccupazione, il lavoro nero o precario che si mani-festano al sud.

La speranza nasce da una Festa che non è sempliceevasione, ma diventa il tempo e il luogo della condivi-sione della novità della Pasqua, per alimentare una te-stimonianza che porti con sé condivisione, qualità di re-lazioni anche nei luoghi di lavoro, voglia di intraprende-re, nuove storie di cooperazione sociale. La Festa ripor-ta alle origini della storia di Gesù e della chiesa come“storia d’amore”, e d’altro canto rinnova l’impegno,adesso e qui, a costruire e narrare storie di lavoro e disocialità ricche delle qualità dell’amore cristiano: con-cretezza, libertà, condivisione, fedeltà, gratuità.

tempi morti di permanenza, nellamancanza di opportuni tempi di ri-poso, in tempi di lavoro che arrivanoanche alle 12 ore quotidiane. A ciòvanno aggiunte ampie fasce (non so-lo tra gli immigrati, ma anche tra i la-voratori italiani) di persone costretteal lavoro nero o al doppio lavoro (unoregolarmente retribuito, uno no).

Condividere e intraprendereSoprattutto i giovani vivono forte-mente i cambiamenti, ma anche lamobilità sul lavoro, oltre a soffrire diuna mancata o poco precisa tutelain termini previdenziali. Soprattuttoal sud questa precarietà della situa-zione lavorativa giovanile risulta es-sere grave e chiede scelte politicheche non penalizzino ulteriormentele risorse e la vivacità pure esistenti.Sostenere l’impresa giovanile, valo-rizzare il territorio e difendere la le-galità sono scelte di campo necessa-rie – come l’esperienza decennale

Il mondo del lavoro in Italia vive profondi cambiamenti, legati sia

alla complessità che alla globalità. Ogni cambiamento è traumati-

co, porta con sé opportunità nuove, ma anche problemi diversi:

precarietà, disoccupazione o perdita del lavoro, perdita di competiti-

vità, nuove esigenze di tutela, rinnovate esperienze di legalità, povertà

nel lavoro… Dentro questi cambiamenti, che i fedeli laici vivono in pri-

ma persona, i singoli e la comunità cristiana sono chiamati a testimo-

niare la speranza pasquale, alimentata dall’Eucaristia e dalla domenica,

giorno del Signore, che costituisco-no il tempo della festa cristiana. IlConvegno ecclesiale nazionale diVerona sarà un’importante occasio-ne per riflettere insieme sul bino-mio “Lavoro e festa” dentro il nostrotempo, riconoscendo realtà impor-tanti della vita delle nostre città e, inesse, delle famiglie e dei giovani.

Tra i temi che emergono dalla ri-flessione proposta dal “Documentodi lavoro” preparatorio e dai primi ri-sultati dei laboratori condotti da Cei eCaritas Italiana, vanno ricordati quel-li inerenti alla povertà nel lavoro, all’immigrazione e ai gio-vani. Nel mondo del lavoro si vive oggi infatti una forte mo-bilità, caratterizzata soprattutto dal fenomeno dell’immi-grazione (che in alcuni ambiti e settori produttivi e di ser-vizio catalizza la maggior parte della nuova forza lavoro inItalia), ma si sperimenta anche una crescente precarietà,che ripropone il lavoro come “questione sociale” del nostrotempo. Nel mondo dei lavoratori immigrati molti non go-dono di cittadinanza, non solo perché non hanno un per-messo di soggiorno, ma anche perché sono esclusi da pro-cessi di partecipazione alla vita della città: diritto di voto,famiglia, partecipazione sociale. Molti immigrati vivono illavoro in una situazione di precarietà estrema e di sfrutta-mento, che si concretizza nel difficile accesso alla casa, incontratti a tempo determinato, in contratti stagionali con

L’attualità manifestafenomeni di trasformazione

e precarietà, che minacciano giovani,

famiglie e immigrati.Ma dove si celebra la novità

della Pasqua si scopre la possibilità di relazioni,

anche lavorative, capaci d’amore

di Giancarlo Perego

Leggo doppioLeggo solidale

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È un mensile di economia sociale e finanza etica promosso da Banca Etica. Propone ogni mese “Osservatorio nuove povertà”, in collaborazione con Caritas Italiana.

È il mensile del Pime: una rivista missionaria dinamica e attenta all’attualità internazionale ed ecclesiale.

Italia Caritas + Mondo e Missione

Italia Caritas + Valori

Novità 2006 per i lettori: Italia Caritas a casa vostra, insieme a un altro periodico, per capire meglio la società e il mondo che ci ruotano attorno, nel segno della solidarietà.Alleanza di pagine e idee, a un prezzo conveniente.

Straniera e troppo bella,Carla e il prezzo della generosità

Carla è una donna bulgara di 40 anni, gli ultimi dieci liha vissuti nel nostro paese, ma non sempre la suadignità è stata rispettata, in particolare nel mondo dellavoro. Quando è arrivata a Roma insieme al suocompagno, divenuto in seguito suo marito, è stataaccolta in una struttura della Caritas diocesana e dopoun breve periodo si è spostata in una città 30chilometri a sud della capitale. La ricerca diun’occupazione non è stata per niente facile e hariservato diverse brutte sorprese. La laurea in belle artidi Carla non è stata apprezzata in alcune scuole private,almeno non quanto la sua bellezza. Alcuni presidi a cuiera stata rivolta la richiesta di lavoro, notando laprovenienza straniera e intuendo la situazione dibisogno hanno cercato di approfittare della situazione,tentando maldestri approcci alla ragazza. La loro“generosità” aveva un prezzo, che la donna bulgara harifiutato, così si è iscritta a un corso per parrucchieri.Gli organizzatori le avevano promesso che al terminedelle lezioni avrebbe potuto aprire una sua attività. Materminato il corso e dimostrate le sue capacità, gliorganizzatori l’hanno inviata a sue spese presso alcuniesercizi di Roma, che finito il periodo di prova nonl’hanno mai pagata, e tanto meno assunta. Era unastraniera come tante, quindi poteva essere sfruttata.

Se la capitale ha offerto poco a Carla, in provincia aun certo punto sembrava spuntare un’occasione. Graziea un parroco ha cominciato a fare la domestica nellacasa di una famiglia benestante, ma gli occhi delpadrone di casa l’hanno ben presto messa a disagio.Così è iniziato un rapporto difficile, non fondato sullafiducia, e la donna è stata umiliata con turni di lavorolunghissimi. Inevitabile, a un certo punto, la scelta diandare a lavorare, sempre come domestica, in un’altraabitazione, dove lavora ora e per fortuna è nato unottimo rapporto con la padrona di casa. Oggi Carlalavora anche in una pizzeria; a volte, quando siaccorgono che è bulgara, alcuni clienti italiani e rumenisi permettono di parlare della cameriera a voce alta,con parole poco gentili. Ma non ricevono attenzione. Acasa ad aspettare Carla ci sono un marito e due figli.La forza che le consente di superare offese ediscriminazioni. [Pietro Gava]

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nazionaleimmigrazione

nione pubblica un fenomeno così odioso anche asuon di carte bollate, ma ciò di cui abbiamo più biso-gno è un serio piano di sensibilizzazione, che rag-giunga trasversalmente tutta la società, non ultimi idecisori politici. È emblematico il caso dell’ultimalegge finanziaria, che esclude i figli degli immigrati dalgodimento dei mille euro previsti per tutti i nuovi na-ti nel 2005, o della legge della regione Lombardia chenon ha incluso i cittadini stranieri residenti nella re-gione tra gli aventi il diritto alla circolazione gratuitasui servizi di trasporto pubblico di linea riconosciutoalle persone totalmente invalide per cause civili. Perfortuna anche in questo caso è intervenuta la Corte

Costituzionale, che con la sentenza 432 del 2005 hadichiarato l’illegittimità della norma, in quanto dallastessa non si evince “altra ratio che non sia quella diintrodurre una preclusione destinata a scriminare, dalnovero dei fruitori della provvidenza sociale, gli stra-nieri in quanto tali”.

Ciò che più preoccupa, però, è il reiterato atteggia-mento discriminatorio degli amministratori a dannodegli immigrati, che appare dettato più da una pre-clusione ideologica che non da legittime scelte dibuon governo. Anche le iniziative salutate da tutti confavore, come la creazione dello stesso Unar, si sonosviluppate in un contesto di “obbligo istituzionale”,

Lavoro, casa, scuola e fede sono aspetti con i qualile vittime di discriminazione devono confrontarsiogni giorno. Anche prendere un caffè, alcune volte,può diventare motivo d’incertezza e di paura, così co-me è accaduto lo scorso anno, quando un esercente èstato condannato per essersi rifiutato di servire con-sumazioni a cittadini nordafricani. La terza sezionepenale della Corte di Cassazione ha confermato lasentenza, stabilendo che è razzista chi, in un bar, si ri-fiuta di servire il caffè a clienti stranieri. I giudici han-no chiarito che la discriminazione razziale è ravvisa-bile in atti, individuali o collettivi, di incitamento al-l’offesa della dignità di persone di diversa razza, etniao religione, ovvero in comportamenti di effettiva offe-sa di tali persone, consistenti in parole, gesti e formedi violenza ispirati in modo univoco da intolleranza. Eche tra gli atti di discriminazione deve essere inseritoanche il comportamento di chi imponga condizionipiù svantaggiose o si rifiuti di fornire a uno stranierobeni o servizi offerti al pubblico.

Preclusione ideologicaMa non basta certo una sentenza della Cassazione perfar cessare un comportamento, le cui motivazioni so-no molto più profonde e meritevoli di grande atten-zione. È sicuramente utile portare agli occhi dell’opi-

DISCRIMINAZIONI RAZZIALI,NON CHIUDIAMO GLI OCCHIdi Oliviero Forti

L’autista dell’autobus che non apre le porte quando vede alle fermate personedi colore; il locale che fa pagare il biglietto d’ingresso solo agli stranieri; il con-dominio che impedisce ai bambini di una coppia sudamericana di giocarenelle parti comuni dello stabile; il caposquadra che insulta ogni mattina ilproprio operaio di origine africana; la ragazza che non può fare la commessain un supermercato perché è “nera”. Sono alcune delle discriminazioni a dan-

no di cittadini stranieri monitorate dall’Unar, l’Ufficio antidiscriminazione razziale istituitodal ministero delle pari opportunità.

Purtroppo ogni ambito della quotidianità è macchiato da atteggiamenti odiosi e meschi-ni, che colpiscono le fasce più deboli della popolazione. Fra esse gli immigrati, in particola-re quelli che si trovano in posizione irregolare, come conferma anche il rapporto dell’Euro-pean Network Against Racism (Rete europea contro il razzismo) del 2004.

In Italia l’irrobustirsi dei flussimigratori va di pari passo con il diffondersi di comportamentidiscriminatori. A monitorarliadesso c’è l’Unar. Ma devecambiare, oltre che la mentalità dei cittadini, anche la politica

OFFESADELLA DIGNITÀIl tema delladiscriminazioneper motivi razzialiè stato definitoanche da alcunesentenzedi Cassazione.Ma la battagliava condotta sulpiano culturalee politico,oltre che legale

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Le segnalazioni all’Unar,problemi per la casa e il lavoro

L'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali(Unar) ha recentemente presentato il suo Rapporto 2005 al parlamento e al presidente del consiglio. L’Unar ha istituito il 16 novembre 2004 un numero verde(800.90.10.10), attivo 24 ore su 24, al quale sono pervenute nei primi dodici mesi di attività 3.438 chiamate, di cui 2.571 richieste di informazioni riguardo alle materie più strettamente attinenti i problemidell'immigrazione (permessi di soggiorno,cittadinanza, ecc), 577 segnalazioni di discriminazioni fondate su altri fattori(handicap, età, orientamento sessuale) e 282 segnalazioni di casi di discriminazionirazziali. Una telefonata su tre è stata effettuatada cittadini africani, di media età, in Italia da molto tempo; in particolare, il 19,6% di coloroche hanno chiamato erano persone provenientida paesi subsahariani, il 18% nordafricani. È rilevante il numero di italiani (29,4%) che hanno utilizzato il numero verde perchétestimoni di episodi di discriminazione. Seguono segnalazioni effettuate da personeprovenienti dall’Europa Orientale (15,9%), dai latinoamericani (11,3%) e da persone di origine asiatica (4,2%).

Due chiamate su tre sono state effettuatedall’Italia settentrionale (35,4% dalle regioni del nord-ovest, 33% da quelle del nord-est), il 27% dalle regioni centrali e il 4,6% dal sud e dalle isole. Quanto all’oggetto delle denunce di episodi di discriminazione, gli ambiti “casa” e “lavoro” hanno fatto registrare un pocorassicurante 48%. Seguono segnalazioni nei settori “enti pubblici” (10%), “pubbliciesercenti” (7%), “servizi finanziari” (7%) e “forze dell’ordine” (6%). L’Unar ha ancheattivato un servizio di assistenza legale per le vittime degli episodi di razzismo e ha realizzato opere di sensibilizzazionedell’opinione pubblica attraverso mass media e sui mezzi di trasporto.

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nazionaleimmigrazione

REAGIRE AI SOPRUSIManifestazione antirazzista per le strade di Roma. Dallasocietà civile positivi esempi di azioni anti-discriminazione

piuttosto che come conseguenza di precise scelte po-litiche. La necessità di dare attuazione a una direttivaeuropea è alla base dell’istituzione di un ufficio di cuiil nostro paese aveva bisogno da anni, dal momentoche il problema della discriminazione razziale nascecon l’intensificarsi dei flussi di immigrazione.

Fortunatamente il terzo settore, insieme al mondoaccademico e ai sindacati, ha mostrato una particola-re sensibilità in materia, promuovendo numerose ini-ziative di sensibilizzazione e informazione dell’opi-nione pubblica, attraverso progetti di ricerca i cui ri-sultati costituiscono la base per pianificare interventiefficaci. Così, per esempio, il rapporto dell’Organizza-zione internazionale del lavoro sulla “Discriminazio-ne dei lavoratori immigrati nel mercato del lavoro inItalia” segnalava, nel 2004, che la discriminazione esi-ste, in modo specifico nel funzionamento del merca-to del lavoro. L’Italia ha ratificato la Convenzione del-l’Oil sui lavoratori migranti e il 1° luglio 2003 è entratain vigore la Convenzione internazionale sulla prote-zione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle lo-ro famiglie; inoltre già oggi l’Italia è tenuta ad applica-re una direttiva europea sull’argomento. Ma le misurerepressive e di monitoraggio del fenomeno non basta-no; occorre pensare a politiche indirizzate a indebo-lirlo alle radici, e questo sarà possibile solo attraversoun intervento che incida sulle deboli basi culturali diuna larga fascia della popolazione italiana.

dall’altro mondo

di Delfina Licata redazione “Dossier statistico immigrazione” Caritas-Migrantes

OSSIGENO D’OLTRE CONFINEPER IL MERCATO IMMOBILIARE

menti oltre i 120 metri quadri.

Assurde discriminazioniDove comprano gli immigrati? Gliacquisti avvengono prevalente-mente nelle periferie delle grandicittà, cioè nei quartieri dove le valu-tazioni immobiliari sono più bassee le abitazioni di minore qualità e,preferibilmente, da ristrutturare.L’interesse si va orientando inoltreverso l’hinterland e le città di pro-vincia, dove le analisi del mercatoimmobiliare registrano un minoraumento dei valori immobiliari ri-spetto alle metropoli. Requisito es-senziale è che la zona sia ben servi-ta dai trasporti pubblici. L’acquistoin quartieri poco apprezzati rappre-senta una preziosa boccata di ossi-geno per il mercato immobiliare,permettendo lo “smercio” di immo-bili poco apprezzati dagli italiani.

Si mette così in moto un circo-lo virtuoso, che ha come effetto

una parziale redistribuzione territoriale della popola-zione, cioè una modifica del tessuto sociale delle città.A gruppi di italiani che riescono a migliorare la lorocondizione abitativa, si sostituiscono gruppi sociali abasso reddito, che riescono ad accedere all’abitazionein proprietà, ma in zone degradate e in assenza distrumenti di pianificazione strategica. Questo cambiopuò in ogni caso rivelarsi un’occasione di recuperodel patrimonio abitativo e di potenziamento delle in-frastrutture. L’acquisto da parte di un immigrato peròporta spesso, a causa di assurdi atteggiamenti discri-minatori, a una penalizzazione del valore dell’alloggioo dello stabile in misura più forte di quanto avvengaper l’affitto, così capita che l’atteggiamento dei con-domini si trasformi in chiara ostilità.

Che gli immigrati residenti in Italia siano diventati importantiprotagonisti del mercato immobiliare, è testimoniato dai datirelativi alle compravendite immobiliari e alle richieste di mutuo

per l’acquisto della prima casa. La propensione all’acquisto è legatasia al desiderio di abbandonare l’onere dell’affitto, con i suoi eccessi-vi costi, sia alla crescente volontà di stabilirsi in Italia. Nonostante ilrifiuto di fornire alloggio agli stranieri regolari rientri tra le forme didiscriminazione perseguibili legalmente (risarcimento dei danni perle vittime e fino a tre anni di reclusione per chi commette il reato), le inserzioni sui giornali sono sem-pre più frequenti. Ma non esistonorilevazioni periodiche sull’evoluzio-ne della condizione abitativa degliimmigrati in Italia, sebbene la casasia un fattore fondamentale nel pro-cesso di integrazione sociale. Si con-corda comunque su una genericastima del 10% di acquisti da parte distranieri sul totale delle compraven-dite di abitazioni, in particolare nellegrandi città. Inoltre si stima che, nel2004, circa il 5% degli immigrati pre-senti in Italia viveva già in case diproprietà, percentuale destinata a salire.

Secondo i dati del Dossier statistico Caritas-Migran-tes, il costo medio delle case acquistate dagli immigratiè di 108mila euro (1.400 euro al metro quadro); il 30%degli immigrati le compra pagando in contanti, il re-stante 70% ricorre al mutuo, che copre, in media, tra il70 e il 90% dell’ammontare dell’acquisto. L’acquirentetipo è uno straniero con regolare permesso di soggiornoe busta paga, di età compresa tra i 25 e i 35 anni, resi-dente in Italia già da molti anni. Le case acquistate sonosoprattutto di livello medio-basso, preferibilmente daristrutturare (nel 62,6% dei casi) e con un’ampiezza me-dia fra i 60 e i 90 metri quadri: si tratta, cioè, di trilocali(nel 41,7% dei casi) o bilocali (34,8%). Meno richiesti,invece, sono i monolocali, i quadrilocali e gli apparta-

nazionale

Gli immigrati sonoprotagonisti del 10%

degli acquisti di case inItalia.Si orientano verso

abitazioni in periferiae di livello medio-basso.

Ma ciò contribuiscea redistribuirela popolazionee a rinnovare

il patrimonio abitativo

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ono 29.164 le organizzazioni che, entro l’inizio di febbraio, si sono candidate ad ac-cedere alla ripartizione delle risorse derivanti dal cinque per mille dell’Irpef previstoa titolo sperimentale dall’ultima legge finanziaria. Il governo ha stimato tali risorsein un massimo di 270 milioni di euro per il 2006, ma il raggiungimento di questo tet-to non è certo; inoltre i fondi saranno effettivamente erogati solo nel 2007. Nell’e-lenco, la parte del leone la fanno gli enti non profit (28.779, tra essi quasi tutti i prin-cipali attori del volontariato e del terzo settore); vi sono poi 336 università ed enti che

svolgono ricerca scientifica e 49 enti che svolgono ricerca sanitaria. L’Istat nel 2001 stimava ilcomplesso degli enti non profit italiani in circa 235 mila soggetti; considerato che tali enti nonesauriscono il campo dei potenziali candidati, si può stimare che, esclusi i comuni (più di ot-tomila, tutti automaticamente accreditati), circa il 10% degli enti aventi diritto ad accedere al

Strumento inedito in EuropaFavorire una tale raccolta di risorse è il compito di“politica industriale” che il non profit attende dalleistituzioni; non delegare la funzione pubblica ma in-tegrarla, coinvolgendo responsabilmente e dal bassola comunità, è peraltro anche il tratto distintivo del-l’evoluzione del non profit italiano. I due obiettivi de-vono e possono convergere; il cinque per mille, inquesta prospettiva, rappresenta una scommessa po-litica di sistema e sarebbe tendenzioso liquidare ilmodo in cui è stata accolta come ipocrita assalto auna diligenza messa a disposizione solo per conve-nienza elettorale.

Per capire se la scommessa avrà successo, ovveroper valutare l’effettiva adeguatezza del mezzo rispettoal fine di realizzare una società più coesa, equa, acco-

cinque per mille abbia avanzato la relativa domanda.Ma sarà vera gloria? Non è il caso di emettere sen-

tenze, ma alcune considerazioni sono già possibili.Esaminando l’elenco ministeriale (all’indirizzo inter-net www.agenziaentrate.gov.it) si rileva che la plateadei soggetti accreditatisi è ampia e rappresentativa,certamente assai più ampia del consesso di chi avevasalutato con favore il varo di questa misura, inserita inun quadro storico di sostegno al non profit non certolineare ed efficace. Il non profit italiano è ormai unarealtà produttiva consolidata ed estesa (sempre standoai dati Istat, supera per addetti il settore bancario); tut-tavia non è mai stato oggetto di alcuna seria “politicaindustriale” e attualmente, per svolgere le proprie fun-zioni, non può certo contare sulle sole risorse pubbli-che che derivano dai contributi e dalle convenzioniper i servizi svolti.

Tali entrate non possono essere sufficienti a copriresia i costi di gestione che quelli inerenti le funzioni dipresenza, animazione comunitaria e innovazione speri-mentale, che il terzo settore per sua natura dovrebbeesprimere. Per non snaturarsi il non profit ha allora bi-sogno di contare su un significativo apporto di risorseprivate, che non sostituiscano quelle pubbliche esisten-ti; scopo di queste ultime è anzitutto garantire serviziche incorporano i diritti dei cittadini, mentre le primeservono per integrarle sinergicamente, in un’ottica disussidiarietà e potenziamento della funzione pubblica.

gliente e responsabile, occorrerà però tenere d’occhiodue coordinate: l’adesione che incontrerà tra i contri-buenti (e le relative risorse mobilitate); il modo in cuitali risorse si integreranno con gli investimenti pub-blici diretti in welfare, ricerca e innovazione. Gli argo-menti per gli scettici non mancano: il nostro sistemaha già conosciuto forme di incentivo fiscale alle dona-zioni al non profit, come la normativa Onlus, la re-cente normativa battezzata “Più dai meno versi” e al-tre misure che di fatto non hanno avuto un seguito si-gnificativo nella popolazione. Pesano, inoltre, le di-chiarazioni del ministro all’economia, che ha propo-sto la misura ribadendo che il sostegno al non profit èl’unico modo economicamente sostenibile per conti-nuare a garantire servizi di welfare che altrimentiavrebbero un costo eccessivo; traspare così una con-

cezione economicista e individualista del welfare, cheè in profondo contrasto con la necessità di tutela deidiritti di tutti e con il relativo principio di condivisio-ne responsabile e solidale della funzione pubblica.

Non mancano, tuttavia, neppure gli argomenti po-tenzialmente favorevoli alla misura. Essa, sollecitan-do il rapporto diretto tra organizzazioni non profit ecittadini, data la peculiare sensibilità solidaristica de-gli italiani può stimolare una nuova stagione di coin-volgimento responsabile della comunità (intesa siacome insieme di cittadini che di corpi intermedi) erappresentare un promettente germe di sussidiarietàfiscale e di efficace allocazione delle risorse pubbli-che. Nel panorama europeo il sostegno pubblico alnon profit è effettuato – dove c’è – per lo più tramiteun’ampia deducibilità fiscale delle donazioni in dena-

nazionalenon profit

ORA IL CINQUE PER MILLE,POI SERVE UNA POLITICA

SARÀVERA GLORIA?La Finanziariaconsentedi donareil 5 per milledelle tassea organisminon profit.Ma l’esitodella misura dipenderà dascelte politichepiù ampie

di Paolo Pezzana

Donare dichiarando i redditi:circa trentamila organizzazioni (oltre agli ottomila comuni)si candidano a ricevere le risorsepreviste dalla misura sperimentaleintrodotta dalla Finanziaria. Unascommessa, tra potenzialità e rischi

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esclusione socialepolitiche socialipolitiche socialidatabase

1.529 nel 2002, 2.300 nel 2003, 2.764nel 2004, 2.203 coppie nel 2005.

La Liguria è la regione italianacon l’incidenza percentuale più ele-vata di coppie aspiranti adottive(13,5 coppie ogni 100mila residenti),seguita da Molise (12,9), Toscana(12), Veneto (11,5), Lombardia(10,6), Umbria (10,5), Emilia Roma-gna (10,2) e Marche (10,1). Il 90,3%delle coppie aspiranti adottive nonha figli, il 9,7% delle coppie ha giàuno o più figli; 8.964 coppie hannofatto richiesta per un bambino,1.776 per due bambini, 269 per trebambini, 15 per quattro bambini e 1famiglia per cinque bambini.

I bambini stranieri entrati in Italiaa scopo di adozione sono stati 13.388in cinque anni; considerando che lecoppie adottive sono state 11.025,ogni coppia ha adottato, in media, 1,2bambini. Dei 13.388 bambini adotta-ti, 7.694 sono maschi (57,5%) e 5.694femmine (42,5%). Al primo posto nel-

la graduatoria dei paesi di provenienza c’è l’Ucraina con2.761 ingressi di minori (20,6% del totale); seguono Russia(15,5%), Colombia (9,2%), Brasile (6,9%), Bielorussia e Bul-garia (6,1%), Polonia (5,7%).

Dall’Asia si ha un flusso proporzionalmente molto for-te di bambini piccoli: il 20,6% dei bambini asiatici ha me-no di un anno e il 58,7% ha un’età compresa tra 1 e 4 anni.I minori provenienti dai paesi dell’America Latina sonopiù grandi: il 46,2% ha un’età fra 5 e 9 anni, mentre fra i mi-nori di origine africana il 42,3% ha un’età fra 1 e 4 anni e il41% tra 5 e 9 anni. Le età medie più elevate si registranoper i bambini di Bielorussia (11,3 anni), Cile (8,4), Lettonia(7,3), Lituania (7,1), Polonia (6,8); le età medie più basse siriscontrano per i bambini di Burkina Faso e Messico (2,8),Sri Lanka (2,7), Cambogia (2,6) e Vietnam (1,3).

L’istituto dell’adozione internazionale si è notevolmente

sviluppato negli ultimi anni, divenendo un fenomeno di

grande attualità, che ha stimolato studi e ricerche in ragio-

ne delle importanti proporzioni assunte. Per fare il punto sulla si-

tuazione nel nostro paese, è stato diffuso recentemente il “Rappor-

to della Commissione per le adozioni internazionali”, realizzato in

collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze, che presen-

ta i dati relativi al quinquennio 2000-2005. Sul versante europeo,

ADOZIONI DA LONTANO,SIAMO TRA I PRIMI IN EUROPAdi Walter Nanni ufficio studi e ricerche Caritas Italiana

fa invece testo il “Rapporto euro-peo 2005” di Childon Europe.

Quanto al panorama europeo, ivalori assoluti indicano che i flussimaggiori di minori stranieri adottatisi sono avuti in Italia e Spagna. Il Re-gno Unito, in cui la legislazione in vi-gore non distingue tra adozione na-zionale e internazionale, presenta ilpiù alto numero complessivo diadozioni nell’anno. Rapportando idati al numero di minori residenti, laDanimarca si colloca al primo postoin Europa (circa 6 adozioni ogni 10 mi-la minori residenti), seguita dalla Spagna (5 adozioni ogni10 mila minori residenti). Infine, la distribuzione perclasse di età dei minori adottati evidenzia che la maggio-ranza si colloca nella fascia d’età tra 1 e 4 anni, ad esclu-sione della Francia, dove più del 60% dei bambini adotta-ti sono minori di un anno, e dell’Estonia, dove questapercentuale riguarda i bambini inferiori a tre anni.

Il primato della LiguriaIn Italia, le coppie che hanno fatto richiesta di autorizza-zione all’ingresso in Italia di minori stranieri, sono state11.025 (novembre 2000 - dicembre 2005). Un picco di fa-miglie richiedenti si è registrato nel 2004, una lieve flessio-ne nel 2005. Rispetto al 2001, il trend è complessivamentein crescita: 1.843 coppie hanno fatto richiesta nel 2001,

L’Italia, con la Spagna, è il paese con i più

ingenti flussi di minoristranieri in ingresso a scopo di adozione.

In cinque anni oltre 13 mila bambini

sono entrati nelle nostrefamiglie. Primo paese

per provenienze è l’Ucraina

nazionale

I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 0 6 1514 I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 0 6

primi atti. Se, a partire dalle decisioni sul Fondo na-zionale per le politiche sociali, non si manifesterannoprecise scelte politiche di sistema sul welfare e sulruolo del terzo settore, o se il sostegno alle formazionisociali liberamente costituite dai cittadini verrà devo-luto alle capacità di marketing delle organizzazionistesse, si continuerà a non poter parlare di una “poli-tica industriale” per il terzo settore e si dovrà proba-bilmente dare ragione a chi ha criticato il cinque permille sin dalle origini. In caso contrario, potremo for-se attenderci una nuova stagione di economia civile edi partecipazione.

ro e in natura, molto diffuse nell’area anglosassone enordica, o mediante l’accreditamento e la remunera-zione di mercato dei servizi prestati, prassi anch’essadiffusa. Nessuno sembra avere strumenti analoghi alcinque per mille, che dunque si pone anche comesperimentazione potenzialmente innovativa in otticaeuropea.

Resta tuttavia l’esigenza di ben comprendere le fi-nalità per le quali la misura sarà impiegata, perchénon è accettabile un ulteriore alleggerimento del wel-fare pubblico e universale. Il prossimo governo saràchiamato a dare segnali chiari in tal senso, sin dai suoi

Il cinque per mille è un meccanismo che permetteai contribuenti (in particolare alle persone fisiche) di destinare una parte delle imposte a favore del volontariato. La destinazione della quota del cinque per mille è complementare (cioè si aggiunge) all’opzione del più “classico” otto per mille destinato allo stato e alle confessionireligiose riconosciute con accordi e patti dallo stato.I redditi sono quelli prodotti nel 2005 e dichiaratinel 2006.

Le organizzazioni di volontariato che intendevano fruire del nuovo meccanismodovevano iscriversi entro il 10 febbraio a un apposito elenco tenuto dall’Agenzia delle entrate, inviando per via telematica, tramite intermediari abilitati, un’autodichiarazioneche confermasse il possesso dei requisiti richiestidalla legge. Una prima versione dell’elenco dei soggetti beneficiari è stata pubblicata sul sito dell’Agenzia delle entrate il 20 febbraio;entro il 1° marzo, il rappresentante legale di ciascun ente poteva far correggere eventualierrori di iscrizione nell’elenco. L’elenco definitivo è stato così pubblicato il 10 marzo. Ora, entro il 30 giugno, i rappresentantidelle organizzazioni che hanno effettuato l’iscrizioneall’elenco devono inviare alle direzioni regionalidell’Agenzia delle entrate una dichiarazionesostitutiva dell’atto di notorietà relativa alla persistenza, per l’organizzazione, dell’iscrizioneal registro regionale (o alle sue sezioni provinciali)

Una scelta da esercitare quando si dichiarano i redditti

del volontariato.Toccherà poi al contribuente scegliere

se esercitare l’opzione del cinque per mille. Nei modelli (integrativo Cud 2006, 730/1-bis redditi2005, Unico persone fisiche 2006) che l’Agenziadelle entrate metterà a disposizione per la dichiarazione e il pagamento delle imposte è prevista una sezione integrativa relativa al nuovo meccanismo. Essa si compone di quattroriquadri, nei quali sono indicate le categorie cui appartengono le organizzazioni cui si puòscegliere di destinare il 5 per mille delle imposteversate a titolo Irpef: volontariato; ricerca scientificae universitaria; ricerca sanitaria; attività socialisvolte dal comune di residenza. Per sostegno del volontariato si intende il finanziamento di attività di utilità sociale esercitate da organizzazioni non lucrative (articolo 10 Decreto legislativo 460/1997), da associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionali,regionali e provinciali (articolo 7, commi 1-4 legge383/2000) e da associazioni e fondazioniriconosciute che operano in almeno uno degli undicisettori di cui al predetto articolo 10.

Per effettuare la scelta, basta individuare la categoria di destinazione, apponendo la firma in unodei quattro riquadri. È consentita una sola scelta di destinazione. Per le prime tre categorie, oltre allafirma, il contribuente può indicare il codice fiscale del soggetto cui intende destinare direttamente la quotadel 5 per mille (per Caritas Italiana, si veda a pagina 2).

nazionalenon profit

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eriferie storiche. E geograficamente defini-bili come tali. Ma anche “nuove periferie”,all’interno delle quali si riflettono trasfor-mazioni sociali che sono entro certi limitiindipendenti dalla collocazione geografica,e possono toccare l’intera trama urbana. Suquesto processo di “periferizzazione” in-

tende riflettere la ricerca avviata nei mesi scorsi da Cari-tas Italiana in collaborazione con l’Università Cattolicadi Milano. Tale indagine si concentra sullo stato di dieciperiferie in altrettante grandi città italiane, mettendo afuoco le forme di segmentazione urbana, i mutamenti

Genova. Città capitale d’Europa 2004 per la cultura.Città teatro dei tristi fatti del G8. Città di maccaia,umido scirocco che spira dal mare, fino a estenuar-

si in un’aria immobile e fradicia di umidità. E ora anchecittà di frontiera, dopo che Adriano Celentano ha consa-crato il quartiere Begato come possibile futuro luogo, onon luogo, di disordini “alla francese”, quelli che hannofatto inserire il termine banlieu nel dizionario comune.

Begato, in verità, non è né lenta né rock. Anzi, nella te-sta dei genovesi non esiste. Ma esistono le Dighe, Biancae Rossa, che uniscono le colline e, come una diga vera,impediscono di vedere il verde dei prati di quando Bega-to era zona di villeggiatura. Questicaseggiati giganti nacquero neglianni Ottanta, per far fronte all’e-mergenza abitativa data dalla ne-cessità di ricollocare un alto nume-ro di famiglie “esuli” dal centro sto-rico da ristrutturare, oggi fiore al-l’occhiello della città. Si scelse dispostare chi abitava nei carrugi vici-no al porto in case periferiche abasso costo, costruite secondo ilmodello architettonico razionalista:palazzi essenziali, materiali econo-mici, servizi in secondo piano.

Il quartiere è costituito da nu-merosi complessi di proprietà dienti pubblici, oggi affidati in ge-stione a uno di essi. Venti anni fa vifurono sistemate familie, molte delle quali multiproble-matiche, della prima e seconda generazione di immi-grati calabresi e siciliani, venuti a Genova per lavorarenell’industria. I problemi proseguono oggi, che siamoalla terza generazione. La titolarità a vedersi assegnatoun alloggio deriva ancora dal sussistere di condizionisocio-economiche critiche. L’accento fortemente meri-dionale mantenuto persino dai giovani evidenzia lachiusura nei confronti della città. Che resta molto lon-tana. E al di là delle Dighe, chiuso dietro la barriera dicemento, non c’è città, ma c’è Begato.

Penzolare dal terrazzinoNegli ultimi anni nella zona si è rafforzata la presenza dimaghrebini, albanesi e rumeni. Per la maggior parte ir-regolari, abitano alloggi fruibili abusivamente in quan-to non occupati, sia perché non agibili dal punto di vi-sta igienico-sanitario – quindi non assegnabili –, siaperché sono sempre meno le persone iscritte nelle gra-duatorie disposte a trasferirvisi. Gli spazi pubblici pre-sentano aree verdi estese e incolte, adibite in qualchepunto a discarica. Non vi sono passeggiate né percorsipedonali. Il quartiere è raggiunto dai trasporti pubblici,ma i collegamenti con il tessuto urbano vengono effet-

tuati soprattutto con mezzi privati. Ipiù anziani, avendo difficoltà a ser-virsi dei bus, risultano di fatto isola-ti. Mancano completamente negozie botteghe, bar e cinema. Begato èservito da una farmacia, una tabac-cheria e un hard discount.

La verticalizzazione richiesta dal-la particolare conformazione oro-grafica del territorio ha partorito leDighe. E non è un appellativo sceltodagli architetti, né da qualche asses-sore. La gente ha saputo dare il giu-sto nome a ciò che vede. A costru-zione avvenuta, le Dighe sono stateriempite da 12 mila famiglie, secon-do l’ordine delle liste che danno di-ritto a una “casa popolare”. Gran

parte degli abitanti sono persone in stato di bisogno ecaratterizzate da forte deprivazione: anziani soli, fami-glie multiproblematiche, malati psichici, giovani occu-panti abusivi (soprattutto nella Diga Bianca).

Facile intuire che il clima sociale non sia dei più sere-ni. Recentemente un gruppo di giovani, denominati daigiornali locali “il branco” o “la banda”, hanno fatto pen-zolare a testa in giù, fuori da un terrazzino, il vicino disopra che si lamentava del baccano. Sono seguiti artico-li su macchine bruciate, negozi devastati e autisti degliautobus che hanno paura a guidare fino alle Dighe.

socio-economici, gli aumenti di disuguaglianze edemarginazioni, la concentrazione di attività marginali, losviluppo di conflitti, l’emergere di nuovi fattori di rischio.Begato, a Genova, e Scampìa, a Napoli, rappresentanodue periferie relativamente nuove, pesantemente segna-te dall’incombere di due giganteschi complessi architet-tonici, le Dighe e le Vele, che ospitano migliaia di perso-ne e marcano inconfondibilmente il profilo paesaggisti-co e sociale. Attorno a questi alveari del disagio si sten-dono quartieri la cui identità, stravolta rispetto alle con-dizioni e alle intenzioni di alcuni decenni fa, sembra pri-gioniera del degrado e di una conflittualità diffusa.

nazionalemargini metropolitani

L’OMBRA PESANTEDELLE DIGHE E DELLE VELE

Alveari del disagio, cittadelle della conflittualità diffusa.

Due giganteschi complessiedilizi segnano il profilo

di Begato e Scampìa, periferie di Genova

e Napoli.Attorno, quartieri che stentano

a darsi un’identità condivisa

di Francesca Angelini

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GENOVA

Dimenticati dietro i due giganti

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nazionalemargini metropolitani

E così Begato rientra prepotentemente nella testadei genovesi. Soprattutto di chi a Begato è dovuto rima-nere, perché non ha avuto la possibilità di cambiareabitazione. «Abito qui da quando ci hanno dato l’asse-gnazione dell’alloggio. Abitavo in tutt’altra parte di Ge-nova, con i miei principi mi sembrava giusto accettareed è la dimostrazione che determinati principi non tiportano a niente… Qui vive bene chi non paga l’affitto,le tasse, chi non ha orgoglio, non ha dignità. Qui sta be-ne perché ci sono gli assistenti sociali che aiutano…Chi ruba non va a lavorare perché non ha voglia disporcarsi le mani…», bofonchia una signora qualunqueall’uscita dall’ascensore. Lei non fa parte della massa di

persone in grave disagio che vivono nelle Dighe. E dàvoce al pensiero di tanti.

Dove sparisce il motorinoUno dei grandi problemi strutturali, e di conseguenzasociali, delle Dighe sta nei box mai terminati, che crea-no spazi bui dove è possibile smontare i motorini ruba-ti e rivenderne i pezzi. Nel quartiere vengono commes-si molti reati contro la persona, soprattutto furti e ricet-tazione, anche da parte di minorenni. Nelle Dighe nonè inusuale vedere carcasse di motorini ai vari piani.

Educatori di strada e assistenti sociali raccontanostorie da cui emerge una realtà sociale destrutturata:

molti ragazzi provengono da famiglie monogenitoriali,la madre difficilmente riesce a ricoprire entrambi i ruo-li, in casi non troppo rari i figli vengono levati alle fami-glie e affidati alle comunità. Una mamma racconta congrande dolore dei tre bambini che le sono stati tolti edati in affidamento: parla nella sua piccola casa, riscal-damento rotto, pareti umide e pupazzi ovunque, a vol-te non si cresce mai. Chiamiamola Maria: invalida perdisturbo dissociativo di personalità, di cui non sembraconsapevole, vive con l’aiuto dei servizi sociali e dividel’appartamento con il compagno e il cane. Racconta lasua storia di ragazzina vittima di violenze e abusi, si il-lumina mostrando il vestito di Carnevale che la suora le

ha dato per la sfilata con i carri. Al contrario della stan-ca signora dell’ascensore, parla bene dei medici e delleassistenti sociali, intenti a occuparsi di tantissime Ma-rie. Forse troppe, per le forze dei servizi sociali. I qualinon sono i soli che provano a fare qualcosa. Ci sono glieducatori di strada, poi i volontari del centro d’ascoltovicariale, suor Mariangela, la circoscrizione… Piccolegocce in un mare di problemi.

E Genova? Per ora pensa. Se conviene tenere le Di-ghe, in quanto simbolo del quartiere, o se abbatterlee ripartire da zero. Non ha ancora deciso. Un pensie-ro è consolante: le Dighe, almeno, non hanno ferma-to la maccaia.

Qualche anno fa, una ragazza di Scampìa chiese a unassessore comunale: «Siamo napoletani anche noi?».Dietro la domanda, apparentemente banale, c’è

l’importante questione del senso di appartenenza.Scampìa è un quartiere nato con intenti utopici, anche

se sorto grazie alle disposizioni della legge 167 del 1962 perl’edilizia popolare. Nelle intenzioni di chi progettò le Vele,il complesso insediativo divenuto tristemente noto a livel-lo nazionale, c’era l’idea di plasmare le forme della convi-venza civile tramite le forme dell’architettura. Le Vele in-fatti erano concepite come veri e propi edifici-rione, chedovevano favorire l’integrazione tra le centinaia di perso-ne che erano in grado di ospitare. Per rendere il tutto piùfunzionale e creare una città modello, furono ideati attor-no alle Vele grandi viali di scorrimento rapido, che con-sentissero collegamenti veloci e agevoli; le grandi torri abi-tative risultavano inoltre attorniate da parchi e giardini eda tutto quanto potesse servire per una buona urbanisti-ca, tipica del funzionalismo urbano. Ma purtroppo le cosenon sono andate così; sin dagli inizi il rione è stato eti-chettato con il semplice numero 167. E in pochi anni haperso la sua identità originaria.

La metamorfosi, da città modello a ghetto di periferia,non ha una sola causa. Tra le più rilevanti c’è sicuramentel’incapacità, da parte dei governi locali, di gestire in modo

efficiente e corretto la realizzazione di un progetto tantovasto e ambizioso. Negli anni Settanta si è pensato solo al-la costruzione degli alloggi, trascurando il sistema di servi-zi di cui c’era bisogno. Così è iniziato lo sfacelo: un quar-tiere che sulla carta conta 44 mila abitanti (ma più realisti-camente oltre 75 mila) non aveva neanche un negozio; so-lo dopo circa vent’anni si sono visti i primi mercati riona-li, qualche scuola e una palestra. L’incapacità gestionale ècontinuata poi nel 1980: il terremoto dell’Irpinia produsseun esercito di senza tetto e la risposta delle amministar-zioni fu alloggiare (per non dire accatastare) i nuclei fami-liari, provenienti da edifici lesionati, nelle gigantesche Ve-le, sconvolgendo tutte le graduatorie di assegnazione del-le case popolari. A questo episodio si sono aggiunte le ri-petute occupazioni di alloggi e la pratica di adibire ad abi-tazioni spazi che originariamente erano destinati a diven-tare scantinati e ballatoi.

Le conseguenze, in termini di marginalità, degradourbano e disagio socioeconomico, si possono facil-mente immaginare. E nonostante le grandi dimensio-ni del quartiere, non riducibile alle Vele, solo alla finedegli anni Novanta vi si è insidiato un commissariatodi polizia: nel frattempo la camorra e tutto ciò che è il-legale si erano fatti strada facilmente. Così oggiScampìa è noto soprattutto come uno dei principali

mercati per l’imprenditorialità criminale, segnato daun forte spaccio e consumo di droga.

Assegnazioni poco limpideLa storia di Scampìa, insomma, è molto articolata. Vi si so-no sviluppati intrecci non certo favorevoli per la buona riu-scita del progetto iniziale. Uno fra i più devastanti, quantoalle conseguenze che ha prodotto, è stato quello fra politi-ci, cammorristi e costruttori. I loro affari hanno fatto sì chel’assegnazione degli alloggi popolari avvenisse in modotutt’altro che limpido, spesso regolato da considerazionielettorali, clientelari e di ricerca del consenso. La tolleran-za nei confronti delle occupazioni abusive, talvolta moti-vata dall’intento di alleviare situazioni di gravissimo disa-gio sociale, ha però alimentato ulteriore confusione e toltospazi a chi ne aveva diritto, mentre il disinteresse nei con-fronti della manutenzione dell’arredo urbano e delle infra-strutture ha ulteriormente peggiorato il quartiere.

A Scampìa queste dinamiche sono esasperate da varifattori: l’assetto degli assi viari (che dividono con grandiinterruzioni il tessuto urbanistico), la disomogeneità di ce-to sociale dei residenti (ceti medi, per lo più dipendenti

pubblici, nelle cooperative e ceti popolari, se non gruppimarginali, nelle case popolari), le caratteristiche architet-toniche delle unità abitative (ognuna con il suo piccolospazio verde chiuso in se stesso, che spezza lo spazio ur-bano in tante isole di cemento), l’assenza di spazi comunicome piazze, giardini e parchi (il parco di quartiere, chepure esiste, è stato per lungo tempo disertato dagli abitan-ti per paura della microcriminalità imperversante), lamancanza di luoghi di socializzazione (bar, circoli, cine-ma, ecc.). Tutti questi fattori hanno impedito che si raffor-zasse una coesione socioculturale di quartiere; hanno in-vece prevalso frantumazione, spersonalizzazione e disaf-fezione alla zona di residenza da parte degli abitanti.

Per Scampìa, allora, non c’è nulla da fare? La speranza,in un quartiere con tanti problemi, non può che fondarsisulla valorizzazione del patrimonio umano, filo condutto-re di possibili interventi di integrazione sociale, formazio-ne e orientamento al lavoro. Ma ciò non potrà avvenire senon si favoriranno cambiamenti in materia di sicurezzaurbana, senza la quale qualsiasi riqualificazione urbanisti-ca del quartiere resterebbe sterile. E bisogna far crescereanche la cultura della legalità, con percorsi di uscita deigiovanissimi dai circuiti illegali, ma anche (sul versantedella pubblica amministrazione) puntando sull’educazio-ne alla produttività e sull’orientamento secondo le esigen-ze dei destinatari dei servizi erogati. È importante anche lequestione del rafforzamento dell’identità sociale locale,mediante iniziative culturali e di irrobustimento dei sog-getti sociali. Su questi filoni si deve operare, puntando a farnascere una progettualità dal e nel quartiere. Qualcuno di-ceva: “Io speriamo che me la cavo”. Ma Scampìa, per ca-varsela, ha bisogno ben più che di un auspicio.

di Giuseppe Vanzanella

NAPOLI

La città-modello divenuta ghetto

ARCHITETTURADEL DISAGIOA fianco enella foto grandea pagina 16, leVele di Scampìa.A pagina 17,immaginidelle Dighee del quartieregenovesedi Begato

I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 0 6 2120 I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 0 6

ccuparsi di ambiente è un dovere dei cristiani. Monsignor Aldo Giordano damaggio 1995 è segretario generale del Consiglio delle conferenze episcopali cat-toliche d’europa (Ccee). Ma ai temi ambientali ha riservato grande attenzione,nel suo ministero pastorale. E anche a Caritas Italiana ha offerto il contributo delsuo pensiero, su una materia che è al centro di riflessioni e prassi pastorali sem-pre più diffuse tra le Caritas in diversi territori.

Monsignore, perché i cattolici devono occuparsi di ecologia?È un tema sul quale esistono diverse posizioni all’interno della chiesa. C’è chi fa obiezioni al-l’impegno in questo campo, perché ritiene che debbano occuparsene solo politici, tecnici e stu-diosi. Altri pensano che l’ecologia sia un campo messo al-l’ordine del giorno da mode intellettuali o stili di vita pros-simi alla new age. In altri c’è la preoccupazione che il temaambientale sia uno spazio di ricerca esposto al rischio dideificazione della natura. Ma Giovanni Paolo II in più oc-casioni, in particolare il 1° gennaio 1990, nel suo messag-gio per la Giornata mondiale della pace, e nell’Angelus del25 agosto 2002, in concomitanza con il vertice dei leadermondiali a Johannesburg, ha richiamato il fatto che per icristiani la responsabilità per il creato deriva dalla fede,parlando di una vera e propria “vocazione ecologica”. Lesfide mondiali in cui sono impegnati gli esseri umani so-no le sfide della chiesa.

In che modo le conferenze episcopali europee sistanno confrontando sulla tema della salvaguardiadel creato?

Si sono svolte sei consultazioni europee sui temi ambien-tali, l’ultima nel 2004 a Namur, in Belgio, alle quali hannopartecipato vescovi e incaricati delle diocesi. I lavori si so-no concentrati sullo sviluppo dei fondamenti teologici,sul rapporto tra liturgia e ambiente, sulle politiche am-bientali, sulla formazione. Abbiamo approfondito le inter-connessioni tra ecologia, lavoro, economia e povertà. InEuropa stiamo inoltre cominciando la terza assembleaecumenica europea. Si tratta di un processo assemblearecostituito da un “pellegrinaggio” in quattro tappe: la pri-ma si è svolta a Roma nel gennaio 2006, l’assemblea con-clusiva sarà a Sibiu (Romania) nel settembre 2007. Il tema

è “La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnova-mento e unità in Europa”: la riflessione sulla responsabi-lità per il creato sarà uno degli elementi di fondo anche diquesta assemblea.

Come leggere i problemi ambientali alla luce della ri-flessione teologica?

C’è una premessa che noi credenti non dobbiamo trascu-rare: la natura è stata toccata dal peccato originale; è crea-tura di Dio, ma è stata toccata dal male. Ad esempio feno-meni come lo tsunami sono facilitati dall’azione dell’uo-mo, ma appartengono alla natura e ci spingono a riflette-re su cos’è il peccato originale e cos’è la redenzione. Allespalle e alle radici dei problemi ambientali c’è la questio-ne dell’inquinamento dei rapporti tra gli uomini. Adamoed Eva instaurano un rapporto basato sul potere e sullaforza; i loro figli, Caino e Abele, sperimentano la violenzafratricida. Un uomo pronto a uccidere non è certo preoc-cupato della “casa” degli uomini!

Ma i problemi, oggi, sono assai più complessi…Oggi il primo ambiente dell’uomo è la polis, la città: essa èdivenuta assai poco ambiente, non è luogo di apparte-nenza, spesso non “si abita” la città. L’apprensione con-temporanea e il senso di precarietà sorgono dall’estra-neità tra cittadino e ambiente urbano. La paura per l'am-biente è la paura della città di notte, della violenza urbana,della inabitabilità. C’è un inquinamento che coincide conlo sradicamento dell’uomo nella città. E anche altri spazisono divenuti poco abitabili: il concetto di famiglia è dive-nuto tanto ampio da indicare una cosa e il suo contrario;la politica non ha raggiunto la maturità per impedire infi-nite violenze e guerre in ogni angolo del pianeta. Durantei miei viaggi nel mondo anch’io constato che in molti luo-ghi la città sembra diventata “impossibile”, perché i rap-porti fra gli uomini sono inquinati dalla violenza. Anche laquestione ecologica ha le sue radici nel fallimento dei rap-porti fra le persone. Dobbiamo provare a rileggere il com-portamento degli esseri umani: dalla rivoluzione indu-

striale in poi la terra ha ricevuto tanti pericolosissimi“schiaffi” dall’uomo.

La cura dell’ambiente è un terreno fertile per il dialo-go ecumenico?

Fin dai suoi inizi, nel 1971, il Ccee ha collaborato con laKek, la Conferenza delle chiese europee, che riunisce 125chiese nate dalla Riforma e ortodosse. Si è costituito tra idue organismi un autorevole comitato comune che si in-contra una volta all’anno per seguire le iniziative ecume-niche europee. Questa collaborazione permette di coin-volgere pressoché tutte le chiese e le Conferenze episco-pali dell’Europa. Gli altri continenti non conoscono un’e-sperienza analoga. Che non trascura i temi ambientali.

Qualche esempio?Nell’aprile del 2001 abbiamo firmato l’importante ChartaOecumenica. Il nono dei suoi 26 paragrafi è dedicato al-l’ambiente: “Credendo all’amore di Dio creatore – afferma–, riconosciamo con gratitudine il dono del creato, il valo-re e la bellezza della natura. Guardiamo tuttavia con ap-prensione al fatto che i beni della terra vengono sfruttatisenza tener conto del loro valore intrinseco, senza consi-derazione per la loro limitatezza e senza riguardo per ilbene delle generazioni future. Vogliamo impegnarci insie-me per realizzare condizioni sostenibili di vita per l’interocreato. Consci della nostra responsabilità di fronte a Dio,dobbiamo far valere e sviluppare ulteriormente criteri co-muni per determinare ciò che è illecito sul piano etico, an-che se è realizzabile sotto il profilo scientifico e tecnologi-co. In ogni caso la dignità unica di ogni essere umano de-ve avere il primato nei confronti di ciò che è tecnicamen-te realizzabile”. Abbiamo poi raccomandato l’istituzioneda parte delle chiese europee di una giornata ecumenicadi preghiera per la salvaguardia del creato. Inoltre voglia-mo sostenere le organizzazioni ambientali delle chiese ele reti ecumeniche che si assumono una responsabilitàper la salvaguardia della creazione. L’ecologia è un campoin cui possiamo lavorare anche con islamici, buddisti,ebrei, e realizzare cammini comuni con i non credenti.

Cosa può fare un organismo come Caritas per con-tribuire a questo percorso?

Ci sono ambiti di lavoro comune: favorire la promozionedi stili di vita responsabili, stimolare la classe politica, fa-vorire riflessioni teologiche e antropologiche sull’ambien-talismo, favorire il dialogo ecumenico e interreligioso,promuovere formazione culturale su questi temi.

nazionaleambiente e chiesa

“VOCAZIONE ECOLOGICA”,OCCASIONE DI DIALOGO

Intervista a monsignor Aldo Giordano,segretario del Consiglio delleconferenze episcopali d’Europa.«I cristiani e la salvaguardia del creato:una responsabilità, nonostante i timori di alcuni, che deriva dalla fede»

IMPEGNO ECUMENICOMonsignorAldo Giordano,segretario Ccee

di Pietro Gava

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contrappunto

ne comunitaria della giustizia è ri-servato un orizzonte lontano. Giustoè ciò che mi giova, ingiusto ciò chemi nuoce. La relazione è tra un “io”ipertrofico ed esclusivo e un… restodel mondo che, in ogni caso, vienedopo. Questo “io”, questa entità sog-gettiva può essere una persona, ungruppo o una nazione, piccoli ograndi. Lo schema mentale noncambia. E i processi di decisione po-litica ne sono condizionati. Dovepiazzare una discarica, una strada,una ferrovia, un impianto industria-le? Gli esempi sono molti di più, mala risposta è univoca: ovunque manon qui; “non nel mio giardino”, co-me dicono gli americani.

A scala di società sembra dun-que riprodursi la logica delle rissecondominiali. È sempre stato così,perché l’egoismo si annida nel cuo-re dell’uomo. Ma i modelli culturali(e gli interessi che li alimentano)hanno un certo influsso sui com-portamenti collettivi. E qui si gioca

la responsabilità politica dei soggetti di promozione ci-vile (famiglia, scuola, chiese, movimenti, partiti): altrisono gli effetti di un’educazione alla solidarietà, altri glieffetti di una promozione particolaristica.

Non è una predica. È un discorso sulla cittadinanza.Se ci si ferma all’equazione tra cittadinanza e “apparte-nenza civile e sociale” – trascurandone la dimensione at-tiva – si lascia campo alla democrazia delle illusioni. Se vi-ceversa il tema è “situato” nel contesto della Costituzionerepubblicana, allora si può sperare che il cittadino-prin-cipe riprenda lo scettro e si metta in grado di imporre unadiversa agenda della politica, basata su un cambiamentodella domanda: prima i “beni comuni”, poi il resto. È il ve-ro lavoro da svolgere per la legislatura che inizia.

Si può trovare un criterio sensato in questa “democrazia della pro-messa” (o dell’esposizione pubblicitaria, o dell’illusionismo), che hacaratterizzato anche in Italia la campagna elettorale? Il cui anda-

mento non incoraggia speranze di sviluppi virtuosi. Sembra anzi conva-lidare l’antica sentenza dello storico Polibio, per il quale anche i regimipolitici sono insidiati da perniciosi vizi congeniti: “Come la ruggine è peril ferro e i tarli e le tignole sono per il legno principi di corruzione a essiconnaturati”, così ogni costituzione politica è insidiata dalla minaccia ditirannia, oligarchia, violenza. Sulla politica, insomma, incombe sempreil presagio del “governo dei peggiori”. In greco, la “kakistocrazia”.

Oltre duemila anni dopo, tarli e ti-gnole della democrazia non sonoscomparsi. Le diagnosi sul potere e lesue degenerazioni sono sempre ag-giornate, quanto al comportamentodei vertici. Meno esplorata è la fasciadel cosiddetto “elettorato attivo”, ov-vero i cittadini comuni che detengo-no, pro quota, la sovranità popolare.Che cosa pensano della politica, cosasi attendono da essa, cosa sono di-sposti a fare per cambiarla?

Non nel mio giardinoI sondaggi aiutano. Però non bastano. La logica deicomportamenti va analizzata in conformità a un crite-rio etico-politico. Quanto è radicato, nella coscienza deicittadini, il “senso della repubblica” o, per usare un lin-guaggio cristiano, “il senso del bene comune”? Quantostabile è la consapevolezza che, come ha scritto Bene-detto XVI nella Deus caritas est, “uno stato che non fos-se retto secondo giustizia si ridurrebbe a una grandebanda di ladri”? E per giustizia s’intende “il giusto ordi-ne della società e dello stato”, che è “compito centraledella politica”, o un’altra cosa?

Più che mai, nella “modernità liquida”, dominata dameccanismi che incentivano in ogni ambito sistemi diazione-reazione di segno individualistico, alla dimensio-

IL CITTADINO-SOVRANOCHE DEVE RITROVARE LO SCETTROdi Domenico Rosati

La campagna elettoraleè stata terreno

di una “democraziadella promessa”.

Ma cosa si attende la gente comune

dalla politica? C’è unaconcezione comunitaria

della giustizia? Urge ristabilire una

cittadinanza “attiva”

nazionale

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panoramacaritas

VERSO VERONA

A Firenzeper rifletteresulla cultura

Caritas Italiana e le Caritasdiocesane proseguono conle chiese locali nel camminodi preparazione al quartoConvegno ecclesialenazionale, in programma aVerona dal 16 al 20 ottobre2006. Finora si sono svoltidue seminari-convegno, aMilano a febbraio e per idirettori delle Caritasdiocesane a Fiuggi a iniziomarzo. Il prossimoappuntamento è inprogramma a Firenze il 18 e19 maggio, con un convegnosul rapporto tra carità ecultura rivolto ancora aidirettori delle Caritasdiocesane, ai membri dipresidenza e del consiglionazionale di Caritas Italiana,e organizzato insieme allarivista Il Regno e allaAssociazione teologi italiani(Ati). Intanto è on line il sitowww.convegnoverona.it, conle informazioni sul camminodella chiesa italiana verso ilconvegno nazionale.

IMMIGRAZIONE

Uffici pubblici,necessariapiù formazioneFormazione continua emirata sull’immigrazione. Èla richiesta di molti funzionaripubblici, secondo i risultati diuna ricerca realizzata da

Formez e Istituto Piepoli,presentata a metà febbraio.Il Formez è un istituto cheopera a livello nazionale erisponde al dipartimentodella funzione pubblica dellapresidenza del consiglio;collabora con il Dossierstatistico immigrazioneCaritas-Migrantes. La ricercaha evidenziato che il 66% deifunzionari pubblici chiede piùapprendimento continuo e il26% chiede di essereformato in maniera miratasui temi dell’immigrazione;secondo il 46% deglioperatori della pubblicaamministrazione intervistati,gli uffici pubblici nonriescono a soddisfaretotalmente le domande diservizi da parte degliimmigrati. Ciò è dovutoprincipalmente alle scarserisorse economiche (30%) ealla eccessiva burocrazia chefa accumulare il numerodelle richieste (26%). Tra ledifficoltà maggiori riscontratedagli immigrati nelle relazionicon gli uffici pubblici, prevalel’incompletezza diinformazioni (30%), seguitadalla complessità delleprocedure amministrative(28%) e dalla pocadisponibilità degli operatori(27%). Formez ha avviato daqualche mese un progetto ditutoraggio specializzato(fruibile per telefono o postaelettronica), rivolto apubbliche amministrazioni(già 330 gli enti accreditati)in materia di immigrazione.INFO www.formez.it

FILIPPINE

Caritas in azionedopo l’enormefrana di fangoL’enorme smottamento difango che a metà febbraioha travolto due villagginell’isola di Leyte, nelleFilippine centrali, haprovocato più di duemilamorti. E ha sollecitato lapronta mobilitazione dellarete internazionale e dellerealtà locali Caritas. Laprovincia di Leyte – assiemea quella di Samar, semprenelle Filippine centrali – èsoggetta ogni anno a decinedi tifoni provenienti dal Mardelle Filippine. Leconseguenze sono reseancor più gravi dal ferocedisboscamento operatonell’area negli ultimi venti

anni. I responsabili di CaritasFilippine e della Caritasdiocesana di Maasin hannovissuto in diretta la tragediae collaborato ai primissimiaiuti. La Caritas delleFilippine (Nassa – NationalSecretariat of Social Action)si è prontamente attivata afavore degli sfollati con aiutidi emergenza, ascolto emonitoraggio dei bisogni.Subito sono stati distribuiticibo, medicine, latte perbambini, sapone. CaritasItaliana ha lanciato un

appello ai donatori: in base aquanto raccolto, affiancheràCaritas Filippine nella difficileopera di ricostruzionemateriale e comunitaria.

EMERGENZA

Forte alluvionenel deserto,aiuti ai saharawiAttorno a metà febbraioalmeno 50 mila rifugiatisaharawi nella regione diTindouf (ovest Algeria) sonostati colpiti da un’imponenteinondazione, seguita a unciclo di piogge torrenziali. Larete internazionale Caritas siè mobilitata per forniremedicine, viveri, tende.Quattro i campi di rifugiaticolpiti: El Ajun, Auserd,Smara e Dakla. Essiaccolgono circa 160 milapersone, in poverecostruzioni di fango, dopol’annessione al Marocco, ametà anni Settanta, delterritorio dell’ex Saharaspagnolo. Le piogge in pienodeserto, molto rare, sonostate improvvise e violente.Almeno 12 mila famigliesono rimaste senza tetto esi sono messe in salvo sullasommità delle dune. Lecostruzioni danneggiate sonoalmeno la metà del totale;anche scuole e a ospedalihanno subito ingenti danni.Si aggrava così la già durasituazione dei saharawi,che da oltre trent’anni vivonoin condizioni estreme, acausa del clima e dei terreniimproduttivi, e dipendonodagli aiuti internazionali.

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KENYA

MADAGASCAR UGANDA E TANZANIA

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

progetti > aiuto all’africainternazionale

a cura dell’Area internazionale

[ ]MODALITÀOFFERTE E 5 PER MILLE

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Banane e uova, migliora l’alimentazione in carcere e a scuolaNel carcere di Mityana è in rilancio un programma per la coltivazione di banane;realizzatori e beneficiari saranno 50 detenuti e le loro famiglie, durante la reclusionee anche dopo. Sono necessari corsi formativi per l'avvio al lavoro, poi bisognaprocurare piantine di banana, l'affitto di un trattore, il materiale didattico, zappe e altriattrezzi di lavoro. La direzione del carcere mette a disposizione due acri di terreno peravviare la piantagione. I detenuti parteciperanno ai lavori di preparazione del terreno.> Costo 4.250 euro > Causale MP 46/06 Uganda

Nella scuola secondaria di Kigonsera è in corso un programma avicolo per produrre evendere uova; ne beneficiano alunni e famiglie, che possono migliorare la loro dietaalimentare, facendo fronte ai problemi di malnutrizione. Occorre acquistareattrezzature varie, prodotti veterinari, mangimi iniziali e mille pulcini. Il contributolocale sarà costituito da corsi di formazione sull'allevamento delle galline. È previstoun piano di redditività, che consentirà un introito dopo il primo ciclo di produzione.> Costo 2.080 euro > Causale MP 45/06 Tanzania

Servono attrezzature per avviare laboratori artigianaliNella diocesi di Ambatondrazaka, in Madagascar, 25 famiglie stannoseguendo un percorso di formazione. Il progetto si propone la fornituradi materiali e semplici attrezzature di cui hanno bisogno (pale, carriole,utensili per falegnameria e per muratura, macchine da cucireelettriche e a pedale) per consentire l’avvio di attività artigianalifamiliari nei centri rurali in cui abitano.> Costo 5.000 euro > Causale MP 9/06 Madagascar

Aiutare le famiglie che aiutano gli sfollati del KatangaDopo un decennio di tensioni e guerre, con più di tre milioni di morti, il paese attraversa un delicato momento di transizione. Il 18 dicembre un referendum ha confermato a larga maggioranza la proposta di nuova costituzione: a giugno si svolgeranno le elezioni presidenziali e legislative. La normalità sta tornando,tranne che nelle regioni del Kivu e del Katanga. In quest’ultima, nelle

diocesi di Kilwa-Kasenga, Manono e Kalemie-Kirungo, ungruppo di “partigiani” Mai-Mai, armatisi nel 1998 percombattere contro i ruandesi, non ha deposto le armi econtinua controllare il territorio, con gravi soprusi nei confrontidella popolazione. L’intervento dell’esercito regolare congolesee i combattimenti che ne sono seguiti hanno causato la fuga didecine di migliaia di persone. Caritas Congo intende aiutare 30mila persone (15 mila sfollati e 15 mila abitanti che li hanno

accolti) a Manon e Pweto, coordinando l’intervento delle Caritasdiocesane, che selezionano i beneficiari e distribuiscono gli aiutiacquistati in loco. Ecco la proposta di aiuto che Caritas Italiana rivolgeai donatori italiani: un kit (sapone, pentole, piatti, vestiti...) per unafamiglia di 6 persone, 50 euro; viveri per una famiglia per un mese,100 euro; un kit di medicinali per un centro sanitario, 1.000 euro;un kit di medicinali per un ospedale, 3.500 euro.> Durata 3 mesi > Beneficiari 30 mila persone > Costo 10 mila euro (contributo totale Caritas Italiana)> Causale Grandi Laghi - emergenza Congo

Programma di emergenza contro siccità e carestiaSiccità, carestia e fame: emergenze croniche del continente africano, che sono tornate a flagellare alcuni paesi dell’Africaorientale (Sudan, Eritrea, Somalia, Gibuti). In particolare il Kenya è duramente provato, da ottobre, da una carestiasempre più grave, che mette a rischio tre milioni e mezzo di persone, più del 10% della popolazione. La siccità è particolarmente grave e si stima che falcidierà il 70% del bestiame. Il governo, dopo aver dichiarato la stato di “calamitànazionale”, è intervenuto con aiuti però insufficienti; vi sono zone in cui il 30% dei bambini soffre di malnutrizione acuta.La chiesa cattolica ha deciso di intervenire per rafforzare gli interventi del governo e tamponare le situazioni più a rischio.Caritas Kenya ha convocato le Caritas presenti a Nairobi (tra cui Caritas Italiana, nel paese con due operatori) per pianificare gli aiuti. L’intervento di emergenza è pari a un milione di euro e si concentra in dieci diocesi, le più colpite:Muranga, Kitui, Machakos, Maralal, Garissa, Lodwar, Isiolo, Ngong, Malindi, Mombasa. Grazie alla capillare presenza delle strutture della chiesa cattolica, vengono aiutate persone non raggiunte dagli aiuti del governo e privilegiati i gruppipiù vulnerabili: bambini sotto i cinque anni, donne in gravidanza o che allattano, anziani, persone ospedalizzate e malati di Aids. Essi ricevono cibo, supplementi nutrizionali e sementi resistenti alla siccità.> Beneficiari 44 mila persone > Costo 20 mila euro (contributo Caritas Italiana) > Causale Grandi Laghi - siccità Kenya

Soltanto l’impasto di aiutiumanitari e di adeguatepolitiche di sviluppo e cooperazione può dareun futuro a moltepopolazioni africane, che soffrono di profondo e cronico disinteresse da parte della comunitàinternazionale.Nel 2005 Caritas Italiana ha realizzato in Africa 168microprogetti in 22 paesi,a cui si sono aggiuntinumerosi e imponentiinterventi di emergenza e di cooperazione.

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a prima volta è stato per semplice curiosità. Oforse per il fatto che eravamo vicini di casa e an-cora non ci conoscevamo. O forse per l’odore diplastica bruciata, per il fumo acre che invadenotte-giorno le case del bairro (quartiere-barac-

copoli) e lascia dietro di sé un tappeto scuro di mosche. Oforse ancora per il silenzio e l’indifferenza (apparente) dimolti, che semplicemente non vedono questo luogo. In-somma, è cominciata in punta di piedi l’amicizia con lalixeira (discarica) di Maputo. Prima di entrarci bisognavincere mille timori, dettati dalla presunta pericolosità delluogo, dalla sua innegabile precarietà, dall’universo socia-le a rischio che lo popola… insomma, dal fatto che una di-scarica non è certamente un bel posto dove passare il

proprio tempo. Ma i primi contatti bastano a scioglieregran parte dei dubbi. E piano piano, con molta discrezio-ne, si comincia a conoscere le persone, le loro abitudini, acapire qualcosa delle complesse dinamiche che regolanoi rapporti umani in quell’universo marginale. Vivo e pul-sante più che mai.

Situata nel bairro di Hulene B, circa cinque chilometridalla città di cemento (il centro), ma nel bel mezzo di unafascia suburbana tra le più densamente popolate della ca-pitale del Mozambico, la discarica di Maputo è l’unica delpaese “organizzata” per ricevere rifiuti solidi urbani ed èentrata in funzione nel periodo coloniale (primi anni Set-tanta). Raccoglie pattume proveniente, in realtà, da unazona circoscritta dalla città, circa un quinto della suaestensione totale: vengono serviti 192 mila abitanti di Ma-puto su 1.090.000 ufficiali.All’epoca della costruzionela sua collocazione eraideale, in aperta campagnama vicina alla città; benpresto, però, l’espansioneurbana di Maputo, causatadall’inarrestabile afflussodi popolazione in fuga dal-la povertà rurale e dallalunghissima guerra civile,ha “risucchiato” la discari-ca nel mezzo di una barac-copoli sovrappopolata, chene subisce quotidiana-mente le conseguenze. Lacombustione continua deirifiuti e l’inquinamentodelle falde acquifere grava-no su un bairro popolato da circa 60 mila persone, co-strette a vivere a strettissimo contatto con la montagna dipattumiera, che avanza con ritmo inarrestabile fino a fa-gocitare le baracche sottostanti, ormai disabitate. L’unicomuro di delimitazione, costruito tre anni fa, separa la di-scarica dalla strada principale e lascia intravedere la co-lonna di fumo nero che si alza in cielo.

Raccolta, baratto e amoriSu questo sfondo ci sono loro, i lixeiros. Nel cortile che fada ingresso alla discarica stazionano i ragazzi più forti eagili, in attesa di salire al volo sui camion della nettezza ur-bana, perché chi arriva prima prende il meglio. Edù e Ana-nias parlano un portoghese stentato; insieme ad altri ra-

mozambicointernazionale

di Paolo Ronco foto di Roberto Cavalieri

Viaggio nella discarica del bairroHulene B, periferia della capitaleMaputo. Uomini e donne cercanomerce da mangiare o rifiuti darivendere. Ma tanti minori l’hannoeletta a proprio habitat. E ci vivonocome in una grande piazza

I “RAGAZZI DEL LIXO”,UNA VITA IN PATTUMIERA

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gazzi mi accompagnano nelle visite, a curiosare un po’, asalutare le persone conosciute la settimana prima, a in-trattenermi con altre. Molti di questi ragazzi vivono den-tro la discarica, pochi possono vantare famiglia e casa fis-se. Frequentano la discarica perché vivono di rifiuti, diquello che riescono a raccogliere: carta, ferro, vetro, plasti-ca, cibo… Soprattutto cibo, perché è quello che assicura lasussistenza, che placa i morsi della fame. Sono circa 600-700, molti di loro sono lì da lungo tempo, da quando era-no bambini e accompagnavano le madri alla ricerca degliavanzi per sostenere gli animali da cortile in casa, poi so-no arrivati anche i padri disoccupati, buttati fuori dallacrisi economica e dalle privatizzazioni, e il cerchio si èchiuso attorno a quel luogo, ormai diventato una grandepiattaforma di raccolta e scambio, di baratto e relazioni, li-

tigi e amori, anche. È unavera e propria comunità,ce ne si rende conto nellagrande “piazza”, una sortadi altipiano che sovrasta ilbairro di Hulene B. C’è chivende acqua, pane, bibite efrittelle di ceci, c’è chi rac-coglie, chi compra e poivende, chi dorme, chimangia, chi comanda eanche chi prega, accompa-gnato ogni venerdì da unfolto gruppo di volontariamericani di una delle tan-te chiese evangeliche chespopolano nel bairro, sca-lano la montagna di rifiutie impongono mani, im-

partiscono benedizioni e distribuiscono medicinali.Nella comunità della lixeira esiste una gerarchia socia-

le ben definita. Gli uomini, che predominano fisicamente,hanno il monopolio delle merci in arrivo, le più pregiate, elasciano agli altri, donne e bambini, gli scarti (degli scarti).Lo si vede quando i camion scaricano la spazzatura: sopragli uomini, attorno le donne, distanti in basso i bambini.Quasi tutti provengono dai bairro di Mavalane e Hulene,entrano da dietro, scalano il pendio e si mettono lì, a rovi-stare con un uncino tirando fuori di tutto: vestiti seminuo-vi, ciabatte sfondate, vecchie radio a transistor e anche unachitarra che fa ballare tutti e rende subito famoso il suo(nuovo) possessore. Ogni categoria si è specializzata: ledonne raccolgono soprattutto resti di cibo che avvolgono

SCENE DA UNA CONVIVENZA In queste pagine, immagini dei lixeiros, i raccoglitoridi rifiuti nella discarica del quartiere Hulene B,sobborgo popoloso di Maputo, capitale del Mozambico

ollaboratore di Carlos Serra (sociologo e auto-re di importanti studi sull’esclusione sociale) ericercatore al dipartimento di studi africanidell’università “Eduardo Modlane” di Maputo,João Carlos Colaço ha realizzato nel 2001 uno

studio illuminante sulla realtà sociale della discaricadella capitale, condividendo con i suoi “abitanti” lunghegiornate a rovistare tra i rifiuti.

Perché le persone vivono di lixo?Le ragioni sono principalmente due, a volte contrad-dittorie tra loro, e dividono gruppi sociali, a volte inconflitto tra loro: da un lato la raccolta dei rifiuti rap-presenta una drammatica forma di sopravvivenza,una conseguenza dell’aumento della povertà assoluta,

dell’esclusione sociale causata dalla disoccupazione,dai massicci licenziamenti seguiti alle privatizzazionidegli ultimi anni Novanta e dalla difficoltà di accessoalla formazione; dall’altro il lixo è un importante mec-canismo di rendita economica, che assicura la sussi-stenza e per alcuni anche un reddito tutt’altro che tra-scurabile. I cosiddetti “commercianti” del lixo arrivanoa guadagnare anche 50 euro al mese, il salario minimomozambicano è circa 40 euro.

Quali persone frequentano la discarica?Si possono distinguere diversi gruppi di persone, ditutte le fasce d’età: adulti disoccupati che consideranola discarica come posto di lavoro e i rifiuti come rendi-ta, raccolgono oggetti di ogni tipo, da rivendere o riu-

nelle capulane o in sacchetti di plastica, poi qualche botti-glia e stracci; gli uomini materiali più pesanti, come pezzidi lamiera e di mobilio, oggetti vari, cartoni, pezzi di legno,ancora cibo; i bambini bottiglie di plastica e qualche gio-cattolo. Tranne che all’ingresso principale per i camion,lungo la strada asfaltata, nessunocontrolla il materiale che entra (edesce); spesso ci si imbatte anche inmucchi di rifiuti ospedalieri, con tan-to di siringhe usate e altro. A voltequalcuno ha la buona idea di bruciar-li, a volte no.

Nascere in un buco neroEdù e Ananias, che hanno 19 e 21 an-ni, non hanno completato il cicloscolastico obbligatorio, forse a causadei costi da sostenere per l’iscrizionee la divisa (obbligatoria), più proba-bilmente per la quotidiana necessitàdi provvedere al sostentamento per-sonale e familiare. Sono infatti en-trambi “orfani” di padri emigrati in

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tilizzare, la frequentano di giorno e la sera tornano acasa, nel bairro Hulene B ma non solo; le donne delbairro, che raccolgono resti di cibo e oggetti utilizzabi-li personalmente o rivendibili; infine i meninos de rua,che in lixeira ci vivono, la considerano come spazio diabitazione, lavoro e aggregazione, un habitat da pro-teggere anche con aggressività e in cui raccogliere ditutto. Un’altra categoria di persone, molto diversa dal-le precedenti, è rappresentata dai catadores, i raccogli-tori di rifiuti dai contenitori dislocati in città: sono perlo più persone affette da disturbi psichici e difficil-mente avvicinabili; scontrosi e violenti, vivono spessodentro o vicino ai contenitori e trascorrono il tempo asvuotarli sulla strada, alla ricerca affannosa di qualco-sa da mangiare.

Esiste un mercato, formale o informale, per i mate-riali e i prodotti raccolti in discarica?

La raccolta di cibo serve per far fronte alla fame, pura esemplice; gli altri oggetti sono avviati al “ciclo” dell’econo-mia formale e informale, rappresentano quindi una fontedi guadagno che deve fruttare il piú possibile per garanti-re la sussistenza a chi vive sostanzialmente di questo. Nelbairro di Hulene esistono molti piccoli “laboratori artigia-nali” che riutilizzano alcuni materiali provenienti dalla di-scarica. Ad esempio la spugna, utilizzata per confezionarecuscini e materassi; il ferro, nelle officine di carpenterialeggera; le bottiglie di plastica vuote, rivendute al mercatoinformale come contenitori per olio alimentare, detersivoe sapone: un problema igienico grave, perché non disin-fettate prima di essere riutilizzate.

internazionalemozambico

«Sopravvivenza e affari,ma prevale la rassegnazione»Un sociologo ha vissuto con i lixeiros.E ne spiega battaglie, fatiche e statid’animo.«Si sentono emarginati dalla sorte e dallo stato, ma non lo contestano»

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Sudafrica in cerca di fortuna e mai più ritornati, inghiot-titi dai giacimenti auriferi del Gauteng o dall’Aids (in Mo-zambico le ultime stime parlano del 16,9% di popolazio-ne sieropositiva). Sono ragazzi, “orfani”, ma anche padridi famiglia. Marta, la primogenita in casa di Edù, è nata ad

agosto ma ancora si perde tra le brac-cia della madre, che ha 16 anni e sor-ride radiosa quando le si chiede dellanuova famiglia; vivono a poche cen-tinaia di metri dalla grande discarica,in una piccola baracca di lamiera eassi di legno, si arrangiano con quel-lo che Edù porta a casa e con piccolilavoretti occasionali. Non disperanoperché lei, la bambina, sta bene, esembra essere la cosa più importan-te, un raggio di sole sopra una minie-ra a cielo aperto, che molti si ostina-no a considerare un buco nero, di-sordinato e irrecuperabile. Altri ungrande mercato che vive e resiste,nonostante tutto, grazie a quello chela città ricca non vuole più.

LAVORATORI SPECIALIZZATIUn uomo che lavora nella discarica diHulene con la mascherina anti-miasmi

Ao final, è possível! “Alla fine, è possibile!”. È l’augurio di fiducia che spesso i mozambicani si scambiano. E che ora si sta concretizzando in un progetto che vuoletestardamente ridare speranza e dignità a tante persone.Nato dalla condivisione di intenti tra istituzioni locali (il municipio di Maputo), la cooperazione tedesca, CaritasMozambicana, volontari in servizio civile di Caritas Italiana e con il coinvolgimento di Lvia, ong italiana aderente alla rete Focsiv, il progetto pilota che sta prendendo formanel bairro di Hulene B scommette sul riciclaggio di rifiuticome opportunità lavorativa concreta per i lixeirose potenzialmente redditizia per la popolazione, oltre che come “buona pratica” di gestione dei rifiuti solidi urbaniper contrastare l’inquinamento.

Dopo una lunga fase di analisi del contesto sociale e del mercato locale, è stato avviato in forma sperimentaleun sistema di raccolta differenziata e di riciclaggio di materie plastiche. Fulcro del progetto è la realizzazione di un centro ecologico, dove la plastica viene acquistata a peso dai raccoglitori e subisce un trattamento essenziale(separazione, taglio, lavaggio e macinazione); il prodottocosì ottenuto, sotto forma di granulato, viene venduto alle imprese della capitale, disponibili a pagare un sovrapprezzo in cambio di una plastica pre-trattatautilizzabile come materia prima secondaria. Il centro, che una volta raggiunta una sufficiente autonomiaeconomica e gestionale si costituirà come cooperativa

e microimpresa, gestita da un gruppo di circa venti ex lixeiros, è stato inaugurato a inizio marzo su un terreno di 2.500 metri quadri in prossimità della lixeira.

Accanto al centro ecologico, il progetto prevede la creazione di un sistema preventivo di differenziazione dei rifiuti plastici, attraverso una raccolta domiciliare tramitecarretti a mano e negozi ambulanti, da realizzare in altriquartieri della città, coinvolgendo i raccoglitori informali(catadores). Un’associazione ambientalista, da tempo attivanel bairro con iniziative di educazione popolare, collaboraattivamente, conducendo una campagna di sensibilizzazionealla separazione e al riciclaggio.

I problemi ambientali condizionano pesantemente la vita quotidiana: Maputo è letteralmente invasa dairifiuti, che strabordano nelle strade e intasano i canali di scolo. Occorre capovolgere la prospettiva culturale,considerando il rifiuto non più un inevitabile agenteinquinante, ma una risorsa utile, da cui trarre un profittoo un beneficio. Lvia, forte di un’esperienza decennale in progetti di riciclaggio delle plastiche in Senegal,Mauritania, Kenya e Burkina Faso, coordina il progetto,che in una seconda fase dovrebbe essere esteso ancheal riciclaggio dei rifiuti organici. Il progetto è finanziato da Caritas Italiana, Cooperazione tedesca – Gtz e regioneVeneto; riceve il contributo di Caritas Mozambicana, che ne ha assunto la titolarità.

[ha collaborato Francesco Meneghetti]

Raccogliere, riciclare e rivendere: un altro lavoro è possibile

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guerre alla finestra

TORTURE E CRUDELTÀ,L’INFERNO DIETRO LE SBARRE

Negli ultimi mesi abbiamo assi-stito alla sovra-mediatizzazione delcaso iracheno della prigione di AbuGhraib; lo stesso non può dirsi per lecentinaia di prigioni legali e illegaliove quotidianamente vengono rin-chiuse persone per essere illegal-mente sottoposte a torture o a tratta-menti inumani e degradanti. È il ca-so della Repubblica democratica delCongo, ove le forze di sicurezza chegestiscono centri di detenzione ille-gali praticano in maniera regolare latortura ai danni dei prigionieri. I de-tenuti vengono sequestrati, trattenu-ti in “incomunicado” e sottoposti atorture. Per questi prigionieri nonesiste alcuna possibilità di accesso aun sistema di protezione legale ogiudiziaria, le prigioni illegali non siattengono ad alcuno status giuridicoe ai prigionieri viene negato ogni ac-cesso ad organi esterni di protezione.

Episodi simili sono stati registratianche in Sudan, soprattutto nel sud

del paese e nella regione del Darfur. In Colombia le per-sone (centinaia ogni anno) continuano a essere tortura-te, rapite e a scomparire. Tutti gli attori del complessopuzzle colombiano si sono macchiati di violazioni di di-ritti umani nel corso degli ultimi anni, ma nessun organogiuridico è stato in grado di fare luce o giustizia in manie-ra completa ed approfondita: ciò ha generato un genera-le clima di impunità, che accresce e giustifica la spirale diviolenza che si incrementa nel paese.

Il problema del giusto processo e di un giusto tratta-mento dei prigionieri di guerra rimane centrale nell’ana-lisi dell’applicazione del diritto internazionale. Anche inquesto caso, esisterebbero sistemi legali di protezionegiuridica, ma l’applicazione risulta quanto mai difformedal testo normativo.

Giustizia e carceri continuano a essere questioni strettamente col-legate ai conflitti più o meno dimenticati del mondo. Detenzioniarbitrarie, torture, esecuzioni sommarie, sovraffollamento e con-

dizioni igienico-sanitarie: sono alcuni dei più gravi esempi di come unconflitto si intrecci con il tema del rispetto dei diritti umani fondamen-tali. La tortura, in particolare, è universalmente condannata; nonostan-te sia ancora praticata spesso, nessun paese oggi la legittima pubblica-mente. La condanna della tortura è parte del diritto cogente; tuttavia,nonostante quanto affermato dai numerosi trattati internazionali edalla Dichiarazione universale dei di-ritti umani delle Nazioni Unite (cheall’articolo 5 stabilisce che “nessunodovrebbe essere soggetto a tortura o atrattamenti o punizioni crudeli, inu-mani e degradanti”), tale pratica ri-sulta ampiamente diffusa, soprattut-to in relazione ai conflitti che causa-no detenzioni arbitrarie di prigionie-ri di guerra. In molte aree di conflittosi registrano poi casi in cui prigionie-ri di guerra o politici sono trattenutidalle forze di polizia in “incomunica-do”, cioè senza alcuna possibilità dicontatto con parenti o avvocati. In molte prigioni dei pae-si in cui sono in corso conflitti, inoltre, si verificano rego-larmente drammatiche proteste, assassini e violenze tra iprigionieri o ad opera dei carcerieri. La situazione appareparticolarmente grave nei paesi dove l’accesso ai luoghi didetenzione viene sistematicamente negato ai media e al-le organizzazioni di tutela dei diritti umani.

Accesso impossibileLe principali violazioni registrate nelle carceri riguarda-no episodi di tortura o violenze sessuali. Le Nazioni Uni-te hanno stabilito un corpus di standard minimi per iltrattamento dei prigionieri; tuttavia l’applicazione diquesto corpus non viene realizzata in molte carceri spar-se nei teatri di guerra.

Trattamenti inumani e degradanti sono ancora

all’ordine del giorno in molte carceri dei

paesi teatro di conflitti.Non mancano le norme

internazionali, mal’applicazione è carente.

Gli esempi di Congo,Sudan e Colombia

internazionale

di Paolo Beccegato

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Che percezione hanno i lixeiros della loro situazione?Sono rassegnati o cercano alternative?

Il loro atteggiamento è molto contraddittorio: da una par-te sono profondamente rassegnati allo status quo, pensa-no che la loro condizione sia dovuta alla sorte, al destino,quindi impossibile da cambiare. Sono individui sfiduciatinei confronti dello stato, che li emargina e non li aiuta, mache loro non pensano nemmeno di contestare.

Questa attitudine conformista si scontra con la con-sapevolezza della situazione anomala che si trovano avivere, quindi con la volontà di uscire da uno status so-ciale inferiore e di emarginazione. La speranza di cam-biamento è riposta nell’accesso a un lavoro regolare esalariato. In questo senso l’idea di fare del riciclaggio unmestiere formalizzato è molto positiva, perché rispondeal loro bisogno di riconoscimento e di “identità lavora-tiva”. Però occorre fare attenzione nell’alimentare spe-ranze che poi magari non vengono concretizzate, pernon creare ulteriore frustrazione.

Come sono considerati i lixeiros dal resto della so-cietà?

La società è sostanzialmente indifferente a loro, li

considera inferiori e li emargina di conseguenza. Nonci sono contatti, soprattutto, con i meninos de rua, chesolo in rari casi vengono accolti nelle famiglie del cir-condario. Quanto alla casa-baracca di un lixeiro, è ri-conoscibile per la grande quantità di materiali prove-nienti dalla discarica e parcheggiati nel piccolo corti-le, e questo ne aumenta la visibilità e l’esclusione.

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GERARCHIA DI RACCOLTAQuando il camion arriva in discarica, gli uomini si posizionano sopra, le donne dietro, i bambini ai lati.Nella foto sopra, passeggiata tra i rifiuti

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«Persino i cammelli non la bevono: quest’acqua è sporca e ha cattivo odore»: è scon-solato Ibrahim, un pastore che per la siccità ha abbandonato Adar, villaggio dellaSomalia meridionale distante alcuni giorni di cammino. Migliaia di capi di bestia-me s’immergono ogni giorno nella grande pozza di Safarnolay, trenta chilometri anord-est del capoluogo Dinsor. Chiamarla acqua è un eufemismo: nel liquame

fangoso entrano capre, vacche, buoi, pecore. E ragazzini che cercano refrigerio all’opprimente ca-lura, 40 gradi prima di mezzogiorno. Da giorni il livello è sceso senza scampo; la qualità, invece, hagià toccato il fondo. Una donna fasciata da un velo colorato riempie una tanica di plastica. «Anchela gente prende quest’acqua, con il grave rischio di diffusione di malattie», scuote la testa HusseinElmi detto Gianko, coordinatore del team locale di un’organizzazione internazionale che sta vacci-nando e curando migliaia di animali. Intorno arbusti rinsecchiti. E kalashnikov, che spuntano ine-sorabili quando qualcuno pretende che la sua mandria sia vaccinata prima delle altre.

Siccità e un dopoguerra infinito: le piaghe di que-st’angolo di Corno d’Africa. Visto dall’alto, prima che ilpiccolo aereo atterri su una striscia rossa di polvere, laterra assomiglia a una gigantesca lastra di vetro crepata.L’aridità ha aperto venature che tagliano la boscaglia.Qua e là qualche macchia verde. Strisciano come enormiserpenti scuri i letti asciutti dei torrenti, che in tempi dipioggia si gonfiano d’acqua. «Ma ora non ce n’è. Per la se-conda volta consecutiva la stagione della piogge è statascarsissima», lamenta Mohammed Ibrahim. Dice di ave-re perso almeno trenta dei suoi 102 animali. È scappatoventi giorni fa dalla confinante regione del Middle Jubaper abbeverare i rimanenti, “mezzo di produzione” diun’azienda a conduzione famigliare che coinvolge anchele due mogli e i sei figli.

I peggiori raccolti del decennio«Carestia o emergenza umanitaria non sono termini reto-rici né giornalistici, ma rispondono a precisi criteri inter-nazionali – puntualizza Nicholas Haan, responsabile del-l’Unità di analisi della sicurezza alimentare in Somaliadella Fao, l’agenzia Onu per l’alimentazione –. Due stagio-ni di scarse piogge hanno provocato un crollo dei raccol-ti», spiega nel suo ufficio di Nairobi, in Kenya. Su grandimappe alle pareti sono evidenziate in rosso (a rischio dicarestia) le regioni di Middle e Lower Juba, Bay e Bakool,

sud Somalia. «Ma ci preoccupa molto la dimensione re-gionale della siccità, che colpisce anche ampie aree inEtiopia e nord-est del Kenya, caratterizzate dall’identitàculturale e linguistica somala». Secondo l'esperto Fao, lacrisi è legata, oltre che alla siccità, ad altri due fattori: «Ilpersistente conflitto interno tra i vari clan e la deforesta-zione selvaggia degli ultimi anni per procurarsi il legname,attività favorita dalla mancanza di autorità amministrati-ve nel territorio». Eppure l’emergenza, secondo Haan, po-trebbe perfino rappresentare un’opportunità: «Obbliga lacomunità internazionale a intervenire a un doppio livello:assistenza immediata e progetti a lungo termine per ri-muovere le cause della situazione attuale». Gli interventi,conclude il responsabile Fao, «dovrebbero mirare anche alcoinvolgimento della società civile, per mostrare in modoconcreto che con i cosiddetti “dividendi della pace” i so-mali possono lavorare insieme».

Sul campo, intanto, è aumentato «in modo vertiginosoil numero di persone nei centri nutrizionali e ci sono statigià alcuni decessi. Non molti, ma è comunque troppo.Non si sa fino a quando la gente riuscirà a fronteggiarequesta situazione – spiega Jo Killalea, responsabile localedi Trocaire, la Caritas irlandese, attiva da tredici anni nellaregione di Gedo, sud Somalia, la più colpita dalla siccità –.È stato uno dei peggiori raccolti degli ultimi dieci anni,

con solo il 10% delle quantità abituali. E oltre la metà deicirca 370 mila abitanti sono pastori, che si spostano congli animali ma faticano a trovare pascoli e acqua». Gli aiu-ti umanitari non possono arrivare a tutti: «Noi siamo atti-vi nelle scuole elementari, dove stiamo cominciando unprogramma di assistenza alimentare per cinquemila sco-lari in 24 località. Nei distretti settentrionali della regionedi Gedo la malnutrizione supera normalmente il 20%: orasiamo già al 25% e c’è il rischio di raggiungere il 40%, a me-no che non avvenga un’immediata distribuzione di cibo».

Capre e vacche in svenditaLa maledizione dei clan‚ che si combattono per il control-lo del territorio e dei pochi lucrosi commerci, soprattuttoillegali, aggrava il rischio che in questi mesi si ripeta l’in-cubo della carestia del 1992, quando ci furono decine dimigliaia di vittime mentre iniziava una guerra civile che sisarebbe rivelata devastante. Oggi per la Fao 1,4 milioni disomali hanno urgente bisogno di aiuto a causa del peg-gior raccolto dell’ultimo decennio. Nella regione di cuiDinsor fa parte è già emergenza umanitaria per 400 milapersone; 900 mila in tutta la Somalia, soprattutto nel sud,il resto nei paesi confinanti. Ma sono 11 milioni in tuttal’Africa orientale le persone che rischiano la fame.

Nel sud della Somalia, come altrove, mancano pasco-

POCA ACQUA, TANTI FUCILI:SOMALIA A RISCHIO CARESTIA

corno d’africainternazionale

Due stagioni con piogge scarsissime.Conflitti clanici interminabili.Le regioni meridionali, come molte del Corno d’Africa, sono assediate dallafame.Viaggio in una crisi umanitaria che rischia di ripetere incubi recenti

testo e foto di Emiliano Bos

SICCITÀE DOPOGUERRAIn queste immagini,uomini e animalicercano acquaa Safarnolay,sud Somalia.La siccità si aggiunge a un clima politicoancora instabile

internazionale

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corno d’africa

li. Muoiono animali. Scarseggiano cereali. In più, la conte-sa per i pochi pozzi di acqua dolce alimenta i conflitti lo-cali tra clan. I pastori sono il 70% della popolazione e oggisono costretti a svendere le mandrie. Al mercato di DinsorAbdì offre una capra per 250 mila scellini somali (circa 20euro), la metà del prezzo normale. Sotto un’eufobia, uni-co albero dalle foglie ancora verdi, che offre un po’ di ripa-ro dal sole, una vacca smagrita vale solo 600 mila scellini,meno di una cinquantina di euro.

A superare i confini dei clan sono armi, sigarette e zuc-

chero, che alimentano il business della sopravvivenza.Contraddizioni assurde di una terra strutturalmente asse-tata di pioggia e giustizia: la prima è attesa ad aprile con leprecipitazioni primaverili; la seconda è appesa ai recentisviluppi politici tra le fragili istituzioni di transizione. Ma lacarestia non aspetta. «Nell’ultimo mese il numero di ac-cessi in ospedale per malnutrizione è passato da una doz-zina a 46», ricapitola la dottoressa Rosa Auat, argentina,coordinatrice di Medici senza frontiere (Msf) a Dinsor.Mentre parla, sotto i suoi occhi muore la piccola Abdura-

der Barwag, 9 mesi e 5,4 chilogrammi di peso. Nello stessogiorno, al tramonto, si spegne anche la sua vicina di letto,stessa età e identica malnutrizione. «Cinque decessi nelmese di gennaio: sembra una cifra enorme, eppure qui èquasi normale», constata il medico. Purtroppo è quasinormale anche che un drappello di uomini armati tentiun’irruzione nell’ospedale, circondato da mura e filo spi-nato. Tra sacchi di sorgo e acquirenti di cammelli, circola-no anche gli immancabili fucili automatici Ak-47. Che nonconoscono crisi di vendita. Nemmeno con la siccità.

La quattordicesima conferenza di pace inter-so-mala ha portato, a fine 2004, alla creazione di unparlamento e di un governo federale transitoribasati a Nairobi. Questo risultato è stato percepi-to dalla comunità internazionale come il più

concreto segno di speranza per il ristabilimento della pa-ce nel paese. A questo segnale positivo ha voluto rispon-dere anche la chiesa cattolica, con la volontà di continua-re a fare la propria parte nella ricostruzione della societàcivile, in un paese dove gli indici relativi alla situazioneumanitaria sono tra i peggiori al mondo da quindici anni.

Dopo approfondite consultazioni con Caritas Inter-nationalis, monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibutie amministratore apostolico della diocesi di Mogadi-scio, ha deciso di dare un segno di fiducia nella capacitàdel popolo somalo di risollevarsi, nominando un diret-tore per Caritas Somalia (Davide Bernocchi, ex operato-re di Caritas Italiana a Gerusalemme), che da maggio2005 opera a Nairobi con l’obiettivo di riorganizzareun’azione in Somalia. Sin dall’inizio il compito non si èprospettato semplice; alla generale situazione di insicu-rezza va aggiunto un sentimento anti-occidentale e an-ti-cristiano diffuso in Somalia, negli ultimi anni, dall’a-zione capillare di un islamismo estremista nel campodell’educazione.

Diplomazia e trafficiNonostante la nascita delle nuove istituzioni, riconosciutedalla comunità internazionale, il processo di pacificazionedella Somalia si è dimostrato più arduo di quanto si spe-rasse. A giugno 2005 il governo keniota ha chiesto alle isti-tuzioni somale di lasciare Nairobi e stabilirsi finalmente inSomalia. Dato il complesso panorama di alleanze clanico-politiche, il presidente Abdullahi Yusuf e il primo ministroAli Gedi, seguiti dalla maggioranza di ministri e parlamen-tari, hanno deciso di evitare la capitale Mogadiscio, dove lecondizioni di sicurezza restano pessime, per stabilireprovvisoriamente la sede del governo a Jowhar, cittadina a90 chilometri dalla capitale, fondata all’epoca della colo-nia italiana con il nome “Villaggio Duca degli Abruzzi”.

Tale scelta ha causato la scissione di una minoranza diministri e parlamentari, tra cui anche il presidente delparlamento, Sharif Hassan; essi si sono stabiliti a Mogadi-scio, dati i loro legami di clan e di interesse con i signoridella guerra che si spartiscono il controllo della capitale.

Per molti mesi la comunità internazionale, guidata dalrappresentante speciale per la Somalia del segretario delleNazioni Unite, ambasciatore François Fall, ha tentato unamediazione tra i due gruppi, rivelatasi inefficace al mo-mento del secondo attentato al primo ministro, perpetra-to durante la sua visita a Mogadiscio, il 5 novembre, e co-

stato la vita a diverse sue guardie del corpo. Da quel mo-mento è apparso evidente che il gruppo di Mogadiscio siera legato a trafficanti e a circoli islamisti estremisti, chehanno interesse a far fallire il processo di pace per conti-nuare a perseguire indisturbati i propri scopi.

Mesi di lavoro diplomatico hanno però portato, il 5gennaio, alla Dichiarazione di Aden, sottoscritta dal presi-dente Abdullahi Yusuf e dal presidente del parlamentoSharif Hassan, che segna l’impegno dei due leader a colla-borare affinché le istituzioni assumano il controllo dell’in-tero paese. Questo passo di riconciliazione ha permesso diindire una sessione parlamentare, la prima in territorio so-malo da quindici anni, apertasi a Baidoa il 26 febbraio.L’accordo sottoscritto nello Yemen non ha però avuto l’ef-fetto di disarmare quanti vedono nella fine della legge delpiù forte una minaccia ai propri interessi. I tanti morti cau-sati dai violenti scontri scoppiati a Mogadiscio il 17 feb-braio indicano che il processo di pace deve superare an-cora molti ostacoli.

Presenza medica a BaidoaIn questi mesi Caritas Somalia ha lavorato attraverso

vari partner che possono operare sul terreno, con proget-ti a favore delle vittime dello tsunami, dei lebbrosi, dibambini malnutriti affetti da tubercolosi e di un gruppo dirifugiati somali in Kenya; a questo oggi si aggiunge anchel’impegno per la siccità che ha colpito il Corno d’Africa.

Nel frattempo, l’organizzazione ecclesiale ha ancheaperto un dialogo con le istituzioni somale, in attesa di va-gliare le priorità del governo in campo sociale e dare il pro-prio sostegno in questo ambito, nella misura del possibi-le. Tale confronto ha portato Caritas Somalia a rispondereall’invito del presidente del parlamento di seguirlo nel suoviaggio a Baidoa, nel periodo di preparazione della sessio-ne parlamentare, con l’obiettivo di verificare i bisogni del-

la popolazione, in una regionecon più di 700 mila abitanti, dovel’insicurezza ha impedito permolti anni a ong e agenzie Onu di

portare soccorso alla popolazione.La missione ha convinto Caritas Somalia a impegnar-

si nell’emergenza sanitaria con un primo progetto, inpartnership con l’Organizzazione mondiale della sanità,per assicurare una presenza medica a Baidoa almeno peri mesi in cui avrà luogo la sessione parlamentare. A que-sto, se le condizioni di sicurezza lo permetteranno, po-trebbe seguire un intervento a lungo termine, dato chel’ospedale cittadino è in stato di abbandono da anni e intutta la regione del Bay non risulta operare neppure unmedico qualificato. Si tratta, per ora, di speranze, da veri-ficare alla luce di una realtà estremamente instabile.

Non va però dimenticato che negli ultimi quindici an-ni la rete Caritas è sempre stata presente in Somalia, sia at-traverso l’opera diretta e a distanza, mediante partner lo-cali, di Caritas Somalia, sia con l’azione sul campo di Cari-tas Svizzera ad Hargeisa (capitale del Somaliland, regionedel nord autoproclamatasi indipendente) e di Trócaire eCordaid (Caritas Irlanda e Olanda), che da dodici anni as-sicurano l’assistenza sanitaria nella poverissima regionemeridionale del Gedo, in cooperazione con Amref.

Faticosi spiragli di pace,la Caritas riprende a operarePrima sessione parlamentare da quindici anni, ma la violenza ostacola lariconciliazione.Caritas Somalia ricomincia dalla sanità il cammino nel paese

di Davide BernocchiMETTETE FIORISUI CANNONIManifestazione per lapace, ma la Somaliaresta instabile

ono più di seicento le organizzazioni nazionali,dai sindacati alle associazioni per la difesa deidiritti umani, iscritte al Forum sociale europeoin programma dal 3 al 7 maggio 2006 ad Atene.Sarà uno degli ultimi, in ordine temporale, dei

numerosi forum organizzati in varie parti del mondo inpreparazione al prossimo evento mondiale, previsto pergennaio 2007 a Nairobi, in Kenya. Il comitato interna-zionale ha promosso infatti Forum sociali in ambitomacroregionale e Forum tematici specifici, al fine di de-centralizzare il confronto su temi (diritti, equità, solida-rietà, cittadinanza, pace e riconciliazione, ambiente) giàal centro della riflessione a Porto Alegre, nelle edizioniprecedenti, e favorire una più ampia partecipazione ditutti i soggetti interessati al cammino verso la “ri-globa-lizzazione dell’umanità” e una cittadinanza planetaria.

I Forum policentrici sono stati ospitati finora da Ba-mako (Mali, Africa, 19-23 gennaio), Caracas (Venezuela,Americhe, 23-29 gennaio) e Karachi (Pakistan, Asia, mar-zo). Tra i Forum regionali, il prossimo impegno è quello diAtene. Esso dovrà tenere conto delle forti polemiche natein seno ai comitati organizzatori nazionali durante e dopol’evento di Londra 2004, quando alcuni movimenti e as-sociazioni hanno organizzato eventi alternativi a quelli uf-ficiali. Per promuovere una maggiore partecipazione dalbasso nella definizione del programma, il comitato orga-nizzatore greco ha avviato una consultazione articolata,

che non si è ancora conclu-sa ma che vede già indivi-duati alcuni temi, rispettoai quali verranno propostepiù di un migliaio di inizia-tive: guerra e pace, ruolodell’Europa nella globaliz-zazione liberale, “Dov’è di-retta l’Ue?”, “Di che demo-crazia e di quali diritti fon-damentali ha bisogno l’Eu-

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TEMPO DI EUROPA SOCIALE,LA CARITAS VERSO ATENE

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forum socialeinternazionale

Il Forum sociale continentale è in programma a maggio nella capitale greca.Dopo Porto Alegre,si rinnova un’occasione di confronto su equità e pace. Caritas Italianaproporrà la sua riflessionesul rapporto tra media e guerra

di Laura Stopponi

internazionalecasa comune

UN ANNO PER LA PARITÀ,MA IL CAMMINO RESTA LUNGO

punte massime in Finlandia, Svezia,Danimarca e minime nei paesi me-diterranei e dell’Est). Il part time ri-guarda invece il 32% delle occupate,mentre per gli uomini si riduce al 7%.

Il gap è notevole anche se ci sisofferma sulle professioni intellet-tuali: il 59% dei laureati in Europasono donne ma, sempre a titoloesemplificativo, la percentuale scen-de al 43% tra i ricercatori universita-ri e al 15% tra i docenti universitari.

Sanare per dinamizzarePochi gli elementi positivi riscontra-ti, anche se lascia ben sperare quel“75% dei nuovi impieghi creati nel-l’Ue negli ultimi cinque anni che èstato riservato alle donne”. «Occorresanare queste disparità – spiega ilcommissario all’impiego, affari so-ciali e pari opportunità, VladimirSpidla –. Non è solo questione di giu-stizia, si tratta di realizzare gli obietti-vi fissati dalla Strategia di Lisbona, il

cui scopo è dinamizzare l’economia europea» in un con-testo di maggiore occupazione e di coesione sociale.

L’Unione sarebbe insomma intenzionata a sostenereuna ulteriore qualificazione professionale delle donne,ma occorrerebbero anche una revisione dei tempi di la-voro e un impulso ai servizi che le imprese mettono a di-sposizione delle mamme-lavoratrici (orari flessibili, asilinido aziendali…).

In definitiva, ciò che manca veramente, a livello co-munitario, è una seria e articolata proposta di politichefamiliari: esattamente quanto richiamato lo scorso annodalla Comece (Commissione degli episcopati della Co-munità europea), in un documento messo a disposizio-ne delle comunità cristiane e dei vertici Ue dai vescovieuropei.

uomini 2006”, firmata dall’esecutivoeuropeo guidato da Barroso e pre-sentata a Bruxelles alla vigilia dell’8marzo, la relazione è giunta poi all’at-tenzione del recente summit dei capidi stato e di governo dei Venticinque,in programma il 23 e 24 marzo.

Il rapporto mette in luce le trop-pe differenze, specialmente nel set-tore economico, a tutto svantaggiodella galassia femminile. “Le donnenell’Unione europea guadagnano, apari compiti, il 15% in meno degliuomini”, si legge nella relazione,mentre “i progressi per ridurre le disparità di genereprocedono troppo lentamente”. La percentuale delledonne attive nel mondo professionale è di molto infe-riore a quella maschile; tra uno stato e l’altro le distanzerestano considerevoli. E “molte donne – si legge ancoranel testo – escono dal mondo del lavoro in ragione del-le difficoltà che esse sperimentano nel conciliare la vitafamiliare con quella professionale”.

Secondo i dati presentati, “solitamente le donne sonoconfinate in alcuni settori professionali, fra cui l’educa-zione, la sanità e l’amministrazione pubblica”. L’accessoalle posizioni dirigenziali è ancora per lo più riservato agliuomini: solo il 10% dei top manager è donna (la situazio-ne peraltro non cambia nella politica: in tutta Europa ledonne parlamentari sono soltanto il 23% del totale, con

Il 2007 saràl’Anno europeo

delle pari opportunità.Ma nei venticinque

paesi Uela disuguaglianza

tra uomini e donne restapalpabile, a cominciare

dal mondo del lavoro.Un imperativo:rilanciare

le politiche famigliari

di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles

La Commissione europea – mentre ha in corso le iniziative per il

2006, Anno della mobilità professionale – già pensa a quelle per

il 2007, proclamato Anno europeo delle pari opportunità per tut-

ti. L’intento è “rilanciare l’impegno per l’uguaglianza e la non discrimi-

nazione” negli stati membri e sviluppare progetti e prassi che possano

fungere da “buon esempio” sulla scena internazionale.

Peccato che il cammino da compiere in questa direzione sia ancora

lungo. Lo testimonia, ad esempio, la “Relazione sulla parità tra donne e

PIAZZA E CONFRONTOManifestanti grecial Forum sociale europeodi Firenze: era il 2002.Quest’anno l’appuntamentocontinentale (sopra,il logo) si terrà ad Atene

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Il comunicato finale del forum di Bamako assomiglia più al racconto di un sogno che a un documento ufficiale:“Costruire un mondo fondato sulla solidarietà tra le genti;costruire la socializzazione attraverso processi democratici;costruire un mondo fondato sul riconoscimento di prodotticulturali e acquisizioni scientifiche, di educazione e salutenon guidato dalle leggi del mercato; promuovere linee guidache associno la democrazia con il progresso sociale e l’affermazione dell’autonomia delle nazioni e delle genti;affermare la solidarietà dei popoli del nord e del sud nellacostruzione di un internazionalismo su base antimperialista”.E da qui una lunga lista di obiettivi a medio e lungo termine.

È la voce dell’Africa, il cui Forum sociale continentale si è svolto dal 18 al 23 gennaio a Bamako, capitale del Mali.Circa diecimila persone, provenienti da numerosi paesi, si sono incontrate per “realizzare un mondo umanopolicentrico e per dare il futuro dell’Africa in mano agli africani”. Quattro giorni di incontri su dieci temi principali:guerra e pace; liberalismo globalizzato; marginalizzazione del continente; aggressione contro le società agricole;marginalizzazione delle donne; cultura e mezzi di comunicazione; distruzione dell’ecosistema e controllo

delle risorse; ordine internazionale; mercato internazionale e debito; alternative verso la democrazia, progresso sociale e rispetto della sovranità dei popoli.

La delegazione Caritas era presente, contava esponentidi tredici paesi e di Caritas Internationalis, per affermare il ruolo della chiesa nella costruzione di un mondo più giusto,non in nome di un «puro e semplice umanismo senzafondamenta – ha affermato il presidente di Caritas Malidurante l’omelia della messa di apertura del Forum –, ma perrealizzare il sogno che Dio ha messo nel cuore di tutti i suoifigli: il desiderio e l’ispirazione di condurre una vita serena e in pace, in amore, solidarietà e giustizia». Il prossimoappuntamento sarà a Nairobi, nel gennaio 2007, di nuovo in contemporanea al summit che i big dell’economia mondialeterranno a Davos, in Svizzera. Il mondo dei movimenti socialisi incontrerà in Africa, per la prima volta, per rinnovare il suoimpegno per la costruzione di un mondo non guidato dallesole leggi del mercato, più attento all’uomo e meno bramosodi guadagno. E nello stesso tempo per dare all’Africa un ruolo attivo, per mostrare che il continente può fare la suaparte e può costituire un segno di speranza sul palcoscenicodi una globalizzazione più equa. [Maria Chiara Cremona]

“L’Africa in mano agli africani”,ora si attende il Forum a Nairobi

ABBRACCIO TRA DEMOCRAZIECON BOMBA ALL’ORIZZONTE

paesi che non accettano accordi inter-nazionali sulla non proliferazione. OraBush lo cancella con una firma. NegliUsa molti politici hanno espressopreoccupazioni. Il senatore repubbli-cano Royce ha osservato che le impli-cazioni dell’accordo vanno ben al di làdelle relazioni tra due paesi. Ma è statoil senatore democratico Markey a pro-porre il ragionamento più compiuto:«Come possiamo dire all’Iran, paeseche ha firmato il Trattato di non proli-ferazione, di non sviluppare la tecnolo-gia per arricchire l’uranio, mentre ac-cordiamo condizioni speciali all’India,che quel Trattato non ha mai firmato?».

Oggi la scorciatoia per l’uso milita-re è lo sviluppo del nucleare civile.Non è un segreto per nessuno. Ma lepromesse indiane di separare pro-gramma civile e militare sono troppovaghe. L’accordo prevede che gli Usaforniscano tecnologie e combustibileper uso civile, però sarà l’India a direquale parte del suo programma nu-cleare è di uso civile. Le ispezioni in-

ternazionali dell’Aiea verranno effettuate solo su 14 dei 22reattori indiani (sette sono in costruzione). La formula èassai ambigua e, sicuramente, è troppo generosa per unpaese che ha stabilito di costruire molte altre testate nu-cleari. Su quali risorse conta per farlo?

Oggi la bomba ce l’hanno molti e molti altri la vogliono,non fosse altro per evitare di fare la fine di Saddam. Al con-fine indiano la possiede il Pakistan, con il quale Bush, in vi-sita a Islamabad dopo New Delhi, si è ben guardato dal fir-mare un accordo simile. Così va in soffitta anche l’equili-brio del terrore fin qui mantenutosi a livello regionale e pla-netario. L’Asia è zona sensibile e il grande gioco nuclearecoinvolge India, Cina, Russia, Stati Uniti e Corea del Nord.Saranno in grado di mantenere nel tempo nervi saldi?

L’ultima bugia a stelle e strisce apre inquietanti scenari erischia di sbaragliare ciò che resta del Trattato sulla nonproliferazione nucleare. Per la prima volta gli Stati Uniti

hanno firmato un accordo di cooperazione in materia nuclearecivile con uno stato, l’India, che non ha mai sottoscritto il Tratta-to, che impone limiti allo sviluppo della proliferazione nuclearea uso militare. Eppure l’accordo firmato a New Delhi tra GeorgeW. Bush e il premier indiano Singh, presentato al mondo comel’abbraccio tra la più antica democrazia del mondo e quella piùpopolosa, nasconde più di una ragione di preoccupazione.

Il viaggio in India del presidenteamericano corregge una serie di cer-tezze sulla quali, finora, Washingtonnon aveva mai ceduto. Anni fa il ne-goziato in materia di cooperazionenucleare civile si era fermato, perchéBill Clinton aveva posto come condi-zione (inaccettabile per l’India) la ri-nuncia all’arma atomica. Oggi Bushha spiegato, con una buona dose disincerità e di cinismo, che «i tempicambiano e India e Usa insieme pos-sono cambiare il mondo». Nulla dipiù vero, anche se si rischia di cambiare in peggio.

Le premesse erano state poste a luglio, durante la visi-ta a Washington di Singh. L’industria nucleare civile india-na ha bisogno della tecnologia americana, dopo la finedella guerra fredda e a causa della cooperazione semprepiù tiepida con Mosca. Ma l’India è una potenza nucleare,possiede tra 75 e 110 testate e si è sempre rifiutata di certi-ficare il suo potenziale. Anzi, il suo programma militarenucleare prevede di arrivare alla costruzione di altre centi-naia di testate entro i prossimi dieci anni.

Scorciatoia per l’uso militareGli Stati Uniti nel 1954 hanno approvato una legge, l’AtomicEnergy Act, che proibisce di vendere tecnologia nucleare ai

contrappunto

Accordo tra Stati Uniti e India in materia di nucleare civile.Ma New Dehli non

ha firmato il Trattato di non proliferazionedelle armi atomiche.La svolta smentisce

vecchie certezze.E indebolisce

l’intransigenza verso l’Iran

di Alberto Bobbio

internazionale

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internazionale

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forum sociale

ropa?”. E ancora, riflessioni sul futuro dell’area dei Balcanie sul conflitto Grecia-Turchia, sulla difesa dei diritti uma-ni e di un modello di sviluppo sociale attento ai più debo-li, immigrazione e diritto di asilo, discriminazione e razzi-smo, disoccupazione e piena occupazione, politiche ur-bane e città, ambiente e sviluppo sostenibile, energia, ac-qua e clima, infine su diritto all’istruzione e alla cultura,nonché sul ruolo dei media. Tutto ciò si concretizzerà inuna pluralità di attività: seminari, forum di testimonianze,incontri tematici, laboratori ed eventi di grande rilievo.

Partecipazione attivaCaritas Italiana, dopo la partecipazione a Porto Alegre nel2005, per la prima volta sarà presente a un Forum euro-peo, con una delegazione composta anche da rappresen-tanti delle Caritas diocesane. Tale presenza non vuole es-sere episodica, ma frutto di un percorso di condivisionecon il territorio, per aprirsi all’ascolto dei poveri e al con-fronto con la società civile europea sui vasti temi della lot-ta contro povertà e ingiustizie. Portatrice di una sua iden-tità, aperta ad altre diverse, la Caritas fa della sua presen-

za un momento di partecipazione attiva e di confrontosulle questioni che interpellano ogni giorno il suo agire.Tale partecipazione vede coinvolta anche Caritas Europae tante altre Caritas europee, con le quali si realizzeranno,in avvicinamento ad Atene, attività congiunte sui temidella pace e della riconciliazione, della tratta degli esseriumani e del diritto all’asilo.

Il contributo di Caritas Italiana si focalizzerà su un te-ma in particolare, “I media e la guerra”, oggetto della re-cente pubblicazione della ricerca Guerre alla finestra, cheevidenzia le contraddizioni esistenti, in materia, nel mon-do dell’informazione globale. Caritas Italiana opera daanni, direttamente o a sostegno di chiese locali, in territo-ri sconvolti dalle guerre. Ha dedicato una costante atten-zione alle cause strutturali che portano allo scoppio di unconflitto armato, conducendo nel contempo capillariazioni di sensibilizzazione e informazione nei confrontidell’opinione pubblica. Nasce da qui l’interesse al con-fronto e all’approfondimento, che si concretizzerà nell’or-ganizzazione di un seminario, insieme ad altre Caritas,nell’ambito del Forum sociale europeo.

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agenda territori

di persone in situazione di povertàestrema. La Caritas diocesana e cinque comuni, in collaborazione con l’amministrazione provinciale,forniranno una serie di servizi per favorireil reinserimento sociale di persone che hanno rotto tutti i legami con una normale vita sociale. L’impegnofinanziario maggiore (oltre 3 milioni e mezzo di euro) è sostenuto dallaFondazione Cariverona: insieme ai fondidei comuni ciò permetterà di costruire o ristrutturare edifici dove sarà possibileoffrire servizi essenziali. Il volontariatoCaritas avrà la funzione di gestire i cinque poli, sulla base di protocolli di intesa con gli enti locali, a Vicenza,Bassano, Valdagno, Schio e Arzignano.La fondazione nei primi due annigarantirà anche le spese di gestione:complessivamente si passerà da 75 a 109 posti letto di prima emergenza e da 16 a 160 posti mensa, oltre ai servizi docce, lavanderia, laboratorioccupazionali e segretariato sociale.[redattore sociale]

TRIESTE

Al via “Young point”,progetto in tre centriper minori a rischio

È partito il 1° marzo a Trieste il servizio“Young point”, promosso dalla Caritasdiocesana e dal Servizio diocesano perla pastorale giovanile. Innestata nel piùampio progetto “Dentro e fuori le mura”,destinato al reinserimento sociale di persone carcerate o in esecuzionepenale esterna, la nuova iniziativa saràseguita da due giovani volontari Caritase sorge dall’esigenza di creare punti di riferimento e di ascolto per giovani dai 16 ai 21 anni in situazione di disagiosociale o a rischio di devianza. Al progetto hanno dato la disponibilità

VERCELLI

“Demetra”, i detenuti coltivanopiante officinali e aromatiche

Si chiama “progetto Demetra” e profuma di buono: da un terreno di tremilametri quadri di proprietà demaniale, assegnato al carcere di Vercelli e adiacente alle serre già in uso, germineranno piante officinali e aromatiche,oltre che nuove opportunità di lavoro per i detenuti. Il progetto è promossodalla Caritas diocesana e finanziato con fondi provenienti dall’otto per mille,dal ministero della giustizia e da un centro di formazione professionaletorinese che si occupa della preparazione al lavoro dei detenuti, inizialmentequattro, coinvolti nell’attività agricola. Il comune di Vercelli pubblicizzerà i prodotti per inserirli nel circuito commerciale per la produzione di essenze e cosmetici; la coltivazione comincerà in primavera. «Il numero dei detenuticoinvolti nel progetto Demetra, che si svilupperà in due anni, è destinato adaccrescersi – spiega il direttore del carcere di Billiemme, Antonino Raineri –.In vista della commercializzazione le piante saranno essiccate, trattate e confezionate: passaggi che potranno essere affidati alla sezione femminile e ai detenuti che non possono uscire dalla cella. Sono sicuro che, dopo i primidue anni di sperimentazione, le attività potranno proseguire senza intoppi».Secondo il progetto, dalle coltivazioni nascerà un’azienda agricola.

BOLZANO-BRESSANONE

“Io rinuncio”,idee per non caderein dipendenza

Una proposta perprendere le distanzedalle proprie abitudini.Ha preso il via il mercoledì delleceneri e si protrarràper la quaresima

“Io rinuncio”, proposta da istituzioniscolastiche e associazioni dell’AltoAdige e delle regioni austriache Tirolo,Salisburgo, Oberösterreich e Steiermark; tra esse anche la Caritasdiocesana di Bolzano-Bressanone. «Non vogliamo demonizzare in generaleil consumo di alcol, sigarette o dolci»,ha spiegato Peter Koler, responsabiledel Forum Prevenzione di Bolzano, che coordina l’iniziativa. Ma l’obiettivo

degli organizzatori è porre interrogativi,soprattutto ai giovani, sul significato di una giusta misura nei consumi, per favorire una cultura di prevenzionedel passaggio da comportamentiabitudinari a comportamenti dipendenti.Per concretizzare questa proposta, “Io rinuncio” propone molte iniziative da realizzare a casa, in famiglia, in parrocchia, a scuola, al lavoro e nei luoghi di socializzazione. Molti anche i materiali di supporto: libri, cd, dvd e un sito internet.INFO www.io-rinuncio.it

VICENZA

Caritas e enti locali,rete provinciale perl’inclusione sociale

Nasce nel vicentino una rete provincialeper favorire l’inclusione sociale

Una parrocchia “glocale”e aperta al mondo:puntare sull’educazione,promuovere condivisione

L’educazione alla mondialità si presenta oggi come “cultura” e “profezia”. È l’esito del seminario “La parrocchia: una casa aperta al mondo. La Caritas in parrocchia: educare alla mondialità per globalizzare la solidarietà”, che ha vistoradunati il 22 e 23 febbraio a Roma più di cento partecipanti, provenienti da 55 diocesi, tra i quali numerosi direttori, vicedirettori e operatori di Caritas

diocesane e di Caritas Italiana. Tra loro, referenti e animatori del Gruppo nazionale e dei Gruppi regionali di educazione alla mondialità (Gnem e Grem). Le relazioni di AntonioNanni sull’educazione alla mondialità, don Cesare Baldi su parrocchia e mondialità, don Franco Marton sulla pastorale integrata orientata alla mondialità, Gianmarco Marzocchinisulla pedagogia dei fatti e Sabina Siniscalchi sulla difesa dei diritti hanno introdotto le variesessioni seminariali, condotte grazie a sette gruppi di lavoro.

La promozione della testimonianza della carità si traduce oggi in educazione alla mondialità, che diventa visione antropologica e sguardo sul mondo capaci di trasformare e umanizzare, per praticare e promuovere la condivisione a livello globale, a partire dagli “ultimi della fila”. Alla Caritas viene ribadita oggi con forza dalla chiesa italiana e universale (cfr. Deus Caritas est di Benedetto XVI) la necessità di esercitare un’azioneculturale e profetica. E oggi più di ieri educare alla mondialità è anche promuovere pace e interculturalità, pluralismo religioso (è “l’ora delle religioni!”) e informativo (contro quella che è stata definita “la morbida dittatura mediatica”).

Un lavoro a più livelliL’analisi della situazione attuale ha messo in evidenza come occorra per la parrocchia,considerata come soggetto comunitario, una conversione a una pastorale di missione. Sono state anche studiate le modalità più efficaci per educare alla mondialità in parrocchia.Esse possono essere frutto di un lavoro partecipativo che unisce vari livelli, da quello locale a quello internazionale. Educare alla mondialità in parrocchia rientra negli obiettivi dei laboratoridiocesani di promozione delle Caritas parrocchiali, per i quali si tratta di promuovere un modello di parrocchia aperta al mondo, “glocale”, incentrata su relazioni interpersonaliprofonde e significative, “sull’indispensabile discernimento comunitario”, sulla formazione, su una progettazione pastorale condivisa, su una costante costruzione della comunione.Il rapido mutamento delle realtà parrocchiali richiede una continua rilettura della realtà. La strategia dei comportamenti (stili di vita coerenti con il Vangelo della Carità), quella delle retilocali e internazionali e quella della pedagogia narrativa (la “cattedra dei fatti”), sono tra glistrumenti oggi considerati più efficaci. L’educazione alla mondialità implica perciò molti aspetti:occorre essere capaci di leggere la realtà delle migrazioni e di intervenire; avere uno sguardonon parcellizzato né parziale ma pieno su tutte le povertà; essere responsabili versol’ambiente; educare a una coscienza critica che sappia decodificare l’informazione globale.Monsignor Vittorio Nozza, direttore di Caritas Italiana, ha infine lanciato l’interessante idea di un “Tavolo diocesano per l’educazione alla mondialità” come strumento di pastoraleunitaria, capace di valorizzare le diverse esperienze e sensibilità, in una logica d’insieme.

parrocchia e mondialità di Matteo Gandini

COMUNITÀUNIVERSALITÀIl logodel seminariodi Caritas Italianache ha messoa fuoco temied esperienzeriguardoall’educazionealla mondialitàin parrocchia

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agenda territori

La situazioneDall’Italia all’Europa, per sottolineare la necessitàdi un nuovo approccio globale allo sviluppo. È il senso dell’appello consegnato il 10 marzo,nella sede della rappresentanza europea a Roma,dall’Associazione delle ong italiane all’onorevoleLuisa Morgantini, presidente della commissionesviluppo del Parlamento europeo. “Povertà e sviluppo nel sud del mondo: avanti così?”: con questo titolo l’appello (promosso

ed elaborato da Medici con l’Africa Cuamm e sottoscritto anche da Forum terzo settore e fondazione Responsabilità etica) evidenzia la crisi in cui versa la cooperazione allo sviluppo in Italia, con l’intento di portare un contributoconcreto, in coerenza con la prospettiva europea di lotta alla povertà. Di fronteai costi di una globalizzazione che distribuisce in modo diseguale nel mondo ibenefici, l’Unione Europea ha adottato una nuova politica dello sviluppo globale,basata sui valori dei diritti umani e del buon governo. Anche l’Italia è chiamata a far propria la lotta alla povertà e a porre al centro delle attività internazionali il tema dello sviluppo. L’appello verrà fatto circolare nel paese, perché entrinell’agenda del parlamento e del governo che scaturiranno dalle elezioni.

L’appelloL’appello parte dalla constatazione che gli Obiettivi di sviluppo di sviluppo del millennio, sottoscritti nel 2000 dai governi dell’Assemblea generale Onu e finalizzati al miglioramento delle condizioni sociali, sanitarie ed economichedelle popolazioni indigenti, non saranno raggiunti come previsto entro il 2015,specie nel continente africano. “Gli interventi realizzati dalla cooperazioneitaliana – osserva l’appello – hanno inoltre evidenziato gravissimi limiti di strategia, finanziamento ed efficienza. L’Italia è l’ultimo dei paesi più industrializzati (Ocse) in termini di aiuto pubblico allo sviluppo: 0,15 % del Pil nel 2005, con previsione di scendere ulteriormente allo 0,11% nel 2006. È dunque urgente un profondo ripensamento del modo con cui in Italia istituzioni e società civile affrontano i problemi della povertà nel sud del pianeta. Occorre dotarsi di una nuova politica di cooperazione e di un nuovo modello istituzionale e organizzativo”. L’appello è espresso in dieci punti, ulteriormente articolati in obiettivi specifici.

InfoAssociazione Ong italiane, tel. 06.66019202, e-mail: [email protected] consultare e aderire: www.cuamm.org

sto in campagna a cura dell’Ufficio comunicazionea collaborare tre centri giovanili della città e della diocesi; l’iniziativa si avvale inoltre del supporto di uffici del ministero della giustizia e altrerisorse del territorio. “Young point” offriràdunque, nei tre centri che vi hannoaderito, momenti di ascolto, accoglienzae orientamento, per avviare relazionisignificative tra operatori e giovani.

TOSCANA

«Immigrati, servononuove leggi regionaliper l’integrazione»

Anolf e Cisl toscana, delegazioneregionale Caritas e Cesvot (il centroservizi al volontariato della regione)hanno promosso a inizio marzo a Firenzeun convegno sul tema “Immigrazione e società toscana”. L’appuntamento è servito a tracciare una mappa del fenomeno migratorio in Toscana:

dal 1995 al 2004 gli stranieriregolarmentepresenti nella regione

sono più che quadruplicati (da 52.759 a 222.828) e rappresentano ormai oltreil 6% della popolazione toscana, con unamedia di presenza più elevata rispetto al dato nazionale. Durante il convegnosono state avanzate proposte concrete:modificare la legislazione nazionale per rendere coerente e funzionale il sistema dei visti e dei permessi di soggiorno; definire strumenti integratidi intervento nel territorio toscano, anche attraverso una legislazioneregionale ad hoc, che assicuri interventinecessari all’integrazione degli immigrati;assicurare il diritto di voto per gliimmigrati inseriti nelle comunità toscane.[redattore sociale]

ROMA

Appello a potenziareservizi dentisticiaccessibili ai poveri

«Le politiche sanitarie pubbliche stannoaccentuando la privatizzazione di questosettore della salute, ma negli ultimi ventianni si è assistito in Italia al sorgere di numerose iniziative spontanee, sia daparte del privato sociale che nel settorepubblico, per rispondere al forte bisognodi salute orale espresso dalle fasce più deboli». Così si è espresso RobertoSantopadre, responsabile del Centroodontoiatrico della Caritas diocesana di Roma (Giaco), durante il settimoconvegno di odontoiatria sociale,svoltosi a marzo a Roma su iniziativa delCenacolo odontostomatologico laziale. I dati proposti dal convegno evidenzianoche una quota non trascurabile di individui che vivono in situazione di esclusione sociale non accedono alle strutture sanitarie odontoiatriche, néai sistemi informativi. «Vogliamo favorireun’odontoiatria di prossimità, rivolta alle persone con bisogni speciali», ha proseguito Santopadre, presidentedel congresso. Ma oggi appena l’1,5%della spesa sanitaria nazionale è investito in risorse per l’odontoiatriapubblica. «È dunque necessario un impegno forte, da parte del sistemapubblico, per favorire l’accesso ai serviziper la salute, anche orale», ha osservatoSantopadre. Di qui la necessità diincrementare il servizio, che «attualmentespesso disperde le proprie risorse in una molteplicità di prime visite, il cui unico esito è nelle sale d’attesadegli studi dentistici privarti. Non devonoesistere un’odontoiatria sociale di serieB e una non sociale di serie A», ha commentato Laura Strohmenger, del Centro di collaborazione dell’Oms.[redattore sociale]

“Addio alle armi”:ai candidatirichieste per una politica di pace

L’iniziativaUna dichiarazione di intenti da sottoscrivere pubblicamente, nel rispetto dell’articolo 11 della Costituzione. Lo ha chiesto

a tutti i candidati alle prossime elezioni politiche una quarantina di gruppi e associazioni attivi sui temi della pace e della nonviolenza,lanciando l’iniziativa “Addio alle armi. L’Italia ripudi la guerra e la paceentri in parlamento”. Un sito riporta il testo dell’appello, che puòessere sottoscritto da tutti (in toto o per parti) e discusso nel relativoforum. Nelle intenzioni dei promotori, l’iniziativa si propone come punto di partenza di un percorso che non si concluderà alla fine della campagna elettorale, ma punta a valorizzare e rilanciare temi e proposte già presenti nelle esperienze e nelle campagne del movimento pacifista, al fine di promuovere una comunicazione e una collaborazione costanti tra coloro (cittadini, gruppi, movimenti, associazioni, parlamentari) che ritengono necessario sviluppare una politica per la pace più avanzata.

Le proposteLe dieci proposte contenute originariamente nell’appello sono stateintegrate, cammin facendo, da altre sollecitazioni, giunte da singoli e associazioni. Tutte muovono però dalla convinzione che “in questi anni lo scenario internazionale si è evoluto. La guerra invece di essere lasciatafuori dalla storia è al centro della politica estera fra stati; la strutturadell’apparato industriale-bellico diventa riferimento per il modello di difesanazionale e internazionale adottato dalle strutture politiche”. La dichiarazione d’intenti proposta ai candidati segua dunque il dettatocostituzionale del ripudio della guerra (articolo 11) e li impegna a lavorare nel parlamento per una politica di pace. I dieci punti originari sono I seguenti:ritiro immediato delle truppe dall’Iraq; controllo e regolamentazione del commercio delle armi; smilitarizzazione del territorio italiano; riduzionedelle spese militari; controllo delle banche che sostengono l’esportazione di armi italiane; sviluppo della difesa civile non armata e nonviolenta;riconversione dell’industria bellica; pace per Israele e Palestina; sostegno ai Corpi civili di pace; sviluppo della ricerca per la pace.

Infowww.addioallearmi.org - Casa per la Pace Milano, tel. 02.55.23.03.32

sto in campagna a cura dell’Ufficio comunicazione

“Sviluppo del sud del mondo,l’Italia ritorni a fare la sua parte”

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villaggio globale

Fossati e le canzoni dei tempi che corrono:«La ragione e gli angeli,oltre il disastro della guerra»

a tu per tu di Danilo Angelelli

dell’agenzia giornalistica quotidianaRedattore Sociale, on line dal 9 marzo.Compiuti i cinque anni, diffuse circasettemila notizie all’anno, la testataedita in abbonamento dalla Comunità di Capodarco continua a migliorare lasua offerta giornalistica. E dal 1 gennaiogestisce anche i contenuti giornalisticidi Superabile.it, il portale nazionale sulla disabilità promosso dall’Inail.INFO www.redattoresociale.it

LIBRI

Cristiani dall’Islam,storie di conversionie diritti minacciatiChi abbandona l’islam viene consideratoun traditore della “migliore comunità cheDio abbia dato agli uomini”. Va incontroa discriminazioni e minacce, in alcunipaesi islamici perde i diritti civili o rischia

la pena di morte.I cristiani venuti dall’islam. Storie di musulmani convertiti (Piemme 2006)è una galleria di testimonianze (raccoltedai giornalisti Giorgio Paolucci e CamilleEid, redattore e collaboratore di Avvenire)

di musulmani residenti in Italia che, anche a rischio della propriaincolumità, dopo avereincontrato il fascino della fede cristiana hanno

ricevuto il battesimo. Interessanti, per collocare le vicende umane in unacircostanziata lettura degli scenari socio-culturali e socio-politici, la prefazione“L’apostasia nel Corano”del gesuitaSamir Khalil Samir e l’appendice sullelegislazioni dei singoli paesi islamici, cheevidenzia cosa rischiano i musulmaniche si convertono e intendono affermarela propria libertà religiosa.

COMUNICAZIONE

Caritas Italiana,ben 1.403 notiziesui media nel 2005

Anno intenso il 2005 per CaritasItaliana sul versante dei rapporti con i media. Con il quotidiano Avvenireè stato avviato un rapporto più organico.L’ufficio comunicazione ha organizzato 9 conferenze stampa e redatto 70comunicati stampa, mentre sono statemonitorate 1.403 presenze Caritas su carta stampata, radio-tv e internet;gli argomenti con maggiore coperturasono stati immigrazione (397), tsunami(226), altre emergenze internazionali(233), politiche sociali (133), 30°convegno nazionale Caritas (127).Quanto al sito (www.caritasitaliana.it), i contatti dell’anno sono stati 208.640,con una media giornaliera di 571(media giorno feriale 763). Il mensileItalia Caritas ha stampato in diecinumeri 350 mila copie, mentre Radio inBlu ha continuato a riservare uno spazio settimanale della durata di 6 minuti e mezzo gestito dall’ufficiocomunicazione di Caritas Italiana: nel 2005 sono state realizzate 40puntate. Infine, la newsletter sui progettiinternazionali è stata inviata a circa 45mila offerenti in Quaresima e Avvento.

INTERNET

Redattore sociale,nuova versionedell’agenzia on line

Nuova home page, accesso più rapido,nuova sezione di notizie a liberaconsultazione, possibilità per gli utentidi inserire eventi nella sezionecalendario, blog su welfare, politica,spiritualità: sono le novità più importantidella nuova versione del portale

Spot School Award, il premio patrocinato da Adci, Aiap, Comunicazione Pubblica, Federpubblicità, Sipra e Unicom, rivolto a giovani studenti, laureati e laureandi di corsi di comunicazione, pubblicità,marketing e web design, chiamati a misurarsi

con alcuni temi sociali, si arricchisce nella quinta edizione di alcuneimportanti novità. La prima riguarda un nuovo premio, lo School Copy Award,pensato soprattutto per riconoscere il talento dei giovani partecipanti nella scrittura creativa, sottolineando l’importanza della scelta delle parolegiuste e di una buona composizione fraseologica nella creazione di unacampagna pubblicitaria efficace. Il premio verrà assegnato al miglior copyper comunicato radio o al miglior headline per manifesti. Spot School Award,giunto alla quinta edizione e organizzato come sempre dall’associazioneCreativisinascE, ha anche quest’anno come partner Caritas Italiana (oltre a Legambiente, mensile Macworld e comune di Salerno): essa ha suggeritoil primo brief, il primo dei temi con cui i giovani si cimenteranno. “Guerre alla finestra”, ovvero la riflessione sui conflitti contemporanei che Caritas sta conducendo, guiderà i giovani creativi nella realizzazione di campagne pubblicitarie per stampa, tv, radio e internet. Il termine per l’invio dei lavori è il 10 aprile; premiazione a Salerno a inizio giugno.INFO www.spotschoolaward.it

PUBBLICITÀ

I giovani creativi e le guerre,ritorna “Spot School Award”

ARCANGELOCANTAUTORESopra, la copertinadell’ultimo cddi Ivano Fossati:molti pezziraccontanola societàche ci circonda.Il cantautoregenovese(foto sotto)è un narratoreattento ed elegantedell’attualità:ciò non gliha impeditodi raggiungerele vette delleclassifiche di vendita

Chi non va in tv non esiste. Un assunto dell’era dell’immagine, che non spiega il primo posto in classifica dell’album L’arcangelo, accompagnato da una promozione “discreta”. Lo spiega,invece, il fatto che è un lavoro di cui si sentiva il bisogno. Elegante e semplice, racconta la nostrastoria e la nostra società. Fuori dagli stereotipi tv. Per la serie non-solo-canzonette, Ivano Fossati.Da 35 anni lei canta i tempi e la società che ci circondano. Cosa le preme comunicare oggi?La rosa dei fatti che si potrebbero raccontare e dibattere è talmente grande che una vita sola non basta. Però ci sono alcuni punti fermi. Una grande anomalia di questi tempi è il fatto che due terzi degli abitanti del pianeta non sono d’accordo con le decisioni di un pugno di uomini che conducono una politica di guerra, di sopraffazione. In generale, un’accelerazione degli eventicome la avvertiamo in questi anni raramente si è vissuta nei decenni e secoli scorsi. I cambiamenti sono talmente repentini, che uno che fa il mio mestiere non può non esserneinfluenzato quando si esprime.“Lui ne ha vista tanta di storia futura accelerando”, scrive nella title track “L’Arcangelo”, canzone dedicata all’immigrazione…Io credo nella ragione. Chi viene da una storia antica e dolorosa è un po’ come se avesse visto anche una parte del futuro; una persona che ha un’esperienza così non può che tendere al meglio. L’immigrazione è l’argomento più importante, in questo periodo storico. Il flusso migratorio sud-nord, ma anche sud-sud, indica che il mondo si sta muovendo. E io, attraverso le canzoni, prendo posizione.Percorre tutto il disco il desiderio di qualcosa di più “alto”. Chi sono questi angeli?Ognuno di noi ha l’angelo che si merita. Accade costantemente che l’uomo alzi gli occhi al cielo,perché dentro di noi c’è una tensione a credere che qualcosa di più importante ci guidi. Ma non ha importanza che l’angelo sia un simbolo veramente religioso; è importante che ogniuomo, in qualche modo, creda di essere guida di se stesso, di essere lui stesso il suo proprioangelo. È una maniera di aiutarsi, di darsi forza.Dal sentimento politico della “Canzone popolare” (1992) a un sentimento più virato al sociale di “Cara democrazia”, nell’ultimo cd. Ha aggiustato il tiro?Io non sopporto più la politica delle frontiere e dei telegiornali. Credo invece nel sociale, nelleassociazioni, in chi fa volontariato, in tutte le persone che senza aspettare aiuto delle istituzioni simuovono e danno vita a meccanismi di aiuto che funzionano miracolosamente sganciati da tutto,o quasi. Credo in questo tipo di sociale e credo nell’attenzione dei cittadini alle istituzioni, cioè nel costante monitoraggio su chi governa, anche a livello amministrativo, anche nelle piccole città.“La canzone popolare” è stata la colonna sonora dell’Ulivo. Lo rifarebbe?No. Una cosa di quel tipo si fa una volta sola. Io ho anche avuto la fortuna di legarmi a un successo elettorale, ma la politica in questi dieci anni è cambiata molto. E se prima non era una materia piacevole, oggi lo è infinitamente meno. Mi fa persino paura.Lei si è definito un pacifista gandhiano. Una posizione che regge, di fronte ai fatti di oggi?È la posizione più forte in assoluto. Probabilmente prima o poi avrà la meglio. Non è ottusoottimismo: la soluzione-guerra si sta dimostrando disastrosa, perché non arriva ai risultati che chi la mette in atto spera e crea soltanto distruzione. A un certo punto ce ne accorgeremo tutti.

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ritratto d’autore

Agli inizi degli anni Novanta, chiamata a insegnare all’Università di Roma “La Sapienza”, ho ripreso contatti con un pubblico studentesco assai numeroso. Il ritorno all’Universitàdi Roma, da professore ordinario, mi ha consentito ulteriori progressi nell’insegnamento.

Con l’appoggio dei miei colleghi e con l’aiuto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ho dato inizio a un corso, tuttora in funzione, nel quale sono trattati i temi delle migrazioni e dell’asilo. Molti dei miei studenti erano stranieri. Dopo i primi momenti di titubanza, alcuni assumevano un atteggiamento, seppur sempre rispettoso, un po’ più confidenziale. Erano spesso gli africani e i latinoamericani a manifestarsi ansiosi di comparare la situazione politica dei loro paesi con quella dell’Italia e di approfondire lo studio dei diritti umani, cardine essenziale per una reale costruzione democratica. Talora si coglieva un’ansia particolare di cambiare le cose e la speranza di rientrare nel proprio paese, ove questo avesse avuto un regime politico diverso: queste persone erano proprio i rifugiati e i richiedenti asilo di cui discutevamo.

Un giorno si avvicinò a me timidamente uno studente africano di ottime maniere: parlava un italiano caratterizzato da un forte accento francese e mi manifestò il suo interesseper la mia materia; dato che sognava di diventare un diplomatico del suo paese, mi chiese la tesi. Cominciarono così gli incontri periodici, pieni di raccomandazioni e suggerimenti, che hanno sempre contrassegnato la mia didattica. Cercavo di trasmettere il maggior numero

di informazioni utili affinché lo studente non si demoralizzasse di fronte al fogliobianco e riuscisse a organizzare sia il lavoro di ricerca sia quello espositivo. Eravamo agli inizi degli anni Novanta e la tesi verteva sull’Organizzazione per l’unitàafricana, oggi Unione africana: per la verità una tesi non facilissima. I colloquiprocedevano con cadenze regolari, circa due al mese; lo studente è sempre statopresente alle ore di ricevimento, chiedendo ulteriori informazioni bibliografiche.

Dopo qualche tempo ho pensato che sarebbe stato importante conoscere la sua provenienza, alla quale non avevo dato particolare importanza per non crearediscriminazioni tra i laureandi. Così seppi che proveniva dal Ruanda e che i suoigenitori appartenevano a due etnie in contrasto, avendo a loro volta genitori,ascendenti e collaterali di etnie diverse. Un giorno, col progredire dei conflitti, mi comunicò di non aver più notizie dei suoi e di essere disperato. A mia volta, dai colloqui con lui, mi sono convinta ulteriormente dell’inutilità delle guerre e, in particolare, di quelle interetniche: uomini e donne che prima si amano, si trovanoa divenire in modo inspiegabile nemici e lo stesso vale per le loro famiglie.

Stretto da queste angosce, ebbe qualche comprensibile problema nella carriera universitaria,che superò faticosamente e alla fine riuscì a laurearsi. Anche dopo la laurea l’ho rivisto qualche volta sempre più preoccupato, comunicandomi i suoi timori per un ritorno in patria.A un certo punto è scomparso dal mio orizzonte universitario.

Più volte ho pensato a lui, domandandomi se era o meno ritornato in patria e se avevaritrovato i suoi familiari. E se era stato posto nella possibilità di trasmettere nel suo paesequalche elemento in materia di diritti umani, ai quali si era profondamente appassionato.Purtroppo, fino a oggi la mia domanda è rimasta senza una risposta.

Era di ottime maniere.Si appassionava ai dirittiumani.Sognava di fare il diplomatico.Veniva

dal Ruanda:i suoifamiliari scomparveroe lui terminò a fatica

gli studi.La sua vicenda,un emblemadell’inutilità

di ogni guerra

di Maria Rita Saulle giudice della Corte costituzionalevillaggio globale

pagine altre pagine di Francesco Meloni

Complesso e intricato, oggi, l’alfabeto del “credere”. Nella galleria delle immagini su Dio e fede, religione e religiosità, spiritualità e risvoltisocio-comunitari, trovano spazio alcune recentipubblicazioni. In prima battuta, due ricerchesociologiche. Anzitutto il sondaggio “Gli italiani e la Chiesa: tra fedeltà e disobbedienza” del 18°Rapporto Italia 2006 dell’Eurispes (al capitolo“Società e costume. La tortuosa ricerca di unmondo migliore”, pagina 1111), che ha coinvolto1.070 intervistati, tra il 22 dicembre 2005 e il 5gennaio 2006. Poi l’indagine “La religiositàgiovanile in Italia: come i giovani italiani vivono ilrapporto con la religione, come la religione influiscesulle scelte e sui comportamenti quotidiani”,promossa del Centro di orientamento pastorale (Cop)

e realizzata dall’Istituto Iard nel 2004, che ha coinvolto un campione di tremila giovani tra i 15 e i 34 anni. Su un altro versante e sullo stessoargomento, alcuni titoli: Per amore. Rifondazione della fede, di VitoMancuso (Mondadori 2005, pagine 304); Le metamorfosi di Dio. La nuovaspiritualità occidentale, di Lenoir Fréderic (Garzanti 2005, pagine 352); I dieci comandamenti nel ventunesimo secolo, di Fernando Savater(Mondadori, ottobre 2005, pagine 152); Sulla fede, di Giorgio Pressburger(Einaudi 2004, pagine 102); Gesù. Una crisi nella vita di Dio, di Miles Jack(Garzanti, ottobre 2004, pagine 464); Dialoghi sulla fede e la ricerca di Dio, di Bruno Forte e Vincenzo Vitiello, a cura di L. Bove (Città Nuova2005, pagine 144). Molti di questi titoli sono spesso voci di spondediverse dal “sentire” spirituale-pastorale e teologico-filosofico dellarecente enciclica di Benedetto XVI. A scorrerne alcune si ha la nettasensazione di innegabili provocazioni: in maggioranza sono riflessioni di cosiddetti “lontani” o presunti tali, atei, miscredenti, agnostici,tormentati, non osservanti, in ricerca; anche se non di rado ci si imbattein pensieri e testimonianze più incarnati e disarmanti di tante cantilenecucite in astratte omelie domenicali. In queste come in altre pagine, più che risposte si accavallano martellanti domande, che girano su un comune interrogativo: perché? E i pensieri del lettore possono,tramite queste pagine, agguantare altre provocazioni di noti pensatori: da Sant'Agostino a Buddha, da Nietzsche a Leopardi, da Einstein a Fromm,da Sartre al Dalai Lama, da Luther King a Madre Teresa di Calcutta.

L’alfabeto del “credere”e le provocazioni disarmantidi chi si ritiene “lontano”

SEGNALAZIONI

Le mani legatedell’obiettore,cittadini inesistenti

Proponiamo ai lettori libri e audiovisiviche meritano attenzione. Ulteriorisuggerimenti su www.caritasitaliana.it

Valerio Iustini, Globalizzazionee povertà. Teorie a confronto(La Piccola Editrice 2005,pagine 206). Un quadroesauriente delle scuole

di pensiero che analizzano i processi di globalizzazione, con le interconnessionitra le dinamiche di povertà e ingiustizia.

Giampiero Girardi a cura di Franz Jägerstätter. Scrivo con le mani legate (Berti,Piacenza 2005, pagine 231).Lettere, appunti, riflessioni

di un contadino austriaco che rifiutòl'arruolamento nell'esercito nazista e per questo morì il 9 agosto del 1943.Le pagine centrali raccolgono le lettere e altri scritti dal carcere e ci presentanoil dramma di un uomo legato alla propriacoscienza e alla scelta, obbligata dalla sua fede, di rifiutare l’iniquo ordineumano. La seconda parte del volumeraccoglie i testi precedenti la carcerazionee testimonia il percorso di maturazioneche ha portato Jägerstätter a dire il suo“no”. Una testimonianza limpida e attuale di come si possa incatenare il corpo, ma non la volontà. Per Jägerstätter è in corso il processo di beatificazione.RIbka Sibhatu, Il cittadino che non c'è.L'immigrazione nei media italiani (Edup,Roma 2004, pp. 344). Nei media italianisi parla di immigrati con superficialità,allarmismo e omologazione. L'autrice,consulente per l'immigrazione al Comunedi Roma, tenta di far vedere le cose da un altro punto di vista.

LO STUDENTE SOSPESOTRA LA TESI E LA GUERRA CIVILE

I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma - www.caritasitaliana.it