La Dittatura Di Siad Barre In Somalia

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Indice Introduzione..............................................................................................pag. 3 Capitolo I. Storia della Somalia prima dell'indipendenza........................pag. 7 La società tradizionale somala – La Somalia precoloniale – La penetrazione europea – Il Mullah - La Somalia italiana – Il Somaliland britannico – Il Dopoguerra – L'AFIS e il Somaliland britannico Capitolo II. Dall'indipendenza al colpo di stato del '69...........................pag. 52 Il problema dell'integrazione tra le due Somalie e la Costituzione del '61 – Il governo Shermarke (1960/1964) – Il governo Hussein (1964/1967) - Il governo Egal (1967/1969) - L'assassinio di Shermarke e il colpo di stato militare Capitolo III. 1970-1973: la prima fase della Somalia socialista.............pag. 85 I crash programmes, l'iska wah ugabso e le nazionalizzazioni – Il 1° anniversario della Rivoluzione e il primo piano di sviluppo 1971/1973 – Il somalo diventa lingua scritta – Prime forme di opposizione interna e istituzione dell'apparato repressivo – La prima fase della politica estera del regime militare: il non-allineamento positivo Capitolo IV. Il trattato di amicizia e collaborazione con l'URSS............pag. 105 I rapporti tra l'Unione Sovietica e la Somalia rivoluzionaria – Il secondo piano di sviluppo (1974/1978)- La siccità e il processo di sedentarizzazione 1

Transcript of La Dittatura Di Siad Barre In Somalia

Indice

Introduzione..............................................................................................pag. 3

Capitolo I. Storia della Somalia prima dell'indipendenza........................pag. 7

La società tradizionale somala – La Somalia precoloniale – La penetrazione europea – Il

Mullah - La Somalia italiana – Il Somaliland britannico – Il Dopoguerra – L'AFIS e il

Somaliland britannico

Capitolo II. Dall'indipendenza al colpo di stato del '69...........................pag. 52

Il problema dell'integrazione tra le due Somalie e la Costituzione del '61 – Il governo

Shermarke (1960/1964) – Il governo Hussein (1964/1967) - Il governo Egal (1967/1969) -

L'assassinio di Shermarke e il colpo di stato militare

Capitolo III. 1970-1973: la prima fase della Somalia socialista.............pag. 85

I crash programmes, l'iska wah ugabso e le nazionalizzazioni – Il 1° anniversario della

Rivoluzione e il primo piano di sviluppo 1971/1973 – Il somalo diventa lingua scritta –

Prime forme di opposizione interna e istituzione dell'apparato repressivo – La prima fase

della politica estera del regime militare: il non-allineamento positivo

Capitolo IV. Il trattato di amicizia e collaborazione con l'URSS............pag. 105

I rapporti tra l'Unione Sovietica e la Somalia rivoluzionaria – Il secondo piano di sviluppo

(1974/1978)- La siccità e il processo di sedentarizzazione

1

Capitolo V. La guerra dell'Ogaden (1977- 1978).....................................pag.139

L'ascesa di Menghistu e i rapporti tra Etiopia e URSS - La guerriglia in Etiopia e la politica

panaraba contro Addis Abeba – La precaria Pax Sovietica – L'indipendenza del Gibuti –

L'“ambiguità statunitense” e la prima fase del conflitto – L'abrogazione del Trattato di

Amicizia e Collaborazione con i sovietici – La controffensiva etiopica e la sconfitta somala

Capitolo VI. Dalla guerra dell'Ogaden alla Conferenza di Gibuti (1978-

1991)........................................................................................................pag. 162

La politica statunitense in Medio Oriente e il ruolo della Somalia – Il regime di Siad Barre

dopo la guerra dell'Ogaden – L'incidente del 1986 e il sistema “familiare-affaristico” degli

ultimi anni del regime – La politica economica nell'ultimo decennio della dittatura – Il

tentativo di colpo di stato nel 1978 e la nascita del SSDF – Il SNM e la guerra civile nell'ex

Somaliland – La nascita dell'USC – La fine del regime di Siad Barre – La prima fase della

guerra civile

Capitolo VII. La politica italiana in Somalia dalla guerra dell'Ogaden alla fine

del regime di Siad Barre..........................................................................pag. 214

L' “accordo sulla cooperazione tecnica” e il primo Piano Triennale (1981/1983) – Il Partito

Socialista Italiano e l'evoluzione dei rapporti con la Somalia – La nascita del Fondo Aiuti

Italiani – Dalla visita di Craxi a Mogadiscio alla fine del regime di Siad Barre – Alcuni

esempi di mala-cooperazione italiana

Bibliografia..............................................................................................pag. 238

2

Introduzione

L'argomento di questa tesi di laurea riguarda la dittatura militare in Somalia, capeggiata

dall'allora capo di stato maggiore dell'esercito somalo Mohamed Siad Barre, iniziata nel 1969 e

terminata nel 1991 con la dissoluzione dello stato Somalo e l'esordio della guerra civile.

La parte iniziale dell'elaborato analizza il sistema sociale e culturale tradizionale della Somalia,

basato sul clanismo e sul nomadismo-pastorale, utile premessa per comprendere lo sviluppo degli

eventi storici in questo paese. Il clanismo e il nomadismo hanno condizionato le scelte politiche ed

economiche della Somalia e ancora oggi, seppure modificati e degenerati, hanno un peso notevole

sugli sviluppi della guerra civile. Nei primi due capitoli viene inoltre trattata una breve storia della

Somalia prima del colpo di stato militare, attraverso tre fasi: il periodo pre-coloniale, il periodo

coloniale e il periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale alla fine degli anni sessanta,

caratterizzato da un decennio di amministrazione fiduciaria italiana sotto l'egida dell'ONU, seguito

dalla nascita della Somalia indipendente (unificatasi con il Somaliland britannico) sotto un sistema

democratico e parlamentare.

Il colpo di stato militare guidato da Siad Barre ha avuto origine con la crisi del sistema

parlamentare somalo, che a fine anni sessanta aveva raggiunto un livello di corruzione e di

frantumazione politica che aveva reso inoperante il funzionamento delle istituzioni e aveva

accresciuto un generale malcontento da parte della popolazione. L'esercito, con l'aiuto della polizia,

assunse la guida del paese proprio per porre fine al sistema di degrado e di inefficienza del sistema

parlamentare e con l'intenzione d'istituire un regime rivoluzionario orientato su posizioni socialiste.

La prima metà degli anni settanta fu caratterizzata dallo sforzo da parte del regime di portare ad un

miglioramento sociale, culturale e politico il paese attraverso campagne di alfabetizzazione, di

lavoro volontario e collettivo, di sviluppo economico e di nazionalizzazioni. Fatta eccezione per

l'alfabetizzazione, le politiche adottate dal regime militare non portarono ad un reale miglioramento

3

delle condizioni economiche e sociali del paese che, soprattutto dopo la siccità del 1975, si trovò in

gravi difficoltà economiche.

Il fallimento delle politiche socialiste portò il regime a rispolverare una politica irredentista,

uno dei pilastri del nazionalismo somalo fin dalla sua nascita, rivendicando l'Ogaden, una vasta

regione a maggioranza somala, ma sotto i confini dell'Etiopia. Siad Barre, che nella prima metà

degli anni settanta aveva preferito mantenere buoni rapporti con i paesi vicini, iniziò ora ad

appoggiare movimenti di guerriglia somali nell'Ogaden e successivamente diede il via ad un guerra

aperta contro l'Etiopia invadendone il territorio. La guerra, che durerà ufficialmente dal 1977 al

1978, vide la sconfitta della Somalia, costretta a ritirarsi dall'Ogaden, e segnerà l'inizio del declino

del regime di Siad Barre, incapace ormai di attuare politiche utili al paese. La Somalia degli anni

ottanta sarà caratterizzata da un clima di corruzione, nepotismo e di violenta repressione verso una

crescente opposizione. Fu in questo periodo che si vennero a formare movimenti di guerriglia in

tutto il paese che, nati come movimenti di liberazione nazionale contro il regime militare, assunsero

ben presto un carattere clanico e, dopo la caduta del regime di Siad Barre, furono (e sono ancora

oggi) tra i maggiori protagonisti della guerra civile.

La tesi oltre ad occuparsi delle vicende interne del paese da largo spazio alla politica estera di

Mogadiscio, caratterizzata da un forte irredentismo nei confronti dei paesi vicini, Etiopia, Kenya e

Gibuti. Il nazionalismo somalo ha portato spesso la Somalia ad essere isolata nel continente

africano, dominato dal panafricanismo e dall'accettazione dei confini posti dalle potenze coloniali.

La Somalia ebbe un ruolo importante anche nella competizione tra le superpotenze in Africa e

in Medio Oriente, grazie alla sua posizione strategica molto vicina alla penisola arabica. Quello di

Mogadiscio sarà infatti il primo governo africano sub-sahariano a firmare un trattato di amicizia e

collaborazione con l'Unione Sovietica (1974).

La guerra dell'Ogaden fu un punto di svolta anche nei rapporti di Mogadiscio con le

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superpotenze. Mosca non sostenne il tentativo della Somalia d'impadronirsi dell'Ogaden, anzi, finì

per dare un massiccio appoggio all'Etiopia rivoluzionaria che nel 1977, con l'ascesa di Menghistu al

vertice della giunta militare al potere ad Addis Abeba, si era proclamata marxista-leninista. La

Somalia a fine anni settanta si trovò ad essere isolata a livello internazionale e solo con gli anni

ottanta entrerà a far parte, non senza contraddizioni, del “blocco occidentale”: offrendo libero

accesso al personale militare americano al porto di Berbera, la Somalia sarà uno dei punti strategici

del complesso sistema di sicurezza militare americano in Medio Oriente, il Rapid Deployment

Force.

L'ultimo capitolo tratta dei rapporti tra l'Italia e la Somalia negli anni ottanta soprattutto per

quello che riguarda la politica di cooperazione. Analizzando questo tema si vede come il sistema di

corruzione politica e imprenditoriale che ha caratterizzato l'Italia di quel periodo ha avuto dei

risvolti molto gravi in Somalia: se fenomeni di corruzione hanno avuto delle conseguenze negative

in paesi ricchi come l'Italia, in paesi poveri come la Somalia, dove gli equilibri ambientali, sociali e

politici sono molto fragili, hanno avuto delle conseguenze disastrose, finendo per favorire la

desertificazione, le tensioni sociali e la stessa guerra civile. Inoltre molti membri legati alla

cooperazione erano implicati in traffici d'armi e trasporto di rifiuti tossici e nocivi.

La dittatura militare, durata 22 anni, ha avuto delle conseguenze devastanti in Somalia, ma la

dissoluzione dello stato e lo scoppio della guerra civile non sono imputabili solamente

all'incompetenza e all'autoritarismo violento dei vertici militari somali. Grosse responsabilità le

ebbero le super-potenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, che invece di sostenere Mogadiscio con

piani di sviluppo sociali ed economici mirati, hanno preferito agire seguendo una logica di potenza

e di competizione militare, portando nel paese africano un quantitativo di armi spropositato: la

Somalia negli anni settanta, pur essendo uno degli stati più poveri dell'Africa, era la terza potenza

militare del continente dopo l'Egitto e il Sudafrica. Una tale politica di armamento, non

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accompagnata da processi di crescita sociale ed economica, ha incrementato una “cultura della

guerra” che, in un primo tempo, ha incoraggiato il regime di Mogadiscio a muovere guerra contro

l'Etiopia e, successivamente, ha accresciuto la conflittualità interna che a fine anni ottanta è

degenerata in una violenta guerra tra clan. Oltre a Mosca e a Washington altri stati stranieri ebbero

responsabilità nella degenerazione della situazione somala: l'Arabia Saudita, che ha incoraggiato il

diffondersi di un integralismo islamico intransigente e violento che ha intaccato il sistema delle

corti islamiche somale, basato tradizionalmente su un misticismo poco interessato al dominio

politico; la Libia di Gheddafi, attraverso una politica estera interventista e ambigua, che ha finito

per sostenere sia il regime di Mogadiscio che i movimenti di guerriglia anti-Siad Barre e l'Etiopia di

Menghistu; l'Egitto e l'Italia, responsabili di aver sostenuto il regime di Siad Barre fino alla fine,

quando ormai agli occhi dell'opinione pubblica mondiale era impresentabile.

L'Italia nel conflitto somalo, sia negli anni novanta che ancora oggi, insiste nel presentarsi

come mediatore delle parti in lotta, ma in questo ruolo non può essere credibile perché, nel corso

dei decenni, ha adottato politiche soprattutto negative in Somalia: l'esperienza coloniale italiana in

Africa, sia nel periodo liberale che nel periodo fascista, è stata caratterizzata molto spesso da azioni

criminali contro la popolazione locale e da politiche di sviluppo inefficienti; l'esperienza dell'AFIS

negli anni cinquanta non è riuscita a garantire lo sviluppo di un sistema politico, perché si è preteso

di esportare il sistema parlamentare italiano a Mogadiscio, invece di cercare un sistema politico

meglio adattabile alla realtà somala; infine il sostegno italiano al regime di Siad Barre, soprattutto

negli anni ottanta, ha finito per incoraggiare quel sistema di corruzione e repressione che ha

caratterizzo l'ultimo decennio della dittatura.

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Capitolo I Storia della Somalia prima dell'indipendenza

La società somala tradizionale

I Somali sono una popolazione Hamitica che formano un unico grande blocco etnico, caso raro

in Africa, che si estende in una regione molto vasta del Corno, ben al di là dei confini della Somalia,

stato che in realtà ha cessato di esistere dalla guerra civile iniziata nel 1991. Le regioni in cui sono

distribuiti i somali vengono simbolizzate dalla stella bianca a cinque punte disegnata nella bandiera

azzurra della Somalia, dove le cinque punte altro non sono che le cinque Somalie, le cinque realtà

che dividevano i somali prima dell'indipendenza: l'attuale Repubblica di Gibuti, il Somaliland (ex

protettorato britannico, dal 1960 parte della Repubblica Somala ma dal 1991 sostanzialmente

indipendente, anche se non ancora riconosciuta a livello internazionale), l'ex Somalia italiana (dal

1991 in guerra civile e senza uno stato stabile), il Northern Frontier District (regione nord orientale

del Kenya) e l'Ogaden (ampio territorio a maggioranza somalo che si trova nell'Etiopia sud

orientale). L'irredentismo è una delle caratteristiche principali del nazionalismo somalo, realtà che

si è sviluppata solo a partire dagli anni '40, ma che poggia su un senso comune di appartenenza ad

un unica realtà precedente all'idea di stato nazione di importazione europea. I somali, infatti, già

prima del periodo coloniale, parlavano la stessa lingua, con semplici differenze dialettali, avevano

un comune modo di vivere, basato sul predominio della pastorizia, credevano di discendere da un

antenato comune, avevano un'unica cultura orale poetica, praticavano un'unica religione, l'Islam.

Nonostante questo i somali non sono mai stati una realtà unita ma divisa, invece, da un complesso

sistema di parentela: “ La chiave per comprendere la società somala sta nei rapporti di parentela”1.

Esistono sei famiglie di clan, quattro delle quali, i Darod, gli Hawiye, gli Issaq e i Dir sono

tradizionalmente nomadi, dediti alla pastorizia e prendono il nome dal loro antenato comune

Samale, mentre le altre due famiglie di clan, i Digil e i Rahanwin, chiamati Sab, sono

1 LEWIS I. M., A Pastoral Democracy, Oxford University Press, London, 1961, pag. 3

7

tradizionalmente agricoltori e stanziali. Una famiglia di clan è il limite più alto della struttura di

parentela somala, ognuna delle quali comprende una popolazione molto ampia che è distribuita in

una regione o più regioni non definite però da confini stabili: i Dir li troviamo nell'odierno Gibuti,

nella zona occidentale dell'ex Somaliland britannico e nella zona circostante la città di Harar; gli

Issaq li troviamo nel Somaliland; i Darod, il gruppo più numeroso e più frammentato nel territorio,

li troviamo nelle zone orientali del Somaliland, nella Migiurtinia (Somalia nord orientale),

nell'Ogaden in Etiopia, nella zona più meridionale della Somalia e nel Kenya nord orientale; gli

Hawiye sono presenti nella zona centrale della Somalia a nord di Mogadiscio e nella Somalia

meridionale; infine i Digil e i Rahanwin, agricoltori e stanziali, occupano le zone fertili del Benadir

e tutta la fascia tra i due fiumi Scebelle e Giuba. Ognuna di queste grandi famiglie ha al suo interno

numerosi clan i cui membri si riconoscono in un antenato comune fatto risalire a circa venti

generazioni. I gruppi politici spesso si costituiscono attorno ai clan e ogni clan ha un territorio di

pascolo ben definito, anche se il senso di appartenenza ad un clan non dipende dal territorio ma dal

discendente comune e dal sistema di parentela. Ogni clan è guidato da un capo, spesso chiamato

sultano, ma è una figura soprattutto simbolica e non ha funzioni amministrative e di governo. Un

clan è diviso a sua volta in sub-clan e lignaggi primari. Un somalo quando si presenta dichiara il

lignaggio primario di appartenenza, il quale viene fatto risalire ad un antenato comune di circa sei o

dieci generazioni precedenti. I matrimoni raramente avvengono all'interno di uno stesso lignaggio.

Alla base del sistema clanico somalo troviamo il dia-paying che ha un numero di qualche centinaio

di unità. Le relazioni tra persone, l'unità politica e giuridica di base, avvengono all'interno di questo

segmento, come ad esempio il dija (parola araba che significa “risarcimento di sangue”) che è una

forma del diritto tradizionale somalo: se un uomo uccide il membro di un altro dia-paying, il dia-

paying dell'assassino deve dare cento cammelli al gruppo dell'ucciso, se è un maschio, e cinquanta

cammelli, se è una femmina2. Ogni dia-paying ha un capo (akils) che però ha solo compiti

2 LATIN D. D., SAID S. SAMATAR, Somalia. Nation in Search of a State, Westview Press, Chicago, 1987, pag. 21-27

8

rappresentativi poiché ogni membro riconosce le regole non scritte del gruppo di appartenenza.

Gran parte dei somali è dedita alla pastorizia, allevando soprattutto capre, pecore e cammelli. I

cammelli, oltre a essere una importante risorsa economica, soprattutto per il latte e il commercio

delle pelli, sono anche simbolo del prestigio sociale e dello stesso valore della vita umana. La

figura del cammello è centrale nella tradizione poetica orale, nel commercio e nella stessa dialettica

politica. La tradizione pastorale e nomade sopravvive anche tra le popolazioni urbane che si sono

sedentarizzate dedicandosi soprattutto alle attività commerciali. Il nomadismo in Somalia è una

necessità: il territorio molto arido consente infatti l'agricoltura solo in poche regioni, come la zona

tra i due fiumi Giuba e Scebelli. Nelle stagioni secche (jiilaal e hagaa') la scarsità di acqua e di

pascoli porta, da un lato ad un aumento della conflittualità, dall'altro alla ricerca di alleanze tra i vari

clan e lignaggi per accordarsi sulla gestione delle risorse. Sia all'interno delle singole comunità che

in questi sistemi di alleanze, non esistono capi veri e propri. I sultani, ad esempio, hanno spesso

solo un potere simbolico, sono invece le assemblee, shirs, che decidono, attraverso un sistema che

potremmo definire democratico. Il sistema di alleanze tra clan e sotto-clan non è stabile e questo

rende ancora più difficile la governabilità della Somalia. Questa fragilità delle alleanze caratterizza

anche i conflitti più recenti: ad esempio nel 1991, dopo la caduta di Siad Barre, la famiglia dei clan

degli Hawiye si era unificata nella lotta contro il dittatore ma subito dopo la fine del regime militare

si trovava divisa tra il clan degli Abgal, guidati da Ali Mahdi, e gli Habar-Ghidir, guidati da Aidid.

In Somalia soprattutto nelle regione tra i due fiumi esistono comunità somale tradizionalmente

stabili, i Digil e i Rahanwin, che, pur avendo dei legami con gli altri clan somali, sono considerate

mescolate a popolazioni Galla e Bantu e quindi, secondo un sentimento razzista, inferiori. I Sab si

dedicano all'agricoltura e hanno un rapporto con la terra molto più stretto, inoltre, se per i Samaale

il senso di appartenenza ad una comunità dipende dal legame di parentela e la ricchezza dal

bestiame, per i Sab la comunità è il villaggio e la ricchezza è la terra.

“Le istituzioni politiche tradizionali in Somalia promuovono una curiosa fusione tra

9

democrazia, eguaglianza e anarchia”3. Una delle principali istituzioni politiche somale è l'heer, un

contratto informale riconosciuto da un gruppo di lignaggi, tra le 250 e le 3.000 presone, che si

alleano e discutono su questioni legali e politiche, come ad esempio la necessità o meno di

dichiarare la pace o la guerra o l'applicazione del diritto in caso di omicidio, insulto o offesa. Le

decisioni vengono prese all'interno dei shirs, assemblee in cui sono chiamati a partecipare tutti i

membri maschi dei clan legati dall'heer. Nei shirs solitamente hanno più autorità le persone ricche o

quelle con particolari capacità oratorie, poetiche o funzioni religiose ma nessuno ha diritti o

privilegi superiori agli altri, tutti partecipano attivamente alla politica del gruppo. La democrazia

somala è diversa dal modello europeo, perché, mentre quella europea si basa sull'idea di

rappresentatività, dove troviamo rappresentanti eletti a cui si delega il potere, nella democrazia

somala non esiste questa idea di rappresentanza poiché tutti sono chiamati a partecipare

direttamente alla politica del gruppo. Nei shirs si eleggono dei rappresentanti come i sultani o capi

religiosi, wadaads, ma queste rimangono figure simboliche a cui non vengono delegati poteri

effettivi. Nella politica somala lo spirito democratico ed egualitario convive con un forte spirito

individualista, ogni somalo è sultano di se stesso ed è orgoglioso della propria libertà. Nel corso

della storia i somali hanno sempre faticato ad accettare delle istituzioni gerarchizzate o qualsiasi

tipo di autorità, indipendentemente se imposta o eletta democraticamente, così è stato per il periodo

coloniale, per le forme di governo dopo l'indipendenza e per la stessa situazione attuale.

Un elemento di unione tra i somali è la religione musulmana. I capi religiosi, wadaads o

sheikhs, sono molto importanti all'interno di una comunità, ma la loro importanza è soprattutto

culturale, come insegnanti dei precetti coranici, e spesso hanno funzione di mediatori all'interno di

un singolo gruppo o nei conflitti tra clan. Gli sheikhs non hanno però un vero e proprio potere

politico (fanno eccezione esperienze come quella del Mullah all'inizio dello scorso secolo), questo

perché il rapporto con Dio per i nomadi è soprattutto individuale e non è un caso che in Somalia

avrà largo sviluppo il sufismo, il misticismo islamico. Il fenomeno delle Corti islamiche come

3 LATIN D. D. e SAID S. SAMATAR, op. cit, pag. 41-44

10

potere soprattutto politico è una realtà molto recente che ha inizio negli anni '90.

La Somalia, pur nella sua frantumazione clanica, è una regione molto omogenea dal punto di

vista etnico: il 95% della popolazione è somala. L'etimologia della parola “somalo” ha varie

interpretazioni4: alcuni pensano che derivi dall'espressione so mal (“va a prendere il latte”) che i

pastori rivolgono ai propri bambini o alle donne quando si riceve un ospite; altri la fanno derivare

da soumahe, una parola abissina che significa “infedele”; molti somali ritengono invece che la

parola “somalo” derivi dal nome del loro leggendario capostipite, Zumal, che in arabo significa

“ricco”.

In Somalia esistono anche delle minoranze: popolazioni di origine bantu, spesso considerate

dai somali razze inferiori, che vivono nella zona tra i due fiumi e praticano soprattutto l'agricoltura;

arabi, indiani, pakistani, amarani (swahili) che vivono soprattutto nelle città della costa ed

esercitano il commercio; infine ci sono minoranze di europei, soprattutto italiani e britannici che

però hanno incominciato a calare negli anni '60 per poi quasi scomparire dopo lo scoppio della

guerra civile nel 1991.

Il somalo diventerà lingua scritta solo nel 1972, ma nonostante questo ha una tradizione

letteraria orale molto ricca e molti studiosi di cultura somala sono concordi nel definire la Somalia

“una nazione di poeti” (Burton, Maino, Lewis, Andrzejewski, Johnson, Samatar). Il linguaggio

poetico accompagna i somali nelle relazione con gli altri, nelle cerimonie matrimoniali, quando si

stringono alleanze tra clan, nel linguaggio giuridico e religioso. Lo sviluppo della poesia in Somalia

è legato allo stile di vita nomade che, non permettendo attività artistiche e culturali come la scultura,

la pittura o l'architettura, più adatte a realtà stanziali, ha sviluppato un cultura basata sull'oralità. La

poesia è un mezzo attraverso il quale i somali trasmettono la propria storia, descrivendo i propri

nemici e se stessi. Non a caso importanti leader politici, come ad esempio il Mullah, erano anche

poeti. Le poesie vengono trasmesse oralmente con una determinata dizione chiara e lenta in modo

da rendere l'ascolto piacevole e comprensibile. A volte tra poeti si fanno delle tenzoni, delle sfide

4 TOUVAL S., Somali Nationalism, Harvard University Press, Cambridge, 1964, pag. 9-11

11

poetiche. Essere un bravo poeta significa avere ricchezza ed essere motivo di prestigio per l'intero

clan. Il processo di urbanizzazione e la modernizzazione non ha messo fine alla tradizione poetica

della Somalia. Dalle radio di Mogadiscio Harghesia e Berbera vengono trasmessi spesso

componimenti poetici. Questo è un esempio di una poesia somala che tratta argomenti tipici della

vita pastorale dei nomadi e dove è centrale la figura del cammello:

Non si carica in questo modonessun'altra cosa.

Non esiste un animaleche si carichi seduto.

Non esiste un altro animalei cui neonati abbiano cuore e ossa

così forti.Non esiste un altro motivo

per cui due fratelli diventano nemici.Non esiste un altro animale chesia il codardo che il coraggioso

vanno a cercare nella notte.A chi Dio ha concesso un grosso cammello

ha dato un patrimoniodai peli corti!

Ti copra la rugiada.Oh bellissimo!

Come ti so caricare bene si vedràstamattina.5

Storia pre-coloniale della Somalia

L'origine dei somali è incerta poiché prima dell'età medievale non abbiamo nessuna

testimonianza. Essendo una popolazione cuscita è probabile che la zona di provenienza non sia la

penisola arabica, come si pensava un tempo e come la stessa tradizione genealogica somala

vorrebbe, per collegare il capostipite dei somali alla famiglia di Maometto, ma la zona tra l'Etiopia

meridionale e il Kenya settentrionale. Da queste zone popolazione cuscite, compresi gli antenati dei

somali, si sarebbero spostati verso nord nel 500 a.C per poi stabilirsi nelle coste del Mar Rosso6.

5 FORNI E., Una nuova vita in Somalia, Franco Angeli Editore, Milano, 1984, pag. 126-1276 LATIN D. D. e SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 4-7

12

Una seconda migrazione di somali, a partire dal primo millennio d. C., si sarebbe diretta, a partire

dalle coste settentrionali della Somalia, verso sud in territorio abitato da popolazioni Galla7, cuscite

come i somali (questa migrazione verso le regioni meridionali durerà fino ai giorni nostri, basti

pensare al continuo afflusso di somali nel Kenya nord orientale). Una prima testimonianza scritta

della presenza di popolazioni somale ci viene trasmessa dal geografo arabo Ibn Sa'iid8(1214-87) che

descrivendo la città di Merca, nella Somalia meridionale, parla della presenza di “Hawiye”. Il

termine “somalo” (soomaali) compare invece per la prima volta in un inno abissino del XV secolo

che celebrava le vittorie del negus Yeshaaq. Successivamente i somali vengono menzionati dallo

storico arabo Shihaad ad-Diin nella sua Futuuh al-Habasha (1540-60) quando ci parla della guerra

tra l'impero abissino e l' esercito guidato dall'iman Ahmed ibn Ibrahim, soprannominato dai

musulmani al-Ghazi (“il conquistatore”) e dai cristiani Gran (“il mancino”). Ahmed ibn Ibrahim è

considerato dai somali il primo eroe nazionale, anche se però esistono molti dubbi sulla sua

somalità9. Ahmed era a capo dell'esercito del sultanato di Adal, uno di quei sultanati arabi che si

erano sviluppati attorno alle città affacciate sul golfo di Aden, come Zeila e Berbera, e alla città

interna di Harar. Proprio questa presenza araba porterà tra l'XI e il XII secolo alla conversione dei

somali e, a partire dal XV secolo, a una serie di conflitti con l'impero abissino, cristiano e copto. Le

imprese di al-Ghazi si inseriscono in questo scontro tra cristiani e musulmani. Il conflitto ebbe

inizio nel 1527 per ragioni tributarie ( Ahmed si rifiutò di pagare il tributo all'imperatore abissino)

ma si trasformò in una guerra che durerà trent'anni nei quali Ahmed cercherà di conquistare

l'impero etiopico. Nel 1540 l'esercito di al-Gazi era giunto fino al lago Tana, lasciando all'impero

abissino solo la regione del Tigrai. Nel 1541, però, accorsero in aiuto del Negus i portoghesi,

guidati dal figlio di Vasco de Gama, Cristiano, con un piccolo esercito di 400 uomini armati con

armi da fuoco. Sarà proprio un fuciliere portoghese ad uccidere, quasi occasionalmente, il Gran. La

morte del proprio comandante portò allo sbandamento l'esercito musulmano e il tentativo dell'emiro

7 CALCHI NOVATI G., Il Corno d'Africa nella storia e nella politica, SEI, Torino, 1994, pag. 38-428 LEWIS I. M., op. cit., pag. 15-219 TOUVAL S., op.cit., pag. 49-51

13

Nur ibn Mugiahid nel 1551 di rimettere in piedi l'esercito per riconquistare l'impero cristiano fallì

otto anni dopo, in seguito della battaglia a Fatagar, dove i musulmani, pur vincendo, furono costretti

a ritirarsi ad Harar a causa di una pestilenza.

La figura di Ahmed ibn Ibrahim e le sue imprese vengono spesso rilette dai somali in chiave

nazionalista e soprattuto anti-etiopica. In realtà Ahmed ibn Ibrahim non era somalo e il suo esercito

non era formato solo da somali. Lo storico arabo Shihaad ad-Diin, ad esempio, parla di due truppe

somale, una di Marrehan e una di Girri, e nel descrivere i membri di questi due gruppi usa termini

come “scellerati e banditi di strada”, turbolenti che spesso si facevano guerra tra loro10, anche se

però i capi delle due fazioni, Mattan e Ahmed Guray, sono presentati tra i più forti e abili generali11.

L'influenza araba in Somalia non era presente solo nelle città della costa a nord, in porti come

Zeila e Berbera, ma anche nei porti del sud affacciati nell'Oceano Indiano. La città di Mogadiscio,

fondata tra il IX e il X secolo, era il punto più settentrionale dell'”impero” swahili e vedrà il suo

massimo splendore tra il XIV e il XV secolo, per poi decadere nel XVI secolo perché, come del

resto tutto il Corno d'Africa, fu tagliata fuori dalle nuove rotte commerciali aperte dai portoghesi.

Nel XVII secolo gran parte della costa somala passò sotto il controllo del sultanato di Oman. Nel

1874, per pochi anni, la parte settentrionale della Somalia (da Zeila a Capo Guardafui) sarà

controllata dagli Egiziani che diedero un importante impulso ai porti, soprattutto Berbera, e si

fecero promotori di una rinascita islamica costruendo molte moschee. Gli egiziani saranno costretti

a ritirarsi dalla Somalia a causa dello scoppio della rivolta mahdista in Sudan, lasciando il nord

della Somalia a francesi e britannici. Intanto nel sud della Somalia, le città della costa passarono nel

1839 al sultanato di Zanzibar e sarà quest'ultimo a trattare con Italia e Gran Bretagna per il controllo

della Somalia meridionale e centrale.

10 PETRUCCI P., Mogadiscio, Nuova ERI, Torino, 1993, 13-1611 LEWIS I. M., op. cit., pag. 15-21

14

La penetrazione coloniale

Sul finire del XIX secolo il Corno d'Africa divenne, per diverse ragioni, un punto nodale

nell'espansionismo coloniale12: nel 1869 venne aperto il canale di Suez e il Corno si trovava ad

essere in posizione centrale nelle rotte che collegavano l'Europa all'Asia; l'espansionismo francese,

da ovest a est, e quello inglese, da nord a sud, trovavano proprio in prossimità del Corno un punto

di scontro (l'incidente di Fascioda in Sudan nel 1898); l'Italia, l'ultima delle potenze coloniali in

Africa, mostrava sempre più interesse per il Corno; la presenza di un impero africano, quello

abissino, che stava conducendo una politica di espansione.

La Gran Bretagna

La Gran Bretagna, già prima del 1869, aveva mostrato interesse per le coste della Somalia,

soprattutto per dare maggiore sicurezza alle navi dirette verso l'India che spesso venivano attaccate

dai pirati nel golfo di Aden (ad esempio nel 1825 vennero uccisi i membri della nave inglese

Marianne)13. Nel 1827 la Gran Bretagna firmerà il primo trattato con una popolazione somala, il

clan issaq degli Habr Awal, per assicurarsi maggiori garanzie di sicurezza nella regione. Nel 1839

venne istituito il protettorato britannico su Aden e fu in questo periodo che iniziarono le prime

missioni esplorative in territorio somalo (Barker nel 1840, Cristopher nel 1843) e i primi trattati con

sultani e governatori nella costa settentrionale della Somalia. Nel 1869, con l'apertura del canale di

Suez, le coste somale acquistarono maggiore importanza. L' impero ottomano, attraverso l'Egitto,

interessato a controllare l'intera costa dal canale di Suez fino al capo Guardafui, pose sotto controllo

le stazioni commerciali di Zeila e Berbera. Nei progetti dell'Egitto c'era anche l'occupazione della

costa somala affacciata sull'Oceano Indiano e l'occupazione del lago Vittoria e delle sorgenti del

Nilo (riuscì per breve tempo ad occupare le città di Brava e Kisimayo nella Somalia meridionale).

Nel 1885 la rivolta mahdista in Sudan costrinse, però, l'Egitto ad abbandonare i territori somali. Nel

12 CALCHI NOVATI P., op.cit., pag. 47-4913 TOUVAL S:, op.cit., pag. 32-37

15

1887 l'esercito etiopico di Menelik II, approfittando della crisi dell'impero turco, conquisterà la città

di Harar. La Gran Bretagna, intanto, già nel 1884, aveva firmato una serie di trattati con clan somali

ad est di Zeila e il 20 luglio 1887 ottenne, grazie all'Atto Generale firmato dalle potenze coloniali a

Berlino, il Protettorato sulla costa somala, da Gibuti al 49° parallelo (Bender Ziadeh).

La Francia

La Francia era interessata alle coste somale per avere una base d'appoggio nella rotta che

collegava l'Europa ai possedimenti in Indocina e nel Madagascar e per sviluppare una rete

commerciale con l'impero etiopico (sarà la Francia che a fine ottocento inizierà la costruzione della

rete ferroviaria che collegherà Gibuti ad Addis Abeba).

La presenza francese nel Corno ha inizio nel 1858 dopo l'uccisione nel golfo di Tajura

dell'agente consolare francese ad Aden, Lambert, che era andato a negoziare con il potentato locale

Abu-Bekr. L'assassinio portò truppe francesi nel golfo di Tajura che, con il pretesto di indagare

sulla morte del funzionario francese, finirono per negoziare con lo stesso Abu-Bekr e altri capi

dancali14. Nel 1862 Abu-Bekr, attraverso un trattato, concedette alla Francia il porto di Obock. Nel

corso dell'Ottocento la Francia svilupperà il commercio tra il porto di Obock e l'impero abissino e,

dopo le insurrezioni in Indocina e nel Madagascar tra il 1882 e il 1883, estenderà la propria base nel

Corno firmando una serie di trattati con i sultanati di Gobad e Tajura e con clan somali issa. Nel

1892 il centro francese nel Corno divenne Gibuti.

L'Italia

Negli anni '50 dell'Ottocento, prima quindi dell'unificazione d'Italia, i piemontesi avevano già

realizzato degli studi per individuare una zona di futura colonizzazione italiana in Africa. Lo storico

e diplomatico Cristoforo Negri vedeva nel Mar Rosso e nella costa sotto il dominio del sultanato di

14 TOUVAL S., op.cit., pag. 37-40

16

Zanzibar le regioni adatte ad un possibile insediamento italiano15. Nel 1869 una compagnia

commerciale italiana, la Rubattino, si stanzierà ad Assab nel Mar Rosso. Negli anni '80

dell'Ottocento compagnie commerciali italiane tentarono di sottoscrivere dei trattati con il sultanato

di Zanzibar e altri sultanati locali in Somalia ma senza grossi successi16. Sarà solo grazie

all'intervento della Gran Bretagna, interessata a limitare l'espansionismo tedesco in Africa orientale,

che le compagnie italiane riuscirono a raggiungere ad accordi fruttuosi. Nel 1893 Vittorio Filonardi,

già console e commerciante a Zanzibar, prenderà in affitto dal sultano swahili i porti di

Mogadiscio, Merca, Brava e Uarscheich17. La società Filonardi, però, povera di mezzi, troverà

grosse difficoltà ad amministrare una regione colpita da un'epidemia che aveva distrutto gran parte

del bestiame e aveva decimato la popolazione e dove le tensioni tra gli indigeni erano molto forti e

il servizio d'ordine della Compagnia, formato soprattutto da mercenari eritrei e arabi, era

insufficiente e mal visto dalla popolazione locale. Il 15 aprile del 1896, per volere soprattutto del

nuovo console a Zanzibar Cecchi e dell'imprenditore tessile Mylius, venne istituita la Compagnia

del Benadir, con fondi privati e sussidi del governo, che doveva sostituire la società Filonardi,

ormai fallita, nel controllo della regione. La compagnia però entrerà in funzione solo nel 1900 per

approvazione parlamentare. La Compagnia del Benadir verrà presto criticata, sia da parte di settori

del mondo politico che da parte della stampa, d'inadempienza e di non fare nulla per lo sviluppo

della regione se non operazioni che finivano per arricchire i responsabili della Compagnia

attraverso un uso personale dei sussidi governativi e attraverso speculazioni sui dazi nelle

esportazioni e nelle importazioni. Inoltre una serie di articoli di giornali (ad esempio il Secolo) e di

inchieste parlamentari, come quella condotta da Chiesi e Travelli, dimostravano l'utilizzo, da parte

della Compagnia del Benadir, della schiavitù, abolita dalla Convenzione di Ginevra nel 1890

(secondo l'inchiesta portata avanti da Robecchi, nella sola Mogadiscio su 6695 abitanti 2095 erano

schiavi). Nel 1904 vennero emessi nel Benadir dei bandi per abolire la schiavitù ma esisteva il

15 GOGLIA L. e GRASSI F., Il colonialismo italiano da Adua all'impero, Roma, 199316 TOUVAL S., op. cit., pag. 40-4517 DEL BOCA A., Gli italiani in Africa Orientale, dall'unità alla marcia su Roma, Roma, Laterza, 1976, pag. 567-576

17

problema che le pratiche schiaviste venivano utilizzate non solo da europei e arabi ma anche dagli

stessi somali nomadi verso le popolazioni agricole, soprattutto di origine bantu. L'inefficiente

politica antischiavista italiana porterà alla rivolta del clan Bimal (clan insediatosi nella fascia

costiera tra Danane e Merca) che faceva largo uso di schiavi, una rivolta che avrà dei punti di

contatto con la ribellione nelle regioni settentrionali guidata dal Mad Mullah. Nel 1904 il ministro

degli Esteri Tommaso Tittoni, di fronte agli scandali che accompagnavano la gestione della

Compagnia, inizierà una serie di negoziati con il sultano di Zanzibar e la Gran Bretagna per far

passare la gestione della regione dalla Compagnia al controllo diretto dello Stato. Il 13 gennaio

1905 il governo Giolitti-Tittoni acquisterà dal sultano di Zanzibar per 144 mila sterline i quattro

porti del Benadir e il porto di Kisimayo.

Il Mullah

Mohamed Abdullah Hassan, soprannominato dagli inglesi Mad Mullah, è considerato un eroe

nazionale da molti somali. Lo stesso Siad Barre erigerà una statua a Mogadiscio in suo onore, che

poi verrà abbattuta e quindi fusa durante la battaglia di Mogadiscio nel 1992. Mohamed,

appartenente ai clan darod dei Dulbohanta, da parte di madre, e degli Ogaden, da parte di padre,

nacque nella valle del Nogal da una famiglia di pastori nomadi. Studente in una scuola coranica,

non ancora ventenne, otterrà il titolo di sheik18. Nel viaggio di pellegrinaggio a La Mecca entrerà in

contatto con Mohamed Saleh, capo della setta islamica Salihiyyah, una tariqa (parola che in arabo

significa “sentiero”) fondata in Marocco e che avrà molto seguito in Somalia, Eritrea e Sudan. La

Salihiyyah, vicina al wahabbitismo, si opponeva sia alle grandi scuole teologiche degli ulama, sia al

sufismo tradizionalista (come la setta Qadiriyyah, la più diffusa in Somalia) accusato di eccessivo

misticismo individuale e di esagerare nel culto dei santi. In Somalia l'avvento degli europei e

l'espansionismo etiopico avevano portato al diffondersi di un movimento di riforma religiosa

18 NICOLOSI G., Imperialismo e resistenza in Corno d'Africa, Catanzaro, 2002

18

caratterizzato dallo sviluppo di confraternite sufi che spesso finirono per condizionare lo stesso

sistema clanico basato sui legami di sangue. In realtà non ci fu mai uno scontro tra il sistema

clanico tradizionale e il riformismo religioso, è vero, però, che spesso i wadaads (uomini religiosi)

e i khulafa (maestri coranici) venivano utilizzati dai funzionari coloniali nei rapporti politici e

amministrativi perché, nella frantumazione clanica, l'Islam era ed è un elemento unificante e i capi

islamici, anche se tradizionalmente non avevano un potere politico, spesso si trovavano a dover

mediare tra le varie fazioni in conflitto. Il ruolo di mediazione veniva potenziato dal fatto che,

essendo l'Islam somalo soprattutto sufi, il rapporto tra capi e membri di una comunità acquistava un

valore mistico e di venerazione19.

Tornato in Somalia nel 1895 Mohamed si fece portavoce della Salihiyyah stabilendosi a

Berbera, città portuale sotto il controllo britannico, dove l'ambiente religioso, legato soprattutto alla

confraternita Qadiriyyah, si era ben integrato con l'amministrazione britannica e l'attività

commerciale. Mohamed entrò ben presto in conflitto con la comunità religiosa della città, accusata

di non rispettare la shariah. L'insuccesso della propaganda religiosa, troppo rigida per una città

commerciale come Berbera, portò Mohamed a spostarsi nella sua terra natale, Kirrit, nella valle del

Nogal, dove era dominante il clan materno dei Dolbohanta. In questa regione Mohamed fondò la

sua giamia (comunità religiosa) con funzioni inizialmente solo di insegnamento morale e religioso.

Con il passare del tempo, però, l'azione del Mullah diventò sempre più politica, anti-occidentale e

anti-etiopica, comprendendo che per contrastare la politica delle potenze cristiane era necessario

uscire dalla dimensione clanica e cercare un unione tra tutti i somali contro gli infedeli. La sua lotta

avrà molti punti in comune con la rivolta mahdista in Sudan.

Nel 1899 il Mullah, con un esercito di 5 mila uomini, dichiarerà aperta la jihad contro i

colonizzatori, occupando la città di Burao20. I membri del suo esercito venivano chiamati dervisci e

venne vietato loro di definirsi con il nome del clan di provenienza. Questa politica anticlanica, da

19 SAMATAR A. I., Socialist Somali, Rhetoric and Reality, Zed Books, London, 1988, pag. 26-3620 DEL BOCA A., op. cit., pag. 789-801

19

molti letta come un elemento di nazionalismo moderno, va però vista più nella sua dimensione

religiosa, legata ad un universalismo islamico (non a caso il Mullah userà poche volte il termine

“somali” per definire i suoi seguaci)21. Mohamed, dopo aver occupato Burao, mandò un ultimatum

alla Gran Bretagna, una sorta di dichiarazione di guerra, preoccupando non poco gli inglesi che

inizieranno a chiamarlo Mad Mullah. Il Mullah, pronto ad attaccare Berbera, trovò una serie di

difficoltà nel riunire i clan somali. Iniziò così una politica di repressione contro i capi clan,

uccidendo il sultano dei Dolbohanta, Ali Farah, misura che, però, gli fece perdere il sostegno di una

parte del clan materno. Mohamed, per riorganizzare le forze, cercò il sostegno dei membri del clan

paterno, gli Ogaden, occupandone l'omonima regione. Il Mullah riceveva armi dal sultano di

Migiurtinia (un territorio sotto protezione italiana ma in realtà molto autonomo), Osman Mahmud,

il quale non credeva molto nella jihad, ma era interessato ad indebolire il sultano di Obbia, Yusuf

Ali, che gli contendeva parte della valle del Nogal22. Il Mullah, controllando la parte centrale della

Somalia e rendendo insicuri i commerci interni, inizierà ad essere un problema non solo per i

britannici ma anche per gli italiani e gli etiopici. L'impero abissino era particolarmente preoccupato

sia di una espansione dei dervisci ad Harar, il principale centro islamico nel Corno, sia che le gesta

del Mullah diventassero un esempio per altre popolazioni musulmane nell'Impero. I britannici, vista

la situazione, decisero di allearsi con gli etiopici contro il nemico comune. Nella primavera del

1901 venne organizzata una prima spedizione contro i dervisci, formata da 15 mila abissini e 1500

somali, addestrati da ufficiali dell'esercito britannico e indiano, una spedizione che avrà, però,

risultati fallimentari23 . Il Mullah, dopo una breve tregua, ritornò a minacciare il territorio inglese

con un esercito di 12 mila uomini armati del sultano di Migiurtinia. Nel 1902 gli inglesi

organizzarono una seconda spedizione, sempre servendosi di mercenari somali ma anche

utilizzando soldati del King's African Rifles. Il Mullah riuscì a respingere anche questo attacco, sia

perché il suo esercito era più motivato e conosceva meglio il territorio, sia perché molti dei somali,

21 TOUVAL S., op.cit., pag. 51-6022 DEL BOCA A., op. cit., pag. 789-80123 LEWIS I.M., A Modern History of Somalia, Longman, London, 1980, pag. 63-92

20

usati dagli inglesi, passarono nelle fila dell'esercito derviscio. Dopo questa sconfitta gli inglesi

capirono che non era più possibile fare affidamento su mercenari somali, decidendo allora di

istituire un esercito formato da indiani, sudanesi, yaos e sudafricani. Inoltre vennero strette alleanze

con etiopici ed italiani per aprire tre fronti contro il Mullah: un fronte ovest, da Harar, un fronte

nord, da Berbera e un fronte sud-est, da Obbia. Gli italiani, per permettere lo sbarco degli inglesi,

fecero arrestare il sultano di Obbia, Yusuf Ali, che, sebbene nemico del Mullah e del sultano di

Migiurtinia, non voleva che infedeli sbarcassero nel suo territorio in una campagna contro altri

somali e perché temeva ripercussioni dell'esercito derviscio24. La terza spedizione sarà fallimentare

come le precedenti, questo perché il Mullah si dimostrerà un ottimo stratega e il suo esercito era

mobile e godeva dell'appoggio della popolazione, nonostante le divisioni claniche che

permanevano.

Nel 1904 gli inglesi organizzarono una nuova spedizione di 7800 uomini, scelti fra i migliori

reparti inglesi, indiani e africani, una spedizione che riuscì ad indebolire il Mullah ma non a

sconfiggerlo definitivamente. Trovandosi in difficoltà egli dimostrò una notevole abilità politica:

capì che tra i suoi nemici gli italiani erano i più deboli e che, dopo la sconfitta di Adua, non erano

propensi ad avviare un'altra campagna militare in Africa. Decise allora di trattare la pace con Roma

che doveva diventare “portavoce” anche di Gran Bretagna ed Etiopia. Il 5 marzo 1905 il Mullah

firmò un trattato con il console italiano Pestalozza ad Illig, nel quale si dichiarava la pace con Italia,

Gran Bretagna ed Etiopia e la cessione da parte dell'Italia del territorio del Nogal tra il ras Garad e il

ras Cabah a Mohamed Abdullah Hassan. Il trattato di Illig rassicurava sia la Gran Bretagna, perché

allontanava dal proprio territorio il Mullah, sia l'Italia, perché così aveva un nuovo alleato per

estendere i suoi interessi in Etiopia. Il Mullah, con questa pace, poté riorganizzare le forze e nella

valle del Nogal diede vita ad una forma embrionale di stato teocratico25. Inoltre cercherà alleanze

sia nel Somaliland, con il garad Mahamud Ali Shirre, sia con lo stesso imperatore abissino Menelik

24 DEL BOCA A., op. cit., pag. 789-80125 LEWIS I. M., op. cit., pag. 63-92

21

II per una lotta comune di etiopici e somali contro gli invasori europei. Nel 1908, però, questi

tentativi di alleanza, che dovevano restare segreti, vennero svelati agli inglesi da uno stretto

collaboratore del Mullah ad Aden, Abdullah Sceri. Il trattato somalo-etiopico saltò per pressioni di

inglesi e italiani su Menelik.

Nel settembre del 1908 Mohamed sferrò una serie di attacchi sia ad est, nel sultanato di Obbia,

sia ad ovest, nell'Ogaden abissino, sia a nord, contro il Protettorato britannico. Gli italiani per

cercare di fermare il Mullah bloccarono i porti, impedendo così i rifornimenti all'esercito derviscio,

ma trovando l'ostilità dei sultani di Obbia e Migiurtinia. Intanto l'ex collaboratore del Mullah

Abdullah Sceri, inviato a La Mecca, ricevette una lettera dal capo della setta Salihiyyah, Mohamed

Saleh, nella quale veniva scomunicato Mohamed Abdullah Hassan per la sua politica di guerriglia.

La lettera di scomunica verrà strumentalizzata da inglesi e italiani per indebolire il Mullah, senza

però grosso successo. La Gran Bretagna, incapace di controllare le zone interne del Somaliland, fu

costretta a ritirarsi nella fascia costiera, continuando però la sua politica contro il capo derviscio

fornendo ad esempio armi agli Issaq, avversari del Mullah26. L'interno del Somaliland era nel caos,

molti i conflitti tra i clan, una situazione che però riuscì ad avvantaggiare il Mullah che, giungendo

al confine con la Somalia britannica, nel 1912 stabilì il proprio quartier generale a Telé, una

fortezza. Nell'intenzione del Mullah c'era forse il desiderio di mettere fine ad una guerra solo di

movimento e di procedere alla formazione di uno stato con propri confini. Gli inglesi, intanto,

avevano istituito il Somali Camel Constabulary, una forza di polizia che doveva difendere le città

della costa e assicurare la pace tra lignaggi alleati. Nel 1913 Richard Corfied, il capo di questa

polizia, sarà ucciso e questo assassinio spinse gli inglesi ad aumentare le forze contro l'esercito

derviscio e a riprendere il controllo delle regioni interne, anche perché tra il 1914 e il 1915 il

Mullah sferrò una serie di attacchi, arrivando ad invadere Burao, ad occupare alcuni quartieri di

Berbera e ad incendiare altri villaggi nella costa27.

26 TOUVAL S., op. cit., pag. 51-6027 DEL BOCA., op. cit., pag. 789-801

22

La fine del primo conflitto mondiale porterà la Gran Bretagna a concentrare più forze in

Somalia, attraverso l'istituzione del Somaliland Camel Corp (formato da truppe irregolari somale),

l'utilizzo di reparti del King's African Rifles e sei aeri che verrano utilizzati tra l'altro per

bombardare Talé. Intanto gli italiani riuscirono a firmare trattati di alleanza non solo con il sultano

di Obbia, da sempre nemico del Mullah, ma anche con il sultano di Migiurtinia, Osman Mahamud,

il maggiore rifornitore di armi dell'esercito derviscio.

Il Mullah, indebolito sia dagli attacchi inglesi che da rivolte all'interno del suo esercito, sarà

costretto a fuggire in Etiopia dove morirà nel febbraio del 1920.

La Somalia italiana

Uno dei maggiori motivi che aveva spinto il governo italiano ad assumere il controllo diretto

della Somalia furono i continui scandali e inefficienza nella gestione della regione da parte della

Compagnia del Benadir che andavano dalla corruzione, all'utilizzo della schiavitù, all'incapacità di

controllare il territorio. La nuova amministrazione non portò grossi miglioramenti. Nella zona del

Benadir non si pose fine alla schiavitù, anzi, gli stessi governatori della Somalia l'approvavano, ne

sottolineavano le necessità economiche e sociali e in alcuni casi venivano ... motivazioni razziste,

ad esempio il governatore Carletti dirà che “ci sono razze destinate ad essere schiave”28.

La gestione statale portò ad una serie di politiche militari, per controllare le zone interne, che

spesso divennero motivo di scontro con le popolazioni locali, come ad esempio i Bimal, guidati in

quegli anni dallo sheik Abdi Abiker Gafle, esponente della setta salihiyyah e vicino al Mullah. Nel

1907 venne allestita una spedizione contro i Bimal, formata da mercenari arabi ed eritrei, che

riuscirà a sconfiggere i rivoltosi ma non a controllare il territorio. La politica dei governatori italiani

nella Somalia era quella di procedere per prima cosa ad un controllo militare del territorio e solo in

seguito avviare uno sviluppo economico.

28 DEL BOCA, op. cit., pag. 803-806

23

L'espansionismo italiano nelle regioni interne della Somalia diede non poche preoccupazioni

all'Etiopia. Nel 1908 un esercito amhara, inviato da Menelik contro il Mullah, si diresse verso sud

giungendo nel Benadir, a 200 chilometri da Mogadiscio, scontrandosi a Bahallé con truppe italiane.

Dopo questo incidente, non ancora del tutto chiarito, l'Italia e l'Etiopia giunsero, il 16 maggio, ad un

trattato per stabilire dei confini tra le due zone d'influenza. L'Italia ottenne il nodo commerciale di

Lugh e la possibilità di addentrarsi fino a Dolo, lungo il fiume Giuba. Il problema era che questo

confine doveva essere tracciato in una zona poco esplorata e conosciuta, perciò si decise di

costituire una commissione mista di esperti per meglio segnare il confine. La commissione troverà,

però, grosse difficoltà in questa spedizione, perché nel 1910 scoppierà una rivolta presso le

popolazioni dell'Uebi Scebeli. La non definizione dei confini tra Somalia italiana ed Etiopia verrà

sfruttata dall'Italia nella sua politica espansionistica a danno dell'impero abissino, ad esempio

incoraggiando le popolazioni somale a pascolare in Etiopia meridionale, proteggendole con scorte

armate.

Il Benadir negli anni dell'Italia liberale verrà amministrato, in modo spesso autoritario, da un

piccolo numero di funzionari, militari e civili, dotati di grossa autonomia e di molti poteri. Nel 1911

la colonia si doterà di un sistema giuridico, tributario, di diritti di proprietà che finirono per favorire

gli espropri delle terre più fertili a favore degli italiani, politica che rimarrà una costante nel sistema

coloniale italiano: nel 1933 su 87 mila ettari di terra, dove furono concessi diritti di proprietà, 72

mila ettari spettavano agli italiani, 15 mila agli arabi e nessuno ai somali29. L'Italia non fece nulla

per uno sviluppo sanitario e scolastico, non solo per ragioni di inefficienza, ma anche perché non

voleva che si sviluppasse una classe dirigente somala. L'Italia troverà anche grosse difficoltà nella

costruzione di infrastrutture e opere pubbliche, poche e non sempre funzionanti (come ad esempio il

porto di Brava che verrà insabbiato da una diga italiana). La colonia rimase improduttiva anche a

livello agricolo, furono pochi i prodotti esportati e i prodotti importati non servirono a sviluppare

economicamente la regione, ma solo a mantenere la macchina amministrativa e militare della

29 SAMATAR A. M., op. cit., pag. 16-21

24

colonia. I pochi studi seri sulle reali capacità agricole della Somalia (gli studi di Stefanini, Paoli,

Fazi e soprattutto Onor) dimostravano le poche possibilità di sviluppo nella regione. L'agronomo

Onor riteneva , ad esempio, che la terra doveva essere lasciata agli indigeni, guidati dagli italiani

solo sul piano tecnico e finanziario. Fazi riteneva che in Somalia potessero essere sfruttati solo 150

mila ettari. I funzionari coloniali ignoravano questi studi e, come ad esempio il governatore De

Martino, continuavano a propagandare una Somalia ricca di terre fertili e adatta all'insediamento di

popolazioni italiane. L'agricoltura in Somalia aveva inoltre difficoltà di manodopera. I somali erano

in prevalenza nomadi e consideravano il lavoro della terra un'attività da caste inferiori. Questa

situazione portò i funzionari coloniali a sentirsi legittimati ad utilizzare la schiavitù. Nelle

piantagioni di cotone i braccianti, soprattutto bantu, erano costretti a lavorare sorvegliati da guardie

armate. Nel 1920 verrà fondata, dal Duca degli Abruzzi, principe esploratore, la Società Agricola

Italo-Somala (SAIS), presso il villaggio di Giohar a 120 chilometri da Mogadiscio. La SAIS sarà

uno dei pochi progetti italiani funzionanti e avrà colture abbastanza diversificate: cotone, canna da

zucchero, tabacco, arachidi, banane e cereali. In questa azienda agricola verrà istituito un sistema di

collaborazione cooperativa: ogni lavoratore riceveva un ettaro di terra, metà del quale veniva

coltivato per uso personale, mentre l'altra metà doveva essere lavorato per la compagnia30. In

seguito ad una serie di piene del fiume Uebi Scebeli, si abbandonò la coltivazione del cotone a

favore della canna da zucchero. La SAIS sarà spesso esaltata dall'opinione pubblica italiana che

considererà la sua attività un successo e lo stesso Duca verrà presentato come una sorta di

benefattore. In realtà, anche se la SAIS paragonata ad altre iniziative coloniali si dimostrerà

produttiva, è vero però che non riuscirà a portare sviluppo nella colonia e i dipendenti che vi

lavoravano, sebbene vivevano in condizioni migliori rispetto ad altre aziende, si trovavano

comunque in condizioni di semi-schiavitù.

Nel 1920 a Ras Hafun, nella costa della Migiurtinia, un gruppo di industriali lombardi inizierà

l'estrazione di sale. Il sale somalo era di grande qualità e nel 1933 si arrivò a produrre 260.000

30 LEWI I. M., op. cit., pag. 92-101

25

tonnellate annue che venivano esportate in Africa orientale, India e Estremo Oriente.

L'avvento del fascismo portò, il 21 ottobre del 1923, alla nomina a governatore della Somalia

di Cesare Maria De Vecchi, uno dei più importanti gerarchi fascisti, entrato però in cattivi rapporti

con Mussolini (l'incarico va visto come una sorta di confino)31. De Vecchi procedette ad una

fascistizzazione dell'apparato amministrativo della colonia, inserendo tra i funzionari molti

squadristi . De Vecchi giunse in Somalia in un periodo in cui la rivolta mullista era finita da un paio

di anni e la regione si presentava abbastanza tranquilla, ma il nuovo governatore volle lo stesso dare

il via ad un'ingiustificata campagna di “pacificazione”, attraverso il disarmo dei clan dell'interno.

Nel marzo del 1924 iniziò una dura campagna militare, sia nella Somalia meridionale, nelle regioni

abitate dai Bersane e altri clan, sia a nord, contro i sultanati di Obbia e Migiurtinia, che si erano

alleati all'Italia nella lotta contro il Mullah. De Vecchi tra il 1924 e il 1928 occuperà, con il pretesto

della pacificazione, le terre somale da Ras Chiambre a capo Guardafui attraverso bombardamenti,

razzie, incendi di villaggi e vere e proprie cacce all'uomo(lo stesso Mussolini ricordando nel 1939

l'opera di De Vecchi in Africa dirà: “...si diede ad occupare con la forza territori che erano già nostri

e compié crudeli quanto inutili stragi”)32. Il governatore fascista iniziò anche una campagna anti

etiopica, spostando truppe oltre i confini fissati con l'Etiopia e prendendo contatti con notabili

somali nell'Ogaden, tra questi il sultano degli Sciaveli, Olol Dinle.

Il 15 luglio 1924, attraverso un accordo con la Gran Bretagna, l'Italia ottenne il Giubaland

(l'Oltre Giuba) che verrà occupato militarmente solo il 1° luglio 1925. Le trattative per

l'acquisizione di questa regione erano iniziate già nel 1915, essendo una delle tante richieste

presentate dall'Italia nel Patto di Londra per la sua entrata a sostegno dell'Intesa nel primo conflitto

mondiale. In quella occasione l'Italia aveva richiesto anche Gibuti e il Somaliland, proposte rifiutate

da francesi e inglesi33.

De Vecchi prenderà una serie di provvedimenti a livello amministrativo, sostituendo la rupia

31 DEL BOCA A., Gli italiani in Africa Orientale, la conquista dell'impero, Laterza, Roma, 1979, pag. 51-9332 CIANO G., Diario, 1937-1942, BUR, Milano, 1998, pag. 30933 CALCHI NOVATI P., op. cit., 63- 66

26

indiana con la lira italiana, riorganizzando il sistema tributario, inserendo una prima tassa per i

somali (l'imposta sulla capanna) e istituirà un primo programma scolastico, che però vietava agli

indigeni di frequentare oltre la terza elementare. L'amministrazione De Vecchi prevedeva una serie

di progetti ambiziosi nella costruzione di infrastrutture, come la ferrovia che avrebbe dovuto

collegare Mogadiscio all'Etiopia, ma che in realtà non andò oltre ad Afgoi. Sotto la sua

amministrazione vennero costruiti 6.400 chilometri di strade34. La costruzione di strade e ferrovie

per De Vecchi avevano comunque scopi essenzialmente militari. Verrano, inoltre, costruiti a

Mogadiscio una serie di edifici pubblici e un sistema di illuminazione. A livello economico il

maggiore progetto fu la creazione del comprensorio agricolo di Genale con 40 mila ettari destinati

soprattutto alla monocoltura di cotone.

Il 1° giugno 1928 Guido Corni sostituirà De Vecchi nella carica di governatore della Somalia,

trovando una colonia priva di fondi per colpa della politica dispendiosa e improduttiva del suo

predecessore35. Corni capì che la monocoltura di cotone nell'azienda statale di Genale non era

fruttuosa e decise di sostituirla con una monocoltura di banane, scelta che però non favorirà alcun

sviluppo locale e finirà per sfavorire gli stessi consumatori italiani, costretti a comprare le banane

somale che avevano prezzi più elevati e una qualità minore rispetto alle banane del Centro America.

Nel 1931 il nuovo governatore, Maurizio Rava, porterà ad un ulteriore fascistizzazione della

colonia, istituendo organizzazioni fasciste, soprattutto giovanili. Rava cercherà, inoltre, di instaurare

nuove alleanze con i somali, in chiave anti etiopica, pur mantenendo la loro condizione di subalterni

e impedendo che si sviluppasse tra i somali un moderno nazionalismo o un nuovo mullhismo,

pericoloso per la sicurezza della colonia. La politica dei coloni italiani verso i somali sarà sempre

razzista e nella colonia si continuerà a far uso di lavoro forzato. Molti somali venivano prelevati

dalle propri cabile, spesso con l'aiuto di notabili locali, e costretti a lavorare in aziende italiane, il

rifiuto significava venir condannato dalle stesse autorità locali.

34 LEWIS I. M., op. cit., pag. 92-10135 DEL BOCA A., op. cit., pag.199-216, 245-290 303-309, 501-514, 658-680

27

La politica italiana in Somalia resterà una politica soprattutto militare: se si guardano i dati

della spesa coloniale tra il 1931 e il 1936, su 367 milioni di lire totali, 145 milioni andavano alle

spese militari36. L'Italia continuò a compiere una serie di operazioni militari lungo il confine con

l'Etiopia, appoggiandosi anche al sultano dei Sciavelli, Olol Dinle, il quale, rifiutando di pagare i

tributi all'impero abissino, inizierà operazioni di guerriglia nell'Ogaden protetto dall'Italia. L'Etiopia

reagirà inviando nell'Ogaden il governatore dell'Harar, Gabre Mariam, con un esercito di 12 mila

uomini per riscuotere i tributi delle popolazioni dell'Ogaden e soprattutto per controllare le

operazioni di guerriglia e di penetrazione militare condotte dall'Italia. Gabre Mariam porrà una serie

di forti lungo il confine per impedire un avanzamento italiano. Nel 1930 l'Italia occuperà il fortino

di Ual Ual, una località molto importante per le popolazioni nomadi della regione poiché era il

punto d'acqua più importante dell'Ogaden con i suoi 359 pozzi. Il 22 novembre del 1934 giunsero

ad Ual Ual 600 uomini, comandati dal governatore etiopico dll'Ogaden Sciferra, con il compito di

fare da scorta ad una commissione mista anglo-etiopica, istituita per risolvere la questione del

confine somalo-etiopico. Rava diede l'ordine di inviare due aeri a Ual Ual e uno di questi, non

sappiamo se per sua volontà o per ordini dall'alto, sparò qualche colpo contro la commissione,

portando alle inevitabili proteste del capo della commissione, il tenente inglese Clifford. Dopo

l'incidente di Ual Ual i rapporti tra Roma ed Addis Abeba si guastarono irrimediabilmente.

L'incidente di Ual Ual era risolvibile, molti scontri del genere c'erano stati tra potenze nel periodo

coloniale, ma la politica diplomatica dell'Italia fascista fece di tutto per tenere alta la tensione, per

giungere al conflitto che avrebbe portato alla conquista dell'Etiopia. Da parte di Mussolini non si

fece nulla per evitare la guerra.

Il 20 febbraio 1935 Mussolini destituirà Rava dall'incarico di governatore e al suo posto

metterà Rodolfo Graziani, questo perché Mussolini, a differenza di Badoglio e Baistrocchi, non

considerava secondaria la Somalia nell'invasione dell'Etiopia, sapendo che gran parte della

popolazione era ostile agli abissini. Graziani dalla Somalia chiese subito a Roma più mezzi, sia per

36 SAMATAR A. M., op. cit., pag. 49-51

28

potenziare le infrastrutture, sia per prepararsi all'invasione dell'Etiopia e, molto autonomamente dai

suoi superiori, ma con il sostegno di Mussolini, tra febbraio e settembre del 1935 arriverà a

quadruplicare le forze militari in Somalia, schierando un esercito di 55 mila uomini lungo la

frontiera tra Dolo e Ual Ual.

Nell'ottobre del 1935 inizierà il conflitto lungo il confine etiopico tra l'esercito italiano, guidato

da Graziani, e l'esercito etiopico, guidato da Ras Destà. Gli italiani compirono una serie di

bombardamenti, utilizzando anche armi chimiche, e arriveranno, il 30 dicembre, a bombardare

anche tende della Croce Rossa svedese presso Gogorà. Il 17 gennaio del 1936, dopo la battaglia di

Genale Doria, Graziani giungerà a Neghelli, disperdendo l'esercito del ras Destà e pronto, ora, ad

avanzare verso Harar con il consenso di Mussolini.

Il 1° giugno 1936 tutti i territori di Etiopia, Eritrea e Somalia venivano unificati sotto l'Africa

Orientale Italiana, divisi in cinque regioni, considerate dai fascisti omogenee dal punto di vista

etnico, religioso, politico e geografico: il governo dell'Eritrea, il governo dell'Harar, il governo

dell'Amhara, il governo dei Galla e dei Sidamo e il governo della Somalia. I somali durante la

guerra contro l'Etiopia avevano fornito alle forze italiane 80 mila uomini fra ascari e lavoratori e per

questo venirono “premiati” dagli italiani riunendo tutte le componenti somale dell'Africa italiana in

una sola provincia. Il governo della Somalia, infatti, comprendeva, oltre le regioni dell'ex Somalia

italiana, l'Ogaden, parte del Bale e del Sidamo e del Borana. Inoltre mentre gli abitanti dell'ex

impero nei documenti ufficiali venivano chiamati “sudditi”, gli abitanti della Somalia e dell'Eritrea

venivano chiamati “Somali” e “Eritrei”. Questi provvedimenti non comportavano dei miglioramenti

effettivi per due popolazioni, ma finirono per incoraggiare la nascita di un nazionalismo eritreo e

somalo.

Nell'AOI ogni governo era diviso in commissariati e in residenze. I commissari e i residenti

avevano poteri illimitati e gestivano la vita politica, economica e sociale. Erano spesso ufficiali che

avevano partecipato alla guerra d'Etiopia, molte volte, però, non avevano alcuna preparazione e

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conoscenza del territorio e delle popolazioni. L'amministrazione coloniale si ritrovava ad essere

carente di quadri civili efficienti.

Nel periodo dell'AOI la Somalia, a livello economico, vide una crescita delle aziende di tipo

capitalistico. Il problema era la carenza di manodopera (aggravata dal fatto che molti somali

venivano trasferiti in altre zone dell'AOI per lavorare in progetti sia agricoli che infrastrutturali,

come ad esempio l'imponente rete stradale, che si dimostrerà poi un progetto fallimentare), una

carenza che costringerà l'azienda SAIS a ridurre le proprie coltivazioni e alle aziende statali di

Genale e del Giuba ad adottare sempre più la monocoltura di banane, piantagioni che richiedevano

meno manodopera rispetto a quelle di cotone, ricino e arachidi. Il 2 dicembre del 1935 venne

istituita la Regia Azienda Monopoli Banane (RAMB), l'unica a poter importare banane in Italia,

arricchendo così i bananieri italiani in Somalia. Se nell'azienda del Genale nel 1932 si producevano

16 mila quintali di banane , nel 1939 se ne producevano 320 mila.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale fece della Somalia uno dei fronti in cui si

fronteggiarono truppe dell'Asse contro truppe Alleate. Il 15 dicembre 1940 l'esercito britannico,

guidato dal generale Cunningham, sferrerà, dal Kenya, un attacco contro l'avamposto italiano di El

Uach nell'Oltre Giuba. L'Italia aveva posto lungo il Giuba, una linea difensiva di 600 chilometri con

35 mila uomini, in numero superiore ai 20 mila dell'esercito inglese, ma molto meno armati e

preparati (tra cui contingenti somali poco omogenei). Il 14 febbraio 1941 i britannici entrarono a

Kisimayo, mentre l'esercito italiano finì per essere disciolto. Il 25 febbraio del 1941 gli inglesi

occuparono Mogadiscio. In Somalia l'arrivo degli inglesi non porterà a grosse ripercussioni,

l'amministrazione veniva lasciata temporaneamente agli italiani e venne richiamato il vice

governatore della Somalia Uberto Bottazzi. Sarà comunque il municipio di Mogadiscio, l'organo

più funzionante dell'amministrazione in Somalia, a fungere da governo per i coloni italiani. I

rapporti tra italiani e i militari inglesi dell'OETA (Occupied Enemy Territory Adminastration)

rimasero buoni (tra le altre cose gli sarà consentito di pubblicare un quotidiano in italiano, Corriere

30

della Somalia)37.

Il Somaliland inglese

La Gran Bretagna era giunta sulle coste della Somalia settentrionale essenzialmente per fini

commerciali e perciò non aveva intenzione di impiegare grosse risorse per lo sviluppo della regione,

ma la guerra contro i Dervisci costrinse gli inglesi a molte spese nella repressione contro la rivolta

del Mullah, una rivolta che durò più di venti anni (dal 1899 al 1920). A differenza che in Sudan,

dove la repressione della rivolta del Madhi era stata accompagnata dalla costruzione di strade,

ferrovie, telegrafi, nel Somaliland non ci fu questo tipo di sviluppo, la guerra contro Mohamed

Abdullah Hassan portò solo allo svuotamento delle casse del Protettorato. Dopo la guerra derviscia,

comunque, l'amministrazione inglese si impegnò ad istituire una prima forma di sistema scolastico,

costruendo sia scuole elementari che intermedie, ma la decisione di imporre una tassa diretta sul

bestiame per finanziare questo progetto portò alla rivolta di vari clan somali, soprattutto a Burao. La

proposta fu abbandonata poiché nel Somaliland gli inglesi agivano con molta prudenza, per il

timore di una nuova guerra derviscia. Un sistema educativo vero e proprio si poté realizzare solo nel

1935 con l'istituzione di un Direttore dell'Educazione e di una scuola statale a Berbera, nonostante

le proteste dei gruppi religiosi.

La creazione di nuove infrastrutture cominciò a registrarsi solo dal 1926 quando iniziò la

costruzione di strade, che collegavano i vari centri amministrativi, e l'istituzione di un servizio

sanitario e veterinario. Fu, comunque, uno sviluppo minimo, poiché per la Gran Bretagna, a

differenza che per l'Italia, la Somalia era una regione secondaria nel suo immenso impero coloniale:

nel 1937 la spesa destinata alla Somalia era solo di 213.139 sterline, le esportazioni avevano un

valore di 279.139 sterline contro i 535.210 sterline delle importazioni38. Oltre ad una mancanza di

interesse, la Gran Bretagna trovava grande difficoltà ad imporre un indirect rule su un territorio

37 DEL BOCA A., op. cit., pag. 199-216, 245-290 303-309, 501-514, 658-68038 LEWIS I.M., op. cit., pag. 101-107

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dove era difficile individuare forme di autorità o organizzazione locale. Il Protettorato aveva una

popolazione di 350.000 persone divise in tre grandi clan, i Dir, gli Issaq e i Darod, dove era

prevalente la componente nomade e pastorale (solo nella zona occidentale, presso i clan dei

Gadabursi e dei Habr Awal, si svilupperà la coltivazione di sorgo). L'interesse dell'amministrazione

britannica nei territori interni era solo quello di mantenere l'ordine e il rispetto della legge, cosa non

semplice in una realtà dove la conflittualità tra clan era forte. I capi clan (akils), nonostante queste

difficoltà, venivano ufficialmente riconosciuti; gli veniva dato un piccolo stipendio, per il loro ruolo

di intermediari tra i commissari distrettuali e la popolazione locale e di mediatori nelle dispute tra

clan o all'interno degli stessi clan. A livello giudiziario erano spesso i magistrati musulmani (kadis)

ad avere la massima autorità.

Il protettorato venne diviso in sei distretti con un governo centrale a Berbera. I vari commissari

distrettuali, a causa delle poche vie di comunicazione, avevano molta autonomia e imponevano la

loro autorità attraverso la polizia tribale, Illalo, e la polizia regolare istituita nel 1926.

Terminata la guerra contro i dervisci, la situazione nel Somaliland era abbastanza tranquilla ma

non priva di conflittualità, come ad esempio lo scontro nella zona occidentale del Protettorato tra

Issa e Guardabusi (issaq).

Nelle zone costiere, soprattuto nei centri portuali, lo sviluppo del commercio con la Gran

Bretagna portò ad una nuova emigrazione di somali, non più solo verso il porto di Aden, ma anche

nei porti inglesi e americani, permettendo ai somali di entrare in contatto con nuove idee e concetti

prima di allora non conosciuti in Somalia, come il concetto di nazione. Nascono i primi movimenti,

che sebbene non si possono ancora definire veri e propri movimenti nazionalisti, portano avanti

l'idea del pansomalismo, l'idea che esisteva una diaspora somala e la necessità di superare la

struttura clanica. La stessa guerra derviscia e la figura del Mullah venivano rilette in chiave

nazionalista. Alla fine degli anni '20 venne fondata ad Aden la prima organizzazione somala,

Somali Islamic Association, che riuniva i somali di Aden. Negli anni '30, in particolar modo negli

32

ambienti commerciali, si formarono i primi club proto nazionali, come Gift of God a Berbera e il

Blessed Association ad Harghesia39. Erano associazioni che compivano opere di mutuo soccorso e

cercavano un'unità pan-clanica islamica, scontrandosi con le stesse autorità britanniche.

La seconda guerra mondiale finì per accelerare il processo di integrazione tra economia

pastorale e commercio capitalistico internazionale. Nel 1937 si esportava bestiame per un valore di

45.000 sterline, nel 1942 il valore era salito a 130.000 sterline. Nei centri commerciali, soprattuto a

Berbera, la crescita commerciale, anche se non portò allo sviluppo di attività produttive, contribuì

alla crescita di servizi, come negozi, ristoranti, riserve d'acqua.

Il Dopoguerra

Durante la seconda guerra mondiale, sia le potenze alleate, sia l'Italia, fascista e antifascista,

incominciarono a discutere sulle sorti dell'Africa Orientale Italiana, anche se fino alla fine del

conflitto resterà un tema secondario. Nel 1941 l'occupazione britannica della Somalia Italiana non

portò ad un'unificazione delle due Somalie, poiché la parte italiana, tenuta separata dal Somaliland,

non veniva considerata parte integrante dell'Impero britannico ma possedimento momentaneo,

gestito dal War Office attraverso l'Occupied Enemy Territory Adminastration 40. Gli inglesi,

comunque, già prima della fine del conflitto, ipotizzarono la creazione di una Grande Somalia: nel

1941, nel Chief Political Officer, Philip Mitchell teorizzava la creazione di uno stato somalo

attraverso l'unificazione del Somaliland, della Somalia Italiana e dell'Ogaden41. Nel 1943 il

Ministero degli Esteri inglese redasse un memorandum sul destino delle colonie italiane in Africa,

ribadendo la creazione di una Grande Somalia che avrebbe ottenuto l'indipendenza dopo un periodo

di amministrazione fiduciaria internazionale guidata dalla Gran Bretagna (progetto poi ripresentato

nel 1946 nella Conferenza di Parigi, il cosiddetto Bevin Plan).

In Italia la fine del conflitto ridiede al tema delle colonie una certa centralità, sia nel dibattito

39 SAMARTAR A. M., op. cit., pag. 43-4840 CALCHI NOVATI G., op. cit., pag. 90-94 41 DEL BOCA A., Gli italiani in Africa Orientale, nostalgia delle colonie, Laterza, Roma, 1984, pag. 12

33

interno, sia nella politica diplomatica estera. L' allora Ministro degli Esteri Alcide De Gaspari

sosteneva che le colonie pre-fasciste (Eritrea, Somalia, Libia) rimanessero all'Italia, giustificando

questa richiesta con la tesi, poco convincente, che l'Italia necessitava di quei territori per risolvere

l'eccesso demografico che la caratterizzava. L'Italia accettava il progetto inglese di creare uno stato

somalo, purché il periodo di transizione non fosse guidato dalla Gran Bretagna ma dall'Italia.

Con il trattato di pace di Parigi, che entrerà in vigore il 10 febbraio 1947, l'Italia dovette

rinunciare alle sue colonie, ma la decisione sulle sorti di questi territori furono rinviate e portate

all'Assemblea Generale dell'ONU. Durante la Conferenza si decise anche di istituire una

commissione, gestita dai ministeri degli Esteri delle quattro potenze vincitrici, che doveva sondare

qual'era il punto di vista delle popolazioni locali. La Commissione giunse in Somalia nel 1948 e vi

parteciparono undici organizzazioni somale che non erano ancora veri e propri partiti politici

nazionali, anche se il dibattito interno alla commissione finì per influenzare il nascente

nazionalismo somalo42. Nelle discussioni all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (delle quali

l'Italia non ne faceva ancora parte) il Ministro degli Esteri Sforza, avendo capito che era ormai

inutile continuare a richiedere un ritorno dell'Italia come potenza coloniale in Africa, decise di

puntare sull'amministrazione fiduciaria italiana in Somalia. L'Italia per ottenere l'appoggio dei

paesi arabi membri dell'ONU, finì per appoggiare l'indipendenza immediata della Libia e della

Eritrea. Il 21 novembre del 1949 si giunse ad una prima risoluzione ONU che stabiliva

l'indipendenza della Libia entro il primo gennaio del 1952 e l'indipendenza della Somalia dopo dieci

anni di amministrazione fiduciaria ONU affidata all'Italia. Una seconda risoluzione delle Nazioni

Unite, il 2 dicembre 1950, stabiliva invece il rinvio della decisione sulle sorti dell'Eritrea43. (?)

Gli anni '40 furono gli anni della nascita del nazionalismo somalo. Il secondo conflitto

mondiale aveva visto la partecipazione diretta di molti somali negli eserciti occidentali, realtà

fortemente gerarchizzate, dove esistevano ordini e autorità ben definite, realtà che quindi si

42 TOUVAL S., op. cit., pag. 86-9343 ROSSI G., L'Africa italiana verso l'indipendenza (1941-1949), Giuffrè Editore, Roma, 1980, pag. 558-566

34

differenziavano molto dalla tradizionale struttura sociale somala, dove l'individualismo era una

caratteristica centrale. Allo stesso tempo le truppe Alleate propagandavano, in chiave antifascista,

ideali quali “libertà” e “autodeterminazione dei popoli”, concetti, in realtà, non sempre immediati

per i somali. Infine i progetti inglesi di formare una Grande Somalia influenzarono il nazionalismo

somalo che troverà sempre negli ideali pansomali e nell'idea di una diaspora un fondamento e un

motivo di forza. Sarà proprio sotto l'amministrazione britannica, più liberale e più tollerante verso le

idee progressiste rispetto a quella fascista, che verrà fondato nel 1943 a Mogadiscio il Somali Youth

Club che nel 1947 assumerà il nome di Somali Youth League (SYL), diventando il primo vero e

proprio partito politico nazionale somalo44. I fondatori della SYL provenivano soprattutto dal ceto

urbano ed erano legati alle attività commerciali o inseriti nell'amministrazione, tra loro troviamo

Abdulqadir Sekhawe Din, un importante religioso di Mogadiscio e Yasin Haji Isman Shermarke,

importante esponente del clan Migiurtino. La Lega troverà inoltre molti sostenitori tra i giovani

ufficiali della Gendarmeria somala. Il programma della SYL prevedeva l'unificazione di tutti i

territori considerati somali, il superamento della tradizionale struttura clanica, e la creazione di una

lingua scritta somala. La SYL si strutturerà come un vero partito, istituendo un'Assemblea

Generale, formata dai rappresentanti delle commissioni di Mogadiscio e di altre regioni, che doveva

eleggere un Comitato Centrale formato da tredici membri, tra cui un presidente, un vice-presidente,

un segretario generale e un tesoriere generale. Il Comitato Generale eleggeva, a sua volta, un

Comitato di Appello che era l'organo esecutivo del partito. A partire dal 1947 la SYL inizierà una

serie di campagne di mobilitazione per l'annessione dell'Ogaden e per il miglioramento delle

condizioni di lavoro nelle piantagioni e campagne sanitarie contro la tubercolosi (la maggiore causa

di morte in Somalia). Nel 1947 il SYL aveva 93.000 iscritti, 300.000 sostenitori e 79 sedi. In quegli

anni, soprattuto in preparazione dell'arrivo della Commissione delle Quattro potenze, che sarebbe

giunta in Somalia nel 1948, nascono anche altri partiti, spesso però legati a singoli clan o ad

interessi locali. Il più importante era il Hizbia Digale Mirifle, fondato nel 1947 da Sheikh Abdallah

44 SAMATAR A. I., op. cit., pag. 49-56

35

Sheikh Muhammad, che accusava la SYL, non a torto, di fare una politica a favore dei Samaale,

cioè di quei clan tradizionalmente nomadi e pastori, molti dei quali convertiti al commercio, che

tendevano a considerare caste inferiori i Sab, tradizionalmente sedentari e contadini. L'HDM

troverà l'appoggio della comunità italiana che fonderà la Conferenza Somala, un movimento creato

per difendere gli interessi italiani in Somalia e per chiedere alla Conferenza delle Quattro Potenze

un ritorno dell'Italia nella regione. La SYL aveva sempre dimostrato un forte senso antitaliano e in

questo veniva sostenuto da buona parte dell'Amministrazione britannica. L'antitalianismo della

Lega dei Giovani Somali non era privo di fondamento: l'Italia aveva lasciato una Somalia povera di

infrastrutture, i progetti agricoli statali, come Geneale, si erano dimostrati fallimentari, rovinati da

una politica monopolistica, tipica del sistema fascista; i somali erano stati esclusi dalla vita politica

e amministrativa ed era stato dimostrato da parte italiana poco interesse nei confronti dell'istruzione

e di un miglioramento delle condizioni sanitarie e lavorative. Gli inglesi furono visti da molti

somali come liberatori e si dimostrarono da subito più capaciti degli italiani. Per migliorare

l'agricoltura intervenirono attraverso una serie di liberalizzazioni, introducendo nuovi macchinari e

favorendo una maggiore partecipazione di somali e arabi nel commercio e incoraggiando una

coltivazione anche a uso locale45. Sotto l'amministrazione britannica venne potenziato, anche se non

di molto, il sistema scolastico, se nel 1941 esistevano solo tredici scuole nel 1947 c'erano

diciannove scuole governative elementari, pur rimanendo il problema del reclutamento di insegnanti

competenti, e raddoppiarono il numero di bambini frequentanti. Fu migliorato anche il sistema di

polizia, istituendo scuole per ufficiali, e la condizione di vita nelle carceri. Per tutti questi motivi la

SYL era vicino all'Amministrazione britannica e ostile all'Italia. L'Italia, cosciente di questo clima,

cercò degli alleati tra i gruppi ostili alla Lega, come l'HDM, ma anche tra alcuni gruppi Hawiye,

gruppo dominante a Mogadiscio, che vedevano con ostilità la Lega dei Giovani Somali perché

troppo vicina ai Darod, gruppo che stava accrescendo la sua importanza nelle attività economiche di

Mogadiscio. La conflittualità clanica era ben presente nei partiti politici, anche in quelli, come la

45 LEWIS I. M., op. cit., pag. 139-169

36

SYL, che dichiaravano di voler superare le divisioni claniche, e questa conflittualità venne sfruttata

da Gran Bretagna, sostenendo la SYL, e dall'Italia, sostenendo e finanziando i gruppi che si

opponevano al maggior partito somalo. La Commissione delle Quattro Potenze giunse a

Mogadiscio il 6 gennaio 1948, in un clima molto teso. L'11 gennaio fu permessa una manifestazione

della SYL per protestare soprattutto contro un possibile ritorno dell'Italia in Somalia. Nello stesso

giorno gli italiani e i gruppi somali che li sostenevano organizzarono una contro-manifestazione non

autorizzata. Le due manifestazioni si scontrarono e ci furono una serie di violenze che portarono

alla morte di cinquantadue italiani e quattordici somali. Risulta difficile ricostruire le dinamiche di

quella giornata e capire quali siano state le colpe, secondo gli italiani grosse responsabilità le ebbero

gli stessi ufficiali inglesi che diedero mano libera a membri della Gendarmeria, molti dei quali

sostenitori della SYL, di commettere violenze contro gli italiani46, secondo altre fonti, inglesi e

somale, italiani e sostenitori degli italiani furono i primi a provocare, attaccando con armi e

violenze i partecipanti alla manifestazione autorizzata che fino ad allora era stata pacifica47.

Nel 1948, anche a seguito della sconfitta del Fronte popolare in Italia, la Gran Bretagna si

mostrò meno ostile ad un ritorno dell'Italia in Somalia sotto amministrazione fiduciaria, ciò

significò, però, una rottura dei rapporti con la SYL e soprattutto la fine del sostegno britannico al

progetto di una Grande Somalia. Il 23 settembre la Gran Bretagna restituì all'Etiopia l'Ogaden, un

duro colpo per il nazionalismo somalo. La rottura dei rapporti tra nazionalisti somali e inglesi portò

un riavvicinamento tra alcuni membri della SYL, soprattutto i più anziani, e gli italiani, anche se

però l'ala più giovane e radicale rimase contraria ad un ritorno dell'Italia e puntava ancora sulla

creazione della Grande Somalia e fino alla risoluzione ONU del novembre del 1949 continuerà a

dimostrare il suo dissenso, anche se non troverà più il sostegno della polizia e dell'amministrazione

militare britannica48.

46 DEL BOCA A., op. cit., pag. 168-19747 LEWIS, op. cit., 139-165 e S. SAMATAR, op. cit., pag. 49-5648 DEL BOCA, op. cit., pag., 201-220

37

L'AFIS e il Somaliland britannico (1950-1960)

La risoluzione dell'ONU del 21 novembre del 1949 stabiliva un ritorno dell'Italia in Somalia

attraverso Amministrazione Fiduciaria (AFIS) a partire dal 1° aprile del 1950. L'operato italiano in

Somalia veniva controllato da un Concilio Consultivo delle Nazioni Unite con sede a Mogadiscio.

Nella scelta dell'Amministratore da inviare in Somalia la Farnesina voleva dare un'immagine del

ritorno italiano in Africa lontano da compromessi con protagonisti del regime fascista, per questo

l'iniziale scelta di dare l'incarico al generale Guglielmo Nasi, che era responsabile di esecuzioni

sommarie ad Harar di patrioti etiopici, fu esclusa e al suo posto fu scelto un democristiano,

diplomatico di professione, già ambasciatore in Cile, Giovanni Fornari, il quale però non aveva

conoscenza della Somalia. Sebbene Fornari non fosse un fascista, rimanevano all'interno

dell'amministrazione fiduciaria molti esponenti che avevano collaborato con il passato regime. Il 1°

dicembre 1949 venne costituito il Corpo di Sicurezza da inviare in Somalia, guidato dal generale

Arturo Ferrara che aveva già operato nel Corno. Tra febbraio e marzo giunsero i primi contingenti

italiani formati da 5.668 uomini. Il Corpo di Sicurezza iniziò subito l'addestramento di reparti

somali volontari incontrando, come riferirà lo stesso generale Ferrara, collaborazione dai somali del

centro-sud, ma una certa ostilità dai somali delle regioni settentrionali. Il passaggio di consegna dei

poteri dall'amministrazione britannica a quella italiana avvenne pacificamente, poche furono le

manifestazioni di protesta. L'amministratore Fornari si dimostrerà, fin dall'inizio, non senza

paternalismo, disposto ad instaurare buoni rapporti con i somali che mostravano di voler

collaborare, ma severo con coloro che si opponevano all'amministrazione italiana. Alla fine del

1950 erano stati arrestati già 106 somali per ragioni politiche, molti di questi esponenti della Lega

dei Giovani Somali49. Per il mantenimento dell'ordine pubblico fu istituita una forza di polizia

guidata da 26 ufficiali italiani e composta 2.416 sottufficiali e agenti sia somali che italiani50.

Nel 1950 la situazione della Somalia, uno dei paesi più poveri al mondo, era pessima: il

49 LEWIS I. M., op. cit., pag. 139-16550 DEL BOCA A., op. cit., pag. 221-269

38

99,40% della popolazione, che contava 1.242.000 abitanti, era analfabeta, c'era un medico ogni 60

mila abitanti, la guerra aveva distrutto gran parte delle opere di irrigazione, molte terre erano tornate

incolte, le attività minerarie e di pesca erano state interrotte, la rete stradale era in cattivo stato. In

alcune zone della Somalia, come la Migiurtinia, si soffriva la fame.

L'AFIS era guidata da un amministratore, nominato dal presidente della Repubblica, con

poteri legislativi, amministrativi e giurisdizionali e di capo supremo dell'esercito; il segretario

generale aveva compiti di collaborazione e di sostituzione; dall'amministratore generale

dipendevano servizi divisi in sei direzioni generali, quelli che sarebbero diventati i ministeri del

futuro stato somalo; a livello territoriale trovavamo sei commissariati regionali divisi in 28

residenze. Nel 1950 operavano nell'amministrazione 4.426 persone, 760 erano italiani, 3.641 erano

somali e 25 di altre nazionalità.

I rapporti tra la Lega dei Giovani Somali e l'AFIS rimasero tesi nei primi quattro anni. Il

sottosegretario agli Esteri Brusasca, in visita in Somalia nel maggio del 1950, incontrerà Aden

Abdulla Osman, uno dei leader del SYL, e il colloquio fu a tratti duro anche se Aden dichiarerà di

voler collaborare con l'AFIS. Nonostante questo incontro il SYL continuerà a rimanere ostile

all'AFIS inviando lettere di denuncia alle Nazioni Unite, accusando l'amministrazione italiana di

essere una forma di occupazione e di utilizzare contro l'opposizione sistemi fascisti. Di fronte a

queste proteste Forani iniziò un politica più morbida verso gli oppositori politici, ricercando una

maggiore collaborazione, adottando, però, anche forme di corruzione per far defilare membri o

finanziatori dai movimenti di opposizione. Le lamentele della Lega non erano prive di fondamento,

all'interno dell'amministrazione italiana e tra gli stessi italiani che vivevano in Somalia c'era molto

spirito nostalgico per il passato regime, molti erano i neofascisti e gli iscritti al Movimanto Sociale

Italiano (MSI), che consideravano ancora la Somalia una terra di conquista, dove gli atteggiamenti

razzisti erano ancora molto forti e diffusa era la prostituzione.

Forani, di fronte ai nuovi tagli del governo italiano da destinare alla Somalia, decise di ridurre

39

drasticamente le spese dell'Amministrazione, effettivamente troppo dispendiosa. Tra il 1950 e il

1953 il Corpo di Sicurezza formato da 5.688 soldati venne ridotto a 692 unità italiane perché

subentrano, tra l'altro, 1.398 somali. Nella polizia c'erano 1.925 somali e 275 italiani. Forani nel

settembre del 1950 istituirà una scuola di preparazione politica e amministrativa per garantire un

minimo di preparazione ai futuri amministratori e uomini politici somali. Il 30 dicembre del 1950

creerà il Consiglio territoriale, un organo con funzioni consultive composto da 35 membri, di cui 27

somali, con il compito di mediare tra somali e AFIS, ma anche tra gruppi clanici e partiti politici.

Vennero poi istituiti i Consigli municipali, nei maggiori centri abitati, e i Consigli Distrettuali, nelle

aree rurali, con compiti consultivi.

Nel 1954 Fornari venne sostituito da Enrico Martino. Nel marzo 1954 si svolsero le elezioni

amministrative, le prime elezioni in cui erano chiamati a votare i somali. Nelle 35 municipalità si

presentarono il 75% dei 50.740 aventi diritto di voto e una cinquantina di partiti, molto spesso

rappresentanti di singoli clan o lignaggi. La vittoria di queste elezioni andò alla Lega de Giovani

Somali con il 47,7% dei suffragi, seguì l'HDM e altri seggi andarono a partiti minori, tutti sostenuti

e finanziati dall'Italia. Dopo le elezioni del 1954 i rapporti tra AFIS e SYL andarono migliorando,

sia perché Martino capì che era ormai impossibile fare una politica a prescindere dalla Lega, sia

perché la Lega riconobbe all'Italia di aver garantito libere elezioni che permisero la vittoria della

SYL. I rapporti tra AFIS e Lega dei Giovani Somali rimasero comunque non privi di tensioni. Le

elezioni del 1954 portarono all'unione di sei partiti moderati in un unico partito, il Partito

Democratico Somalo. Con queste elezioni i Consigli municipali ebbero funzioni deliberative e i

somali molti poteri nel campo dell'amministrazione locale.

Il 6 settembre 1954 venne istituita la bandiera somala: una bandiera azzurra con una stella

bianca al centro con cinque punte, rappresentanti le cinque Somalie non ancora unificate, una

bandiera simbolo dell'irredentismo, caratteristica fondamentale del nazionalismo somalo.

A metà mandato il processo di somalizzazione era progredito notevolmente: 4.213

40

amministratori erano somali e solo 684 italiani o di altre nazionalità. Nel 1952, con il sostegno

dell'UNESCO, l'AFIS aveva dato l'avvio ad un programma quinquennale per lo sviluppo

dell'educazione. Nel 1957 31 mila erano i somali che frequentavano le scuole elementari, 246

frequentavano le scuole secondarie, 336 gli istituti tecnici e un centinaio gli istituti universitari

all'estero51, era un notevole passo in avanti se si pensa che nel 1950 la popolazione scolastica era

solo di 3 mila unità, pur rimanendo il grosso problema di istruire la maggioranza della popolazione

nomade. Nel 1950 fu fondata la Scuola di Politica e Amministrazione, un'istituto con il compito di

preparare la classe dirigente somala. Nel 1954 venne istituito un Istituto Superiore di Legge e

Economia che permetteva l'ingresso a due anni di specializzazione all'Università di Roma. Nel 1955

secondo dati ONU l'Italia aveva speso per la Somalia circa 45 miliardi di lire.

Riguardo la salute pubblica, nonostante la spesa elevata, la situazione rimaneva grave poiché

vi era un solo un posto-letto ogni 651 abitanti. Il sottosegretario agli Esteri italiano Badini-

Confalonieri individuava tra i motivi del sottosviluppo in Somalia i continui tagli da parte del

governo, dai 9 miliardi promessi nel 1950 si era scesi a soli 5 miliardi, la mancanza di credito a

lunga e breve scadenza, che non permetteva la crescita di imprese private, la monocoltura bananiera

e il trattamento privilegiato ai 200 concessionari italiani. La spesa militare era inoltre spropositata, 2

degli 8,5 miliardi di bilancio andava alle Forze armate e 1 miliardo alle Forze di Polizia.

Martino, prima di lasciare il suo incarico nel 1955 al diplomatico Anzillotti, organizzerà le

prime elezioni politiche somale per eleggere i membri del Consiglio Territoriale, trasformandolo

così in Assemblea Legislativa52. Le elezioni si terranno il 29 febbraio 1956, attraverso un sistema

che prevedeva, per le popolazioni che vivevano nelle amministrazioni municipali un voto in forma

diretta e segreta, mentre per le popolazioni nomadi della boscaglia, il 70% della popolazione

avente diritto di suffragio, un voto indiretto e a suffragio pubblico. La decisione di adottare questo

sistema dipendeva dalla necessità degli amministratori italiani di mediare tra una popolazione

51 LEWIS I. M., op. cit., pag. 139-16552 DEL BOCA A., op. cit., 221-269

41

sedentaria, che viveva nelle municipalità, più vicina ai cambiamenti e al nazionalismo nascente, e

una popolazione nomade, ancora ancorata ad un sistema clanico e tradizionale, che faticava a

comprendere un sistema politico e sociale al di fuori del proprio clan53. La vittoria anche questa

volta andò alla Lega dei Giovani Somali, che ottenne 43 dei 60 seggi destinati ai somali, l'HDM

ottenne 13 seggi, il Partito democratico ottenne solo 3 seggi e l'Unione dei Marehan ne ottenne solo

1, 4 seggi furono dati agli italiani, 4 agli arabi e 2 agli indo-pakistani. L'Assemblea nel maggio del

1956 approverà una legge che diede vita al primo governo della Somalia, diviso in 5 ministeri,

affari interni, sociali, economici, finanziari e generali. Il primo ministro somalo fu l'ex segretario

generale della SYL, Abdullahi Issa Mohamud. L'Assemblea aveva pieni poteri sugli affari interni,

all'AFIS rimaneva il controllo sulla politica estera e il potere di veto sulle decisioni dell'Assemblea

Legislativa54. Il partito vincitore, la SYL, era formato da esponenti dei diversi clan, ma rimanevano

tensioni interne: i Darod erano il 50% dei membri del partito, gli Hawiye il 30%, i Digil-Mirifle il

10% e l'ultimo 10% erano esponenti di altri gruppi. I Darod venivano accusati di monopolizzare la

politica della Lega, per questo nella designazione dei ministri si decise di favorire gli Hawiye, a cui

furono dati 5 ministeri, ai Darod ne furono assegnati solo due e ai Dir soltanto uno. Questa

decisione portò però la scissione di un gruppo di Darod dalla SYL. Oltre a problemi interni

rimanevano i conflitti tra la Lega e l'HDM, il partito dei Digil e Rahanweyn, che aveva ottenuto 13

seggi in parlamento e faceva dura opposizione al governo, accusato di discriminare i Sab. La

tensione tra i due partiti salì con l'assassinio, in circostanze non ancora chiarite, di un importante

membro dell'HDM, Ustad 'Ismn Muhammad Husseyn.

Il 1° gennaio 1956 venne sciolto il Corpo di sicurezza con il rimpatrio dei soldati italiani e il

personale somalo venne inserito nella nuova Forza di polizia della Somalia. Il 2 febbraio 1956

venne sostituito l'ordinamento giudiziario fascista con un nuovo ordinamento più liberale.

Durante l'AFIS le migliori terre fertili della Somalia erano in mano a 200 concessionari

53 TOUVAL S. op. cit., pag. 85-9954 LEWIS I. M. op. cit., 139-165

42

italiani che detenevano 73.917 ettari di terra. Molti di questi concessionari erano iscritti al

Movimento Sociale Italiano, nostalgici di quel regime coloniale che gli aveva garantito una serie di

privilegi, tra cui manodopera a basso costo e facilità nel reclutarla. La comunità italiana in Somalia

non accettava il cambiamento, considerava dannosa la somalizzazione attuata dall'AFIS. A livello

agricolo negli anni '50 si venne ad accentuare il sistema monocolturale, producendo soprattuto

banane, nei comprensori del Giuba e del Genale, e canna da zucchero, nella azienda della SAIS. La

monocoltura delle banane era favorita dall'Azienda Monopolio Banane che garantiva la vendita

delle banane somale in Italia, banane con costi di produzione elevati e non di grossa qualità. Nel

1959 l'esportazione di banane rappresentavano il 61% delle esportazioni dalla Somalia, dai 60 mila

quintali che si esportavano nel 1949 si arrivò nel 1960 ad esportarne 730 mila.

Nel 1954 l'AFIS cercherà di migliorare a livello economico la situazione somala attraverso

l'istituzione del Piano di Sviluppo Settennale, con l'aiuto di Stati Uniti e agenzie delle Nazioni

Unite. Il Piano prevedeva una spesa di 4 milioni di sterline da utilizzare nell'irrigazione, nella

bonifica di nuovi terreni, soprattutto lungo il fiume Scebelli, nella costruzione di argini, di silos, di

fattorie di nuove produzioni. Il piano prevedeva aiuti anche alle popolazioni nomadi con la

costruzione di nuovi pozzi55. Venne anche istituita una banca, il Credito Somalo, per facilitare lo

sviluppo agricolo. Il Piano voleva porre fine alla politica agricola delle grandi piantagioni

monocolturali e favorire uno sviluppo indigeno più variegato. Il Piano di Sviluppo non portò però a

grandi cambiamenti, la Somalia rimase un paese molto povero e arretrato. Le entrate tra il 1950 e il

1956 raddoppiarono, giungendo a 2 milioni di sterline l'anno, ma le spese, seppur diminuendo,

rimasero di 5 milioni di sterline, la bilancia dei pagamenti rimaneva quindi in notevole disavanzo.

Durante gli anni dell'AFIS si ripresentarono problemi di confine con l'Etiopia. La linea De

Candole, fissata dagli inglesi nel 1950, scontentava sia gli etiopici, che rivendicavano territori più a

sud secondo l'interpretazione del trattato italo-etiopico del 1908, sia i somali che consideravano

l'Ogaden territorio della Somalia. L'Italia non cercherà di risolvere il problema perché da un lato si

55 LEWIS I. M., op. cit. 139-165

43

voleva presentare protettrice dei somali, dall'altro cercava una politica di pacificazione con

l'Etiopia. Gli scontri lungo il confine erano frequenti, dovuti alla necessità di transumanza dei

somali in territorio etiopico. La politica di equidistanza non venne realizzata in realtà dall'Italia che

si trovò ad appoggiare le popolazioni somale lungo i confini, sia per prendersi le simpatie della

Lega, sia per estendere il proprio controllo nei territori di confine con l'Etiopia. Nel settembre del

1951 il viaggio di Brusasca ad Addis Abeba porta un miglioramento nei rapporti tra Etiopia e Italia

ma non risolve il problema delle frontiere. Il 29 novembre del 1954 la Gran Bretagna restituì

all'Etiopia l'Haud e le Rserved Areas, territori annessi durante la seconda guerra mondiale al

Somaliland, ma dove rimaneva alta la presenza di somali. L'operazione fu vista dai nazionalisti

somali un ennesimo tradimento degli europei al progetto di una Grande Somalia. Nonostante le

pressioni dell'Onu affinché Etiopia e Italia raggiungessero un accordo sui confini, gli incontri tra le

due parti, che si svolsero nel 1956, furono inconcludenti. Hailè Selassiè, che nell'estate del 1956 si

trovava nell'Ogaden, tenne un discorso a Gabredarre presentandosi come una sorta di liberatore dei

somali e sostenendo che la Somalia doveva seguire l'esempio dell'Eritrea e di unirsi all'Etiopia

poiché era l'unico modo per lo stato somalo di sopravvivere. Nel settembre del 1956 il primo

ministro somalo Abdullahi Issa Mohamud sottolineerà l'urgenza di risolvere il problema del confine

somalo-etiopico, ma si dimostrerà disponibile a collaborare con l'Etiopia. Nel corso del 1957 le

relazioni tra i due paesi andarono peggiorando, Hailè Selassiè manteneva l'idea che la Somalia,

paese sottosviluppato, necessitava dell'assistenza dell'Etiopia, paese dove si trovano, inoltre, le

sorgenti dei fiumi somali del Giuba e dell'Ubi Scebeli. I dirigenti somali sentirono sempre più la

necessità di giungere ad una risoluzione dei confini prima dell'indipendenza perché temevano un

colpo di mano dell'Etiopia. Nel 1959 l'AFIS diede l'autorizzazione alla prima Conferenza

pansomala internazionale nella quale si proclamava, attraverso mezzi pacifici e legali, l'unità e

l'indipendenza di tutti i territori somali, compreso l'Ogaden etiopico. Questa conferenza fece saltare

gli accordi e la possibilità di un dialogo con l'Etiopia per precisare i confini tra i due paesi.

44

Il governo uscito dalle elezioni del 1956, presieduto da Abdullahi Issa Mohamud, aveva il

compito di portare la Somalia verso l'indipendenza e di affrontare i molti problemi che affliggevano

ancora il paese; doveva impegnarsi a stabilizzare un'economia precaria, ad attrarre capitali e aiuti

stranieri, ad aumentare le entrate espandendo il sistema di tassazione56. Il governo si impegnò anche

ad introdurre un sistema giuridico moderno, entrando però in conflitto sia con il sistema clanico

tradizionale, sia con le autorità religiose, i Kadis, i magistrati musulmani. Fu vietato ai partiti

politici di chiamarsi con il nome del clan di appartenenza, misura che era particolarmente

indirizzata al maggiore partito di opposizione, l'Hizbia Dighil Mirifle, che dovette assumere il nome

di Hizbia Dastur Musyaqil Somali (Partito Somalo Indipendente Costituzionale). Venne anche

proibito di chiamare con il nome dispregiativo di sab quei gruppi clanici da sempre discriminati in

Somalia. Nel settembre del 1957 venne istituita dal governo una commissione per preparare una

costituzione per il nuovo stato somalo, con l'aiuto anche di consiglieri e tecnici italiani e tenendo in

considerazione l'esperienza di altri stati africani che si stavano preparando all'indipendenza. Furono

anche istituite una serie di riforme che dovevano preparare il terreno per il raggiungimento

dell'indipendenza: il 30 settembre 1956 vennero istituiti all'interno degli enti locali i Consigli

municipali, le Giunte e i Sindaci, seguendo il modello italiano; il primo dicembre 1957 venne

approvata una legge che stabiliva lo status di cittadinanza somala; il 6 settembre 1957 venne

nominato un comitato politico e uno tecnico con il compito di preparare la Costituzione della

Somalia; il 25 giugno 1958 venne approvata la legge n. 15 che istituiva il suffragio universale,

diretto, libero e segreto57. Nella creazione della costituzione esistevano pareri discordanti tra la

SYL, favorevole ad uno stato centralizzato, e l'HDMS, favorevole ad uno stato federale che

garantisse molta autonomia alle singole regioni, e naturalmente su questo punto vinse la tesi della

SYL avendo la maggioranza assoluta dei seggi. La SYL, sebbene forte in parlamento, aveva una

serie di debolezze al suo interno, continuavano ad esempio le rivalità tra Darod e Hawiye58. Oltre a

56 LEWIS I. M., op. cit., 139, 16557 DEL BOCA A. op. cit., pag. 270-30558 LEWIS I. M., op. cit., 139-165

45

divisioni claniche esistevano delle divisioni politiche che si fecero evidenti nel luglio del 1957,

quando fu nominato a capo della Lega Haji Muhammad Hussein, che accusava il governo di essere

troppo vicino agli italiani e di disinteressarsi al problema del Pansomalismo ma anche ai problemi

sociali che affliggevano i somali, come ad esempio le condizioni di semi schiavitù in cui vivevano

molti lavoratori nelle piantagioni italiane. Le differenze nella SYL riguardavano anche la politica

estera, dove il governo aveva assunto posizioni filo-occidentali, mentre l'ala guidata da Haji

Muhammad si sentiva vicina all'Egitto di Nasser e ai paesi Non Allineati. La Lega era divisa anche

sulla questione dell'introduzione di una lingua scritta somala, tra chi voleva utilizzare l'alfabeto

arabo, chi quello romano e chi creare un apposito alfabeto, l'Osmaniya. Nella aprile del 1958 la

fazione di Haji Muhammad si staccò dalla SYL per fondare la Greater Somali League (GSL).

Nell'ottobre del 1958 si svolsero nuove elezioni municipali, dove anche le donne, per la prima volta,

furono chiamate a votare. La vittoria ancora una volta andò alla SYL con 416 su 663 seggi, segue

l'HDMS con 175 seggi, il GSL con 36 seggi e il Liberal Party (partito a maggioranza Hawiye ma

sostenuto anche da clan dir come i Bimal)59 con 27 seggi60. Nel marzo del 1959 ci furono nuove

elezioni politiche per eleggere la nuova assemblea nazionale. Le elezioni furono precedute da un

periodo di duri scontri tra SYL, partito che si sentiva ormai unico depositario del nazionalismo

somalo, e i partiti dell'opposizione che accusavano il partito di maggioranza di monopolizzare la

politica somala e di agire contro l'opposizione con mezzi antidemocratici. In febbraio, dopo una

manifestazione che portò alla morte di due persone e 17 feriti, il governo decise di arrestare Haji

Muhammad Hussein e di chiudere le sedi del GSL. La vittoria nelle elezioni di marzo sarà ancora

una volta della SYL che troverà anche il sostegno di gruppi Digil e Rahanweyn che vedevano più

utile per i propri interessi sostenere un partito di maggioranza che un partito condannato

all'opposizione come l'HDMS. Ci fu una ulteriore sconfitta per l'GSL che ufficialmente aveva

boicottato le elezioni. La SYL ottene 83 seggi su 90, 2 andarono al Liberal Party e 5 all'HDMS. Il

59 TOUVAL S., op. cit., pag. 85-10060 LEWIS I. M., op. cit., pag. 139-165

46

nuovo governo si insedierà soltanto a giugno per dissidi interni al partito di maggioranza. La SYL,

anche se continuava a definirsi nazionale, era caratterizzata ancora da scontri tra clan e singole

personalità; leader darod come i migiurtini Abdar-Rashid Ali Shermarke e Abd ar-Razaq Haji

Hussein, che criticavano la condotta di Abdullahi Issa accusato di favorire gli Hawiye, furono

espulsi dal partito ma saranno riammessi nel governo, poiché si voleva dare un'immagine della

Somalia, prossima all'indipendenza, inter-clanica61: primo ministro ancora una volta fu Abdullahi

Issa ma incarichi importanti furono anche dati ai membri dell'HDMS, Muhammad 'Abdi Nur

(Digil) ministro dell'industria, Abdi Nur Muhammad Hussein (Rahanweyn) ministro degli Affari

Generali.

Nel Somaliland Britannico la fine del conflitto non portò grossi cambiamenti, lo sviluppo sia

politico che economico procedette in modo molto lento. Il governo si impegnò soprattutto nello

sviluppo nel campo dell'educazione, anche se solo una piccola parte della popolazione fu

interessata. Nel 1952 ad Harghesia fu istituita una scuola commerciale, nel 1953 a Burao fu

costituita la prima scuola governativa femminile. Sempre nel 1953 venne fondata la prima scuola

secondaria, necessaria per ottenere il Certificato Generale di Educazione con il quale si poteva

andare a studiare all'estero. Venne anche istituito Ufficio Somalo per l'Educazione62.

A livello economico nel Somaliland non ci furono grossi sviluppi, ci fu una crescita nelle

esportazioni di pelli ma non ci furono altre attività significative. A livello agricolo fu costruito un

sistema di irrigazione vicino a Burao e furono fatte delle ricerche a livello geologico per individuare

l'esistenza di minerali.

A livello politico non ci furono grossi rinnovamenti, rispetto alla Somalia italiana nel

Somaliland ci fu un ritardo nella coscienza nazionale, anche perché la scarsità di acqua e di pascoli

favoriva la conflittualità e la frantumazione politica63. Nel 1950 il Governatore diede il titolo di

Autorità Locali a degli Akils, dandogli poteri giuridici superiori a quelli tradizionali, infatti, in un

61 TUOVAL S., op. cit., pag. 85-10062 LEWIS I. M., op. cit., 139-16563 TOUVAL S., op. cit., 85-100

47

primo tempo, ci furono una serie di resistenze contro questo provvedimento, ma poi venne

accettato, anche perché queste Autorità locali percepivano un salario molto basso e la loro autorità

rimaneva limitata. Nei maggiori centri abitati vennero aperti dei consigli distrettuali, nel 1954 a

Berbera e Harghesia vennero eletti i primi rappresentanti dei consigli municipali con responsabilità

soprattutto finanziare. A livello nazionale rimaneva l'Advisory Council, un organismo consultivo

con il compito di discutere sui principali obiettivi nella politica del Somaliland, come ad esempio la

discussione sull'abolizione della compensazione di sangue, un sistema tradizionale che era fonte di

violenti conflitti tra clan.

Fino al 1954 la politica dei partiti somali nel Protettorato era molto debole. I due maggiori

partiti nazionali, il Somali National League (partito fondato nel 1945) e il ramo del Somali Yuoth

League, non avevano grossa influenza su una società molto ancorata ad un sistema clanico. La

situazione politica cambiò il 29 novembre 1954, quando la Gran Bretagna firmò un trattato con

l'Etiopia dove si prevedeva il ritiro immediato dell'Autorità britannica dall'Haud e dalla Reserved

Areas, territori utilizzati dai pastori somali per i pascoli. Il trattato anglo-etiopico fu firmato senza

consultare i somali e questo comportò una serie di proteste dei nazionalisti che vedevano una sorte

di tradimento da parte dei britannici. Tra i maggiori leader nazionalisti troviamo Micheal Mariano,

cristiano, fondatore del National United Front (NUF). I nazionalisti somali oltre alla restituzione

dell'Haud, chiedevano anche l'indipendenza del Protettorato rimanendo però all'interno del

Commonwealth britannico. Nonostante l'intensa attività politica, soprattutto da parte dell'NUF, e i

tentativi da parte della Gran Bretagna di trovare un compromesso con l'Etiopia, l'Haud rimase sotto

l'impero abissino. Dal 1955 il nazionalismo somalo nel Protettorato era sempre più pressante e le

autorità britanniche si mostrarono sempre più disponibili a concedere maggiori autonomie ai somali

per prepararli ad una futura indipendenza, senza escludere l'unificazione con la Somalia italiana.

Nella seconda metà degli anni '50 furono aperte nuove scuole, molti somali furono promossi a

livelli superiori sia nell'amministrazione che nella polizia. Nel 1957 fu istituita la prima assemblea

48

legislativa, con sei membri nominati dal governo da una lista di 24 candidati proposti da una serie di

assemblee dei maggiori clan svoltesi ad Harghesia, escludendo però così i partiti politici. Nel marzo

1959, comunque, si giunse alle prime elezioni politiche nel Somaliland, a suffragio universale

maschile, per eleggere i 20 membri elettivi del nuovo Consiglio legislativo formato da 37 membri.

Le elezioni furono però boicottate dalla Somali National League, il maggior partito del Protettorato,

sostenuto da tutti i clan Issaq, ad eccezione dei Habar Tol Ja'lo più vicini al NUF. La maggioranza

dei seggi la ottenne la SYL, sostenuta soprattutto dai Darod e dai Dir, minoranze nel Protettorato,

sette seggi andarono al NUF, e uno solo alla SNL. All'inizio del 1960 furono indette nuove elezioni

per la formazione di una nuova assemblea legislativa che avrebbe dovuto formare il governo

indipendente. La vittoria fu dell'SNL che ottenne 20 sui 33 seggi, l'NUF, alleato con SYL, ottenne

solo un seggio, dodici seggi furono ottenuti dall'United Somali Party (USP), un nuovo partito

sostenuto da Darod e Dir e alleato alla SNL. Primo ministro divenne Muhammad Haji Ibrahim

Egal, leader della SNL.

Alla fine degli anni '50 i rapporti tra le due Somalie si fecero sempre più stretti, i leader del

Somaliland parteciparono a Mogadiscio al Movimento nazionale Pansomalo che aveva come

obiettivo l'unione di tutti i somali, attraverso mezzi pacifici e legali. Sia tra i nazionalisti del nord

che del sud della Somalia l'unificazione tra le due realtà era vista come il primo passo verso la

creazione di una Grande Somalia.

Nel dicembre del 1959 l'Assemblea Generale dell'ONU dichiarerà che l'Amministrazione

Fiduciaria Italiana si sarebbe conclusa il primo luglio del 1960. Nel gennaio del 1960 l'Assemblea

legislativa ottenne poteri costituenti, ma i tre partiti più importanti dell'opposizione (HDMS, GSL,

Unione nazionale somala), chiamati a partecipare alla preparazione della futura costituzione, si

rifiutarono di parteciparvi. La costituzione sarà approvata il 21 giugno 1960, per poi essere

sottoposta a referendum popolare. Nel febbraio del 1960 avvennero nuove elezioni nel Somaliland.

I movimenti politici erano tutti favorevoli all'unificazione con la Somalia, ma esistevano delle

49

differenze sui tempi e i modi. Per alcuni esponenti come Michael Mariano, o membri dell'USP,

l'unificazione doveva essere graduale, poiché tra le due regioni somale esistevano differenze sia a

livello economico che amministrativo. Il 6 aprile 1960 un concilio legislativo decise all'unanimità

per l'immediata indipendenza e per l'unità della Somalia entro il 1° luglio 1960. La decisione venne

accettata dalla Camera dei Comuni inglese e si decise di organizzare nel maggio una conferenza per

discutere l'indipendenza. A metà aprile delegati del Protettorato si incontrarono con membri del

governo di Mogadiscio per giungere ad un accordo sulla costituzione del nuovo stato che prevedeva

un Presidente, capo di stato eletto, e un governo formato da un Concilio di Ministri che rispondeva

ad un unica assemblea legislativa. A livello amministrativo, giuridico e economico rimanevano

alcune funzioni separate tra le due regioni. Il 26 giugno 1960 il Somaliland raggiunse la piena

indipendenza e il 1° luglio si unificò con l'ex Somalia italiana. Le due legislature si unificarono a

Mogadiscio e il presidente della Repubblica provvisorio fu nominato Adan 'Abdulle Osman. La

costituzione della Repubblica sarebbe stata ratificata l'anno successivo da un referendum nazionale.

Già il primo giorno d'indipendenza, nonostante l'entusiasmo dimostrato da gran parte della

popolazione di Mogadiscio, durante le cerimonie per la nascita del nuovo stato, ci furono le prime

manifestazioni di protesta dei partiti di opposizione, come il GSL e HDMS che chiedevano subito

nuove elezioni e consideravano la Lega una realtà troppo compromessa con gli stati imperialisti e

incapace di portare fino in fondo la creazione di una Grande Somalia. La manifestazione venne

duramente repressa dalla polizia e ci furono scontri a fuoco che portano alla morte di due

manifestanti. Il governo guidato da 'Abdullahi 'Issa propose misure restrittive e persino di chiudere

i partiti dell'opposizione, dimostrando la tentazione del premier di fare della Somalia uno stato a

partito unico, sull'esempio del Ghana di Nkrumah, ma le posizioni autoritarie di 'Abdullahi 'Issa

vennero ridimensionate dagli altri esponenti del governo. Il 7 luglio dall'Assemblea Nazionale,

formata da 33 seggi di settentrionali e 90 meridionali, venne eletto presidente della Repubblica

Jama' Abdillahi Qalib(?), esponente della SNL. Il 22 luglio venne proclamato il nuovo governo

50

formato da 14 ministeri ripartiti tra membri del sud e del nord: Dr'Abd ar-Rashid'Ali Shermarke

(politico della SYL ma ostile a 'Abdillahi 'Ise e che godeva di simpatie nella GSL) fu nominato

Primo Ministro, Abdi Hassan Boni (USP) venne nominato vice-premier, Muhammad Haji Ibrahim

Igal (SNL) ministro della Difesa, 'Ali Gerad Jada (USP) Ministro dell'Educazione, 'Abd ar-Razaq

Haji Husseyn (SYL) Mnistro dell'Interno e 'Abdullahi 'Issa (SYL) Ministero degli Esteri64.

La nuova Repubblica Somala non era ancora autosufficiente a livello economico, necessitava

ancora di aiuti e assistenza estera. La Gran Bretagna diede per il primo anno di indipendenza 1,5

milioni di sterline attraverso un programma di assistenza tecnica che prevedeva tra l'altro il

pagamento dei salari di impiegati coloniali che sarebbero rimasti ancora sei mesi in Somalia.

L'Italia promise 3 milioni di sterline, in parte utilizzati per pagare i salari di un gruppo di esperti

italiani al servizio del governo somalo e per offrire borse di studio per l'Italia a un centinaio di

studenti somali65. Il commercio tra i due paesi rimase caratterizzato dal mantenimento del

monopolio delle banane che obbligò la Somalia ad una stretta dipendenza all'Italia anche per i beni

da importare. La Somalia ricevette aiuti anche dagli Stati Uniti, dall'Egitto, dai paesi del blocco

sovietico e da agenzie delle Nazioni Unite.

L'unificazione della Somalia era stata contestata dall'Etiopia che vedeva in questa nuova realtà

una minaccia per il proprio territorio e un primo passo verso la creazione di una Grande Somalia.

Timori simili li aveva la Francia, per quanto riguardava Gibuti, ma anche la stessa Gran Bretagna,

che pur avendo sostenuto l'unificazione somala, era preoccupata per la regione keniota del Northern

Frontier District.

64 LEWIS I. M. op. cit., 139-16565 DEL BOCA A. op. cit., pag. 270-305

51

Capitolo IIDall'indipendenza al colpo di stato del '69

Il problema dell'integrazione tra le due Somalie e la Costituzione del '61

La Somalia indipendente doveva affrontare una serie di problemi di natura amministrativa,

politica ed economica. La Repubblica somala era il risultato di un'unificazione affrettata tra due

realtà coloniali differenti, quella italiana e quella britannica. L'entusiasmo che aveva accompagnato

le celebrazioni dell'indipendenza e dell'unificazione, nel giro di pochi mesi si era trasformato in

malumore e ostilità da parte dei somali del Nord nei confronti del resto della Somalia e soprattutto

della classe politica che operava nella lontana Mogadiscio: tra Harghesia, l'ex capitale del

Protettorato britannico, e Mogadiscio non esisteva una linea telefonica, c'erano solo due voli

settimanali e via terra ci volevano tre giorni attraverso una strada di 1.500 chilometri che oltretutto

doveva passare attraverso l'Etiopia e che durante le stagioni delle piogge era spesso impraticabile66.

Le gravi difficoltà di comunicazione finirono per isolare Harghesia e nel nord del paese ci fu un

sostanziale declino economico e politico per l'esodo di funzionari pubblici verso Mogadiscio. Le

differenze tra nord e sud erano in realtà più evidenti sulla costa, dove si trovavano i centri

amministrativi ed economici, nell'interno, invece, il dominio di una tradizione pastorale manteneva

più omogeneità tra le due regioni. Uno dei maggiori problemi nel processo di integrazione erano le

diverse condizioni di servizio e di salario dei funzionari pubblici, delle forze di polizia e

dell'esercito. Nel Somaliland il sistema coloniale britannico, basato sull'English Common and

Statute Law e sul Codice Penale Indiano, impediva ad un funzionario pubblico di candidarsi per

compiti politici, i funzionari tendevano ad essere professionisti e ad avere stipendi più elevati

rispetto ai funzionari dell'ex Somalia italiana, dove invece molto spesso gli impiegati statali

avevano anche compiti politici, favorendo così fenomeni di corruzione67. Il processo di integrazione

delle due Somalie portava una serie di problemi nell'attuazione di politiche fiscali ed economiche,

66 TOUVAL S., op. cit., pag. 10967 LAITIN D. D. e SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 69-70

52

poiché per decenni le due due regioni avevano vissuto con sistemi commerciali e partner economici

diversi: alla fine degli anni '50 solo lo 0,8% delle esportazioni e delle importazioni andavano dalla

Somalia italiana al Somaliland e solo lo 0,1% dal Somaliland alla Somalia italiana. Il 77,1% delle

esportazioni e il 51,1% delle impotazioni della Somalia italiana andavano per/dall'Italia, mentre il

55,1% delle esportazioni e il 54,9% delle importazioni del Somaliland andavano per/dal

Commonwealth68. Il sistema tariffario, inoltre, era più elevato nel sud del paese e abbassare le tasse

significava ridurre molte delle entrate del governo, ma, allo stesso tempo, imporre il sistema

tariffario dell'ex Somalia italiana a tutto il paese significava far lievitare i prezzi nel Nord. Un

provvedimento preso per favorire l'attività commerciale e finanziaria tra le due regioni, fu

l'unificazione, attraverso la fondazione della Banca Centrale, del sistema monetario, prima diviso

tra lo Scellino dell'Africa Orientale nel nord, che faceva riferimento alla Sterlina, e il Somalo nel

sud, che faceva riferimento alla Lira italiana. L'unificazione monetaria venne, comunque, ostacolata

dagli scambi commerciali che anche dopo l'unificazione continuarono ad essere molto ridotti tra le

due regioni. L'effettiva unificazione della Somalia venne inoltre ostacolata dagli stessi residenti

inglesi e italiani, preoccupati di quei provvedimenti che avrebbero potuto danneggiare i legami

economici e culturali con la Madre Patria.

Nel processo di integrazione esisteva anche un problema linguistico: nel nord i funzionari

utilizzavano l'inglese, mentre nel sud l'italiano. Scegliere una di queste due lingue significava

compromettere i rapporti con una delle due ex potenze coloniali, entrambe importanti erogatrici di

aiuti e prestiti per la Somalia. Il problema poteva essere in parte risolto istituendo una lingua scritta

somala, ma per tutto il periodo parlamentare non si raggiunse una soluzione e si continuò ad

utilizzare quattro lingue, il somalo, l'inglese, l'italiano e l'arabo69, generando non pochi problemi di

comunicazione. Il problema di istituire una lingua scritta somala riguardava la scelta dell'alfabeto da

utilizzare: l'introduzione dell'alfabeto Usmaaniya comportava dei problemi di incomprensione con

68 TOUVAL S., op. cit., pag 109-12269 DECRAENE P., L'expérience socialiste somalienne, Berger-Levrault, Paris, 1977, pag. 69

53

il resto del mondo; l'utilizzo dell'alfabeto arabo comportava dei problemi di trascrizione, essendo il

somalo ricco di vocali e l'arabo invece no; l'utilizzo dell'alfabeto latino veniva osteggiato dagli

esponenti religiosi, “latino lingua senza Dio”70.

L'unificazione aveva comportato la perdita di influenza di alcune componenti tribali: gli Issaq,

ad esempio, nel Somaliland rappresentavano il 66% della popolazione, mentre nella Somalia

italiana non erano presenti e nella Somalia unificata erano solo il 22%71 (questo problema si

ripresenterà nella storia della Somalia, ad esempio negli anni '80 sarà un gruppo issaq, il Somali

National Movement, il primo ad opporsi militarmente contro regime di Siad Barre con spinte

secessioniste).

Il malcontento dei somali del nord verso la nuova repubblica fu reso evidente dai risultati del

referendum per approvare la nuova costituzione, il 20 giugno del 1961: l'87% della popolazione

votò a favore della nuova costituzione (nonostante il boicottaggio di partiti come il GSL e HDMS),

ma nel nord del paese il 54% dei votanti diede un voto negativo72.

La Costituzione del 1961 prevedeva: un Capo dello Stato eletto ogni sei anni da una

Assemblea Nazionale; un Primo Ministro, nominato dal Capo dello Stato, con il compito di formare

il governo che doveva eseguire le leggi legiferate dal parlamento; un parlamento, l'Assemblea

Nazionale, che veniva eletto a suffragio universale ogni 4 anni ed era composto da 123 deputati;

una Corte Suprema, formata da cinque giudici nominati dal Capo dello Stato, che doveva vigilare

sul funzionamento del sistema giuridico somalo che univa in sé elementi del sistema giuridico

inglese, italiano, tradizionale e della sharia73; la Repubblica veniva divisa in 8 regioni e 36 distretti,

guidati da governatori e commissari che venivano nominati dal Ministro dell'Interno, mentre i

municipi venivano guidati da sindaci eletti localmente; l'esercito doveva rispondere al Ministero

della Difesa, mentre la polizia al Ministero dell'Interno. Nella Costituzione venivano previsti anche

70 LAITIN D. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 7571 TOUVAL S., op. cit., pag 109-12272 DEL BOCA A., op. cit., pag . 344-34573 LAITIN D. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag 71

54

norme per il rispetto dei diritti civili, come il diritto di un mandato di comparizione per evitare

arresti illegali, il diritto di libero associazionismo e il diritto di parola74. La Costituzione, inoltre,

dichiarava apertamente che la Somalia avrebbe conseguito l'unione di tutti i territori somali

attraverso mezzi pacifici e legali.

Nel dicembre del 1961 il malcontento nel nord del paese portò ad un tentativo di colpo di stato

ad Harghesia da parte di giovani ufficiali dell'esercito, formati da personale britannico, che però,

dopo l'indipendenza, si erano trovati a dover sottostare agli ordini di superiori provenienti dal sud e

addestrati da personale italiano. I rivoltosi, forse spinti da un insieme di personali ambizioni e

separatismo settentrionale, occuparono Harghesia e arrestarono i propri superiori, annunciando

pubblicamente che sarebbe seguita una rivolta contro il governo di Mogadiscio e che il comandante

dell'esercito nazionale, generale Daud Abdullai Herzi, avrebbe assunto il controllo del paese. In

realtà i golpisti non avevano nessun sostegno da parte delle alte sfere dell'esercito75. Il golpe venne

subito stroncato, essendo stato mal organizzato e senza alcun sostegno da parte della popolazione e

gli ufficiali ribelli vennero arrestati. Il colpo di stato non fu comunque organizzato solo da una

componente Issaq, pur essendoci tra di loro molti simpatizzanti della SNL, ma c'erano anche

esponenti di altre family-clan76.

I fatti di Harghesia spinsero il governo a prendere una serie di provvedimenti per integrare

meglio le due regioni. Personale meridionale e settentrionale fu meglio distribuito su base

nazionale. Nel marzo del 1962 venne ratificata dal parlamento la Legge sul servizio pubblico che

unificava i salari e le condizioni di servizio tra le due regioni e, poiché i funzionari del nord si

videro diminuire i salari, venne adottato un sistema fiscale e di pagamento che favoriva i

settentrionali. Si cercò, inoltre, di indirizzare anche verso il nord del paese i progetti di sviluppo,

come la macchinizzazione dei campi di grano e di sorgo nella regione Tug Wajale, già avviata nel

settembre del 1960, e la modernizzazione e l'ampliamento dell'aeroporto di Harghesia, grazie ad

74 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag 61-6775 LEWIS I. M., op. cit., pag. 170-17876 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag 61-67

55

aiuti provenienti dalla Gran Bretagna77.

I deputati settentrionali nell'Assemblea Nazionale non erano immuni all'ostilità del nord

verso Mogadiscio. La SNL, il maggiore partito settentrionale, si trovava in una posizione ambigua

poiché, pur avendo suoi esponenti del governo, voleva essere anche un partito di opposizione. Il

malcontento all'interno della SNL portò, nell'estate del 1962, alcuni suoi membri ad aderire al

nuovo partito di Haji Muhammad Hussein, ex leader della GSL, il Somali Democratic Union,

partito che comprendeva, oltre a membri della GSL e della SNL, anche membri del HDMS. La

SDU era un partito di opposizione con un programma di orientamento socialista che prevedeva, tra

l'altro, la confisca di tutte le terre fertili in mano agli stranieri, la distribuzione di parte delle terre ai

poveri, la fondazione di fattorie collettive e la nazionalizzazione dei maggiori bracci

dell'economia78.

A fine estate del 1962, per cercare di risolvere il problema dell'integrazione, venne inviata una

commissione governativa nel nord del paese presieduta dai due ministri settentrionali del governo.

La commissione non ebbe successo e ci furono una serie di contrasti tra il Ministro dell'Agricoltura,

membro del SUP, e il Ministro dell'Educazione, Haji Ibrahim Egal, membro della SNL. Egal decise

di abbandonare il governo e nel maggio del 1963 fondò un nuovo partito, il Somali National

Congress, con membri della SNL e membri della SYL soprattutto Hawiye che si opponevano alla

politica del governo Shermarke, accusata di privilegiare le componenti darod.

Nella primavera del 1963 il governo decise di unificare il sistema delle tariffe e dei dazi

doganali, provvedimento che portò, da un lato ad una diminuzione dei costi di trasporto tra nord e

sud, ma dall'altro all'aumento dei prezzi degli alimenti nel nord del paese dove si verificarono una

serie di manifestazioni e scioperi che portarono alla morte di nove manifestanti ad Harghesia79. Alla

fine del 1963, comunque, la minaccia di una secessione tra le due regioni era improbabile, anche

perché il maggiore partito del nord, il SNC, non aveva obiettivi secessionisti, anzi, era legato ad

77 LEWIS I. M., op. cit., pag 170-17878 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag 61-6779 DEL BOCA A., op. cit., pag . 345

56

esponenti del sud che si opponevano alla politica governativa. Nel maggio del 1963 venne esteso il

suffragio universale in tutto il paese (prima nel nord potevano votare solo gli uomini) senza che si

verificassero particolari resistenze. Alla fine del 1963 venne unificato anche il codice legale80.

Il governo Shermarke (1960-1964)

Il governo Shermarke, che guiderà il paese dal 1960 al 1964, oltre alle difficoltà legate al

processo d'unificazione, dovrà affrontare una serie di problemi di natura economica: la Somalia era

un paese poverissimo e necessitava di una radicale politica di riforma per una migliore

distribuzione e un migliore utilizzo delle poche risorse che aveva a disposizione. Il sistema

economico ereditato dal colonialismo, caratterizzato dalle grandi piantagioni e da una produzione di

esportazione, finiva per favorire gruppi stranieri e singole personalità somale legate al mondo del

commercio e dell'amministrazione, ma non a dare uno sviluppo concreto al paese. Nel 1963 la

Somalia era uno dei paesi più poveri al mondo con il più basso reddito pro-capite, 25 mila lire al

mese, all'ultimo posto per prodotto interno lordo, al terzultimo per scambi con l'estero81, il settore

industriale era meno dell'1% del PIL82

In Somalia si potevano individuare quattro settori economici: la pastorizia, in cui era

impiegato il 65% della popolazione, le piantagione, in mano soprattutto a concessionari stranieri, il

piccolo commercio, piccoli negozi o piccole compagnie di commercio internazionale, e il pubblico

impiego. La Somalia, grazie ad politica estera neutrale, riuscirà ad attrarre verso di sé molti aiuti

dall'estero, sia dal blocco sovietico che da quello occidentale. Negli anni '60 la Somalia era lo stato

africano che riceveva più aiuti pro-capite, 90 dollari, il doppio rispetto alla media africana. La

Somalia ricevette aiuti per un valore di 69,5 milioni di dollari e prestiti per un valore di 65 milioni.

Questi aiuti, però, furono soprattuto utilizzati per finanziare la classe politica e le forze armate, che

nel periodo parlamentare crebbero del 500%, mentre solo pochi di questi fondi finirono in progetti

80 LEWIS I. M., op. cit., pag. 170-17881 DEL BOCA A., op. cit., pag. 34882 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag 61-67

57

di sviluppo. Un grosso problema legato agli aiuti e ai prestiti esteri era la corruzione, molti degli

aiuti per porgetti di sviluppo finivano nelle mani dei parlamentari, come ad esempio le medicine

donate dall'Organizzazione Mondiale della Salute che andavano a finire in farmacie private, gestite

da famiglie vicine a uomini politici: il sistema politico della Somalia veniva definito con il termine

mussoq massuq83, che può essere tradotto con il nostro “magna-magna”.

La politica economica del governo Shermarke non fu supportata da un programma di sviluppo

e fu priva anche di qualsiasi analisi sulla realtà economica precedente al periodo coloniale, che

avrebbe potuto favorire un progetto di integrazione tra sistemi tradizionali ed economia moderna. Si

preferì mantenere un sistema economico basato sulle esportazioni e le piantagioni e su politiche

liberiste per attrarre investimenti stranieri: nel 1961 venne istituita la legge per gli investimenti

esteri che assicurava agli investitori privati un profitto annuale al di sopra del 15% dell'investimento

totale, il personale tecnico straniero veniva esentato dalle tasse per 10 anni e poteva trasferire il

50% del suo reddito all'estero.

Le due maggiori attività produttive del paese rimanevano in mano ai privati: l'industria

bananiera era monopolio degli italiani, l'allevamento del bestiame era in mano alle famiglie dei

pastori e lo stesso controllo delle esportazioni era gestito da compagnie straniere o private. Nel 1962

il Ministro dell'Industria e del Commercio, Sheik Abdulle Mohamed, invitò le aziende italiane ad

abbassare il prezzo dello zucchero, troppo elevato rispetto a quello internazionale. La SAIS preferì

cedere al governo somalo la metà della propria attività al prezzo di 2,7 miliardi di lire, attraverso

fondi concessi dall'Italia, e con questa operazione l'azienda prenderà il nome di Società Nazionale

Agricoltura Industria. Questo provvedimento porterà preoccupazione tra i concessionari italiani di

Geneale e del Basso Giuba, timorosi che prima o poi la Repubblica somala prendesse dei

provvedimenti di esproprio contro le loro terre. I concessionari, inoltre, si lamentavano con il

governo italiano sostenendo che la politica somala sugli investimenti non permetteva di trasferire

capitali in Italia. Queste lamentele erano infondate, poiché i profitti della bananicoltura italiana in

83 LAITIN D. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag 107-108

58

Somalia erano notevoli e negli anni '60 gli ettari coltivati per la produzione di banane erano in

aumento: dai 9.100 ettari nel 1960 si era già passati a 12.000 ettari nel 1962. Inoltre molti degli aiuti

dell'Italia alla Somalia venivano investiti in progetti per ripristinare piantagioni di banane messe in

disuso dalle alluvioni. Oltre alle 150 aziende italiane esistevano aziende gestite dai somali, ma in

realtà erano intestate a uomini politici che facevano da semplici prestanome ai concessionari

italiani. Questo era un sistema che permetteva ai proprietari di piantagioni di ottenere profitti

illeciti, scavalcando la legge che favoriva le aziende gestite dai somali. Le piantagioni italiane

comportavano anche problemi di natura sociale, poiché utilizzavano manodopera sottopagata: 10

ore di lavoro al giorno con una paga di 1,50 scellini, un salario troppo basso per garantire la

sussistenza. Spesso i braccianti erano così costretti a fare ore straordinarie su piccoli appezzamenti

di terreno, coltivando mais e sesamo, il loro nutrimento. La condizione dei lavoratori delle

piantagioni era pessima, vivendo in villaggi privi di servizi e con una dieta povera priva di carne e

latte. Le lobby dei bananicoltori italiani erano intrecciate ai centri di potere somalo (fatto

denunciato dallo stesso Ministro dell'Industria Sceik Abdulle Mohamed) e venivano favorite

oltretutto dall'Azienda Monopolio Banane, che rimarrà attiva fino all'ottobre del 1964, un istituto

che finiva per favorire una ottantina di grossisti italiani, tra i pochi a guadagnare nella produzione e

commercializzazione delle banane, che arrivarono a vendere 2 mila quintali di banane al mese,

guadagnando così mezzo milione di lire al giorno84.

La politica economica di Shermarke era una politica indirizzata ad ottenere aiuti e prestiti

stranieri e molto poco fu fatto per sviluppare un settore statale: attraverso crediti sovietici il governo

creò delle fattorie statali per frumento e sorgo nella regione di Tugwajaale; nel 1963 fu emessa una

legge bancaria con l'obiettivo di espandere un settore statale grazie all'azione della Banca Nazionale

che doveva inoltre assicurare stabilità e controllo sul credito85. Il direttore della Banca Nazonale,

fino al 1966, fu Francesco Palamenghi Crisi, esponente del MSI, che utilizzerà il suo ruolo

84 DEL BOCA A., op. cit., pag. 360-37685 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 61-67

59

favorendo le fughe dei capitali e lo sfruttamento dei bananicoltori86. Le quattro banche europee,

inoltre, che operavano prima dell'indipendenza, continuarono a svolgere la loro attività. Nel 1963

venne lanciato il primo piano quinquennale per lo sviluppo, finanziato dall'estero, che prevedeva

200 milioni di dollari di investimenti.

A livello sociale e di istruzione il governo Shermarke fece molto poco: venne costruito un

ospedale a Mogadiscio, grazie ad aiuti CEE, una scuola per insegnanti a Afgoi, con aiuti dagli Stati

Uniti, un istituto tecnico e una scuola superiore, con l'appoggio sovietico. Provvedimenti

insufficienti a garantire un sistema sanitario e un processo di alfabetizzazione per il paese, carenza

favorita inoltre dal fatto che le entrate del governo venivano impiegate soprattutto per mantenere

l'amministrazione e la difesa e se il ceto urbano vedeva qualche miglioramento, le popolazioni

dell'interno, pastori e nomadi, vedevano crescere solo il peso fiscale, attraverso imposte dirette sulla

persona e i capi di bestiame87.

A livello agricolo la Somalia necessitava di una riforma agraria, sia per uscire dal sistema delle

piantagioni, sia per superare il sistema gentilizio di accesso alle terre. Nel sistema tradizionale

l'acquisizione delle terre era strettamente legata al sistema clanico, poiché non avveniva da parte di

un singolo, ma da parte di un clan e, se l'utilizzo della terra e del bestiame riguardava soprattuto il

singolo individuo, titolare dei diritti fondiari era invece la shir. Le terre coltivate venivano

assegnate a tutti i membri del gruppo, il quale aveva il compito di impedire che il patrimonio

fondiario uscisse dal gruppo stesso. La “proprietà gentilizia” non era né una “proprietà collettiva”

né una “proprietà individuale”, le due realtà tendevano piuttosto a convivere. Alcune terre della

“proprietà gentilizia” venivano cedute anche alle confraternite sufi, ma solo per l'utilizzo, le terre

rimanevano comunque di proprietà del gruppo ospitante. L'acquisizione di una terra poteva avvenire

attraverso vari modi: occupazione, assegnazione, successione ereditaria, accordo tra individui.

L'occupazione della terra poteva avvenire anche individualmente, ma doveva avere il consenso del

86 PESTALOZZA L., Somalia, cronaca della rivoluzione, Dedalo libri, Bari, 1973, pag. 30487 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 61-67

60

gruppo. L'assegnazione di una terra poteva essere data anche a membri esterni al gruppo, purché

questi accettassero di essere adottati e di obbedire al diritto consuetudinario del gruppo, come ad

esempio la dija. Questo sistema di adozione prendeva il nome di halifa. I terreni assegnati venivano

delimitati su tre lati, lasciando il quarto lato aperto per successivi ampliamenti, attraverso l'unità di

misura del oll, che altro non era che il bastone del capo villaggio, e attraverso la lettura di una sura

del Corano, la iasin, che era una semplice unità di misura orale, priva di un significato religioso.

Nel terreno così delimitato, l'assegnatario acquistava un diritto individuale, un sorta di proprietà

privata. La morte dell'individuo non comportava la successione automatica dei terreni assegnati ai

figli, poiché anche in questo caso era il gruppo a decidere. I terreni non venivano mai venduti, ma

potevano essere ceduti i diritti di utilizzo del territorio88. Il sistema terriero gentilizio finiva per

limitare la liberalizzazione delle terre e rientrava tra quegli ostacoli che la politica somala

nazionalista voleva eliminare nella sua lotta contro il tribalismo. Uno dei primi provvedimenti

contro il sistema gentilizio fu quello di abolire l'halifa (il sistema di adozione), ma agire su un

singolo elemento di un sistema complesso come il diritto fondiario clanico, finiva per essere

controproducente. La legge che aboliva l'“adozione” finì per aumentare le divisioni claniche, poiché

gli halifa finivano per diventare gruppi a sé, autonomi dal gruppo che gli aveva adottati. Già nel

1960 l'Assemblea Nazionale richiese una riforma agraria che istituisse la titolarità dello stato sulle

terre dei clan e il riconoscimento della proprietà privata, il governo non fu però in grado di attuare

tali provvedimenti, poiché il sistema politico somalo, e lo stesso partito di maggioranza la SYL, se

da un lato parlava di lotta al tribalismo, dall'altro ne era strettamente legato. Questa ambiguità della

politica somala, non solo impediva un'abolizione del sistema gentilizio delle terre, ma impediva

anche la possibilità di portare dei miglioramenti in questo sistema, che non per forza doveva essere

totalmente eliminato. Nella stessa costituzione della Repubblica somala non c'era una condanna

chiara del tribalismo, perché gli stessi principi di uguaglianza e di pari dignità sociali degli individui

non erano principi che contraddicevano il sistema clanico tradizionale, che era sostanzialmente

88 GUADAGNI M., Xeerka beeraha, diritto fondiari somalo, Giuffrè Editore, Milano, 1981, pag 60-87

61

democratico. La classe dirigente somala avrebbe forse dovuto avviare una discussione su come il

sistema gentilizio poteva essere rinnovato, più che dichiarare lotta al tribalismo, per poi lasciarlo in

vita senza modificarlo ma piuttosto peggiorandolo.

La costituzione somala, incentrata soprattutto sui diritti individuali e sull'organizzazione

statale, era poco precisa sulle questioni economiche. La costituzione tendeva a favorire le imprese

agricole gestite da stranieri: nell'articolo 24, ad esempio, si affermava che “ la proprietà può essere

espropriata soltanto per motivi di pubblica utilità, nei modi stabiliti dalla legge, contro equo e

tempestivo indennizzo”89. Le scarse risorse finanziare della Somalia, però, impedivano

nazionalizzazioni su vasta scala di aziende private, poiché era impossibilitata a pagare “l'equo e

tempestivo indennizzo”. Gli espropri risultavano così anti costituzionali. Durante il periodo

parlamentare la riforma fondiaria passò in secondo piano, anche se fino al 1960 ci furono dei

progetti, mai però realizzati. Nel 1960 il governo Shermarke presentò un progetto di riforma

fondiaria, sotto il coordinamento del Ministero della Finanza e con la consulenza di giuristi

stranieri, con due obiettivi principali: l'abolizione della proprietà collettiva gentilizia, che doveva

diventare proprietà pubblica, e l'uniformazione della normativa in materia di proprietà del suolo

degli enti pubblici e privati. Il progetto di riforma non fu approvato per vari motivi: difficoltà di

abolire i diritti privati senza alienarsi l'appoggio dei gruppi gentilizi; difficoltà di vincere la

diffidenza degli ambienti rurali su iniziative del governo; ostilità degli ambienti pastorali,

preoccupati che i diritti individuali del suolo e il consolidamento delle colture, limitassero la loro

libertà di movimento nella ricerca di nuovi pascoli; la pressione straniera, che favoriva il

mantenimento di un sistema coloniale basato sulle piantagioni; ostilità da parte dello stesso mondo

politico, spesso legato al commercio di prodotti alimentari importati dall'estero; le entrate fiscali

dello stato, che per l'80% dipendevano proprio dai diritti erariali sulle importazioni, sarebbero

diminuite. La non attuazione della riforma finì con il favorire speculazioni e illeciti guadagni di

89 GUADAGNI M., op. cit., pag. 236

62

funzionari pubblici90.

La politica estera del governo Shermarke poggiava su due punti fondamentali: il non-

allineamento ai due blocchi e l'irredentismo. Nella costituzione del 1961 veniva espresso

chiaramente che la Somalia avrebbe raggiunto l'unione di tutti i territori somali attraverso mezzi

legali e pacifici. Questa posizione irredentista favorì un clima di ostilità con i paesi confinanti: il

Kenya, a cui la Somalia rivendicava il Norther Frontier District, l'Etiopia, a cui rivendicava

l'Ogaden e la Somalia francese, futuro Gibuti, dove metà della popolazione era somala. La

posizione irredentista porterà la Somalia ad isolarsi anche a livello continentale, dove il

pansomalismo veniva visto dagli altri stati africani una minaccia per lo status quo del continente,

poiché l'idea di nazionalismo africano si reggeva sull'eterogeneità culturale, etnica e linguistica di

uno stato, mentre il nazionalismo somalo poggiava sull'idea di omogeneità di un popolo che era

stato diviso dalle potenze coloniali. Gli stati africani che erano giunti o stavano raggiungendo

l'indipendenza non mettevano in discussione i confini tracciati dalle potenze coloniali, coscienti che

una situazione frammentata come quella africana non permetteva la creazione di stati africani

nazionalmente omogenei, la Somalia, invece, rifiutava i confini imposti dai regimi coloniali91.

L'isolamento somalo era dovuto anche alla mancanza di leader carismatici e importanti a livello

continentale, come Jomo Kenyatta del Kenya o Hailé Selasié dell'Etiopia. Nei convegni

internazionali dei paesi non-allineati e nei convegni pan-africanisti (Tunisi nel 1960, Monrovia e

Belgrado nel 1961, Tanganika nel 1963) la posizione irredentista della Somalia passerà in secondo

piano o troverà ostilità dagli altri paesi. Nella Conferenza di Addis Abeba nel maggio del 1963 la

Somalia si trovò totalmente isolata. Nella Conferenza si dava vita all'Organizzazione dell'Unità

africana (OUA), dove si ribadiva l'inviolabilità dei confini coloniali. Nel vertice degli stati africani

il presidente somalo, Aden Abdulla Osman, attaccò duramente l'Etiopia, accusandola di avere avuto

un ruolo nella spartizione coloniale e richiedeva il rispetto del principio di autodeterminazione dei

90 GUADAGNI M., op. cit., pag. 238-24791 LEWIS I. M., op. cit., pag 195-199

63

popoli per i somali nell'Ogaden e nel Norther Frontier District. Il discorso del capo di stato somalo

verrà fischiato dall'assemblea, poiché l'Etiopia era un simbolo per il pan-africanismo e per la stessa

indipendenza africana, essendo stata l'unico paese ad aver sconfitto una potenza europea, l'Italia ad

Adua nel 1896, e di avere combattuto contro il fascismo. Il primo ministro etiopico Aklilù Hapte

Uold replicò alla delegazione somala che l'Etiopia aveva storicamente più motivi a favore, poiché

esiteva da tremila anni e poiché le sue frontiere andavano un tempo dal Mar Rosso all'Oceano

Indiano comprendendo anche la Somalia, mentre uno stato somalo, prima del 1960, non era mai

esistito92. La Somalia uscì dalla Conferenza dell'OUA umiliata e derisa. Nonostante questo nel

giugno 1963 Aden Abdulla Osman e Hailé Selasié ebbero un incontro segreto per cercare di

giungere ad una pacificazione tra i due paesi: in cambio dell'Ogaden la Somalia avrebbe concesso

all'Etiopia l'accesso al mare. Questo incontro, però, non portò ad una soluzione e i rapporti tra i due

paesi ritornarono a infiammarsi: da radio Mogadiscio si trasmettevano violenti messaggi irredentisti

che sembravano dichiarazioni di guerra contro l'Etiopia. La crescita della tensione tra l'Etiopia e la

Somalia nella seconda metà del '63 era motivata, tra le altre cose, dal fallimento della politica

diplomatica per giungere all'annessione del Norther Frontier Distric, che tra il 1960 e il 1963

appariva ai somali il secondo passo per l'unificazione della Somalia. Il Kenya, in quel periodo,

stava negoziando l'indipendenza con la Gran Bretagna e sia i nazionalisti kenioti che il governo

britannico non sembravano del tutto ostili ad una annessione del NDF alla Somalia. Il Norther

Frontier District era una regione sotto amministrazione keniota, che negli anni '60 contava una

popolazione di circa 400.000 abitanti, il 60% dei quali si considerava somalo. I somali erano

presenti soprattutto nella parte più orientale, mentre il resto della regione era più eterogeneo con la

presenza di popolazioni oromo (divise tra musulmani, che si sentivano vicini ai somali, e cristiani) e

popolazioni non cuscite, come ad esempio i 6.500 pokomo. Nelle elezioni del 1961, che videro la

vittoria del partito di Kenyatta, il KANU, che guiderà i negoziati con la Gran Bretagna per

l'indipendenza, i somali del NFD boicottarono le elezioni e l'unico candidato somalo che si presentò

92 DEL BOCA A., op. cit., pag. 350-352

64

alle elezioni, Ali Adan Lord, morì poco dopo in un sospetto incidente in auto. La Gran Bretagna

avrà un atteggiamento ambiguo riguardo alla questione del NFD, perché, da un lato non voleva

scontentare i somali, ma dall'altro sapeva che l'annessione della regione alla Somalia avrebbe

inclinato i rapporti, non solo con i nazionalisti kenioti, ma anche con l'Etiopia, il Tanganika e

l'Uganda, stati multietnici che temevano che l'irredentismo somalo potesse diventare un esempio per

i movimenti separatisti all'interno di propri confini. Il segretario coloniale Maudling decise di indire

una commissione di opinione nel NFD per indagare qual'era il volere della maggioranza della

popolazione, se rimanere nel Kenya indipendente o unirsi alla Somalia. La commissione stabiliva,

comunque, che ogni ipotesi di secessione doveva avvenire solo dopo l'indipendenza del Kenya.

Inizialmente tra nazionalisti kenioti e nazionalisti somali non c'era totale chiusura, nel luglio del

1962, per il secondo anniversario della Repubblica somala, furono invitati a Mogadiscio sia Jomo

Kenyatta che Ronald Nagala, leder del partito keniota di opposizione, il KADU. L'incontro fu

cordiale e amichevole e nonostante i due leader ribadissero l'inviolabilità dei confini, per i somali

c'era un certo ottimismo. Nel colloquio si parlò anche del progetto di costituire una Federazione

dell'Africa Orientale che doveva comprendere anche la Somalia e l'Etiopia. La Federazione veniva

vista dai somali positivamente, poiché poteva portare all'unificazione dei territori somali, ma anche

con titubanza, poiché si temevano pretese espansionistiche dell'Etiopia, come era già successo per

l'Eritrea nel 1954, nei confronti della Somalia. La conferenza tenutasi nel Febbraio del 1963 in

Tanganika, per discutere sulla Federazione, non portò a dei risultati. Nell'ottobre del 1962 vennero

resi pubblici i risultati della commissione d'inchiesta che doveva sondare la volontà della

popolazione del NFD: la maggioranza era favorevole all'annessione con la Somalia. La diplomazia

somala faceva pressioni al governo britannico affinché si esprimesse a favore dell'annessione, ma

nel marzo del 1963 il nuovo segretario britannico Duncan Sandys annunciò che il NFD sarebbe

rimasto sotto l'amministrazione del Kenya, ma sarebbe stato diviso in due regioni, e il North-

Eastern Region (la zona del NFD a maggioranza somala) sarebbe diventata una regione autonoma

65

all'interno dello stato federale keniota. A seguito di questa decisione, il 12 marzo 1963, i somali

interruppero le relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna, rottura di rapporti che portò svantaggi

da entrambi le parti: la Somalia perdeva 1,5 milioni di sterline di aiuti all'anno, la Gran Bretagna

perdeva la possibilità di sorvolare i cieli somali e la base della BBC per il Medio Oriente a

Berbera93. Nel NFD scoppiarono una serie di rivolte, ma già nel 1964 la situazione si era quasi del

tutto normalizzata, sia perché l'esercito keniota era ben addestrato contro la guerriglia, grazie alla

repressione del movimento Mau Mau, sia perché il governo somalo non fornì di molti armamenti

alla guerriglia in Kenya essendo sempre più occupato sul fronte etiopico94.

La questione dell'Ogaden e la mancata definizione dei confini condizionavano negativamente i

rapporti tra Etiopia e Somalia. L'ostilità dipendeva anche dal fatto che Etiopia e Somalia

rappresentavano due sistemi statali contrapposti, essendo l'Etiopia uno stato multietnico e

plurinazionale e la Somalia uno stato monoetnico e nazionale95. L'irredentismo somalo preoccupava

l'Etiopia non solo per la questione dell'Ogaden, ma anche per l'integrità stessa dell'impero, poiché

temeva che la Somalia potesse diventare un esempio per altre minoranze nazionali, soprattutto

eritrei e oromo. L'Ogaden è una regione che rappresenta un quinto del territorio etiopico, una zona

semi arida ma potenzialmente fertile e ricca di minerali, ferro, piombo, rame, stagno96. L'Ogaden

può essere diviso in due zone: nella zona a sud est, tra il fiume Giuba e Shebelle, troviamo una

maggioranza della popolazione somala, del gruppo darod, nella zona invece settentrionale, la

regione dell'Haud, la popolazione è più eterogenea, troviamo somali, issaq e dir, che migrano

stagionalmente nella zona alla ricerca di pascoli, popolazioni oromo e nella zona vicino alla città di

Harar troviamo tante tipi di popolazioni. La questione dell'Ogaden per la Repubblica somala

risultava essere più importante della questione del NFD per diversi motivi: i somali nel Kenya

appartenevano a clan minori e poco importanti nella politica interna, mentre i somali dell'Ogaden

93 LEWIS I. M., op. cit., pag. 178-18394 LAITIN D. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag 134-13895 CALCHI NOVATI G., op. cit., pag. 12796 TOUVAL S., op. cit., pag. 136

66

appartenevano ai maggiori clan somali degli Ogaden, dei Dir e degli Issaq; nel Kenya i somali

venivano trattati come cittadini, nell'Etiopia erano trattati come sudditi, non gli veniva riconosciuta

nessuna autonomia e venivano spesso discriminati. Per queste ragioni l'attivismo di Mogadiscio si

concentrerà sempre di più nei confronti dell'Etiopia e meno nei confronti del Kenya: dal 1960 la

Repubblica somala finanzierà la guerriglia in Ogaden del Western Somali Liberation Front97. Il 1°

gennaio 1961 in Etiopia ci fu un tentativo di colpo di stato e in questa occasione si verificarono

degli scontri tra gruppi somali e soldati etiopici98. Il rapporto tra i due paesi, rimasto sempre teso

(basti pensare alle accuse di imperialismo mosse dalla Somalia all'Etiopia nei vari vertici

internazionali) sfociò in aperta ostilità nella primavera del 1963 con una vera e propria corsa al

riarmo, dove giocò un importante ruolo la politica dei due blocchi in Africa. La Repubblica somala

nei rapporti con l'estero aveva scelto una politica di non allineamento che gli aveva permesso di

ricevere aiuti e prestiti da molti paesi di diverso orientamento politico: Stati Uniti, Italia, Gran

Bretagna, Repubblica Federale Tedesca, Cecoslovacchia, Unione Sovietica, Egitto, Cina. La

politica irredentista del governo Shermarke, che significava espansione della spesa militare, porterà

la Somalia ad avere rapporti sempre più stretti con l'Unine Sovietica. I rapporti tra i due paesi erano

già iniziati nel settembre del 1960, quando furono aperte ufficialmente le relazioni diplomatiche tra

i due paesi. Nel febbraio del 1961 una delegazione sovietica visitò la Somalia e sempre in quel mese

Shermarke andò in visita ufficiale a Mosca. Il 2 giugno 1961 vennero firmati dei trattati di

assistenza tecnica ed economica che prevedevano 40 milioni di rubli di prestiti a lungo termine, da

destinare allo sviluppo agricolo e industriale, e 7 milioni di rubli per prestiti a breve termine, da

destinare allo sviluppo commerciale. L'Unione Sovietica voleva che questi prestiti fossero

indirizzati allo sviluppo di una economia statalizzata, nel tentativo di esportare un po' di

“socialismo” nel paese africano (il consigliere economico sovietico Sarukhangan dirà che “ i somali

sono socialisti per natura, anche se le loro nozioni di socialismo sono infantili”)99 . L'avvicinamento

97 LAITIND. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag 134-13898 PATMAN R. G., The Soviet Union in the Horn of Africa, Cambidge University Press, New York, 1990, pag 46-5799 PATMAN R. G., op. cit., pag . 49

67

tra URSS e Somalia riguardò anche la questione militare. L'esercito somalo era composto da 5.000

unità, insufficiente per attuare la politica irredentista della Somalia. Nel 1961 il governo Shermarke

chiese all'Amministrazione Kennedy 9 milioni di dollari in aiuti militari, ma gli Stati Uniti si

rifiutarono di cedere a queste richieste, temendo di perdere il loro maggiore alleato in Africa,

l'Etiopia. La stessa Italia, il maggiore partner della Somalia, si mostrò prudente nell'assecondare

l'espansione militare della sua ex colonia, poiché stava avviando una politica di rappacificazione

con l'Etiopia: il 18 aprile 1963 venne firmato un accordo di collaborazione economica e tecnica tra

Italia ed Impero abissino100. Fino al novembre del 1963 la Somalia mantenne una politica in

sospeso, per quanto riguardo agli aiuti militari, sperando che la minaccia di un appoggio militare

sovietico portasse i paesi occidentali ad accettare le sue richieste. Nell'ottobre del 1963 il presidente

Aden Abdullah Osman e il Ministro degli Esteri Abdullahi Issa Mohamud incontrano a Roma i

delegati del governo italiano: l'incontro fu molto cordiale e la delegazione somala chiese all'Italia

che si impegnasse per un riarmo dell'esercito somalo. A seguito di questo incontro Italia, Stati Uniti

e Germania Occidentale presentano un progetto di assistenza militare multinazionale per la Somalia

che prevedeva 10 milioni di dollari di aiuti militari per la costituzione di un esercito di 6.000

uomini. La richiesta dei somali di potenziare l'esercito di 15-20 mila uomini fu molto

ridimensionata, poiché gli stati NATO erano convinti che la Somalia sarebbe rimasta fedele al

blocco occidentale, il maggiore erogatore di aiuti e prestiti per la Somalia. A sorpresa, invece, l'11

novembre 1963, il ministro degli Esteri Abdullahi Issa Mohamud annunciò di rifiutare l'aiuto

militare dei paesi occidentali e di accettare l'aiuto sovietico che prevedeva una spesa di 35 milioni

di dollari, portando l'esercito somalo a 10-12 mila uomini e fornendolo di caccia MIG-15 e di carri

armati T-34. Inoltre si predispose che 600 cadetti somali venissero inviati e addestrati in Unione

Sovietica e 250 consiglieri militari sovietici inviati in Somalia101. Il volta faccia della Somalia

sorprese l'Italia che si trovò costretta, essendo membro della NATO, a ritirare, il 9 dicembre, i suoi

100 DEL BOCA A., op. cit., pag. 369-370101 PATMAN R. G., op. cit., pag. 46-57

68

consiglieri e tecnici militari, ma continuò a fornire assistenza tecnica alle forze di polizia e alla

guardia di finanza per evitare il rischio di una sovietizzazione delle forze armate. La politica

irredentista del governo Shermarke, tra il novembre del 1963 e il giugno del 1964, potrò comunque

a raffreddare i rapporti tra i due paesi102.

L'accordo somalo-sovietico finirà per aumentare la conflittualità nel Corno d'Africa: nel

dicembre 1963 scoppiò una breve guerra tra Somalia ed Etiopia, conclusasi con l'armistizio nel 30

marzo del 1964 firmato a Khartoum grazie alla mediazione dell'OUA. Lungo i confini comunque

continuarono ad essere mantenuti due imponenti eserciti, una spesa spropositata per due paesi

poveri come l'Etiopia e la Somalia. La scelta sovietica di appoggiare la Somalia era in parte

motivata dal tentativo di assumere un ruolo leader nei processi d'indipendenza in Asia e Africa.

L'URSS aveva visto con timore la crescita di prestigio dell'Etiopia durante il vertice dell'OUA di

Addis Abeba e l'isolata Somalia fu vista come primo passo verso la penetrazione sovietica in

Africa. Inoltre l'URSS temeva un avvicinamento della Somalia alla Cina, che già aveva appoggiato

dei partiti di opposizione, come il Greater Somali League di Haji Mohamed Hussein, e che in quel

periodo stava avviando degli accordi con il governo africano103: nel giugno del '63 Shermarke andò

in visita in Cina dove, oltre a firmare accordi commerciali, avrà garanzie di aiuti. Mosca comunque

durante il conflitto somalo-etiopico non si schierò totalmente a favore della Somalia, anzi Krushev

inviò due lettere ai due paesi in conflitto per trovare una mediazione, poiché la loro guerra non

faceva altro che indebolire il fronte anti-imperialista.

La guerra somala-etiopica coincise con le elezioni per eleggere la nuova Assemblea Nazionale

del marzo 1964, dove ancora una volta il partito vincente fu la SYL con 69 dei 123 seggi, seguito

dalla SNC con 22, 13 alla SDU, 9 al HDMS e 8 seggi ad altri partiti minori104.

102 DEL BOCA A., op. cit., pag. 369-370103 TOUVAL S., op. cit., pag. 109-122104 LEWIS I. M., op. cit., pag. 195-199

69

Il governo Hussein (1964-1967)

La nuova vittoria della Somali Youth League nelle elezioni del marzo 1964 non significò

stabilità politica, lo dimostrò il fatto che ci vollero sei mesi prima di giungere alla formazione di un

nuovo governo. Il presidente della Repubblica Aden Abdullah Osman aveva dato il compito di

guidare il nuovo governo ad Abdirizaq Haji Hussein, membro della SYL dal 1944, appartenente,

come il suo precedessore, al clan Majeerteen, ex Ministro dell'Interno e avversario politico di

Shermarke. Hussein fu scelto dal presidente Osman per le sue tendenze progressiste e perché era

ben visto dai giovani. Il suo programma dava priorità ai problemi sociali ed economici interni,

mettendo in secondo piano la politica irredentista105. Hussein inserì nel suo governo più ministri

provenienti dal nord del paese (5 rispetto ai 2 del precedente governo), dando spazio a funzionari

più giovani, tecnici e competenti, seguendo una politica di assunzione che si fondava più sul merito

che sul nepotismo o sul sistema gentilizio. Hussein fu il politico che più si adoperò per dare una

certa trasparenza alla politica somala; l'esempio più noto è l'ordine dato a tutti i membri del suo

gabinetto di dichiarare pubblicamente i propri affari e le proprie proprietà. Nel suo programma c'era

una revisione della spesa per l'amministrzione, una maggiore disciplina nel settore pubblico e un

limite agli abusi del potere. Contro il governo di Hussein si creò una coalizione trasversale di

opposizione che vedeva uniti membri della SYL, guidati da Shermarke, e membri del Somali

National Congress e della Somali Democratic Union. Hussein veniva accusato di essere tiepido sul

progetto di unificazione della Grande Somalia avendo voluto attuare dei tagli alla Difesa. Il 14

luglio 1964 il governo fu sottoposto ad un voto di fiducia, fiducia che però non venne data

nemmeno da un buon numero di esponenti del suo partito. Il governo si trovò paralizzato per

settimane, non potendo in questo modo partecipare all'importante incontro dell'OUA al Cairo. Il

presidente Osman ripropose la nomina di Hussein a primo ministro, ma questo fu costretto a

rinunciare alla sua politica di riduzione della spesa militare: il nuovo governo ottenne

105 SAID S. SAMATAR, “ From independence to revolution” in Somalia: a country study, Helen Chapin Metz, 1992, pag 31-33

70

l'approvazione dell'Assemblea Nazionale il 31 agosto 1964. Il governo Hussein cercherà di fare dei

passi avanti nella moralizzazione della politica somala, introducendo maggiore disciplina e

professionalità nel servizio pubblico e cercando una maggiore modernizzazione economica

attraverso una politica più indipendente dagli aiuti esteri. La sua politica fu però sempre ostacolata

dal parlamento di cui era uno dei pochi membri progressisti. Durante il suo governo le lotte di

fazione all'interno della SYL finirono per aumentare.

A livello economico negli anni del governo Hussein non ci furono grossi cambiamenti:

sebbene ci fu una crescita della produzione agricolo locale, nel 1967 solo il 10% degli 8 milioni di

ettari adatti alla coltivazione erano stati arati106. Nel 1967 venne presentata una legge di iniziativa

parlamentare che impegnava il governo ad espropriare le aziende agricole abbandonate o

improduttive e a dare assistenza ai coltivatori somali. La legge, male formulata, finì per non essere

approvata107.

Il governo Hussein in politica estera cercherà di riequilibrare i rapporti tra i due blocchi,

perché, tra l'altro, temeva una sovietizzazione dell'esercito. L'11 luglio 1965 Hussein andò a Roma

dove incontrò il primo ministro Moro e il Ministri delle Finanze e degli Esteri Fanfani e Andreotti,

un incontro che porterà ad un riavvicinamento tra Italia e Somalia. Hussein, pur non rinunciando ad

una politica irredentista, paragonando la Somalia all'Italia Risorgimentale, mostrerà un

atteggiamento moderato sulla questione pansomala apprezzato dal governo italiano108.

Nell'estate del 1967 il mandato presidenziale di Osman era giunto al termine ed il presidente

uscente era pronto a ricandidarsi, appoggiato dal primo ministro Hussein con il quale aveva anche

rapporti di stretta parentela109. A fronteggiarlo c'era l'ex primo ministro Shermarke che troverà il

sostegno di Mohamed Haji Ibrahim Egal, Issaq, ex leader del SNC e passato nelle file della SYL.

Dopo tre ballottaggi Shermarke venne eletto presidente della Repubblica e nominò primo ministro

106 AHMED I. SAMARTAR, op. cit., pag 70-75107 GUADAGNI, op. cit., pag . 247-253108 DEL BOCA A., op cit., pag. 370-371 109 LEWIS I. M., op. cit., pag 201-204

71

Egal.

Il governo Egal (1967-1969)

Mohamed Haji Ibrahim Egal, pur essendo alleato con Shermarke, aveva posizioni molto più

moderate sulla questione pansomala e, nelle relazioni internazionali, la sua politica sarà di netto

schieramento a favore dei paesi occidentali e di pacificazione con i paesi vicini110: il 30 ottobre 1967

ad Aruswa, in Tanzania, incontrò il presidente del Kenya Jomo Kenyatta per cercare un accordo

sulla questione del NFD; il 6 settembre 1968 andò ad Addis Abeba per ristabilire la pace e il ritorno

di una amministrazione civile nell'Ogaden attraverso la creazione di una commissione ministeriale

unificata per risolvere le questioni di confine tra i due paesi, ottenendo inoltre diritti di volo per la

Somali Airlines sul territorio etiopico; sempre nel settembre del 1968 incontrò il presidente De

Gaulle in Francia riconoscendo il Gibuti come colonia francese. Egal non rinunciò del tutto alla

politica irredentista, ma mise fine ad una politica violenta, basata sul sostegno alla guerriglia nei

paesi vicini, perché il suo obiettivo principale era quello di riaprire e migliorare i rapporti con i

paesi occidentali: riallacciò le relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna, si avvicinò sempre più

agli Stati Uniti, rinnovò le relazioni con l'Italia, concedendo, tra l'altro, a società italiane di sfruttare

i giacimenti di uranio da poco scoperti. Nel gennaio del 1968 il Ministro degli Esteri Fanfani si recò

in visita ufficiale in Somalia; la delegazione italiana venne accolta a Mogadiscio con tutti gli onori

ed il primo ministro definì Roma come “seconda capitale della Somalia”. Fanfani annunciò che

l'Italia aveva stanziato per la Somalia 12 miliardi di lire di aiuti finanziari, tecnici ed economici,

attraverso una nuova politica di cooperazione che avrebbe dovuto garantire un maggiore controllo

sulla gestione degli aiuti. In realtà la politica di assistenza e di aiuti dell'Italia in Somalia si dimostrò

fallimentare e dispendiosa, poiché non esisteva un programma progettuale e perché venivano

impiegati nella gestione degli aiuti ex funzionari coloniali spesso legati all'imprenditoria italiana o

110 SAID S. SAMATAR, “ From independence to revolution” in Somalia: a country study, Helen Chapin Metz, 1992, pag. 33-36

72

al mondo politico somalo sempre più corrotto.

In politica interna il governo Egal consolidò la sua base di sostegno, la borghesia somala, isolò

quei membri della SYL non in linea con le politiche del governo e favorì un personale burocratico,

non tanto competente, come aveva cercato di fare Hussein, ma fedele.

In occasione delle elezioni politiche del marzo del 1969 venne introdotta una nuova legge

elettorale che finiva per favorire la SYL: il vecchio sistema elettorale prevedeva che solo il

candidato capolista del partito poteva essere eletto, impedendo così ogni rappresentatività ai partiti

minori; nel nuovo sistema elettorale invece se un partito otteneva la maggioranza dei voti, tutti i

candidati della lista di quel partito potevano essere eletti. Le elezioni del '69, in cui si presentarono

64 partiti e 1.002 candidati111, furono accompagnate da un clima di intimidazione. Il Ministro

dell'Interno Hassan diede ordine al capo della polizia, il generale Giama Ali Korshel, di inviare

truppe nelle aree di scrutinio per assicurare la vittoria della SYL. Durante la campagna elettorale ci

furono una serie di scontri che portarono alla morte di una quarantina di persone. Le elezioni

porteranno alla vittoria della SYL che ottenne 73 seggi su 123, seguiva il SNC con 11 seggi e

HDMS con 3 seggi. Shermarke richiamò alla guida del governo Egal. Nella nuova assemblea si

verificò un eccesso di quel trasformismo che aveva accompagnato da sempre la politica della

Somalia, poiché tutti i deputati degli altri partiti passarono nelle file della SYL ed Egal, per

garantirsi l'appoggio nell'Assemblea, aumentò il numero dei ministeri da 12 a 21 e creò 10 vice-

ministri. Per i membri della burocrazia e della borghesia somala avere un posto in parlamento e

soprattuto nel governo significava garantirsi guadagni personali. L'unico deputato che rimase fuori

dal sistema politico di favoritismi di Egal e Shermarke fu Hussein, che uscì dalla SYL per fondare

un nuovo partito, Popular Movement for Democratic Action (in Somalo DABK che significa

“fuoco”)112. Ci furono una serie di accuse di irregolarità durante le elezioni, ma le 47 petizioni

presentate alla Corte Suprema furono respinte, dimostrando come anche il sistema giudiziario era

111 CALCHI NOVATI G., op. cit., pag. 131112 DECRAENE P., op. cit., pag. 71

73

soggetto alla politica del governo113: la Somalia era diventato uno stato a partito unico. L'ultimo

periodo del regime parlamentare esasperò quegli elementi di particolarismo, nepotismo e corruzione

che da sempre avevano caratterizzato la Somalia indipendente. Inoltre il governo Egal prese una

serie di provvedimenti anti democratici, ponendo limiti alla libertà di stampa e alla libertà

individuale se queste minavano l'unità del paese. Il 5 agosto del 1969 venne chiusa, per ordine del

governo, la sede del DABK, il partito di Hussein114

L'economia del paese nell'ultima fase del regime parlamentare rimase precaria: tra il 1968 e il

1969 ci fu una crescita nelle esportazioni di banane, bestiame e zucchero, ma il valore complessivo

delle esportazioni rimase basso. In questo periodo il maggiore importatore dei prodotti somali non

era più la l'Italia (che nel 1968 importava prodotti somali per un valore di 9,2 milioni di dollari) ma

l'Arabia Saudita (che nel 1968 ne importò per un valore di 15,2 milioni di dollari); l'Italia rimaneva

comunque la maggiore esportatrice di prodotti verso la Somalia. La spesa dello stato più elevata

rimaneva quella militare, con un valore nel 1969 di 16,7 milioni di dollari, mentre il settore agricolo

era il più trascurato, con un valore di spesa di 2,3 milioni di dollari, costringendo la Somalia a

dipendere dagli aiuti esteri anche per la sussistenza alimentare115. Nel 1968 venne lanciato il

Programma di sviluppo biennale che prevedeva una spesa di 750 milioni di scellini, di questi il 70%

andava alle infrastrutture, il 9% all'irrigazione, il 9% alle infrastrurrure sociali,il 7,7%

all'agricoltura, il 6,5% alla zootecnia, il 5,4% all'industria e 0,4% alla statistica. Il Programma

veninva finaziato per l'87,5% da aiuti esteri, dimostrando così come l'economia somala fosse

dipendente dagli aiuti esteri116.

Nonostante un mancato sviluppo economico ed evidenti fenomeni di corruzione, non si

verificarono in Somalia grandi agitazioni sociali e ciò dipendeva da diversi fattori: in Somalia

mancava un'istruzione diffusa, i mezzi di comunicazione e le infrastrutture erano molto carenti,

113 AHMED I. SAMANTAR, op. cit., pag . 70-75114 DEL BOCA A, op. cit., pag. 358-359115 AHMED I. SAMANTAR, op. cit.,pag 70-75116 PESTALOZZA L. op. cit., pag. 305

74

sopravvivevano sistemi di parentela che univano Mogadiscio e altri centri urbani con le realtà

dell'interno, garantendo così un controllo sociale da parte della classe politica anche per le

popolazioni più remote117. Esistevano comunque in Somalia movimenti di opposizione, spesso

legati alla giovane intellighenzia, che facevano capo a partiti di opposizione come il Democratic

Action Party, l'Unione Democratica Somala, il Partito Socialista Popolare e scrivevano su giornali

come La Tribuna, Nuovi Orizzonti e Dalka. Era però un'opposizione debole sia a livello numerico

che a livello ideologico, un insieme di marxismo, nasserismo, nazionalismo irredentista e

progressismo. Non sempre, poi, i membri di questa opposizione erano indenni dalla politica di

favoritismi del sistema Egal-Shermarke: il caso più eclatante riguardò Ismail Giumale Ossoble,

direttore del maggiore giornale di opposizione, La Tribuna, giornale fatto chiudere nel '69 dal

governo, che proprio in quell'anno diventerà un ministro del governo Egal. L'opposizione al sistema

Shermarke-Egal, a fine anni '60, si stava facendo spazio, anche se silenziosamente, tra le Forze

Armate, non tanto nella Polizia, che aveva invece dimostrato una sostanziale complicità nell'opera

di intimidazione e repressione dell'opposizione da parte del governo Egal, ma nell'esercito, che

oltretutto, con la fine di una politica irredentista aggressiva, si trovava ad essere sempre più distante

dalle politiche governative118.

L'assassinio di Shermarke e il colpo di stato

Il 15 ottobre del 1969 venne assassinato all'una del pomeriggio, mentre scendeva dalla sua

auto, il presidente della Repubblica somala Abdirascid Ali Shermarke119. Il capo di stato si trovava

nella località di Las Anod, nel nord del paese, per capire personalmente i danni causati dalla siccità

che aveva colpito duramente le regioni settentrionali120. L'assassino era un giovane poliziotto

ventiduenne di Burao, Said Iusuf Ismail, chiamato ad operare nel servizio di sicurezza del

117 AHMED I. SAMANTAR, op. cit.,pag 70-75118 DEL BOCA A., op. cit., pag. 377-378119 MONELLI P., “Ucciso in un attentato il presidente della Somalia”, Corriere della sera, 16 ottobre 1969120 LUBRANO G., “Assassinato Shermarke presidente della Somalia”, l'Avanti, 16 ottobre 1969

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presidente. I motivi dell'assassinio non sono ancora del tutto chiari, non possiamo ancora dire con

certezza se fu un gesto isolato del poliziotto o un complotto. Agenzie di stampa occidentali

sostennero che il movente andava ricercato nel clima di intimidazione che aveva caratterizzato le

elezioni del marzo di quello stesso anno, quando, durante gli scontri, morirono una dozzina di

persone tra cui anche un parente stretto di Said Iusuf Ismail. L'assassinio venne subito arrestato e

verrà giustiziato nel 1970. Lo stesso Siad Barre, anni dopo, riferendosi all'omicidio di Shermarke,

individuerà nel clima di corruzione e degrado politico del regime parlamentare il movente che

spinse il poliziotto ad uccidere il Presidente della Repubblica, visto come il simbolo di quel sistema

degenerato121.

La notizia dell'assassinio sorprese molti degli osservatori internazionali che fino a quel giorno

avevano visto la Somalia come l'unico stato africano in cui era sopravvissuto un sistema

parlamentare multipartitico. Lo stesso segretario dell'ONU, U Thant, aveva definito la Somalia

“figlia prediletta delle Nazioni Unite”.

Significativo è stato l'atteggiamento dei maggiori quotidiani italiani nel dare la notizia

dell'omicidio di Shermarke: il Corriere della sera descrisse il presidente ucciso come un “simbolo

della democrazia” del paese “che è considerato il più democratico dell'intero continente africano”,

un paese che “gode di libere elezioni” e “ non teme tendenze verso il totalitarismo di alcuna

specie”122. L'Unità presentò Shermarke come un progressista, la cui elezione a presidente della

Repubblica nel 1967 era stato un successo delle forze democratiche, contro la volontà della

direzione dei due maggiori partiti del paese, la SYL e il SNC. Il quotidiano comunista sottolineò

inoltre l'importanza di Shermarke, quando, come primo ministro, seguì una politica di

avvicinamento all'URSS per acquistare armi per “il piccolo esercito somalo”123. La realtà della

Somalia parlamentare era ben diversa: la Somalia aveva cessato di essere un regime multipartitico

dopo le elezioni del marzo '69, quando tutti i deputati dell'Assemblea (fatta eccezione per Hussein)

121 DEL BOCA A., op. cit., pag. 377-387122 MONELLI P., op. cit.123 PESTALOZZA P. “Assassinato il presidente della repubblica somala”, l'Unità, 16 e 17 ottobre 1969

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passarono nelle file della SYL e finirono per sostenere quella politica di corruzione, nepotismo e

particolarismi che vedeva proprio nella alleanza tra il primo ministro Egal e il presidente Shermarke

l'asse portante. L'Assemblea Nazionale era diventata un mercato dove i deputati commerciavano i

propri voti per interessi personali124. Shermarke all'inizio della sua carriera politica aveva avuto

senz'altro posizioni progressiste, ma sia come primo ministro che come presidente della Repubblica

non aveva seguito una politica di avanzamento per il paese; se c'era un progressista nel parlamento

somalo quello era piuttosto l'ex premier Hussein, l'avversario politico di Shermarke e Egal. La

stessa sua politica irredentista fu una dannosa per il paese, poiché dava spropositate risorse alla

spesa militare e ad un esercito non di certo “piccolo” per uno stato povero come la Somalia.

La morte del presidente portò le autorità ad istituire lo stato di emergenza e il coprifuoco

dall'alba al tramonto, a proibire ogni attività politica, scioperi e riunioni con più di cinque persone.

Truppe dell'esercito e della polizia formarono posti di blocco in tutto il paese. La carica provvisoria

di Capo dello Stato venne assunta dal presidente dell'Assemblea Nazionale Scek Mukhtar

Mohammed Hussein. Il 17 ottobre rientrò a Mogadiscio il primo ministro Egal che al momento

della morte del presidente si trovava negli Stati Uniti, precisamente a Las Vegas in compagnia

dell'attore cinematografico William Holden125. Prima di giungere nella capitale somala, nel viaggio

di ritorno, fece tappa a Fiumicino dove, intervistato dai giornalisti, dichiarerà che “ le istituzioni

democratiche verranno conservate e non c'è alcuna preoccupazione in proposito”126. Il 20 ottobre

vennero celebrati i funerali di Shermarke, presenti molti delgati stranieri tra cui il vice-presidente

del Soviet Supremo, Mohamedali Kholov, il presidente dello Zambia, Kenneth Kaunda, uno dei

pochi leader africani a non isolare la Somalia, rappresentanti del Kenya e dell'Etiopia, il

sottosegretario agli Esteri italiano, Carlo Russo, e il Ministro dei Rapporti con il Parlamento,

Dionigi Coppo. Appena terminato di celebrare il funerale, venne convocata una riunione di

emergenza a porte chiuse tra tutti parlamentari per discutere su un possibile candidato alla carica di

124 LEWIS I. M., op. cit., pag. 205-211125 PETRUCCI P., op. cit., pag. 49-50126 LUBRANO G., “Il premier somalo afferma: nessuna preoccupazione per le istituzioni”, l'Avanti, 17 ottobre 1969

77

presidente. Vennero proposti due nomi: Hagi Mussa Bogor, del clan migiurtino come Shermarke,

sostenuto da Egal, e Abdullahi Issa Mohamud, primo ministro ai tempi dell'AFIS e ora Ministro

dell'Industria127. L'atteggiamento di chiusura da parte dei deputati e la scelta infine di Bogor, un

personaggio privo di prestigio e di particolari capacità per guidare il paese in una situazione così

difficile128, dimostravano il distacco della classe dirigente somala con il resto del paese. Alcuni

esponenti della giovane intellighenzia somala, sempre più in aperta opposizione con il governo,

avevano proposto come candidato alle presidenziali Muhammad Abshir Musa, predecessore di

Kolsher alla guida della polizia, che, a differenza di quest'ultimo, si era sempre dimostrato poco

incline a seguire le spinte autoritarie della classe dirigente129. La riunione per decidere il futuro

presidente della Repubblica stabilì che l'elezione di Boqor sarebbe avvenuta il giorno seguente, alle

8 della mattina, all'Assemblea Nazionale. Anni dopo, l'allora Ministro dell'Industria, Abdullahi Issa,

dichiarerà che, nelle ore precedenti il colpo di stato, il colonello dell'esercito Mohamed Farah

Aidid130, pur non essendo tra gli organizzatori del golpe, avrebbe informato Ismail Jumale, allora

ministro dell'Informazione, dei piani del capo dell'esercito Siad Barre. Ismail avrebbe informato

Egal e l'informazione sarebbe passata a Yassin Nur, Ministro dell'Interno, che però non diede molto

credito a questa informazione131.

Il 21 ottobre 1969, alle tre della mattina, reparti dell'esercito occuparono i punti chiave di

Mogadiscio, le linee telefoniche e telegrafiche, la stazione radio, le poste, gli edifici governativi.

Alle undici del mattino Mogadiscio era sotto il controllo dei militari e a fine giornata la stessa

situazione si verificava ad Hargheisa, Kisimayo e Badoia. Il colpo di stato fu rapido e senza il

minimo spargimento di sangue e i militari furono favoriti in questo senso da una forte pioggia e dal

fatto che lo stato di allerta, istituito dopo la morte di Shermarke, aveva portato in quei giorni a

127 DEL BOCA A., pag. 381128 MOHAMED YUSUF HASSAN, Somalia, le radici del futuro, Il passaggio, Roma, 1993, pag. 21-22129 LEWIS I. M., op. cit., pag. 205-211130 Mohamed Farah Aidid sarà tra i maggiori protagonisti della sanguinosa battaglia di Mogadiscio che si verra a

sviluppare nella prima metà degli anni '90 a seguito della caduta del regime di Siad Barre.131 GHALIB J. M., The Cost of Dictatorship, Lilian Barber Press, New York, 1995, pag. 120

78

movimenti di truppe132. Il golpe, sebbene organizzato dall'esercito, vedrà la collaborazione delle

forze di polizia e lo stesso generale Korshel, che pure in passato aveva collaborato alla politica

intimidatoria dal governo Egal, si trovò costretto a collaborare con i militari per evitare l'arresto133.

Circa trecento persone tra cui il primo ministro Egal, definito dai golpisti un “sanguinario del

popolo”, i membri del governo, molti deputati e alti funzionari della burocrazia vennero arrestati.

Agli arresti domiciliari finirono anche personaggi non compromessi con il sistema di degrado

politico di Shermarke-Egal, come l'ex capo della polizia Mohamed Abshir Musa e tra gli arrestati

anche membri dell'opposizione134. Da radio Mogadiscio l'emittente la “Voce del popolo” informò

che una giunta rivoluzionaria aveva assunto pieni poteri “ per salvare la Somalia dalla corruzione e

dal mal costume delle classi dirigenti”, accusate di aver violato la legge e la costituzione e di aver

creato un clima favorevole all'uccisione del presidente Shermarke. La giunta militare, che assunse

da subito il nome di Consiglio Rivoluzionario Supremo (CRS), ordinò il coprifuoco dalle 16 del

pomeriggio alle 10 del mattino, il divieto di riunioni pubbliche con più di tre persone, la

sospensione di qualsiasi attività politica, la chiusura della Suprema Corte e dell'Assemblea

Nazionale, la sospensione della Costituzione, la chiusura di tutte le frontiere e l'interruzione del

traffico aereo e portuale. Agli stranieri che erano giunti in Somalia per il funerale di Shermrke fu

concesso di lasciare il paese su un aereo per Nairobi. Il CRS dichiarò inoltre che il nuovo regime in

politica estera avrebbe seguito le stesse direttive del presidente Shermarke135. In un primo momento

non vennero resi noti i nomi dei capi del colpo di stato, anche se gli annunci della giunta militare

erano ad opera del Comandante in Capo dell'Esercito generale Mohamed Siad Barre. Molti

osservatori stranieri credevano però che il motore del colpo di stato non fossero le alte gerarchie

delle Forze armate, ma un gruppo di giovani ufficiali superiori (come era successo in Libia nel

settembre dello stesso anno). Il ruolo di Siad Barre veniva visto come provvisorio, per riunire le

132 DECRAENE P., op. cit., pag.79-82133 DEL BOCA A., op. cit., pag. 377-387134 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 295135 MONELLI P., “Imilitari al potere in Somalia”, Corrire della sera, 22 ottobre 1969

79

forze armate disseminate nel paese, come se fosse una sorta Neguib somalo136.

Il 22 ottobre il Consiglio Rivoluzionario Supremo dichiarò che lo stato somalo avrebbe assunto

il nome di Repubblica Democratica di Somalia e rese pubblica la Prima Carta della Rivoluzione

suddivisa in 13 punti:

politica interna

1. Costituzione di una società fondata sul lavoro e sui principi della giustizia sociale, tenendo

conto dell'ambiente e della vita sociale del popolo somalo.

2. Preparazione e orientamento dello sviluppo economico, sociale e culturale per giungere ad un

rapido sviluppo del paese.

3. Liquidazione dell'analfabetismo e sviluppo di un patrimonio culturale progressista per il

popolo somalo.

4. Istituzione, attraverso appropriate e adeguate misure, di una scrittura della lingua somala.

5. Liquidazione di tutti i tipi di corruzione, di tutte le forme di anarchia, del negativo sistema

tribale e tutte le altre cattive usanze nell'attività dello stato.

6. Abolizione di tutti i partiti politici.

7. Condurre il paese a libere elezioni in tempi opportuni.

politica estera

1. Supporto e solidarietà internazionale ai movimenti di liberazione nazionale.

2. Opposizione e lotta a tutte le forme di colonialismo e neocolonialismo.

3. Lotta per il mantenimento della sicurezza nazionale somala.

4. Rispetto del principio di coesistenza pacifica tra tutti i popoli.

5. Mantenimento di una politica di neutralismo positivo.

6. Rispetto e riconoscimento di tutti gli impegni internazionali sottoscritti dalla Repubblica

Somala137.

136 DECRAENE P., op. cit., pag. 79-82137 AHMED I. SAMANTAR, op. cit., pag. 83-87

80

Il 24 ottobre del 1969 ci fu il primo riconoscimento del nuovo regime da parte di uno stato

straniero: l'Italia. Nonostante il regime si dichiarasse rivoluzionario fin dal primo giorno, i

responsabili italiani in Somalia, tra cui l'ambasciatore Diego Simonetti e l'addetto militare

colonnello Ilio Muraca, assicurarono al governo italiano che gli organizzatori del golpe non erano

né sovietici, né maoisti e che lo stesso Comandante in Capo dell'Esercito Mohamed Siad Barre era

stato addestrato militarmente in scuole italiane. L'ambasciata italiana in Somalia assicurò che il

CRS avrebbe rispettato la legalità, gli impegni e i trattati internazionali e che alla comunità italiana

sarebbe stata garantita l'incolumità e il mantenimento delle proprie attività. A motivo di queste

rassicurazioni il Ministro degli Esteri Aldo Moro dichiarò al CRS che l'Italia riconosceva la

Repubblica Democratica di Somalia. La decisione dell'Italia di essere il primo stato a riconoscere il

regime del CRS desta non poche perplessità essendo stata proprio l'Italia, attraverso

l'amministrazione fiduciaria, a portare alla nascita della Somalia parlamentare, quel regime che il

CRS ha cancellato: l'Italia così ha finito per accantonare l'esperienza dell'AFIS, lodata in passato

come “un fiore all'occhiello” della politica estera italiana138.

Il 1° novembre del 1969 vennero resi noti i nomi dei membri del Consiglio Rivoluzionario

Supremo: erano 25 membri, tutti militari, di cui 19 dell'esercito e 6 della polizia; il presidente del

CRS era il Comandante in Capo dell'Esercito Mohamed Siad Barre; i due vice-presidenti erano il

capo della Polizia generale Gima Ali Korshel e il generale del''Esercito Mohamed Ainanansce

Guled; gli altri esponenti del CRS appartenevano alle alte gerarchie delle forze armate139, scartando

così l'ipotesi di molti osservatori stranieri che sostenevano che il colpo di stato provenisse dal basso

delle gerarchie militari. La presenza della polizia dimostrava una iniziale collaborazione tra polizia

ed esercito nonostante questi due corpi avessero non poche differenze: la polizia, nata come

l'esercito nel 1960, era stata addestrata e armata da paesi occidentali, Repubblica Federale Tedesca,

Stati Uniti, Italia, mentre l'esercito dal 1963 era stato addestrato dall'Unione Sovietica e molti

138 DEL BOCA A., op. cit., pag. 386-387139 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 296

81

ufficiali erano stati formati in accademie sovietiche; la polizia nel periodo parlamentare, soprattutto

durante il governo di Egal, aveva sostenuto la politica di intimidazione contro le opposizioni,

mentre l'esercito era stato più in disparte negli affari della politica interna. Non bisogna però vedere

una divisione netta tra un corpo di polizia reazionario e un esercito progressista, poiché in entrambi

i corpi l'influenza del pensiero nasseriano e del socialismo arabo erano molto diffusi140.

Ormai si era capito che l'uomo forte della Somalia era Siad Barre: 53 anni, appartenente al clan

darod dei Mareehaan e di madre degli Ogaden, aveva iniziato la sua carriera militare sotto

l'Amministrazione Militare Britannica come sottufficiale della polizia addestrato dal King's African

Rifles141; nel 1952 venne inviato dall'AFIS a Firenze presso la scuola di allievi ufficiali del corpo

dei Carabinieri; nel 1955, anni in cui operava in Somalia il futuro capo del SISMI Giuseppe

Santovito142, diventerà capo della Polizia di Mogadiscio; nel 1960 divenne comandante in seconda

dell'Esercito; nel 1964 sostituì Mohamed Abshir Musa nel ruolo di Comandante in Capo

dell'Esercito.

Il primo atto legislativo del CRS fu di assumersi le funzioni del Presidente, del Consiglio dei

Ministri, dell'Assemblea Nazionale e della Suprema Corte. Nelle prime settimane dopo il colpo di

stato vennero presi una serie di provvedimenti che portarono a vari cambiamenti nel campo

giuridico e dei diritti civili: la Suprema Corte venne sostituita dalla Corte per la Sicurezza

Nazionale, un organo controllato direttamente dal CRS con il compito di bloccare qualsiasi

iniziativa lesiva all'ordine pubblico, che deportava le risorse nazionali o che incoraggiava il

tribalismo e la sovversione. I diritti di assemblea e di parola vennero limitati, la pubblicazione dei

giornali venne vietata, fatta eccezione per Stella d'Ottobre, organo di informazione ufficiale del

CRS dal 23 ottobre del 1969. A livello regionale e locale l'amministrazione civile venne sostituita

da personale militare, diramazione locale del CRS, con compiti burocratici, di gestione della

140 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 83-87141 GHALIB J. M., op. cit., pag. 119142 Siad Barre avrà sempre buoni rapporti con i servizi segreti italiani e il fratello di Santovito, fabbricante di armi, farà sempre buoni affari con il dittatore. PETRUCCI P., op. cit., pag. 94-95

82

giustizia e mantenimento della sicurezza. I funzionari all'estero vennero sostituiti da militari. Venne

istituito il Servizio per la Sicurezza Nazionale, un servizio segreto che avrà notevole importanza

durante tutto il periodo della dittatura.

Il primo novembre venne istituito un Consiglio dei Ministri con il compito di amministrare

giorno per giorno il paese. Questo consiglio era formato da 14 ministeri, tutti gestiti da civili, fatta

eccezione per il Ministero dell'Interno gestito da Kolsher. I ministri di questo governo erano

tecnocrati, giovani, l'età media non superava i trent'anni, esponenti di quella élite intellettuale che

spesso aveva studiato all'estero (sei ministri si erano laureati in Italia), dove avevano potuto entrare

in contatto con i movimenti progressisti e di sinistra internazionali, e tornati in Somalia avevano

assistito impotenti al degenerarsi della politica della Somalia parlamentare. Il colpo di stato da parte

dei militari, guidato dall'esercito che era sempre stato al di fuori degli intrighi della politica somala,

fu visto con entusiasmo, come una possibilità di cambiamento radicale, un cambiamento a cui

volevano partecipare in prima persona. Il ruolo dei civili, però, anche in questa prima fase, va

ridimensionato: se è vero che il Consiglio dei ministri era formato quasi esclusivamente da civili,

quest'organo aveva limitati poteri, spesso era ridotto ad essere un semplice organo consultivo, il

vero potere era fin dall'inizio nelle mani del CRS, organo gestito solo da militari.

Il CRS, pur avendo assunto pieni poteri, non aveva ancora preso una direzione politica precisa

e univoca. I tredici punti della Prima Carta Rivoluzionaria erano in fondo abbastanza vaghi e non

presentavano un programma politico organico. Nell'unico organo di informazione rimasto attivo,

Stella d'Ottobre, si iniziò da subito a parlare di socialismo: il 26 ottobre Hassan Warsek, il maggiore

responsabile del giornale, scriverà un articolo con il titolo Sulla via del socialismo il futuro

progresso della Somalia, dove sosteneva che l'unica via per le forze democratiche era il

socialismo143. Il discorso però sul socialismo verrà, in una prima fase, messo in secondo piano, i

comunicati del CRS e dello stesso Siad Barre parlavano più di nazionalismo, non però tanto nel suo

significato irredentista a danno dei paesi vicini, ma nell'idea di collaborazione tra tutti coloro che

143 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 29-39

83

erano intenzionati a lavorare per dare uno sviluppo della Somalia, paese che necessitava di

maggiore indipendenza economica. Il CRS non mostrò un atteggiamento ostile nei confronti degli

stranieri: in una dichiarazione il 26 novembre su Stella d'Ottobre Siad Barre garantiva agli operatori

stranieri che “non è nostra intenzione di appropriarci dei loro beni né derubarli, vogliamo solo

amministrare bene le nostre risorse”; gli operatori stranieri devono solo rispettare “le nostre leggi”.

In questa prima fase il CRS si scagliava soprattutto con quei dipendenti pubblici che avevano

utilizzato la propria carica per fini e arricchimenti personali. Nei primi mesi, comunque, si verranno

ad affermare le tendenze rivoluzionarie del regime, sia filonasseriane che filo-marxiste, in

contrapposizione con le tendenze reazionarie e filo-occidentali rappresentate da Korshel. Questa

contrapposizione avrà il suo culmine nella primavera del 1970, quando, il 29 aprile, il generale

Kolsher venne arrestato con l'accusa di star preparando un colpo di stato controrivoluzionario:

secondo l'accusa Kolsher avrebbe tentato di spingere l'Etiopia ad attaccare la Somalia per

costringere l'esercito a concentrarsi sulla difesa delle frontiere, in modo da lasciare libero il campo

potendo così liberare i membri dell'ex governo Egal, destituire Siad Barre e il CRS, chiudere il

conflitto con l'Etiopia con la definitiva rinuncia dell'Ogaden e sciogliere gran parte dell'esercito

accusandolo di essere causa di instabilità del paese e della tensione che regna con i paesi vicini. È

abbastanza improbabile che Kolsher stesse preparando un colpo di stato così complesso. E' più

credibile che fu una mossa del CRS per liberarsi della sua componente più conservatrice e

filoccidentale e per poter procedere così alle nazionalizzazioni ed a una politica più radicale. La

pena che fu data a Korshel fu lieve e non di alto tradimento.

84

Capitolo III1970-1973: la prima fase della Somalia socialista

I crash programmes, l'iska wah ugabso e le nazionalizzazioni

L'allontanamento nell'aprile del 1970 della componente del CRS più filo-occidentale e più

conservatrice, rappresentata dal generale Korshel, portò il regime rivoluzionario a radicalizzare la

sua politica interna. Il primo anno del regime rivoluzionario fu caratterizzato da tre importanti

provvedimenti: l'iska wah ugabaso, i crash programmes e le nazionalizzazioni. I primi due

provvedimenti, che avevano il compito di mobilitare le masse nella trasformazione del paese in

tempi ridotti e con il minore esborso di capitali, si basavano su un patto tra cittadini e stato: i

cittadini fornivano manodopera, anche gratuitamente, e lo stato forniva tecnici, strumenti e

materiali144.

Con il termine iska wah ugabaso, che in somalo significa “fai da te”, veniva inteso il lavoro

volontario per opere collettive che, oltre a finalità produttive, aveva lo scopo di educare i somali

all'autodisciplina, all'autogestione, alla responsabilità comunitaria e al senso della partecipazione

diretta nello sviluppo dell'economia nazionale145. Istituito il 16 febbraio del 1970, l'iska wah

ugabaso riceveva finanziamenti per il 50% da contributi volontari e il resto dallo stato. Il lavoro

volontario, sottoposto comunque al comando dei militari, era amministrato dai vari comitati locali e

da centri di orientamento che avevano il compito di discutere i vari progetti, reclutare i volontari e

organizzare il lavoro. Nei primi anni settanta, quando il regime aveva ancora un ampio sostegno

delle masse, soprattutto urbane, l'iska wah ugabaso non appariva una forma coercitiva di lavoro, ma

piuttosto un mezzo per la popolazione urbana disoccupata di sfamarsi ed è indubbio che questo

sistema di lavoro portò alla realizzazione di importanti progetti: la ricostruzione in brevissimo

tempo dell'Hotel Juba a Mogadiscio, che aveva subito un grave incendio; la riforestazione della

144 DEL BOCA A., op. cit., pag. 434-436145 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 58-68

85

duna di sabbia presso Merca, per evitare l'insabbiamento delle zone coltivate; la costruzione di

scuole, ospedali, canali, strade, pozzi; la creazione delle prime unità sanitarie mobili, per garantire

un servizio medico alle popolazioni nomadi; il risanamento degli slum della capitale146.

I crash programmes, istituiti sempre nel febbraio del 1970, erano dei progetti di cooperazione

che prevedevano la partecipazione diretta della popolazione alla trasformazione del mondo rurale.

Con questi programmi il regime militare voleva affrontare due grossi problemi: l'insufficienza della

produzione agricola per il consumo interno e l'aumento della disoccupazione giovanile legata al

crescente inurbamento. Nei crash programmes vennero impiegate 2.500 persone, soprattutto

giovani disoccupati di Mogadiscio, di cui 1.060 vennero impiegati nelle Aziende agricole di stato,

500 nel lavoro delle strade, 1.000 nella riforestazione e nella costruzione di pozzi. A questi

lavoratori veniva dato vitto e alloggio gratis e uno stipendi di 2,5 scellini al giorno (nelle

piantagioni di banane private si guadagnavano appena 1,5 scellini)147 e inoltre gli venivano offerti

un addestramento paramilitare e un'educazione politica. L'attuazione di questi programmi fu

limitata, fin dall'inizio, dal basso tasso di adesione spontanee e dalla difficoltà di riabilitare i giovani

disoccupati, spesso legati alla delinquenza e alla prostituzione148; nonostante ciò, già nel primo

anno, grazie ai crash programmes, si arrivò ad asfaltare una decina di strade a Mogadiscio, a

costruire 14 mercati coperti, scuole, centri di orientamento, campi sportivi e inoltre erano previsti

120 progetti nel Benadir, 138 nel Basso Giuba, 120 nell'Hiran, 102 nell'Alto Giuba149. Il 21 ottobre

del 1972 verrà emanata una legge speciale di regolamentazione dei crash programmes e istituito un

apposito ente pubblico, la Agricultural Crash Programmes Agency. Nell'articolo 4 di questa legge

venivano spiegate le finalità del nuovo ente: “ reclutamento e organizzazione di un corpo di pionieri

agricoli, costituito da volontari, da inserire nei crash programmes agricoli; promozione dello

sviluppo agricolo; istituzione e organizzazione di fattorie agricole di stato; sedentarizzazione di

146 FORNI E., Una nuova vita in Somalia, Franco Angeli Editore, Milano, 1984, pag. 25147 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 58-65148 FORNI E., op. cit., pag. 25-26149 DEL BOCA A., op. cit., pag. 433-436

86

nomadi in aree agricole; eliminazione della povertà attraverso la crescita della produzione agricola;

eliminazione del sottosviluppo e promozione dello sviluppo collettivo attraverso il lavoro agricolo;

inculturazione di uno spirito di autosufficienza e disciplina tra i volontari del crash programmes.”150.

Gli iska wah ugabso e i crash programmes divennero il simbolo di quella collaborazione tra

Esercito e masse popolari urbane che caratterizzò i primi anni del regime militare. L'Esercito in

questi anni voleva dare di sé un'immagine di forza popolare e importante in questo senso fu la

nomina il 31 marzo del 1970 a comandante dell'Esercito del tenente colonello Mohamed Ali

Samantar, uno dei membri più progressisti del CRS, proveniente dal clan Midgan (considerato dalla

tradizione pastorale dominante una casta inferiore di agricoltori-cacciatori di origine bantu) ed uno

degli uomini più vicini a Siad Barre151. Samantar, che nell'aprile del 1971 sostituirà il generale

Gaveire alla guida del Ministero della Difesa, portò ad una democratizzazione dell'Esercito

abolendo la categoria degli ufficiali a carriera limitata, dando quindi la possibilità a chiunque di

arrivare ai gradi superiori dell'Esercito. I militari venivano inoltre inserirti nello sviluppo economico

e sociale attraverso il coordinamento e la formazione del iska wah ugabso e dei crash programmes:

l'Esercito diventava così la “forza di avanguardia” del processo rivoluzionario somalo, l'istituzione

che guidava la mobilitazione attiva delle masse e inculcava l'idea di “autosufficienza”, parola

d'ordine della Somalia di quel periodo152.

Il 7 maggio del 1970 l'organo di stampa del regime, Stella d'Ottobre, annunciò una serie di

editti che segnarono la nuova linea guida del governo e che diedro il via alle nazionalizzazioni153:

1. piena proprietà statale della Società Nazionale Agricola(SNAI) che prima era di proprietà per

metà del governo e per metà di privati italiani.

2. Nazionalizzazione della Società elettrica italo-somala (SEIS) che prima era una società privata

italiana che gestiva la produzione e la distribuzione dell'energia a Mogadiscio e nel sud del

150 GUADAGNI M., op. cit., pag. 266-267151 PETRUCCI P., op. cit., pag. 65152 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 112-118153 Una prima importante nazionalizzazione avenne nel gennaio del 1970, con la statalizzazione del 51% della

compagnia aerea somala, prima interamente di proprietà italiana. DECRAENE P., op. cit., pag. 87

87

paese.

3. Nazionalizzazione delle compagnie di distribuzione del petrolio.

4. Nazionalizzazione di tutte le banche straniere operanti in Somalia: il Banco di Roma, il Banco

di Napoli, la National and Grindlays of Britain e la Egyptian Bank.

5. Creazione di una Compagnia Nazionale di Assicurazioni, che doveva sostituire le cinque

compagnie straniere, accusate di praticare speculazioni a danno dei somali154.

Le nazionalizzazioni di maggio porteranno il regime del CRS su posizione più socialiste anche

se però lo stesso Siad Barre, pur sostenendo che “l'obiettivo del CRS è di sbarazzare l'economia del

paese dal controllo straniero”155 tranquillizzò gli investitori stranieri e gli stessi commercianti

somali: “Non abbiamo nuove nazionalizzazioni in vista. Il nostro scopo è quello di nazionalizzare le

imprese che sfruttano il popolo somalo. Ma non abbiamo mai avuto il desiderio di attaccare la

proprietà privata in quanto tale. Personalmente, per esempio, non ho mai pensato di nazionalizzare

l'agricoltura o l'industria. Al contrario, noi incoraggiamo l'iniziativa privata.”156. L'idea che il CRS

volle trasmettere era quella di una politica razionale di nazionalizzazione, fatta solo pensando al

“bene del popolo somalo”, e non fine a se stessa; vengono nazionalizzate solo quelle imprese

improduttive, parassitarie, speculative e che non accettano le regole di una economia pianificata,

mentre quelle imprese che si dimostrano produttive e in linea con le direttive governative, anche se

straniere, potevano rimanere in mano ai rispettivi proprietari. In un editoriale di Stella d'Ottobre del

21 gennaio del 1970 sono illustrate le ragioni che spinsero il CRS a procedere alle

nazionalizzazioni: “ Nei paesi in via di sviluppo, il capitale a volte può essere d'ostacolo al

progresso, a seconda del modo in cui i prestiti e i crediti sono assegnati. Il capitale imperialista, in

effetti, può essere concentrato in settori come il commercio, i trasporti o altri settori improduttivi -

generalmente nelle mani della classe politica al potere - e di diventare un mezzo di pressione da

parte dell'imperialismo. Questo capitale è manipolato dalle banche che esercitano le loro attività nel

154 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 87-89155 DEL BOCA A., op. cit., pag. 435156 DECRAENE P., op. cit., pag. 90

88

paese, che concedono crediti in modo da favorire uno sviluppo capitalista locale legato ad un

capitalismo straniero. Prestiti e crediti assegnati in questo modo ostacolano lo sviluppo dei paesi

(...)”157. Con le nazionalizzazioni lo stato vuole assumersi la direzione degli organismi decisionali in

campo economico per indirizzare le risorse disponibili a soddisfare le esigenze e i bisogni

immediati delle grandi masse popolari158.

Alcuni interessi italiani in Somalia furono danneggiati dalle nazionalizzazioni: nel periodo

parlamentare circa il 70% dei 15 milioni di KWH di energia elettrica distribuiti dalla SEIS veniva

indirizzato verso imprese agricole e industriali italiane e la restante percentuale veniva utilizzata per

illuminare i quartieri residenziali delle città; gli istituti bancari e assicurativi italiani avevano un

potere di controllo sulla Banca Nazionale Somala orientando soprattutto la sua politica creditizia,

attraverso l'aumento dei tassi dei crediti statali e privati; il sistema bancario e finanziario finiva per

favorire quelle attività, come il commercio e le piantagioni di banane, che privilegiavano gli

interessi stranieri e alcuni imprenditori somali, attraverso fughe di capitali all'estero, e

disincentivando il reinvestimento dei profitti in Somalia. Le nazionalizzazioni volevano quindi

porre un freno a questo sistema definito “imperialista” e avviare una politica per l'interesse

nazionale.

Le nazionalizzazioni venivano viste dal CRS, anche se non da tutti i suoi membri, come una

fase intermedia, un primo passo nel cammino rivoluzionario: “Questi provvedimenti ci permettono

di seguire alcuni obiettivi intermedi (...) come base del nostro prossimo piano di sviluppo”159; è in

questo periodo che il dibattito politico interno al CRS, con il contributo dei tecnocrati del governo,

si fa più acceso e si parla sempre più di adesione al socialismo scientifico.

Qualche settimana dopo le nazionalizzazioni furono prese una serie di provvedimenti per

ridurre le importazioni, promuovere la produzione locale di cibo, migliorare la condizione degli

allevamenti e sviluppare un'industria nazionale. Venne istituita l'Agriculturl Development Agency

157 DECRAENE P., op. cit., pag. 89158 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 67159 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 67- 71

89

(ADA) con il compito di incoraggiare l'iniziativa delle piccole fattorie, controllare i prezzi (il

prezzo base di un chilo di mais venne fatto scendere da tre a un scellino) e la distribuzione delle

merci e per eliminare i latifondi. Tali provvedimenti furono accompagnati da una serie di misure

coercitive per chi non collaborava (34 grossisti furono arrestati)160, dimostrando così che anche in

una prima fase, sebbene lontani dalle degenerazioni autoritarie successive, la politica del CRS era

accompagnata da misure repressive.

Nel primo anno del regime militare furono presi una serie di provvedimenti per rinnovare e

moralizzare l'amministrazione pubblica: il 31 dicembre del 1969 venne introdotta una legge sulle

pensioni per il personale civile161; il 1° aprile del 1970 una legge sugli stipendi riduceva del 40% gli

stipendi dei burocrati ai livelli più alti dell'amministrazione; furono attutate politiche di riduzione

del personale pubblico che veniva stipendiato senza avere un impiego o che si era macchiato di

traffici illeciti nella passata amministrazione; vennero ridotti gli affitti del 20% e aumentata la

pressione fiscale per la proprietà di una casa e per beni di lusso162. Siad Barre, con questi

provvedimenti, non voleva colpire i semplici impiegati, ma gli alti funzionari, i reali colpevoli del

clima di corruzione del passato regime, che dovevano ora scendere dal loro piedistallo e rendersi

conto dei problemi delle masse e operare in nome del rigore politico, dell'austerità e della vigilanza.

Nel primo anno, comunque, per ammissione dello stesso Siad Barre, gli sprechi

nell'amministrazione pubblica rimasero: il 60% del bilancio dello stato veniva destinato al

pagamento degli stipendi e il 40% ai servizi. Nonostante questi dati non proprio positivi, l'idea che

veniva propagandata dal CRS era quella di un regime onesto e che stava operando a favore della

eliminazione dei privilegi delle classi più alte, rafforzando così l'”alleanza” tra masse popolari e

militari163.

Gli effetti della politica di nazionalizzazione e degli altri provvedimenti presi in questo periodo

160 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 87-89161 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 319162 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 87-89163 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 81-85

90

si fecero sentire già nei primi mesi dalla loro attuazione: secondo dati della Banca Nazionale

Somala, le importazioni nel corso del 1970 calarono del 19%, mentre le esportazioni dell'11%,

diminuendo così il deficit della bilancia commerciale di 1/3 rispetto all'anno precedente; i prezzi di

consumo videro una diminuzione del tasso annuale dal 6% del '69 al'1% nell'anno successivo; nel

1970 il credito interno diminuì del 3,2%, passando da 288,4 a 279,3 milioni di scellini,

conseguenza soprattutto di una migliore gestione della spesa pubblica e di una più efficiente politica

di tassazione; le riserve di valuta estera crebbero del 40% rispetto al periodo precedente; l'industria

saccarifera di Johar riuscì a soddisfare la domanda interna di zucchero, eliminando così le

importazioni di zucchero dall'estero. Nonostante questi dati positivi la stessa Banca Nazionale

Somala ammise che nel 1970 la crescita economica somala fu modesta164.

Nel primo anno del regime del CRS i due maggiori sub-settori dell'economia, l'allevamento del

bestiame e la produzione e il commercio delle banane, non furono toccati da particolari

provvedimenti governativi. Nazionalizzare il bestiame, per un regime che si stava ancora

consolidando, era sconveniente, essendo la pastorizia la maggiore attività in Somalia e la proprietà

dei capi di bestiame era in mano alle famiglie dei pastori nomadi che rappresentavano la

maggioranza della popolazione. Nel settore della bananicoltura, invece, una serie di fattori aveva

scoraggiato l'estensione della proprietà statale. La produzione e il commercio delle banane aveva

vissuto per trent'anni sotto un sistema di monopolio, che, se da un lato aveva favorito la sicurezza di

un mercato, quello italiano, dall'altro, proprio per questa sicurezza, aveva spinto i concessionari

italiani a non portare dei miglioramenti per renderlo competitivo: risultava così un settore arretrato e

non in grado di competere con le grandi multinazionali come la United Fruit Company. Per lo stato

somalo prendere in gestione tale settore significava indirizzare molti investimenti per la sua

modernizzazione che, in un periodo di consolidamento del regime, non era di certo conveniente.

Inoltre significava perdere quell'unico mercato, quello italiano, che in tutti quegli anni aveva

sostenuto l'esportazione delle non pregiate banane somale. A scoraggiare ulteriormente il governo

164 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 71-74

91

ad intervenire sul settore bananiero era la riduzione delle esportazioni a seguito della chiusura del

Canale di Suez. Bisognerà aspettare il 1972 per vedere il regime rivoluzionario prendere dei

provvedimenti sulla produzione e la commercializzazione delle banane, con la creazione della

National Agency Banana che controllava le esportazioni e cercava altri canali di commercio al di

fuori del mercato italiano165. La “moderazione” del regime rivoluzionario era dovuta anche ad una

politica estera non chiara, il non-allineamento professato era un termine vago, la tendenza era quella

di non preoccupare troppo gli stranieri: l'ambasciatore somalo in Francia dichiarerà riferendosi alle

nazionalizzazioni: “ Tuttavia, si possono calmare gli spiriti inquieti, io vi posso assicurare che il

governo rivoluzionario del generale Siad non ha intenzione di nazionalizzare l'importante settore

agricolo e bananiero (...)”166.

A differenza di altri regimi di orientamento socialista, come la stessa Etiopia qualche anno

dopo, la Somalia rivoluzionaria non prese mai una precisa politica di riforma agraria. La questione

fondiaria non venne trattata nel suo complesso ma presa in esame in singoli aspetti e in leggi che

non trattavano l'argomento direttamente. La “legge di protezione sociale”, emanata all'inizio del

1970, riguardava l'abolizione dell'organizzazione gentilizia tradizionale ma si occupava anche di

questioni fondiarie. Nell'articolo 3 di questa legge si sosteneva: “Tutte le risorse idriche e del suolo

nel territorio della Repubblica Democratica Somala, che non appartengono ad enti pubblici o ad

altre persone fisiche o giuridiche, sono di proprietà dello stato. (...) Chiunque rivendichi a sé diritti

di pascolo o diritti su terre ed acque, ovvero reclami danni da terze persone fisiche o giuridiche,

fondando le sue pretese su diritti di carattere tribale, sarà punito con la reclusione da tre a cinque

anni e con la multa da 1.000 a 5.000 scellini.”167.

165 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 87-89166 DECRAENE P., op. cit., pag. 90167 GUADAGNI M., op. cit., pag. 258-259

92

Il primo anniversari della Rivoluzione e il primo piano di sviluppo 1971- 1973

Il 21 ottobre 1970 venne celebrato il primo anniversario della Rivoluzione di ottobre e fu in

questa occasione che Siad Barre annuncerà l'adesione della Somalia al socialismo scientifico: “nella

nostra Rivoluzione, noi crediamo, di aver rotto le catene di una economia di consumo basata sulle

importazioni, ed ora siamo liberi di decidere il nostro destino. E, nell'ordine di realizzare l'interesse

del popolo somalo, nel nostro obiettivo di una vita migliore, nel pieno sviluppo delle nostre

potenzialità e nel pieno raggiungimento delle nostre aspirazioni, noi solennemente dichiariamo la

Somalia essere uno Stato Socialista”168. La scelta di adottare il socialismo scientifico, non fu

solamente una novità per la Somalia ma anche per lo stesso continente africano, poiché, sebbene

altri stati, come la Tanzania, il Congo Brazzaville e la Guinea, si erano dichiarati socialisti, la

Somalia fu il primo paese africano ad aggiungere l'aggettivo scientifico. Nella Seconda Carta della

Rivoluzione, redatta sempre in occasione del primo anniversario della Rivoluzione, il regime volle

dare una prima spiegazione della sua scelta: “ La Repubblica Democratica della Somalia ha

adottato, a partire dal 21 ottobre 1970, il socialismo come obiettivo principale, e prenderà tutte le

misure necessarie per la sua instaurazione totale per il progresso e la prosperità del popolo

somalo”. Siad Barre aggiungerà inoltre: “noi conosciamo i risultati dei diversi riformismi, i

fenomeni del populismo e del peronismo; noi conosciamo i vari travestimenti e le altre

mistificazioni del neocolonialismo. Noi ci rendiamo perfettamente conto che numerose

proclamazioni di dottrina socialista non sono state seguite da molti risultati, che numerosi paesi si

sono dati l'etichetta socialista senza andare più in là e che esistono oggi talmente adattazioni e

revisioni del socialismo che è difficile orientarsi”169. La Somalia voleva prendere le distanze sia dal

socialismo africano che da quello arabo e avvicinarsi ad un marxismo-leninismo di stampo

sovietico o addirittura maoista. Molti osservatori stranieri videro nella scelta del CRS una manovra

168 LAITIN D. D., SAID S. SAMANTAR, op. cit., pag. 109169 DECRAENE P., op. cit., pag. 84-85

93

dell'URSS per estendere ulteriormente la propria influenza nel paese. E' più probabile, invece, che

la scelta è stata presa all'interno dello stesso Consiglio Rivoluzionario che vedeva nel socialismo

scientifico, definizione che più che avere un significato preciso era vista come sinonimo di

radicalismo, l'unica possibilità per far uscire la Somalia dal sottosviluppo. La Somalia era però un

paese che non aveva mai avuto né un movimento operaio, né un movimento contadino, quindi

mancavano quelle basi per creare, anche solo ideologicamente, una società socialista. Proprio per la

mancanza di un movimento socialista significativo nel mondo civile, l'adesione al socialismo

scientifico finirà per accrescere ulteriormente il peso dell'Esercito nella società somala, poiché si

sentiva l'unica istituzione in grado di guidare il processo rivoluzionario. In un articolo apparso

nell'aprile del 1971 sul Combattente, organo di stampa dell'Esercito, veniva spiegato quale doveva

essere il ruolo di questa istituzione nel processo rivoluzionario: “l'esercito è il più importante

istituto nazionale in quegli stati in cui la nazione sta attraversando il periodo di formazione, in cui

sono deboli le relazioni nazionali (...). All'interno dell'esercito tutti gli strati della popolazione

provenienti da varie zone del paese, tutti i rappresentanti dei vari gruppi tribali e sociali, risultano

mescolati e cominciano a rendersi conto di essere membri di una sola famiglia nazionale”170.

L'Esercito voleva guidare la formazione nazionale del paese non solo a livello militare, ma anche a

livello politico, sociale ed economico. Con l'ottobre del '69 l'Esercito, assumendo il potere in

Somalia, aveva ripulito la società e la politica dalla corruzione; attraverso i crash programmes e

l'iska wah ugabaso aveva mobilitato le masse popolari; attraverso le nazionalizzazioni aveva

portato il paese verso una prima fase dell'indipendenza economica; ora, con l'adesione al socialismo

scientifico, voleva spingersi oltre nel suo ruolo di avanguardia rivoluzionaria: voleva creare una

società socialista in una realtà, come quella somala, dove mancava una coscienza di classe ed una

élite intellettuale rivoluzionaria consolidata. Siad Barre considerava il socialismo arabo di stampo

nasseriano un sistema che si era fermato ad una prima fase del processo rivoluzionario, ad una fase

non capitalista, dove però la “neoborghesia nazionale” aveva finito per sostituirsi nel ruolo di classe

170 PESTALOZZA L., op. cit., pag.127-128

94

sfruttatrice delle grandi masse popolari. Il socialismo scientifico voleva invece una partecipazione

diretta delle masse popolari nella crescita del paese e il compito dell'Esercito era quello di guidare

questa partecipazione dal basso. L'Esercito si sentiva legittimato in questo suo ruolo di guida

perché, soprattutto a seguito delle riforme adottate da Samantar, si considerava un esercito popolare.

Il socialismo scientifico era definito come un metodo di organizzazione della società somala

che aveva questi obiettivi:

1. nazionalizzare i bracci principali dell'economia;

2. sviluppare e incoraggiare lo sviluppo delle risorse locali, soprattutto a livello agricolo per

produrre cibo necessario al fabbisogno locale;

3. creare un ordine egualitario e ridurre le differenze sociali;

4. democratizzare il mondo del lavoro e le istituzioni politiche;

5. istituire un'ortografia ufficiale per la lingua somala;

6. promuovere le esportazioni e ridurre le importazioni al fine di equilibrare la bilancia dei

pagamenti;

7. uscire dalla dipendenza economica;

8. riaffermare il non-allineamento positivo171.

Nel definire più precisamente che cos'era il socialismo scientifico esisteva il problema della

sostanziale ignoranza da parte dei membri del CRS e dello stesso Siad Barre dell'ideologia

marxista-leninista, un'ignoranza che in alcuni dibattiti pubblici fu causa di imbarazzo quando veniva

alla luce. Fu necessario per i vertici militari l'aiuto dei giovani intellettuali nella formazione di un

ideologia marxista adattabile alla Somalia. Importante in questo senso fu il ruolo iniziale di

Mohammed Aden Sheikh, che nel periodo del regime parlamentare era stato tra i fondatori del

piccolo partito socialista Hawl iyo Hantiwadaag (Work and Socialist) e che, con l'avvento del

regime militare, era diventato Ministro della Salute172. La poca conoscenza del marxismo portò

171 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 87-89172 LAITIN D. D., SAID S. SAMANTAR, op. cit., pag. 109

95

comunque la classe dirigente ad utilizzare tale ideologia a sproposito, diventando più un mezzo per

legittimare l'Esercito nella sua politica repressiva, che un mezzo per formare una società socialista.

Inoltre Siad Barre, fin dai primi anni di potere, era affascinato dal culto della personalità, una realtà

che aveva poco a che fare con il marxismo, ma che aveva accompagnato molti dei regimi che si

definivano tali, dallo stalinismo, al maoismo, al caso più estremo della Corea del Nord. Il culto della

personalità diventò una caratteristica del regime socialista somalo: se la Rivoluzione era la Madre

della nazione, Siad Barre ne era il Padre; nei poster di propaganda e negli stessi componimenti

poetici Siad Barre veniva presentato come il Leader Vittorioso, Il Buon Condottiero, veniva

mitizzato fino al misticismo173. Un esempio di questo culto della personalità è questa poesia-

preghiera: “Tutto quello che succede/ è opera di Dio/ Siad è il padre dei Somali./ E' Siad che ha

scelto/ il nostro governo/ è per te/ che tutti questi fiori/ sono disegnati sui libri./ Che Dio ti

benedica/ Mohamed”. Allo stesso tempo Siad Barre si presentava come uomo del popolo, attraverso

uno stile di vita modesto, povero e privo di privilegi174. Nei primi anni al potere Siad Barre viveva

in caserma e riceveva la gente di notte, senza una regola o una agenda, come un patriarca, seduto

sotto un sicomoro175.

A livello economico, come è stato detto nel capitolo precedente, nel primo anno della

Rivoluzione il regime aveva messo in secondo piano il mondo rurale (allevamento, pesca,

agricoltura) pur essendo la realtà più rappresentativa del paese, incidendo per 2/3 nel PIL,

occupando 4/5 della forza lavoro e fornendo il 98% delle esportazioni. Sul finire del 1970 il CRS

lanciò il Primo piano di sviluppo per il biennio 1971-1973 con diversi obiettivi: controllo delle

malattie animali, estensione dei crash programmes e dell'iska wah ugabso nel settore agricolo,

incremento della produzione di cibo per il mercato interno e aumento dell'occupazione. Il piano

prevede vaccinazioni per i pastori e per il loro bestiame e altri strumenti per migliorare il pascolo e

a livello agricolo si dava grande enfasi al lavoro volontario. Se nelle intenzioni del piano veniva

173 LEWIS I. M., op. cit., pag. 210-211174 FORNI E., op. cit., pag. 130-131175 PETRUCCI P., op. cit., pag. 41

96

data grande importanza al settore agricolo e pastorale, nella realtà, se si guardano i risultati finali,

non fu così: nell'allocazione delle risorse quello dei servizi, come nel periodo parlamentare, fu il

settore che ricevette più finanziamenti, con 331,4 milioni di scellini, cioè il 50% dei 659,11 milioni

di scellini messi a disposizione per il Piano. Al secondo posto troviamo l'industria con il 17,8%,

l'agricoltura con il 17,7% , il rifornimento di acqua con il 9,7%, il bestiame con il 7,8%, la

forestazione con lo 0,8% e infine la pesca con lo 0,7% dei finanziamenti. Inoltre il Primo Piano

riceveva per l'80% finanziamenti dall'estero, dimostrando così come anche il nuovo regime

dipendesse pesantemente dall'estero176.

Per quanto riguarda il settore industriale venne acquisito dallo stato lo zuccherificio di Juhar, il

più grande impianto industriale del paese, e l'impianto tessile di Balcad. L'Organizzazione per lo

sviluppo industriale delle Nazioni Unite (UNIDO) mostra come il settore indusriale della Somalia

nel 1973 rappresentasse solo il 15% del PIL. Lo scarso sviluppo del settore era dovuto ad un ridotto

mercato interno, alla mancanza di una manodopera specializzata, alla mancanza di infrastrutture e

una grande dispersione di capitali nelle opere di ristrutturazione industriale177.

Nel settore commerciale venne istituita la National Trading Agency (ATA) che aveva il

compito di favorire la creazione di un commercio nazionale, eliminando quei fenomeni speculativi

favoriti dagli agenti stranieri, soprattuto italiani, e per una diretta gestione delle risorse da parte

dello stato attraverso la creazione di negozi statali e municipali. In questo periodo fu inoltre creato

un sistema cooperativo di trasporto sotto la guida del Ministero dei Trasporti178.

Il somalo diventa lingua scritta

Nel 1969 la Somalia era uno degli stati con il più alto tasso di analfabetizzazione al mondo con

il 93% di analfabeti. Il somalo, nonostante i diversi dialetti, era una lingua parlata in tutto il paese

ma rimaneva esclusivamente orale. Le due lingue ufficiali erano l'italiano e l'inglese, lingue, però,

176 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 89-91177 AHMED I. SAMTAR, op. cit., pag. 89-91178 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 89-91

97

non conosciute da tutta la popolazione e, in modo particolare, dai nomadi dell'interno. Nell'ottobre

del 1971 il CRS annunciò una serie di provvedimenti per risolvere la questione della lingua scritta e

avviare un rapido processo di alfabetizzazione: nazionalizzazione di tutte le scuole, utilizzo del

latino per la trascrizione della lingua somala, avvio di una campagna di alfabetizzazione in tutto il

paese. Il 21 ottobre del 1972 venne emanato un decreto scritto in lingua somala che dichiarava: “ 1)

le tre lingue amministrative del paese, italiano, arabo e inglese, lasciavano il posto alla lingua

somala; 2) i pubblici dipendenti avevano tre mesi di tempo per imparare a scrivere la loro lingua

madre e sostenere una prova, senza il superamento della quale avrebbero perso l'impiego; 3) erano

già disponibili i libri di testo per somalizzare l'insegnamento primario”179. Nei centri abitati,

soprattutto tra gli impiegati pubblici e gli studenti, già un anno dopo la sua introduzione, l'alfabeto

latino adattato alla lingua somala veniva regolarmente utilizzato. Il 22 ottobre usciva il primo

numero di Stella d'Ottobre in somalo, Xiddigta Oktoobar. Per quanto riguarda le zone interne,

abitate da pastori e contadini, furono avviate le cosiddette “campagne di sviluppo del mondo

rurale”: 30.000 studenti e insegnanti vennero inviati in tutto il paese per alfabetizzare i contadini e i

pastori, oltre a fornire assistenza medica e veterinaria, censire la popolazione e realizzare ricerche

sulle tradizioni popolari. Queste campagne erano state pensate e organizzate dal quel gruppo di

tecnocrati che in quegli anni sosteneva il regime dei militari. Il programma di alfabetizzazione tra le

popolazioni nomadi comportava una serie di problemi, soprattutto nella difficoltà di prevedere i

movimenti delle famiglie nomadi e nella difficoltà degli insegnanti di trovare alunni attenti e

presenti alle lezioni con una certa costanza, questo perché spesso i bambini erano costretti a badare

ai pascoli. Un altro grosso ostacolo si presentò a metà degli anni Settanta, quando una devastante

siccità colpì la Somalia, portando in secondo piano l'alfabetizzazione del paese rispetto alle forze di

emergenza. Nonostante questi problemi a fine decennio il tasso di analfabetismo era sceso al

40%180: l'introduzione della lingua scritta e il processo di alfabetizzazione fu il maggior successo del

179 PETRUCCI P., op. cit., pag. 42-43180 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 100-103

98

regime di Siad Barre nei suoi 22 anni di potere. Un giornalista de Le Figaro, giornale francese

conservatore, Christian Hoche, venuto a conoscenza dell'introduzione della lingua scritta per la

Somalia dirà al giornalista italiano a Mogadiscio Petrucci: “Di questa rivoluzione somala non credo

che rimarrà molto. Un colpo di Stato domani e si chiudono tutti questi formicai dove si costruisce il

socialismo. Ma la lingua scritta è davvero un'altra cosa. Non ho mai visto niente di simile in nessun

angolo dell'Africa. Una lingua vale quanto l'indipendenza nazionale, forse è un mastice ancora più

forte e penetrante. Se fossi somalo farei subito un monumento a Siad Barre per questo servizio reso

alla nazione e lo manderei in pensione, prima che diventi troppo vecchio e cattivo”181

Nei primi anni settanta furono presi altri provvedimenti in campo educativo. Vennero istituiti i

“campi della gioventù rivoluzionaria”, dove i bambini abbandonati venivano nutriti, vestiti, ospitati

e istruiti; nel 1973 in dieci di questi campi, con circa 4.000 bambini, veniva data un'educazione

tecnica rudimentale e molti di questi finirono successivamente per entrare nell'Esercito. Siad Barre,

rimasto orfano in tenera età, era molto orgoglioso di questi centri e spesso nei fine settimana andava

al più grande centro orfani che si trovava ad Afgoi, dove si presentava come il “Padre” che aveva

salvato quei bambini dalla strada e dalla delinquenza182.

Nel corso degli anni settanta la crescita degli studenti fu notevole, con tassi di crescita del

265% per quel che riguarda le scuole primarie183 e del 50% per le scuole secondarie. La popolazione

studentesca triplicò e vennero create nuove facoltà (medicina, agraria, ingegneria) all'Università di

Mogadiscio. Questi avanzamenti nel campo dell'istruzione avevano però dei limiti: gran parte delle

scuole nacquero nelle aree urbane (il 65% solo a Mogadiscio); la crescita della scolarizzazione

femminile fu molto ridotta; secondo dati del 1978 solo il 7% degli studenti passava dalla scuola

primaria a quella secondaria e ciò era dovuto tra l'altro alla scarsità di spazi, di insegnanti e di

materiali da indirizzare negli istituti secondari; l'università, seppure in crescita, era caratterizzata da

181 PETRUCCI P., op. cit., pag. 43182 HUSSEIN A. DUALEH, From Barre to Aideed, Stellagraphics, Nairobi, 1994, pag. 34183 La scuola primaria era divisa in quattro anni di scuola elementare e quattro anni di scuola media. Nel 1975 venne

ridotta a sei anni per poi ritornare a quattro anni nel 1978. SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 109

99

un alto tasso di abbandono e gli insegnamenti, svolti da docenti stranieri, avvenivano in lingue

diverse: italiano, inglese, arabo184. Solo negli anni ottanta conparvero i primi corsi universitari in

somalo185.

Prime forme di opposizione interna e istituzione dell'apparato repressivo

Negli anni tra il 1970 e il 1973 il regime di Siad Barre godette di molto sostegno interno e di

stima a livello internazionale. Molti giornali stranieri, anche di indirizzo politico differente,

mostrarono interesse per l'esperimento socialista somalo, vedendolo come uno dei sistemi politici

più riusciti dell'intero continente africano. Sebbene ci furono dei successi indiscutibili a livello

culturale, soprattutto nel processo di alfabetizzazione, l'economia somala rimase stagnante e

dipendente dall'estero. Inoltre, pur esistendo un ampio sostegno della popolazione, non mancavano

movimenti di opposizione già nei primi anni di regime militare.

Il 5 maggio 1971 vennero arrestati, assieme altre duecento persone, due esponenti del CRS, il

generale Salad Gaveire Kedie e Mohamed Ainansce Guled accusati di star organizzando un colpo di

Stato per ristabilire un regime di tipo “capitalistico”. In realtà Gaveire e Ainansce, appartenenti alla

componente nasseriana del CRS, volevano porre un freno al processo di radicalizzazione della

Rivoluzione, ma non c'erano prove che fossero effettivamente dei golpisti. Il regime, a differenza di

quello che era successo l'anno precedente al “traditore” Korshel, a cui fu data una pena lieve, reagì

in modo molto duro contro questi “nemici del popolo”: il 3 luglio 1972 Salad Gaveire Kedie,

Mohamed Ainansce Guled e il colonnello Abdulcadir bin Abdulla furono giustiziati: al CRS,

istituzione ormai consolidata, “non gli importava più di perpetuare il mito della rivoluzione senza

sangue”. Durante il processo che portò alla condanna degli esponenti del CRS, venne diffuso un

volantino firmato dal Movimento popolare di liberazione, nel quale si sosteneva che le premesse

della Rivoluzione del '69 erano state tradite e veniva accusato il regime militare di essere una

184 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 101-103185 SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 106

100

dittatura con un grado di corruzione peggiore a quello del regime parlamentare.

Il regime militare istituì un sistema di repressione contro l'opposizione fin dai primi mesi della

sua esistenza: il 3 gennaio 1970 venne emanata la Legge sul Tribunale per la sicurezza nazionale

che prevedeva la nascita di questo tribunale, con sede a Mogadiscio, composto da un presidente,

appartenente alle Forze Armate, e quattro consiglieri, membri delle Forze di sicurezza o delle Forze

armate, senza l'obbligo di avere una preparazione legale o giudiziaria alle spalle. Il 10 gennaio 1970

venne emanata la Legge sul potere di detenzione, che prevedeva la detenzione amministrativa

illimitata senza incriminazione o processo per coloro che, con le parole o con i fatti, agivano contro

la Repubblica Democratica Somala, contro il CRS e la Rivoluzione; la legge prevedeva inoltre che

solo al CRS spettava il diritto di ordinare la scarcerazione. Il 15 febbraio 1970 venne emanata la

Legge di istituzione del Servizio di Sicurezza Nazionale, che permetteva di detenere per

accertamenti quelle persone sospettate di reati contro la sicurezza dello Stato. Il 10 settembre dello

stesso anno venne emanata la Legge per la sicurezza nazionale, conosciuta anche come la “legge

dei 26 articoli”, che considerava reati punibili con la pena capitale, oltre alla confisca dei beni, 20

diversi reati politici:

1. “azioni contro l'indipendenza, l'unità o la sicurezza dello Stato Somalo” (art. 1);

2. “costituzione di associazione sovversiva, qualsiasi organizzazione i cui obiettivi o le cui

attività vadano contro l'unità nazionale o siano dirette al sovvertimento o l'indebolimento

dell'autorità dello Stato” (art. 4);

3. “organizzazione di occupazione illegale di edifici pubblici (...) con il fine di sovvertire o

indebolire l'autorità dello stato” (art. 10);

4. “il ricevere o raccogliere fondi per il sovvertimento o l'indebolimento dell'autorità dello

Stato” (art. 11);

5. “l'utilizzo della religione per creare divisioni nazionali o sovvertire od indebolire l'autorità

dello Stato” (art. 12);

101

6. “organizzazioni di scioperi o simili” (art. 17);

7. “pubblicazione di materiale di propaganda contro lo Stato” (art. 18);

Per altri reati politici era previsto il carcere: “partecipazione ad organizzazione sovversiva”,

punibile con l'ergastolo; “possesso di materiale sedizioso”, punibile con 5-15 anni di carcere;

“diffondere dicerie” (detto in somalo afminshar, “avere la bocca come una sega”), punibile con 2-

10 anni di carcere. La “legge dei 26 articolo” inseriva altri numerosi reati politici punibili con il

carcere, ma non venivano definiti con precisione e non c'era una chiara distinzione tra azioni

violente e non violente, dando così al Tribunale per la sicurezza nazionale ampia libertà di

manovra186. Sempre nel 1970 venne istituito il National Security Service (NSS), una polizia politica

segreta che aveva il compito di garantire la sicurezza interna e arrestare e interrogare coloro

considerati pericolosi per la sicurezza nazionale: il NSS divenne il maggiore organo utilizzato dal

regime militare per reprimere l'opposizione.

Nei primi anni Settanta, per il consolidamento del regime e l'inquadramento della

popolazione, ebbero molta importanza i centri di orientamento (hanuunin) che erano dei corsi di

educazione politica, di aggiornamento professionale e di formazione ideologica, della durata di tre

mesi, obbligatori per tutti coloro che venivano assunti dalla pubblica amministrazione. In questi

campi veniva data una formazione paramilitare. Il più grande di questi centri di orientamento era il

Campo Hallane a Mogadiscio, che prendeva il nome da un giovane sottotenente morto durante la

guerra con l'Etiopia nel 1964. Nel 1972 vennero istituiti i “Vigilanti del Popolo” o “Pionieri della

Vittoria” (guulwaaddayaal ), vestiti in uniforme grigia, che avevano il compito di organizzare a

livello locale i crash programmes e l'iska wah ugabso. Questi corpi paramilitari, pur non avendone

ufficialmente il compito, fin dai primi anni, compirono una serie di arresti contro persone

considerate nemiche della Rivoluzione187.

L'istituzione di tutti questi mezzi di repressione, da gran parte dell'opinione pubblica

186 AMNESTY INTERNATIONAL, Somalia: persistenti violazioni dei diritti umani, 1988, pag. 23-29187 LEWIS I. M., op. cit., pag. 213-214

102

internazionale che si interessava della Somalia, vennero messi in secondo piano, condizionati dal

clima di entusiasmo dell'esperimento socialista che si stava cercando di realizzare nei primi anni

settanta. Quando, a partire dalla metà degli anni Settanta e soprattutto dopo la disastrosa guerra

dell'Ogaden, il socialismo somalo mostrò i suoi limiti, la repressione di una crescente opposizione

fu l'elemento che più di tutti caratterizzò il regime di Siad Barre. A favorire una prima immagine di

un regime popolare fu anche la decisione del CRS, nell'aprile del 1973, di rimette in libertà diciotto

esponenti politici arrestati nell'ottobre del 1969, tra questi l'ex presidente della Repubblica Aden

Abdullah Osman e l'ex primo ministro Abdirizak Hagi Hussein, che sarà nominato ambasciatore

della Somalia all'ONU188.

La prima fase della politica estera del regime militare: il non-allineamento positivo

Negli anni che precedettero il Trattato di amicizia e cooperazione con l'URSS (vedremo nel

prossimo capitolo l'evoluzione dei rapporti tra i due paesi), il regime di Siad Barre adottò una

politica di non-allineamento positivo, che portò la Somalia ad allontanarsi dalla politica

“occidentalista”, adottata dai governi presieduti da Egal, e a intraprendere una politica di

avvicinamento al blocco “socialista”: il 5 aprile 1970 riconobbe la Repubblica Democratica

Popolare Coreana e l'11 aprile la Repubblica Democratica Tedesca, generando ostilità da parte della

Germania Federale e degli Stati Uniti che il 3 giugno sospesero gli aiuti e l'assistenza alla Somalia;

Siad Barre, commentando questa decisione, dichiarerà: “se il prezzo di queste forme di assistenza

era quella di rimanere vassalli politici vita natural durante, diciamo no”189. Nei primi anni settanta la

Somalia aprì rapporti diplomatici con Ungheria, Bulgaria e Romania190, riconobbe e sostenne il

188 Il presidente Egal e altri membri dell'ultmo governo parlamentere, prima condannati a pene pesantissime, verranno rilasciati duramte l'anniversario della rivoluzione nel 1975. Egal sarà poi nominato ambasciatore in India, Abdullahi Issa Mohamud in Filandia. DEL BOCA A., op. cit., pag. 440-441

189 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 104-112190 Siad Barre sarà amico personale di Ceausescu il quale ebbe una certa influenza nella politica di coesistenza tra

socialismo e nepotismo adottata negli anni sucessivi dal regime. HUSSEIN A. DUALEH, op. cit., pag. 35

103

Governo Rivoluzionario del Vietnam del Sud, la Repubblica democratica del Vietnam del Nord, il

governo cambogiano in esilio di Sihanuchk, il movimento palestinese di Al Fatah e i movimenti di

liberazione contro il colonialismo portoghese in Africa. La Somalia voleva inoltre uscire dal suo

isolamento all'interno del continente africano: stringerà relazioni con quegli stati che sostenevano

la lotta per la liberazione africana, come la Tanzania, la Guinea, lo Zambia, il Sudan rivoluzionario,

l'Egitto, la Libia. Si impegnerà a contrastare il regime di apartheid in Rodesia e in Sud Africa,

accusando inoltre la Gran Bretagna di sostenere questi due regimi razzisti: “l'Inghilterra, noi

pensiamo, ha umiliato e insultato le Nazioni Unite”, dichiarerà Siad Barre nel luglio del 1970191.

Non ci fu comunque da parte della Somalia uno schieramento netto con la sfera socialista, mantenne

comunque buoni rapporti con l'Italia e con la Comunità Economica Europea.

Nei primi anni Settanta il regime del CRS limitò la sua politica irredentista, preferendo

mantenere buoni rapporti con i paesi vicini e con la stessa Etiopia: nel giugno del 1971 Siad Barre

partecipò alla conferenza dell'OUA ad Addis Abeba e nell'ottobre dello stesso anno Hailè Selassié

si recò in visita ufficiale a Mogadiscio e in queste occasioni i due leader sottolinearono l'importanza

della collaborazione tra i due paesi192.

Sulla politica estera di questo primo periodo Hussein Ali Dualeh, ambasciatore somalo in

Uganda nel 1973 e in Kenya nel 1974, riferisce nel suo libro che Siad Barre, nel marzo del 1971,

aveva preso contatti con la Tanzania di Nyerere per organizzare un attacco congiunto, finanziato dai

sovietici, all'Uganda, per rovesciare Idi Amin Dada, che aveva assunto il potere il 25 gennaio di

quell'anno, e riportare alla guida del paese Obote. Il piano non fu realizzato poiché Nyerere temeva

che la comunità internazionale avesse accusato la Tanzania di aggressione e di interferenza negli

affari interni di un altro stato193.

191 PESTALOZZA L., op. cit., pag. 104-112192 DEL BOCA A. op. cit., pag. 438193 HUSSEIN A. DUALEH, op. cit., pag. 49-50

104

Capitolo IVIl trattato di amicizia e collaborazione con l'URSS

I rapporti tra Unione Sovietica e la Somalia rivoluzionaria

In Somalia le relazioni con i sovietici, già nel periodo parlamentare, avevano portato ad una

serie di aiuti e di assistenza soprattutto indirizzati verso l'esercito: la firma del trattato militare con

l'URSS nel 1963, da parte del governo Shermarke, aveva permesso all'esercito somalo di

raggiungere i 12.000 uomini, oltre al rifornimento di armamenti pesanti, come i caccia MiG-15 e i

carri armati T-34; inoltre 250 consiglieri militari sovietici andarono ad addestrare reparti

dell'esercito, mentre 600 cadetti somali furono inviati in Unione Sovietica a ricevere una

formazione militare nelle Accademie dell'Armata Rossa. Questa vicinanza dell'esercito all'Unione

Sovietica fece sospettare alcuni osservatori stranieri che il colpo di Stato militare dell'ottobre del

1969 fosse stata in realtà una manovra di Mosca per rovesciare il governo di Ibrahim Egal, il quale

aveva assunto posizioni troppo filo-occidentali. Non ci sono prove per sostenerne tale tesi, anche se

però il nuovo regime in Somalia fu visto, da parte dei sovietici, come un'ulteriore possibilità per

estendere la propria influenza nella regione.

Nei primi anni settanta c'erano state una serie di cambiamenti nel mondo arabo e africano che

spinsero l'Unione Sovietica a cercare un'alleanza più stretta con la Somalia.

Sudan ed Egitto

Nel luglio del 1971 venne represso un tentativo di colpo di stato di orientamento comunista in

Sudan, portando un ulteriore peggioramento dei rapporti tra l'URSS e il governo militare di Nimeiri,

che per un certo periodo aveva avuto anche il sostegno dei comunisti sudanesi e degli stessi

sovietici; Nimeiri, aiutato da Libia ed Egitto riuscì a reprimere il golpe, facendo giustiziare i leader

del Partito Comunista Sudanese, tra cui il Segretario Generale Ahmed Mahgoub; nonostante non ci

fu una rottura totale tra i due paesi, l'URSS aveva perso molta della sua influenza nei confronti dello

105

stato sudanese194.

Il 18 luglio del 1972 il presidente egiziano Sadat ordinò l'espulsione di tutti i consiglieri

militari sovietici dall'Egitto, che in quel tempo erano circa 15.000, e il divieto d'accesso facilitato

per le navi sovietiche nei porti di Alessandria, Port Said e Mersa Matruh. L'Unione Sovietica

perdeva così il suo più importante alleato nella regione. Sadat nel marzo del 1971 aveva firmato un

Trattato di Amicizia e Collaborazione con l'Unione Sovietica, trattato che però era stato voluto dal

suo predecessore Nasser, che era morto pochi mesi prima di riuscire a portare a termine le trattative

con i sovietici. A differenza di Nasser, Sadat vedeva il trattato come un'imposizione e non aveva

intenzione di essere un burattino nelle mani dei sovietici. Inoltre l'URSS appariva poco propensa ad

appoggiare l'Egitto nella sua politica contro Israele195.

L'influenza cinese

L'Unione Sovietica era sempre più preoccupata dalla politica espansionista cinese nel Terzo

Mondo e nella stessa Somalia: i rapporti tra Mogadiscio e Pechino erano sempre stati buoni, anche

perché era gradita ai somali la politica cinese di non ingerenza negli affari interni. Nel 1971 la

Somalia riceveva prestiti dalla Cina per un valore di 110 milioni di dollari, diventando il secondo

paese dell'Africa sub-sahariana, dopo la Tanzania, a ricevere più aiuti da Pechino. Nel 1972 una

delegazione somala, guidata da Mohamed Aden Sheikh, in visita in Cina firmò un trattato di

cooperazione; nel maggio dello stesso anno Siad Barre si recò in visita ufficiale a Pechino, mentre

in Somalia aumentavano gli aiuti provenienti dal grande paese asiatico: fondi, materiali e assistenza

di 600 tecnici cinesi per la costruzione della strada (962 chilometri) che doveva collegare Belet-

Wein e Burao196; la costruzione a Mogadiscio di un teatro, di uno stadio con 250.000 posti e di un

ospedale con 300 posti letto; la realizzazione di fattorie sperimentali e altri tipi opere di assistenza e

194 PATMAN R. G., op. cit., pag. 113-127 195 MAKINDA S. M., Superpower Diplomacy in the Horn Africa, Croom Helm, 1987, pag. 67-71196 GHALIB J. M., op. cit., pag. 141-142

106

di sviluppo197.

Oltre che in Somalia la Cina stava avanzando anche in Sudan, approfittando dei cattivi rapporti

tra Mosca e Khartum: nell'agosto del 1971 il regime di Nimeiri firmò un accordo con la Cina che

prevedeva 34,8 milioni di dollari di aiuti198. La stessa Etiopia di Haile Salassie in questo periodo

giungeva a degli accordi con Pechino: nell'ottobre del 1971 l'imperatore abissino si recò in visita in

Cina dove firmò un accordo che prevedeva 84 milioni di dollari di prestiti a interesse libero da

utilizzare nella costruzione di strade, nell'elettrificazione delle campagne, in progetti di irrigazione e

sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento; inoltre tecnici cinesi furono inviati in Etiopia a seguire

questi progetti199.

La politica strategica dell'URSS

La politica sovietica di avvicinamento alla Somalia aveva ragioni anche strategiche e

difensive: L'URSS era stata, prima del secondo dopoguerra, una forza prevalentemente terrestre, ma

negli anni sessanta, soprattutto con la crescita di una presenza statunitense nell'Oceano Indiano,

regione che poteva diventare una base di attacco per il territorio sovietico, Mosca iniziò a espandere

la propria influenza nella regione. Sarà però all'inizio degli anni settanta che la presenza sovietica

diventerà più competitiva: nel 1971 la crisi pakistana, che porterà alla nascita del Bangladesh, portò

ad un notevole aumento della presenza di flotte sovietiche nell'Oceano Indiano. In questa politica il

porto di Berbera nella Somalia settentrionale, affacciato sull'Oceano Indiano, vicino alla penisola

arabica e al Mar Rosso (mare di passaggio tra il Mediterraneo e l'Oceano Indiano), attirava sempre

più gli interessi strategici dell'Unione Sovietica200.

Nel novembre del 1971 Siad Barre e altri alti Ministri del governo somalo si recarono in visita

a Mosca, firmando una serie di accordi con i sovietici che prevedevano finanziamenti e assistenza

197 DECRAENE P., op. cit., pag. 134-135198 PATMAN R. G., op. cit., pag. 113-127199 PATMAN R. G., op. cit., pag. 136-143200 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 75-80

107

tecnica nella costruzione di una diga e di una centrale elettrica lungo il fiume Juba, progetti per

l'industria del pesce e per la vendita di macchinari agricoli.

Nel febbraio del 1972 il Ministro della Difesa sovietico, Marshal A. Grechko, si recò in visita a

Mogadiscio e a sua volta inviterà il governo somalo ad inviare una nuova delegazione a Mosca. In

questi incontri i due paesi firmarono una serie di trattati militari che, da un lato prevedevano un

maggiore ammodernamento dell'Esercito somalo, e dall'altro davano la possibilità ai sovietici di

accedere con maggiore facilità al porto di Berbera. Il 10 luglio del 1972, due giorni dopo la

decisione di Sadat di espellere il personale sovietico dall'Egitto e la conseguente perdita di accesso

alle basi di Alessandria, Port Said e Mersa Matruth, il Comandante in Capo delle Forze Armate e

Ministro della Difesa somalo Mohamed Ali Samantar, su invito dei sovietici, incontrò a Mosca il

ministro Grenchko. Gli accordi firmati da i due ministri portarono ad una crescita del 50% dei

rifornimenti militari sovietici verso la Somalia: caccia MiG-15 e MiG-17, bombardieri IL-28,

portaerei Yak, camion Antonov, carri armati T-34 e T-54, navi torpedo P-5 e un gran numero di

armi automatiche e artiglieria leggera. A loro volta i sovietici aumentarono la propria influenza in

Somalia: il numero dei consiglieri militari passò da un centinaio a 3.600 uomini; nell'ottobre del

1972 ingegneri sovietici iniziarono a progettare l'espansione del porto di Berbera, costruendo tre

sezioni di un pontile per le navi, una tubatura per il petrolio, un campo di aviazione, un deposito di

macchinari per le flotte e rampe di lancio per missili di tipo 13.000 e 15.000 ft; nel porto giunsero,

inoltre, navi portaerei abilitate per rifornire i caccia Tu Bear sovietici e II-38 May ASW che

sorvolavano periodicamente l'Oceano Indiano. Berbera divenne così l'avamposto della marina

sovietica nella regione201.

La politica interna somala e l'influenza sovietica

La politica sovietica in Somalia non fu solo militare, l'URSS era anche interessata a sostenere

lo stato africano nella costruzione di una società socialista: 1.400 consiglieri civili sovietici furono

201 PATMAN R. G., op. cit., pag. 113-127

108

inviati in Somalia con il compito di indirizzare la politica interna del CRS e dei giovani ministri

civili. Per i sovietici un elemento fondamentale degli stati che aderivano al socialismo scientifico

era il ruolo dominante del Partito, ma in Somalia non esisteva nessuna istituzione di questo tipo,

essendo il CRS l'unico organo che effettivamente deteneva il potere. Il 21 ottobre del 1973, durante

il quarto anniversario della Rivoluzione, Siad Barre annuncerà l'intenzione di voler creare

un'organizzazione politica basata sugli ideali del socialismo scientifico, la cui formazione doveva

partire dalle masse. La creazione di un partito, in realtà, era in parte temuta da Siad Barre che

vedeva in questa istituzione una sorta di concorrente al potere dei militari. Bisognerà attendere il

1976 per giungere alla formazione di un Partito socialista in Somalia.

Prima della formazione del partito, comunque, il regime vedeva nei Centri di Orientamento e

negli organi paramilitari, come il Servizio per la Sicurezza Nazionale e i Pionieri della Vittoria,

strumenti per infondere nelle masse gli ideali del socialismo scientifico. Questi organismi, pur

suscitando reazioni diverse sulla loro reale efficacia tra i dirigenti sovietici, vennero sostenuti, nella

loro organizzazione, da funzionari provenienti dal blocco socialista: membri del KGB e dei servizi

segreti della Germania dell'Est furono inviati in Somalia per organizzare e addestrare i membri del

SSN, organismo guidato in quegli anni dal genero di Siad Barre, il colonnello Ahmed Suleiman

Abdulle. Nel 1972 lo stesso capo del KGB, Andropov, fece una breve visita in Somalia per

verificare il funzionamento del Servizio di Sicurezza somalo.

I provvedimenti presi dal CRS come le nazionalizzazioni, il lavoro volontario e i crash

progrmmes, furono visti positivamente dai sovietici, ma ritenevano che la Somalia doveva fare

ulteriori passi in avanti verso il socialismo, poiché l'economia somala era ancora troppo dipendente

dagli aiuti stranieri: l'Italia, ad esempio, rimaneva ancora il maggior partner economico della

Somalia oltre ad aver contribuito alla costruzione della Banca Nazionale nel 1971, all'istituzione

dell'Università Nazionale a Mogadiscio e alla costruzione del porto di Kisimayo; Baghdad aveva

fatto prestiti a lungo interesse per un valore di 38 milioni di scellini; la CEE finanziava scuole,

109

telecomunicazioni, oltre ad aver offerto 175 milioni di scellini per modernizzare il porto di

Mogadiscio con l'aiuto della Banca Mondiale. L'URSS era semplicemente uno dei tanti donatori

della Somalia, ma non il privilegiato, per questo fece pressione affinché il CRS procedesse alla

nazionalizzazione di tutte le terre della Somalia, scacciando i concessionari stranieri. I Sovietici

volevano che la Somalia indirizzasse le proprie attività commerciali verso L'URSS e non più verso

l'Italia o l'Arabia Saudita: il volume del commercio tra Unione Sovietica e Somalia crebbe da 7,3

milioni di rubli nel 1971, a 18,8 milioni nel 1974.

L'URSS fu favorevole alla politica di alfabetizzazione che venne presentata come un mezzo

per mobilitare le masse alla costruzione dell'economia del paese e alla crescita della coscienza

nazionale. La lotta al tribalismo e al fanatismo religioso fu un'altra politica sostenuta dai sovietici:

già nel novembre del 1970 il CRS aveva abolito il titolo di sultano e altri titoli di capi e vennero

prese una serie di misure per limitare i conflitti tribali; nel 1971 vennero bruciati e distrutti

simbolicamente le effige tribali. Ma su questi argomenti i rapporti tra Somalia e Unione Sovietica

non rimasero privi di contrasti: la questione del tribalismo in realtà non era risolta, le forze

tradizionali continuavano ad esistere anche all'interno dello stesso CRS; l'URSS era favorevole ad

una politica radicale contro l'Islam, mentre invece il regime di Siad Barre era molto più cauto, era

più propenso a costruire un socialismo compatibile con la religione musulmana (“ ... se noi

decidiamo di migliorare il nostro benessere nazionale, ciò non va contro con l'essenza dell'Islam”

dirà il presidente somalo sull'argomento)202.

La politica “araba” della Somalia

In politica estera tra URSS e Somalia esistevano molti punti in comune, come la condanna

contro Israele, il Sudafrica e la Rodesia e la politica di sostegno ai movimenti di indipendenza in

Africa. La politica estera somala non dipendeva però da direttive sovietiche, Siad Barre era

interessato a far uscire dall'isolamento il suo paese, dare prestigio al suo governo per poter così, tra

202 PATMAN R. G., op. cit., pag. 113-127

110

le altre cose, avanzare pretese nella sua politica irredentista. In quest'ottica la Somalia sosterrà i

paesi arabi durante la guerra arabo-israeliana nel 1973, sperando così di ricevere aiuti nella sua

politica contro l'Etiopia, stato tradizionalmente anti-arabo e filo-israeliano. La politica “araba” della

Somalia si fece molto intensa in questi anni: nel 1973 vennero aperte ambasciate somale in Algeria,

Siria, Libia, Kuwait, Iraq e Abu Dhabi. Nel marzo dello stesso anno il Ministro della Difesa Ali

Samantar andò in visita in Egitto e lo stesso farà il Ministro della Difesa Egiziano a Mogadiscio. La

Somalia firmerà trattati con la Repubblica Popolare Democratica dello Yemen, la Giordania e la

Siria.

Il 15 febbraio del 1974 la Somalia entrerà a far parte della Lega Araba, grazie soprattutto al

sostegno dell'Arabia Saudita, che sperava in questo modo di ridimensionare la politica filo-sovietica

dello stato africano. La Somalia era il primo stato non arabo ad entrare a far parte della Lega203,

anche se si sentiva vicina al mondo arabo a livello geografico, culturale, politico, economico e

storico. Questa scelta significò per la Somalia ricevere una serie di garanzie politiche ed

economiche: dall'Iraq ottenne la promessa della costruzione di una raffineria e di ottenere per tre

anni petrolio a metà prezzo; nel dicembre del 1974 ottenne dal Kuwait un prestito di 7,3 milioni di

dollari per la costruzione di una centrale elettrica a Mogadiscio; da Abu Dhabi ottenne 28 milioni di

sterline per la costruzione di fattorie e di un sistema di irrigazione a Berbera; nel febbraio del 1974

vennero firmati una serie di accordi agricoli e di navigazione con la Libia.

L'URSS vedeva negativamente questa adesione della Somalia alla Lega Araba poiché temeva

che i petro-dollari avrebbero spinto la Somalia ad adottare politiche anti-sovietiche: l'Arabia

Saudita, ad esempio, stava spendendo 75 milioni di dollari per limitare le attività sovietiche in

Somalia204.

203 HOOGLUND E., “Government and Politics” in Somalia, a country study, 1992, pag. 176204 PATMAN R. G., op. cit., pag. 143-149

111

La politica africana della Somalia

Nella prima metà degli anni Settanta ci fu una crescita del 30% di nuovi contatti diplomatici

nella politica estera della Somalia, soprattutto con paesi del Terzo Mondo205 e in questo senso il

1974 fu l'anno più importante: nel febbraio la Somalia entrò a far parte della Lega Araba; nel luglio

firmerà il Trattato di Amicizia e Collaborazione con l'Unione Sovietica; tra questi due eventi, nel

giugno, la Somalia ospiterà a Mogadiscio il vertice dei capi di stato dei paesi aderenti

all'Organizzazione dell'Unità Africana. Fu un'occasione importante per il regime di Siad Barre per

far uscire la Somalia dall'isolamento all'interno del continente africano, isolamento che aveva

caratterizzato il regime parlamentare. Ora, invece, la Somalia voleva presentarsi come stato guida

delle forze progressiste e socialiste in Africa. Nella capitale somala per l'occasione fu costruito il

sontuoso Palazzo del Popolo e furono acquistate delle limousine Mercedes per trasportare i capi di

stato: furono provvedimenti esosi in uno stato povero di risorse e che stava vivendo in quel periodo

un disastroso periodo di siccità. Il vertice elesse Siad Barre presidente di turno dell'OUA per l'anno

1974-1975. Siad Barre, a differenza di altri capi di stato africani, prese seriamente questo incarico e

il 2 novembre partì per un viaggio visitando in sole quattro settimane 15 stati africani, dal Senegal

al Sudan. Il viaggio doveva terminare ad Addis Abeba, ormai sopraffatta dalla rivoluzione, e

nell'intenzione di Siad Barre c'era la volontà di aprire relazioni favorevoli con il nuovo organo che

dominava l'Etiopia, il Derg206. La tappa ad Addis Abeba fu però annullata su consiglio del capo

della scorta presidenziale, il tenente Said Herzi “Morgan”207.

Nell'anno di presidenza dell'OUA Siad Barre si impegnò a sostenere i movimenti di liberazione

dal colonialismo portoghese e in questa politica sarà importante il trattato di collaborazione con

Cuba, proprio nel sostegno della guerriglia in Angola e Mozambico208. La stessa propaganda

205 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 127-128206 PETRUCCI P., op. cit., pag. 51-55 207 A fine anni '80 Morgan, diventato generale, guiderà le operazioni militari contro l'opposizione al regime di Siad

Barre nel nord del paese e con lo scoppio della guerra civile, nel 1991, sarà uno dei maggiori “signori della guerra”. 208 Mogadiscio aprì relazioni diplomatiche con L'Avana nel luglio del 1972 e nel gennaio del 1974 firmò accordi

scientifici, culturali, tecnici. Una dozzina di medici cubani li troviamo a Kisimayo, esperti cubani sono a Giohar nei zuccherifici, esperti militari a Mogadiscio e nell'organizzazione della guerriglia del Fronte di liberazione della Costa Somale e del NFD in Kenya. DEACRAENE P., op. cit., pag. 136

112

interna, dalle radio, dai giornali, dal folklore al teatro trattavano sempre più le tematiche di

liberazione contro il colonialismo.

Forte di questa sua posizione continentale, Siad Barre riportò alla luce la politica pan-somala,

che fino ad allora aveva messo in secondo piano. Il pansomalismo non fu comunque inizialmente

diretto verso l'Etiopia, dove comunque i rapporti erano tesi, ma verso l'“anacronistico” protettorato

francese nel Gibuti209.

La firma del Trattato di Amicizia e Collaborazione

L'8 luglio del 1974 il presidente Podgorny, accompagnato da una delegazione di ministri e alti

funzionari, giunse a Mogadiscio: fu la prima volta che il maggiore politico sovietico giunse in un

paese dell'Africa sub-sahariana. Dopo una serie di colloqui l'11 luglio Podgorny e Siad Barre

firmarono il Trattato ventennale di Amicizia e Collaborazione tra i due paesi.

Il Trattato di Amicizia e Collaborazione tra URSS e Repubblica Democratica Somala era

diviso in 13 articoli. Nella prefazione veniva affermato che l'amicizia e la collaborazione tra i due

stati rispondevano agli interessi nazionali dei rispettivi popoli e servivano a garantire il

rafforzamento della pace nel mondo. Venivano messi in luce gli ideali di libertà, d'indipendenza e di

progresso sociale che erano alla base del Trattato, contrapposti all'imperialismo e al capitalismo.

Venivano riaffermati il rispetto della stabilità e della pace internazionale e l'obbedienza ai principi

sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite. I tredici articoli affermavano in sintesi:

1. nel primo articolo veniva sottolineato che il trattato rispettava la sovranità interna dei singoli

stati;

2. nel secondo articolo veniva specificato che il trattato serviva a rafforzare la cooperazione

economica, tecnica, scientifica, commerciale e marittima tra i due paesi;

3. l'articolo terzo riguardava la collaborazione tra i due paesi nella sfera culturale, turistica e di

organizzazione politica;

209 LEWIS I. M., op. cit., pag. 226-228

113

4. nell'articolo quarto si poneva attenzione alla cooperazione militare, in grado di garantire alla

Somalia una politica difensiva;

5. nell'articolo quinto si affermava che l'impegno dei due paesi in politica estera doveva

garantire il rispetto della pace, il raggiungimento di politiche di disarmo nucleare e

l'impegno di utilizzare mezzi pacifici per risolvere i problemi internazionali;

6. nell'articolo sesto l'URSS dichiarava di rispettare la politica di non-allineamento della

Somalia, mentre la Somalia rispettava la politica di pace dell'URSS;

7. nell'articolo settimo si condannava l'imperialismo e il colonialismo in tutte le sue forme e si

affermava la cooperazione dei due stati a sostegno della lotta dei popoli per la libertà,

l'indipendenza, l'autodeterminazione dei popoli e il progresso sociale, come è espressamente

dichiarato dalla Carta delle Nazioni Unite;

8. nell'articolo ottavo si sottolinea la necessità di creare nuovi canali diplomatici tra i due

paese, attraverso l'aumento di incontri ufficiali e speciali rappresentatività nelle rispettive

sedi diplomatiche;

9. nell'articolo nono si confermava l'impegno di intervenire in caso di minaccia o violazione

della pace;

10. nell'articolo decimo si sottolineava il rifiuto di altri tipi di alleanze con gruppi di stati che

contraddicevano altre parti del trattato;

11. nell'articolo undicesimo si affermava il rifiuto di firmare trattati incompatibili con il trattato;

12. nell'articolo dodicesimo si dava validità ventennale al trattato;

13. l'articolo tredicesimo sosteneva che il trattato era stato redatto in due copie uguali, una in

russo e uno in somalo210.

Il Trattato del 1974 non fu un'imposizione sovietica alla Somalia, ma una decisione presa da

entrambi gli stati: la Somalia otteneva più armamenti per il suo esercito, l'URSS consolidava la sua

presenza in Africa, soprattutto in un periodo di difficoltà per gli Stati Uniti (il ritiro dal Vietnam, lo

210 PATMAN R. G., op. cit., pag. 307-310, in queste pagine si trova la copia integrale del Trattato

114

scandalo Water gate, la crisi del suo maggiore alleato nella regione, l'Etiopia) e di crescita di

movimenti di orientamento marxista in Africa, che stavano portando allo sgretolamento l'impero

coloniale portoghese. Il Trattato non era privo di ambiguità, soprattutto per quanto riguarda

l'ingerenza sovietica negli affari interni della Somalia. Inoltre, nell'articolo 10, il trattato obbligava

indirettamente la Somalia a chiudere i legami con i paesi Occidentali, la Cina e i “circoli reazionari”

arabi, contraddicendo così il rispetto sovietico alla politica somala di non-allineamento (art.6). Il

trattato risultava inoltre poco chiaro sull'atteggiamento che la Somalia doveva avere nei confronti

dell'Etiopia e più in generale nella sua politica irredentista, poiché i principi di autodeterminazione

dei popoli e di salvaguardia alla pace internazionale non sempre coincidevano.

Il Trattato si tradusse nella realtà in un incremento di forniture militari che portarono l'esercito

somalo ad essere uno tra i più potenti eserciti dell'Africa sub-sahariana: 25.000 soldati (di cui 1.725

vennero addestrati in Unione Sovietica), 150 carri armati T-35 e 100 T-54, 200 batterie costali, 50

caccia MiG, un squadrone di bombardieri Il-28 e un complesso per lancio di missili terra-aria SA-

2211. Un esercito così vasto era molto di più che un esercito difensivo, soprattutto in un periodo di

pace interna nella Somalia e di impossibilità di un attacco dall'Etiopia, paese che in quel periodo

stava vivendo una dura crisi interna. Un esercito così ampio poteva avere solo scopi offensivi212. Il

Trattato sovietico si concretizzò con la crescita del dominio della cultura militare nella politica

economica, fatto dannosissimo per uno stato povero come la Somalia che necessitava di una politica

di distribuzione delle risorse indirizzata verso settori produttivi213.

I rapporti con l'Etiopia e la politica delle potenze nel Corno

I rapporti tra Somalia ed Etiopia, che fino al 1972 erano stati relativamente tranquilli,

iniziarono a deteriorarsi con la fine del 1972, quando la compagnia petrolifera americana Tenneco

scoprì importanti giacimenti petroliferi nella regione del Bale, nell'Ogaden, a sole 30 milia dal

211 LAITIN D. D., SAMATAR S. S., op. cit., pag. 140212 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 86-90213 AHMED I. SAMANTAR, op. cit., pag. 127-128

115

confine con la Somalia. Il governo etiopico, con la scusa di rendere sicure le operazioni di

trivellamento della compagnia americana da un possibile attacco somalo sostenuto dai sovietici,

aumentò la presenza delle truppe lungo il confine con la Somalia. La tensione tra i due paesi

raggiunse l'apice nel gennaio del 1973, ma un incontro tra il Ministro degli Esteri somalo, Omar

Arteh, e quello etiope, Dr Minassie Haile, riuscì in parte a raffreddare la situazione che si era venuta

a creare, nonostante perdurassero piccoli scontri di frontiera tra i due eserciti tra il marzo e l'aprile

del 1973.

Nel maggio del 1973 durante il summit dei ministri dell'OUA, Etiopia e Somalia continuarono

a scambiarsi accuse reciproche su spostamenti di forze lungo il confine. Durante il summit, per

cercare di risolvere la situazione, venne creata un'apposita commissione, ma senza successo, anche

se però Siad Barre ribadì che la situazione doveva essere risolta con mezzi pacifici: “ io non starò

mai dalla parte di un Africano che uccide un altro africano e non attaccherò mai un nostro stato

vicino. Io credo che la disputa possa essere risolta attraverso negoziati pacifici, forse attraverso

l'OUA”214.

L'Etiopia, nella prima metà degli anni '70, soffriva di una serie di problemi interni e non

sarebbe stata in grado di sostenere una guerra contro la Somalia, che oltretutto in quel periodo,

grazie soprattutto all'aiuto sovietico, aveva aumentato del 50% il suo esercito, un esercito che

seppure aveva un numero ridotto di soldati, 25.000 contro i 44.570 dell'esercito etiope, aveva un

numero maggiore di armamenti pesanti e più all'avanguardia. La Somalia, inoltre, se nel 1970

spendeva il 4,6% del PIL per la Difesa, nel 1973 era arrivata a spenderne il 16%, mentre l'Etiopia

utilizzava solo il 2,1% del PIL in spese militari nel 1970 e il 2,8% nel 1973215.

L'Etiopia, a differenza della Somalia, stava vivendo un periodo di forte instabilità interna. Nel

1970 fu colpita da una devastante siccità che colpì soprattutto le regioni del Tigrai e del Wallo. Nel

1972 il raccolto fu molto scarso e fu seguito da una carestia che portò alla morte di 100.000

214 PATMAN R. G., op. cit., pag. 127-136215 PATMAN R. G., op. cit., pag. 127-136

116

persone. Le siccità e le carestie in Etiopia, come in Somalia, non erano una novità; ciò che però fu

visto negativamente fu il tentativo da parte di Haile Selassie di nascondere il problema e l'incapacità

di intervenire con mezzi adeguati. La carestia e la siccità furono inoltre aggravate dalla crescita

dell'inflazione a seguito dell'aumento del prezzo del petrolio con la guerra del Yom Kippur nel

1973. La pesante crisi economica fu accompagnata da una serie di proteste di studenti e intellettuali

urbani, oltre che da sempre più ampi settori dell'esercito.

In Eritrea c'erano molti problemi dovuti ad una lotta per la leadership all'interno del

movimento di guerriglia tra il Fronte di Liberazione Eritreo (FLE) e il Fronte Popolare di

Liberazione Eritreo (FPLE). Inoltre il movimento di guerriglia era stato indebolito da degli accordi

firmati dall'Etiopia con il Sudan, tra i maggiori finanziatori del movimento di liberazione eritreo:

nel marzo del 1971 venne firmato un accordo con il quale i due paesi si impegnavano a non

sostenere movimenti sovversivi; nel febbraio del 1972 un nuovo accordo affermava reciproco

riconoscimento dell'integrità territoriale e nel luglio un altro ancora ridefiniva il confine tra i due

paesi. Nonostante ciò il movimento eritreo aumentò i suoi attacchi contro i contingenti etiopici,

molti dei quali si ebbero nel settembre del 1973, grazie al sostegno dei paesi arabi che vedevano

nell'Etiopia, alleata con Israele, un ostacolo al pan-arabismo e all'idea di fare del Mar Rosso un

Lago Arabo. Mentre il FLE veniva sostenuto da Siria e Iraq, il FPLE trovava finanziamenti dalla

Libia.

L'Unione Sovietica, nonostante stesse svolgendo una politica di avvicinamento alla Somalia,

non escludeva di estendere la propria influenza anche in Etiopia. I sovietici consideravano l'impero

abissino un sistema feudale arretrato, dove l'80% delle terre era in mano ad un ristretto gruppo di

nobili e uomini di chiesa, che dominavano anche il Parlamento, mentre gran parte dei contadini

erano senza terra e privi di rappresentanza politica. Inoltre l'economia etiopica era vista come

totalmente dipendente dai paesi occidentali, essendo le riserve minerarie controllate da compagnie

117

statunitensi e le piantagioni di caffè e zucchero da compagnie tedesche e americane.

Nonostante questo l'URSS aveva aperto una serie di relazioni con il regime di Haile Selassie:

nel settembre del 1971 venne firmato un accordo che facilitava il traffico aereo tra Mosca e Addis

Abeba; nel marzo del 1972 i sovietici aprirono un centro commerciale nella capitale etiopica; nei

primi anni settanta il commercio tra URSS e Etiopia crebbe notevolmente, dal paese sovietico

arrivarono trattori, bulldozer, aratri, camion e l'acquisto di caffè, frumento, olio di semi e pelli; nel

settembre del 1972 i sovietici donarono a un orfanotrofio etiopico medicine216.

L'avvicinamento tra URSS ed Etiopia era anche una conseguenza del rapporto incerto che

l'antico impero africano aveva con gli USA: nel maggio del 1973 l'amministrazione Nixon,

impegnata in una politica di sganciamento da coinvolgimenti negli affari africani217, se da un lato

aumentò gli aiuti militari all'Etiopia, fornendola di caccia bombardieri F5-E, carri armati M60 e

navi per il pattugliamento navale, si rifiutò però di soddisfare tutte le richieste che provenivano da

Addis Abeba.

Un ulteriore motivo di malcontento dell'Etiopia verso gli Stati Uniti fu l'inizio del

trasferimento di buona parte del personale statunitense dalla base di Kagnew in Etiopia verso l'isola

di Diego Garcia. Gli Stati Uniti si erano stanziati nella base militare di Kagnew a seguito di un

accordo firmato il 22 maggio del 1953 con l'Etiopia. La base militare di Kagnew, vicino ad Asmara

in Eritrea, fu un importante terminal nel sistema difensivo di comunicazione satellitare statunitense,

un punto di appoggio nella difesa contro l'avanzata comunista nel Medioriente, una base di

trasmissioni radio che collegava la NATO e le basi in Australia, oltre ad essere un punto di

controllo sull'Oceano Indiano, ma aveva poco a che fare con l'Etiopia e l'Africa. Negli anni

sessanta, sia a seguito dell'indipendenza della Somalia sia per per l'accordo militare firmato tra

Somalia e URSS (1963), gli USA mostrarono più interessamento per l'Etiopia. Gli USA volevano

inoltre mantenere Haile Selassie al potere, sia per il suo ruolo di leader simbolico nella prima

216 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 57-64217 CALCHI NOVATI G., op. cit., pag. 188

118

decolonizzazione africana, sia per la sua storica alleanza con Israele, in una regione circondata da

stati musulmani e filo-arabi.

Negli anni settanta però l'Etiopia perse quel suo ruolo di alleata privilegiata degli Usa in

Africa: la base di Kagnew, ormai obsoleta, perse d'importanza e venne sostituita con la nuova base

di Diego Garcia218: piccola isola dell'arcipelago delle Mauritius, era per gli Usa una base più sicura

rispetto alla base di Kagwen, che si trovava, invece, in una regione poco stabile, l'Eritrea; inoltre gli

USA temevano, come poi successe effettivamente nel 1974, che un rovesciamento del regime

imperiale etiopico non avrebbe più garantito l'accesso alla base. L'isola di Diego Garcia aveva una

notevole posizione strategica, isolata, nell'Oceano Indiano, distava solo 3.000 miglia dal Golfo

Persico. Nell'ottobre del 1973, infatti, durante la guerra del Yom Kippur, si dimostrò molto utile219.

L'Unione Sovietica, nella sua politica di avvicinamento all'Etiopia, approfittando del crescente

malcontento dello stato africano verso gli USA, iniziò anche a rivalutarne il ruolo storico e

ideologico, sia nella lotta condotta contro l'imperialismo fascista e sia celebrando la battaglia di

Adua del 1896. Alcuni commentatori sovietici iniziarono a sottolineare dei parallelismi tra Etiopia e

Russia: entrambe erano realtà contadine e multi-etniche, la Russia del XIX secolo si rispecchiava

nell'Etiopia di oggi. L'interesse dell'URSS nel Corno, non era totalmente sbilanciato verso la

Somalia, ma piuttosto voleva fungere da mediatore tra i due stati africani, poiché, se da un lato

armava la Somalia, dall'altro stringeva sempre più stretti rapporti con l'Etiopia: nel maggio del 1972

e nell'agosto del 1973 Tsarapkin, ambasciatore itinerante sovietico visitò Addis Abeba; in giugno il

Ministro degli Esteri, Dr Menassie Haile, visitò Mosca; nel settembre del 1973 Kudryavstev,

deputato della Commissione Sovietica per la Solidarietà Afro-asiatica, andò in visita in Etiopia;

l'URSS, seppure in passato aveva sostenuto il movimento di liberazione eritreo ora affermava che

l'Eritrea era parte integrante dell'Etiopia e il movimento di guerriglia era un ostacolo allo sviluppo

218 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 57-64219 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 64-67

119

del paese.

L'Etiopia, iniziò una politica di distacco dagli USA e da Israele: il 23 ottobre, pochi giorni

dopo la guerra del Yom Kippur, troncò i rapporti con il suo alleato storico Israele. La decisione era

un tentativo disperato dell'impero etiopico, ormai al tramonto, di cercare aiuto tra i paesi arabi, i

maggiori sostenitori della guerriglia eritrea, ma anche dagli stessi paesi dell'OUA, sempre più vicini

a posizioni non-allineate e ostili a Israele. Il 29 e il 30 ottobre del 1973 Haile Sailassie si recò in

visita in Unione Sovietica, accolto favorevolmente per le posizioni assunte nella guerra in Medio

Oriente220.

Nel 1974 la crisi che si era manifestata in Etiopia nei primi anni settanta sfociò in una vera e

propria guerra civile: nel gennaio del 1974 la 4^Brigata dell'Esercito si era ammutinata a Negalle

nel sud-ovest del paese e, nel febbraio del 1974, l'Imperatore, a seguito della crescente protesta dei

militari, decise di rassegnare le dimissioni del suo Governo. La stampa sovietica, nonostante il

Cremlino avesse mostrato una politica cauta nei confronti dell'Etiopia rivoluzionaria fino al 1976,

appoggerà da subito le forze rivoluzionarie: “le forze della democrazia e del progresso contro quelle

della reazione”; quando il 12 settembre Haile Selassie fu costretto a lasciare il trono, i giornali

sovietici misero in luce i crimini commessi dall'impero: una strettissima classe dirigente deteneva

milioni nelle casse svizzere, mentre 200.000 contadini morivano di fame. L'URSS, pur sentendosi

vicina alla rivoluzione, preferiva vedere dall'esterno come si evolveva la situazione: la nuova classe

dirigente al potere in Etiopia, rappresentata dalla giunta militare del Derg, aveva al suo interno

posizioni divergenti, e continuava ancora a ricevere notevoli aiuti dagli USA. Solo nell'aprile del

1976, quando l'allora capo del Derg, Teferi Bante, annunciò che l'Etiopia stava preparando un

programma socialista e nel giro di pochi mesi avrebbe istituito un partito socialista, i sovietici

presero accordi veri e propri con l'Etiopia e, nel gennaio del 1977, si giunse alla firma di un accordo

militare.

Nella prima metà degli anni settanta l'Unione Sovietica, pur perdendo due importanti alleati

220 PATMAN R. G., op. cit., pag.136-143

120

nella regione, l'Egitto e il Sudan, giunse a importanti accordi con altri stati, oltre alla Somalia: nel

luglio del 1974 furono firmati degli accordi militari con la Libia di Gheddafi, nonostante le

divergenze tra i due paesi sia in politica estera (i sovietici consideravano la politica libica

contraddittoria e a volte pericolosa) sia in politica interna (le tendenze anticomuniste e il sostegno

all'Islam). L'URSS intervenne anche nella politica interna della Repubblica Democratica Popolare

dello Yemen, sostenendo il filo-sovietico Ismail, segretario generale del Partito Socialista dello

Yemen, impegnato a isolare Robayya, il presidente della Repubblica, più vicino a posizioni

maoiste221.

Gli Stati Uniti a metà degli anni settanta si trovavano in difficoltà nella regione, per questo

decisero di non rompere i rapporti con l'Etiopia nonostante la caduta di Haile Selassie, poiché

temevano che così facendo l'intero Corno passasse sotto l'influenza sovietica. La politica di aiuti

degli Stati Uniti verso l'Etiopia era diminuita nell'ultima fase del regime imperiale, passando dagli

11.763 milioni di dollari nel 1971 ai 9.439 milioni nel 1973, ma era aumentata dopo la rivoluzione:

nel 1975 si raggiunsero i 12.999 milioni di dollari. L'aumento degli aiuti e degli armamenti verso

l'Etiopia era dovuto a diversi fattori: gli Usa speravano che la giunta militare si sarebbe spostata

prima o poi su posizioni più moderate (tra i vertici del Derg, Andom e Tafari Bante erano stati

addestrati dagli USA) isolando le posizioni più radicali e socialiste; l'aumento di armi date

all'Etiopia rientrava in una politica più generale di crescita delle esportazioni di armamenti USA

verso il Golfo Persico e l'Africa a seguito dell'aumento del prezzo del petrolio; l'installazione della

base sovietica a Berbera e il Trattato di Amicizia e Collaborazione tra URSS e Somalia. La

situazione divenne paradossale poiché gli USA equipaggiavano ancora nel 1976 il 90% dell'esercito

etiopico, mentre la classe dirigente aumentava la propaganda anti-americana.

Gli Usa, di fronte alla crescente presenza sovietica nella regione, cercarono di bilanciare la

propria posizione: dopo la guerra dello Yom Kippur gli americani strinsero relazioni con l'Egitto e

221 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 94-96

121

con il Sudan di Nimieri, grazie soprattuto alla mediazione dell'Arabia Saudita; migliorarono i già

buoni rapporti con il Kenya, che in quegli anni si sentiva minacciato sia dalla Somalia di Siad

Barre, sia dall'Uganda di Idi Amin, che stava stringendo buone relazioni con i sovietici. Nel giugno

del 1976 si recò in visita a Nairobi il Segretario di Stato americano Donald Rumsfeld offrendo al

governo keniota 75 milioni di dollari di aiuti militari, compresi 12 caccia bombardieri F5-F: questi

aiuti rientravano nella politica del “cordone sanitario” per impedire l'estendersi dell'influenza

sovietica in Africa222.

Nonostante il Trattato di Amicizia e Collaborazione con l'URSS la Somalia era disposta a non

chiudere completamente i rapporti con gli Stati Uniti, anzi nel 1975 l'ambasciatore americano in

Arabia Saudita, Akins, informò Washington che la Somalia sarebbe stata disposta ad espellere i

sovietici da Berbera se gli Usa si fossero dimostrati disponibili ad aiutare i somali nella loro politica

di armamenti. La Casa Bianca era però, in quel periodo, impegnata a convincere il Congresso a

porre voto favorevole ai finanziamenti per la base di Diego Garcia; un'alleanza con i somali per

scacciare i sovietici da Berbera, la maggiore minaccia nella regione, poteva quindi portare il

Congresso a votare contro quei finanziamenti. La Somalia mostrava comunque interesse verso gli

USA per diverse ragioni: nella Lega Araba, di cui faceva parte, sia l'Arabia Saudita che l'Egitto

facevano pressione per una politica anti-sovietica nel Mar Rosso; il timore che l'URSS, prima o poi,

si sarebbe alleato con l'Etiopia rivoluzionaria; una serie di divergenze tra sovietici e classe dirigente

somala sulla formazione e organizzazione del partito e sulla questione religiosa. Nel 1975 il

segretario alla Difesa americano Schlesinger, per convincere il Congresso a finanziare la base Diego

Garcia, mostrò al Congresso foto aeree che avrebbero dovuto dimostrare la presenza di basi militari

sovietiche a Berbera: il Congresso decise allora di approvare il finanziamento di 138 milioni di

dollari per la base di Diego Garcia. Siad Barre, però, a seguito delle accuse americane che nella

base di Berbera c'erano basi missilistiche sovietiche, senza dir nulla all'URSS, decise di invitare una

222 DECRAENE P., op. cit., pag. 123

122

delegazione statunitense a Berbera per verificare che non c'era alcuna base militare sovietica in

Somalia. I sovietici però, non in accordo con Siad Barre, impedirono alla delegazione USA di

entrare nella stazione di comunicazione223.

Il secondo piano di sviluppo (1974-1978)

Il Piano di Sviluppo Quinquennale per gli anni 1974-1978 fu istituito dal Ministero per la

Pianificazione e il Coordinamento, sotto l'autorità diretta del CRS. Il Piano quinquennale prevede

una spesa di 3,863 miliardi di scellini, 2/3 della quale veniva finanziata dall'estero.

Distribuzione degli investimenti del Piano quinquennale nei vari settori224

Settori Investimenti* Percentuale Contributo dall'esteroAgricoltura 1,6 41% 60%Industria ed energia 0,72 19% 62%Trasporto e comunicazione

0,94 25% 88%

Servizi sociali 0,44 11% 56%Altri 0,16 4% 75%

*in miliardi di scellini

Il settore agricolo

Il Piano di sviluppo quinquennale poneva l'accento sullo sviluppo agricolo, sull'allevamento e

sull'industria agro-alimentare, per una valorizzazione della produttività del suolo e un aumento del

valore delle materie prime agricole per l'esportazione. Attraverso lo sviluppo agricolo si voleva

raggiungere un'autosufficienza alimentare, resa ancora più necessaria visto il rialzo dei prezzi dei

prodotti alimentari che aveva caratterizzato il mercato mondiale all'inizio degli anni Settanta: gli

223 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 97-103224 DECRAENE P., op. cit., pag. 94

123

autori del piano avevano fissato la fine delle importazioni di cereali per il consumo interno al 1980.

Esperti agricoli insistevano sulle grandi possibilità agricole della Somalia, dove la popolazione era

relativamente ridotta e dove c'erano territori adatti alla coltivazione al di là della “Mesopotamia

somala” (la valle tra i fiumi Juba e Shebelle)225. Inoltre il Piano dava molta importanza alla

nazionalizzazione del commercio interno e al dirottamento del commercio estero verso gli stati

socialisti226.

Tra i maggiori progetti del Piano quinquennale c'era la valorizzazione delle terre della valle

dello Shebelle, tra le più fertili del paese, anche se la portata di questo fiume era più ridotto rispetto

alla portata del fiume Juba, la cui valle aveva più possibilità di irrigazione. Per questo fu redatto un

progetto di sviluppo anche per la bassa valle del fiume Juba, finanziato dai Fondi Europei di

Sviluppo (FES) e organizzato dagli italiani: il progetto fu approvato nel luglio del 1976 e prevedeva

vent'anni di lavoro per essere portato a termine. Il progetto inizialmente prevedeva l'insediamento di

2,5 milioni di persone (circa metà della popolazione) e un investimento di 40 miliardi di scellini e la

messa a coltura di centinaia di migliaia di ettari di terra. Per realizzare tale progetto fu necessario

procedere per prima cosa alla regolamentazione del corso del fiume e per questo il progetto fu

diviso in tre tempi: a breve termine si prevedeva la costruzione di una diga a Barderai, grazie ad un

progetto e un finanziamento sovietico, alla creazione di un complesso agro-saccarifero a Gebil,

progetto britannico con finanziamenti provenienti da Abu Dhabi, allo sviluppo delle culture

bananiere e alla sedentarizzando i 50.000 nomadi a Dujuma; a mezzo termine la costruzione di due

dighe a Bardera e a Sakaw; a lungo termine la messa a valore della parte superiore della valle del

fiume Juba227.

Un altro importante progetto agricolo, finanziato e progettato dalla Banca Mondiale, fu la

messa a coltura di 20.000 ettari di terra tra Hargheisa e Borama, nel Nord-ovest del paese, per lo

sviluppo di pascoli artificiali e di campi da destinare alla coltura di cereali e di ortaggi. La Banca

225 DECRAENE P., op. cit., pag. 92-99226 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 91-98227 DECRAENE P., op. cit., pag. 92-99

124

Mondiale aveva anche progettato la messa in valore di 6.000 ettari di terra da destinare alle

piantagione di palme da datteri, per eliminare la dipendenza del mercato di questi prodotti con

l'Iraq.

Il Piano quinquennale aveva messo in cantiere altri cinque grandi progetti:

1. l'irrigazione di Balad, centro vicino a Mogadiscio, progettato e finanziato dalla Corea del

Nord, che prevedeva la messa a coltura di 10.000 ettari di terra da destinare al riso, al

cotone, al foraggio;

2. il progetto d'irrigazione di Gelib-Fanole, che prevedeva la costruzione di una diga e la messa

a coltura di 24.000 ettari entro il 1980;

3. il progetto d'irrigazione di 3.000 ettari tra Afgoi e Mordinle, progettato e finanziato dalla

Libia, che già nel 1975 aveva iniziato a produrre cotone, riso, cerali e oliaci;

4. la messa a coltura, attraverso fondi europei, di 3.000 ettari tra Goluen e Bulo Mererta, a sud

ovest di Mogadiscio, per piantagioni di pompelmo;

5. la costruzione della diga di Giohar, cominciata alla fine del 1974, grazie a un prestito a

lungo termine di 48 milioni di scellini proveniente dall'Arabia Saudita, che avrebbe

permesso la messa coltura di 45.000 ettari per piantagioni di zucchero, banane e

pompelmi228.

La scelta socialista della Somalia a livello economico si vide soprattutto nell'istituzione delle

cooperative: il 4 ottobre del 1974 venne emanata la Legge n° 40 o legge sulle cooperative. Il

sistema delle cooperative non riguardava solo il settore agricolo, ma anche la piccola industria,

l'artigianato, la pesca e il commercio al dettaglio. Secondo la legge le cooperative dovevano avere

un ruolo centrale nello sviluppo del paese e per questo dovevano essere sostenute dallo Stato e dagli

enti pubblici. Le cooperative in Somalia, a differenza di altri progetti africani, non volevano rifarsi

ad un modello tribalistico, ma volevano essere un'esperienza del tutto nuova rispetto al sistema

228 DECRAENE P., op. cit., pag. 92-99

125

gentilizio tradizionale e, inoltre, le cooperative già esistenti, soprattutto quelle legate alle

confraternite religiose, dovevano adeguarsi alla nuova legge. La formazione e l'adesione alle

cooperative doveva essere libera, sebbene il governo si adoperava attivamente per promuoverne la

nascita. L'adesione di un individuo, che doveva essere accettata dall'assemblea della cooperativa

stessa, doveva avvenire attraverso la partecipazione azionaria, in denaro o in natura. L'ammontare

del contributo dato dall'azionista all'azienda non aveva comunque delle conseguenze sul potere

decisionale all'interno della cooperativa: ogni membro aveva pari diritti di parola, di voto e di essere

candidato alle elezioni degli organi cooperativi e di partecipare alla divisione degli utili in

proporzione al contributo dato alla produzione. Lo stato, attraverso appositi strumenti, avrebbe

dovuto garantire la democrazia interna della cooperativa.

Nel sistema cooperativistico somalo esistevano tre tipi di cooperative:

1. Cooperative di agricoltori, che rappresentano uno stadio semi-collettivo del sistema

cooperativo, le quali avevano il compito di coordinare e di assistere la produzione agricola

di 500-1.500 famiglie e di vendere, agli appositi enti pubblici, quei prodotti agricoli

considerati di monopolio statale.

2. Aziende agricole di gruppo, che rappresentavano sempre uno stadio semi-collettivo, dove la

produzione poteva avvenire sia individualmente che collettivamente, coordinati comunque

da programmi comuni. I soci mantenevano la gestione individuale dei propri mezzi di

produzione e rimanevano titolari dei propri appezzamenti di terreno, nonostante fossero

vincolati dalla produzione comune.

3. Aziende cooperative, stadio collettivo del sistema di cooperazione, dove i mezzi di

produzione e i terreni appartenevano alla cooperativa e dove tutte le attività erano svolte su

base collettiva.

La legge sulle cooperative riconosceva il diritto a tutti i soci di avere mezzo ettaro di terra a

titolo di “proprietà personale” ( termine che non veniva però usato nella legge somala) da destinare

126

alla costruzione di una casa, per l'allevamento di animali e per la coltivazione di ortaggi. In caso di

morte di un socio la legge non precisava chiaramente quale doveva essere il destino del terreno, se

doveva tornare alla comunità o se spettava al socio fissare i termini di successione del piccolo

appezzamento.

Il sistema delle cooperative risultò fallimentare. Nelle cooperative semi-collettive, sebbene

c'era una certa partecipazione comunitaria alla costruzione di opere di pubblica utilità, come scuole

o servizi sanitari, e nella costruzione di piccole dighe, fallirono i mercati comuni, poiché la tendenza

era quella di pensare ai propri interessi personali. Inoltre i membri delle cooperative mostravano più

interesse nel coltivare i piccoli appezzamenti privati, mentre c'era poco interesse verso il lavoro

collettivo. Le cooperative, inoltre, non riuscirono a raggiungere l'auto-sufficienza, poiché vivevano

solo grazie al sostegno di fondi provenienti dal governo e soprattuto dall'estero229.

Nell'ottobre del 1975 venne emanata, in lingua somala, la legge sui terreni agricoli che

specificava i vari provvedimenti che erano stati presi fino ad all'ora su temi riguardanti la questione

fondiaria. Nell'articolo 2 della legge veniva ribadito il concetto che tutte le terre erano di proprietà

dello Stato, attraverso il Ministero dell'Agricoltura, che aveva il compito di concedere i permessi di

coltivazione ai soggetti elencati dalla legge: le cooperative, le aziende di stato, gli enti autonomi, le

amministrazioni locali, i coltivatori privati singoli o con famiglia, le società. In base all'articolo 7 la

concessione dei terreni per soggetti privati (singoli, famiglie e società) aveva una durata massima di

50 anni e un'estensione massima (ad eccezione che per le società per le quali erano previste

concessioni più ampie) di 30 ettari nelle zone irrigue, 60 ettari nelle zone seccagne e 100 ettari per i

bananeti. L'articolo 8 stabiliva invece che per le cooperative e per i soggetti pubblici non c'era limite

di durata e di estensione. La concessione non poteva essere ceduta a terzi e solo in caso di gravi

motivi di salute del concessionario l'azienda poteva essere ceduta agli eredi. La legge risultava poco

chiara per quanto riguardava il diritto di successione della concessione. L'articolo 10 fissava le

229 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 91-98

127

cause che potevano portare alla revoca delle terre: violazione da parte del concessionario degli

obblighi imposti dalla legge, incapacità del concessionario a condurre l'azienda, mancato inizio

delle colture entro due anni dalla data di concessione, alienazione e affitto del terreno a terzi. La

coltivazione della terra era per legge un dovere del concessionario. L'articolo 13 della legge

precisava che era un diritto del concessionario ricavare i prodotti della terra che lavorava, ma allo

stesso tempo la proprietà della produzione agricola era limitata da una serie di monopoli statali sui

prodotti agricoli per il consumo locale, istituiti dal governo già nel 1970 per evitare fenomeni

speculativi230.

Il Piano di Sviluppo si rivelò fallimentare per quel che riguarda il settore agricolo: tra il 1972 e

il 1980 ci fu un declino del 5% della produzione agricola, mentre la popolazione cresceva con un

tasso annuo del 2,5%. La stagnazione agricola non riguardava solo i prodotti destinati al consumo

locale, ma anche la stessa produzione ed esportazione di banane:

Produzione delle principali colture (1970-1979)231

colture 1970 1972 1974 1975 1976 1977 1978 1979sorgo 158,1 149,1 134,7 134,7 139,9 145,1 141,1 140.1mais 122,2 114,9 103,6 103,6 107,6 113,3 107,7 108,2riso 2,9 3,5 4,9 4,9 5,4 8,4 12,1 13,4fagioli 10,9 10,5 9,4 9,8 10,2 10,1 10,1 8,2sesamo 43,4 41,0 34,7 37,3 38,8 40,6 40,0 40,6granoturco 3,0 2,9 2,4 2,6 2,7 2,8 2,8 2,9cotone 3,6 3,3 2,8 3,0 3,1 3,3 3.2 3,3zucchero 450,5 401,0 382,6 370,0 333,3 320,0 311,5 265,0esportazioni 145,5 188,5 157,5 106,0 96,6 65,2 69,7 72,2

I valori sono espressi in milioni di tonnellate

230 GUADAGNI M., op. cit., pag. 292-302231 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 94

128

Il declino della produzione agricola, pur condizionata da due fattori “straordinari”, la lunga

siccità del 1974-1975 e la guerra dell'Ogaden, dipese soprattutto dall'ecologia della Somalia, non

adattabile a processi di pianificazione: l'agricoltura doveva convivere con una limitata

precipitazione, solo ogni 5 anni in media c'erano precipitazioni normali. Tra il 1975 e il 1978 ci fu

una riduzione dei terreni coltivabili, da 8.300 si passò a 6.000 ettari. Questo era dovuto alla crescita

della salinità delle terre, ma anche ad una inadeguata politica di investimenti nella modernizzazione

di infrastrutture e di incentivi. Un altro problema stava nella scelta del governo di porre dei limiti ai

prezzi agricoli per il consumo interno, un provvedimento che finì per disincentivare la produzione

agricola. Per quanto riguarda il settore delle esportazioni agricole, che riguardava soprattutto le

banane, l'istituzione dell'Agenzia Nazionale Banane si dimostrò inefficiente e incapace di

competere con il mercato straniero, inoltre il 90% della produzione rimaneva in mano a privati

italiani e arabi: dal 1960 il prezzo delle banane scese di circa la metà232.

Il settore dell'allevamento

Nel piano quinquennale 1974-1978 il settore dell'allevamento venne messo in secondo piano:

solo il 5,3% delle risorse, nonostante i 2/3 della popolazione fossero pastori e i 2/3 del commercio

con l'estero dipendessero dal bestiame. Negli anni settanta fu comunque notevole crescita delle

esportazione del bestiame e l'aumento dei prezzo dei capi:

Esportazione di animali vivi (1960-1978)

bovini cammelli Capre e pecoreanno numero prezzo valore numero prezzo valore numero prezzo valore1960 12,4 239 3 6,3 337 2,1 574 58 38,11964 56,6 348 19,7 17,7 549 9,7 1.015,5 56 57,31967 35,7 344 12,3 36,7 585 21,5 933,4 64 59,81970 45,4 341 15,5 25,5 745 19,1 1.150,9 74 84,9

232 AHMED I. SAMATAR, op. cit., 91-98

129

anno numero prezzo valore numero prezzo valore numero prezzo valore1971 56,1 330 18,5 23,7 700 16,6 1.184.6 74 88,21972 77,1 289 22,3 21,3 694 14,7 1,617,2 76 123,51973 69,6 504 35,1 27,9 834 23,3 1.322,7 105 138,31974 27,4 788 21,6 23,7 1.275 30,2 1.211,2 141 170.61975 38,4 866 33,5 33,4 1.412 47,4 2.304,4 131 301,11976 76,2 943 71,9 36,6 1.349 49,4 747,6 214 1591977 54,4 767 41,7 34,6 1.393 48,2 902,1 210 189,61978 73,9 1.365 100,9 21,0 1.932 40,5 1.450,7 308 447,3

I numeri sono in migliaia, i prezzi in scellini a capo, i valori in milioni di scellini

La crescita positiva dell'esportazione e dei prezzi del bestiame fu dovuta soprattutto alla

crescente richiesta proveniente dai paesi produttori di petrolio del Golfo Persico e in modo

particolare dall'Arabia Saudita. Questa crescita finì, però, per favorire non i pastori nomadi, ma un

centinaio di commercianti che gestivano il commercio del bestiame a Buraso e ad Hargheisa. Oltre

ai grandi commercianti (ganacsato) e ai pastori esistevano dei mercanti locali (dilaal) che

fungevano da intermediari nel commercio del bestiame. Solitamente i pastori venivano pagati per i

capi che avevano venduto solo dopo che questi venivano esportati e venduti in Arabia Saudita, la

quale prendeva l'onere di molti costi sul credito dei nomadi. Lo Stato, nell'esportazione del

bestiame, prendeva 1/10 del valore della transizione in tasse, mentre il dilaal prendeva tra il 10 e il

15% di commissione per ogni transazione. In questo sistema l'aumento del prezzo del bestiame

incise poco sui pastori, ma favoriva le entrate dello stato e i commercianti.

Il governo istituì un'Agenzia per lo Sviluppo del Bestiame con il compito di controllare le

esportazioni e tutelare i pastori, ma in realtà questo ente si dimostrò inefficace. Gli esportatori di

bestiame all'apertura delle lettere di credito in Somalia, mettevano il minimo prezzo per animale

esportato fissato dallo Stato, e, successivamente, una volta venduti i capi all'estero ad un prezzo

maggiore, pagavano l'importo del credito contratto con i pastori con il prezzo che era si era stabilito

all'inizio della trattazione in valuta locale. Questo sistema finiva per favorire gli esportatori poiché

130

se il prezzo del bestiame esportato all'estero aumentava, quello per l'acquisto del bestiame interno

rimaneva fisso, sfavorendo così i pastori nomadi. Gli esportatori chiedevano ai loro agenti in Arabia

Saudita di acquistare, con il guadagno ricavato dalla transazione, i beni manufatti che dovevano poi

essere portati e venduti in Somalia233.

La crescita dell'esportazione di capi di bestiame, soprattuto nel nord de paese, porterà a

problemi ambientali, poiché molte terre vennero lasciate al pascolo intensivo, causando problemi di

desertificazione. Uno dei maggiori problemi di questo settore era infatti l'impossibilità di

espandersi, essendo il territorio della Somalia, formato soprattutto da savana con radi cespugli,

molto fragile da un punto di vista ambientale. In un primo momento il regime rivoluzionario aveva

pensato di istituire delle cooperative di pastori stanziali, ma fu un fallimento poiché fu difficile

realizzare il progetto poiché non c'erano risorse idriche sufficienti data la scarsità di precipitazioni e

di pozzi234.

Il settore della pesca

Il Piano di sviluppo del 1974-78 allocava 78 milioni di scellini, il 2% delle risorse, alla pesca

portando ad una crescita del settore del 200% rispetto al biennio 1972-73. Uno dei maggiori

problemi che dovevano essere affrontati in questo settore era che i somali, pur vivendo in un paese

con una costa lunghissima, tradizionalmente non praticavano questa attività e nemmeno

mangiavano il pesce. La carestia del 1974-75 finì per essere un incentivo al consumo del pesce e

allo sviluppo del settore: 15.000 nomadi vennero sedentarizzati lungo comunità di pescatori nella

costa e la legge sulle cooperative agricole venne estesa alle cooperative di pescatori. Quattro

importanti cooperative furono istituite dal governo: una a Eyl, nelle regione di Nugaal, una a

Cadale, località vicina a Mogadiscio, e, infine, una a Brava.235 I sovietici sostennero questa

iniziativa dando alla Somalia una decina di motopescherecci. Un anno dopo questi provvedimenti ci

233 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 91-98234 FORNI E., op. cit., pag. 52-56235 LAITIN D. D., “The Economy” in Somalia, a country study, pag. 126-130

131

fu un incremento della pesca in quattro settori: 800.000 tonnellate di sardine, acciughe, arringhe e

tonno pescati in mare aperto; 40.000 tonnellate di passera nera, carotatore, pagro; 30.000 tonnellate

di squali e razze; 3.000 tonnellate di aragoste e gamberetti Sebbene fu notevole la crescita della

pesca, le cooperative di pescatori dovettero affrontare una serie di problemi: difficoltà nel reclutare

personale; deterioramento dei mezzi, più del 70% delle barche a motore già nel 1978 era fuori uso;

mancanza di un aiuto statale efficiente. La crescita della pesca fu ulteriormente limitata

dall'abbandono dei sovietici nel 1978 e dall'arrivo degli aiuti italiani: la crescita declinò dalle 11.390

tonnellate nel 1976 alle 3.803 tonnellate nel 1978236.

Il settore industriale

Il Piano di Sviluppo del 1974-78 sottolineava una serie di obiettivi per la crescita nel settore

industriale: consolidamento e massimizzazione dell'efficienza e della produttività; creazione di

nuove unità industriali per vitalizzare l'economia del paese; incentivazione della redditività delle

imprese; incoraggiamento del settore privato nel suo ruolo secondario nella crescita industriale. Il

piano prevedeva una serie di progetti concreti in questo settore:

1. lo zuccherificio del Basso-Juba, situato a Gelib, che avrebbe dovuto produrre 50.000

tonnellate di zucchero, con un costo di 365 milioni di scellini (l'impianto avrebbe dovuto

diventare funzionante nel 1979, anche se però nel 1976 non si conoscevano ancora i

finanziatori);

2. una cementeria a Berbera, finanziata dalla Corea del Nord, prevedeva una produzione di

100.000 tonnellate di cemento all'anno;

3. un impianto per la produzione di cemento fibroso che divenne già funzionante nel 1976,

producendo 60 tonnellate di cemento al giorno;

4. un mulino-pastificio a Mogadiscio, finanziato dalla Banca per lo Sviluppo Somala, che ha

iniziato la sua attività nel 1975, producendo 30 tonnellate di pasta al giorno;

236 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 91-98

132

5. un mattatoio ad Hargheisa, con l'obiettivo di macellare 1.500 ovini e 60 bovini al giorno;

6. una fabbrica di scarpe a Kisimayo, che prevede la produzione di 2.500 paia di scarpe al

giorno;

7. un laboratorio farmaceutico a Mogadiscio, finanziato da fondi europei, per la produzione di

tutte le medicine base237;

8. un impianto per la conservazione della carne a Kisimayo;

9. una fabbrica per la conservazione del pesce nei pressi di Erigavo nel nord-est del paese;

10. una fonderia per il ferro;

11. una fabbrica per sigarette;

12. una fabbrica per sacchetti e borse di plastica;

13. una raffineria di petrolio238

Questi progetti venivano finanziati per il 70% dall'estero. Nel paese ci fu una crescita

apparente del settore industriale: se nel 1970 c'erano in tutto il paese solo 14 impianti industriali di

proprietà dello stato, nel 1978 erano saliti a 53; l'incidenza dell'industri sul PIL, nello stesso

periodo, passò dal 9% al 15% e la percentuale della popolazione impiegata nell'industria salì al

21%; ma se crebbero gli impianti non crebbe la produzione industriale, anzi finì per declinare.

Produttività industriale

Settore Unità di misura

1975 1976 1977 1978 1979 1981

Zucchero Migliaia di tonnellate

30 33 30 24 21. 20,9

Conservazione della carne

Milioni di barattoli

14,43 10 8,63 _ 1,5 1,2

Pasta e farina

Milioni di tonnellate

7,85 7,9 8,4 8,1 5,8 4,3

Latte Milioni di 2,16 3,67 3,84 3,31 2,7 2

237 DECRAENE P., op. cit., pag. 92-99238 LAITIN D. D., “The Economy” in Somalia, a country study, pag. 126-130

133

Settore Unità di misura

1975 1976 1977 1978 1979 1981

litriConservazione frutta e verdura

Migliaia di tonnellate

0,94 1,5 1,2 0,9 1 0,9

Tessile Milioni di yard

5,5 7,3 12,92 13,8 9,93 9

Scatole e borse

Migliaia di tonnellate

5,2 6,77 5,4 4,75 5,2 4,5

La scarsa produttività del settore industriale era dovuta ad una serie di fattori: inadeguati

incentivi finanziari per gli impiegati, se si pensa che tra il 1970 e il 1978, in termini reali, i salari

declinarono del 50%; mancanza di una classe manageriale e di lavoratori qualificati; insufficienza

di strutture di formazione al lavoro; emigrazione dei pochi lavoratori qualificati all'estero (circa

150.000 lavoratori professionisti o semi-professionisti migrarono verso i paesi del Golfo dove

ricevevano stipendi più adeguati alle loro qualifiche); elevato sistema di tassazione; scorrettezza

nei pagamenti dei beni e dei servizi prodotti dalle imprese pubbliche da parte dello Stato239.

Il secondo piano di sviluppo del regime rivoluzionario si dimostrò fallimentare. Una delle

maggiori ragioni di tale fallimento fu una cattiva gestione delle risorse dello stato che andavano a

finire soprattutto nella pubblica amministrazione e nella difesa, mentre i servizi sociali e soprattutto

le attività produttive venivano messe in secondo piano:

Spese ordinarie del governo centrale (1975-1981)

settore 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981Servizi pubblici collettivi

33,9* 31,7 32,4 35,1 31,8 31,8 32

Difesa 25,6 25,5 25,9 37,1 39,6 41,6 43

239 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 98-101

134

settore 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981Servizi Sociali

22,5 24,7 25,8 16,7 18,2 16,5 15

Servizi economici

17,9 18,1 13 11 10,5 10 10

*In percentuale

La siccità e il processo di sedentarizzazione

Nel 1974 la mancanza di precipitazioni piovane causò una delle peggiori siccità che si

manifestarono in Somalia negli ultimi decenni (non a caso venne soprannominata debaadeer, che in

somalo significa “dalla lunga coda”). La siccità colpì 2/3 del paese, morirono di fame circa 20.000

persone, ci fu una perdita di 1/3 dei 34 milioni di capi di bestiame, mentre circa 250.000 nomadi

rimasero senza bestiame con gravi problemi di denutrizione. La carestia provocò una crescita

dell'inflazione che salì al 19% annuo. Le cause di una siccità così devastante, al di là dei fattori

climatici, fu dovuta anche ad una crisi dell'eco-sistema nomade seguito all'aumento delle

esportazioni del bestiame a partire dagli anni '50 e che ha avuto un notevole incremento all'inizio

degli anni '70 a seguito dell'aumento degli introiti del petrolio verso i paesi arabi, i maggiori

importatori di bestiame somalo. L'aumento di questa esportazione ha avuto anche conseguenze di

tipo sociale, con l'emergere della figura del mercante di bestiame, spesso legato alle élite

governative, interessato a favorire l'accrescimento della proprietà privata sui pascoli e sui pozzi,

prima della proprietà collettiva, e a favorire la pressione sui pascoli. Tutto questo favorì un processo

di desertificazione240.

Il costo globale della siccità fu per lo stato somalo di 3,4 miliardi di scellini, che equivalevano

a 5 anni di normali investimenti statali, portando ad un notevole rallentamento nell'economia del

paese e nell'attuazione del Piano di Sviluppo Quinquennale241. Per risolvere i problemi legati alla

siccità fu istituita la Commissione Nazionale di Soccorso per la Siccità, guidata dal generale

240 FORNI E., op. cit., pag. 52-56241 DECRAENE P., op. cit., pag. 107

135

Hussein Kulmiye, che aveva il compito di coordinare gli aiuti e realizzare progetti di intervento. La

Somalia ricevette 66.229 tonnellate di grano, 1,155 litri di latte e tonnellate di altri cibi da diversi

paesi: Cina, USA, CEE, URSS, Svezia, Svizzera, Sudan, Algeria, Jugoslavia, Yemen242. L'aiuto

sovietico fu fondamentale nell'aiutare il paese ad uscire dalla crisi: 12 aerei da trasporto Antonov e

170 camion furono impiegati per il trasporto dei rifugiati; gli aiuti alimentari sovietici furono

maggiori rispetto a tutti gli aiuti messi insieme degli altri paesi e consistevano in 20.000 tonnellate

di cereali, 50.000 tonnellate di cemento e altri tipi di materiale di costruzione e in petrolio243.

Il governo diede un'assistenza provvisoria in campi di raccolta a 250.000 persone colpite dalla

carestia, rimaste senza bestiame e al limite della sopravvivenza. Gli aiuti del governo in generale

hanno interessato un milione di persone. È in questo periodo di siccità che il governo procedette al

piano di sedentarizzazione, approfittando della poca resistenza dei nomadi che si trovavano

impossibilitati a svolgere le loro abituali attività, anche se però riuscì a sedentarizzare solo 120.000

dei 250.000 profughi. Alla fine del 1975 furono trasferiti più di 120.000 nomadi nei nuovi centri

agricoli di Dujuma, sul fiume Juba, Kurtin Waarey, sul fiume Shabelle, e Sablaale, a nord-ovest di

Kisimayo244.

La legge n° 14 del maggio 1976 organizzava queste comunità di sedentarizzazione inserendole

all'interno del sistema di amministrazione locale che si rifaceva alla legge del 1972: ogni comunità,

quando esisteva una gruppo di base (xubin) composto da dieci famiglie e gestito da un comitato

formato da sette persone, veniva definita come “distretto”. Ogni comunità di base era unificata in

raggruppamenti superiori formati da cinquanta, cento, duecento, quattrocento famiglie. Ogni

distretto aveva al suo interno un consiglio composto da un presidente e un segretario, nominati dal

capo di stato, e da rappresentanti dei vari ministeri che avevano il compito di coordinare i vari sotto-

comitati. La sicurezza interna del distretto era affidata a un comitato composto da rappresentanti

dell'ufficio politico del Partito (fondato nel 1976), della polizia e dei servizi di sicurezza. Al livello

242 LAITIN D. D., “The Economy” in Smalia, a country study, 1992, pag. 126-130243 DECRAENE P., op. cit., pag. 130-133244 LAITIN D. D., “The Economy” in Somalia: a country study, 1992, pag. 129

136

nazionale queste comunità venivano coordinate da un apposito ente autonomo controllato dai vari

ministeri. I membri della comunità potevano essere non solo rifugiati, ma anche membri di famiglie

non direttamente colpite dalla siccità: l'accettazione o l'abbandono di un membro dalla comunità

doveva avvenire sotto l'autorizzazione degli organi centrali. I comitati e i sotto-comitati

organizzavano le varie attività economiche, mentre veniva esclusa l'iniziativa privata o di gruppo.

Ogni membro abile al lavoro aveva diritto al 10% di ciò che aveva prodotto e a premi speciali,

anche solo simbolici, se si dimostrava più produttivo rispetto agli altri lavoratori. Ai membri inabili

al lavoro venivano concessi gratuitamente dalla comunità il mantenimento, l'istruzione, l'assistenza

sociale e sanitaria. Ogni famiglia aveva diritto ad una abitazione, ma certe attività domestiche, come

la cucina, venivano svolte in gruppo. La proprietà personale era limitata a qualche oggetto, ortaggio

e animale domestico. Il denaro di ciascuna famiglia veniva depositato presso la comunità su un

libretto di conto personale. All'interno della comunità erano obbligatori l'istruzione e l'orientamento

politico. Le violazioni disciplinari e le liti private dovevano essere segnalate agli organi comunitari

di giustizia245.

Nel processo di sedentarizzazione esistevano diverse difficoltà. Nella società somala il pastore

era la figura predominante e il bestiame non era solo una fonte di ricchezza ma anche un motivo di

prestigio sociale. Per un pastore diventare un contadino significava scendere di casta. L'attività del

pastore era inoltre caratterizzata da un'ampia libertà di movimento e di molto tempo libero, due

aspetti che non potevano convivere con un'attività agricola. I nomadi pastori erano abituati a nutrirsi

di carne e di latte e a vivere in ambienti più asciutti, meno soggetti a malattie provenienti da insetti e

parassiti, caratteristica invece delle zone agricole. Questo aveva delle ripercussioni anche sul

differente tasso di crescita dei nomadi (1,7%), inferiore rispetto al tasso di crescita dei contadini

(2,2%) e della popolazione urbana (4,9%). Oltre ad un'inspiegabile prevalenza della popolazione

maschile nelle società nomadi, il basso tasso di crescita dei pastori era dovuto ad un equilibrio tra

tasso di natalità e tasso di mortalità, quest'ultimo elevato nelle zone agricole: andare a vivere in un

245 GUADAGNI M., op. cit., pag. 306-309

137

ambiente completamente diverso per un pastore era spesso un trauma. Le sedentarizzazioni non

furono accompagnate da una selezione che garantisse omogeneità dei gruppi di insediamento in

modo da evitare conflitti clanici. La gestione dei campi profughi e dei centri di insediamento fu

coordinata dall'esercito, che ne diede un'organizzazione come se si trattasse di campi militari.

Questo fu dovuto sia alla necessità dell'emergenza, ma anche alla lotta contro il tribalismo che in

quegli anni il governo si stava impegnando ad attuare, ma la disciplina militare e l'allontanamento

dal proprio clan non era facile da far accettare ai nomadi. La fine della situazione di emergenza e il

ritorno ad una situazione più normale nelle zone colpite dalla siccità, portò molte persone ad

abbandonare i centri di sedentarzzazione e a ritornare alla vita pastorale246.

246 FORNI E., op. cit., pag. 52-56

138

Capitolo VLa guerra dell'Ogaden (1977-1978)

Gli anni tra il 1974 e il 1976 videro una notevole espansione sovietica nella regione del Medio

Oriente e dell'Africa, nonostante la perdita di due importanti alleati come l'Egitto e il Sudan.

L'URSS in questo biennio riuscì a sottoscrivere importanti accordi con la Libia, la Repubblica

Democratica Popolare dello Yemen, la Somalia. Inoltre lo sgretolamento dell'impero coloniale

portoghese, portò gruppi di guerriglia di orientamento marxista (il Fremilo in Mozambico e il

MPLA in Angola) ad assumere la guida dei nuovi paesi indipendenti. Infine la forte instabilità

politica in Etiopia, che portò al crollo dell'impero abissino e all'instaurazione di una giunta militare

con elementi socialistizzanti, veniva vista dai sovietici come un'occasione per estendere la propria

influenza in un paese che fino ad allora era stato uno dei maggiori alleati degli Stati Uniti nella

regione.

L'ascesa di Menghistu e i rapporti tra Etiopia e URSS

Il Derg, che in amharico significa “comitato”, era un collegio militare che aveva assunto il

potere ad Addis Abeba nel settembre del 1974. Il Derg pose fine al regime imperiale ma non riuscì

a portare stabilità interna nel paese, che fino alla fine degli anni '70 continuò ad essere soggetto ad

azioni di guerriglia e a lotte violente, sia da parte di gruppi indipendentisti o autonomisti (gli eritrei

e i tigrini nel nord, i somali nel sud-est, gli oromo nel sud), sia da parte di gruppi di opposizione

civile operanti nella capitale. All'interno dello stesso Derg era in atto una violenta lotta per il potere

che spesso si traduceva nell'eliminazione fisica degli avversari politici.

Il 23 novembre del 1974 venne ucciso, durante gli scontri ad Addis Abeba, Aman Andon, capo

del Consiglio amministrativo militare provvisorio creato dal Derg. Il vertice del potere venne

assunto dal generale Tafari Benti che attuò importanti politiche di nazionalizzazione in ampi settori

della finanza, del commercio e dell'industria. Nel marzo del 1975 venne emanata la riforma agraria

139

che pose fine al millenario sistema feudale e proclamava che tutte le terre venissero date al popolo.

Era una riforma radicale che fu seguita dalla nascita di associazioni contadine, mentre le grandi

aziende capitalistiche venivano statalizzate. Il 26 aprile del 1976 venne pubblicato il Programma

delle Rivoluzione Democratica, di forte ispirazione sovietica, che in teoria si dichiarava basato su

una collaborazione tra il Derg e tutti i movimenti socialisti, per la creazione di uno stato

rivoluzionario sotto la guida di un partito del proletariato, partito che in realtà venne istituito solo

nel 1984. Il Derg, nelle sue scelte politiche, cercava consenso soprattutto nelle campagne, mentre

riscontrava forti difficoltà nel trovare legittimazione tra i ceti urbani, soprattutto della capitale,

nonostante fossero stati, assieme all'esercito, i maggiori protagonisti nella lotta contro il regime

imperiale. Nella politica di sostegno alle campagne il Derg lanciò la Zemetcha, una campagna di

alfabetizzazione e di propaganda politica che ricordava quanto era successo in Somalia qualche

anno prima, quando gli studenti e gli insegnanti furono coinvolti ed invitati ad occuparsi

dell'alfabetizzazione e dell'educazione della popolazione rurale.

Ad Addis Abeba l'opposizione civile al Derg era guidata dal Ethiopian People's Revolutionary

Party (EPRP), un partito socialista formato soprattutto da studenti, che ebbe un ruolo molto

importante nella rivoluzione del '74, ma che ora si trovava in aperto contrasto con i militari. La

repressione del Derg contro questo partito e altri movimenti di opposizione fu durissima e il biennio

tra il 1976 e il 1978, caratterizzato da violente epurazioni ed esecuzioni sommarie in tutto il paese,

venne chiamato “terrore rosso” (denominazione in realtà non proprio corretta poiché molte delle

vittime di tale “terrore” erano appartenenti a movimenti o gruppi di guerriglia di orientamento

socialista). Gli oppositori al regime venivano o accusati di “anarchismo” o di “reazionismo” o di

essere “trotskyisti”, “maoisti” o “agenti della CIA”. La “pacificazione” nel paese arrivò solo nel

1978, con il consolidamento ai vertici del potere etiopico del colonnello Menghistu. Menghistu

Haile Mariam, all'inizio della rivoluzione, era un ufficiale della II divisione dell'esercito in stanza ad

Harar, non molto conosciuto, ma che riuscì rapidamente a raggiungere i vertici del Derg, grazie ad

140

una politica di eliminazione fisica degli oppositori247. Menghistu fin dall'inizio della rivoluzione

rappresentava l'ala più radicale del Derg, dichiarandosi marxista-leninista e facendo pressioni

affinché l'Etiopia rompesse il suo rapporto privilegiato con Washington e si avvicinasse a Mosca.

La decisione di Menghistu di aderire al socialismo scientifico, come era successo per Siad Barre,

non era dovuta ad una conoscenza approfondita di tale dottrina, ma piuttosto perché vedeva nel

leninismo un mezzo per tenere unito il paese e soprattutto un modo per avvicinarsi ai sovietici che

sembravano più disponibili a concedere armi rispetto agli Stati Uniti. Nel dicembre del 1976

Menghistu, allora vice-presidente del Derg, si recò in visita a Mosca dove firmò un accordo segreto

che prevedeva circa 100 milioni di dollari in aiuti militari, tra cui la vendita di carri armati T-34248.

Il 3 febbraio del 1977 venne assassinato ad Addis Abeba Tafari Benti e altri sei esponenti di

spicco del Derg. La guida del collegio militare venne assunta dal colonnello Menghistu e, pur non

essendoci prove concrete, è molto probabile che fu lui il mandante di tali omicidi. Tafari Benti, pur

schierandosi su posizioni socialiste, seguiva una linea diversa rispetto a Menghistu sia sui rapporti

da tenere con Washington, sia sulla ricerca di una politica di compresso con l'EPRP per giungere

ad una politica di pacificazione del paese.

Mosca e Cuba, che fino a quel momento avevano mantenuto un atteggiamento cauto nei

confronti della rivoluzione etiopica, si congratularono subito con Menghistu per la sua nomina a

capo del Derg, facendo sospettare a qualcuno che fossero implicati nelle mosse del colonnello per

giungere al potere. Nel giro di pochi giorni arrivarono messaggi di supporto da tutti i paesi del

blocco sovietico. L'avvento di Menghistu, come capo indiscusso del Derg, portò ad una

accelerazione nei rapporti tra Etiopia e URSS: in marzo giunsero dallo Yemen del Sud 30 carri

armati sovietici, primo segno tangibile dell'accordo firmato nel dicembre dell'anno precedente; in

aprile altri armamenti sovietici giunsero direttamente dall'Unione Sovietica, oltre all'arrivo di

247 CALCHI NOVATI G., op. cit., pag. 145-155248 PATMAN R. G., op. cit., pag. 190-203

141

consiglieri militari cubani249.

L'ascesa di Menghistu al potere preoccupava l'amministrazione Carter, insediatasi alla Casa

Bianca all'inizio del 1977, che voleva inaugurare una politica estera americana moralizzante, basata

sul rispetto dei diritti umani, ma che spesso finì per essere una politica contraddittoria e insicura.

Sarà proprio l'azione americana nel Corno che diventerà un buon esempio di questa politica di

incertezza, caratterizzata spesso dall'incapacità di Jimmy Carter di fare scelte precise e da una

divisione interna nella sua stessa amministrazione, tra Zbigniew Brzenzinski, Consigliere alla

Sicurezza Nazionale, che spingeva per una politica americana interventista per evitare

un'espansione sovietica nel Terzo Mondo, e Cyrus Vance, Segretario di Stato, più interessato a dare

un'immagine di una America portatrice di valori morali e di tutela della libertà e della pace.

Il 25 febbraio del 1977, poche settimane dopo la presa del potere da parte di Menghistu,

Vance sosterrà al Senato che gli Stati Uniti dovevano sospendere gli aiuti a quegli stati che

violavano i diritti umani, menzionando, oltre l'Argentina e l'Uruguay, anche l'Etiopia. Nell'aprile del

1977 Washington informò Addis Abeba che era in programma un piano di riduzione del personale

del Military Assistance Advisory Group (MAAG) e la chiusura definitiva entro settembre della base

di Kagnew. Il Derg rispose che il ritiro del personale americano e la chiusura della base militare

doveva avvenire entro 4 giorni, senza bisogno di aspettare settembre. Gli USA di fronte alla

“provocazione” del Derg, decisero di sospendere subito l'invio di armi all'Etiopia, anche quelle già

pagate250. La rottura dei rapporti tra Stati Uniti ed Etiopia favorirono l'avvicinamento dello stato

africano a Mosca.

Il 6 maggio del 1977 Menghistu si recò in visita ufficiale a Mosca, dove incontrò il Presidente

Podgorny, il Segretario Generale del Partito Brezhnev e il Ministro degli Esteri Gromynko. In

249 OTTAWAY M., Soviet and American influence in the Horn of Africa, Praeger Publishers, New York, 1982 pag. 106-108

250 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 114-118

142

questi colloqui vennero conclusi una serie di accordi, tra cui una “Dichiarazione per la Fondazione

di Relazioni Amichevoli di Cooperazione”. Nella stessa occasione venne firmato un accordo che

prevedeva la vendita di armi per un valore di 385 milioni di dollari, che comprendeva la fornitura di

48 MiG-21, 200 carri armati T-54 e T-55, batterie di missili SAM-3 e SAM-7 e missili anti-carro

Sagger. Mosca, nella sua politica di avvicinamento ad Addis Abeba, oltre ad aiuti militari si

impegnò in altri settori: il 25 maggio del 1977 venne ristrutturato l'ospedale di Addis Abeba e

giunse dall'URSS molto personale medico; il 10 giugno venne firmato un accordo di cooperazione

radio-televisiva; il 6 luglio venne istituita una commissione di Amicizia e Solidarietà; il volume del

commercio tra i due paesi crebbe notevolmente: dai 4,3 milioni di rubli nel 1976 si passò ai 23,9

milioni nel 1977; la stessa Chiesa etiopica ebbe un incontro con i leader della Chiesa moscovita251.

Menghistu sostenne di aver chiesto aiuto ai sovietici per modernizzare l'esercito etiopico, non

per attuare politiche aggressive contro altri stati, ma per risolvere una serie di problemi interni: dopo

l'assassinio di Tafari Benti, c'erano state una serie di diserzioni e insubordinazioni nell'esercito e per

il Derg era necessario porre sotto controllo la situazione; le opposizioni dei civili ad Addis Abeba e

in altri centri si traducevano spesso in guerriglia urbana; crescevano le lotte di indipendenza in tutto

il paese.

La guerriglia in Etiopia e la politica pan-araba contro Addis Abeba

In Etiopia la rivoluzione aveva portato alla crescita dei movimenti indipendentisti ed

autonomisti: nel febbraio del 1975 venne fondato il Tigrean People's Liberation Front (TPLF), un

gruppo di guerriglia di ispirazione marxista che voleva l'indipendenza del Tigrai e che aveva dei

legami con l'EPLF in Eritrea; nel marzo del 1975 in Dankalia venne fondato il Afar Liberation

Front, un movimento di guerriglia indipendentista sostenuto da Somalia e Arabia Saudita e in

contatto con l'ELF; nel sud-ovest dell'Etiopia nell'ottobre del 1974 venne creato il Oromo

251 PATMAN R. G., op. cit., pag. 204-222

143

Liberation Front che inizierà una dura lotta di guerriglia soprattutto a partire dal luglio del 1976252;

in Eritrea il Eritrean Liberation Front e il Eritrean Peaople Liberation Front, se inizialmente

avevano riposto speranze nella rivoluzione, dopo l'assassinio del primo presidente del Derg, il

generale Aman Andon, di origine eritrea, avevano iniziato ad incrementare le azioni di guerriglia,

spesso riuscendo a trovare una certa collaborazione.

Nell'Ogaden oltre alla rivoluzione e al clima di instabilità dell'Etiopia, le azioni di guerriglia

erano riprese anche a seguito della siccità che aveva colpito la Somalia e l'Ogaden nel 1974-75. In

questa regione il gruppo di guerriglia più attivo era il Western Somalia Liberation Front (WSLF),

nato nel 1960, che se da un lato era un movimento che desiderava l'unione con la Somalia, e per

questo sostenuto dallo stesso governo di Mogadiscio, dall'altro aveva forti legami con il movimento

oromo nella regione del Bale (popolazione che viveva nella zona meridionale dell'Etiopia). Lo

stesso leader del movimento degli oromo, Wako Gutu, fu anche membro del WSLF.

La siccità del 1974-75 portò molte persone dell'Ogaden a cercare assistenza nei campi

profughi in Somalia, che divennero spesso dei centri di reclutamento per i guerriglieri del WSLF,

assistiti e organizzati non solo da reparti dell'esercito regolare somalo, ma anche da consiglieri

sovietici, cubani e nordcoreani. Entrarono a far parte del WSLF anche somali, che pur non abitando

nell'Ogaden, trovarono nel gruppo guerrigliero un modo per sfuggire dalla carestia e dall'assenza di

attività. Nel 1976 il WSLF si divise in due bracci: uno, che mantenne il vecchio nome,

rappresentava la componente somala e puntava all'unificazione con la Somalia, l'altro, che prese il

nome di Somali Abbo Liberation Front (SALF) rappresentava la componente oromo, più propensa

alla creazione di uno stato indipendente che comprendesse le province di Bale, Hararghe, Sidamo,

Arussi253.

L'Etiopia si trovava sempre più in difficoltà di fronte alla crescita dei movimenti

252 PATMAN R. G., op. cit., pag. 152-161253 OTTAWAY M., op. cit., pag. 81-85

144

indipendentisti che rischiavano di distruggere l'integrità stessa dello stato. Inoltre Addis Abeba era

sempre più isolata nella regione, circondata da stati musulmani e anti-etiopici, disposti a sostenere i

movimenti di guerriglia all'interno del paese del Corno.

La tregua tra Sudan ed Etiopia, che si era venuta a creare a metà degli anni '70, già a partire

dal 1976 era venuta meno: nel luglio di quell'anno Khartoum accusò l'Etiopia di aver partecipato ad

un tentativo di colpo di stato per rovesciare Nimeiri (in realtà organizzato dalla Libia); nel gennaio

del 1977 il Sudan dichiarò di aver ripreso ad armare la guerriglia (in modo particolare il ELF) in

Eritrea; nello stesso anno il Sudan chiedeva che il quartier generale dell'OUA venisse spostato da

Addis Abeba. Il Sudan, in chiave anti-etiopica, stringerà sempre più buone relazioni con la Somalia

anche per le similitudini che esistevano tra i due stati: entrambi paesi africani musulmani e membri

sia dell'OUA che della Lega Araba254.

Tutti i paesi del Mar Rosso provavano una crescente ostilità nei confronti dell'Etiopia, che oltre

ad essere uno stato “cristiano”, stava sempre più diventando un paese satellite di Mosca. Nel

febbraio del 1977 si svolse a Khartoum un incontro segreto sulla “sicurezza del Mar Rosso” tra

Egitto, Arabia Saudita e Sudan. Il 22 marzo del 1977 a Taizz, nello Yemen del Nord, si tenne un

nuovo incontro sulla “sicurezza del Mar Rosso”, che vide la partecipazione anche di paesi vicini

all'URSS come la Somalia e lo Yemen del Sud. Gli incontri sulla “sicurezza del Mar Rosso” erano

stati fortemente voluti dall'Arabia Saudita per istituire una politica pan-araba da contrapporre alla

presenza nel Mar Rosso dell'Unione Sovietica e di Israele, entrambi, anche se per ragioni diverse,

alleati dell'Etiopia, e fare del Mar Rosso un “Lago Arabo”. Tra gli obiettivi presi in questi incontri

c'erano inoltre il sostegno ai movimenti di guerriglia, in modo particolare quello eritreo. Pochi

giorni dopo il vertice il Sudan chiuse definitivamente i già difficili rapporti con l'URSS, facendo

espellere tutto il personale sovietico dal paese255. A seguito di questi incontri i rapporti tra i paesi

mediorientali e la Somalia crebbero notevolmente: il 6 aprile il Primo Ministro saudita al-Faisal

254 PATMAN G., op. cit., pag. 190-203255 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 110-114

145

offrì 350 milioni di dollari in assistenza e la garanzia di ricevere armi dall'Occidente se la Somalia

avesse posto fine alle relazioni con i sovietici; il 25 maggio 1977 il ministro degli Esteri iraniano

Abbas Ali Khalatlari arrivò a Mogadiscio per offrire petrolio in grado di sostituire la dipendenza

con i sovietici; in giugno ci furono una serie di incontri con delegazioni degli Emirati Arabi Uniti.

La precaria Pax Sovietica

L'inizio del 1977 vedeva l'URSS in una posizione dominante nel Corno d'Africa: il Trattato di

Amicizia e Collaborazione con la Somalia era ancora valido e l'avvento di Menghistu al potere

aveva portato l'Etiopia ad avere rapporti sempre più stretti con Mosca. I sovietici erano consapevoli

però che i rapporti tra i due principali stati del Corno, entrambi dichiaratamente socialisti, erano

caratterizzati da una tradizionale inimicizia: uno dei compiti principali dell'Unione Sovietica era

quello di fungere da mediatore tra Somalia ed Etiopia.

Inizialmente la Somalia aveva mostrato una certa simpatia per la giunta militare etiopica e

vedeva favorevolmente le sue scelte socialiste: nel gennaio del 1976 Siad Barre, ad un incontro

straordinario dell'OUA ad Addis Abeba, si congratulò con i progressi del Derg. Nella seconda metà

del 1976, però, i rapporti tra i due paesi iniziarono a deteriorarsi, poiché la Somalia sembrava voler

approffittare dalla situazione caotica etiopica per avanzare pretese sull'Ogaden: il 25 settembre del

1976 Siad Barre accusò apertamente l'Etiopia di voler destabilizzare la pace tra i due paesi

rifiutando l'idea di creare una federazione con la Somalia.

Il progetto di creare una grande federazione nel Corno d'Africa era uno degli obiettivi chiave

della politica sovietica nella regione dell'Africa Orientale. Il 16 marzo del 1977 ad Aden ci fu un

incontro segreto tra Menghistu, Siad Barre e Robayya (presidente dello Yemen del Sud). In questa

occasione il presidente cubano Fidel Castro propose un confederazione Marxista-Leninista tra

Etiopia, Somalia, Yemen del Sud e Gibuti (che avrebbe raggiunto l'indipendenza nel giugno di

146

quell'anno). La proposta prevedeva anche ampie autonomie per l'Eritrea e l'Ogaden che dovevano

rimanere però all'interno dei confini dell'Etiopia. Questa proposta garantiva ai sovietici una notevole

espansione nel Corno e il controllo dello stretto di Bab el Mendeb, importante punto di passaggio

tra l'Oceano Indiano e il Mar Rosso. Siad Barre però rifiutò tale progetto poiché non garantiva

l'autodeterminazione dei popoli e accusò Menghistu di avere una mentalità colonialista256. A sua

volta Menghistu accusò Siad Barre di fomentare la guerriglia nell'Ogaden e di voler mettere in

discussione l'integrità territoriale dell'Etiopia. La proposta di Fidel Castro era arrivata troppo tardi

quando ormai la guerra dei tra i due paesi era alle porte: nel febbraio del 1977 c'erano già state le

prime incursioni di carri armati somali nell'Ogaden andati a sostenere le azioni di guerriglia del

WSFL.

I sovietici cercarono comunque di evitare che i due paesi entrassero in guerra. Nell'aprile del

1977 il presidente sovietico Podgorny compì un viaggio in Medio Oriente e in Africa Orientale,

recandosi in visita anche a Mogadiscio, dove riceverà assicurazioni da Siad Barre che non avrebbe

attaccato l'Etiopia. Ad Addis Abeba Podgorny assicurò Menghistu che la Somalia non aveva

progetti di invasione contro l'Etiopia257. Le assicurazioni di Siad Barre avevano in realtà poco

riscontro con quello che effettivamente stava succedendo nell'Ogaden: nella prima metà del 1977

erano notevolmente aumentate le azioni della guerriglia del WSLF, che aveva raggiunto i 6.000

uomini; il 1° giugno i guerriglieri riuscirono a far saltare 5 ponti che collegavano Addis Abeba a

Gibuti, il maggiore sbocco al mare per l'Etiopia; gli etiopi accusarono Mogadiscio di avere

appoggiato tali azioni di sabotaggio.

L'Unione Sovietica era preoccupata inoltre della politica degli stati arabi nella regione del Mar

Rosso. Mosca vedeva l'incontro tenutosi a Taizz un tentativo dei paesi arabi di attaccare l'Etiopia,

l'unica realtà non musulmana del Mar Rosso, e di essere un'operazione dell'imperialismo americano,

attraverso complici locali, per voler contrastare la presenza sovietica nella regione. Nonostante

256 PATMAN R. G., op. cit., pag. 190-203257 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 110-114

147

questo l'URSS cercò ancora di mantenere buone le relazioni sia con lo Yemen del Sud che con la

Somalia (due stati socialisti che però rischiavano di essere inseriti nelle politiche saudite). Nel

febbraio del 1977 il ministro della Difesa sovietico Sokolov si recò in visita ad Aden e nel giugno

del 1977 Ali Antar, Ministro dell Difesa yemenita, di posizioni filo-sovietiche e contrario alla

politica di Robayya di avvicinamento a Riad, si recò in visita a Mosca. La politica sovietica era

quella di voler isolare Robayya, per favorire l'ascesa al potere di uomini meno attratti dai sauditi e

meno disponibili ad appoggiare il movimento eritreo in Etiopia: nel giugno del 1978 Robayya verrà

assassinato e presidente della Repubblica Popolare Democratica dello Yemen divenne Ismail, filo-

sovietico e disposto ad appoggiare la politica repressiva di Menghistu in Eritrea258.

Nel maggio del 1977 il vice-presidente e Ministro della Difesa, Samantar, si recò in visita a

Mosca ed ebbe colloqui con Brezhnev e Gromynko. Samantar sosteneva che l'URSS non poteva

essere amica sia dell'Etiopia che della Somalia. I colloqui, anche se ufficialmente vennero ribadite

le buone relazioni tra i due paesi, furono improduttivi.

L'indipendenza del Gibuti

Un evento che ebbe a poco a che fare con le politiche delle superpotenze nel Corno ma che

viene considerato un importante elemento per la decisione di Siad Barre di invadere l'Etiopia, fu

l'indipendenza del Gibuti nel giugno del 1977. Il Protettorato francese del Gibuti era considerato

dagli irredentisti somali parte del territorio della Somalia, essendo abitato per più della metà della

popolazione da somali appartenenti al clan Issa

Il 31 dicembre del 1975 il governo francese guidato da Giscard dichiarerà ufficialmente che

entro due anni il Gibuti avrebbe raggiunto l'indipendenza. Sia l'Etiopia che la Somalia erano

interessati a questo piccolo protettorato, poiché per l'Etiopia era il maggiore porto dove passava

circa il 60% delle esportazioni e delle importazioni, mentre per la Somalia era uno degli obiettivi

della sua politica irredentista.

258 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 110-114

148

Nel febbraio del 1976 un attacco terrorista del Front de la Cote des Somalis, un movimento

politico del Gibuti vicino a Mogadiscio, prese in ostaggio un bus che trasportava i figli del

personale militare francese. Questo attacco finì per deteriorare i rapporti tra Somalia e Francia.

In marzo i colloqui per l'indipendenza furono tenuti a Parigi e si decise che il referendum per

l'indipendenza si sarebbe tenuto in maggio assieme all'elezione della Camera dei Deputati. Le

elezioni furono vinte dal Rassemblement populaire pour l'Independence che comprendeva sia

elementi somali che elementi Afar. Gli Issa ottennero 33 seggi, gli Afar 30 e gli Arabi 2. Il

referendum vide il 99% di voti a favore dell'indipendenza. Il 16 maggio fu eletto Hassan Gouled,

Issa, Presidente del Consiglio, guidando un governo di 10 ministri, metà dei quali erano Afar. Il 26

giugno venne proclamata l'indipendenza dalla Francia e la nascita della Repubblica del Gibuti. Il

nuovo stato entrò a far parte sia dell'OUA che della Lega Araba e dichiarò la propria indipendenza

dalla Somalia e dall'Etiopia259.

La delusione da parte di Siad Barre della mancata annessione al Gibuti attraverso la via

negoziale, spinse Mogadiscio a premere verso la conquista dell'Ogaden anche con la forza.

L' “ambiguità” statunitense e la prima fase del conflitto

La rottura molto rapida dei rapporti con l'Etiopia portò l'amministrazione Carter ad attuare una

politica di avvicinamento alla Somalia, non senza, però, contraddizioni, ambiguità e

fraintendimenti. Le stesse dichiarazioni del presidente e dei membri della sua amministrazione

rilasciate in quel periodo potevano essere lette in modi differenti: nel maggio del 1977, in un

intervista alla stampa, Carter dichiarava che gli Stati Uniti dovevano liberarsi della paura del

comunismo, una paura che aveva portato le amministrazioni precedenti a sostenere regimi

dittatoriali, ma nello stesso tempo lanciava segnali di sfida all'Unione Sovietica in tutte le parti del

mondo, compresa la Somalia; Kelvin Cahil, medico personale di Siad Barre e cittadino americano,

ricevette una lettera dal Dipartimento di Stato, da consegnare a Siad Barre, dove veniva presa in

259 LEWIS I. M., op. cit., pag. 228-231

149

considerazione la possibilità, non ancora ufficiale, che gli USA avrebbero venduto armi alla

Somalia260; nel luglio del 1977, però, il Segretario di Stato Vance, se da un lato dimostrava

preoccupazione per l'aumento di truppe sovietiche e cubane in Africa, dall'altro sottolineava la

disponibilità USA di aiutare quei paesi minacciati nei loro confini: se la prima dichiarazione

sembrava un avvicinamento alla Somalia, la seconda era più un sostegno all'Etiopia, minacciata in

quel periodo da Mogadiscio. Questa contraddittorietà statunitense sarà tra le cause che

incoraggeranno la Somalia ad invadere l'Etiopia261. Siad Barre era convinto che attaccando l'Etiopia,

stato sempre più vicino all'URSS, gli Stati Uniti avrebbero sostenuto quell'azione. I messaggi

provenienti dagli Stati Uniti che parlavano del contenimento sovietico, venivano letti da Siad Barre

come un invito ad attaccare l'Etiopia.

Siad Barre riteneva inoltre che l'invasione dell'Etiopia avrebbe liberato i somali dell'Ogaden

dall'oppressione di Addis Abeba che per secoli li aveva discriminati. Tutto questo rientrava nella

politica di difesa dei diritti umani a cui Jimmy Carter teneva molto, quindi l'attacco all'Etiopia non

veniva visto da Siad Barre come un'invasione ma come una lotta per la liberazione dei popoli

somali.

Nel giugno del 1977 fu creato un canale privato tra Carter e Siad Barre. Il 9 luglio Mogadiscio

fece richiesta specifica di armi e sei giorni dopo Carter rispose che “in principio” la sua

amministrazione si sarebbe impegnata a cooperare con gli altri paesi per aiutare la Somalia nella

creazione della sua difesa262. In realtà la crescente presenza di truppe regolari somale nell'Ogaden

che preannunciavano l'invasione, erano motivo di imbarazzo da parte degli USA che si trovavano a

sostenere uno stato che stava compiendo una politica di aggressione contro un altro paese.

Il 23 luglio del 1977 la Somalia oltrepassò il confine con l'Etiopia ed entrò nell'Ogaden: ha

inizio così la vera e propria guerra. L'esercito regolare somalo, formato da 35.000 soldati guidati dal

260 PATMAN R. G., op. cit., pag. 204-222261 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 114-118262 LEFEBVRE J. A., Arms for the Horn, Pittsburgh Press, London, 1991, pag. 175-178

150

Ministro della Difesa Ali Samantar e affiancati da 15.000 guerriglieri del WSLF, condusse un

attacco coordinato sia nella regione dell'Ogaden che nella regione dell'Haud263.

Siad Barre voleva far credere ai media internazionali che non aveva dato il via ad alcuna

invasione nell'Ogaden e che le operazioni erano condotte dal WSLF, chiamato dai somali

Gobannimadonka (“liberazione”). L'Ogaden era considerato “la Palestina dei somali”, quindi,

secondo la propaganda del regime, se c'erano militari dell'esercito regolare erano lì per sostenere la

causa patriottica della Somalia. Nonostante molti giornali stranieri fossero interessati a questa

guerra, Siad Barre non permetteva a nessun giornalista di entrare nella regione dell'Ogaden. Era un

conflitto invisibile e gli stessi vertici militari e politici intervistati erano obbligati a sostenere di

sapere poco di quello che stava succedendo. Solo nell'agosto del 1977 fu concesso ad un piccolo

numero di giornalisti di entrare nell'Ogaden scortati da uomini in armi, anche se furono tenuti

lontani dal fronte del combattimento. In realtà sia i servizi segreti americani che sovietici sapevano

che quella dell'Ogaden era una vera e propria invasione dell'esercito regolare coordinata e voluta dal

regime di Mogadiscio264.

Washington, di fronte all'invasione somala, fece pressione su Mogadiscio affinché ritirasse le

truppe e cessasse la sua politica di sostegno al WSLF. Il 18 agosto l'amministrazione Carter inviò

un messaggio all'ambasciatore somalo nel quale si sosteneva che gli USA non avrebbero dato armi

alla Somalia, nemmeno attraverso stati terzi, se questa non si fosse ritirata dall'Ogaden. Gli Stati

Uniti speravano che attraverso una politica neutrale avrebbero messo in crisi la presenza sovietico-

cubana in Etiopia265. Siad Barre, però, era poco propenso ad abbandonare l'Ogaden poiché, grazie ad

una superiorità militare (con un esercito tre volte meglio equipaggiato rispetto a quello etiopico) tra

luglio e settembre i somali riuscirono ad occupare le più importanti città del sud dell'Ogaden, come

263 LAITIN D. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 184-186264 PETRUCCI P., op. cit., pag. 55-59265 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 123-130

151

Degahabur, Kebrideha, Werder e Gode. A metà settembre del 1977 i somali avevano già occupato il

90% dell'Ogaden; il 13 settembre riuscirono ad occupare la città di Jijiga, importante base militare

etiopica oltre ad essere la via d'accesso per Harar e Dire Dawa, importanti città strategiche della

regione Hararghe: l'Etiopia sembrava ormai sconfitta266.

L'abrogazione del Trattato di Amicizia e Collaborazione con i sovietici

La guerra dell'Ogaden fu in parte paradossale perché vedeva uno stato alleato e armato dai

sovietici, la Somalia, attaccare uno stato, l'Etiopia, che, pur avendo ancora armi soprattutto

americane, stava sempre più stringendo rapporti militari con l'URSS. Nella rapida avanzata somala,

che contraddistinse i primi mesi della guerra, fu fondamentale per la Somalia l'armamento sovietico,

come i 44 caccia Mig-15, Mig-17 e i dodici Mig-21. Mosca nella prima fase della guerra continuava

a fornire armi ad entrambi i paesi puntando ad una politica che la portasse, alla fine del conflitto, a

diventare la potenza pacificatrice ed egemone della regione.

L'URSS, inizialmente, sembrava voler sostenere le rivendicazioni del WSLF e cercava di

sminuire l'idea che nell'Ogaden ci fosse una vera e propria invasione di truppe regolari somale e

ritornò a proporre la costituzione di una federazione Marxista-Leninista nel Corno d'Africa che

garantisse ampie autonomie all'Ogaden. Mosca iniziò comunque a diminuire il suo appoggio alla

Somalia già a partire dal luglio del 1977: circa 1.200 consiglieri sovietici passarono da Mogadiscio

ad Addis Abeba e con l'inizio dell'invasione, il 23 luglio, Mosca iniziò a sospendere il rifornimento

dell'equipaggiamento militare dato alla Somalia. Continuava, comunque, a sostenere la Somalia a

livello economico: il 17 agosto 1977 vennero conclusi due importanti accordi economici che

prevedevano la continuazione dei lavori per la Diga di Fanole.

La stampa sovietica condannava l'invasione somala come un atto di aggressione negli affari

interni dell'Etiopia, ma allo stesso tempo riteneva utile che Mosca riuscisse a trovare una

mediazione tra i due paesi.

266 PATMAN R. G., op. cit., pag. 204-222

152

Il 29 agosto del 1977 Siad Barre fu invitato a Mosca dove ebbe incontri con Gromynko,

Suslov, Kosygin, ma non fu ricevuto, pur avendolo richiesto, da Breznhev. I colloqui non ebbero

alcun successo poiché Siad Barre si rifiutò di ritirarsi dall'Ogaden.

Le relazioni tra URSS e Somalia stavano giungendo lentamente al termine. Il 13 settembre la

vittoria somala a Jijiga mise in serio pericolo l'integrità stessa dell'Etiopia, anche perché i somali ora

stavano avanzando verso Harar e Dire Dawa, al di fuori della regione dell'Ogaden267.

Intanto stavano aumentavano gli aiuti dei sovietici a favore dell'Etiopia: attraverso lo Yemen

del Sud, giunsero una serie di armamenti pesanti come i caccia MiG-21 e carri armati T-55, oltre

all'arrivo di truppe cubane. Nel settembre del 1977 giunsero ad Addis Abeba consiglieri militari

dalla Germania Democratica per la formazione del servizio di sicurezza interno che doveva

reprimere l'opposizione guidata dall'EPRP. Menghistu inoltre faceva pressioni affinché Mosca

smettesse di consegnare aiuti alla Somalia, sebbene in quel periodo li stava drasticamente

riducendo.

Il 28 settembre Breznhev criticò apertamente l'invasione dell'Ogaden in una lettera al

presidente dell'Angola Neto, in cui, facendo chiaro riferimento al Corno, sosteneva che il principio

di inviolabilità dei confini doveva essere universalmente riconosciuto nell'interesse della pace e

della sicurezza tra i popoli268. Il 18 ottobre del 1977 l'ambasciatore sovietico in Etiopia, Anatoly

Ratanov, annunciò che l'URSS avrebbe sospeso il supporto di armi alla Somalia e stava iniziando

una massiccia assistenza militare all'Etiopia, ordinando, inoltre, ai cubani di ritirare il loro personale

dal paese entro la fine di novembre. Questa data segnò la fine della neutralità sovietica nel Corno

per una politica schierata a favore dell'Etiopia. Il 21 ottobre del 1977, per l'ottavo anniversario della

Rivoluzione somala, né i sovietici, né i cubani inviarono il loro tradizionale augurio269.

La decisione di Mosca di schierarsi a favore dell'Etiopia aveva diverse motivazioni: il regime

di Menghistu sembrava più vicino all'ideologia marxista-leninista rispetto al regime di Siad Barre;

267 PATMAN R. G., op. cit., pag. 204-222268 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 118-123269 PATMAN R. G., op. cit., pag. 204-222

153

la base di Berbera in Somalia poteva essere sostituita da basi sia in Eritrea che nello Yemen del Sud

(ad Aden o a nell'isola di Socotra); l'isolamento dell'Etiopia, circondata da una realtà musulmana e

filo-araba, poteva essere garanzia di fedeltà per Mosca, mentre invece la Somalia, membro della

Lega Araba, si era dimostrata favorevole a stringere relazioni con paesi “anti-sovietici” come

l'Arabia Saudita, l'Egitto e l'Iran; l'Etiopia era in linea con i principi di rispetto dell'integrità

territoriale dell'OUA, mentre la politica irredentista Somala poteva essere un ostacolo all'estensione

dell'influenza sovietica in Africa270.

Il 13 novembre Siad Barre dichiarò di aver abrogato il Trattato di Amicizia e Collaborazione

con l'Unione Sovietica, accusando Mosca di non aver rispettato le clausole dell'accordo dando armi

all'Etiopia, mobilitando i cubani contro la Somalia e facendo falsa propaganda si accusava

Mogadiscio di condurre una politica di aggressione nell'Ogaden271. A seguito di questa decisione

furono espulsi i 1.678 tecnici e consiglieri militari sovietici; revocato alle navi e agli aeri dell'URSS

l'accesso alle basi sul territorio somalo; ridotto drasticamente il corpo diplomatico a Mogadiscio.

Inoltre furono interrotte le relazioni con L'Havana e tutti i diplomatici e gli esperti cubani dovettero

lasciare il paese entro 48 ore272.

L'ambasciatore americano in Somalia, John Loughran, vicino a Siad Barre e sostenitore della

causa somala, a metà novembre del 1977, poco dopo la decisione di Siad Barre di rompere il

Trattato con i sovietici, giunse a Washington per cercare di convincere il Presidente Carter ad

appoggiare la Somalia273. Siad Barre era convinto che la sua decisione di rompere drasticamente i

rapporti con i sovietici avrebbe spinto l'amministrazione Carter ad appoggiarlo militarmente.

Gli Stati Uniti invece mantennero l'embargo su entrambi i paesi fino alla fine del conflitto.

270 LEFEBVRE J. A., op. cit., pag. 178-181271 OTTAWAY M., op. cit., pag. 114-116272 PATMAN R. G., op. cit., pag. 204- 222273 LEFEBVRE J. A., op. cit., pag. 189-191

154

Mogadiscio riteneva che l'embargo americano avrebbe danneggiato più la Somalia che l'Etiopia

poiché quest'ultima stava ricevendo sempre più armamenti dai sovietici.

Nei primi mesi del conflitto, quando l'URSS manteneva rapporti sia con l'Etiopia che con la

Somalia, il Dipartimento di Stato USA cercò di prendere contatti con Menghistu, per vedere se era

possibile un riavvicinamento tra i due paesi. Menghistu sperava di ottenere dagli USA 40 milioni di

dollari di armamenti, tra cui carri armati M-60 e soprattutto caccia F-5Es che avrebbero dovuto

contrastare i caccia MiG-21s somali di fabbricazione sovietica. Ma quando sovietici e i cubani

iniziarono ad armare l'Etiopia su larga scala, gli Stati Uniti imposero l'embargo su entrambi gli

stati.

L'embargo non venne però rispettato da tutti gli stati alleati degli Stati Uniti. Israele continuò a

fornire armi all'Etiopia, bombe a grappolo, napalm, e caccia F-5 di fabbricazione sovietica che

aveva ottenuto durante la guerra dello Yom Kipur prendendoli da stati arabi. Il primo ministro

israeliano Menachem Begin aveva inviato un messaggio a Jimmy Carter affinché gli Stati Uniti

aiutassero l'Etiopia contro l'invasione somala. Se gli USA criticavano aspramente la politica di

armamento dell'URSS nel Corno, poco veniva detto della vendita illegale di armi di Israele

all'Etiopia: l'amministrazione Carter sperava che l'aiuto israeliano potesse portare a nuove aperture

tra Etiopia e Stati Uniti274.

La politica del Corno era sempre più complessa, poiché gli Stati Uniti, nonostante l'embargo,

venivano accusati di vendere armi alla Somalia attraverso paesi terzi: carri armati M-48, venduti

dagli USA all'Iran, venivano a loro volta venduti alla Somalia attraverso l'Oman. Gli USA, se

attraverso Israele tenevano aperte le porte all'Etiopia, dall'altro lato tenevano aperte le porte alla

Somalia attraverso Iran, Arabia Saudita, Egitto e Sudan: alla fine del 1977 gli USA annunciarono la

vendita di armi al Sudan del valore di 92 milioni di dollari e nel marzo del 1978 furono inviati 20

caccia F-5s nel Kenya (tra il Sudan e il Kenya troviamo l'Etiopia e la Somalia); alla Somalia

l'Arabia Saudita vendette 60 carri armati francesi AMX, l'Iran vendette carri armati britannici,

274 LEFEBVRE J. A., op. cit., pag. 186-189

155

l'Egitto diede circa 30 milioni di aiuti militari, che spesso erano armi sovietiche, essendo l'Egitto

come la Somalia un vecchio alleato dell'URSS275.

Nonostante la decisione degli Stati Uniti di porre un embargo sulla vendita di armi alla

Somalia, l'amministrazione Carter si trovava divisa nella politica da adottare nei confronti di

Mogadiscio. Il Dipartimento di Stato guidato da Brzenzinski era preoccupato della crescente

presenza sovietica e cubana nella zona e sosteneva, che non appoggiare la Somalia, poteva portare il

Corno a passare sotto la totale influenza sovietica oltre ad accrescere la presenza dell'URSS

nell'Oceano Indiano: Mosca, così rafforzata, poteva fare richieste nella demilitarizzazione

dell'Oceano e dei trattati riguardanti i missili SALT II. Brzenzinski considerava importante stabilire

subito accordi militari con la Somalia e se necessario portare delle portaerei vicino al Corno per

prepararsi ad un intervento degli stessi Stati Uniti per evitare che truppe etiopiche, sostenute da

cubani e sovietici, penetrassero all'interno del territorio somalo. L'Ogaden per Brzenzinski era il

punto di scontro decisivo tra USA e URSS nel continente, come lo era stato Fascioda nel 1898 tra

inglesi e francesi276. Il Segretario di Stato Vance era invece meno disponibile a legare il conflitto

nel Corno con la questione dei missili SALT e la competizione tra le superpotenze. Vance,

sostenuto dal Segretario alla Difesa, Harold Brown e dal Capo di Stato Maggiore, riteneva che fosse

rischioso un intervento americano a favore di uno stato che non era nemmeno un vero e proprio

alleato ed era convinto che Addis Abeba era impossibilitata ad invadere la Somalia a causa di una

serie di problemi interni277.

Il rifiuto di appoggiare la Somalia veniva anche dagli esperti della Africa Bureau, consiglieri

africanisti dell'amministrazione Carter che proponevano di ricercare “soluzioni africane per i

problemi dell'Africa”. L'Africa Bureau tendeva ad avere posizioni filo-etiopiche ed avere poca

simpatia nei confronti della Somalia. Gli africanisti della Casa Bianca fecero pressioni affinché

Washington non rompesse del tutto i rapporti diplomatici con l'Etiopia, considerata il paese chiave

275 LEFEBVRE J. A., op. cit., pag. 183-186276 OTTAWAY M., op. cit., pag. 118-123277 LEFEBVRE J. A., op. cit., pag. 191-195

156

del Corno. La politica irredentista della Somalia era sempre stata mal vista nel continente africano e

aveva portato la Somalia ad essere “isolata” all'interno dell'OUA. Inoltre veniva ricordato che era

stata la Somalia, già negli anni sessanta, lo stato che più aveva favorito l'ingresso dei sovietici nel

continente africano, oltre ad essere stato il primo stato dell'Africa sub-sahariana ad aver firmato un

trattato di Amicizia con l'URSS. L'Africa Bureau si impegnò affinché Carter interrompesse la linea

diretta con Siad Barre ed evitasse che gli Stati Uniti vendessero armi alla Somalia. Gli africanisti

sostenevano inoltre che aprire buone relazioni con i somali significava allinearsi le simpatie di uno

dei maggiori alleati in Africa, il Kenya e dei paesi membri dell'OUA che già non vedevano di buon

occhio la vicinanza americana al regime razzista della Rhodesia278.

Gli USA avevano anche delle difficoltà logistiche nel sostenere l'esercito somalo, poiché era

un esercito che dal 1963 aveva avuto un addestramento e un armamento soprattutto sovietico:

bisognava quindi adattare una nuova tecnologia e una nuova strategia militare, cosa molto

dispendiosa.

La controffensiva etiopica e la sconfitta somala

Con la fine del 1977 i rapporti tra Etiopia e URSS si fecero più stretti: l'11 novembre venne

condannato a morte con l'accusa di “opposizione al socialismo” il vice-presidente del Derg Atnafu

Bate che aveva accusato Menghistu di dare l'Etiopia ai Russi. Mosca dimostrò di gradire tale

sentenza.

Dal 26 novembre, pochi giorni dopo la decisione dei somali di abrogare il Trattato, i sovietici

iniziarono a inviare un enorme quantitativo di armi per il valore superiore al bilione di dollari,

un'operazione che durò sei settimane e che vide la partecipazione della Libia e dello Yemen del

Sud. Inoltre molte delle truppe cubane presenti in Angola giunsero in Etiopia. Tra gli armamenti

pesanti sovietici troviamo centinaia di carri armati T-54 e T-55, circa 50 caccia MiG-21 e MiG-23,

elicotteri M1-6, lancia missili, unità mobili radar. I soldati cubani giunti in Etiopia erano 16.500, i

278 LEWIS I. M., op. cit., pag. 231-139

157

consiglieri militari sovietici 1.500, 750 i soldati yemeniti e centinaia di tecnici provenienti dalla

Germania Democratica279. In gennaio iniziò la controffensiva delle truppe etiopico-cubane sotto la

direzione del vice-Comandante in Capo delle Forze Terrestri Sovietiche Petrov. La controffensiva

contro la Somalia fu determinante per la sopravvivenza del Derg stesso280.

Nonostante la situazione incominciasse a diventare preoccupante per la Somalia, Siad Barre

non ordinò la ritirata poiché sperava che gli Stati Uniti, preoccupati dell'avanzata etiopico-sovietica-

cubana, iniziassero ad appoggiare seriamente Mogadiscio: il 16 gennaio Siad Barre ebbe dei

colloqui con gli ambasciatori di USA, Gran Bretagna, Francia, Germania Federale, Italia,

avvertendoli che era imminente un'invasione del suo paese dagli Stati del Patto di Varsavia. Gli

Stati Uniti e gli altri paesi occidentali, però, non diedero un sostegno concreto alla Somalia.

L'incertezza americana portò Siad Barre a cercare aiuto tra i paesi arabi: tra il novembre e il

febbraio visitò personalmente l'Arabia Saudita, l'Egitto, l'Iran, la Giordania. Il 1° gennaio del 1978

lo Shah dell'Iran annunciò che avrebbe appoggiato la Somalia per evitare un'invasione sovietica del

paese africano, lo stesso fece il Ministro degli Esteri saudita. In Somalia arrivarono armi leggere da

Francia, Svizzera, Italia, Pakistan e Siria oltre ad armi sovietiche acquistate nel mercato nero, circa

590 tonnellate, soprattutto Kalashnikov. Il problema rimaneva la difficoltà di ottenere armamenti

pesanti per riuscire a fronteggiare il sempre più vasto esercito etiopico.

Nei primi mesi del 1978 la Somalia si ritrovava isolata e con un esercito al collasso: 8.000

soldati erano morti, ¾ delle forze erano andate distrutte. L'esercito somalo stava subendo la

mancanza di rifornimenti militari281. A metà febbraio, dopo una serie di bombardamenti etiopici, i

somali furono costretti a ritirarsi dal passo Marda. Il 5 marzo gli etiopici ripresero il controllo della

città di Jijiga. Il 9 marzo Siad Barre annunciò il ritiro delle truppe regolari somale dall'Ogaden. Il 14

marzo la ritirata era già virtualmente completata sebbene continuavano le attività di guerriglia del

279 PATMAN R. G., op. cit., pag. 222-235280 OTTAWAY, op. cit., pag. 114-116281 OFCANSKY T., “National Security” in Somalia: a country study, pag. 184-186

158

WSLF282.

Prima della sconfitta definitiva dei somali i sovietici non avevano dichiarato apertamente il

loro sostegno diretto alla guerra dell'Ogaden. Sarà solo dopo la ritirata somala che i sovietici

dichiararono il loro appoggio all'Etiopia nella sconfitta dell' “imperialismo” (rappresentato in questo

caso dalla Somalia)283.

L'avanzata sovietica portò ad accentuare lo scontro tra Vance e Brzenzinski, tra il primo che

sosteneva il non intervento e il secondo che bisognasse in qualche modo intervenire, nonostante le

assicurazioni di Menghistu che non avrebbe attaccato la Somalia. L'amministrazione Carter,

comunque, dopo la decisione della Somalia di ritirarsi dall'Ogaden aveva proposto una strategia

divisa in 5 punti:

1. trovare obiettivi comuni con gli alleati della NATO, attraverso una via negoziale, per

impedire un'invasione della Somalia e una crescita dell'influenza sovietica nel Corno.

2. Convincere gli alleati della regione (Egitto, Sudan, Arabia Saudita, Iran) a seguire questi

obiettivi.

3. Ottenere dalla Somalia un accordo per la ritirata dall'Ogaden.

4. Gettare le basi diplomatiche e politiche per aiutare la Somalia a difendere il suo territorio

che avrebbe compreso anche la fornitura di armi a scopo difensivo.

5. Persuadere i sovietici a sostenere una risoluzione negoziale al problema e impedire che

etiopici e cubani invadessero la Somalia.

Per Vance avere la garanzia che etiopici e cubani non avessero intenzione di invadere la

Somalia era già un successo e spingere verso una politica che volesse eliminare la presenza cubana

e sovietica dal Corno era troppo rischiosa284. La posizione moderata di Vance derivava anche dal

fatto che gli Stati Uniti non vedevano il Corno di vitale importanza. Saranno gli eventi tra il 1978 e

282 LEFEBVRE J. A., Arms for the Horn, Pittsburgh Press, London, 1991, pag. 175-178283 PATMAN R. G:, op. cit., pag 222-235284 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 123-130

159

il 1979, la rivoluzione iraniana e l'invasione sovietica dell'Afghanistan, a portare a riconsiderare il

Corno di notevole importanza strategica285.

Carter dopo il ritiro somalo cercò di mantenere buoni rapporti con tutti gli stati della regione.

Nel marzo del 1978 ricevette il vice-presidente del Kenya, Moi, garantendo un supporto di armi e

promettendo di mantenere l'embargo sulla Somalia.

A metà marzo Siad Barre fece nuovamente richiesta di armi agli USA e il segretario di Stato

per gli Affari Africani, Moose, rispose che gli americani avrebbero concesso armi alla Somalia se

queste non fossero state utilizzate per aggredire altri stati: significava per la Somalia rinunciare a

qualsiasi pretesa irredentista. Il 29 aprile 1978 Siad Barre dichiarò di accettare l'integrità territoriale

degli altri stati.

L'URSS, anche dopo la guerra, continuò nella sua politica di consolidamento della sua

influenza nel Corno soprattutto aiutando il Derg contro la guerriglia eritrea. I cubani e gli yemeniti

si rifiutavano di appoggiare il regime di Menghistu in questa politica e in modo particolare nel

reprimere il EPLF, un tempo sostenuto sia da Cuba che dallo Yemen del Sud. Truppe cubane

comunque rimanevano a sorvegliare la situazione nell'Ogaden. Inoltre sia Cuba che lo Yemen del

Sud facevano pressioni affinché Menghistu lasciasse più potere ai civili. I rapporti tra Etiopia e

Cuba rimasero comunque buoni e nel settembre del 1978 Fidel Castro era presente al 4°

anniversario della Rivoluzione.

La Somalia dopo la fine della guerra dell'Ogaden era disposta a riaprire le relazioni con

l'URSS: Radio Mogadiscio sulla sconfitta somala tendeva a criminalizzare più l'intervento cubano

che quello sovietico. Il 21 ottobre del 1978, al 9° anniversario della Rivoluzione Siad Barre fece un

discorso di cauta apertura verso l'URSS. Dall'altra parte i sovietici mantennero un rapporto cauto

nei confronti di Mogadiscio, poiché temevano di guastare i rapporti con l'Etiopia che in quel

285 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 130-134

160

periodo si stavano sempre più consolidando: il 20 novembre del 1978 venne firmato il Trattato

ventennale di Amicizia e Collaborazione tra Etiopia e URSS.

161

Capitolo VIDalla guerra dell'Ogaden alla Conferenza di Gibuti (1979-1991)

La guerra dell'Ogaden fece entrare il paese in una crisi irreversibile, anche se il regime di Siad

Barre rimase in piedi per altri 12 anni. Il conflitto con l'Etiopia invece di unificare il paese in nome

del pansomalismo finì per far riemergere le divisioni interne, prime fra tutte le rivalità claniche, che

si manifestarono in modi sempre più violenti portando allo smembramento del paese e alla guerra

civile. Nella rivalità clanica il regime di Siad Barre non ebbe un ruolo di mediatore o di

pacificatore, né fu garanzia di unità, ma fu piuttosto uno dei maggiori responsabili della

degenerazione e della dissoluzione del paese attraverso una politica repressiva che raggiunse livelli

di notevole violenza: Siad Barre non era più il capo di stato che aveva dato speranze al paese

attraverso la rivoluzione socialista, ma era il tiranno sanguinario che proteggeva i suoi interessi e

quelli di una sempre più ristretta cerchia di familiari. Il soprannome di Siad Barre, “bocca larga”,

dovuto alle dimensioni della sua bocca, divenne sinonimo di corruzione.

La Somalia degli anni ottanta finì per essere sempre più isolata a livello internazionale,

nonostante il suo inserimento nella sfera occidentale attraverso l'accordo con gli Stati Uniti all'inizio

del decennio. La politica repressiva e violenta del regime militare porterà però molti stati

occidentali ad abbandonare, alla fine degli anni ottanta, la Somalia, sempre meno sicura su dove

operare, sia nel campo delle organizzazioni economiche e umanitarie, sia nell'intervento del

personale militare straniero. Il regime di Siad Barre verrà abbandonato dagli stessi stati arabi e in

modo particolare l'Arabia Saudita, che vedrà nella crisi interna del paese un modo per estendere la

sua influenza, appoggiando gruppi che si rifacevano ad un fondamentalismo islamico che aveva

poco a che fare con la tradizione sufista somala. L'unico paese straniero che sosterrà la Somalia di

Siad Barre fino alla sua caduta sarà l'Italia, attraverso una politica di cooperazione molto discutibile.

La Somalia dopo il conflitto dell'Ogaden non riuscì a risollevarsi nemmeno a livello

economico e le politiche di aggiustamento strutturale dettate dal Fondo Monetario Internazionale e

162

dalla Banca Mondiale non servirono a dare alla Somalia una dimensione diversa dall'essere uno

stato indebitato e povero.

La politica statunitense in Medio Oriente e il ruolo della Somalia

Nel 1979 ci furono due eventi che portarono gli Stati Uniti a ripensare la propria politica nel

Medio Oriente e che ridiedero nuova importanza strategica al Corno d'Africa: la rivoluzione

komheista in Iran e l'invasione sovietica dell'Afghanistan.

Fino al 1979 l'Iran dello Shah e l'Arabia Saudita rappresentavano i due pilastri del sistema di

sicurezza americano nel Medio Oriente, che significava soprattutto accesso alle riserve petrolifere.

Secondo Brzenziski, quando si parlava di strategia americana in Medio Oriente si doveva intendere

una vasta zona che si estendeva dal Kenya, comprendendo quindi anche il Corno d'Africa, fino al

Pakistan.

La rivoluzione degli ayatollah in Iran rappresentava un problema ulteriore nella politica estera

statunitense, poiché era una realtà che si dichiarava anti-americana ma allo stesso tempo anche anti-

sovietica, senza avere però le caratteristiche di un paese non-allineato. Il fondamentalismo islamico,

realtà che era sempre stata presente in tutto il mondo musulmano ma che era spesso passata in

secondo piano rispetto alle politiche terzomondiste di ispirazione più o meno nasseriane, a fine anni

settanta divenne uno dei protagonisti della scena politica mediorientale e di tutto il mondo

musulmano. Il fondamentalismo islamico era tutt'altro che una realtà compatta e unita e lo stesso

Iran sciita di Komehini si trovava ad essere isolato rispetto ad un mondo musulmano

prevalentemente sunnita, ma dimostrava come la religione islamica potesse essere il punto centrale

sul quale si poteva creare una società da contrapporre sia al mondo occidentale che al mondo

sovietico.

La rivoluzione iraniana propagandava un forte sentimento anti-americano che si estenderà in

tutto il mondo islamico generando un clima di insicurezza tra il personale statunitense presente nella

163

regione: il 4 novembre 1979 dei militanti iraniani presero in ostaggio il personale dell'ambasciata

americana a Terhan, in Pakistan vennero assassinati 3 diplomatici statunitensi, in Libia venne

attaccata l'ambasciata americana. Gli Stati Uniti sentivano il bisogno di una maggiore presenza

nella regione che significava stringere alleanze con i paesi della zona per poter accedere alle basi

militari.

Il 26 dicembre 1979 l'invasione sovietica dell'Afghanistan spinse gli Stati Uniti ad accelerare

ulteriormente l'incremento della propria presenza in “Medio Oriente” e diede la possibilità a

Washington di aprire relazioni con lo stesso fondamentalismo islamico, soprattutto di matrice

sunnita e vicino al movimento wahabita, che vedeva negativamente la presenza sovietica in

Afghanistan: Brzenzinski sostenne la necessità di creare un ampio fronte unito musulmano, dal

Marocco al Pakistan, per contrastare i sovietici. Iniziò quella politica di rapporti contraddittori e

ambigui della politica americana nei confronti dell'integralismo islamico, da un lato sostenuto in

chiave anti-sovietica e dall'altro sempre più fonte di minaccia per la possibilità di accesso alle

riserve petrolifere, come dimostrava in parte il caso dell'Iran. Il Medio Oriente divenne nel 1979 il

punto centrale della politica delle due super-potenze come lo era stata l'Europa nel secondo

dopoguerra: si parlò di un ritorno alla dottrina Truman e alla politica di contenimento sovietico.

L'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica spinse l'amministrazione Carter a

prendere una politica più decisa contro le attività sovietiche e dei suoi alleati nella regione (Libia,

Yemen del Sud ed Etiopia) e il Pentagono iniziò una serie di negoziati con Egitto, Kenya, Oman,

Arabia Saudita e Somalia per poter accedere alle basi militari presenti in questi stati. Vennero aperte

relazioni economiche e militari con la stessa Cina per isolare l'azione dei sovietici.

Nel marzo del 1979 la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, alleata dei sovietici,

entrò in conflitto con lo Yemen del Nord. La guerra tra i due paesi portò gli USA ad estendere la

propria influenza militare nella penisola arabica, poiché temevano che il conflitto potesse avere

164

delle conseguenze sull'Arabia Saudita, maggiore alleato nella zona e maggiore produttore di

petrolio. Gli USA diedero il proprio sostegno allo Yemen del Nord attraverso la vendita di caccia

all'Arabia Saudita e attraverso l'operazione Costellation che prevedeva l'installazione di portaerei

sul Mar Arabico. L'amministrazione Carter ebbe però difficoltà ad avere l'approvazione del

Congresso per la vendita di armi, poiché buona parte dei senatori americana vedeva il conflitto dello

Yemen come una guerra tribale più che una minaccia per la sicurezza americana. I due leader dello

Yemen giunsero ad un accordo e il presidente dello Yemen del Nord Ali Abdullah Saleh, vedendo

l'incertezza americana nel concedere armi, si recò a Mosca per chiedere materiale bellico ai

sovietici286. La guerra dello Yemen dimostrava come ormai gli Stati Uniti erano sempre più

interessati ad intervenire anche nei conflitti locali in quella regione che ruotava attorno al Golfo

Persico.

Nel marzo del 1980 venne istituito il Rapid Deployment Force (RDF) con il compito di

contenere la presenza sovietica e di mantenere forze militari nella regione anche in periodo di pace.

Il RDF aveva la sua base operativa nella stazione aerea di Mac Dill in Florida e prevedeva

200.000 soldati, una forza anfibia, 3 divisioni dell'esercito oltre a navi e portaerei che potessero

giungere in tempi rapidi sull'Oceano Indiano. Il RDF comprendeva anche forze militari permanenti

nella regione, in modo particolare nell'isola di Diego Garcia dove era stanziato il grosso del Near

Term Prepositioning Ships (NTPS), una flotta navale che permetteva di inviare truppe terrestri nel

Golfo Persico nel giro di 48 ore.

Il RDF, oltre alla base di Diego Garcia, prevedeva altre stazioni militari in Medio Oriente: la

base di Masirah in Oman, la base di Ras Banas in Egitto, 4 basi in Arabia Saudita e la base di

Berbera in Somalia. Le stazioni militari potevano essere divise in quattro gruppi: basi di controllo,

presenti anche nei periodi di pace, che dovevano controllare le operazioni militari sull'Oceano (le

basi in Oman, Kenya, Somalia); le basi di retroguardia da usare nei periodi di crisi (le basi in Egitto

286 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 143-152

165

e in Sudan); le basi di avanzamento da usare in caso di conflitto (le basi in Arabia Saudita); le basi

di rifornimento e di riposo (la base di Mombosa in Kenya). Il RDF fece accrescere notevolmente la

potenza militare americana: la flotta navale tra il 1982 e il 1988 crebbe del 60%. Il costo

complessivo per rendere operativo il RDF si aggirava attorno ai 10 billioni di dollari. Il comando

del RDF era in mano ai vertici della Marina, del Capo di Stato Maggiore e del Comandante di

pronto intervento, generando, però, confusione nella gestione del comando delle operazioni (come

successe sulla questione della liberazione degli ostaggi americani a Terhan). Sotto

l'amministrazione Reagan si cercò di coordinare meglio i vertici di comando del RDF inserendolo

all'interno del US Central Command (CENTCON), sotto la direzione del Ministero della Difesa, e

dividendo con maggior chiarezza i compiti della Marina, cui spettava il coordinamento delle

operazioni nell'Oceano, e del corpo dei Marines, cui spettava le operazioni di terra. Il CENTCOM

era però una struttura molto vasta che spesso aveva una serie di difficoltà a controllare le singole

situazioni locali. Inoltre alcune delle basi militari si trovavano in paesi con scarsa stabilità politica,

come nel caso del Sudan e della Somalia. Le maggiori stazioni militari rimanevano in Egitto e

soprattutto in Arabia Saudita, sebbene questi due stati si rifiutarono di firmare un accordo formale

con gli USA per l'acceso alle basi. In Arabia Saudita venne comunque installato un

equipaggiamento militare del valore di 23 bilioni di dollari, diventando il maggiore punto di

controllo sul Golfo Persico287.

A livello locale gli obiettivi del RDF erano quelli di garantire l'accesso alle basi militari nei

paesi alleati, provvedere all'assistenza economica e alla sicurezza di questi stati e incoraggiarli nel

contrastare localmente l'influenza sovietica.

Gli USA cercarono di sviluppare la cooperazione tra Sudan, Somalia e Kenya, coinvolgendo la

stessa Etiopia (aiutandola ad esempio durante la carestia del 1984). Washington era interessato ad

ampliare le vie di comunicazione tra questi paesi per scopi soprattutto militari.

287 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 152-159

166

Il Sudan era considerato un paese chiave in Africa, essendo uno stato musulmano che però

aveva sostenuto gli accordi di Camp David, era un paese che confinava sia con la Libia di Gheddafi

che con l'Etiopia comunista di Menghistu ed era il luogo di transito di molti profughi sfuggiti alle

repressioni del regime di Addis Abeba. Tra il 1981 e il 1983 gli USA diedero al Sudan aiuti per un

valore di 595,7 milioni di dollari, dei quali circa la metà erano aiuti militari. Nel 1985 un colpo di

stato militare rovesciò Nimeiri, mentre era in visita negli Stati Uniti, e il controllo del paese fu

assunto dal Consiglio Militare Transitorio (CMT), una giunta militare guidata dal generale Sawar al

Dhahab. Il CMT firmò un accordo militare con la Libia, era disposto a stringere alleanze sia con

l'Etiopia che con l'Iran ma rifiutava le politiche di aggiustamento strutturale del Fondo Monetario

Internazionale. Nell'aprile del 1986 le prime elezioni libere dopo la caduta di Nimeiri videro la

vittoria dell'Umma, il partito islamico guidato da Sadiq al-Mahdi, più disponibile a mantenere le

relazioni con gli USA e ad aderire alle politiche del FMI, a causa della grave crisi economica e al

crescere della guerra civile nel sud del paese288.

Nel Corno d'Africa lo stato più affidabile rimaneva il Kenya, seppure strategicamente esterno

alla regione. Tra il 1980 e il 1986 gli USA diedero aiuti militari ed economici al Kenya per un

valore di 600 milioni di dollari.

La Somalia, tra i paesi africani che rientravano nel RDF, era lo stato meno affidabile sia per il

protrarsi della conflittualità nell'Ogaden, sia per i rapporti tesi che aveva con il Kenya, sia per la

crescita dei movimenti di guerriglia che si opponevano al regime di Said Barre. Il 22 agosto del

1980 fu comunque firmato un accordo militare tra Somalia e Stati Uniti che concedeva agli

americani il libero accesso alla base militare di Berbera e, in cambio, la Somalia riceveva crediti in

spese militari per un valore di 40 milioni di dollari, oltre a 11 milioni per ristrutturare i porti di

Berbera e Mogadiscio289. Gli aiuti americani in Somalia arrivarono solo nel 1981, quando fu

terminato il ritiro delle truppe dall'Ogaden. Tra il 1981 e il 1986 gli USA diedero alla Somalia aiuti

288 PANOZZO IRENE, Il dramma del Sudan, specchio dell'Africa, EMI, Bologna, 2000, pag. 81-86289 OTTAWAY M., op. cit., pag. 123-127

167

per il valore di 500 milioni di dollari. A metà del 1982 arrivarono le prime portaerei e consiglieri

militari americani nella base di Berbera, dove fu istallato un sistema Radar e una serie di

apparecchiature utili al RDF. Nel luglio del 1982 l'Etiopia tentò di invadere alcune regioni di

confine sul territorio somalo. Siad Barre dichiarò lo stato di emergenza, chiedendo aiuti militari ed

economici agli USA che raggiunsero gli 80 milioni di dollari. Le nuove armi date al regime militare

furono però usate soprattutto per reprimere l'opposizione interna290. L'alleanza con gli Stati Uniti

non si dimostrò molto remunerativa per la Somalia: nel 1985 gli aiuti USA per l'assistenza alla

sicurezza avevano un valore di 50 milioni di dollari e nel 1986 salirono a 75 milioni ma erano

molto inferiori rispetto alle richieste di Mogadiscio291. Gli Stati Uniti si trovarono in difficoltà a

sostenere il regime di Siad Barre anche perché riceveva sempre più critiche da associazioni che si

occupavano di diritti umani, come Amnesty International e Africa Watch.

Il regime di Siad Barre dopo la guerra dell'Ogaden

Il problema dei rifugiati

Uno dei maggiori problemi che dovette affrontare il regime di Siad Barre dopo il conflitto

dell'Ogaden fu la questione dei profughi di guerra. Il conflitto, che aveva portato alla morte di

25.000 somali su una popolazione di circa 5 milioni292, era ufficialmente terminato nella primavera

del 1978 con la decisione di Siad Barre di ritirare le truppe regolari dal territorio etiopico, ma il

WSLF continuava la sua azione di guerriglia, che si intensificò soprattuto a partire dal 1979. Il

governo di Addis Abeba diede il via ad una dura campagna di repressione contro la guerriglia

somala nell'Ogaden, attraverso bombardamenti, dispersione di mandrie, avvelenamento di pozzi,

collettivizzazioni forzate, che finì per colpire l'intera popolazione dell'Ogaden, causando un esodo

di profughi verso la Somalia: alla fine del 1979 i rifugiati erano 250.000, ma a metà del 1980 erano

saliti a 1.200.000, di questi solo 700.000 riuscirono a trovare rifugio nei 32 campi profughi in

290 SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 45-48291 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 152-154292 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 137-143

168

territorio somalo293. Molte volte i profughi si trovavano a scontrarsi con le comunità presenti nella

zona e spesso venivano utilizzati dal regime per reprimere l'opposizione interna; questi rifugiati

giunti in Somalia privi di mezzi collaboravano con il regime in operazioni paramilitari contro

l'opposizione, operazioni che spesso si riducevano a violente appropriazioni dei beni delle comunità

locali: il più delle volte era per i rifugiati l'unico modo di sopravvivere.

La costituzione del 1979

Il regime di Siad Barre veniva criticato sia all'interno che a livello internazionale di non dare

alcun segno di apertura politica verso i civili: la fondazione nel 1976 del Partito Socialista

Rivoluzionario Somalo non fece altro che rafforzare il potere di una ristretta cerchia di militari. Il

regime, che si continuava a definire socialista, pur avendo rotto i rapporti con i sovietici, dichiarava

la propria disponibilità a procedere ad una politica di riforme democratiche, ma non compì alcuna

azione concreta in questo senso.

Tra il 20 e il 25 gennaio del 1979 Siad Barre convocò un congresso straordinario del Partito

che avrebbe varato la nascita di una nuova costituzione. La Somalia, dopo il colpo di stato del 1969,

era rimasta senza una costituzione per 10 anni, ora Siad Barre, anche per distogliere l'attenzione

dalla sconfitta nell'Ogaden e dall'incapacità del regime di attuare utili politiche di intervento, decise

di varare una nuova costituzione per creare consensi e per dare l'idea che in Somalia esistesse una

partecipazione popolare. La Costituzione, approvata il 21 ottobre durante il 10° anniversario della

Rivoluzione, era divisa in 114 articoli, lo stesso numero delle sure del Corano (in realtà tale numero

fu una coincidenza ma fu gradito al regime poiché dava alla Costituzione un certo alone di sacralità

e inviolabilità). La Costituzione si presentava come socialista: nell'articolo 1 si dichiarava che la

Repubblica Democratica di Somalia era uno stato socialista, guidato dalla classe lavoratrice e

nell'articolo 14 veniva affermato il principio del centralismo democratico come metodo di

organizzazione del Partito e dello Stato e si sottolineava l'importanza della pianificazione

293 DEL BOCA A., op. cit., pag. 281-286

169

economica. La Costituzione dava inoltre importanza ai diritti individuali, politici, sociali ed

economici dell'individuo (art. 20) e all'indipendenza del potere giudiziario (art. 96)294. Questi

principi costituzionali rimasero una semplice formalità che il regime non rispetterà mai nella

gestione concreta del paese. La Costituzione invece di essere un limite alla concentrazione del

potere nelle mani del presidente finì per legittimare tale sistema, riaffermando un sistema a partito

unico: l'articolo 7 dava al PSRS poteri di direzione politica, economica e sociale e vietava

l'esistenza di altri partiti e associazioni politiche. Nella Costituzione veniva prevista la formazione

di un'Assemblea del Popolo che avrebbe dovuto gestire il potere legislativo, formata da 121 deputati

eletti a suffragio ogni 5 anni e 6 deputati scelti dal presidente; l'azione della Assemblea veniva però

limitata sia dal Capo dello Stato che dal Segretario Generale del Partito, questo perché i candidati

alle elezioni per l'organo legislativo potevano essere solo membri del PSRS295.

La Costituzione venne approvata attraverso referendum popolare con il 99% dei suffragi,

nonostante le denunce che nelle sedi di spoglio ci fossero state intimidazioni da parte di membri del

Servizio di Sicurezza. La Costituzione non portò alcun cambiamento, anche perché il vertice del

potere rimaneva in mano a Siad Barre che era allo stesso tempo Capo di Stato, Comandante delle

Forze Armate, Capo dell'Alta Corte di Giustizia, Capo del Consiglio dei Ministri e Segretario

Generale del PSRS296. Inoltre la Costituzione dava ampi poteri al Capo di Stato nella gestione degli

affari di politica estera, nel dichiarare guerra, nel potere di far dimettere i membri della Suprema

Corte e i ministri del governo senza il consenso di nessun corpo legislativo, giuridico o esecutivo.

Infine nell'articolo 83 della Costituzione il presidente per ragioni di “Sicurezza Nazionale” poteva

dichiarare lo stato di emergenza e sospendere la Costituzione.

Nel gennaio del 1980 venne convocata la prima Assemblea del Popolo guidata da Ismail Ali

Abokor, ex membro del CRS e vice-presidente della Repubblica297. Il 21 ottobre del 1980, però,

294 AXMED ASHIKIR BOOTAAN, “La Costituzione Somala del 1990” in Transplants innovation ad legal tradition in the Horn of Africa, L'Harmattan, 1995, pag. 131-165

295 TORRENZANO A., Somalia, bilancio di un regime, L'Autore Libri, Firenze, 1991, pag. 30-36296 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 149-152297 LAITIN D. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 88-99

170

Siad Barre dichiarò lo stato di emergenza con l'obiettivo di combattere “il banditismo, le rivalità

tribali e la sovversione”298 e questo significava sospendere la Costituzione, sciogliere l'Assemblea

del Popolo e ricostituire il Consiglio Rivoluzionario Supremo (il consiglio militare che era stato

sciolto con la nascita del PSRS nel 1976). Lo stato di emergenza sarà revocato pochi mesi dopo

soprattutto per pressioni provenienti dall'estero.

Il sistema repressivo

La guerra dell'Ogaden aveva fatto perdere molto del consenso verso il regime da parte della

popolazione ma anche all'interno dell'esercito e tra molti membri della classe dirigente: nella

primavera del 1978 vennero condannati a morte un gruppo di ufficiali ad Hargheisa che avevano

criticato il regime sul come aveva gestito la guerra, soprattutto nel non essere riuscito ad

approfittare del successo iniziale299; nello stesso anno un gruppo di ufficiali migiurtini tentò un

colpo di stato. Gli anni ottanta furono caratterizzati dall'aumento dell'opposizione che spesso era

causa e allo stesso tempo conseguenza dell'ampliamento del sistema repressivo del governo.

Il 7 giugno del 1982 vennero arrestati 7 membri del Comitato Centrale del PSRS, uomini che

erano stati tra i protagonisti della Somalia “rivoluzionaria” negli anni settanta: Mohamed Aden

Sheik, ex Ministro dell'Informazione e dell'Educazione, che era stato uno dei maggiori ideologhi

della Somalia Socialista e delle campagne d'alfabetizzazione; Mohamed Yusuf Weirah, ex Ministro

delle Finanze; Osman Mohamed Gelle, ex Sindaco di Mogadiscio ed ex membro del CRS; Ismail

Ali Abokor, vice-presidente della Repubblica e presidente dell'Assemblea del Popolo; Omar Hagi

Mohamed, ex Ministro della Sanità; Omar Arteh Ghaleb, ex Ministro degli Esteri; Warsame Ali

Farah, responsabile della Commissione Esteri del Partito. Furono accusati di alto tradimento, di

essere troppo vicini a Pechino o di eurocomunismo, e arrestati senza processo300. In realtà la

298 DEL BOCA A., op. cit., pag. 281-286299 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 137-143300 LAITIN D. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 88-99

171

motivazione di queste incarcerazione va ricercata nell'opposizione da parte degli arrestati alla

candidatura di Siad Barre a Segretario Generale del Partito. Solo il 2 febbraio del 1988 si tenne il

processo a porte chiuse: la sentenza del tribunale stabilì gli arresti domiciliari per i sei imputati

rimasti (Warsame Ali Farah era morte in carcere nel 1984)301.

Gli arresti contro le opposizioni politiche erano una realtà già diffusa negli anni settanta ma

dopo il conflitto dell'Ogaden bastava un semplice sospetto per venire arrestato e spesso torturato. I

“nemici del socialismo”, così chiamati gli oppositori del regime, non venivano definiti secondo una

dialettica marxista, come nemici di classe, ma a seconda delle occasioni venivano definiti

“parlamentaristi”, “pseudoreligiosi”, “pseudointellettuali”. La crisi seguita alla guerra dell'Ogaden,

la rottura con i sovietici e i tentativi di avvicinamento agli Stati Uniti aveva messo in luce come il

termine “socialismo” in Somalia era diventata una parola vuota, che il regime utilizzava solo a scopi

propagandistici. La fine dell'illusione socialista, che nei primi anni settanta era stata per molti

somali motivo di speranza e unione, portò ad una nuova frantumazione politica e alla rinascita del

clanismo, come era successo con la crisi del sistema democratico e parlamentare a fine anni

sessanta, solo che ora raggiunse dei livelli di violenza mai visti in precedenza302.

Il sistema repressivo veniva coordinato dal Servizio di Sicurezza Nazionale, addestrato negli

anni settanta dal KGB e dai servizi segreti della Germania Democratica. Negli anni ottanta il SSN

accrebbe notevolmente la propria forza e la propria presenza sul territorio. Molto spesso agenti del

SSN e della polizia militare entravano nelle case di presunti oppositori senza un mandato,

picchiavano gli inquilini, violentavano le donne e rubavano gli averi. L'arrestato veniva prelevato e

portato nelle centrali del SSN o della polizia militare dove spesso veniva torturato. Il maggiore di

questi centri si trovava a Mogadiscio e veniva soprannominato il Godka (“buco”) per le sue celle

sotterranee. In questi centri di detenzione temporanea i prigionieri erano tenuti in celle strettissime,

301 DEL BOCA A., op. cit., pag. 291-310302 LAITIN D. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 88-99

172

senza letti, senza servizi igenici e sanitari e con vitto molto scarso. Non erano concesse visite né

assistenza medica. I prigionieri venivano spesso torturati. Altre carceri temporanee per detenuti

politici simili al Godka di Mogadiscio si trovavano ad Hargheisa, Dusa, Mareb e Danane. Anche

nelle carceri normali c'erano sezioni dove venivano detenuti prigionieri politici, come nel carcere di

Larbatan Jirow, vicino a Badoia e nel carcere di Lanata Bur, vicino ad Afgoi. Erano prigioni

costruite negli anni settanta dove erano state progettate delle sezioni speciali per i prigionieri politici

che vivevano separati dagli altri detenuti. Queste sezioni venivano controllate dal SSN ed erano

prigioni di isolamento dove spesso al carcerato non veniva concessa nessuna visita o attività fisica

all'esterno303.

La Costituzione del 1979 non proibiva esplicitamente la tortura anche se all'articolo 27 si

dichiarava che “una persona privata della libertà personale non dovrà essere sottoposta ad alcuna

violenza fisica o morale”. Nella realtà la tortura era una prassi usata dal regime contro gli oppositori

politici. Esistevano vari tipi di tortura: il “Mig”, che prendeva il nome dalle ali dei caccia aeri, dove

il prigioniero veniva posto sul pavimento a faccia in giù, con le mani e i piedi legati assieme

attraverso una corda la quale veniva tirata in modo da far inarcare indietro il corpo e in questa

posizione il prigioniero spesso veniva picchiato fino a perde i sensi; la tortura con l'acqua, dove la

vittima veniva legata e immersa nell'acqua fino quasi ad affogare; le scosse elettriche; lo

schiacciamento dei testicoli con tenaglie; la violenza sessuale, soprattutto se la detenuta era una

donna. Durante i processi del Tribunale per la Sicurezza Nazionale molte delle dichiarazioni delle

vittime sottoposte a tortura venivano poi utilizzate per condannare le stesse vittime o presunti

complici. Naturalmente questo tipo di dichiarazioni non erano affidabili: ad esempio nel processo

tenutosi nel 1988 contro i sei parlamentari arrestati nel giugno del 1982, un ingegniere, Suleiman

Nuh Ali, dichiarò ad Amnesty International, di aver firmato una dichiarazione, della quale non

conosceva nemmeno il contenuto, solo per paura di non essere nuovamente torturato. Molte persone

venivano spesso torturate solo a scopo punitivo, senza poi essere incriminate o processate. Le

303 AMNESTY INTERNATIONAL, op. cit., pag. 32-35

173

torture spesso causavano danni permanenti e in alcuni casi la morte: ad esempio l'ex vice-presidente

della Repubblica Ismail Ali Abokor, arrestato nel 1982, a seguito delle torture gli fu asportato un

testicolo, mentre sua moglie torturata e violentata fu rilasciata con un femore rotto; Tsehai

Neguissie, una donna etiope catturata durante la guerra nell'Ogaden morì in carcere dopo essere

stata torturata e violentata.

I medici Wendall Block, Philip Berger e Donald Payne che lavorarono in Somalia dal 1986 al

1988 presso il Centro Canadese per la ricerca e la prevenzione della tortura, ospitarono nel centro

19 rifugiati che erano stati torturati da agenti del SSN per ragioni politiche. Dichiararono che queste

persone avevano sensi di vertigine, dolori allo stomaco e agli arti, bruciature, ferite, tosse, perdita

della memoria e vari disturbi psicologici. Le testimonianze dei torturati venivano confermate dalle

lacerazioni, le ferite e le bruciature che avevano sul corpo e dai vari problemi mentali.

Oltre alla tortura erano frequenti le condanne a morte dove spesso all'imputato non veniva

concessa la presenza di un avvocato, come ad esempio nel caso di Safia Hashi Madar condannata a

morte nel 1986 senza aver potuto consultarsi con un legale. Il numero delle pene di morte non

veniva reso pubblico dal regime, ma secondo Amnesty International le condanne a morte tra il 1985

e il 1988 furono 2.000. Ci furono molte testimonianze di avvocati che furono intimati a non

difendere clienti per ragioni politiche. Il Tribunale per la Sicurezza Nazionale, che processava i casi

politici, veniva controllato dai militari e non era indipendente dal governo e in molti casi aveva

tenuto processi a porte chiuse, giustificando questa decisione per ragioni di sicurezza. Nella norma

quando i processi erano pubblici veniva vietato l'ingresso ad osservatori internazionali, giornalisti

stranieri o osservatori diplomatici e molto spesso le sentenze non venivano rese pubbliche. In molti

casi i processi erano improvvisati e alcuni imputati venivano chiamati in aula senza conoscerne il

motivo304.

304 AMNESTY INTERNATIONAL, op. cit., pag. 26-28

174

La mediazione con l'Etiopia e l'IGADD

Per tutti i primi anni ottanta perdurarono le tensioni tra Etiopia e Somalia lungo i confini e

nella regione dell'Ogaden. Le azioni di guerriglia del WSLF, con il sostegno di Mogadiscio,

continuarono nonostante la fine del conflitto e spesso venivano seguite da dure repressioni da parte

del regime di Menghistu che andavano a colpire l'intera popolazione della regione, causando la

formazione di un grosso numero di profughi verso la Somalia. Nel 1982 truppe dell'esercito

etiopico, affiancate da truppe del SSDF, entrarono in territorio somalo occupando le località di

confine di Balanbale e Galdogob. Nel 1984, però, i rapporti tra i due paesi andarono migliorando.

All'inizio del 1984 il WSLF annunciò una tregua temporanea a causa della grave siccità che stava

colpendo l'Etiopia e lo stesso Ogaden. La decisione di porre una tregua era dovuta anche ad una

serie di contrasti interni al gruppo guerrigliero, dove un numero crescente di persone accusava Siad

Barre di utilizzare la lotta di autodeterminazione degli ogaden per la propria personale politica

espansionistica, e non accettavano l'utilizzo di truppe del WSLF nella politica repressiva condotta

da Mogadiscio contro la popolazione issaq nel Somaliland. Il WSLF divenne sempre meno

propenso ad unificare l'Ogaden alla Somalia, preferendo la creazione di una regione con grosse

autonomie all'interno di una Etiopia federale.

Intanto il regime di Siad Barre stava seguendo una politica di apertura diplomatica verso alcuni

paesi africani: nel dicembre del 1984 firmò un accordo con il Kenya nel quale Mogadiscio

rinunciava definitivamente alle sue rivendicazioni sui territori kenioti; nello stesso anno il ministro

degli Esteri sudafricano si recò in visita segreta a Mogadiscio e in questa occasione venne firmato

un accordo per la vendita di armi tra i due paesi; nell'aprile del 1985 la Somalia riallacciò le

relazioni con la Libia305 che cessò di sostenere i due maggiori gruppi guerriglieri in Somalia, il

SSDF e il SNM.306.

All'inizio del 1985 la Somalia partecipò ad un incontro tra alcuni ministri degli esteri africani

305 Le relazioni tra i due paesi si erano interrotte nel 1977 per il sostegno dato da Gheddafi all'Etiopia nella guerra dell'Ogaden

306 LAITIN D. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 88-99

175

voluto dalla CEE e dall'ONU. L'incontro portò alla nascita nel 1986 dell'Inter-Governmental

Autority on Drought and Development (IGADD), un'organizzazione con sede a Gibuti che doveva

favorire la cooperazione tra Gibuti, Kenya, Etiopia, Sudan, Uganda e Somalia307. In questa

occasione Siad Barre ebbe l'occasione di discutere con Menghistu per giungere poi ad un primo

accordo, firmato il 4 aprile del 1988 attraverso la mediazione dell'IGADD, che portò alla

normalizzazione delle relazioni tra i due paesi. L'accordo prevedeva il cessate il fuoco, il ritiro degli

eserciti dalle frontiere, il rimpatrio dei profughi, lo scambio dei prigionieri. Siad Barre cessò di

sostenere il WSLF in Ogaden e Menghistu chiuse i campi di addestramento dei gruppi armati di

opposizione del SNM e del SSDF. Questo trattato, se da un lato portò a dei miglioramenti nei

rapporti tra Etiopia e Somalia, dall'altro fu causa di molti problemi per il governo di Mogadiscio,

poiché i gruppi armati che avevano la loro base di appoggio in Etiopia ora si riversarono sulla

Somalia. Inoltre il WSLF, che in passato era sempre stato sostenuto da Mogadiscio, dopo l'accordo

somalo-etiopico passò nelle file dell'opposizione, cambiando il nome in Ogaden National

Liberation Front (ONLF)308.

L'incidente del 1986 e il sistema “familiare-affaristico” degli ultimi anni del regime di Siad Barre

Il 23 maggio del 1986, sulla strada tra Mogadiscio e Afgoi, Siad Barre ebbe un grave incidente

stradale. Fu immediatamente portato in uno ospedale di Riyad e curato, ma l'incidente lo segnò

definitivamente e non fu più in grado di governare. Nonostante questo rimase formalmente fino alla

fine del suo regime l'indiscusso presidente della repubblica, anche se in realtà la gestione effettiva

del governo passò sempre più nelle mani dei membri della sua famiglia, esponenti del clan

Marrehan. Lo stesso vice-presidente Ali Samantar, che era stato l'eterno secondo dal golpe del '69,

venne sempre più isolato nella gestione del potere perché non membro del clan Marrehan309.

307 SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 45-48308 CALCHI NOVATI G., op. cit., pag. 220-227309 DEL BOCA A., op. cit., pag. 310-318

176

Durante la convalescenza di Siad Barre in Arabia Saudita, a Mogadiscio, dove si credeva che il

dittatore non sarebbe riuscito a sopravvivere, era iniziata una lotta per la successione. Secondo la

Costituzione del 1979 il successore di Siad Barre doveva essere il vice-presidente Ali Samantar,

Ministro della Difesa e che godeva di una certa popolarità nell'esercito. Samantar era però mal visto

dai familiari di Siad Barre proprio per la sua non appartenenza al clan Marrehan. La famiglia di

Siad Barre durante gli anni ottanta, messi da parte gli ideali socialisti, era diventata un gruppo

politico, mafioso e affaristico, sempre più interessato a gestire i propri interessi invece di portare

avanti politiche utili al paese. Tra gli esponenti più potenti dell'élite al potere in Somalia trovavamo:

Mohamed Herzi Morgan, capo delle guardie del corpo presidenziale negli anni settanta poi

nominato generale e dal 1986 comandante delle truppe del nord, responsabile della durissima

repressione nel Somaliland, pur non essendo un Marrehan, era diventato uno degli uomini più

potenti del regime per aver sposato una figlia di Siad Barre, Anab; il colonnello Maslah Mohamed

Siad, secondo genito e il più potente dei 22 figli riconosciuti di Siad Barre, pur avendo problemi di

alcolismo, era ai vertici del potere politico e militare oltre ad essere proprietario di una impresa

edile che gestiva gli appalti del Ministero della Difesa; Abdinassir Hagi Mohamed, cognato di Siad

Barre, era comandante dei corazzati di stanza a Mogadiscio, che significava avere il controllo

militare della città; Khadigia, prima moglie di Siad Barre, un'ex infermiera, era consigliere

personale del presidente, vicina a Morgan e al figlio Maslah, pur non avendo un ruolo ufficiale,

aveva notevoli poteri, tanto da crearsi un piccolo servizio segreto personale; Abdurrahman Giama

Barre, soprannominato a causa della sua corporatura Buloq Buloq (che è un otre usato in Somalia

per conservare il latte), fratellastro del Presidente, era poco popolare ma molto potente essendo dal

1975 Ministro degli Esteri, carica usata spesso per gestire i propri interessi

Durante l'assenza di Siad Barre, tra il maggio e il giugno del 1986, Buloq e Maslah, che non

avevano alcuna speranza di venire nominati presidenti perché non facevano parte del comitato

centrale del Partito, tentarono di frenare la candidatura di Samantar a presidente provvisorio,

177

contravvenendo alla costituzione del 1979. Il ritorno di Siad Barre a Mogadiscio il 23 giugno fermò

il tentativo di golpe contro Samantar. Nonostante questo Buloq e Maslah verrano inseriti nel

comitato centrale del Partito, mentre Samantar venne sempre più isolato nella gestione del potere310.

Dall'incidente del 1986 la degenerazione del regime a sistema affaristico familiare ebbe una

accelerazione e si giunse all'inizio degli anni novanta ad una situazione in cui tutte le istituzioni

erano sotto il controllo dei familiari del presidente: Maslah sarà designato capo delle Forze Armate

e vice-presidente; Morgan verrà nominato Ministro della Difesa; il Ministero degli Interni finì nelle

mani di un genero di Siad Barre, Ahmed Suleyman Dafle; le truppe corazzate vennero affidate al

cugino del Presidente, Agné; Buloq Buloq conservò la carica di Ministro degli Esteri; Khadigia

divenne sottosegretario generale alla Presidenza; la guida del gabinetto del Presidente venne

affidata ad Ayale, figlio di seconde nozze del dittatore; al primo figlio di Siad Barre venne affidato

il patrimonio della famiglia; la figlia del presidente, Faduma, guidava l'Ufficio Valute Estere della

Banca Centrale; ad Anab, moglie di Morgan e figlia di Siad Barre, venne data la direzione generale

del Ministro delle Finanze311.

La politica economica nell'ultimo decennio della dittatura

La rottura dei rapporti con i sovietici non portò grossi cambiamenti nelle strutture economiche

della Somalia. L'economia somala rimase dominata dall'intervento del governo e dipendente dal

contributo dei donatori stranieri: l'80% del PIL rimaneva direttamente o indirettamente controllato

dal governo312. La Somalia si trovava in grosse difficoltà economiche, non tanto perché non

giungevano più aiuti da Mosca, ma perché molte risorse del paese furono utilizzate durante la

guerra dell'Ogaden. Tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta, Mogadiscio,

trovandosi in una posizione ambigua a livello internazionale, era alla ricerca di finanziamenti

dall'estero: 30 milioni di dollari in aiuti militari furono dati dall'Egitto, 18 milioni di dollari furono

310 PETRUCCI P., op. cit., pag. 63-72311 PETRUCCI P., op. cit., pag. 111-133312 TOMMASOLI M., Somalia, sanità difficile, Istituto italo-africano, Roma, 1993, pag. 15-22

178

offerti dalla Cina per continuare i progetti sovietici, altri aiuti, soprattuto per riassestare l'industria

della pesca, provenirono dai paesi scandinavi e altri prestiti vennero dai paesi arabi. La Germania

Federale nel 1978 fece una donazione di 25 milioni di marchi per riconoscenza dell'aiuto dato dal

regime di Siad Barre per la liberazione dell'equipaggio di una aereo tedesco dirottato a Mogadiscio.

Sarà solo nel 1980 e con la definizione delle relazioni con Washington che iniziarono a giungere

aiuti dagli USA e da altri paesi occidentali.

Nel 1982 venne emanato il Piano Quinquennale per gli anni 1982-1986, finanziato per l'85%

dall'estero. Il Piano si proponeva tre obiettivi: crescita del benessere per la Somalia e per gli

standard di vita della popolazione; creazione di una società basata sulla giustizia sociale, sulla

libertà individuale e sulla partecipazione popolare allo sviluppo del paese; tutela dell'ambiente. Il

Piano di Sviluppo dava molta importanza al settore agricolo, dove veniva destinato il 30% delle

risorse, con l'obiettivo di raggiungere un'autosufficienza alimentare per poi organizzare una

produzione di cereali per l'esportazione: se nel biennio 1981-1982 la produttività agricola era

cresciuta a seguito di un periodo di piogge eccezionali, negli anni successivi rimase stagnante,

restando una delle produzioni agricole con il più basso tasso di crescita del continente africano. La

stagnazione agricola dipendeva dalla mancanza di capacità tecniche, di insufficienti sistemi di

irrigazione e di macchinari inadeguati ed era inoltre aggravata dall'aumento della popolazione che

aveva un tasso di crescita del 3% annuo313 e un innalzamento del tasso di urbanizzazione che nel

1989 raggiunse il 36%. Un altro problema legato al settore agricolo era lo scarso utilizzo del suolo:

solo il 2% della superficie totale del paese veniva coltivata, mentre il 69% era costituito da pascoli.

Il settore primario rimaneva il ramo dell'economia che impiegava la maggioranza della popolazione

con il 75,6% della forza lavoro314.

Nel settore industriale, nel corso degli anni ottanta, chiusero tutte le imprese statali e fallirono

313 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 149-152314 TOMMASOLI M., op. cit., pag. 15-22

179

gran parte di quelle private non in grado di supportare i costi di rinnovamento: gli impianti finirono

per logorarsi ed essere inutilizzabili. Le industrie agro-alimentari e della pesca fallirono perché

molto spesso mancava la materia prima. La manodopera del settore industriale era mal preparata e

mal pagata e mancavano macchinari e tecnologie adeguate315. Il settore industriale rappresentava

solo il 9% del PIL, mentre la media dei paesi dell'Africa sub-sahariana era del 30%. Lo scarso

sviluppo del settore industriale portava ad un basso consumo energetico: nel 1990 l'energia

importata era solo l'8% del valore delle importazioni, mentre la media dei paesi sub-sahariani era

del 28%. Pur avendo giacimenti minerali come petrolio, uranio, carbone, granito e zinco, la Somalia

non fu mai in grado di sviluppare il settore minerario316.

I due settori che ricevevano più risorse dallo stato erano la pubblica amministrazione e la

difesa, mentre i settori economici e sociali venivano messi in secondo piano.

Distribuzione nei vari settori delle percentuali delle spese ordinarie dello Stato317

settori 1982 1983 1984Pubblica amministrazione

51,2 47,3 45,2

Difesa e sicurezza 30,5 32,6 36,3Servizi sociali 11,7 11,7 10,5Servizi economici 6,7 8,3 8,0

Altri fattori contribuirono alla grave crisi economica della Somalia, come l'alto tasso

d'inflazione che cresceva del 100% annuo. La bilancia dei pagamenti era sbilanciata poiché le

importazioni crescevano, mentre le esportazioni diminuivano: nel 1984 vennero acquistate dal

governo di Mogadiscio 70.000 tonnellate di prodotti alimentari, mentre 230.000 tonnellate furono

date sotto forma di aiuti, nel 1985 vennero comprate 90.000 tonnellate, mentre 270.000 erano gli

315 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 149-152316 TOMMASOLI M., op. cit., pag. 15-22317 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 149-152. L situazione in questo senso non cambiò nella seconda metà degli

anni ottanta: nel 1989 il governo destinava solo il 6% della spesa pubblica ai settori socio-economici, mentre il 69% della spesa andava ai servizi pubblici generali che riguardavano sopratutto la difesa e la sicurezza. TOMMASOLI M., op. cit., pag. 23-42

180

aiuti318. La necessità di importare alimenti dall'estero era motivata dalla stagnazione nella

produzione agricola, soprattutto la produzione di cereali che nelle regioni tra i due fiumi già negli

anni settanta era scesa del 20% provocando un aumento delle importazioni di cereali, tra il 1975 e il

1980, del 8,4% annuo. La rimozione dei controlli governativi sulla vendita dei cereali permise un

raddoppio della produzione tra il 1980 e il 1988.

La situazione alimentare della Somalia, pur rimanendo precaria, si collocava ad un livello

medio-alto rispetto alla media dei paesi dell'Africa sub-sahariana: il consumo di carne e latte, dieta

tipica dei pastori, garantiva un apporto di proteine di 65 grammi al giorno che era superiore rispetto

alla media dei paesi a basso reddito (55 grammi al giorno). Rimaneva però un tasso di mortalità

infantile molto elevato, 215 per mille, e le speranze di vita erano di 47 anni per gli uomini e 50 anni

per le donne: le pessime condizioni igenico-sanitarie erano le maggiori responsabili di una mortalità

così elevata319.

Un grave problema per il commercio con l'estero, che si reggeva soprattutto sulle esportazioni

di capi di bestiame verso il mercato saudita, fu la decisione dell'Arabia Saudita nel 1984 di vietare

per ragioni sanitarie le importazioni di bestiame somalo: se a metà degli anni ottanta l'allevamento

rappresentava il 66% delle esportazioni, a fine decennio rappresentava solo il 38,4%. La crisi del

settore del bestiame era dovuta inoltre al sovrasfruttamento dei pascoli che stavano portando a gravi

problemi di desertificazione.

Oltre all'esportazione del bestiame, un altro prodotto somalo importante ad essere immesso nel

mercato internazionale erano le banane che, alla fine degli anni ottanta, ebbero una crescita

sostanziale passando dal 23,3% delle esportazioni nel 1987 al 40,3% nel 1988. La crescita della

esportazione delle banane era dovuta anche alla decisione nel 1983 di privatizzare la National

Banana Board.

La Somalia continuava a rimanere uno degli stati africani con il più alto flusso di aiuti pro-

318 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 149-152319 TOMMASOLI M., op. cit., pag. 15-22

181

capite, stimato nel 1987 al 35% del PIL (101,6 dollari) e nel 1990 al 45,5% del PIL pro-capite (120

dollari)320. Nel 1985 il debito della Somalia si aggirava attorno all'1,4 billioni di dollari.

Bilancia dei pagamenti (1980-1984)321

1980 1981 1982 1983 1984Esportazioni 133 144 137 100 58Importazioni - 461 - 442 - 484 - 450 - 408Bilancia commerciale

- 328 - 308 - 347 - 350 - 350

Nel febbraio del 1980 fu firmato il primo accordo tra la Somalia e il FMI che segnò l'inizio di

una politica economica di aggiustamento strutturale nel paese. Nel 1981-83 furono iniziati due

programmi di stabilizzazione che prevedevano aggiustamenti nei tassi di cambio, revisioni nelle

politiche fiscali, liberalizzazione del sistema dei prezzi e nella commercializzazione dell'agricoltura.

Questi programmi di aggiustamento non ebbero i risultati sperati anche perché il paese nel 1984 fu

colpito da una crisi finanziaria seguita alla siccità e all'embargo sul bestiame somalo da parte

dell'Arabia Saudita322.

I rapporti tra Mogadiscio e il FMI e la Banca Mondiale non erano sempre d'intesa: nel 1984 i

due istituti finanziari internazionali bocciarono il programma di spesa del governo considerato

troppo dispendioso e nello stesso anno Mogadiscio rifiutò i 183 milioni offerti dal FMI per alleviare

il debito perché proponevano tagli alla spesa militare del 60% oltre ad altri tagli nella spesa

pubblica323.

Nel 1985 il governo rinegoziò un nuovo programma di aggiustamento con il FMI e nel giugno

del 1986 venne concesso un nuovo credito denominato Agricultural Sector Adjustment Program

(ASAP I) del valore di 70 milioni di dollari. Il programma prevedeva una forte svalutazione dello

320 TOMMASOLI M., op. cit., pag. 15-22321 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 149-152322 TOMMASOLI M., op. cit., pag. 23-42323 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 149-152

182

scellino, la concessione di un tasso di cambio fluttuante per la maggior parte delle transazioni non

governative, l'introduzione di un libero mercato per l'acquisto di libera valuta, l'eliminazione delle

restrizioni commerciali, l'aumento dei prezzi al produttore, il controllo della crescita della domanda

con vincoli monetari, un aggiustamento dei tassi di interesse, la riforma del sistema bancario e del

settore para statale. Vennero offerti anche dei fondi per rendere la Camera di Commercio Somala

più indipendente dal governo e venivano chiesti tagli nel personale dell'amministrazione pubblica

dell'80%: nel 1985 vennero licenziati 5.000 dipendenti pubblici, un numero non sufficiente per le

richieste degli istituti internazionali324.

Nel 1987 il FMI consentì un rinegoziamento del debito estero e la Banca Mondiale, assieme ai

paesi donatori del Club di Parigi, definì un Piano di investimento pubblico di 1.223,9 milioni di

dollari che aveva come obbiettivi di far crescere il PIL del 4,7% nel periodo 1987-89 e di contenere

il tasso di inflazione al di sotto del 10% annuo. Il 26% delle risorse di questo programma finivano

nei due progetti della diga di Baardheere e nella strada di Garoe-Bosaso.

Nel settembre del 1987 si stava preparando la definizione del secondo credito ASAP II,

quando si verificò la rottura dei rapporti tra FMI e Somalia per il mancato rispetto delle politiche

dettate dal FMI, soprattuto per quello che riguarda le questioni monetarie: Mogadiscio decise di

rivalutare lo scellino al 37% in termini di valuta locale. Questa rottura porterà molti paesi donatori a

ritirare i propri finanziamenti dal Piano di investimento pubblico. Il 6 maggio del 1988 alla Somalia

fu ufficialmente precluso l'accesso alle risorse del FMI. Il governo somalo, grazie anche al sostegno

dell'Italia, decise di avviare una politica di risanamento per poter nuovamente accedere alle risorse

degli istituti internazionali. La Banca Mondiale decise allora di sbloccare le erogazioni lasciate in

sospeso dell'ASAP I. Nel 1989 la Somalia diede il via a politiche di liberalizzazione dei settori

commerciali e finanziari. Nel giugno del 1989 la Banca Mondiale approvò il credito dell'ASAP II

del valore di 95 milioni di dollari, di questi 83 milioni andavano all'importazione dei beni da parte

di imprese private e pubbliche. Nel 1989 a Washington si tenne una riunione tra i paesi donatori e il

324 SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 132-149

183

FMI (Support Groups) nella quale si espresse riserve sulla capacità della Somalia di attuare

politiche di riforma economica. Con lo scoppio della guerra civile la Banca Mondiale decise di

sospendere l'ASAP II.

A livello istituzionale era il Ministero degli Esteri responsabile dei progetti di sviluppo sia

nella fase negoziale che quella gestionale, senza però avere i mezzi necessari, e molte volte i

ministeri competenti non venivano nemmeno consultati.

Le politiche di aggiustamento strutturale ricevettero una serie di critiche. L'UNICEF, ad

esempio, criticò il FMI e la Banca Centrale di attuare politiche di aggiustamento basandosi solo sui

dati ufficiali, non tenendo conto dell'economia sommersa, data dal commercio illegale e dalle

rimesse dei somali all'estero, che rappresentavano una quota consistente dell'economia del paese.

Inoltre la società somala rimaneva legata al sistema clanico che spesso era un vero e proprio sistema

di assistenza sociale. Secondo il rapporto dell'UNICEF l'impatto delle misure di aggiustamento

dell'ASAP furono minime. Negli anni ottanta aumentarono le sacche di povertà e crescevano i

mutamenti climatici che portarono alla gravissima siccità dei primi anni novanta. Uno dei più

evidenti risultati dell'ASAP fu un aumento dei prezzi dei generi alimentari, acqua, trasporti,

medicinali, del vestiario e dei servizi essenziali, oltre ad un aumento del lavoro femminile e

infantile a causa della riduzione dei tassi di scolarizzazione e della diminuzione dei salari,

soprattuto nel settore pubblico. Altri risultati negativi legati alle politiche di raggiustamento

strutturale furono il declino delle esportazioni dei manufatti del 16,3% negli anni tra il 1979 e il

1986325 e una riduzione del redditto pro-capite del 1,7% annuo a partire dal 1980 e con una drastica

diminuzione a fine decennio, passando dai 290 dollari nel 1987 ai 120 dollari nel 1990. Le

privatizzazioni volute dal FMI e dalla Banca Mondiale finirono inoltre a mettere in crisi il delicato

sistema della gestione delle terre: i terreni migliori finivano nelle mani di speculatori che spesso

erano alti funzionari dell'esercito o del Partito, interessati a coltivare solo prodotti da destinare alle

325 SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 132-149

184

esportazioni, causando spesso un inaridimento del territorio326.

Legate alle politiche di raggiustamento strutturale, ma non solo, furono i dati negativi negli

anni ottanta per quanto riguarda l'educazione, che negli anni settanta aveva visto una certa crescita

proprio grazie alle politiche adottate dal regime di Siad Barre: nel 1990 il tasso di alfabetizzazione

degli adulti era del 24%, al di sotto della media africana; nel 1988 il tasso di scolarizzazione

primaria era del 11% della popolazione in età scolare, mentre il tasso medio dei paesi africani sub-

sahariani era del 47%327.

Gli anni che precedettero la guerra civile furono segnati dal disfacimento dell'economia

ufficiale somala. Nel mercato c'era una vasta gamma di prodotti alimentari, ma l'acquisto era

possibile solo per una ristretta cerchia di persone, mentre l'approvvigionamento di gasolio e benzina

era possibile solo sul mercato parallelo. La Commercial and Savings Bank of Somalia (CSBS) di

proprietà dello stato, la sola banca commerciale del paese, iniziò a fare crediti senza seguire le

normali procedure di controllo che finirono per portare l'istituto alla bancarotta. Ormai tutta

l'economia dello stato era allo sbando soppiantata da canali informali e privati. Nel 1990 il debito

estero era di 2.350 milioni di dollari, pari al 276,9% del PNL, mentre la media dei paesi sub-africani

era del 109,4%. L'alto deficit dello stato era dovuto ad un apparato statale molto vasto ma

inefficiente che faticava nel dare salari adeguati: nel 1989 alcuni impiegati pubblici arrivarono a

guadagnare solo 3 dollari al mese328.

La Somalia, al di là dei dati ufficiali, aveva al proprio interno un'economia sommersa, che si

basava sul mercato nero e sulle rimesse dei somali che vivevano all'estero, e che spesso costituiva

una realtà difficile da quantificare.

I somali che lavoravano all'estero nel 1984 erano circa 180.000 i quali facevano giungere in

326 CALCHI NOVATI G., op. cit., pag. 220-227327 TOMMASOLI M., op. cit., pag. 15-22328 TOMMASOLI M., op. cit., pag. 23-42

185

Somalia rimesse per un valore di 400 milioni di dollari annui, circa 70 dollari pro-capite, che

rappresentava circa il 40% del PIL del paese. Molte di queste rimesse venivano utilizzate per

finanziare i gruppi di opposizione al regime di Siad Barre.

Il contrabbando di bestiame, soprattutto verso il Kenya e la penisola arabica, era un altro

settore che non compariva nelle statistiche ufficiali, ma rappresentava oltre il 10% delle

esportazioni di bestiame, mentre i commerci illegali di pelli, incensi e mirra erano il doppio rispetto

ai commerci che avvenivano nei canali legali329.

Un'altra attività che rientrava in questa economia sommersa, non messa in luce nei dati

ufficiali, era la produzione del qat, una pianta che veniva utilizzata come narcotico e che negli anni

ottanta ebbe un notevole sviluppo. Veniva esportata negli stati vicini, soprattuto Kenya ed Etiopia,

nonostante la vendita fosse vietata330.

Il tentato colpo di Stato del 1978 e la nascita del SSDF

Il regime di Siad Barre il giorno stesso del suo insediamento nell'ottobre del 1969 aveva

inserito tra i punti fondamentali del proprio programma la lotta al tribalismo. Negli anni settanta

una serie di provvedimenti, come il divieto di identificarsi attraverso il clan di appartenenza e,

sopratutto, l'introduzione del somalo come lingua scritta, davano l'idea che gli sforzi del regime

contro il tribalismo stavano portando a risultati concreti. In realtà, fin dall'inizio, l'anti-tribalismo di

Siad Barre nascondeva degli elementi che, invece di eliminare il sistema clanico, finirono per

rafforzarlo e, se negli anni settanta questo non appariva molto evidente, dopo la guerra dell'Ogaden

si manifestò in tutta la sua violenza.

Siad Barre apparteneva al clan darod dei Mareehan, un clan del sud del paese che nella storia

della Somalia e nella tradizione leggendaria somala non aveva avuta una grade influenza politica331.

329 TOMMASOLI M., op. cit., pag. 23-42330 SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 132-149331 Secondo la leggenda lo Sheikh Darod avrebbe punito il figlio Mareehan scacciandolo in una regione circondato da

186

I clan che avevano invece dominato la scena politica, sociale ed economica della Somalia prima del

golpe del 1969 erano gli irir (gli Issaq, nel nord del paese, e gli Hawiye, maggioritari a Mogadiscio)

ma soprattutto il clan darod dei Migiurtini. I Migiurtini vivevano frammentati in un territorio che

andava dalla Migiurtinia, nel nord-est, alla regione di Kisimayo nel sud del paese. Nel periodo pre-

coloniale i maggiori sultanati erano quelli della Migiurtinia, e saranno questi a trattare con gli arabi

swahili. Durante la lotta del Mad Mullah i sultanati migiurtini ebbero un ruolo fondamentale

nell'armare l'esercito derviscio e allo stesso tempo nel trattare con inglesi e italiani per la sua

sconfitta. Molti dei fondatori del nazionalismo somalo e della Somali Youth League erano

migiurtini. Nel periodo parlamentare le maggiori cariche di governo e delle istituzioni erano in

mano ai membri di questo clan. Sebbene i Migiurtini furono i protagonisti del nazionalismo somalo,

che avrebbe dovuto favorire una graduale eliminazione del clanismo, svilupparono nel corso degli

anni l'idea di essere un gruppo dominante, di essere chiamati a guidare il paese grazie alla loro

presunta abilità politica e competenza amministrativa. Siad Barre, cosciente del desiderio egemone

dei Migiurtini, utilizzò spesso la politica anti-clanica in chiave anti-migiurtina. Impedire ad esempio

di definirsi con il clan di appartenenza era un modo per indebolire il senso di superiorità sentito dai

migiurtini. Inoltre Siad Barre cercherà di limitare la presenza di Migiurtini e in misura minore di

Issaq e Hawiye nei posti chiave del regime, favorendo invece i clan darod vicini alla sua famiglia: i

Mareehan, clan paterno, gli Ogaden, clan materno, e i Dalbohanta, che avevano avuto poco peso

nella politica nel periodo parlamentare. Questo sistema di privilegi clanici prese il nome di MOD

dalle iniziali dei clan che venivano favoriti332. “Siad Barre non aveva abolito il tribalismo bensì la

pubblica rappresentazione di esso, l'uso politico dell'identità clanica”333.

La guerra dell'Ogaden, che nella intenzioni del regime avrebbe dovuto rafforzare il senso di

unità nazionale contro il nemico comune, l'Etiopia, finì invece per favorire la frantumazione

nemici. Negli anni sessanta i Mareehan aveva un partito politico, isolato nel sistema di alleanze dei partiti politici del periodo parlamentare. LAITIN D. D., SAID SAMATAR, op. cit., pag. 88-99

332 LAITIN D. D., SAID SAMATAR, op. cit., pag. 88-99333 PETRUCCI P., op. cit., pag. 112

187

clanica. Il conflitto fu visto da molti gruppi somali come un'operazione di soccorso al clan Ogaden,

il clan materno di Siad Barre, ma era inutile per gli interessi nazionali della Somalia. I primi a

criticare apertamente il regime su come la guerra era stata gestita e sul fatto che non venivano

inviati a combattere sul campo i soldati Mareehan, furono proprio degli ufficiali migiurtini.

Nell'aprile del 1978, poche settimane dopo la decisione di Siad Barre di ritirasi dall'Ogaden, un

gruppo di ufficiali di stanza a Baidoa, guidati dai colonnelli migiurtini Mahmud Sheik Osman e

Abdullahi Yusuf Ahmed, mossero verso Mogadiscio con l'intenzione di rovesciare il regime di Siad

Barre. Il piccolo esercito fu però fermato prima di giungere nella capitale e sessanta golpisti furono

arrestati tra cui lo stesso Mahmud Sheik Osman, mentre Abdullahi Yusuf Ahmed, con altri pochi

soldati, riuscì a fuggire e a trovare rifugio in Kenya. Il 26 ottobre 17 dei 60 golpisti arrestati furono

fucilati nella pubblica piazza, mentre agli altri furono date pene pesantissime334. In risposta a questo

colpo di stato di matrice migiurtina Siad Barre tra maggio e giugno del 1979 ordinò una dura

campagna punitiva nella regione di Galcaio, abitata soprattutto da Umar Mahamud, un sub-clan

migiurtino. I Berretti Rossi, aiutati dai Pionieri della Vittoria, iniziarono una campagna di

rastrellamento delle risorse e del bestiame nella zona, negarono l'accesso all'acqua agli abitanti

locali e compirono una serie di violenza contro la popolazione civile335.

Il colonnello Abdullahi Yusuf Amhed, detto “Yey” (“lupo”), riuscito a sfuggire all'arresto

rifugiandosi in Kenya, trovò poi ospitalità ad Addis Abeba dove sarà tra i fondatori del Somali

Salvation Front, che dopo una serie di divergenze interne, spesso represse violentemente dallo

stesso colonnello, venne rinominato Somali Salvation Democratic Front (SSDF). Il SSDF era un

movimento politico a maggioranza migiurtina, nel quale entrarono a far parte anche importanti

uomini politici del periodo parlamentare, come Hassan Ali Mirreh che era stato direttore

dell'Istituto Somalo del Pubblica Amministrazione. Veniva finanziato dalle rimesse dei somali che

vivevano all'estero e trovava l'appoggio dello stesso Menghistu che gli permetteva di mantenere il

334 DEL BOCA A., L'Africa nella coscienza degli italiani, Mondadori, Milano, 2002, pag. 281-286335 SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 48-53

188

proprio quartier generale nella capitale etiopica, oltre ad avere la possibilità di trasmettere messaggi

contro Siad Barre attraverso Radio-Kulmis. Il SSDF non era un semplice gruppo di opposizione

politica, ma aveva anche una struttura militare e fu il primo gruppo armato che iniziò una vera e

propria attività di guerriglia in territorio somalo contro infrastrutture governative336.

L'azione più clamorosa del SSFD fu il suo appoggio nel luglio del 1982 al tentativo di

invasione da parte dell'8^ e dell'11^ divisione dell'esercito etiopico delle regioni somale del Mudug

e dell'Hiran. Non si arrivò ad un nuovo conflitto tra i due paesi, ma l'esercito etiopico mantenne il

controllo nelle località di Balanbale e Galdogob vicine al confine. Nel 1983 ci furono altri attacchi

del SSDF contro postazioni governative, spesso attraverso operazioni congiunte con il Somali

National Movement, il gruppo guerrigliero degli Issaq.

Il SSDF mancava di un vero e proprio programma politico che andasse al di là

dell'abbattimento della dittatura e questo, come sarà per gli altri gruppi di guerriglia che si verranno

a formare nel periodo successivo, sarà un punto di debolezza. Nel gennaio del 1983 fu convocato il

Congresso del SSDF che però fu boicottato da due gruppi che si erano uniti nel SSDF, il Somali

Workes Party e il Somali Democration Liberation Front i cui membri criticavano la leadership del

colonnello Yusuf, accusato di usare metodi anti-democratici simili a quelli di Siad Barre. Abdullahi

Yusuf in risposta a queste critiche fece imprigionare i 30 avversari permettendo di essere

rinominato dal Congresso a capo del nuovo esecutivo del SSDF. Le opposizioni interne al SSDF

continuarono: nel maggio del 1984 negli uffici del SSDF a Dire Dawa furono assassinati due

membri progressisti del Comitato Centrale, oppositori di Abdullahi Yusuf337. Nel 1985 una nuova

scissione all'interno del SSDF portò alla nascita del Somali Patriotic Liberation Front (SPLF) che si

stabilì a Aden338.

Le attività di guerriglia del SSDF interessarono soprattutto i primi anni ottanta, poiché

336 Nel 1976 si era già formato a Nairobi un movimento politico di aperta opposizione a Siad Barre, il Somali Democratic Action Front, formato da intellettuali e ex-burocrati costretti però ad agire in esilio e senza una struttura militare. Il gruppo fu sciolto nel luglio del 1977. AHMED I. SAMATAR, op cit., pag. 137-143

337 SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 132-149 338 LAITIN D. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 88-99

189

nell'ottobre del 1985 il movimento venne disarmato da Menghistu e il colonnello Yusuf venne

arrestato e rimase nelle carceri di Addis Abeba fino alla fine del regime militare in Etiopia nel 1991.

Il SSDF, dopo un periodo di sostanziale inattività nella seconda metà degli anni ottanta, parteciperà

attivamente alla guerra civile dopo la cacciata di Siad Barre da Mogadiscio339.

Il SNM e la guerra civile nell'ex Somaliland

Nell'aprile del 1981 un gruppo di somali residenti a Londra fondò il Somali National

Movement (SNM). I membri di tale movimento erano appartenenti alla famiglia di clan Issaq, il

gruppo dominante nell'ex Somaliland inglese, ed erano soprattuto commercianti, ex funzionari,

intellettuali, religiosi. Come il Somali Salvation Democratic Front, il SNM non aveva una precisa

linea politica e al suo interno erano presenti democratici, socialisti, separatisti, fondamentalisti

islamici. Nonostante questo nel corso degli anni ottanta si dimostrò il gruppo meglio organizzato

nell'opposizione contro il regime di Siad Barre. Nel giugno del 1981 il movimento fondò un

giornale clandestino, il Somali Uncensored, che divenne un forum nel quale le varie anime del

movimento potevano esprimersi. Venne inoltre stilato un programma in 11 punti che indicava gli

obiettivi principali del SNM:

1. riduzione al minimo delle gerarchie e delle burocrazie nell'amministrazione sia regionali che

nazionali per dare la possibilità agli uomini e alle donne di capire e di entrare in relazione

con le istituzioni;

2. favorire l'integrazione tra l'egualitarismo tradizionale somalo e le necessità di un buon

governo centrale;

3. massimizzare i processi di rappresentatività e democratizzazione a tutti i livelli;

4. assicurarsi che l'esercizio del potere politico avvenga nel rispetto di norme costituzionali e

339 PETRUCCI P., op. cit., pag. 111-133

190

attraverso processi democratici;

5. assicurarsi una leadership collettiva a livello regionale e nazionale ed eliminare ogni forma

di dominio clanico o di culto della personalità;

6. assicurarsi la piena responsabilità di politici e burocrati;

7. assicurarsi che sia rispettato il diritto di informazione dei cittadini su ogni aspetto

dell'attività governativa, per evitare fenomeni di nepotismo e corruzione;

8. i servizi civili, militari, di polizia e altre istituzioni statali e regionali devono essere messi

nella condizione di operare come corpi neutrali e nell'interesse nazionale;

9. la libertà di stampa, in accordo con la costituzione e le leggi del paese, deve essere garantita;

10. il sistema di governo dovrà garantire stabilità e favorire i progressi economici, politici,

sociali nazionali;

11. i governi regionali e nazionali dovranno lavorare assieme per migliorare lo sviluppo della

democrazia e dell'economia.

A livello economico il SNM puntava all'auto-sufficienza alimentare, ad un'economia mista, al

miglioramento del servizio pubblico e dava priorità allo sviluppo nel settore della pastorizia e

dell'agricoltura. In politica estera era favorevole alla neutralità rispetto alle due potenze e alla

vicinanza ai paesi arabi e agli altri stati del Terzo Mondo340.

Il programma del SNM inizialmente non aveva tendenze separatiste e sembrava favorire una

via democratica e pacifica contro Siad Barre, ma già a partire dal 1982 l'organizzazione iniziò le

prime operazioni armate, stringendo un'alleanza con il migiurtino SSDF e trovando la disponibilità

da parte del regime di Menghistu ad insediare i propri campi operativi e di addestramento sul

territorio etiopico. All'inizio del 1983 un comando del SNM attaccò la prigione di Mandera,

liberando circa 700 prigionieri, molti dei quali erano detenuti politici, e nel 1984 furono una decina

le basi militari nel nord del paese ad essere attaccate dall'organizzazione.

Il SNM era un movimento che si dichiarava nazionale e sosteneva che la sua lotta era per la

340 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 137-143

191

libertà di tutti i somali, ma in realtà rimase sempre un movimento soprattutto Issaq341. All'interno

del SNM esistevano comunque una serie di divergenze tra una componente civile, che era più

disposta ad un dialogo con il SSDF e a stringere relazioni con l'Arabia Saudita e gli USA, e una

componente militare, più vicina a posizioni non-allineate: il 10 novembre del 1983 si tenne a Jijiga

in Etiopia il Comitato Centrale del SNM dove si decise l'espulsione dal gruppo dirigente della

componente civile. Le ragioni di tale espulsione avevamo motivazioni anche claniche poiché la

componente militare era dominata dal clan issaq degli Habar Yunis, mentre la componente civile

era dominata dal clan issaq degli Habar Awal. Nel congresso del 1984, comunque, venne

riammessa nella leadership la componente civile guidata da Ahmed Mohamed Silanyo, un ex

ministro di Siad Barre defilatosi nel 1982342, mentre l'ala militare era guidata da Abdurahman

Ahmed Ali Tur.

Il SNM, come gli altri movimenti di guerriglia, veniva finanziato soprattuto dal denaro

proveniente dalle comunità issaq nella Penisola Arabica e nella Gran Bretagna, che garantivano

entrate per un valore di circa venti milioni di dollari all'anno. Inoltre il SNM aveva uffici in molti

paesi arabi, nei paesi della CEE e negli Stati Uniti che, oltre a raccogliere finanziamenti, servivano

ad informare l'opinione pubblica internazionale dei crimini commessi dal regime di Siad Barre343.

La crescita della guerriglia nel Somaliland aveva portato il regime di Mogadiscio ad

intensificare le misure repressive, istituendo, a partire dal 1982, lo stato d'assedio militare nella

regione: il controllo effettivo del Somaliland non era più del governatore ma del comandante della

26^ divisione dell'esercito, che tra il 1980 e il 1986 fu il generale Mohamed Hashi Ganni, membro

del clan Mareehan. La stato di emergenza permise al regime di attuare con più disinvoltura una

politica repressiva contro coloro che venivano definiti i nemici interni della repubblica, attraverso

341 Gli Issaq si consideravano nel sistema di parentela somala i più vicini a Maometto. LAITIN D. D., SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 88-99

342 SAID S. SAMANTAR, op. cit., pag. 132- 149343 HUSSEIN ALI DUALEH, op. cit., pag. 125-127

192

l'istituzione di tribunali speciali e l'intensificazione della presenza della polizia militare e dei servizi

di sicurezza. La repressione non era solamente indirizzata a colpire il SNM, ma l'intera popolazione

civile, attraverso rappresaglie, rastrellamenti, interramento e avvelenamento di pozzi. Tutte le

istituzioni pubbliche erano nelle mani di funzionari filo-governativi e anti-issaq. Fu creato un

sistema che si basava sul concetto di “noi”(filo-governativi) in lotta contro “loro” (gli Issaq), che

portò ad una crescita nell'uso della violenza sia da parte dell'esercito che da parte del SNM: per

molti Issaq entrare a far parte del gruppo guerrigliero era un modo per difendersi dalle azioni

violente e indiscriminate del governo344. Con lo stato di emergenza venne istituito il coprifuoco

nelle maggiori città del Somaliland che impediva alla popolazione di uscire liberamente dopo le 5 di

sera345.

Nel 1982, a seguito dell'istituzione dello stato di emergenza, venne creato il Mobile Military

Court (MMC), un tribunale speciale ambulante che fu responsabile di molte esecuzioni sommarie

soprattutto a partire dal 1984, quando il SNM lanciò una controffensiva militare nelle regioni dello

Sheikh e del Buroa. Il quartiergenerale della MMC si trovava ad Hargheisa ed era gestito da militari

con la collaborazione di agenti del SSN. In molti casi le esecuzioni, molte delle quali avevano luogo

in una collinetta a sud-est di Hargheisa, soprannominata Badhka, avvenivano il giorno stesso della

sentenza. Inizialmente questo tribunale cercava i sostenitori del SNM tra i commercianti e le

persone con un certo livello di cultura, ma successivamente qualsiasi persona poteva essere

perseguita e accusata in modo arbitrario e senza alcuna difesa legale.

Il giudice della MMC era il colonnello Yusuf Muse, soprannominato “Dherre”, noto per la sua

crudeltà e la facilità con la quale promulgava sentenze di morte. Yusuf “Dherre”, a causa della sua

impopolarità, nel 1986 venne allontanato dal nuovo comandante delle forze settentrionali, il

generale Morgan. Il suo posto venne preso dal colonnello Abdillahi Debob che però, rifiutandosi di

promulgare esecuzioni illegali, fu sostituito dallo stesso Morgan già alla fine del 1987 e al suo

344 AFRICA WATCH, op. cit., pag. 43-47345 MOHAMED YUSUF HASSAN, Somalia, le radici del futuro, Il Passaggio, Roma, 1993, pag. 29-41

193

posto venne richiamato Yusuf Muse.

L'organo per la sicurezza a livello locale era il Regional Security Council (RSC) che era

formato dal governatore della regione, dal comandante militare, dal direttore regionale del SSN, dal

capo della polizia regionale, dal segretario regionale del Partito, dal comandante regionale dei

Pionieri della Vittoria e dal Direttore della Custodia Somala (un esponente dell'esercito). Il RSC era

gestito soprattutto da militari ed era responsabile della maggioranza degli arresti politici e delle

sentenze di morte e aveva il compito di confiscare i beni e le proprietà delle vittime e degli arrestati.

Molto spesso era il segretario regionale del Partito a presentare al RSC una lista dei sospetti346.

I molti arresti che avvenivano nel nord del paese erano legati spesso a fenomeni di corruzione:

molti degli imprigionati venivano rilasciati solo dopo il pagamento di un riscatto. Questo sistema

divenne una notevole fonte di guadagno per i militari e la centrale di polizia di Hargheisa venne

soprannominata Saylada Dadka (“Mercato della carne”) poiché era diventata un mercato dove si

contrattava la liberazione del detenuto.

A livello economico le regioni settentrionali vennero sfavorite negli anni ottanta. Nel febbraio

del 1982 vennero confiscati nel porto di Berbera, dalle autorità governative, merci per un valore di

300 milioni di scellini (circa 50 milioni di dollari). Nello stesso anno venne introdotto dal governo

un sistema di lettere di credito che causò una serie di problemi e restrizione ai commercianti

settentrionali: le lettere di credito potevano essere aperte solo a Mogadiscio e venivano concesse

pochissime licenze commerciali. Il riso che giungeva a Berbera non poteva essere distribuito dai

commerciati ma veniva razionato da funzionari governativi. Il nord veniva spesso posto in secondo

piano o totalmente ignorato nei piani di sviluppo.

Nel dicembre del 1981 vennero arrestati gli esponenti del “The Hargheisa Group”,

un'organizzazione formata da una trentina tra dottori, ingegnieri, insegnanti, impiegati, economisti

346 AFRICA WATCH, op. cit., pag. 43-47

194

con lo scopo di incoraggiare le attività locali. Gli esponenti di questa organizzazione erano persone

che avevano lavorato a Mogadiscio o all'estero ed erano ritornati nel nord del paese con l'intenzione

di intervenire soprattuto a livello educativo e sanitario per migliorare la situazione del Somaliland.

Tra i maggiori interventi del gruppo di Hargheisa fu quello di raccogliere soldi all'interno della

comunità, aiutati anche da un gruppo di medici tedeschi, per fornire attrezzature all'ospedale di

Hargheisa. L'accusa mossagli dal governo era quella di aver istituito un'organizzazione illegale, il

Ragga U Dhashay Magaaladda (“Uomini nati in città”) e per questo vennero arrestati e torturati.

Il processo contro gli esponenti del Gruppo di Hargheisa, che si svolse nel 1982, venne

accompagnato da una serie di proteste. Il 20 febbraio una manifestazione si trasformò in una vera e

propria rivolta ad Hargheisa e i soldati aprirono il fuoco contro i manifestanti uccidendo 5 persone.

Il 28 febbraio il Tribunale della Sicurezza Nazionale condannò all'ergastolo tre degli imputati e a

pene pesantissime gli altri, mentre solo nove vennero rilasciati. Dopo una serie di campagne

internazionali, nell'aprile del 1989 vennero rilasciati anche gli altri esponenti rimasti in carcere347.

Nell'ottobre del 1984 furono arrestati e torturati ad Hargheisa sette studenti tra i 18 e 20 anni,

sorpresi a distribuire volantini anti-governativi e per questo accusati di appartenere al SNM e

condannati a morte. Il 25 novembre un commando del SNM dirottò un aereo delle linee somale per

chiedere, tra le altre cose, la liberazione dei sette ragazzi: a sei di loro fu commutata la pena ma uno

dei ragazzi, Abdi Danar Abby, fu giustiziato segretamente nel marzo del 1986.

Nel dicembre del 1984 a Burao, dopo un attacco sferrato dal SNM, molte persone, accusate di

sostenere il gruppo guerrigliero, furono arrestate: 43 persone vennero condannate a morte e subito

fucilate. Il 10 marzo del 1988, dopo nuovi attacchi del SNM, furono arrestati e torturati molti civili

e 22 persone vennero fucilate nel giro di pochi giorni348.

Nel Somaliland la politica del regime era sempre più indirizzata ad indebolire la componente

347 AFRICA WATCH, op. cit., pag. 7-41348 AMNESTY INTERNATIONAL, op. cit., pag. 26-28

195

Issaq. Dopo la guerra dell'Ogaden e la siccità a metà degli anni ottanta che colpì duramente

l'Etiopia, circa 120.000 profughi oromo, gari, warwaro e somali giunti in Somalia, vennero

indirizzati nel nord del paese dove in molti furono armati dal regime di Mogadiscio e chiamati a

combattere contro il SNM349. Secondo una serie di testimonianze raccolte da Africa Watch nel

Somaliland, i rifugiati provenienti dall'Ogaden venivano favoriti nelle assunzioni pubbliche, nelle

concessioni di proprietà delle terre, mentre gli issaq venivano discriminati. Gli stessi aiuti

provenienti dall'estero venivano dati ai campi profughi. L'arrivo di centinaia di migliaia di rifugiati

nel nord del paese aveva portato una serie di problemi in una regione già povera di risorse.

Lo stesso gruppo guerrigliero del WSLF, che in teoria doveva combattere per la liberazione

dell'Ogaden dall'Etiopia, fu impiegato dal regime di Mogadiscio contro la popolazione issaq che

viveva lungo il confine del paese etiope. Già nel 1980 dal WSLF, gruppo a maggioranza ogaden, si

era separata la componente issaq e aveva istituito l'Afraad (“Quarta unità”), un gruppo armato che si

troverà in conflitto violento con il WSLF. Il 30 marzo del 1982, un gruppo di anziani issaq inviò a

Siad Barre un memorandum nel quale venivano denunciate le violenze del WSLF contro la

popolazione civile nel Somaliland e il non intervento da parte delle autorità per impedire tali

azioni350.

Nel 1986 il nuovo comandante delle truppe del nord, il generale Morgan, migiurtino ma

genero di Siad Barre, intensificherà la politica di armamento dei clan non-issaq del Somaliland (i

Gadasak, Dolbohanta e Warsangheli) per contrastare le azioni del SNM e colpire la popolazione

issaq. In un documento dello stesso generale Morgan inviato al governo di Mogadiscio viene

sintetizzata la sua politica nel Somaliland: “rendere inabitabili i territori che si trovano tra l'esercito

e il nemico, cosa che potrebbe essere fatta distruggendo i depositi d'acqua e i villaggi che si trovano

nelle zone di infiltrazione del SNM”351.

349 HUSSEIN ALI DUALEH, op. cit., pag. 125-127350 AFRICA WATCH, op. cit., pag. 7-41351 AMNESTY INTERNATIONAL, op. cit., pag. 35-39

196

La politica di terrore nel nord del paese finì per essere improduttiva e favorire le azioni del

SNM che trovavano sempre più sostegno da parte della popolazione civile. Nell'estate del 1988 il

piccolo esercito del SNM, 4.000 uomini, aveva già il controllo del 75% del Somaliland. Il 27

maggio del 1988 il gruppo guerrigliero riuscì ad occupare la città di Burao e il 31 maggio la città di

Hargheisa. In risposta a questi attacchi il governo iniziò una dura repressione contro la popolazione

civile nelle zone non ancora controllate dal SNM (Berbera, Borama, Sheikh e Erigavo) e intensificò

il reclutamento di paramilitari tra i rifugiati provenienti dall'Ogaden. Il SNM, a conoscenza di

queste operazioni di reclutamento, compì una serie di attacchi contro i campi profughi, spesso

colpendo indiscriminatamente i rifugiati indipendentemente dalla loro partecipazione alle

operazioni repressive volute da Mogadiscio352. Il regime di Siad Barre, non avendo più truppe

terrestri a disposizione decise di procedere a pesanti bombardamenti contro le città di Hargheisa e

Burao: morirono circa 3.000 persone. La decisione di bombardare il Somaliland portò, comunque,

diserzioni all'interno delle Forze Armate. Il colonnello Ahmed Mohamed Hassan, ad esempio, si

rifiutò di eseguire gli ordini e dirottò il suo aereo verso il Gibuti. Dopo i bombardamenti il SNM fu

costretto a rifugiarsi nelle campagne dove trovò il sostegno della popolazione, mentre nelle due città

bombardate truppe dell'esercito regolare e membri del Servizio della Sicurezza Nazionale iniziarono

un massacro indiscriminato contro la popolazione issaq: secondo un rapporto del Dipartimento di

Stato americano, redatto da Robert Gersony, furono uccisi in undici mesi circa 5.000 civili353. Nel

Somaliland non si parlava più di misure repressive ma di vera e propria guerra civile: tra

bombardamenti e rappresaglie i morti nel Somaliland nel 1988 furono circa 50.000, mentre 400.000

persone lasciarono il paese dirigendosi verso i campi profughi in Etiopia e nel Gibuti o si

stabilirono all'estero, soprattuto in Gran Bretagna, Canada e Olanda354.

352 AFRICA WATCH, op. cit., pag. 7-12353 DEL BOCA A., op. cit., pag. 310-318354 AFRICA WATCH, op, cit., pag. 7-12

197

La nascita dell'USC

Nel periodo parlamentare gli Hawiye, il clan maggioritario a Mogadiscio, sebbene la

maggioranza delle alte cariche politiche erano in mano ai Migiurtini, avevano comunque esponenti

in alcune delle cariche più importanti del paese: il primo presidente della repubblica somala Adan

Abdullah Osman e il primo capo dell'esercito Daanud erano hawiye355. Durante il regime di Siad

Barre, pur non facendo parte del cosiddetto MOD, l'insieme dei clan vicini al presidente, gli

Hawiye, rispetto ai Migiurtini e agli Issaq, vennero meno discriminati e non subirono lo stesso tipo

di violenze. Molti notabili e commercianti Hawiye prosperarono sotto la dittatura perché la capitale,

dove gli Hawiye erano maggioritari, venne sempre favorita a livello economico e commerciale dal

regime militare, a danno delle regioni settentrionali della Migiurtinia e del Somaliland. Solo a fine

anni ottanta gli Hawiye decisero di costituire un gruppo di opposizione al regime di Siad Barre,

quando ormai nel Somaliland si era giunti ad una situazione di guerra civile e la dittatura si trovava

sempre più isolata a livello internazionale e all'interno del paese: gli Hawiye non volevano trovarsi

impreparati di fronte ad una possibile caduta del regime di Siad Barre. Alcuni membri di questo

clan, nel corso degli anni ottanta, erano già entrati a far parte del SSDF e del SNM , ma la

clanizzazione dei movimenti di opposizione, dove non era tanto una comune appartenenza ad una

ideologia ma una comune appartenenza ad un clan l'elemento di coesione di un gruppo, spinse gli

Hawiye a formare un proprio movimento politico e militare356.

Nel gennaio del 1989 venne creato a Roma l'United Somali Congress (USC), il cui fondatore

fu Ali Wardiglei, ministro nel periodo parlamentare ed esponente del SNM fino al 1987. Ali

Wardiglei voleva creare un movimento politico hawiye di opposizione non armata, nella speranza di

poter giungere ad un miglioramento della situazione attraverso trattative con lo stesso Siad Barre.

Fin dalla sua fondazione, però, parte degli esponenti del USC premevano per creare un'ala militare

del movimento: Ismail Jumale Ossoble, uno dei maggiori esponenti dell'USC, affidò al generale

355 SAID S. SAMATAR, op. cit., pag. 45-48356 PETRUCCI P., op. cit., pag. 111-133

198

Aidid l'incarico di creare un reparto militare all'interno del movimento Hawiye.

Aidid (che in somalo significa “colui che non tollera gli insulti”) negli anni cinquanta fu

addestrato presso la scuola ufficiali in Italia, compagno di accademia di Abdullahi Yusuf; nel

periodo parlamentare aveva ricevuto un addestramento in Unione Sovietica diventando colonnello.

Dopo il colpo di Stato di Siad Barre venne fatto arrestare e, secondo Yusuf che ne fu compagno di

prigione, soffrì di problemi psichici; nel 1976 fu liberato e venne chiamato a combattere nel

conflitto dell'Ogaden dove divenne generale. Siad Barre lo nominerà in seguito consigliere militare,

per poterlo meglio controllare, per poi inviarlo in India come ambasciatore. Nel 1988 Aidid

abbandonò il suo incarico in India, rompendo i rapporti con Siad Barre e iniziando a organizzare

attività clandestine contro il regime.

Il braccio militare dell'USC si stabilì a Mustahil, una cittadina etiopica vicina al confine con la

Somalia. Le divisioni all'interno dell'USC si fecero sempre più evidenti, tra un'ala militare che

ruotava attorno ad Aidid e aveva il suo quartiergenerale in Etiopia e un'ala politica, che aveva la sua

base a Roma, guidata da Ali Mahdi, un ricco uomo d'affari di Mogadiscio, che era stato

parlamentare prima del golpe del '69 ed era uno dei maggiori finanziatori dell'USC. Le due fazioni

non erano divise solo nella scelta tra chi voleva un via negoziale e chi preferiva procedere alla lotta

armata357, ma erano divise anche per ragioni politiche e claniche: Aidid, che aveva seguito

soprattuto tra i membri del suo sub-clan, gli Habar Ghidir, voleva rovesciare Siad Barre e istituire

una Somalia federale, dando ampie autonomie regionali sia a livello politico che economico, per

non concentrare troppo potere e ricchezza a Mogadiscio; Ali Mahdi, membro del sub-clan Abgal,

era invece favorevole ad aprire negoziati con Siad Barre e a mantenere un potere politico

centralizzato, questo perché molti degli esponenti del suo sub-clan si erano arricchiti durante il

regime proprio grazie ad un sistema economico e commerciale che favoriva Mogadiscio. Nel

gennaio del 1990 le divisioni all'interno dell'USC portarono alla creazione di due congressi separati

357 In realtà la divisione tra un'ala politica e una militare cesserà di esistere dopo la caduta di Siad Barre quando entrambe le fazioni dell'USC fecero largo uso della violenza.

199

per eleggere la guida del movimento: uno si svolse a Roma e porterà all'elezione di Ali Mahdi come

capo dell'USC, l'altro si svolse a Mustahil e porterà all'elezione di Aidid358.

La fine del regime di Siad Barre

La nascita dell'USC rappresentava un'ulteriore minaccia per il regime di Siad Barre poiché il

conflitto non era più circoscritto alle sole regioni settentrionali, nel Somaliland e nella Migiurtinia,

ma si estendeva anche alle regioni meridionali, minacciando la stessa capitale.

L'opposizione religiosa, il ruolo dell'Arabia Saudita e l'assassinio del vescovo Colombo

Se nella Somalia di oggi le corti islamiche sono tra i maggiori soggetti politici, a fine anni

ottanta l'opposizione religiosa risultava secondaria e spesso inglobata nell'opposizione di carattere

clanico. C'erano stati comunque già dagli anni settanta dei contrasti tra il regime militare e i capi

religiosi, i wadaas, che avevano visto negativamente le politiche di laicizzazione del paese, come la

scelta di utilizzare l'alfabeto latino per il somalo scritto e l'emancipazione delle donne: nel 1974,

proprio a seguito della decisione di Siad Barre di dare maggiori diritti alle donne ci furono una serie

di proteste da parte dei religiosi, duramente represse dal regime e che portarono all'impiccagione di

10 capi religiosi nel gennaio del 1975359. Nel corso della dittatura furono però pochi gli episodi di

duro contrasto tra il regime e i movimenti religiosi, questo perché tradizionalmente l'Islam in

Somalia aveva avuto un ruolo politico secondario rispetto al sistema clanico e perché Siad Barre, a

differenza di altri leader che si proclamavano marxisti, voleva giungere ad una sintesi tra Islam e

socialismo.

Negli anni ottanta, però, in Somalia, come in altre regioni africane, si venne a sviluppare un

movimento islamista wahabita, che dava alla religione un importante ruolo politico. L'Arabia

Saudita fu la maggiore responsabile della formazione del radicalismo islamico, attraverso

358 MOHAMED YUSUF HASSAN, op. cit., pag. 45-65359 AHMED I. SAMATAR, op. cit., pag. 149-152

200

finanziamenti a moschee e centri studio musulmani e arrivò persino a pagare le donne affinché

indossassero il velo. La stessa decisione dell'Arabia Saudita di porre l'embargo sul bestiame somalo,

da alcuni fu vista come un mezzo per indebolire il “laico” regime di Siad Barre e favorire l'adesione

al fondamentalismo islamico, facendo presa soprattutto su quei somali che si trovavano in difficoltà

economiche. I sauditi, avranno un crescente peso economico in tutta l'area, diventando i maggiori

finanziatori delle strade che collegavano il Kenya alla Somalia. Nel 1981 Riyad istituirà il Gulf

Cooperation Council (GCC), di cui facevano parte il Kwait, il Qatar, gli Emirati Arabi, il Bahrain e

l'Oman, con il compito di isolare la presenza sovietica, agendo soprattuto contro l'Etiopia e lo

Yemen del Sud360. Sarà comunque la guerra civile ad incrementare la diffusione dell'islamismo in

Somalia, con la nascita di gruppi come Al Ittihad al Islamya, e far crescere il ruolo politico delle

stesse corti islamiche.

Nonostante il poco peso politico che le confraternite avevano ancora alla fine degli anni

ottanta, saranno proprio i gruppi religiosi i primi a manifestare apertamente a Mogadiscio contro il

regime militare. Il 9 luglio del 1989 venne assassinato il vescovo di Mogadiscio e responsabile della

Caritas in Somalia Pietro Colombo. Il vescovo aveva vissuto per quarant'anni nel paese africano

impegnandosi nella costruzione di scuole, ambulatori, laboratori di artigianato, acquedotti, oltre ad

offrire assistenza ai profughi provenienti dall'Ogaden. Il regime accusò il fondamentalismo islamico

dell'omicidio del vescovo, cosa improbabile perché Colombo era riconosciuto e stimato dai

musulmani per la sua opera in Somalia. Alcuni testimoni affermarono che ad uccidere il vescovo

italiano furono membri del Servizio di Sicurezza Nazionale, i quali sospettavano che Colombo

avesse dei contatti con l'opposizione e con lo stesso USC. Il 13 luglio furono arrestati sei capi

religiosi accusati dell'omicidio. Il giorno seguente all'arresto, durante la festa islamica dell'Aid-el-

Adha, dalle moschee partì una manifestazione di protesta. La risposta del governo fu durissima:

negli scontri con la polizia morirono 450 persone e 1.000 rimasero ferite, mentre gli arrestati furono

2.000, tra cui Abdulkadir Aden Abdulla, figlio del primo presidente somalo, e Ismail Jumaale

360 MAKINDA S. M., op. cit., pag. 159-166

201

Ossoble, presidente dell'ordine degli avvocati. Il 14 luglio per la prima volta a Mogadiscio la gente

manifestava apertamente in massa contro il regime.

La Costituzione del 1990

Il paese era ormai in piena guerra civile: il SNM controllava ormai buona parte del Somaliland,

assediando le città di Hargheisa, Burao e Berbera; l'USC stava iniziando le sue attività di guerriglia

nella zona centrale della Somalia a maggioranza Hawiye361; nel sud del paese, ai confini con il

Kenya si era formato il Somali Patriotic Front (SPF), un gruppo a maggioranza Ogaden che era

nato a seguito di un ammutinamento delle truppe stanziati a Kisimayo che protestarono contro la

decisione di Siad Barre di far dimettere dal ministero della Difesa e arrestare l'ogaden Aden

Abdullahi Nur; ai confini con l'Etiopia si stava organizzando un nuovo gruppo armato ogaden

guidato dal generale Ahmed Omar Gess, che aveva partecipato attivamente alla repressione del

generale Morgan nel nord del paese, ma in seguito era entrato in conflitto con il regime; nella zona

tra i due fiumi venne fondato il Somali Democratic Movement (SDM), che rappresentava il clan dei

Dighil-Mirifel362.

Siad Barre sempre più isolato sia all'interno che a livello internazionale (dove veniva sostenuto

solo dalla Libia e dall'Italia), l'8 gennaio del 1990 annunciò la decisione di emanare una nuova

costituzione: era un ultimo tentativo per il regime di riacquistare popolarità nel paese. L'iniziativa

venne appoggiata dall'Italia che inviò a Mogadiscio una commissione di costituzionalisti guidati da

Antonio La Pergola. La nuova Costituzione aveva elementi di presidenzialismo e parlamentarismo e

avrebbe dovuto aprire al multi-partitismo. Secondo la costituzione il Presidente veniva eletto a

suffragio universale diretto ed era un centro autonomo e attivo di potere, avendo il compito di

nominare e revocare i ministri, di esercitare il potere esecutivo in modo parallelo al governo, di

revocare la Costituzione e di sciogliere l'Assemblea del Popolo. Oltre a questi poteri, nel caso di

361 DEL BOCA A., op. cit., pag. 318-334362 PETRUCCI P., op. cit., pag. 111-133

202

minaccia per la sicurezza nazionale, il presidente, per approvazione dell'Assemblea del Popolo,

riceveva ulteriori compiti che duravano però solamente sei mesi. Secondo la Costituzione il

maggiore organo esecutivo doveva essere comunque il Consiglio dei Ministri. La nuova

costituzione, pur dando ancora molti poteri al capo di stato, spostava il baricentro del potere verso

l'Assemblea del Popolo. La Costituzione inoltre prevedeva una sorta di pluripartitismo moderato:

l'articolo 8 della Costituzione prevedeva un sistema multi-partitico, anche se vietava la formazione

di partiti di carattere tribale, militare o segreto. Ai partiti che nelle elezioni ottenevano meno del 5%

dei suffragi non veniva concesso di avere i propri rappresentanti nell'Assemblea, questo per evitare

il proliferare dei partiti come era successo nel periodo parlamentare363. Il problema, nel rendere

effettiva questa costituzione, stava nella situazione ormai di guerra civile in cui era caduto il paese e

della poca credibilità del regime militare, dove ormai molti degli esponenti dell'opposizione non

avevano alcuna intenzione di coinvolgerlo nelle trattative per qualsiasi cambiamento.

Il Manifesto n°1

Il 30 maggio del 1990 venne pubblicato a Mogadiscio il Manifesto n°1, un documento nel

quale si criticava apertamente l'operato di Siad Barre e si chiedeva la convocazione di una

assemblea di riconciliazione nazionale. Il manifesto venne firmato da 114 persone, soprattutto

intellettuali e uomini politici del periodo parlamentare. Il 2 giugno i 114 firmatari vennero invitati

dall'ambasciatore Sica alla festa per la Repubblica italiana, ma gli agenti del SSN impedirono ai

firmatari di andare all'ambasciata italiana. Il 10 giugno del 1990 la polizia segreta arrestò 46

firmatari del Manifesto, tra cui l'ottantenne primo presidente della Repubblica della Somalia, Aden

Abdulla Osman. Il 15 luglio, sotto pressione dell'Italia, i firmatari del Manifesto furono rilasciati e

vennero addirittura invitati da Siad Barre a Villa Somalia per discutere su una possibile

democratizzazione del paese364: l'applicazione della nuova costituzione democratica, l'istituzione di

363 AXMED ASHKIR BOOTAAN, op. cit., pag. 131-165364 PETRUCCI P., op. cit., pag. 134-144

203

una commissione per creare una legge elettorale e nuovi partiti, una commissione per la

riconciliazione nazionale e libere elezioni entro il 1° febbraio 1991365. Il Manifesto era comunque

una delle componenti più moderate dell'opposizione, che rifiutava la lotta armata e sosteneva che

Siad Barre avrebbe dovuto mantenere la sua carica di presidente fino alla fine del mandato nel 1993

e che in questo periodo avrebbe dovuto guidare la transizione del paese verso un sistema

democratico con la collaborazione di tutte le altre forze politiche. Tale ipotesi era insostenibile,

perché ormai Siad Barre era per la maggioranza della popolazione inaffidabile e aveva perso

qualsiasi credibilità. L'autorità del Manifesto come forza politica di opposizione era limitata dalla

composizione dei suoi firmatari, che spesso erano vecchi uomini politici del regime parlamentare,

periodo caratterizzato da una elevata corruzione, e spesso non conosciuti dalle generazioni più

giovani, che credevano sempre di più nella lotta armata366.

Ormai il regime, non essendo più in grado di controllare il paese e vista la crescente

opposizione, iniziò a procedere ad una politica repressiva indiscriminata e paranoica con gravissimi

episodi di violenza: il 6 luglio durante una partita di calcio allo stadio di Mogadiscio, alla quale era

presente il presidente Siad Barre, il tentativo di arrestare un ragazzo si trasformò in una carneficina,

poiché la polizia e la guardie personali del presidente iniziarono a sparare sulla folla, uccidendo

circa 150 persone

Il clima di violenza in Somalia non risparmiava gli stranieri: il 18 giugno venne trovato morto

il biologo italiano Giuseppe Salvo, il 28 dello stesso mese venne ucciso Richer Bernand, tecnico

della Lufthansa, e la sua compagna venne violentata, il 10 luglio venne ucciso da una banda armata

il caporale dei marines Bernard McLeish367.

Il 28 giugno 1990 giunse a Mogadiscio la salma di Ismail Jumaale Ossoble: presidente

dell'ordine degli avvocati somali che nel periodo parlamentare aveva fondato La Tribuna, un

365 SICA M., Operazione Somalia, Marsilio, Venezia, 1994, pag. 79-89366 MOHAMED YUSUF HASSAN, op. cit., pag. 45-65367 DEL BOCA A., op. cit., pag. 318-334

204

giornale di sinistra e nel 1969, poco tempo prima del golpe militare, era stato nominato Ministro

dell'Informazione; era stato arrestato dal regime militare e rilasciato nel 1972; nel 1974 aveva

iniziato la sua attività di avvocato difensore di imputati politici; alla fine degli anni ottanta aveva

collaborato con Amnesty International, riuscendo, nel giugno del 1989, ad istituire una

commissione d'inchiesta sui crimini commessi dal regime; il 13 luglio del 1989 venne arrestato

dalla polizia segreta per i suoi contatti con l'USC, per poi essere rilasciato alla fine del 1989; nel

maggio del 1990 era stato tra i firmatari del Manifesto; il 22 luglio del 1990 morì di infarto in un

ospedale di Roma. Ai funerali di Ismail Jumaale partecipò mezzo milione di persone, una folla di

tali proporzioni non si era mai vista a Mogadiscio, sintomo che ormai l'opposizione al regime era

ben radicata nella popolazione anche della capitale368.

La fuga di Siad Barre da Mogadiscio

Mentre a Mogadiscio il malcontento verso il regime si faceva sempre più evidente, i gruppi

armati si stavano preparando ad attaccare la capitale. A fine maggio del 1990 le truppe del USC

avevano abbandonato le loro postazioni in Etiopia ed erano rapidamente avanzate verso la capitale,

giungendo a fine agosto a cento chilometri da Mogadiscio. L'USC pur non avendo ancora un grosso

numero di miliziani era fornito di armamenti pesanti e poté avanzare facilmente nella Somalia

centrale grazie al sostegno della popolazione hawiye, maggioritaria nella regione.

A Mogadiscio Siad Barre cercò di migliorare la situazione prendendo una serie di

provvedimenti: sollevò dall'incarico di primo ministro Ali Samantar che, seppure era ben visto dalle

forze armate, era odiato dall'opposizione per la sua intransigenza. A capo del governo venne

insediato Mohamed Hawadleh Madar, un Issaq. Nell'ottobre 1990 Siad Barre sciolse i tribunali

speciali, rese operante la nuova costituzione e lasciò la guida del Partito; esonerò poi dall'incarico di

comandante delle Forze Armate il figlio Maslah, poco popolare e accusato di essere implicato

nell'omicidio del biologo Salvo. Si trattava però di provvedimenti simbolici che non cambiavano la

368 PETRUCCI P., op. cit., pag. 134-144

205

situazione369.

L'ambasciatore italiano Mario Sica e il Ministro di Stato egiziano Boutros Ghali proposero di

di istituire una conferenza per la riconciliazione nazionale da tenersi al Cairo l'11 dicembre del

1990, nella quale avrebbero dovuto partecipare membri del governo e dei maggiori gruppi di

opposizione: il Manifesto, l'USC, il SNM, il SSDF, il SPM. La conferenza venne però disdetta

perché sopraggiunse all'ambasciatore italiano a Londra un documento firmato da Ali Tur (SNM),

Gess (SPM) e Aidid (USC), nel quale i capi delle fazioni armate dei movimenti di opposizione, che

ormai controllavano il 90% del paese, dichiaravano di rifiutare qualsiasi trattativa con Siad Barre370.

Inoltre il 2 ottobre i tre leader si erano incontrati segretamente a Dire Dawa, in Etiopia, per trovare

dei punti d'accordo sul futuro della Somalia, soprattuto per quel che riguarda le autonomie

regionali. All'incontro di Dire Dawa i leader guerriglieri ribadirono di rifiutare ogni compromesso

con Siad Barre e la mediazione di Italia ed Egitto, considerati i maggiori sostenitori della dittatura

di Mogadiscio. A questo incontro segreto partecipò lo stesso Menghistu, interessato a sostenere i

gruppi di opposizione per poi, una volta caduto Siad Barre, poter avanzare pretese sulla Somalia. Il

regime di Menghistu fu però rovesciato pochi mesi dopo la caduta del dittatore somalo, nel maggio

del 1991371.

Nella capitale la situazione andava aggravandosi anche per l'incapacità del ristretto gruppo

vicino a Siad Barre di gestire la situazione. Il 17 novembre venne sostituito dalla carica di ministro

della Difesa il figlio di Siad Barre, Maslah, responsabile di azioni imbarazzanti anche per lo stesso

regime: l'8 agosto ad esempio aveva istituito dei posti di blocco in tutta la capitale requisendo

fuoristrada al personale delle ambasciate, della Croce Rossa e di altre organizzazioni di

cooperazione, per farli utilizzare all'esercito. Il Ministero della Difesa fu affidato al generale

Morgan che arruolò nell'esercito il sub-clan dei Galgal, i cui esponenti erano molto spesso sfruttati

369 DEL BOCA A., op. cit., pag. 357-379370 SICA M., op. cit., pag. 79-89371 PETRUCCI P., op. cit., pag. 134-144

206

dai i ricchi commercianti abgal (il clan di Ali Mahdi) e iniziò una politica di rapina e massacri

indiscriminati nei quartieri abgal. Il 3 dicembre il regime varò un decreto legge antiterrorismo che

aggravava la pena per reati come saccheggio e devastazione e dava ulteriori poteri alla polizia e

all'esercito, contraddicendo la costituzione appena varata372.

Il 26 dicembre del 1990 le milizie del USC entrarono nella capitale occupandone i quartieri

settentrionali. Il 30 dicembre iniziarono scontri violentissimi tra le truppe dell'USC e i Berretti

Rossi del presidente nel quartiere Tokyo. Tra il 30 dicembre e il 26 gennaio il conflitto a

Mogadiscio fu molto cruento ma fu difficile ricostruirne le fasi, a causa delle scarse informazione

che arrivavano, poiché gran parte degli stranieri presenti in Somalia lasciarono il paese: tra il 5 e il 9

gennaio vennero fatti evacuare i 320 italiani (il gruppo più numeroso degli stranieri) ancora presenti

nella capitale e rimase solo un piccolo numero di funzionari dell'ambasciata tra cui l'ambasciatore

Mario Sica. L'8 gennaio Sica propose un accordo tra le parti in lotta, ma fece l'errore di coinvolgere

ancora una volta Siad Barre: un nuovo documento firmato dai leader dell'opposizione a Londra

accusava l'Italia di sostenere Siad Barre e di avere atteggiamenti neocolonialisti e sollecitavano gli

italiani di andarsene definitivamente da Mogadiscio373: il 12 gennaio venne chiusa l'ambasciata

italiana374.

La durissima guerra civile tra gruppi di opposizione e truppe governative portò alla distruzione

della città e alla morte di molte persone, i cui cadaveri spesso non venivano seppelliti. Venivano

rubate macchine, rapinate le persone ed effettuati continui sabotaggi da parte dei membri dell'USC.

Intanto i Berretti Rossi del presidente davano il via ad esecuzioni di massa e rappresaglie. In questa

situazione di caos non sempre i fronti erano ben definiti, molte persone approfittavano della

situazione per scopi personali. Da molti la battaglia di Mogadiscio venne soprannominata la “rivolta

372 SICA M., op. cit., pag. 91-103373 Mario Sica aveva proposto di inviare 100 carabinieri per difendere l'ambasciata a Mogadiscio, proposta rifiutata

dallo stesso governo italiano.374 DEL BOCA A., op. cit., pag. 357-379

207

dei lustrascarpe”, poiché i miliziani erano spesso dei ragazzini poveri che erano stati armati,

soprattuto dall'USC, contro Siad Barre.

In breve tempo il presidente, che aveva sottovalutato il problema, verrà assediato a Villa

Somalia: il 6 gennaio l'USC aveva preso ormai il controllo della capitale. Già in questa fase, però,

si manifestarono le prime spaccature all'interno dell'USC, tra le truppe di Aidid, che stazionavano

alla periferia della capitale, e i ricchi commercianti Hawiye, che controllavano il centro della città e

che facevano capo ad Ali Mahdi. Quest'ultimo assieme a Hussein Hagi Bod e Mohamed Frah Siyad

decise di costituire un comitato di emergenza per evitare che la guerra civile si estendesse

ulteriormente, mostrando persino disponibilità a trattare con Siad Barre, asserragliato a Villa

Somalia e a cui restava solo il controllo dell'aeroporto, del porto e di Radio Mogadiscio. L'intento

del gruppo di Ali Mahdi era quello di evitare che Aidid, sempre più popolare tra i giovani,

prendesse il controllo della città. I ricchi commercianti di Mogadiscio non erano del tutto ostili a

Siad Barre, questo perché molti di loro si erano arricchiti grazie al sistema centralizzato creato dal

regime, che favoriva le transizioni finanziarie ed economiche verso la capitale: l'idea di creare un

sistema federale, come era stato ipotizzato da Aidid, preoccupava molti degli esponenti del gruppo

di Ali Mahdi. Siad Barre consapevole delle preoccupazione degli uomini di affari di Mogadiscio

decise con questi di istituire il 13 gennaio il Comitato Suluh (“pacificazione”), formato da 100

persone, tra cui lo stesso Ali Mahdi e Hagi Bod. Le persone che formavano questo comitato erano

però mal viste da buona parte della popolazione e non riuscirono a raggiungere risultati concreti,

soprattutto perché Aidid si rifiutò di partecipare alle trattative e ignorava il cessate il fuoco richiesto

dal Comitato.

Il 19 gennaio giunse a Mogadiscio Aidid, visto, soprattuto dalla popolazione delle periferie e

dalla gente proveniente dalla boscaglia, il liberatore, colui che non avrebbe accettato alcun

compromesso con il regime. Dopo pochi giorni Siad Barre nominò un nuovo primo ministro, Omar

Arte Ghalib dandogli il compito di formare un nuovo governo: l'obiettivo del dittatore era quello di

208

abdicare per lasciare il potere in modo onorevole senza dover abbandonare Mogadiscio o essere

imprigionato. La decisione di Siad Barre venne accettata dal Comitato del Suluh, ma rifiutata da

Aidid che considera il dittatore come un nemico che aveva perso la guerra. Aidid, che ormai

controllava la maggioranza degli uomini in armi, decise invece di far arrestare il nuovo primo

ministro Ghalib. Il 25 gennaio il generale attaccò Villa Somalia, presa il giorno successivo, dopo un

conflitto che portò alla morte di circa 300 persone. Intanto Siad Barre era riuscito a fuggire da

Mogadiscio dirigendosi verso il Kenya375. Si concludeva così una dittatura durata 22 anni, lasciando

il paese nella guerra civile, o meglio in varie guerre civili, che ancora oggi non hanno trovato

soluzione.

La prima fase della guerra civile

Il 28 gennaio, pochi giorni dopo la fuga di Siad Barre dalla capitale, Radio Mogadiscio

(controllata dalle fazioni di Ali Mahdi che impedivano ad Aidid di accedere al mezzo) annunciò che

il comitato dell'USC aveva nominato Ali Mahdi presidente provvisorio della Repubblica somala. La

nomina di Ali Mahdi venne però rifiutata sia dal SNM e dal SPM che dalla fazione dell'USC

guidata da Aidid, il quale si considerava il vero liberatore di Mogadiscio e voleva che il nuovo

governo non fosse rappresentato solo da uomini dell'USC. Il 3 febbraio Ali Mahdi nominerà un

nuovo governo guidato da Omar Arteh Ghaleb (lo stesso primo ministro scelto da Siad Barre prima

della sua fuga), un governo che però non aveva alcuna legittimazione al di fuori del gruppo

dell'USC guidato da Ali Mahdi, e per questo non fu in grado di portare stabilità e pace nel paese. A

Mogadiscio iniziarono violenti scontri all'interno dei movimenti che avevano portato alla caduta di

Siad Barre, sia tra USC e SPM, ma anche tra le due fazioni dell'USC.

Intanto Siad Barre, venuto a conoscenza della situazione critica che si era venuta a creare nella

capitale, decise di non procedere verso il Kenya, ma di fermarsi nella regione del Bai, nel sud della

Somalia, e di stabilire il suo quartiergenerale a Garbaharey, suo paese natale. L'ex dittatore voleva

375 MOHAMED YUSUF HASSAN, op. cit., pag. 67-77

209

avanzare verso Mogadiscio per proclamarsi nuovamente presidente e porsi come pacificatore tra le

fazioni in lotta376.

A Mogadiscio la situazione andava peggiorando e lo scontro prese sempre di più le

caratteristiche di un conflitto clanico. Quando si parla di un ritorno della Somalia dei clan non

bisogna pensare ad un ritorno delle Somalia al periodo pre-coloniale, poiché il clima di

conflittualità clanica che si raggiunse a inizio anni novanta non aveva precedenti nella storia della

Somalia. I gruppi armati, seppure si definivano di liberazione nazionale, si identificavano sempre

più con determinati clan e sub-clan, per la mancanza di un progetto politico e perché il ricamarsi ad

una tradizione atavica dava un alone di sacralità nei rapporti che si instauravano all'interno dei vari

gruppi. Il richiamarsi ad una tradizione da parte dei gruppi armati finiva per “semplificare” le

ragioni del conflitto: per trovare adesione da parte della popolazione non servivano grossi sofismi

politici o ideologici, ma bastava rifarsi ad un senso di appartenenza “familiare” che risultava

immediato a gran parte della popolazione. In questo sistema clanico spesso la crescita della violenza

finiva per auto-alimentarsi: “la militarizzazione diventava un mezzo necessario per fronteggiare la

stessa militarizzazione”377. Arruolarsi in una delle parti in lotta non era necessario solo per garantire

la sopravvivenza del gruppo, ma diventava necessario anche per garantire la sopravvivenza

individuale. Nel romanzo Legami di Nuruddin Farah, ambientato nella Mogadiscio della guerra

civile, uno dei personaggi spiega che in somalo la guerra civile si definisce con il termine dagaalka

sokeeye, che può essere tradotto come “fare le guerra ad un intimo” e aggiunge:“Alcuni

appartengono alla generazione dell'io altri alla generazione del noi (...) i membri del clan che

vengono dalla provincia celebrano l'idea del noi, credendo nel clan e non conoscendo nient'altro. Io

vengo incluso nel loro egoistico noi. Ciò che rimane è una rivendicazione dell'io sotto le spoglie del

noi! E quando i rapporti diventano così conflittuali, e dipendono dalle ambizioni personali, i ricordi

376 DEL BOCA A., op. cit., pag. 357-379377 ERCOLESSI M. C., FANCIULLACCI D., Corno d'Africa: conflitti, tendenze, cooperazione, CESPI, 1993, pag. 7-

19

210

inventati dell'io vengono proiettati su un noi immaginario”378.

Gli Hawiye, che avevano preso il controllo della città iniziarono una dura campagna contro i

Darod accusati di aver sostenuto il regime di Siad Barre in tutti gli anni della dittatura. In realtà

molti gruppi darod, come i Migiurtini del SSDF e gli Ogaden del SPM, da anni stavano

combattendo il regime di Siad Barre. Le conseguenze di questa politica furono pesantissime: circa

70 mila Darod furono costretti ad abbandonare la capitale e dirigersi verso le regioni meridionali del

paese spesso unendosi con i gruppi darod che erano rimasti fedeli a Siad Barre. Venne creato il

Somali National Front (SNF), una coalizione, fino a qualche mese prima impensabile, tra le

componenti darod (migiurtini, ogaden, marrehan), che stabilì il suo quartiergenerale a Kisimayo, e

che annoverava tra i suoi capi il generale Morgan. Il SNF tra febbraio e marzo iniziò ad avanzare

verso Mogadiscio, ma furono fermati ad Afgoi dall'USC che aveva ritrovato una certa unità nella

lotta contro i darod. Il 23 aprile l'USC, dopo aver sconfitto le truppe del SNF, avanzò verso le

regioni meridionali, mettendo sotto assedio la città di Kisimayo. Questo attacco portò molti darod a

migrare verso il Kenya. La sconfitta del SNF portò allo scioglimento del gruppo stesso con

l'abbandono del SSDF e del SPM, guidato da Gess, ora deciso ad allearsi con Aidid. Siad Barre

intanto si era rifugiato a Bardhubo.

Dopo la campagna del USC nelle regioni meridionali, nel paese sembrava essere ritornata una

certa tranquillità. L'Italia decise di riaprire l'ambasciata a Mogadiscio e propose una nuova

conferenza di riconciliazione nazionale da tenersi al Cairo.

Il 17 maggio del 1991 nel nord del paese, dopo un incontro tra i vari clan issaq a Burao, Radio

Hargheisa annunciò l'indipendenza del Somaliland e due giorni dopo venne eletto alla guida del

governo del nuovo stato indipendente Abdirahman Ahmed Ali Tur, il capo del SNM.

L'indipendenza del Somaliland non venne però accettata da tutti gli esponenti del SNM. Nicolino

378 FARAH NURUDDIN, Legami, Frassinelli, N.S.M. di Cles (TN), 2005, pag. 153-155

211

Mohamed, ad esempio, in opposizione a questa decisione, ritenne di abbandonare il Comitato

Centrale del movimenti issaq. Il Somaliland indipendente non verrà riconosciuto nemmeno a livello

internazionale, sebbene si dimostrerà negli anni uno stato capace di garantire la pace ed una certa

stabilità sia a livello politico che economico, a differenza del sud della Somalia e di Mogadiscio in

particolare.

La conferenza di Gibuti

L'11 giugno, per iniziativa del presidente del Gibuti, Hassan Gouled, si aprì nell'ex protettorato

francese la prima conferenza di riconciliazione nazionale somala. Alla conferenza parteciparono i

maggiori gruppi politici e militari, ognuno dei quali rappresentava una componente clanica: l'USC

(Hawiye), SDM (Dighil-Mirifle), SPM (Ogaden) e SSDF (Migiurtini), ma era assente il SNM che

ormai non si considerava più un elemento della Somalia. La conferenza di Gibuti redasse un

documento unitario che prevedeva: l'allontanamento di Siad Barre dal territorio somalo; il cessate il

fuoco in tutto il paese; il ripristino dell'unità nazionale; la convocazione di una nuova conferenza

che avrebbe dovuto nominare un capo di stato e un governo provvisorio di unità nazionale.

Il 15 luglio si aprì la seconda conferenza di Gibuti, che vide ancora una volta la pesante

assenza del SNM. A questa conferenza parteciparono anche rappresentati di altri paesi come i

presidenti del Kenya, Daniel Arap Moi, e dell'Uganda, Miseveni, membri dell'OUA, della Lega

Araba, della CEE e dell'IGADD. L'Italia mandò come suo rappresentante Mario Raffaeli, che aveva

già operato nel processo di rappacificazione in Mozambico. Il 21 luglio venne redatto dalla

conferenza un nuovo documento unitario che prevedeva:

1. la preparazione di una offensiva congiunta tra i vari movimenti per catturare Siad Barre per

poi processarlo in un tribunale;

2. un cessate il fuoco in tutto il paese entro il 26 luglio;

3. ripristino provvisorio della Costituzione del 1960 con alcune modifiche per quello che

212

riguarda l'autonomia regionale e l'appartenenza alla Lega Araba;

4. la nomina provvisoria di un nuovo capo dello stato (venne chiamato nuovamente Ali Mahdi)

che avrebbe dovuto nominare un governo provvisorio spartendo le cariche tra i vari gruppi

partecipanti la conferenza;

5. il nuovo governo provvisorio avrebbe dovuto rispettare i diritti umani, impegnarsi per

ritrovare l'unificazione nazionale e preparare il paese al libere elezioni;

6. costituire una commissione d'inchiesta sulla guerra civile.

La Conferenza di Gibuti si rilevò fallimentare. Nel sud del paese gli scontri tra Darod e

Hawiye ripresero con maggiore intensità a conferenza non ancora finita. Paradossalmente solo nel

nord del paese, non rappresentato dalla conferenza, si stava attuando un effettivo processo di

pacificazione. L'insuccesso dell Conferenza dipendeva dal fatto che le varie componenti erano state

mal rappresentate: i rappresentanti del SSDF, Musse Islan Farah, e del SPM, Omar Mohallim

Mahmud, erano personaggi isolati all'interno dei loro gruppi che dicevano di rappresentare; Aidid,

che era l'esponente di maggiore spicco dell'USC, venne escluso dalla conferenza.

La Somalia era profondamente divisa e la Conferenza di Gibuti non fece altro che

incrementare lo scontro. Le stesse regioni meridionali erano divise tra la zona di Mogadiscio, a

maggioranza Hawiye e la zona di Kisimayo, a maggioranza darod, dove venne istituita una giunta

militare, senza avere però nessun contatto con Siad Barre. Le divisioni riguardavano anche

Mogadiscio tra la fazione dell'USC guidata da Ali Mahdi dominata dal sub-clan degli Haber Ghidir

e quella guidata da Aidid, dominata dal sub-clan degli Abgal. Lo scontro tra le due fazioni

raggiunse i culmine nel settembre del 1991: morirono 300 persone e ci furono 700 feriti. In questi

scontri persero la vita anche tre membri dell'ONU, che ormai era decisa a ritirarsi dalla Somalia379.

379 DEL BOCA A., op. cit., pag. 357-379

213

Capitolo VIILa politica italiana in Somalia dalla guerra dell'Ogaden alla fine del regime di Said Barre

L' “accordo sulla cooperazione tecnica” e il primo Piano Triennale (1981-1983)

Il colpo di stato del 1969 aveva interrotto il rapporto privilegiato dell'Italia con la Somalia per

la decisione di Siad Barre di dare un indirizzo socialista al suo governo e in seguito di allearsi con

l'Unione Sovietica. Negli anni settanta sarà il PCI, fornendo assistenza tecnica e finanziaria

attraverso la Lega delle cooperative, il maggiore interlocutore italiano della Somalia. La guerra

dell'Ogaden e la decisione di Siad Barre di interrompere il Trattato di Amicizia e Collaborazione

con i sovietici spinsero il PCI ad interrompere i rapporti con Mogadiscio, preferendo schierarsi,

secondo la linea politica di Mosca, con l'Etiopia di Menghistu. La nuova situazione fu invece vista

favorevolmente dalla Democrazia Cristiana che si impegnerà a fare uscire la Somalia dalla

situazione di ambiguità diplomatica in cui si trovava a fine anni settanta, cercando di spingere il

paese ad allearsi definitivamente con i paesi occidentali. Fino ai primi anni ottanta comunque gli

aiuti effettivi dell'Italia alla Somalia non furono considerevoli. Le cose iniziarono a cambiare in

Italia nel 1979 con la legge n° 38, che riformava il sistema della cooperazione italiana verso il

Terzo Mondo dando molti più fondi e maggiore autonomia di spesa al Dipartimento per la

Cooperazione e lo Sviluppo. L'introduzione di questa nuova legge porterà ben presto a dei risultati

concreti: il 5 agosto del 1981 il Ministro degli Esteri Emilio Colombo firmò a Mogadiscio

l'“Accordo sulla cooperazione tecnica ed economica con la Repubblica Democratica Somala”.

L'accordo prevedeva la costituzione di una Commissione mista annuale che aveva il compito

di elaborare programmi pluriennali di cooperazione e di stabilire le modalità di finanziamento di tali

programmi. In base a questo accordo il compito dei somali era quello di provvedere alle spese di

manutenzione e alla manodopera necessaria a livello locale. Sempre il 5 agosto venne firmato un

214

regolamento di esecuzione con il quale veniva istituito un Comitato progetti con il compito di

esaminare ogni singola proposta di intervento. Il Comitato comunicava con il Dipartimento italiano

per la Cooperazione allo Sviluppo e con il ministero somalo della pianificazione. Con il passare

degli anni questo Comitato venne consultato sempre meno e finirono per essere direttamente i

ministeri a decidere sui progetti.

Il 30 settembre dello stesso anno venne siglato a Roma il Programma triennale per il periodo

1981-1983, che prevedeva una spesa massima di 220 miliardi di lire. L'Italia prima di allora non

aveva mai destinato aiuti così considerevoli ad un paese del Terzo Mondo. Il Programma Triennale

dava priorità alla cooperazione universitaria e a livello sanitario era prevista assistenza tecnica al

ministero della sanità e alle strutture ospedaliere. Altri progetti riguardavano assistenza nella

formazione professionale, la costruzione di un acquedotto a Berbera, di una fabbrica di urea, di un

centro di manutenzione di veicoli industriali, di una strada che collegava Baidoa a Bardhere e

progetti legati alla bananicoltura e alla pesca. Venivano inoltri impiegati 50 milioni di dollari per la

costruzione della diga di Baardheere, progetto nel quale partecipavano altri paesi donatori. I 220

miliardi del Primo programma triennale di cooperazione tra Italia e Somalia venivano così ripartiti:

101 miliardi in progetti da eseguire a credito di aiuto, 72,6 miliardi alle attività di cooperazione

tecnica, 18 miliardi in aiuti militari, 13 miliardi in progetti da finanziare a dono, 7,5 miliardi

nell'esecuzione degli studi dei progetti, 1,3 miliardi per l'annullamento del debito380.

Il Partito Socialista Italiano e l'evoluzione dei rapporti con la Somalia

Negli anni settanta il Partito Socialista Italiano fu uno dei movimenti politici in Italia più critici

verso il regime di Mogadiscio, accusandone le tendenze autoritarie e la decisione di invadere

l'Ogaden. L'atteggiamento del PSI nei confronti del regime di Siad Barre iniziò però a cambiare tra

la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta con l'avvento di Bettino Craxi alla segreteria

del partito. Nel gennaio del 1981 verrà pubblicato sull'Avanti! un volumetto che raccoglieva una

380 TOMMASOLI M., op. cit., pag. 43-60

215

serie di articoli di Paolo Pilitteri sulla Somalia, volumetto accompagnato da una prefazione di Craxi,

nella quale venivano chiamati i socialisti italiani a sostenere la Somalia nel periodo difficile che

stava vivendo, a causa dell'esodo dei somali dall'Ogaden, e definiva Siad Barre un “compagno” e un

“amico”. Se l'attenzione di Craxi alle problematiche somale poteva essere apprezzabile, molto

discutibile e sospetto era definire il dittatore somalo come un “amico”, dimenticandosi che Siad

Barre era il maggiore responsabile dell'esodo dei profughi dall'Etiopia381.

Le ragioni dell'avvicinamento del PSI alla Somalia potevano essere in parte legate

all'istituzione della Camera di Commercio italo-somala, fondata nel 1978 e con sede a Milano, il cui

presidente era proprio Paolo Pilitteri, il segretario generale era Pietro Bearzi ed uno dei maggiori

rappresentanti era lo stesso Bettino Craxi. Il compito di questo istituto era di sviluppare il

commercio e le relazioni tra i due paesi. Secondo le indagini del sostituto procuratore di Milano

Gemma Gualdi, la Camera di Commercio finiva per condizionare la politica di cooperazione

dell'Italia verso la Somalia. Le indagini, che partirono da una controversia di due cittadini somali

contro Pilliteri, Craxi e Bearzi382, misero in luce che spesso gli appalti dei progetti da destinare alla

cooperazione verso la Somalia venivano creati ad arte dalla Camera di Commercio, favorendo quei

progetti che passavano attraverso questo istituto milanese, il quale otteneva il 10% dei guadagni per

ogni progetto che veniva realizzato (vedremo in seguito come questo sistema divenne sistematico

soprattutto a partire dal 1985, quando venne fondato il FAI, la cui direzione era nelle mani di un

altro socialista, Francesco Forte.). Bearzi383, che soggiornava per lunghi periodi in Somalia, aveva il

compito di curare le trattative tra imprenditori e autorità somale, le quali venivano indirizzate,

381 DEL BOCA A., L'Africa nella coscienza degli italiani, Mondadori, Milano, 2002, pag. 291-310382 Le indagini del PM erano partite da una accusa mossa da due cittadini somali, Ali Hashi Dorre e Farah Aidid,

contro Bearzi, Pilitteri e Craxi accusati, come rappresentati della Camera di Commercio italo-somala, di non aver rispettato l'accordo secondo il quale il 10% che spettava alla Camera di Commercio per il suo ruolo di intermediario, doveva essere equamente divisi tra la parte somala e la parte italiana. I due somali sostenevano, che mentre gli italiani avevano incassato il 10%, loro non avevano avuto la parte che gli spettava. Ali Hashi Dorre andrà personalmente a Milano negli uffici di Pilitteri e Craxi per chiedere il rispetto degli accordi (di questo incontro ci sono le fotografie). La parte italiana decise allora di aprire un conto in svizzera di 1.100.000 franchi per ripagare la parte somala, cifra che però ripagava solo parzialmente il 5% che gli spettava.

383 Tra gli interlocutori somali di Bearzi c'era l'ingeniere Mugne, personaggio che compare in molte indaginiche riguardano la malacoperazine italina in Somalia e l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovotin, soprattuto per quello che riguarda i peschereggi della SHIFCO.

216

attraverso tangenti, a richiedere alla cooperazione italiana quei progetti che avevano come

intermediario la Camera di Commercio. Un sistema di questo tipo finiva per favorire gli

imprenditori italiani che svolgevano i progetti, finanziati dal denaro pubblico attraverso il Ministero

degli Esteri, le autorità somale, che ricevevano le tangenti, e i membri della Camera di Commercio

(Bearzi, Pilliteri e Craxi) che ricevevano il 10% per ogni progetto che veniva realizzato.

Naturalmente a farne le spese era la popolazione somala perché molto spesso la scelta dei progetti

dipendeva dai profitti che le parti in causa ricevevano, più che dalla loro effettiva utilità.

Pilitteri era inoltre console onorario in Somalia, e aveva istituito un consolato somalo a

Milano, nonostante ne esistesse già uno ufficiale a Roma. Nel 1981 venne organizzata con i soldi

del comune di Milano (110 milioni di lire) la settimana somala, che in teoria doveva avere scopi

culturali, ma in realtà era un modo per far giungere in Italia, con i soldi pubblici, commercianti

somali che facevano affari con la Camera di Commercio. Inoltre, grazie alla sua carica di console,

Pilitteri spesso organizzava, sempre con i soldi pubblici, delle missioni nel paese africano che

secondo il suo segretario Raffaele Politanò, erano delle vacanze sulle spiagge somale, a cui

partecipavano una ventina di persone senza spendere un soldo384.

L'interesse dei socialisti verso la Somalia era evidente anche a livello ufficiale. Nel 1982

Margherita Boniver, responsabile della sezione esteri del PSI, si recò in visita a Mogadiscio

promettendo che il suo partito si sarebbe impegnato a far entrare il Partito Socialista Rivoluzionario

Somalo nell'Internazionale Socialista.

A metà ottobre dello stesso anno giunse in Somalia il Ministro della Difesa italiano Lelio

Lagorio, socialista, accompagnato da una piccola flotta della Marina italiana. Il ministro ebbe

colloqui con Siad Barre e il Ministro della Difesa somalo Ali Samantar. La visita di Lagorio

rappresentava la disponibilità dell'allora governo Spadolini ad aiutare la Somalia anche

384 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 433-463

217

militarmente, infatti venne stipulato in questo periodo un memorandum segreto Spadolini-

Samantar385.

L'interesse dell'Italia ad appoggiare il regime di Siad Barre nella sua politica di armamento lo

si riscontra anche nei traffici illeciti che si verificavano tra i due paesi. Secondo il giudice Carlo

Palermo, che ha svolto indagini sul traffico di armi, il commercio di materiale bellico italiano

avveniva attraverso due canali: uno ufficiale, per mezzo di trattative dirette tra governi, e uno

illegale, attraverso privati, ma con il benestare degli stati interessati. Questo sistema permetteva di

evitare controlli ed embarghi, oltre a facilitare, attraverso tangenti, guadagni illeciti386. Proprio

un'indagine condotta dal giudice Palermo mise in luce un traffico di armi illegale che precedette la

visita di Lagorio in Somalia e che vide implicati il generale Santovito, capo del SISMI dal 1978 al

1982, il colonnello Pugliese, anch'egli ex membro dei servizi segreti oltre ad essere un esponente

della P2, l'attore e massone Rossano Brazzi e Glauco Partel, responsabile del Centro Studi Trasporti

Missilistici. Nel luglio del 1982 Brazzi ricevette dal Ministro della Difesa somalo, Ali Samantar,

una lettera e una fotocopia della stessa lettera, da consegnare al Ministero degli Esteri italiano, nella

quale il governo somalo chiedeva armi per difendersi contro le continue aggressioni da parte

dell'Etiopia. La lettera fu consegnata a Brazzi, sia perché aveva già operato in un traffico di armi

verso Israele, sia perché amico del presidente statunitense Ronald Reagan per il suo passato di

attore hollywoodiano. L'attore italiano consegnò in seguito la lettere al colonnello Pugliese e questo

a sua volta si rivolse al generale Santovito che, essendo stato Comandante di Compagnia in Somalia

negli anni cinquanta, conosceva molti esponenti militari della classe dirigente somala ed era inoltre

proprietario della Società di Ingegneria Lucio Santovito, azienda che si occupava di progetti agricoli

in Somalia e gestiva finanziamenti provenienti da istituti bancari statunitensi e diretti alla Banca

Nazionale somala. Pugliese propose a Santovio di fondare una società e di aprire nuove linee di

385 DEL BOCA A., op. cit., pag. 291-310386 LEONI VON DOHNANYI G., OLIVA F., op. cit., pag. 118-140

218

credito che sarebbero servite, tra l'altro, a permettere il traffico di armi. Il 24 settembre Santovito si

recò in Somalia compiendo uno studio su quali erano le priorità per attivare un piano di sviluppo nel

paese, oltre ad indicare le necessità militari richieste dal governo somalo. I dati raccolti dal generale

vennero poi trascritti in un memorandum da Pugliese, nel quale si indicava, tra le altre cose, che il

governo somalo richiedeva 300 milioni di dollari in armamenti. Il memorandum venne dato a

Brazzi e consegnato a Reagan assieme ad altri due memorandum, uno riguardante richieste di

finanziamenti per progetti in Congo e in Zaire, l'altro riguardante dei chiarimenti sulla massoneria

italiana. L'operazione di armi da destinare verso la Somalia andò a buon fine e sia Santovito che

Brazzi spedirono delle lettere ad Ali Samantar ed altri vertici militari nel quale si confermava che la

Casa Bianca aveva accettato di consegnare armi a Mogadiscio. La vendita venne attraverso un

contratto stipulato il 17 ottobre del 1982 tra il Ministro delle Finanze somalo Abdullahi Ahmed

Addo e Glauco Partel, responsabile del Centro Studi di Trasporto Missilistici. Il contratto prevedeva

la vendita di 116 carriarmati, 25 elicotteri e altri armamenti per il valore di 399.992.000 dollari.

L'operazione avveniva attraverso una banca del Liechtenstein e sotto la supervisione dei servizi

segreti americani. Brazzi, Pugliese e Santovito ricevettero il 3% dell'intera operazione387. Questo

vuole essere un esempio su come avvenivano i rapporti tra i due paesi, dove spesso si intrecciavano

politiche ufficiali con politiche illegali. Tale operazione infatti avvenne pochi giorni prima della

visita di Lagorio in Somalia e della stipulazione del memorandum Spadolini -Samantar.

Il 6 gennaio del 1983 giunse in visita a Mogadiscio, sotto invito del presidente Siad Barre,

Bettino Craxi che espresse la sua vicinanza alle rivendicazione della Somalia sull'Ogaden, nel

rispetto del principio dell'autodeterminazione dei popoli, e la necessità che i rapporti tra Italia e

Somalia fossero più stretti. Craxi voleva presentarsi come il più importante interlocutore di Siad

387 Gli interrogatori degli interessati e i documenti (i memorandum, le lettere e i contratti) di questo traffico illecito di armi individuato dalle indagini del giudice Carlo Palermo, sono stati tratti da: PARLAMENTO DELLA REPUBBLICA, Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, Carlo Colombo, Roma, 1987, vol.VII, tomo III, pag. 670-675, tomo IV, pag. 5-99, 144-177, 180-194, 195-200, vol. XIII, pag. 509-551

219

Barre in Italia e questo ebbe delle conseguenze sulla politica estera italiana perché il segretario del

PSI il 4 agosto di quell'anno divenne presidente del Consiglio.

Il 7 aprile del 1983 il Ministro degli Esteri Colombo incontrò a Roma il suo collega somalo

Abdulrahm Giama Barre. In questa occasione venne firmato un accordo che regolava il trattato di

cooperazione tra i due paesi e prevedeva, tra gli altri progetti, la costruzione di un nuovo aeroporto

a Mogadiscio, una fabbrica per la produzione di urea, la ristrutturazione del porto della capitale,

impianti per la pesca, un acquedotto a Berbera, un ospedale e un aumento dei fondi per l'Università

Nazionale Somala.

Nell'ottobre del 1983 si recò in visita ufficiale a Roma lo stesso Siad Barre che venne ricevuto

dal presidente del Consiglio Bettino Craxi, dal Ministro della Difesa Spadolini e dal Capo di Stato

Maggiore della Difesa, il generale Bartolucci: non è escluso che in questi colloqui si parlò di

possibili accordi militari. Tra il 1979 e il 1983 la Somalia aveva acquistato armi dall'Italia per un

valore di 410 milioni di dollari, diventandone il terzo importatore dopo la Libia e il Venezuela.

L'acquisto del materiale bellico avveniva soprattutto grazie ai petrodollari provenienti

dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi. Verso la metà degli anni ottanta, però, i paesi della

penisola arabica, iniziarono a finanziare sempre meno il regime di Siad Barre, ponendo ad esempio

l'embargo sul bestiame somalo. Soldi dall'Arabia Saudita continuarono ancora a giungere nel paese

africano ma finivano sempre più in movimenti fondamentalisti spesso in contrasto con il regime

somalo. I difficili rapporti tra Riyad e Mogadiscio portarono il governo somalo ad avere difficoltà

nel pagare le armi ai fabbricanti italiani (FIAT, Oto Melara, Breda, Augusta). Sarà il governo

italiano e soprattutto il partito socialista a correre in soccorso della Somalia. Nel gennaio 1985 il

vice-presidente somalo Samantar incontrò a Roma il presidente del Consiglio Craxi e il Ministro

della Difesa Spadolini, incontro che portò alla vendita alla Somalia di nuovi armamenti: 50 carri

armati M-47, 48 obici, 150 mortai, 120 Fiat Iveco. Il 14 gennaio venne sottoscritto un

Memorandum d'intesa che prevedeva l'invio in Somalia di due delegazioni militari italiane, una

220

dell'esercito e una dell'areonautica, che dovevano offrire consulenza militare alle Forze Armate

somale. Questa operazione risultò non semplice per lo stato in cui si trovava l'esercito in Somalia:

non venivano rispettate le gerarchie, preferendo seguire logiche di clan; difficoltà nel trasmettere

ordini per la poca conoscenza della lingua italiana; mancanza di sicurezza; diffusa miseria e

mancanza di servizi igenico-sanitari388.

La nascita del Fondo Aiuti Italiani

Verso la metà degli anni ottanta, a seguito delle devastanti carestie che colpirono il sahel e

l'Etiopia, l'opinione pubblica mondiale mostrò un interesse improvviso verso il continente africano e

la parola d'ordine divenne “aiutare l'Africa”, considerando spesso il continente come un corpo

unico, senza conoscere le diverse problematiche dei singoli paesi o delle singole regioni. In Italia il

partito che più spingeva affinché si modificasse la politica di cooperazione, giustamente accusata di

sprechi, lentezza e corruzione, fu il Partito Radicale. L'errore fu però quello di richiedere maggiori

fondi per la cooperazione e maggiore rapidità nella loro attuazione, senza tener conto che non tutti i

paesi africani necessitavano di progetti d'urgenza, come quelli colpiti dalla carestia, e che più di un

aumento delle risorse, bisognava migliorare il modo in cui queste risorse venivano gestite.

A seguito delle pressioni da parte dell'opinione pubblica e dei partiti, l'8 marzo del 1985 venne

approvata dal Parlamento la legge n° 73 che prevedeva l'istituzione del Fondo Aiuti Italiani (FAI),

la cui direzione fu affidata al socialista Francesco Forte. Al FAI, che aveva molta autonomia di

azione, vennero dati 1.900 miliardi di lire che dovevano essere utilizzati entro diciotto mesi e da

impiegare in progetti di emergenza contro la fame, le malattie e la sete. In realtà i fondi del FAI

vennero spesso impiegati per la costruzione di opere faraoniche, come il progetto del Tana Bele in

Etiopia e la costruzione della strada Garoe-Bosaso in Somalia, che poco avevano a che fare con i

progetti di emergenza per alleviare i problemi della fame e della sete. Secondo Francesco Alonsi,

responsabile a fine anni ottanta della Direzione Generale per la Cooperazione e lo Sviluppo, la

388 LEONI VON DOHNANYI G., OLIVA F., op. cit., pag. 106-117

221

degenerazione della cooperazione italiana andava ricercata proprio nella crescita eccessiva dei

finanziamenti e nella rapidità con cui questi finanziamenti venivano spesi. I fondi del FAI, ad

esempio, considerati come interventi straordinari, venivano attuati senza che ci fossero gare

d'appalto e questo impediva la realizzazione di progetti a medio e a lungo termine. Spesso, e questo

succederà anche in seguito con l'istituzione della Direzione Generale, mancava la capacità di gestire

le gare di appalto per così vasti finanziamenti e il personale amministrativo era insufficiente (erano

quasi assenti gli economisti). Molte volte erano le imprese che preparavano i progetti e auto-

firmavano i contratti, senza che ci fosse un controllo sull'effettiva utilità di tali interventi. In questo

modo non si agiva attraverso programmi-paese, attraverso cioè analisi dettagliate sulla regione nella

quale si decideva di intervenire389.

Il FAI, inoltre, guidato da esponenti del PSI, favoriva le imprese vicine a determinati gruppi

politici. Forte aveva spesso degli incontri in un albergo romano con Bearzi e Mancinelli (entrambi

membri della Camera di Commercio italo-somala). Secondo le testimonianze di alcuni ambasciatori

e funzionari del Ministero degli Esteri le aste per gli appalti del FAI erano pro-forma, senza che

venissero istituiti dei termini di bando e senza che ci fosse concorrenza tra le imprese: era già

prestabilito quali fossero le aziende che dovevano attuare i progetti di cooperazione. Francesco

Forte e il direttore esecutivo dei lavori, Martinez, avevano un potere monopolistico nella gestione

del FAI, dove i meccanismi di finanziamento non venivano nemmeno controllati dalla Corte dei

Conti, poiché secondo la legge n° 73 il FAI doveva gestire progetti d'urgenza e forme di controllo

potevano limitarne la rapidità d'intervento. Questo sistema privo di controllo favoriva però

fenomeni di corruzione. Secondo la testimonianza di un assistente di Forte, interrogato dal PM

Gualdi, negli uffici del FAI c'era sempre una coda di imprenditori che lavoravano all'estero e spesso

c'era anche Bearzi con il compito di favorire le imprese vicine al PSI. Nel scegliere un'impresa non

si teneva conto delle sue competenza, ma si decideva in base alle segnalazioni dei politici.

389 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 57-89

222

L'ambasciatore italiano a Mogadiscio dal 1985 al 1990 sosteneva che la maggior parte dei progetti

della cooperazione in Somalia erano discutibili e che spesso era Bearzi a decidere sulle imprese e

gli interventi, senza nemmeno consultare l'ambasciata.

Paolo Scaroni, funzionario del Ministero degli Esteri, interrogato dai giudici di Roma avrebbe

dichiarato che il FAI, a seguito di un incontro tra l'amministratore delegato della Techint spa e

l'onorevole socialista Balzamo, affidò all'impresa progetti per un valore di 16,5 miliardi di lire;

Balzamo avrebbe consigliato all'imprenditore, che se voleva avere tranquillità negli appalti con il

Ministero degli Esteri, doveva versare una somma di denaro al PSI. La Techint sarà in seguito

impegnata nella costruzione della strada Bosaso-Garoe tra il 1990 e il 1991.

La Giza spa, società vicina al PCI e alle cooperative italiane, poté iniziare a lavorare in

Somalia negli anni ottanta dopo che l'amministratore delegato Malavasi si era incontrato con

Mancinelli, il quale avrebbe dato la possibilità all'impresa di svolgere progetti nel paese africano in

cambio dell'1,5% del valore su ogni intervento realizzato. Malavasi si sarebbe in seguito incontrato

con Baerzi e Pillitteri che gli avrebbero dato garanzie sull'operatività della Giza in Somalia. Nel

1986 la Giza riceverà dal FAI un finanziamento di 51,8 miliardi di lire per interventi nell'azienda

agrozoo-tecnica di Afgoi390 e nel mattatoio di Mogadiscio, un finanziamento di 38 miliardi per

interventi nell'azienda di Johar e uno di 12, 85 miliardi per la conceria di Mogadiscio391. Secondo

Pietro Ugolini, responsabile della cooperazione italiana in Somalia nel settore primario tra il 1986 e

il 1990, il vescovo Colombo, ucciso nel 1989 a Mogadiscio, fu assassinato da un killer

professionista e non linciato dai fondamentalisti islamici, sostenendo inoltre che il delitto può

essere collegato al fatto che il prete italiano stava aprendo nella capitale somala una conceria che,

grazie ai suoi contatti e ai buoni rapporti che aveva con la popolazione, sarebbe potuta diventare

390 Secondo l'imprenditore Giancarlo Marocchino, che deteneva il monopolio dei traporti interni in Somalia, molto del materiale trasportato dalla Giza per l'azienda agrozootecnica in realtà finiva per essere utilizzato per la costruzione della villa del figlio di Siad Barre. SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. II, pag. 1099-1119

391 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 433-463

223

un'azienda efficiente, entrando in concorrenza con la Giza, la cui conceria si era dimostrata

fallimentare392. La Giza fonderà inoltre in Somalia la Malit srl, società legata ai peschereggi della

SHIFCO.

Dalla visita di Craxi a Mogadiscio alla fine del regime di Siad Barre

Nonostante il regime di Siad Barre già nella prima metà degli anni ottanta avesse accentuato il

suo carattere autoritario e repressivo, mandando in esilio, incarcerando o uccidendo gran parte della

classe politica che aveva guidato il paese prima del 1969 e molti esponenti che avevano appoggiato

il regime militare negli anni settanta, nel settembre del 1985 il presidente del Consiglio italiano

Bettino Craxi si recò in visita ufficiale a Mogadiscio. Il politico italiano venne accolto con tutti gli

onori anche perché giungeva con 400 miliardi di lire del FAI e 150 miliardi della Cooperazione: era

un chiaro segnale che l'Italia teneva un rapporto privilegiato con la Somalia. Siad Barre, nonostante

la grande quantità di aiuti ricevuti, si lamentava con l'Italia di aver dato pochi e vecchi aiuti militari

(tra il 1979 e il 1985 l'Italia aveva dato alla Somalia armamenti per un valore di 550 milioni di

dollari, oltre ad una serie di armamenti offerti gratuitamente): il presidente somalo voleva i nuovi

carriarmati Leopard, ma nemmeno Craxi era disposto ad offrire tali armamenti se prima non c'era la

certezza che il governo di Mogadiscio fosse in grado di pagarli. Nonostante le lamentale del

dittatore i rapporti tra Somalia e Italia rimasero ottimi e, anche grazie alla mediazione di Roma, nel

gennaio del 1986 ci fu l'incontro a Gibuti tra Menghistu e Siad Barre.

Il rapporto di amicizia tra il governo di Roma e quello di Mogadiscio riceveva però critiche

dall'opinione pubblica internazionale (Amnesty International e Africa Watch in quel periodo

stavano mettendo in luce come i diritti civili in Somalia fossero sistematicamente violati), anche

perché l'Italia concedeva spesso aiuti alla Somalia senza richiedere in cambio il rispetto dei diritti

civili o la scarcerazione di detenuti politici393. Critiche alla politica italiana in Somalia provenivano

392 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 165-203

393 DEL BOCA A., L'Africa nella coscienza degli italiani, Mondadori, Milano, 2002, pag. 291-310

224

anche dai movimenti di opposizione: il leader del SNM, Ahmed Silyano, sosteneva che la politica

di aiuti dell'Italia finiva per arricchire la famiglia del presidente e legittimarne la politica repressiva.

Le critiche mosse da Silyano non erano prive di fondamento: l'8 marzo del 1988 l'ex Ministro

dell'Industria somalo, Ali Khalif Barre, interrogato dal Tribunale di Milano, sostenne che dei 100

miliardi dati dalla cooperazione italiana per la costruzione della fabbrica di urea a Mogadiscio, 7

miliardi erano andati direttamente alla famiglia di Siad Barre.

Francesco Forte, di fronte alle molte critiche che il FAI riceveva, in una intervista a il

Messaggero arrivò a difendere le scelte di Siad Barre, giustificando la decisione di tenere in carcere

i sette ministri arrestati nel 1982 perché, secondo l'onorevole italiano, erano “marxisti sovietici

organizzati dal KGB per fare un colpo di Stato”. Le dichiarazioni dell'ex ministro somalo furono

seguite da una serie di articoli sulla stampa italiana (la Repubblica, il Messaggero, Panorama) che

mettevano in luce gli sprechi e la corruzione che caratterizzavano la politica italo-somala di

cooperazione: la fabbrica di urea non era funzionante perché la centrale elettrica di Gezirah, che

forniva elettricità a Mogadiscio, non era in grado di fornire energia anche per la fabbrica; furono

spesi miliardi per la pesca in alto mare, attività che si dimostrò fallimentare; l'istituto farmaceutico

produceva farmaci a prezzi troppo alti, non accessibili per la popolazione somala, l'Italia allora

acquistava questi farmaci per poi donarli ad altri paesi poveri, ma i medicinali venivano spesso

lasciati per lungo tempo su container esposti al sole e giungevano negli altri paesi alterati (il Kenya,

ad esempio, rifiutò l'ingresso dei farmaci provenienti dalla Somalia); decine di silos costruiti dalla

cooperazione italiana in vetroresina si sciolsero sotto il sole394.

Il Dipartimento alla Cooperazione (gestito soprattutto da democristiani) ma soprattutto il FAI

(gestito dai socialisti) erano sempre più esposti a critiche. Nel 1987 si decise, attraverso la legge n°

49, di unificare i due istituti nella Direzione Generale per la Cooperazione e lo Sviluppo sotto la

direzione del Ministero degli Esteri. All'interno della Direzione Generale furono aumentati il

numero dei tecnici (dai 17 del Dipartimento passarono a 120) che formavano l'Unità tecnica

394 DEL BOCA A., op. cit., pag. 310-318

225

centrale. L'Unità tecnica, con sede a Roma, aveva il compito di decidere su ciascun progetto che

passava attraverso la Direzione Generale, dopo aver consultato il personale tecnico che lavorava nei

singoli paesi. Gli stanziamenti annui dati alla Direzione Generale non avvenivano tramite decreto

legge, come era successo con il FAI, ma venivano stanziati di anno in anno in base alla legge

finanziaria. Gli aiuti venivano forniti in due modi: sotto forma di dono, cioè attraverso la fornitura

di un bene o un servizio a titolo gratuito per il destinatario, ma finanziato dal contribuente italiano, e

sotto forma di credito di aiuto, cioè attraverso un finanziamento agevolato per il paese beneficiario,

il cui rimborso veniva dilazionato nel tempo. Le imprese che però vincevano l'appalto ed

eseguivano il progetto venivano subito rimborsate per il loro servizio395.

A fine anni ottanta il regime di Siad Barre era impresentabile per molti paesi occidentali: Gran

Bretagna396, Germania e Stati Uniti, che erano stati i maggiori erogatori di aiuti verso la Somalia,

avevano interrotto le loro relazioni con Mogadiscio. Roma continuava invece a mantenere buoni

rapporti con il regime somalo: il 10 febbraio del 1989 il Presidente della Repubblica italiana

Francesco Cossiga giunse in visita ufficiale in Somalia, accompagnato dal Ministro degli Esteri

Giulio Andreotti. L'incontro tra i due presidenti sarà amichevole e venne ribadita la vicinanza e la

cooperazione tra i due paesi397. Siad Barre per l'occasione fece liberare 200 detenuti politici,

ricevendo i complimenti della delegazione italiana che fingeva però di dimenticarsi che migliaia di

persone rimanevano in carcere senza processo per reati di opinione e della campagna di repressione

indiscriminata che il regime stava compiendo contro la popolazione issaq nel nord del paese.

Intanto il clima di violenza in Somalia finiva per colpire anche gli stessi italiani presenti nel

paese. Il 9 luglio del 1989 venne ucciso il vescovo di Mogadiscio Pietro Colombo e vennero

accusati di questo omicidio alcuni integralisti islamici. Gli arresti di sei capi religiosi portarono ad

395 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 433-463

396 I rapporti tra Londra e Mogadiscio si erano interrotti quando nel 1986 il Ministro degli Esteri e fratello del presidente, Abdirahman Giama Barre, aveva accusato la BBC, che aveva fatto un servizio molto critico nei confronti del regime militare, di fare propaganda anti-somala. SAID S. SAMTAR, op. cit., pag. 45-48

397 Cossiga ricevuto da Siad Barre dirà: “Atterrando a Mogadiscio ci possiamo considerare già a casa”.

226

una manifestazione contro il regime che venne duramente repressa e dove morirono circa 400

persone. L'ambasciatore italiano Mario Manca mise in programma un piano per far evacuare i 1.300

italiani presenti a Mogadiscio nel caso in cui la situazione fosse degenerata. In settembre dello

stesso anno Ali Samantar giunse a Roma dove incontrò il presidente del Consiglio Andreotti e il

Ministro degli Esteri De Michelis, assicurando che la situazione era sotto controllo, oltre a chiedere

nuovi aiuti per la Somalia.

Il 18 giugno del 1990 venne trovato morto il biologo italiano Giuseppe Salvo. Secondo la

polizia somala il biologo, dopo essere stato arrestato perché, ubriaco, si era avvicinato troppo ad una

caserma nel Benadir, arrestato si sarebbe poi impiccato in cella. Il Ministro degli Esteri De Michelis

inizialmente accettò come vera la tesi della polizia somala, ma il 27 luglio il medico legale

informava la Farnesina che Salvo era morto a seguito di ripetute percosse che gli avevano causato

una emoraggia cerebrale. Flaminio Piccoli, presidente della Commissione Esteri della Camera

accusò apertamente il regime di Siad Barre dell'omicidio di Salvo e chiedeva al Ministero degli

Esteri di prendere provvedimenti contro il regime di Mogadiscio. Ormai la politica italiana in

Somalia era fonte di troppo imbarazzo, accusata sia dal mondo politico che dalla stampa. La

Farnesina decise allora di prendere una serie di provvedimenti: l'11 giugno vennero richiamati i 56

uomini della missione militare italiana e non vennero più inviati docenti all'Università di

Mogadiscio. La Farnesina, minacciando di sospendere gli aiuti, fece pressione affinché venissero

liberati i 46 firmatari del Manifesto n° 1. Siad Barre fece liberare gli arrestati oltre a promettere un

referendum popolare per approvare la nuova costituzione e elezioni libere entro il 1° febbraio del

1991. Le garanzie date dal presidente somalo spinsero la Farnesina a sospendere le sanzioni contro

Mogadiscio e a continuare la politica di aiuti e cooperazione, oltre a inviare nuovi docenti

universitari in Somalia. La decisione di De Michelis di riprendere la politica di aiuti verso la

Somalia ricevette molte critiche, perché la cooperazione italiana non alleviava le sofferenze della

popolazione somala, come sosteneva la Farnesina, ma finiva per arricchire la famiglia del

227

presidente e la guerra civile398. Inoltre in questo periodo il regime di Siad Barre continuava a

chiedere ai socialisti italiani armi per la Somalia. Secondo l'imprenditore Francesco Corneli,

collaboratore del SISDE e vicino ai servizi segreti siriani, il PSI si sarebbe accordato con il PCI per

aprire un canale di rifornimento di armi che dai paesi del blocco orientale, attraverso l'Italia,

giungevano in Somalia. La cooperazione italiana era rivolta soprattutto ai paesi in conflitto come il

Mozambico, l'Etiopia, l'Angola e la Somalia, proprio perché il grosso delle tangenti non avveniva

attraverso la cooperazione civile ma attraverso quella militare, spesso illecita, ad esempio

facilitando il trasporto militare a livello doganale: il tecnico della Giza Marco Zaganelli, che lavorò

in Somalia negli anni ottanta, dichiarò alla Procura di Torre Annunziata, che stava indagando sulla

mala-cooperazione, che nel porto di Bosaso potevano tranquillamente atterrare aeri militari

Hercules che scaricavano armi in Somalia399. Lo stesso imprenditore Giancarlo Marocchino

sosteneva che nel porto di Berbera aveva visto la nave “Jolly Amaranto” scaricare armamenti

pesanti della ditta Oto Melara assieme ad una cinquantina di militari italiani con il compito di

addestrare reparti dell'esercito somalo400. Il 26 settembre del 1988 venne ucciso vicino a Trapani

Mauro Rostagno, ex leader di Lotta Continua e fondatore della comunità di Saman per tossico

dipendenti401: la Procura di Torre Annunziata legò questo omicidio con la cooperazione italiana

perché Rostagno avrebbe filmato nell'aeroporto abbandonato di Rilievo, vicino a Trapani, aeri

militari italiani che scaricavano aiuti umanitari per caricare armi.

Alla fine del 1989 il Ministro degli Esteri De Michelis incontrò a Tripoli il suo collega libico e

vertici militari somali: un mese dopo questo incontro giunsero in Somalia 70 carri armati e altri

armamenti di fabbricazione sovietica accompagnati da istruttori libici. .

La politica di intromissione dell'Italia in Somalia continuerà anche quando Siad Barre aveva

perso qualsiasi controllo sul paese, con la proposta di Mario Sica, ambasciatore italiano a

398 DEL BOCA A., op. cit., pag. 357-379399 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta

sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 165-203400 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta

sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. II, pag. 1099-1119 401 LEONI VON DOHNANYI G., OLIVA F., op. cit., pag. 118-140

228

Mogadiscio, di istituire una conferenza di riconciliazione nazionale da tenersi al Cairo. Una delle

ragioni del fallimento di tale conferenza fu proprio l'opposizione da parte dei leader de movimenti

di opposizione di partecipare ad una conferenza organizzata dai due maggiori sostenitori del regime

militare, l'Egitto e l'Italia.

Alcuni esempi di mala-cooperazione italiana

L'Università Nazionale Somala

Gli anni ottanta furono per l'istruzione somala un periodo di regresso: se nel 1975 gli studenti

iscritti alla scuola primaria erano 133.605, nel 1985 erano solo 47.507. Cresceva invece il numero

di bambini che frequentavano le scuole coraniche, spesso finanziate dai paesi della penisola arabica,

scuole però incentrate sull'indottrinamento religioso e che non preparavano gli studenti a studi

superiori o universitari. Chi accedeva all'università era spesso figlio di ricchi commercianti o di alti

funzionari dello stato e delle Forze Armate. L'università Nazionale Somala di Mogadiscio, l'unica

presente nel paese, viveva soprattutto grazie ai finanziamenti provenienti dall'Italia. La

cooperazione universitaria però mancava di una politica di controllo sugli investimenti che spesso

finivano nelle mani degli stessi docenti o delle facoltà italiane che partecipavano ai progetti

didattici. L'università mancava di mense, alloggi e molto spesso di elettricità. Molti progetti della

cooperazione italiana rimasero sulla carta senza essere realizzati: nel 1989 al Centro Italiano per la

Ricerca Sanitaria e Sociale (CIRSS) vennero dati dal Ministero degli Esteri 700 milioni di lire per

portare avanti un programma infermieristico all'interno della Facoltà di Medicina dell'Università

Nazionale Somala. Il CIRSS, sebbene presentasse al Ministero degli Esteri fatture e relazioni della

realizzazione del Programma, nella realtà non stava svolgendo alcuna attività. Un altro esempio di

mala-cooperazione universitaria fu la creazione di un Istituto per la cura delle malattie tropicali dal

costo di 7,7 miliardi i lire: l'istituto non divenne mai funzionante, anche perché la sua gestione fu

affidata ad un progettista italiano che in realtà non seguiva il progetto, lasciando la guida

229

dell'istituto ad un tecnico somalo che guadagnava solo 150 dollari al mese e non aveva le

competenze per tale incarico.

Gli studenti somali uscivano dall'università senza una reale preparazione e se volevano trovare

lavoro dovevano frequentare dei corsi post-laurea all'estero. La precarietà della vita universitaria e

le poche prospettive di lavoro portavano molti studenti ad aderire alla lotta armata e ai movimenti

islamici402.

Il progetto agro- zootecnico di Afgoi

L'azienda agro-zootecnica di Afgoi si occupava di bestiame da destinare al mercato estero. La

Direzione Generale per la Cooperazione e lo Sviluppo diede alla azienda 50,7 miliardi di lire e il

suo obiettivo era quello di ingrossare 20 mila bovini e 20 mila ovini che dovevano poi essere

esportati. Il finanziamento però andava quasi del tutto speso a costruire e alimentare un sistema di

irrigazione tecnologicamente avanzato, mentre mancavano i fondi per pagare il personale, la

manutenzione, i silos, i mescolatori di mangime e i depositi. Inoltre l'avanzato sistema di irrigazione

finiva per far aumentare i costi di produzione che influivano sul prezzo della carne: il prezzo medio

nel mercato era di 2.500 lire per un chilo di carne, mentre quella prodotta nell'azienda di Afgoi

arrivava a 5.000 lire. L'elevato costo del progetto portò l'azienda a sospendere le attività di

ingrossamento occupandosi solamente della raccolta e della vendita del bestiame. Le operazioni di

prelievo avvenivano spesso in modo violento, per la resistenza da parte di molti pastori nomadi di

concedere i capi di bestiame, spesso alla base delle loro attività economiche e sociali. L'azienda di

Afgoi per procurarsi il bestiame arrivò ad utilizzare agenti governativi e questo finiva per favorire

tensioni sociali e l'esaurimento delle mandrie, disastroso per un paese dove la pastorizia era l'attività

principale403. La gestione dell'azienda di Afgoi fu affidata dal FAI alla società italiana Giza,

responsabile, secondo Pietro Ugolini, di rapinare i pastori nomadi: nei periodi di secca la società

402 LEONI VON DOHNANYI G., OLIVA F., op. cit., pag. 91-104403 LEONI VON DOHNANYI G., OLIVA F., op. cit., pag. 91-104

230

italiana acquistava a bassissimo prezzo il bestiame per poi farlo ingrassare nella propria azienda ed

esportarlo a prezzi più alti in Arabia Saudita e, dopo l'embargo, nello Yemen404.

Esistono una serie di testimonianze che portano a legare il commercio del bestiame con un

traffico di armi. La Gisoma, il cui presidente era Omar Mugne e che si trovava in società con la

Giza nelle attività legate ai peschereggi della SHIFCO, si occupava del trasporto dei bovini nello

Yemen che venivano veduti a funzionari della Military Economical Corporation (MECO): è

probabile che tale vendita sia avvenuta non tramite denaro ma tramite armi405. Le attività della

Gisoma dovevano essere in realtà controllate dalla Cooperazione italiana che aveva dato a questa

società 900.000 dollari come capitale di rischio. Pietro Ugolini, essendo responsabile del settore

primario della cooperazione in Somalia, aveva iniziato una serie di indagini sulle attività della

società per avere maggiore chiarezza sui bilanci, ma i responsabili della Gisoma si rifiutarono di

avere incontri con Ugolini. Il cooperante italiano si rivolse allora alla Direzione Generale per

procedere ad indagini più approfondite sulla società, ma dalla Direzione non ricevette alcuna

informazioni. Secondo Ugolini chi lavorava nel ministero degli Esteri italiano sapeva dei traffici di

armi ma preferiva non immischiarsi. Nel 1988 Ugolini avrebbe consegnato al colonnello D'Alonzo

documenti che dimostravano come la Gisoma trafficasse in bestiame nello Yemen in cambio di

armi, ma il militare italiano gli avrebbe risposto: “sì, tutto questo va bene, dottore, ma poi saremo

fermati dai servizi segreti”406.

L'azienda agro-industriale di Johar

L'azienda agro-industriale di Johar (l'ex azienda del Duca degli Abruzzi) nel 1986 ricevette dal

FAI un investimento di 38 miliardi di lire che venne affidato alla Montedison Agricoltura, con il

compito di diversificare la produzione. Il progetto prevedeva, tra le altre cose, l'importazione di

404 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 165-203

405 LEONI VON DOHNANYI G., OLIVA F., op. cit., pag. 118-140406 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta

sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 165-203

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vacche dall'Europa, ma che fu presto sospeso perché il bestiame europeo non riusciva a

sopravvivere al clima somalo. Altri 10 miliardi di lire furono utilizzati per ristrutturare il vecchio

zuccherificio, una somma di denaro insufficiente rispetto ai 40 miliardi proposti dagli esperti: così

mal ristrutturato lo zuccherificio finì per esplodere407. Secondo Ugolini nell'azienda di Johar

esisteva un sistema di schiavitù: i lavoratori venivano prelevati nei villaggi attorno a Johar, per

ordine del capo della polizia locale sotto il consenso del capo del villaggio, e caricati nei carri da

bestiame da guardiani armati di kalashnikov; le persone che venivano chiamate a lavorare

nell'azienda erano considerati impiegati statali a vita e non gli era permesso di licenziarsi; secondo

l'articolo 6 del codice del lavoro somalo il lavoro coatto, tranne che per i carcerati, era vietato in

situazioni di pace ma non quando il paese si trovava in stato di guerra: il problema era che la

Somalia si trovò tra il 1977 al 1988 in stato di guerra con l'Etiopia e in seguito in uno stato di

guerra civile408.

La strada Bosaso-Garoe

Il FAI, nonostante il suo compito fosse quello di occuparsi di progetti di emergenza per

alleviare la fame e la carestia, utilizzò molti dei suoi fondi per costruire una strada di 442 chilometri

per collegare Garoe, nell'interno della Somalia, a Bosaso, sulla costa settentrionale. Il progetto

ricevette critiche dalla Banca Mondiale e da molti tecnici della Farnesina che presentarono un

rapporto ministeriale in cui si sconsigliava vivamente la costruzione di questa strada, opera troppo

dispendiosa (120 milioni di dollari), con tempi di realizzazione molto lunghi e soprattutto poco utile

alla popolazione locale. Ahmed Silyano, leader del SNM, sosteneva che la strada avrebbe solo

favorito l'esercito nella sua opera di repressione nel nord del paese. Nonostante queste critiche il

FAI affidò la progettazione e la direzione dei lavori alla società italiana Italtekna, con la

partecipazione di altre quattro società, l'Astaldi, la Lodigiani, la Cogefar e la Montedil. La

407 LEONI VON DOHNANYI G., OLIVA F., op. cit., pag. 91-104408 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta

sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 165-203

232

realizzazione dell'opera presentò subito una serie di problemi: costruita su un territorio utilizzato per

i pascoli, finiva per ostacolare il passaggio delle mandrie; necessitava di continue manutenzioni

poiché l'attraversamento dei guadi ne deteriorava quei tratti; i lavori di costruzione avvennero in un

periodo di guerra civile nel nord e si svolsero in un clima di insicurezza409.

I peschereggi della cooperazione

La cooperazione legata alla pesca, attività tradizionalmente non seguita dai somali, fu iniziata

negli anni settanta dai sovietici, a seguito soprattutto della carestia che colpì il paese a metà del

decennio. Con la rottura dei rapporti tra Mogadiscio e Mosca, per un primo tempo i maggiori

sostenitori esteri nell'incentivare la pesca in alto mare furono i paesi scandinavi ma dall'inizio degli

anni ottanta saranno gli italiani a promuovere tale attività.

La gestione italiana dei peschereggi verrà affidata in un primo momento alla società De Giosa

che però fallì in breve tempo lasciando arrugginire i peschereggi lasciati dai sovietici. Dopo una

serie di passaggi di gestione sarà la SEC (Società Esercizio Cantieri) di Viareggio ad occuparsi della

riabilitazione dei due peschereggi attraverso 9,9 miliardi di lire stanziati dalla cooperazione. Le due

navi, che secondo il progetto iniziale dovevano essere restaurate a Viareggio presso gli stabilimenti

della SEC, furono portate a Mombosa e lì risistemate ad un prezzo di 1/3 inferiore rispetto a quello

del fondo della cooperazione. I due peschereggi entreranno a far parte della flotta della SHIFCO. La

SHIFCO era in teoria una società del governo somalo ma in realtà, a seguito della crisi che porterà

alla distruzione dello stato, divenne sempre più proprietà dell'ingegniere Said Omar Mugne, un

somalo di origine yemenita che aveva studiato in Italia ed era poi tornato in Somalia nel 1983,

chiamato dallo stesso Siad Barre a gestire la società Gisoma. La flotta SHIFCO, la cui spesa

complessiva fu di 60 milioni di dollari, era formata da cinque peschereggi più una nave da carico, la

21 Octobaar II. Il progetto italiano stabiliva che la nave madre, la 21 Octobaar II, dovesse essere

fornita di 12 frigoriferi per la conservazione del pesce, invece arrivò a Mogadiscio con solo 6

409 LEONI VON DOHNANYI G., OLIVA F., op. cit., pag. 91-104

233

frigoriferi. La Farnesina spiegò questa mancanza come un errore ma secondo Pietro Ugolini il

numero dei frigoriferi era stato diminuito per lasciare spazio nella nave a “qualcosa” che centrava

poco con il pesce410. Inizialmente era la SEC, diretta da Pozzo411, ad occuparsi della

commercializzazione del pesce pescato dalle navi SHIFCO, successivamente però, dopo dei

contrasti tra Pozzo e Mugne, quest'ultimo fondò l'8 gennaio del 1990 la SHIFCO-Malit mettendosi

in società con la Giza, di proprietà di Ennio Malavasi, e il personale che lavorava a Viareggio per la

SEC venne trasferito a Reggio Emilia. La SHIFCO-Malit, che in realtà aveva come maggiore

azionista Paolo Malavasi, fratello di Ennio, fallirà nel 1993. La flotta ritornò ad essere SHIFCO

mettendosi in società con la PIA di Gaeta di proprietà di Vito Panati412.

Le navi della SHIFCO sono state al centro di indagini di procure e inchieste giornalistiche

perché sospettate di trasportare armi e rifiuti tossici in Somalia e in altri paesi. È probabile che la

stessa Ilaria Alpi, prima di essere uccisa a Mogadiscio nel 1994, stesse compiendo delle indagini su

questi peschereggi. La Somalia era diventata negli anni ottanta un grande deposito d'armi, materiale

che poi venivano non solo usato nella guerra civile, ma trasportato in altri paesi in guerra sottoposti

ad embargo.

Le indagini dei carabinieri di Gaeta e della Procura di Latina, sulla base della documentazione

reperita presso la Lloyd's di Londra, la società di assicurazione dei peschereggi, hanno rilevato che

la nave da carico della SHIFCO, la 21 Octobaar II, invece di seguire la rotta Mogadiscio-Gaeta

(dove il pesce pescato al largo delle coste somale veniva confezionato e distribuito), faceva scalo

nei porti dell'Irlanda, Beirut, Tripoli, Malta, Cipro, Iran, Zanzibar. Il timoniere della nave fino al

1991, Mohamed Samantar, dichiarò al giornalista Torrealta, che la nave a Tripoli avrebbe caricato

delle casse di legno con la scritta “explosives” e “CCCP”, casse che poi venivano scaricate a Beirut.

410 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 165-203

411 Pozzo era un uomo vicino alla Democrazia Cristiana, in modo particolre ad Andreotti, che ebbe però degli incontri con Mancinelli e Bearzi che gli assicurò la possibilità di operare in Somalia sotto il benestare di Pilitteri e di poter ancora avere nuovi finanziamenti dal Dipartimento della Cooperazione.

412 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 255-272

234

Il procuratore di Milano Gualdi, nelle sue indagini sul traffico di armi, interrogò Mancinelli,

impiegato presso la Somit Fish, società della SEC, che avrebbe dichiarato che la società italiana

offriva tangenti in armi a Siad Barre per la costruzione delle navi. Silvano Gasperini, ex dipendente

del gruppo Panati dichiarò che aveva visto nel porto di Gaeta casse simili a quelle viste dal

timoniere somalo. Interrogato dalla Digos di Udine un somalo che aveva lavorato nelle navi della

SHIFCO dichiarò che in quei peschereggi venivano trasportate armi provenienti dalla Jugoslavia e

dall'est Europa e destinate al Medio Oriente e che responsabile di queste operazioni era Giorgio

Giovannini, uomo che aveva legami sia con Siad Barre che con Craxi, oltre ad essere socio d'affari

di Said Omar Mugne413. In un intervista al TG3 lo stesso Giovannini dichiarò che le navi della

SHIFCO trasportavano armi. La moglie di Ali Mahdi intervistata da Alberizzi riferì che in Somalia

erano presenti Guido Garelli e Enzio Scaglione, uomini coinvolti nel “progetto Urano”. La moglie

del generale somalo, inoltre, avrebbe riferito che nella corte di Siad Barre c'era anche Giorgio

Giovannini che trafficava armi provenienti dalla Jugoslavia. Giovannini aveva relazioni anche con

Claudio Pacifico, incaricato dell'Ambasciata italiana in Somalia, con Ahmed Gilao414 e con

Giancarlo Marocchino, imprenditore italiano che aveva notevole potere in Somalia detenendo

sostanzialmente il monopolio dei trasporti interni415. Marocchino, indagato per bancarotta

fraudolenta, era giunto in Somalia nel 1984 dopo che la ditta genovese per cui lavorava, la

TRAMAR, che si occupava di trasporto marino soprattutto verso il Nordafrica, era fallita. A

Mogadiscio Marocchino aveva costruito un piccolo impero nell'attività dei trasporti e fu un uomo

spesso utilizzato dalla cooperazione italiana (ad esempio nel trasportare il materiale per la strada

Bosaso-Gaore) senza un regolare contratto. Franco Oliva che aveva lavorato come responsabile

413 SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag. 129-159

414 capo della sicurezza durante il regime di Siad Barre venne chiamato durante l'intervento dell'ONU in Somalia dal contingente italiano IBIS come comandante della Polizia somala.

415 Marocchino nonostante fosse sospettato di trafficare armi venne utilizzato dal contingente italiano durante l'operazione IBIS, affidandogli la distribuzione degli aiuti e la gestione delle scorte armate, avendo un piccolo esercito al suo servizio di circa 400 uomini. Il generale Carmine Fiore lo definirà “un leale servitore dello stato”. Dalle indagini di Torre Annunziata risulta che il traffico di armi continuava ad avvenire sotto gli ochhi del contingente italiano.

235

amministrativo per la cooperazione italiana dal 1986 al 1990, aveva ordinato che venissero ritirati

dai magazzini di Marocchino attrezzature e medicinali della cooperazione che stavano andando in

logoramento e scadendo416.

Le indagini legate ai peschereggi della SHIFCO portarono a rivelare la presenza in Somalia

negli anni ottanta di uomini che gestivano traffici d'armi. Giorgio Garelli era legato all'operazione

del Progetto Urano, un piano che inizialmente prevedeva l'esportazione di rifiuti tossico-nocivi e

radioattivi dall'Europa e dall'America e da destinare al Sahara occidentale, regione rivendicata dal

Marocco ma che chiedeva l'indipendenza. La decisione di attivare il progetto Urano risaliva al 1979

quando Garelli fondò la Compagnia Minera Rio de Oro, con il compito di contattare le aziende

europee che avevano problemi di smaltimento dei rifiuti e che attraverso Luciano Spada era in

relazione con la Waste Management, società americana leader nello smaltimento dei rifiuti.

L'operazione Urano però fallì per dissidi tra il Marocco e il Fronte Polisario, gruppo di guerriglia

che combatteva per l'indipendenza del Sahara occidentale. A metà degli anni ottanta Garelli avrà

sempre più contatti con la Somalia e con il regime di Siad Barre, che dopo l'embargo imposto

dall'Arabia Saudita si trovava sempre più in difficoltà a pagare le armi ed era quindi facilmente

ricattabile. Garelli vedeva nella Somalia il luogo dove i rifiuti tossici provenienti dall'Europa

potevano essere scaricati senza che ci fossero proteste da parte delle autorità locali se queste

venivano ripagate con armamenti. Secondo Luciano Sebri, ex uomo di Luciano Spada, quest'ultimo

nel 1987 si sarebbe incontrato con Marocchino coinvolgendolo nel Progetto Urano II. Lo stesso

Garelli dichiarò in seguito che il suo tramite presso le autorità somale per quel che riguarda il

Progetto Urano II era Marocchino. L'imprenditore italiano, detenendo il monopolio dei trasporti

interni, poteva trafficare armi e rifiuti da Bosaso a Merca senza essere troppo disturbato. Il sistema

che vedeva la Somalia come un deposito di armi e di rifiuti tossici sarà favorito dallo scoppio della

416 Oliva ritornato in Somalia nel 1993 subirà un attentato che lo lascierà gravemente ferito. Nel suo viaggio di ritorno in Italia venne caricato in un aereo militare italiano senza avere alcuna assistenza medica e in condizioni pessime, rischiando di morire. SENATO DELLA REPUBBLICA, CAMERA DEI DEPUTATI, Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, 1996, vol. I, pag.129-159

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guerra civile, per la mancanza di un sistema statale di controllo e per la necessità di armi che

avevano le fazioni in lotta. Progetti come quello Urano potevano essere attuati senza problemi. In

questa operazione erano implicate anche le navi della SHIFCO. I servizi segreti etiopici avevano

rilevato che nella città di Merka, nel sud della Somalia, venivano scaricati fusti provenienti

dall'Italia e sotterrati lungo la strada fra Shialamboi e Merka, dove i tecnici della ditta italiana per la

costruzione della strada lavoravano con maschere anti-gas e dove morirono molte piante e

animali417.

La vicenda della SHIFCO dimostra come negli anni ottanta la Somalia era diventata un

deposito di armi pur essendo la potenza militare più grande dopo il Sud Africa e l'Egitto, con il più

grande arsenale di tutta l'Africa (4 milioni di fucili). Le armi che giungevano in Somalia non

venivano utilizzate solo dal regime di Siad Barre e dai gruppi di guerriglia, ma venivano anche

utilizzate per alimentare la guerriglia palestinese, gruppi terroristici europei come l'ETA e l'IRA, i

conflitti in Medioriente e in Africa e, a partire dagli anni novanta, l'integralismo islamico (questo

spiega gli strani tragitti della SHIFCO).

Le navi della SHIFCO saranno legate anche all'uccisione di Ilaria Alpi e del cameraman

Hrovotin che avevano condotto delle indagini nel porto di Bosaso dove era stata sequestrata, da

pirati guidati dal sultano migiurtino Abdullahi Mussa Boqor, la Faarax Omar, uno dei peschereggi

della SHIFCO.

417 LEONI VON DOHNANYI G., OLIVA F., op. cit., pag. 250-267

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