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PRESENZA CAPILLARE, MA DOVE VA IL VOLONTARIATO ITALIANO? LA LOGICA DELLA GRATUITÀ MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA PERIFERIE LA CITTÀ ABBANDONATA, VIAGGIO NELLE NOSTRE METROPOLI AFGHANISTAN UN PAESE FRUSTRATO, IL FUTURO NON ARRIVA MAI “MICRO” TRENT’ANNI DI PROGETTI, A PICCOLI PASSI VERSO LO SVILUPPO maggio 2007

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PRESENZA CAPILLARE, MA DOVE VA IL VOLONTARIATO ITALIANO?

LA LOGICA DELLA GRATUITÀ

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA. IT

Italia Caritas

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PERIFERIE LA CITTÀ ABBANDONATA, VIAGGIO NELLE NOSTRE METROPOLIAFGHANISTAN UN PAESE FRUSTRATO, IL FUTURO NON ARRIVA MAI

“MICRO” TRENT’ANNI DI PROGETTI, A PICCOLI PASSI VERSO LO SVILUPPO

maggio 2007

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I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 7 3

editoriale di Vittorio NozzaCULLA DELLE RELAZIONI, ANCHE NELL'EPOCA DELL’AFFANNO 3parola e parole di Giovanni NicoliniRAGGIUNTI DALLA PAROLA OLTRE LE PORTE DELLE REGOLE 5paese caritas di Maria TricaricoI DOLCI DELLA DOMENICA: ACCOGLIERE, ARTE CHE SI IMPARA 6

nazionale«CARI VOLONTARI, PROPAGATE LA LOGICA DELLA GRATUITÀ» 8di Paolo BrivioL’IMPEGNO OLTRE IL SERVIZIO, COSÌ VIVONO LE “CITTÀ DEI RAGAZZI” 10di Pietro Gavadatabase di Renato Marinaro 14PERIFERIE, SPAZI SVUOTATI: È LA CITTÀ ABBANDONATA 15di Paolo Pezzanadall’altro mondo di Ginevra Demaio 18LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE, È ORA DI VOLTARE PAGINA 19di Oliviero Forti e Susanna Garavinicontrappunto di Domenico Rosati 21

panoramacaritas TERRA FUTURA, SENZA DIMORA, SOMALIA 22progetti PIANETA CARCERE 24

internazionaleAFGHANISTAN FRUSTRATO, IL FUTURO NON ARRIVA MAI 26servizi e foto di Luigi Biondicontrappunto di Alberto Bobbio 31LA SFIDA DEI CAMBIAMENTI, IL VOLTO REALE DEI POVERI 32di Demétrio Valentini guerre alla finestra di Silvio Tessari 35TRENT’ANNI DI “MICRO”, SVILUPPO A PICCOLI PASSI 36di Claudio Francia e Ferruccio Ferrantecasa comune di Gianni Borsa 39

agenda territori 40villaggio globale 44

ritratto d’autore di Laura Boldrini ORFANI E NAUFRAGHI: “RACCONTATE COSA ABBIAMO VISSUTO” 47

IN COPERTINAUn volontario impegnato

con un piccolo utentedi un doposcuola

per minori a rischioin una parrocchia di Roma

foto Romano Siciliani

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CULLA DELLE RELAZIONI,ANCHE NELL’EPOCA DELL’AFFANNO

editoriale

mosso dalle Caritas dei rispettivi paesi?Caritas Europa negli ultimi anni ha approfondito

queste tematiche, riassumendole nel secondo Rap-porto sulla povertà in Europa, Il bisogno di politicheorientate alla famiglia. Combinando un profondo ra-dicamento nell’esperienza quotidiana di ascolto, curae servizio alle famiglie in difficoltà con gli esiti di stu-di accademici d’elevato livello, il rapporto pone l’ac-cento sulle situazioni di disagio in 42 paesi del conti-nente, partendo dalla convinzione che la povertà siaun fenomeno multi-dimensionale e con molteplicisfaccettature, basato non solo sul reddito, spesso ca-ratterizzato da aspetti di cronicità.

Riflettendo anche sui dati contenuti nel Rapportoannuale dell’Istat, emerge l’immagine di una famiglia

degli aspetti antropologici ed eticiche stanno alla base del costume edell’istituzione famigliare. Questaseparazione, oltre a rendere fragilel’individuo e la sua esperienza mo-rale, rende difficile alla società la re-golazione giuridica di tanti aspettidella vita matrimoniale e famigliare.

Donne sotto pressioneLa famiglia di Ramazi e Maya vive inGeorgia, in una povera stanza neipressi di un inceneritore. La fami-glia di Hachick e Lucy vive in Tur-chia, in miseria, un figlio di 26 annimalato mentale grave. L’infima pen-sione dell’anziana Nina permetteappena la sussistenza a lei, alla figliaSvetlana, da tempo abbandonatadal marito, e ai nipotini alla perife-ria di Novgorod, in Russia. Quantesono le famiglie italiane ed europeein situazioni simili? Quale futuro siprospetta loro, che vivono di quoti-diani espedienti e dell’aiuto pro-

L’ampio dibattito che si è aperto intorno ai temi fonda-mentali della vita e della famiglia chiama in causa uo-mini e donne di buona volontà come custodi di una ve-

rità e di una sapienza che traggono la loro origine dal Vangelo eche continuano a produrre frutti preziosi di amore, fedeltà e ser-vizio agli altri, come testimoniano ogni giorno tante famiglie.L’uomo nella relazione, in primis in ambito familiare, realizza lasua identità di persona. E la famiglia è per l’uomo il luogodelle forme primarie di relazione:tra uomo e donna e tra genitori e fi-gli. Queste esperienze dovrebberopoi essere confermate dalla culturae dai processi di socializzazione. Inrealtà la nostra cultura nasconde erende fragili quelle evidenze antro-pologiche ed etiche. È una culturache indebolisce i legami e la durata,rende fragile l’istituzione e la forzadel gruppo e affida la solidità dellafamiglia quasi esclusivamente al de-siderio di felicità del singolo e al suosentimento.

Si spiegano così alcuni fenomeni caratteristici dellenostre società: la secolarizzazione dell’istituzione delmatrimonio, che si manifesta nella diffusa esitazione asposarsi e nel moltiplicarsi di forme di convivenza; la fa-cilità alle separazioni e ai divorzi; il diffondersi di unaconcezione di leggerezza e della banalizzazione dellasessualità; i dubbi e le incertezze sulla differenza di ge-nere e sulla natura stessa della famiglia; il senso nuovodel figlio e le difficoltà della generazione e dell’educa-zione. È come se le persone, che continuano a fare leesperienze fondamentali fondate nelle relazioni prima-rie della famiglia, si trovassero poi smarrite come indi-vidui in una società complessa, che si interessa solo del-l’organizzazione funzionale e quasi burocratica di rap-porti sociali e diritti individuali, ma non si prende cura

La cultura la rendefragile. La povertà la

corrode. La politica nonla sostiene. La pastoralele riserva poco spazio.

Ma la famiglia non cessadi essere il luogo

primario in cui ciascunocostruisce la propriaidentità di persona

di Vittorio Nozza

ItaliaCaritas

direttoreVittorio Nozzadirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato, Livio Corazza,Salvatore Ferdinandi, Renato Marinaro,Francesco Marsico, Francesco Meloni,Giancarlo Perego, Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna ([email protected])Simona Corvaia ([email protected])stampaOmnimediavia Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408sede legalevia Aurelia, 796 - 00165 Romaredazionetel. 06 [email protected]. 06 66177205-249-287-505inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie [email protected]. 06 66177202spedizionein abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478dell’8/2/1969 Tribunale di RomaChiuso in redazione il 20/4/2007

sommario ANNO XL NUMERO 4

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RAGGIUNTI DALLA PAROLAOLTRE LE PORTE DELLE REGOLE

parola e parole

non sono capaci di salvare la gente.E quindi, inevitabilmente, condan-nano ed escludono. Le regole ci vo-gliono, ma bisogna che le avvolgia-mo di Vangelo. Il Vangelo infatti ècapace di arrivare dappertutto, am-monisce tutti, e promuove in tuttiuna strada nuova. Ognuno parte dadove si trova, ovviamente! Qualcu-no parte da molto lontano! E quin-di anche il primo piccolo passo checompie, è un grande passo!

Le regole, lo sappiamo, non ten-gono conto delle persone. Purtrop-po “la legge è uguale per tutti”! An-che il Vangelo è sempre uguale, macome dice la Bibbia a proposito del-la manna che scendeva ogni giornonel deserto per nutrire i nostri padriebrei, “si adatta al gusto di ciascuno”,sicché il Vangelo ognuno lo trovabuono e a ognuno fa del bene.

Come è possibile un amore cosìassolutamente illimitato? Ce lo mani-festa Gesù stesso, quando (arrivando

in mezzo a noi) ci mostra le ferite della sua Croce: GesùCristo è, nella storia religiosa del mondo, l’unico Dio mor-to per amore della sua gente! Per questo Lui può annun-ciare e proclamare la pace: “Pace a voi”. E tutti noi possia-mo gioire, perchè da questi segni Lo riconosciamo.

Parlandomi della situazione molto difficile di suo fi-glio, una vicenda che lo mette decisamente “fuori”, suopapà mi diceva: «Per me l’importante è che lui sappia concertezza che in ogni modo è figlio di Dio». E io sono d’ac-cordo. Perchè è impossibile sperare che qualcosa in qual-cuno possa cambiare, se questo qualcuno non si senteamato. Anzi, misteriosamente, prediletto.

storica nella quale ognuno si trova.La storia è complessa. Il cuore del-l’uomo è fragile. Ma la Parola di Dio ècapace di muoversi e di raggiungereanche la situazione più lontana e de-solata. Per la Parola di Dio non c’è“chi è dentro” e “chi è fuori”. Lo si co-glie bene dall’annuncio evangelicodella visita che il Signore Risorto ren-de ai suoi la sera di Pasqua.

Dicevamo dunque che per ilVangelo del Signore e per il Signo-re del Vangelo non c’è “dentro efuori”. Piuttosto, tutti siamo “chiu-si dentro”, perchè ognuno e tutti, chi in un modo chiin un altro, siamo prigionieri del nostro male. Sappia-mo bene che Dio ha messo tutti nel peccato per met-tere tutti nella sua misericordia. Ed ecco allora questomeraviglioso Signore, capace di entrare “a porte chiu-se” – non c’è barriera che Lo possa fermare – che arri-va in mezzo a noi, umanità povera, sempre irrimedia-bilmente “giù di posto”, fuori regola.

Misteriosamente predilettoChi infatti è “in regola”? Chi è “senza peccato”? Le rego-le stabiliscono dei limiti, giustamente. Ma, purtroppo,

La storia dell’uomo è complessa. Il cuoredell’uomo è fragile. Tutti siamo “chiusidentro” il peccato.

Ma la potenzadell’amore di Dio

incontra, come fa Gesùcon i discepoli dopo

la sua morte, anche lasituazione più desolata

Abbiamo molto bisogno, e molta voglia, di annunciare tutta la

potenza dell’amore di Dio. Il momento storico delicato e com-

plesso che la comunità ecclesiale sta attraversando rischia di

oscurare nei cuori di molti fratelli la certezza che il Padre vuole bene

a tutti i suoi figli. Figli che gli sono carissimi e che Egli ha riscattato al

carissimo prezzo della morte di suo Figlio. A motivo di Lui, Gesù, tut-

ti hanno un posto prezioso nel cuore e alla mensa dell’unico Padre.

Il Padre ha una Parola buona per tutti, qualunque sia la condizione

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte delluogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzoa loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoligioirono al vedere il Signore. (Giovanni 20,19-23)

editoriale

in affanno, messa sotto pressione da un mercato dellavoro che in pochi anni ha trasformato i ritmi dellavita. Ma soprattutto in affanno sono le donne, gravateda tassi di disoccupazione più alti degli uomini, da unimpegno nel lavoro familiare non condiviso paritaria-mente con il partner, da livelli di retribuzione inferio-ri ai colleghi maschi. Donne che debbono farsi aiuta-re dai genitori per accudire i figli, data la scarsità o laforte onerosità degli asili non pubblici, e che si trove-ranno ad accudire i propri vecchi senza un sistema ditutele e prestazioni tale da non dovere ricorrere almercato per ottenere servizi di cura.

Non si tratta, in questi casi, di povertà. Non si staparlando dell’11% delle famiglie sotto la linea di po-vertà, ma della normalità delle famiglie italiane non ric-che, dei giovani che subiscono un tasso di disoccupa-zione di dieci punti superiore agli adulti e che si trovanodi fronte a un mercato immobiliare fuori portata. Si par-la dei quattro milioni di lavoratori che hanno un reddi-to insufficiente (sotto i 700 euro), delle tante famigliemonoreddito. Quale vita, quale famiglia, quali relazioni,quale futuro costruire in queste condizioni? Quale siste-ma di valori si riesce a promuovere concretamente?

Ordinarie vicende di aperturaLa famiglia è certamente bisognosa di specifiche atten-zioni anche a livello pastorale. Particolare cura deve es-sere rivolta alle famiglie segnate dal dolore, dalla sepa-razione dei coniugi o da relazioni parentali frantumatee confuse. Esse rappresentano ormai una percentualesignificativa, a volte addirittura la maggioranza delle fa-miglie nei territori. Le Caritas parrocchiali sono chia-

mate a valorizzare le opportunità di contatto per impo-stare cammini di relazione, ascolto, cura e accompa-gnamento. Rafforzata dalla grazia del sacramento, la fa-miglia può diventare luogo esemplare per costruire iltessuto di una parrocchia che si fa “famiglia di famiglie”e realizza, in contesti più ampi, nuove storie di prossi-mità e missionarietà. Lo dimostrano, pur nella sempli-cità dei cammini, le numerose esperienze di famiglieche costruiscono comunione tra i propri membri, con-dividono la cura di figli e anziani, trovano la forza di ac-cogliere chi è nel bisogno.

Ma non è solo nel porsi al servizio del prossimo fuo-ri di sé che la famiglia vive la carità. Occorre richiamareinstancabilmente il valore della carità dentro la fami-glia. Parlare di “famiglie solidali”, infatti, può comporta-re il rischio di individuare un ambito pastorale elitario(pure degnissimo di promozione) che non considera di-verse e più ordinarie possibilità di “apertura”.

Nonostante queste grandi potenzialità, la parroc-chia sembra riservare poco spazio alla famiglia. La fati-ca a costruire proposte specifiche di partecipazione e adorganizzare alcuni tempi parrocchiali sulle loro esigen-ze può portare le famiglie, o loro singoli membri, all’al-lontanamento. Sono tuttavia da segnalare esperienzesignificative di piccoli gruppi di famiglie che si incon-trano per spezzare insieme la Parola e condividere ilsenso della propria vocazione nel quotidiano. E non sipossono trascurare le preziose opportunità offerte daimovimenti, pur nella necessità di progettare l’integra-zione di queste esperienze nel più ampio orizzonte par-rocchiale. Segni da coltivare, semi di comunità capaci direlazioni umane solide, mature, solidali.

di Giovanni Nicolini

Le persone, che continuano a fare l’esperienza crucialedelle relazioni primarie della famiglia, si trovano

smarrite, in quanto individui, nella società complessa

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I DOLCI DELLA DOMENICA:ACCOGLIERE, ARTE CHE SI IMPARA

instabilità psichica, portando scom-piglio e disorientamento nelle altreospiti della casa, tanto che fu neces-sario ricoverarla nel presidio psi-chiatrico territoriale.

Questa triste esperienza però eb-be anche risvolti positivi. Anzituttofacilitò l’accoglienza reciproca dellestraniere inserite nel progetto “Agar”;tutte loro, meravigliando le operatri-ci, fecero a gara per far pervenire allaloro “collega” in difficoltà un messag-gio di amore e solidarietà. Nel frat-tempo le suore Marcelline, la cuiscuola materna era già frequentata da alcuni bimbi ospitidella casa, si sentirono coinvolte nella vicenda e offrironoaccoglienza gratuita al bambino di Mary. Questa sensibi-lità e disponibilità furono di esempio ad altre strutture delterritorio. E successivamente anche i condomini – circatrenta – dello stabile ove è ubicata la casa, prima intolle-ranti o indifferenti nei confronti delle donne straniereospitate (specie se di colore), cambiarono atteggiamento.Di conseguenza, quando Lucia fu dimessa dall’ospedale,trovò un ambiente accogliente e caloroso. La sua convale-scenza fu accompagnata dalla amorevole comprensionedelle operatrici della casa e delle ospiti. E il mutato atteg-giamento dei condomini arrivò persino a coinvolgere unapasticceria della zona: ogni domenica cominciarono apervenire alla casa dolci ottimi e di vario genere.

nel frattempo le diedero questa op-portunità. Oggi la posizione burocra-tica di Lucia è stata risolta ed ella staper essere formalmente assunta conregolare contratto di lavoro part ti-me. Pur continuando a prendere de-terminate medicine, Lucia è tornatain pieno possesso delle sue facoltàpsichiche ed è ben inserita nella co-munità del progetto “Agar”.

Che morale trarre da questaesperienza? Le straniere ospiti dellacasa d’accoglienza, prima guardatecon diffidenza, hanno stretto rela-

zioni di amicizia con i condomini del palazzo e con il vi-cinato, che nei momenti di difficoltà non esitano a pro-digarsi in loro favore. L’esperienza di Lucia, soprattutto,ha fatto comprendere ai volontari più propensi a occu-parsi delle forme di povertà tradizionali e più legati alperbenismo, che i soggetti psichicamente deboli, spes-so a stento supportati dalla famiglia di origine, possonoguarire perfettamente e riacquistare la dignità perduta,se sono circondati da affetto e comprensione, essendolo scompenso psichico molte volte causato da difficilirelazioni esistenziali o da situazioni di violenza.

L’esperienza vissuta, infine, ha fatto comprendere atutti che il povero ha sempre il volto di Cristo, qualun-que sia la forma della sua debolezza. E ha educato noitutti ad amare senza giudicare.

Lontano dal perbenismoNon è tutto. Alcuni medici del centrodi igiene mentale e dell’Asl (Lucia,per ritardi burocratici, non era anco-ra riuscita ad avere il libretto sanita-rio) scelsero di offrire gratuitamenteprestazioni mediche all’ospite rume-na. Dopo qualche tempo consiglia-rono di inserire Lucia in un’attivitàlavorativa, per tre-quattro ore gior-naliere: le relazioni amicali createsi

Mary e Lucia approdanoinsieme nella casa

di accoglienza. Ma gli esiti sono diversi.

Una delle due donne è segnata dalla malattia

mentale: accettarla non èfacile. Alla fine, un intero

territorio si educa adamare senza giudicare

paese caritasdi Maria Tricarico

direttrice Caritas Foggia

Nel 2006 fu chiesto alla Caritas diocesana di Foggia, da parte delle

istituzioni locali, di ospitare nella casa di accoglienza per donne

del progetto “Agar” una donna nigeriana – vittima della tratta –,

madre di un bimbo di undici mesi, e una signora rumena, vittima di

violenze da parte del datore di lavoro e di alcuni suoi complici. Mary, la

donna nigeriana, si ambientò subito tra le ospiti della casa, anche gra-

zie al bimbo che socializzò con gli altri bimbi e con le operatrici. Inve-

ce Lucia, la donna rumena, sin dai primi giorni diede prova di grande

Italia CaritasIl periodico è una finestra mensile sulle esperienze Caritas. E sui fenomeni che, in Italia e nel mondo, ci provocano alla solidarietà

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aprendo un dibattito pubblico di alto profilo. Ciò è ne-cessario soprattutto oggi, a causa sia della prossima di-scesa in campo dell’impresa sociale – la nuova figuragiuridica nata con una legge dell’anno scorso –, sia del-la prossima modifica degli articoli del codice civile. Miauguro che Caritas Italiana voglia giocare un ruolo daprotagonista in tale importante circostanza.

Anni fa lei ha asserito che la permanenza del vo-lontariato nel nostro paese, almeno nelle formein cui lo abbiamo tradizionalmente conosciuto,non si poteva dare per scontata. Quale analisi sipuò fare oggi?

È possibile pensare al volontariato non più soltanto co-

Quello del volontariato è un cammino stretto tra la Scil-la della professionalizzazione e il Cariddi dell’hobby-smo. Bisogna saper resistere sia all’invito di chi vorreb-be che il volontariato si professionalizzasse semprepiù, per essere in grado di competere con cooperativesociali o associazioni di promozione sociale per la for-nitura di servizi, sia alle sollecitazioni, provenienti dadiversi fronti, tese a ridurre il volontariato a merohobby. Ad esempio, negli scritti di Robert Putnam è svi-luppata l’idea secondo cui chi resta senza attività lavo-rativa potrebbe svolgere servizi socialmente utili, nelvolontariato. Ecco perché in Italia è necessario affron-tare il problema della revisione della legge quadro sulvolontariato, la 266/1991, con molta avvedutezza,

8 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 7 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 7 9

nazionalenon profit e dintorni

olontariato. Dire cosa sia, nella so-cietà della frammentazione e nellastagione culturale del soggettivi-smo, è sempre più complesso. An-che perché, in Italia, la sua presen-za si fa ogni giorno più capillare, e

però più pulviscolare. Una galassia di iniziati-ve, idee, generosità e dinamismi che è diffici-le conoscere, figuriamoci coordinare e orientare. An-che a causa di strumenti normativi come minimo daaggiornare, e di un modello di rapporto con le istitu-zioni (e sull’altro versante con il mercato) sempre a ri-schio di strumentalizzazioni. La Conferenza nazionaledel volontariato, svoltasi a Napoli a metà aprile (vedi

box nella pagina a fianco), ha affrontato alcu-ni di questi temi. Su cui Italia Caritas riflettecon Stefano Zamagni (nella foto), professoredi economia politica all’Università di Bolo-gna, da gennaio presidente dell’Agenzia na-zionale per le Onlus, uno dei massimi esper-ti, in Italia, del non profit e del suo ruolo nel-le società contemporanee.

Professore, cominciamo dallo scenario più ampio.Il volontariato che rimanda alla gratuità (di moti-vazioni e prestazioni) verrà sempre più assorbitonella vasta area del terzo settore, con le sue caratte-ristiche di professionalità e imprenditorialità?

intervista di Paolo Brivio

V«CARI VOLONTARI, PROPAGATE LA LOGICA DELLA GRATUITÀ»

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I duemila di Napoli, riaperto il confronto con la politica

«Un successone», l’ha definita il ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero.Certamente dal punto di vista della partecipazione: a Napoli la quinta Conferenzanazionale sul volontariato, organizzata dal ministero, ha radunato a metà aprile 2.182 persone, in rappresentanza di 1.764 associazioni e 418 altri enti. Il ministroFerrero ha annunciato, tra le altre cose, l’istituzione di un gruppo di lavoro per la riforma della 266, la legge-quadro sul volontariato, e l’estensione a tutti delle esperienze simili alle “150 ore” per i lavoratori che intendono fare volontariato.Ma ha anche affermato che «accanto alla programmazione e alla gestione, oggi non c’è la fase di un controllo dal basso dei servizi di welfare: questa può essereindividuata come un’attività propria del volontariato, alla quale può dare un contributoimportante». Il presidente del consiglio Romano Prodi ha insistito sulla gratuità, «parola pesante, ma costitutiva del volontariato. Che deve essere gratuito, ma in rete con tutti i soggetti pubblici e privati e con le istituzioni, perché si realizziun’infrastruttura sociale essenziale per garantire la coesione del sistema».

Maria Guidotti e Vilma Mazzocco, portavoce del Forum del terzo settore, hanno riconosciuto che da Napoli «riparte il dialogo, che si era interrotto, tra volontariato e istituzioni ed emerge chiara l’esigenza di rafforzare l’identità peculiare del volontariato nelle sue parole chiave: gratuità, solidarietà, partecipazione,cittadinanza. Il Forum auspica che ora si attivino tutte le sedi di confronto per dare risposte concrete alle esigenze emerse dal ricco dibattito».

Alla Conferenza si è appreso che la commissione affari sociali della camera ha “incardinato” la riforma della legge 266 e nelle prossime settimane comincerà a discutere e raggruppare i diversi testi presenti. Il presidente della commissione,Mimmo Lucà, ha assicurato che la riforma «sarà concertata e non calata dall’alto».

Il volontariato ha celebrato a Napoli la quintaConferenza nazionale. Ma qual è il suo ruolo nel paese?Parla Stefano Zamagni, uno dei massimi espertidel tema. «Bisogna andare oltre il ruolo di supplenza»

L’ARTE DI RECUPERARSIVolontaria e ospitia Vigevano in una comunitàper tossicodipendenti

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finanziamento della spesa sociale. Ma, in tal modo, essospiazza il principio di gratuità, negando, a livello di di-scorso pubblico, ogni valenza a principi diversi da quel-lo di solidarietà. Però una società che elogia a parole ilvolontariato e poi non riconosce il valore del serviziogratuito nei luoghi più disparati del bisogno, entra, pri-ma o poi, in contraddizione con se stessa. Se si ammet-te che il volontariato svolge una funzione profetica o –come è stato detto – porta con sé una “benedizione na-scosta” e poi non si consente che questa funzione di-venti manifesta nella sfera pubblica, perché a tutto e atutti pensa lo stato sociale, è chiaro che lo spirito del do-no, virtù civile per eccellenza, non potrà che registrareuna marcata atrofia (la virtù, infatti, a differenza di unarisorsa scarsa, si decumula con il non uso). In ogni caso,quando è la persona in quanto tale a essere messa in di-scussione, il fine della società solidale non basta più.Occorre mirare alla società fraterna: una società, cioè,che consente agli eguali di affermare la propria diversità(di identità, di modi di vita, ecc.). La solidarietà, invece,è il principio di organizzazione sociale che tende a ren-dere uniformi i diversi. Ciò che manca alla società giu-sta è la dimensione della gratuità, quindi la possibilità

tuale a chi è desolato. Eppure, è evidente che i beni digratuità sono fondamentali per il bisogno di felicitàche ciascuna persona si porta dentro.

Caritas rappresenta una galassia di soggetti che ba-sano la propria capacità d’azione sul volontariato eattingono a un patrimonio di motivazioni religiose.Quale ruolo può avere, in una società pluralistica, ilvolontariato cristianamente ispirato?

Dove non c’è gratuità non può esserci speranza. La gra-tuità – che per il cristiano è propriamente la carità –non è una virtù etica, come lo è la giustizia. Riguarda,infatti, la dimensione sovraetica dell’agire umano; lasua logica è quella della sovrabbondanza. La logica del-la giustizia, invece, è quella dell’equivalenza (ovverodella proporzionalità), come già Aristotele insegnava.Ecco perché la speranza non può ancorarsi alla giusti-zia: in una società, per ipotesi, perfettamente giusta – ebasta – cosa potrebbero sperare i suoi cittadini? Noncosì in una società fraterna, dove il principio di gratuitàha messo radici profonde: la speranza, infatti, si nutredi sovrabbondanza. Ecco ciò che è specifico del volon-tariato cristianamente ispirato.

Aumentano le organizzazioni: molte a nord, piccole, con utenti

Nel biennio 2004-2005, l’Istat ha svolto la quintarilevazione sulle organizzazioni di volontariato iscrittenei registri regionali e provinciali al 31 dicembre2003. Rispetto alla rilevazione riferita al 2001,l’incremento è stato del 14,9%; rispetto alla primarilevazione, riferita al 1995, esse sono aumentatedel 152%, da 8.343 a 21.021 unità, a causasia della costituzione di nuove unità (8.530),che dell’iscrizione nei registri di organizzazionipreesistenti (4.148). Nel 2003, per ogniorganizzazione che ha cessato la sua attività,se ne sono iscritte più di dieci.

L’ultima rilevazione evidenzia alcunecaratteristiche salienti dell’universo delleorganizzazioni di volontariato. In particolare si osserva il loro forte radicamento nelle regionisettentrionali (anche se sono aumentate in misurarelativamente più accentuata nel mezzogiorno); la prevalenza relativa di piccole dimensioniorganizzative, sia in termini di volontari attivi che

di risorse economiche disponibili; la maggiorepresenza, tra i volontari, di maschi e di persone tra 30 e 54 anni, diplomate e occupate; la concentrazione relativa di unità nei settori sanità e assistenza sociale (anche se aumentano quelleoperanti in settori meno “tradizionali”); l’aumento del numero di organizzazioni che hanno utenti direttie, conseguentemente, del numero di chi si rivolge ad esse per soddisfare le proprie esigenze.

Questi dati, però, non esauriscono la complessitàdel mondo del volontariato e del non profit.Fivol (la Federazione italiana volontariato) ha per esempio stimato che il numero di organizzazioni di volontariato attive in Italia nel 2006 era di 26 mila(contro le 12 mila di dieci anni prima). Infine,ampliando l’ambito di osservazione, secondol’ultimo censimento Istat in Italia sono attive oltre 235 mila istituzioni non profit, che danno lavoroa circa 630 mila persone e possono contaresu 3 milioni 300 mila volontari.

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nazionale

non profit e dintorni

me strumento per colmare le carenze del welfare state –come finora è stato in gran parte –, ma come a un agireil cui senso è contribuire a cambiare il modo d’esseredelle istituzioni economiche? È intorno a questo interro-gativo che bisogna alzare il livello della riflessione. Se-condo me, nelle attuali condizioni storiche la missionefondamentale del volontariato è costituire la forza trai-nante per la propagazione, nelle sfere politica ed econo-mica, della logica della gratuità e dell’etica del bene co-mune. Se invece il volontariato si accontenterà di svol-gere meri ruoli di supplenza delle pubbliche istituzioni,oppure si limiterà a presidiare la nicchia che con merita-to successo è riuscito a conquistarsi fino a oggi – magaripretendendo per sé lo status di un improbabile “quartosettore” –, allora sarà difficile che esso possa scongiurareuna lenta eutanasia. Per assolvere a tali compiti infattibastano e avanzano la filantropia compassionevole, perun verso, e lo stato benevolente, per l’altro verso.

Neoliberisti e neostatalisti: nessuno, in realtà, pro-clama l’insignificanza del volontariato…

Il fatto inquietante è che il volontariato viene oggi “strat-tonato” da entrambi, sebbene con motivazioni e argo-menti tra loro molto diversi. I neoliberisti si appellano al-l’azione volontaria per portare sostegno alle ragioni del lo-ro “conservatorismo compassionevole”, al fine di assicu-rare i livelli minimi dei servizi sociali ai segmenti debolidella popolazione, che lo smantellamento del welfare sta-te da essi invocato lascerebbe senza copertura alcuna. Maciò genera un paradosso sconcertante: come si fa a parla-re in favore di comportamenti di tipo filantropico, cioè aincoraggiare lo spirito donativo, quando la regolazionedell’attività economica viene basata esclusivamente sul-l’interesse proprio e sulla razionalità strumentale, ovverosull’assunto antropologico dell’homo oeconomicus? Il vo-lontariato autentico risolve questo paradosso, perché cimostra che l’attenzione ai meno dotati non è oggettuale,ma personale. L’umiliazione di essere considerati “ogget-ti”, sia pure di filantropia o di attenzione compassionevo-le, è il limite grave della concezione neoliberista. Il volon-tariato autentico non segue questa logica.

È più “amico” di chi difende l’impegno statale?Non diverso, in realtà, è lo “strattonamento” che vienedalla concezione neostatalista, che genera un parados-so analogo, sia pure simmetrico. Presupponendo unaforte solidarietà dei cittadini per la realizzazione dei di-ritti di cittadinanza, lo stato sociale rende obbligatorio il

della speranza. Il volontariato mira allora a realizzare lecondizioni per una società fraterna.

“Fraternità”: questo concetto viene sempre più uti-lizzato come antidoto ai problemi di una società edi una cultura segnate dal primato dell’economia edella razionalità tecnologica. Perché spetta al vo-lontariato prepararne le condizioni?

Vi sono due categorie di beni: quelli di giustizia e quellidi gratuità. I beni di giustizia – ad esempio quelli assicu-rati dal welfare state – fissano un preciso dovere in capoa qualche ente (lo stato, ma non solo), affinché i dirittidei cittadini su quei beni vengano soddisfatti. I beni digratuità, invece – ad esempio i beni relazionali –, fissanoun’obbligazione che deriva dallo speciale legame che ciunisce l’un l’altro. È il riconoscimento di una mutua li-gatio tra persone a fondare una ob-ligatio.

Mentre per difendere un diritto si può (e si deve) ri-correre alla legge, a un’obbligazione si adempie per viadi gratuità, in seguito al processo di riconoscimentoreciproco. Mai nessuna legge, neppure quella costitu-zionale, potrà obbligarci a essere simpatici nei con-fronti di chi ci sta di fronte o a recare conforto spiri-

“VOGLIA DI MARE”Accoglienzanello stabilimentobalneare per disabili di San Felice Circeo

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Il volontariato? Generatore di speranza. Anche in situazioni sociali difficili. Anche in Sicilia. Un esempio concretoe vivace sono i due centri per minori, nati nel giro di poco più di due anni nel comune di Caltanissetta, che operano grazie ai volontari della Caritas diocesana. «Il vescovo ci ha chiesto di dedicare particolareattenzione alla fascia dei minori a rischio, soprattutto nei quartieri segnati da situazioni di disagio e difficoltà – racconta Donatella D’Anna, 29 anni, volontaria Caritas –. Così due anni fa abbiamo cominciato la nostraesperienza, dando vita a un classico Grest, un centro estivo per i bambini dei quartieri Angeli e San Francesco.Dopo una prima fase in cui sono state impegnate molte unità di strada per allacciare contatti e stringererelazioni, i bambini sono stati invogliati a frequentare un luogo fisso in modo stabile, l’ex orfanotrofioTestasecca. Un’ala dell’istituto è assegnata all’attività della Caritas: oggi una ventina di bambini frequentano in modo assiduo quella che è stata chiamata “La città dei ragazzi”, possono divertirsi con attività ludiche e partecipare al doposcuola, grazie anche alla disponibilità gratuita di alcuni insegnanti».

Due anni fa, per avviare il servizio è stato fondamentale l’apporto di alcuni volontari del servizio civile. Ora “La città dei ragazzi” continua a operare soprattutto grazie a quattro giovani che, “folgorati” da quell’esperienza, hanno deciso di continuare a donare il loro tempo ai più piccoli. I risultati sono stati cosìsignificativi, che il comune di Caltanissetta ha invitato la Caritas diocesana a replicare l’esperienza nel quartiereSanta Flavia. Così è stata individuata una struttura dove a marzo è nata “La città dei ragazzi 2”. Per ora i bambini utenti sono prevalentemente figli di italiani, mentre “La città 1” è frequentata anche da un gruppettodi bambine marocchine. «Spesso questi minori – conclude Donatella – vengono da situazioni familiari disagiate,a volte uno dei genitori è in carcere. Il ruolo dei volontari è cruciale per capire e animare questi minori. Manessun volontario è lasciato solo: partecipano tutti a incontri di formazione orientati a mettere in luce il nostroorizzonte valoriale, poi ad altre riunioni in cui ci si confronta su come svolgere nel modo migliore il servizio».Intuizione e disponibilità, più formazione: una ricetta che può far germinare futuro anche dai terreni più aspri.

[Pietro Gava]

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nazionalenon profit e dintorni

Nelle prime interviste da presidente dell’Agenzia,lei ha dichiarato che è necessario lavorare perché ilprossimo censimento della popolazione italiana,nel 2011, proponga dati più attendibili su dimen-sioni e diffusione del non profit e del volontariatonel nostro paese. Da cosa nasce la necessità di ana-lisi più accurate?

Chi conosce da dentro il mondo del terzo settore sa chele cifre correnti relative alla sua consistenza sottostima-no, anche pesantemente, la sua rilevanza, soprattutto ri-guardo al segmento dell’associazionismo. La prima rile-vazione censuaria dell’Istat, nel 1999, ha riguardato lesole “unità istituzionali” e non anche le “unità locali”(ovvero le cellule territoriali di grandi organizzazioni,ndr); poi, nell’ottavo censimento generale dell’industriae dei servizi, l’Istat ha rilevato anche i soggetti non profit.In aggiunta alle informazioni di tipo censuario, l’Istat harealizzato nel periodo 1995-2006 rilevazioni di tipo strut-turale su segmenti specifici (organizzazioni di volonta-riato, cooperative sociali, fondazioni). In vista del 2011,

l’Istat dovrà predisporsi per il nono censimento genera-le dell’industria e dei servizi, che comprenderà anche glienti non profit. In questo quadro, l’Agenzia per le onlussi propone di avviare una collaborazione molto strettacon l’Istat, al fine di individuare la strategia ottimale perdotare il mondo del non profit della base informativache esso merita: non solo informazioni sulla strutturaorganizzativa dei soggetti, ma anche su risorse umane,risorse finanziarie, settori di attività economica e di in-tervento, servizi offerti dalle unità istituzionali e da quel-le locali. Si tratta di costruire un archivio capace di forni-re statistiche strutturali su base campionaria. Un taleobiettivo darà nuovo slancio alle ricerche empiriche inambito economico-politico, economico-aziendale e so-ciologico. Dobbiamo colmare il gap conoscitivo che cisepara dai paesi europei e nordamericani.

L’Agenzia da lei oggi presieduta ha sinora sviluppa-to soprattutto le sue funzioni ispettive e di control-lo sul mondo delle Onlus. Come intende sviluppare

anche l’azione di promozione culturale dei soggettie dei valori del non profit?

È un fatto che il nostro paese, pur vantando un terzo set-tore che in termini relativi non è secondo a quello di al-cun paese dell’occidente avanzato, possiede corsi di lau-rea e diversi master universitari rivolti al terzo settore(peraltro attivi da appena dieci anni), ma non un dotto-rato di ricerca specificamente rivolto a esso. Ciò rappre-senta il vincolo più serio alla piena legittimazione cultu-rale del terzo settore e, di conseguenza, alla sua espan-sione e diffusione. Fino a che il mondo del non profitnon si renderà autonomo anche sotto il profilo culturalee scientifico, mai potrà sperare di ricoprire un ruolo daprotagonista nel processo di sviluppo e progresso civiledel paese. Non bastano, a tal fine, né l’autonomia orga-nizzativa né quella economico-finanziaria. Autonomiaculturale significa che il terzo settore deve essere in gra-do di produrre al proprio interno quel “pensiero pen-sante” che vale a orientare la sua azione. Non può conti-nuare a vivere di luce riflessa: dagli altri due settori, stato

e mercato, può ricavare, adattandolo opportunamente,il “pensiero calcolante”, ma non può delegare a essi ilcompito di generare il proprio pensiero pensante. Sareb-be questa la strada certa per una lenta eutanasia, oppu-re per un insignificante isomorfismo. C’è urgente biso-gno di coinvolgere in tale impresa il mondo dell’univer-sità. L’Agenzia per le onlus si attiverà in questa direzione.

È utopico pensare a questi traguardi di autonomia esviluppo?

Penso di no. In ogni caso, è la distopia, assai più che l’uto-pia, che si deve temere quando si inizia un cammino. Ladistopia è l’atteggiamento tipico del cinico, di chi ritieneche non ci sia molto da fare, perché nulla potrà mai esse-re mutato in meglio. È la malattia che prende chi è domi-nato da quelle che Spinoza chiamava “le passioni tristi” –non però la tristezza del pianto o della fatica, ma quelladella delusione o della frammentazione. Il terzo settoredel nostro paese non può dare spazio, perché non lo me-rita davvero, a disposizioni d’animo distopiche.

L’impegno oltre il servizio, così vivono le “Città dei ragazzi”

CITTÀ DEI RAGAZZIAnimazione nell’oratoriodella parrocchia San Marcoa Caltanissetta

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esclusione socialepolitiche socialidatabase

nenti disabili e oltre il 40% delle fami-glie con persone disabili nel sud di-chiarano che avrebbero bisogno diassistenza sanitaria a domicilio. Par-ticolarmente critica appare la situa-zione delle donne anziane nel sud,tra le quali la percentuale di disabilisfiora il 30%, contro il 19,5% delle coe-tanee nel nord Italia.

Un terzo soddisfattiL’indagine offre molti altri dati digrande interesse. Meritano segnala-zione quelli sul numero di visite ef-fettuate: è aumentato, negli ultimicinque anni, del 16,7% e ha riguarda-to soprattutto gli ultra settantacin-quenni (+36,7%). Il 57% delle visitespecialistiche è pagato interamentedalle famiglie ed è elevata la quota dipersone di status sociale basso(46,8%) che si fanno carico della spe-sa. Il 21% degli accertamenti specia-listici è a pagamento. Le persone distatus sociale più elevato fanno più

visite e accertamenti specialistici, mentre le persone conlivello di istruzione più basso fanno più visite generiche(41,2%, contro il 18,1%), accertamenti di laboratorio(23,3%, contro il 16,9%) e ricoveri (4,4%, contro 2,3%).

Altri dati della ricerca confermano soprattutto la for-te relazione tra basso livello di istruzione, basso statussociale ed elevati rischi di salute, con particolare riferi-mento a patologie croniche gravi, obesità e fumo. Ilquadro che ne emerge fotografa un sistema in difficoltànel fornire risposte adeguate ai cittadini, anche se unterzo della popolazione si dichiara soddisfatto del servi-zio sanitario pubblico, soprattutto nelle province di Bol-zano e Trento, in Valle d’Aosta e in Emilia-Romagna (maa fronte del 17,2% che esprime insoddisfazione, soprat-tutto in Calabria, in Puglia e in Sicilia).

L’Istat ha presentato recentemente i risultati dell’indagine “Con-

dizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari”, attraverso la quale

rileva periodicamente informazioni sullo stato di salute dei cit-

tadini italiani, il ricorso ai principali servizi sanitari, alcuni fattori di ri-

schio per la salute e i comportamenti di prevenzione. L’indagine è stata

condotta nel 2005 su un campione molto ampio di famiglie (circa 60 mi-

la). Tra i molti dati forniti, colpiscono anzitutto quelli legati alle disabilità.

Le persone con disabilità in Italia sono 2 milioni 600 mila. Anche se sta

DISABILI, SEMPRE MENOMA “SCARICATI” ALLE FAMIGLIEdi Renato Marinaro

aumentando il numero delle perso-ne anziane e sono 2 milioni gli anzia-ni con disabilità, l’analisi del tassostandardizzato per età mostra che ladisabilità risulta significativamentein declino, sia rispetto a tutta la po-polazione (4,7%, contro il 5,7% del1995) che tra gli anziani (18,8%, con-tro 21,7%). Le persone confinate incasa sono 1 milione 130 mila (2,1%);tra le persone anziane tale percen-tuale raggiunge l’8,7%. Inoltre, il52,7% delle persone disabili presen-ta più tipi di disabilità; il 3% dellapopolazione di 6 anni e più presenta limitazioni nellosvolgimento delle indispensabili attività di cura perso-nali; oltre 500 mila persone di 6 anni e più (1,1%) hannodifficoltà nella sfera della comunicazione (incapacità divedere, sentire o parlare).

Generalmente è la famiglia il soggetto che prende incarico la persona disabile. Il 10,3% delle famiglie ha alme-no un componente con problemi di disabilità. Oltre unterzo (35,4%) di queste famiglie è composto da disabiliche vivono soli e il 6,4% da famiglie con tutti i componentidisabili. Quasi l’80% delle famiglie con persone disabilinon risultano assistite dai servizi pubblici a domicilio eoltre il 70% non si avvalgono di alcuna assistenza, né pub-blica né a pagamento, soprattutto nel sud. Un terzo deidisabili soli, quasi la metà delle famiglie con tutti compo-

Studio Istat sulla salutedegli italiani. Disabilità

percentualmente in calo,ma l’assistenza è quasi

sempre a carico dei famigliari.

In generale esisteuna forte relazione

tra scarsa istruzione,basso status sociale

ed elevati rischi sanitari

nazionale

scientifiche di conoscenza. Dal viaggio nei dieci quartieri(Barriera di Milano, Begato, Forlanini - Ponte Lambro,Navile, Isolotto, Esquilino, Scampia, San Paolo, Librino,Zen) sono emersi dati, volti, storie e analisi relativi a realtàin profondo, radicale, disorientante mutamento. È la cittàcontemporanea, che il cardinale Martini chiama, non a

caso, “città difficile”. E che spesso le istituzio-ni sembrano voler tenere a distanza. Fino,appunto, ad “abbandonarla”.

La pianificazione fallitaFedeli al metodo dell’ascoltare, osservare ediscernere, il progetto Caritas è partito dallaconstatazione che i centri di ascolto dellemetropoli italiane, specie in periferia, semprepiù sono interpellati da domande di aiuto,ma anche di senso, difficili da accogliere, de-codificare e sostenere con gli strumenti con-cettuali e operativi normalmente a disposi-zione di una Caritas parrocchiale o di quar-

tiere. Da qui la decisione di andare più a fon-do, e il ricorso all’analisi sociologica.

La partnership con l’Università Cattolica ha consen-

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nazionalemargini metropolitani

PERIFERIE, SPAZI SVUOTATI:È LA CITTÀ ABBANDONATAInnovativa indagine Caritas - Cattolica su dieci quartieri di altrettante metropoliitaliane. Le trasformazioni cancellano la socialità. Innescando spirali di disagiodi Paolo Pezzana

a città abbandonata. Cioè il volto negletto – non privo di potenzialità, ma costellato di solitudini econflitti – delle metropoli italiane. Viste dai margini. Studiate dall’angolo prospettico delle perife-rie. Che talvolta “colonizzano” aree centrali. E comunque coltivano cambiamento e disagio, maci-nando memorie, trasformando profili urbanistici, rimodellando panorami culturali. Risucchiandoe foraggiando povertà, che non sono soltanto materiali.

La città abbandonata: dove sono e come cambiano le periferie italiane, è il titolo di un approfon-dito studio, pubblicato dalla società editrice Il Mulino e diffuso in libreria a partire da fine maggio, realizzato gra-zie a un intenso lavoro di due anni condotto dal progetto nazionale “Aree metropolitane” di Caritas Italiana, in-sieme al dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano e alle Caritas diocesane di Torino, Geno-va, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Catania e Palermo.

Dieci le città coinvolte nel progetto, dieci i quartieri sottoposti a capillare analisi, due anni di confronto, di indagi-ni, di ricerca sul campo: un percorso attento, documentato e “vissuto”, pensato per comprendere più a fondo unarealtà, quella dei margini metropolitani, di cui spesso si discute, ma (almeno in Italia) in assenza di adeguate basi

L’INDAGINE CARITAS

LIl saggio La città abbandonata: dove sono e comecambiano le periferie italiane (Il Mulino, Bologna 2007, pagine 526più cd con testi e foto dei rapporti locali, euro 30 - nella foto, le copertine) verrà presentato con una conferenzastampa lunedì 21 maggio a Roma, nella sede diCaritas Italiana, via Aurelia 796, e a seguire nellealtre città oggetto di indagine. La ricerca è statapromossa da Caritas Italiana, nell’ambito del progettoAree metropolitane, e curata da Mauro Magatti perconto del dipartimento di sociologia dell’UniversitàCattolica di Milano. L’équipe della Cattolica è composta anche da Patrizia Cappelletti, ChiaraGiaccardi, Monica Martinelli, Simone Tosoni.L’indagine sul campo è stata condotta, per contodelle Caritas diocesane, da Tiziana Ciampolini,Francesca Angelini, Lucia Foglino, Meri Salati, ElenaRossini, Annalisa Tonarelli, Fabio Vando, GiuseppeVanzanella, Fausta Scardigno, Francesca Bottalico,Giuliana Gianino e Giuseppe Mattina. Hannocollaborato per Caritas Italiana Francesco Marsico, Paolo Pezzana e Marco Iazzolino. Info: tel. 02.66.17.70.01, www.caritasitaliana.it

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tito di impiegare nella ricerca tecnichee metodi di analisi qualitativa scientifi-camente validi e congeniali, per conce-zione e stile di sviluppo, all’esperienzaCaritas. Ponendo al centro le persone ele comunità che abitano le periferie, siè provato a capirne le fragilità e il disa-gio, camminando insieme nei loroquartieri. Ne sono scaturiti dieci rapporti locali, accu-rati, vivaci, a tratti persino emozionanti, e un rapportonazionale di sintesi e analisi, poi divenuti base del vo-lume pubblicato.

Insieme ai direttori delle Caritas diocesane coinvolte,la ricerca è stata nel frattempo accompagnata da una ri-flessione pastorale, che in realtà è stata ed è la chiave divolta dell’intero progetto. Lo scopo è infatti capire comeimpostare una presenza rinnovata delle realtà ecclesialinei “quartieri sensibili” delle nostre città, e nella città nelsuo complesso; l’obiettivo, al tempo stesso, è mantenerela forza profetica di annuncio e testimonianza del Van-gelo in un mondo che continua a cambiare e la capacitàdi comprendere a fondo dove tale cambiamento condu-ce, restando dalla parte dei più piccoli e poveri, denun-ciando l’ingiustizia ogni qual volta sia necessario.

È questa la sfida, pratica ma anche teologico-pasto-rale, cui il progetto dovrà, proseguendo, attrezzarsi perrispondere. Per adesso esso consegna all’attenzionedell’operatore pastorale, attraverso i risultati della ricer-ca, importanti acquisizioni conoscitive, eludere le qualisignificherebbe, per le riflessioni e gli interventi concre-

ti che saranno compiuti, rischiare di non andare davve-ro incontro alla città di oggi.

Anzitutto la ricerca ha messo a fuoco che le periferienon sono solo, o non sono più soltanto, quelle classica-mente intese. Se si considerano le trasformazioni dellacittà contemporanea sotto il profilo della mobilità inter-na ai quartieri e della ricchezza o meno di connessionicon l’esterno, l’indagine presenta un panorama in rapi-da e netta diversificazione. Alle tradizionali periferie che

bilità fisica e sociale, il confinamento nella località, unsenso di segregazione. Sembra, insomma, che in molteperiferie la socialità sia stata esiliata dalle mutazionidella città. E senza socialità resta l’abbandono, comeuna spirale, ad assorbire chi in quei quartieri è costrettoa vivere, non potendone fuggire.

In questo quadro la ricerca si spinge a identificare,dando un nome a percezioni che da tempo i centri diascolto Caritas delle periferie vanno maturando, po-tenziali volti di particolari nuove povertà. I “respinti”, i“viaggiatori di seconda classe”, gli “eredi del welfare”,gli “alloggiati” che vengono descritti nel volume, sonopersone e storie che, in comune, sperimentano unasofferenza profonda – “antropologica”, la definisconogli autori – che li imprigiona in un territorio che nonsentono più, se mai lo hanno sentito, come il loro luo-go, una comunità dove avere dimora. Tutto questo nonè avvenuto casualmente, e nella ricerca non mancauna penetrante analisi della cause. Ma ciò non deve farpropendere per lo sconforto più disarmante, perché siincontrano anche “legature che tengono”: in primoluogo proprio nelle parrocchie e nelle attività di ani-

mazione che la chiesa, più di altri sogget-ti istituzionali, ha continuato, tra milledifficoltà, a mantenere vive e vitali suqueste frontiere.

Il lettore attento potrà trovare nel te-sto certamente molto di più, per riflette-re e interpretare ciò che attorno gli simuove. È importante, però, che tra talilettori non manchino gli operatori pasto-rali delle chiese, delle Caritas e dei centridi ascolto: è con loro che la sfida va rac-colta, ed è a loro che il progetto guardaper cominciare a realizzare quel cambia-mento dal basso, nel senso di una nuovasocialità capace di dialogo, coesione esolidarietà, nella quale bisogna confidarecome unica via possibile per “interrom-pere la spirale dell’abbandono”.

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nazionalemargini metropolitani

stanno “ai margini” della città, si affiancano infatti oggi,in termini di dinamiche di frammentazione, disagio edegrado, numerosi quartieri, magari storici o “centrali”,divenuti sempre più “sensibili” a determinate forme diesclusione. È questo il motivo per cui tra i quartieri in-dagati non ci sono solo Scampia a Napoli, lo Zen a Pa-lermo o il genovese Begato, ma anche l’Esquilino di Ro-ma, l’Isolotto di Firenze, Navile a Bologna e altri ancora.Ciò non vuol dire che “non ci sono più le periferie di unavolta”, ma che oggi l’attenzione va amplificata ed estesa,perché la città non è più facile da leggere e capire comeavveniva un tempo.

L’indagine ha poi chiarito che non è più il tempo del-la pianificazione organica e razionale delle città, peral-tro molto spesso fallita proprio nei quartieri di periferiache dovevano certificarne l’efficacia. Oggi, nelle metro-poli italiane, sembra di assistere, più che a un “progettodi città”, a una “città per progetti”, in cui si procede peraccumulazione di idee, senza una visione di insieme ela possibilità di un confronto pubblico sulle scelte da fa-re, secondo logiche non tanto umanistiche, quanto dimarketing del territorio. Per questo motivo si possono

incontrare, in città come Milano, quartiereForlanini - Ponte Lambro, cantieri cheproliferano convulsamente, ma totalmen-te alieni rispetto al contesto in cui sonosorti, destinati a creare luoghi virtuali lon-tani da ogni comunità reale, già oggi cinta-ti e chiusi a ogni sguardo indiscreto.

I respinti e gli alloggiatiTrascorrendo del tempo, muovendosi entro gli spazisensibili dei dieci quartieri analizzati, il lavoro di indagi-ne ha potuto constatare come essi sembrino soffrire diuna deprivazione di spazialità (e delle relative opportu-nità): sono tanti gli spazi vuoti e anonimi, privi di verdeo di luoghi in cui incontrarsi; pochi sono anche gli spa-zi in cui ci si riconosce e in cui ci si può identificare.Molti individui e famiglie soffrono inoltre l’allontana-mento dai luoghi di origine, scarse opportunità di mo-

Indefiniti, apatici, arrabbiati, trascorrono le giornatein balotta (la compagnia) al bar o al parchetto.BOLOGNA. Ieri aristocratici, oggi localisti – IC luglio-agosto 2006

Moltissime persone percorrono la strada che circondalo Zen, ma nessuno lo attraversa. Sembra un viaggioverso un’altra città.PALERMO. Il doppio Zen chiuso nel fossato – IC luglio-agosto 2006

Ponte Lambro era un quartiere di lavandai, come si integreranno questi spazi con i vecchi nuclei? MILANO. La riconversione grandi firme – IC ottobre 2006

Gli ideogrammi dei negozi cinesi hanno soppiantatole insegne di panifici, tintorie e mercerie.ROMA. Tutto il chiasso del mondo – IC ottobre 2006

SQUARCI DI DISAGIOVetri rotti, muri grigi:vivere in periferia èuna prova di resistenza

Oggi trovo un’isola di verde. A poche centinaiadi metri casermoni di edilizia popolare.FIRENZE. L’anonimato attorno all’Isolotto – IC giugno 2006

In fondo, per essere una metropolitana maipartita, non è poi così brutta da vedere…BARI. La metrò ferma e la Lama desolata – IC giugno 2006

Barriera di Milano è una terra di mezzo. È sempre stata in prima fila nelle sperimentazioni sociali.TORINO. La Barriera in cerca di identità – IC febbraio 2006

Di notte i padri bloccano le strade pubbliche del quartiere e organizzano le corse illegali dei cavalli.CATANIA. Il cielo (e gli abusi) sopra Librino – IC febbraio 2006

Begato, in verità, non è né lenta né rock. Anzi, nella testadei genovesi non esiste. Ma esistono le Dighe...GENOVA. Dimenticati dietro i due giganti – IC aprile 2006

Qualche anno fa, una ragazza di Scampìa chiese a un assessore: «Siamo napoletani anche noi?».NAPOLI. La città-modello divenuta ghetto – IC aprile 2006

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di Ginevra Demaio Dossier statistico immigrazione Caritas-Migrantes

ROMA E GLI STRANIERI,MOVIMENTO IN QUATTRO “I”

vincia di Roma raggiungono il 5,9%(e il 7,1% nella scuola primaria).

Dimensione globaleIl contesto laziale e romano, insom-ma, è una sintesi dei processi discambio e interconnessione su scalaplanetaria che hanno portato a ride-finire il mondo (e l’Italia) come villag-gio globale. I dati raccolti e commen-tati nel rapporto dell’Osservatorio ro-mano sulle migrazioni fanno di Ro-ma una capitale a dimensione globa-le e dell’area romana un contestoqualificabile con quattro “i”, che indi-viduano altrettante caratteristiche:■ internazionale, perché Roma ve-

de le proprie potenzialità globalirafforzate e amplificate dall’im-migrazione e perché l’immigra-zione è un’occasione per allarga-re i contatti con il resto del mon-do e farsi protagonisti a livello in-ternazionale;

■ interculturale, perché la provinciasperimenta e promuove una convivenza societaria im-perniata sullo scambio di culture, non solo sul bisognoeconomico e le necessità produttivo-occupazionali;

■ imprenditoriale, perché quella romana è un’area si-gnificativa per l’affermarsi dell’imprenditoria immi-grata. Sarebbe sbagliato “pauperizzare” gli immigra-ti; piuttosto, il fatto che, venuti tra noi per trovare la-voro, siano poi riusciti a crearlo, per se stessi e per glialtri, è uno dei paradossi positivi dell’immigrazione;

■ interreligiosa, perché gli immigrati concorrono allamultireligiosità della città. Sotto questo aspetto Ro-ma è un laboratorio unico, anche per i suoi 200 e piùluoghi di incontro e preghiera di varie comunità na-zionali, oltre che per la presenza di 35 mila sacerdo-ti e suore provenienti da tutte le parti del mondo.

La regione Lazio è una tra le aree più indicative dello stato dell’immi-grazione nel nostro paese. In particolare Roma e la sua provinciahanno rappresentato mete privilegiate di arrivo e insediamento dei

migranti, sin dai primi flussi migratori diretti verso l’Italia. Nella regione,all’inizio del 2006 soggiornava una quota rilevante di immigrati: il 13,8%di quelli registrati in Italia e il 51% di quelli soggiornanti in tutto il centro.

Analizzare lo stato dell’immigrazione nel Lazio e a Roma equivaledunque a occuparsi dell’andamento del fenomeno nell’intero paese:la capitale e la sua regione hanno infatti costituito, sin dai primi arrividi immigrati, un campo di anticipa-zione di fenomeni e tendenze, chenel tempo si sono poi estesi a tutto ilterritorio nazionale. Lo stesso ridi-mensionamento che l’immigrazio-ne nel Lazio ha registrato negli ulti-mi anni (nel 2000 in regione soggior-nava il 17,4% degli immigrati pre-senti in Italia e il 58,1% di quelli delcentro) non fa che riflettere il paral-lelo processo di redistribuzione deiflussi migratori nel resto del paese.

Per questi motivi, la Caritas dio-cesana di Roma ha dedicato all’im-migrazione nella provincia di Roma e nella capitale unRapporto, giunto alla terza edizione, curato dall’Osser-vatorio romano sulle migrazioni. Attraverso dati stati-stici, indagini qualitative ed esperienze degli operatori,esso si sofferma sul grado di stabilizzazione e consoli-damento della presenza immigrata. Un primo dato chebalza all’occhio riguarda l’incidenza degli immigrati sultotale della popolazione: in Italia è del 5,2%, mentre nelLazio raggiunge il 7,9% e nella provincia di Roma il9,5%, valori che anticipano quello che in un futuro nonlontano sarà l’impatto dell’immigrazione in tutta Italia.

Guardando alle nuove generazioni, la provincia diRoma si colloca subito dopo quella di Milano per nu-mero di iscritti di origine immigrata nelle scuole: se inItalia questi alunni sono il 4,8% degli iscritti, nella pro-

La capitale e il suo territorio

provinciale e regionalecostituiscono un luogoprivilegiato di arrivo

e insediamento. E anticipano le tendenze

che poi si diffondono in tutta Italia.

Un nuovo Rapportoanalizza la situazione

dall’altro mondonazionale

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nazionalesocietà & politica

LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE,È ORA DI VOLTARE PAGINA

Il disegno di leggepresentato dal governomodifica in profonditàelementi controversi della normativa in atto. In molti punti accolte le istanze avanzate daCaritas e terzo settore.A cominciare da flussi,ingressi, sponsor e voto

Al termine delle lunghe consultazioni che ilgoverno nei mesi scorsi ha tenuto con asso-ciazioni e organismi del terzo settore che sioccupano di immigrazione, è stata presenta-ta a marzo una proposta di modifica al testounico sull’immigrazione che riprende inbuona parte le sollecitazioni e le istanze pro-

venienti dal privato sociale. L’iter che seguirà il disegno dilegge prevede comunque tempi lunghi.

Lo spirito con cui il governo ha voluto affrontare laquestione sembra volto principalmente ad agevolare iflussi regolari e a permettere una più semplice perma-nenza dei cittadini stranieri nel territorio, anche attraver-

so uno sfoltimento della burocrazia, che ancora incide pe-santemente sulle procedure di ingresso e soggiorno. In so-stanza, viene ripresa la posizione espressa da Caritas Ita-liana al tavolo intergovernativo dello scorso autunno, do-ve con forza si era chiesto di prevedere una serie di stru-menti o meccanismi che amplino il ventaglio delle possi-bilità di soggiorno regolare, perseguendo così l’obiettivodi una decompressione dell’irregolarità.

Nel dettaglio la riforma interviene su alcune questioniche Caritas ritiene cruciali. Anzitutto, i flussi diventerannotriennali, con un “adeguamento annuale delle quote a ul-teriori e nuove esigenze del mercato del lavoro”. Peraltrocolf e badanti potranno superare “in una misura prefissa-

di Oliviero Forti e Susanna Garavini

SENZA CERTEZZEVenditore ambulantein piazza Duomo,cuore di Milano

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I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 7 21

contrappunto

deriva solo dal traffico dei talenti per-sonali, ma anche da uno “stock di in-frastrutture, innovazione, capacità,gusto di intraprendere, legami socia-li”. Le spese pubbliche necessarie inproposito “non sono, di conseguen-za, solamente un costo, ma un inve-stimento per realizzare, nel medesi-mo tempo, giustizia e dinamismo”.Ed è per questo che “i sottoscritti” sioppongono a “riduzioni della fisca-lità, la cui contropartita sarebbe l’in-sufficienza dei mezzi destinati allaprotezione sociale dei più poveri, al-l’educazione, alla ricerca, alla sanità,agli alloggi e all’ambiente”.

Fin qui l’appello. Che non ha avu-to grandi riscontri a Parigi e dintorni.E che in Italia è arrivato come curio-sità di cronaca, del genere “l’uomoche morde il cane”. Da noi, del resto, sioscilla tra riduzioni e… autoriduzionidella pressione fiscale. Delle prime,almeno come desiderio, ci si occupanel governo e nel parlamento quandosi immagina di impiegare il piccolo

sovrappiù di introito tributario realizzato nel 2006 per al-leggerire di qualche decimo percentuale il carico di chi pa-ga le tasse. Alle altre, le autoriduzioni, si dedicano con pe-rizia i molti (troppi) cittadini che, per evocare una recenteindagine, denunciano 25 mila euro all’anno ma possiedo-no automobili di grossa cilindrata o frequentano località dilusso, magari con corteggio di clienti e vallette.

Il messaggio francese non varrà, beninteso, a com-battere evasioni, elusioni e frodi consimili. Potrebbe in-vece servire a mostrare che anche tra i ricchi c’è chi ri-fiuta di far coincidere bene comune e proprio interesseprivato. Solo in Francia? Se le Alpi lasciarono passare glielefanti di Annibale, non si vede perché dovrebbero fer-mare un’idea buona e giusta…

“Noi sottoscritti soggetti all’imposta sul reddito e, alcuni dinoi, anche all’imposta di solidarietà sul patrimonio, con-sideriamo legittimi tali prelievi e siamo fieri di recare così

il nostro contributo alle spese pubbliche necessarie al progresso, al-la coesione sociale e alla sicurezza della nazione (…). Noi conside-riamo ugualmente che un’imposta progressiva sulle successioni è uncorollario indispensabile delle libertà economiche offerte dall’eco-nomia di mercato”. Chi sono “i sottoscritti”? Sono personalità di va-rio ordine e grado della classe dirigente francese. Nomi che in Italiadicono poco, tranne quello di Jacques Delors, il cattolico-socialistagià presidente della Commissioneeuropea e portatore di un messaggioforte di solidarietà come moventedell’azione politica. Che cosa sotto-scrivono? Un appello, lanciato dalmensile Alternatives economiques, ilcui contenuto è bene espresso dal ti-tolo: “Perché accettiamo le tasse”, di-retto ai candidati in lizza per la presi-denza della repubblica.

L’iniziativa merita una segnala-zione per la filosofia di fondo che l’i-spira, tanto più credibile in quanto ipromotori sono soggetti economica-mente dotati, appartenenti al mondo dell’impresa, del-l’alta amministrazione o delle professioni. Gente che noninsegue disegni di collettivismo ugualitario, ma professaun rigoroso attaccamento all’economia di mercato, “fat-tore di progresso – si legge nel testo –, poiché permette al-lo spirito d’impresa di esprimersi. Ma le disuguaglianzeche genera sono mortifere per la democrazia, se nessun li-mite è posto alla trasmissione ereditaria della ricchezza”.

Demagogia fiscaleE qui viene l’attacco frontale a quei “candidati alla magi-stratura suprema” che propongono “misure demagogichein materia fiscale” e giustificano “la secessione sociale deipiù ricchi”. Ai quali si rammenta che la loro ricchezza non

SECESSIONE DEI RICCHI?NO, FIERI DI PAGARE LE TASSEdi Domenico Rosati

No alla riduzione delle imposte,

perché la spesa sociale è un investimento.

Appello di un giornale e di eminenti personalità

francesi ai candidati in corsa per

la presidenza dellarepubblica. Una buonaidea: varcherà le Alpi?

nazionale

20 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 7

nazionalesocietà & politica

vengono previste una serie di misure destinate al migran-te che collabora alla sua identificazione, come un periodopiù breve del divieto di reingresso in caso di espulsione. Insede di audizione, Caritas Italiana aveva espresso la ne-cessità di rimodulare gli interventi repressivi nei confron-ti di immigrati irregolari e clandestini in base ai singoli ca-si, tenendo in considerazione gli effetti che una comples-sa procedura di espulsione comporta sul cittadino stra-niero e sul sistema amministrativo.

Un passaggio importante del disegno di legge ri-guarda la “riconduzione ai principi e alle norme del co-dice penale e di procedura penale delle sanzioni conse-guenti alla violazione delle disposizioni in materia diimmigrazione” che, nell’attuale normativa, appaionosproporzionate. Oltretutto è prevista nuovamente l’at-tribuzione delle competenze giurisdizionali al giudiceordinario in composizione monocratica. Il precedentegoverno le aveva affidate al giudice di pace, scatenandouna serie di reazioni negative: da più parti ci si era chie-sto come una materia così delicata, che incide sulla li-bertà personale di un individuo (ricorsi contro i provve-dimenti di espulsione amministrativa e sulle convalidedell’accompagnamento alla frontiera), potesse esseresottratta alla magistratura professionale.

Liste all’estero, come gestirle?Anche la controversa questione legata ai Cpt è stata og-getto del disegno di legge, che ha ripreso le proposte delrapporto presentato dalla commissione De Mistura, volu-ta dal ministero dell’interno e alla quale ha partecipatoanche Caritas Italiana. L’obiettivo di fondo è attivare unprocesso di graduale svuotamento dei centri da tutte lecategorie di persone per le quali non c’è alcuna necessitàné utilità di trattenimento, ad esempio i detenuti, che ver-ranno identificati direttamente in carcere. Sono inoltrepreviste strutture aperte, con un “congruo orario di usci-ta”, per chi collabora all’identificazione, e strutture chiuse,destinate al trattenimento di chi si sottrae all’identifica-zione; in ogni caso, il periodo di permanenza andrà ridot-to. Nei Cpt, oltre ai rappresentanti degli enti locali, po-tranno recarsi in visita associazioni e organi di stampa.

Un aspetto sul quale rimangono perplessità riguar-da infine le liste di collocamento all’estero, alle quali po-tranno accedere lavoratori stranieri in base al “grado diconoscenza della lingua italiana, dei titoli e della quali-fica professionale posseduta”. Le rappresentanze diplo-matiche e consolari italiane all’estero saranno in gradodi gestire questa partita?

ta” il tetto numerico stabilito dal governo, in presenza dimaggiori richieste da parte dei datori di lavoro. Anche inquesto caso, Caritas Italiana aveva chiesto di non trascu-rare il settore dell’assistenza e la cura alla persona.

La semplificazione dovrà riguardare già le prime fasi: ilrilascio dei visti di ingresso sarà più agevole grazie alla “re-visione della documentazione da esibire”. Peraltro chi ar-riva in Italia non dovrà più firmare, come previsto dallalegge Bossi-Fini, il fatidico contratto di soggiorno, “la cuiabrogazione – aveva scritto Caritas Italiana in un docu-mento inviato al governo – è necessaria”. Il processo disemplificazione dovrebbe poi proseguire nelle fasi suc-cessive all’ingresso in Italia, attraverso la previsione di unpermesso per attesa occupazione, che avrà validità sino aun anno e potrà essere rinnovato se lo straniero ha ade-guati mezzi di sussistenza. È prevista inoltre la concessio-ne di permessi per motivi umanitari a chi “dimostri spiri-to di appartenenza alla comunità civile”.

Un istituto che la Bossi-Fini aveva abrogato, e che l’at-tuale governo intende riattivare, accogliendo anche inquesto caso le sollecitazioni pervenute tra gli altri da Cari-tas Italiana, è lo sponsor, che potrà garantire economica-mente l'ingresso in Italia di chi vuole cercare lavoro. Sonomolti i soggetti che potranno candidarsi come sponsor:dagli enti locali alle associazioni datoriali, dai sindacati epatronati fino a privati cittadini. Potrà farlo addirittura ildiretto interessato che dimostri di essere “in possesso dirisorse finanziarie adeguate al periodo di permanenza”: èla cosiddetta “autosponsorizzazione”.

Elettorato attivo e passivoUn aspetto sul quale si attendevano risposte da molti an-ni riguarda la partecipazione degli stranieri alla vita pub-blica a livello locale. Nel disegno di legge il governo dimo-stra di volersi allineare alla maggior parte dei paesi euro-pei, recependo il capitolo C della convenzione di Stra-sburgo del 1992, che riconosce l’elettorato attivo e passivo(cioè il diritto di voto e ad essere eletti), in occasione delleelezioni amministrative, agli stranieri titolari del permes-so di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo (ex car-ta di soggiorno). Si tratta di una previsione importante, so-prattutto in relazione alle politiche di integrazione. Nel vo-lume Immigrati e partecipazione (2005), e nel più recenterapporto Immigrazione: un viaggio verso la povertà, Cari-tas ha messo in evidenza il ritardo accumulato dal nostropaese nel riconoscere la partecipazione politica attiva deicittadini stranieri. Dunque, una disposizione positiva.

Sul fronte del contrasto all’immigrazione irregolare,

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di tre anni, è stato rielettoPaolo Pezzana, dellaFondazione Auxiliumdi Genova, collaboratoredell’ufficio Europa di CaritasItaliana. L’assemblea diBrescia ha anche ratificato ilnuovo statuto e la “Carta deivalori e dei principi” in essocontenuta, strumenti chedanno a Fio.psd un’identitàprecisa e ne esprimono in maniera organicacontenuti e obiettivi.

SOMALIALe offertedel papaper Baidoa

Papa Benedetto XVI hadestinato al dispensariomedico aperto da CaritasSomalia a Baidoa (nella foto,lo staff) la colletta dellamessa celebrata il GiovedìSanto nella cattedrale di SanGiovanni in Laterano. “In talescelta – ha affermato CaritasSomalia in un comunicatostampa – leggiamol'attenzione e la sollecitudinedel Santo Padre per lesofferenze della popolazionesomala, insieme a unomaggio a tutti coloro chehanno donato la loro vita,

durante quasi vent’anni di guerra civile, per i poveri e per la pace in questomartoriato paese”. Le attivitàdi Caritas Somalia, direttadall’italiano DavideBernocchi, sono riprese nel 2005, anche grazie alcontributo di Caritas Italianae altre Caritas nazionali; il dispensario di Baidoa èuna delle prime realizzazioni:offre visite mediche e medicinali gratuiti a 120pazienti al giorno e dalmomento della sua apertura (fine maggio 2006) ha giàprestato assistenza a 25mila persone della regione del Bay (700 mila abitanti),dove fino ad alcuni mesi fa non operava nemmeno un medico. La malnutrizione,soprattutto infantile, è endemica nella regione; si calcola inoltre che circa trequarti della popolazioneadulta siano sottonutriti in maniera cronica. Enormiproblemi sono causati anche dalla mancanza di conoscenza delle normeigieniche minime. I pazientidel dispensario di CaritasSomalia vengonoprevalentemente dallecampagne fuori Baidoa e sono tutti musulmani.

panoramacaritas

SOCIETÀTerra Futura,alternativesostenibili

Dalla tutela dell’ambientealle energie alternativerinnovabili, dall’impegno per la pace alla cooperazioneinternazionale, dal rispettodei diritti umani alla finanzaetica e al commercio equo,dal turismo responsabile alla mobilità sostenibile,dall’agricoltura biologica e biodinamica alla bioedilizia.La Fortezza da Basso diFirenze ospiterà dal 18 al 20maggio la quarta edizione di “Terra Futura”, mostra-convegno internazionaledelle buone pratichedi sostenibilità ambientale,economica e sociale. CaritasItaliana è uno dei partnerdell’intenso programmaculturale dell’iniziativa,organizzata dalla fondazioneculturale ResponsabilitàEtica onlus per contodel sistema Banca Eticae da Adescoop - Agenziadell’economia sociale.L’ampia rassegna fiorentinapresenterà associazioni erealtà del non profit, impreseeticamente orientate, entilocali e istituzioni, reti e coordinamenti chepropongono iniziative,progetti e soluzioni“alternativi” negli ambitidell’abitare, del produrre, del coltivare, dell’agire, delgovernare, a livello sia localeche globale. Sul fronte degliappuntamenti culturali, si prevedono decine fraseminari, dibattiti e convegni;centrale, quest’anno, sarà il tema del lavoro: la riflessione verterà su

come deve essere ripensataquesta categoria, affinchéproduttività, consumi e stilidi vita possano coesisterecon giustizia, equità e benicomuni garantiti a tutti.Caritas Italiana, oltreall’intervento del direttore,monsignor Vittorio Nozza,alla sessione inaugurale e al contributo allariflessione sul lavoro,proporrà approfondimentiautonomi, sui temi dellasalvaguardia del creato e del servizio civile.

SENZA DIMORAFio.psd, oka nuovi verticie statuto

La Fio.psd (FederazioneItaliana degli Organismi per le persone senza dimora)ha rinnovato a Brescia, a fine

marzo, le carichesociali. Fio.psd èun’associazionecostituitasi

formalmente nel 1990 e ha una base sociale di 64membri, distribuiti in 11regioni italiane, appartenentisia al privato sociale che allapubblica amministrazione.Tra i componenti, 19 sonoCaritas diocesane o loro entigestori diretti e 11 enti di ispirazione ecclesiale.Tra i dodici membri deldirettivo eletto a fine marzo,tre rappresentano realtàCaritas e un altro, membrodi una cooperativa laica, è referente in materia della locale Caritas; altri treconsiglieri sono espressida enti gestiti da opere o congregazioni religiose.Presidente, per un mandato

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Il tempo della grazia,io ho buttato lo specchioNon è stata una scelta semplice. Era già passato più di un anno dalla laurea e sembrava insensato “perdere”tempo per fare il servizio civile e rinviare la ricerca e l’ingresso nel mondo del lavoro. Si trattava di lasciaretutto, frenare la macchina organizzativa del mio “cosa faròda grande” e fare una sosta durante la corsa in cuil’avversario alle calcagna era il “non c’è tempo”. Dovevoinfatti spostarmi dalla Sicilia a Roma per svolgere il serviziocivile in un progetto Azione cattolica - Caritas: “Il serviziocivile dei giovani per i giovani”, con altre quattro ragazze e un ragazzo provenienti da regioni diverse d’Italia, un progetto che prevedeva permanenze a Roma alternate a periodi nella diocesi di appartenenza.

Alla fine ho deciso di mettere tutti i dubbi nello zaino,insieme ai desideri e alle aspettative e di non rinunciare a quella che percepivo come un’opportunità da non perdere.

Dall’inizio del servizio civile sono passati più di sei mesie con esso, per me, è cominciato un tempo nuovo. Il kronos, il tempo dell’abitudine, della fretta, dell’impazienza,è diventato kairos, un tempo di cambiamento, di grazia, di opportunità e di scelta, in cui buttare lo specchio per guardare quanto di buono e bello ci fosse intorno a mee che finora la fretta non mi aveva permesso di vedere.

Il primo periodo trascorso a Roma, incentratoprincipalmente su esperienze di formazione sui temi della pace, della giustizia e della cittadinanza, ha risvegliatoil meglio delle mie energie e capacità, permettendomi di valorizzare le mie competenze personali e di accrescerle.Il ritorno ad Agrigento, la mia diocesi, mi ha dato la possibilitàdi conoscere le necessità del mio territorio e di spendereper esso le competenze acquisite durante il periodo di formazione. Contrariamente alle mie previsioni, anche questo secondo periodo, che tra l’altro prevedeva lo svolgimento del servizio per la Caritas diocesana nella casa di accoglienza per immigrati, è stata un’esperienzaarricchente, che mi ha aperto gli occhi su realtà e situazioniche nemmeno immaginavo: storie di dolore, ma piene di speranza, storie di morte che celebrano la vita, storie di povertà che valorizzano l’essenzialità, volti di colorediverso, ma parole che scavano dentro allo stesso modo.

Voglio vivere questo tempo di servizio civile comel’acqua che si lascia andare, che scivola su tutto, che si fa assorbire, che supera ogni ostacolo finché non raggiunge il mare e lì si ferma a meditare per scegliere se esser ghiaccioo vapore, se fermarsi o se ricominciare (Eugenio Finardi).

Caterina Inglima

I GIOVANI CHE SERVONO

Permesso di soggiorno,quanti problemi alle poste!

AIDS: TELEFONO VERDE RISPONDE IN SETTE LINGUE.Il telefono verde Aids dell’Istituto superiore di sanità dedicatoai cittadini stranieri parla sette lingue. A rispondere al numero800.861.061 sono, da marzo, mediatori culturali che dannoinformazioni sulla malattia in inglese, francese, romeno,cinese, arabo, spagnolo e russo. L’attività di counsellingtelefonico transculturale si svolge, anonima e gratuita, da lunedì a venerdì, ore 13-18. www.ministerosalute.it

CNEL: A NORD MIGLIORI CONDIZIONI INTEGRAZIONE.Le regioni settentrionali offrono le condizioni più favorevoli per l’integrazione socio-lavorativa degli immigrati in Italia; si accentua la differenza fra aree centro-settentrionali e meridionali-insulari. È quanto emerge dal quinto rapportoCnel sugli “indici di integrazione degli immigrati in Italia”,realizzato con l’aiuto del Dossier statistico immigrazioneCaritas-Migrantes. Trentino Alto Adige, Veneto e Lombardiaguidano la graduatoria; quasi tutto il meridione si colloca nelle retrovie, ad eccezione dell’Abruzzo. Quanto alle province,primeggiano quelle autonome del Trentino Alto Adige. www.cnel.it

PERMESSO DI SOGGIORNO, PROCEDURE LENTE E COSTOSE: ALLARME CARITAS. Caritas richiama di nuovol’attenzione del governo sulle procedure di rilascio e rinnovodei documenti di soggiorno dei cittadini stranieri. Le normeentrate in vigore a dicembre, che affidano la gestione delleprocedure alle poste, producono effetti negativi, comeconferma l’esperienza delle Caritas diocesane. In particolare,vanno rimarcati la frequente indisponibilità negli uffici postalidei moduli gratuiti (i cosiddetti “kit”), che alimenta una sorta di “bagarinaggio”; la complessità della modulistica e le relativedifficoltà di compilazione; la lentezza e l’inefficienza del servizio;gli elevati costi, soprattutto per i permessi di durata superioreai 90 giorni (circa 70 euro). www.caritasitaliana.it

ASILO: NEL 2006 GLI IRACHENI I PIÙ NUMEROSI. Secondol’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr),nel 2006 sono stati i cittadini iracheni il gruppo più numerosodi richiedenti asilo nei paesi industrializzati: le loro domandesono cresciute del 77% (12.500 nel 2005, 22.200 nel 2006).Nei 50 paesi considerati dal rapporto Unhcr Asylum levels and trends in industrialised countries, sono state inoltrate300mila domande, il 10% in meno del 2005: il numerodi domande è diminuito per il quinto anno consecutivo;in Europa è il più basso degli ultimi vent’anni. www.unhcr.it

PILLOLE MIGRANTI

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I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 7 2524 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 7

progetti > pianeta carcere

internazionale

MICROPROGETTI

MADAGASCARCapre a Tulear per sfamare i detenutiIl carcere di Tulear si trova nella zona di Tsianaloke, in Madagscar: 830 sono le persone ospitate nella prigione,cronico è il bisogno di un’alimentazione adeguata, non assicurata pienamente dallo stato. Il cappellanodell’istituto penitenziario si prende cura quotidianamentedell’assistenza alimentare di ogni singolo detenuto,cercando di promuovere progetti di auto-sostentamento,soprattutto di carattere agricolo. Il programma ha tre obiettivi, da realizzare con il contributo dei detenuti: la costruzione di una stalla, il finanziamento di un fondo di rotazione per l’avvio del programma, l’acquisto di 40 capre e 10 caproni per promuovere un allevamentoche consenta, una volta avviato il ciclo riproduttivo, la distribuzione di latte tra i prigionieri e di cibo derivantedalla macellazione degli animali.> Costo 3 mila euro > Causale MP 28/07 Madagascar

BOLIVIAIl futuro si cuce come un abitoTrovare un lavoro dopo il carcere spesso sembraimpossibile. I circa 500 detenuti del carcere di Cochabambanon hanno futuro, senza interventi formativi che assicurinocompetenze professionali da spendere all’esterno, per evitare che le persone tornino in breve tempo a violarela legge. Il programma di reinserimento della diocesi di Cochabamba e della pastorale penitenziaria diocesana si propone proprio questo: insegnare a donne appena uscitedal carcere a confezionare abiti. Attualmente lavorano in forma permanente nel laboratorio del progetto quattrodonne: la loro opera è molto apprezzata e i manufatti sono venduti nell’ambiente universitario e giovanile in genere. Con nuove attrezzature e con l’estensionedell’attività di artigianato in tela, potranno partecipare al programma molte altre ex detenute.> Costo 2.520 euro > Causale MP 399/06 Bolivia

URUGUAYAl via un laboratorio di ediliziaLe condizioni nel carcere dipartimentale di Melo sonoinsostenibili: ci vivono (di stenti) oltre 100 persone, mentrela capacità di accoglienza è di soli 80 detenuti. Senza un minimo di formazione, i detenuti rischiano di non averefuturo neppure dopo aver scontato la pena. Per questo la diocesi di Melo, d’accordo con i responsabili del carcere,ha progettato l’avvio di un laboratorio di formazione all’edilizia,per offrire effettive possibilità di integrazione nella società.> Costo 3.825 euro > Causale MP 412/06 Uruguay

Bolivia

Etiopia

Uruguay

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Pianeta carcere: una realtà che interrogasocietà civile e comunità cristiana, in Italia e nel mondo. L’impegno profuso dalla chiesa e, in essa, dalle Caritas miraa creare un clima capace di accoglierela disponibilità al cambiamento e di promuovere una nuova cultura,con attenzione costante ai detenuti e alle loro famiglie, ma anche alle vittimedei reati. Oltre all’impegno per il rispettodella dignità e dei diritti fondamentalidei detenuti, Caritas opera – nei confrontidi chi esce dal carcere – per favorirel’accoglienza e il reintegro nelle comunitàdi appartenenza, sollecitare la presa in caricoin strutture idonee degli ex detenuti chenecessitano di cure specifiche (malati di Aids,tossicodipendenti, persone con disagi psichici,alcolisti, ecc.), potenziare le strutturedi accoglienza già attive, per offrire sostegnoanche a chi non ha reti familiari di riferimento.

Il progetto è realizzato dall’Ufficio diocesano prigionidell’arcidiocesi di Addis Abeba, con cui Caritas Italianacollabora dal 2004. Si pone l’obiettivo di rispondere ai bisogni primari di assistenza sociosanitaria e psicologicadei detenuti di tre carceri nei dintorni della capitale. Nella prigione di Fiche, dove sono rinchiuse circa 750persone, il progetto fornisce medicinali e verifical’andamento delle attività con visite saltuarie. Nelle altre due prigioni, ad Addis Alem e Sheno, dove sono detenute rispettivamente 630 e mille persone,

Assistenza sociosanitaria e psicologica in tre prigioniun’infermiera si reca ogni settimana a visitare i malati e fornire loro le cure necessarie. Durante le visite sono organizzati incontri di educazione igienico-sanitaria,nonché la distribuzione del sapone e di altri beni utili a migliorare le condizioni igieniche dei carcerati.L’infermiera è quasi sempre accompagnata da una psicologa che, attraverso colloqui individuali e di gruppo, cerca di sostenere i prigionieri nell’affrontarela vita del carcere e le relazioni con le famiglie.> Costo 22.350 euro > Causale Etiopia / carceri

ETIOPIA

Madagascar

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All’inizio di marzo, leggendo questi “bollettini di guer-ra”, ci si poteva imbattere in una notizia che aveva già co-minciato a circolare nel passaparola della comunità inter-nazionale presente nel paese, tra amici e colleghi che si in-terrogavano a vicenda per chiedere conferma, nonostan-te l’incertezza dei primi riscontri raccolti dalle agenzie disicurezza, di quella che sembrava un’incredibile, brutaleazione di violenza spinta da motivi ideologici. In sintesi, sidiceva che un convoglio di due macchine era stato ferma-to nella provincia di Sari-e-Pul, nel nord del paese (unadelle zone non considerate ad alto rischio), e i cinque pas-seggeri, quattro afgani e uno straniero, operatori di unaong tedesca, erano stati fatti scendere e allontanati di

qualche decina di metri dalla strada. I quattro afgani era-no stati rilasciati dopo qualche percossa, qualche insultoe l’avvertimento che se avessero continuato a lavorare pergli stranieri sarebbero stati uccisi; lo straniero invece erastato direttamente e brutalmente assassinato sul posto.Nel leggere la notizia non poteva non insorgere una fortesensazione di angoscia. Seguita, però, subito dopo, anco-ra da quel senso di disagio, di imbarazzo, tanto forte quan-to apparentemente inspiegabile. Il punto è che risulta piùfacile immedesimarsi in certi problemi, se ci si sente in uncerto senso direttamente colpiti. Ma di episodi simili aquello, in cui le vittime sono afgani, ne accadono di conti-nuo. Che esistano vittime di serie A e di serie B?

di pudore. C’è qualcosa dentro che stride, che dà l’im-pressione di avere di fronte una foto sfocata. Le miglio-ri argomentazioni che si possono esporre suonano co-me un inutile esercizio retorico. Per quanto elaborate,sembrano rimanere lontane dall’essenza del problema.

È una sensazione molto simile a quella che può ca-pitare a volte leggendo i vari bollettini che aggiornanosugli scontri, gli incidenti, le violenze che quotidiana-mente affliggono l’Afghanistan, a oltre cinque anni daquella che era stata considerata la fine di un ventenniodi conflitti armati e che sinora si è delineata solo comeuna nuova fase di un interminabile baratro di guerre, dacui il paese asiatico proprio non riesce a uscire.

Capita, vivendo a Kabul, di sentirsi chiedereun parere sulla presenza dei militari italianiin Afghanistan, soprattutto in un momentoin cui la questione infiamma il dibattito po-litico in Italia. Oppure capita di dover ri-spondere a domande relative alla sicurezzanel paese, in seguito magari a un rapimen-

to o a un altro episodio violento che ha attirato l’atten-zione dell’opinione pubblica italiana. Sono domandeimportanti, alle quali ci si sente in obbligo di risponde-re, dato l’osservatorio privilegiato dal quale si ha l’op-portunità di farsi un’idea. Ma allo stesso tempo si senteuna forma di disagio, quasi un imbarazzo o una forma

testo e foto di Luigi Biondi

AFGHANISTAN FRUSTRATO,IL FUTURO NON ARRIVA MAI

Dal paese asiatico giungono solo bollettinidi guerra. Intanto la vita quotidiana nonmigliora. Il governo Karzai si è bruciato la credibilità che aveva acquisito. E la gente comune imputa la responsabilitàalla comunità internazionale

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dietro i conflittiinternazionale

IN ATTESA DI UNA PACE VERAIl quartiere Wazir Akbar Khan di Kabul visto dalla collinadi Bibi Mahro; mezzi militari (sopra) abbandonati su un’alturadella capitale afgana. Il paese asiatico, a cinque anni dall’iniziodella guerra contro i talebani, è ancora preda dell’insicurezza

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sempre tra alti e bassi, tra sospetti edifficoltà inevitabili a ogni cambio diregime, quando i nuovi arrivati al po-tere guardano con sospetto gli impie-gati che avevano già lavorato per ilprecedente governo.

Malgrado tutto, era comunque riu-scito a mantenere una vita dignitosa,una casa di proprietà, un buon lavoro,sostenendo una bella e numerosa fa-miglia, secondo la migliore tradizioneafgana. Anche durante il periodo deigoverni filosovietici aveva resistito al-l’accanirsi della storia contro il suopaese, grazie soprattutto al fatto che laguerra, sebbene fosse una realtà ingran parte dell’Afghanistan, non avevaancora raggiunto le città. Però, dopo gliscontri tra i vari gruppi di mujahiddin

che hanno fatto seguito alla cacciata del governo comunistadi Najibullah, il paese è letteralmente imploso, spazzandovia la vita che il collega era riuscito a costruirsi e a protegge-re fino a quel momento. Ha perso il lavoro, ma ha avuto lafortuna di potersi riciclare come fisioterapista in un centrodell’ong Icrc: quando ha perduto anche la casa non ha avu-to altra alternativa che accodarsi ai milioni di rifugiati afganiche da anni continuavano a spostarsi in Pakistan.

Oggi è tornato a vivere a Kabul, dove può lavorare conun’organizzazione straniera e avere un buon salario, mala sua famiglia continua a vivere a Peshawar. Non puòpermettersi di riportarla a Kabul, perché la vita è troppocostosa, soprattutto per chi come lui non possiede piùuna casa, in una città in cui il costo degli alloggi e degli af-fitti sono decisamente proibitivi. Allora preferisce lascia-re la famiglia in Pakistan, dove il costo della vita è più con-tenuto e lui si adatta a vivere in una misera stanza, con ri-scaldamento di fortuna e bagno in comune, ma suffi-cientemente economica da permettergli di mettere daparte un po’ di soldi. La situazione gli potrebbe andareanche bene, in fondo si tratta di adattarsi un po’, ma ciòche lo angoscia in continuazione è la possibilità che allasua famiglia, come alle tante altre famiglie afgane che so-no nelle stesse condizioni, venga imposto dal governo

La famiglia resta all’esteroLa domanda potrebbe essere girata al collega afgano chelavora per Caritas Italiana a Kabul. È un uomo di mezzaetà, con un’aria buona e rassicurante, che si porta sullespalle e nel cuore il peso di anni e anni di difficoltà e sof-ferenze. La sua storia personale è intrecciata con quelladel paese. Come tanti ne ha seguito i momenti di stabilità,di tranquillità e benessere, per poi sprofondare nel delirioe nell’inevitabile sconfitta della guerra. Oggi, proprio co-me l’Afghanistan, sta ancora aspettando la pace, la rina-scita, la stabilità e la ripresa che erano state promesse allafine del 2001. E come il suo paese e tanti altri suoi conna-zionali, incomincia a perdere la speranza e la fiducia, nel-l’incertezza e nella fatica della vita quotidiana.

Negli anni Sessanta, al tempo del re Zahir Shah, avevaavuto modo di studiare, sia in Afghanistan che all’estero,raggiungendo un livello di istruzione non comune, tantopiù oggi dopo il crollo dell’intero sistema-paese. Poi avevacominciato a lavorare al ministero dell’aviazione civile, altempo della repubblica del presidente Daud Khan. Di fattoha attraversato gli stravolgimenti, violenti o meno, che han-no segnato l’Afghanistan, cercando di restare in piedi e conl’obiettivo di garantire alla famiglia un po’ di benessere. Lecose hanno funzionato, almeno fino a un certo punto e

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internazionaledietro i conflitti

pakistano di tornare in patria. Questo sarebbe veramen-te un problema, che farebbe piombare tutti in una situa-zione di vera povertà. Il collega sente la sua vita in baliadei giochi della grande politica internazionale che con-trappone i vari paesi dell’area, si sente un’insignificantepedina utilizzata secondo le necessità del momento.

La strategia non funzionaLa storia è normale e comune in Afghanistan. E non è cer-to una delle situazioni peggiori. Eppure è la quotidianitàche dovremmo avere sempre in mente parlando del futu-ro di questo paese. Milioni di cittadini afgani sperimenta-no incertezze simili, portandosi dentro anni di guerra, fa-tica, sofferenza e privazioni. E avvertendo la frustrazionedi un domani migliore, che sembra non arrivare mai.

Una mattina una deflagrazione fortissima ha pratica-mente svegliato l’intera Kabul. L’esplosione era avvenutanella parte vecchia della città, proprio dove vive il collegadi Caritas. Lui era bianco e teso mentre raccontava cosaaveva visto per strada. Parlava delle strade del suo quar-tiere piene dei vetri esplosi delle finestre; diceva, quasi conun timido orgoglio puerile, di come era stato fortunatoche i vetri della sua stanza avevano resistito, protetti dallaplastica che si mette alle finestre per proteggere le case dalrigido inverno. Nel suo racconto non mancava la cronacadella distruzione: centinaia di negozi danneggiati, auto di-strutte e poi feriti, sangue e l’angoscia della conta delle vit-time, che veniva aggiornata di ora in ora.

Tuttavia, la parte centrale del suo racconto si era con-centrata sui commenti che aveva potuto raccogliere dallagente. Motivati di certo dalla paura e dall’emozione delmomento, ma non per questo meno emblematici dellarabbia di una popolazione che è stanca, insoddisfatta delproprio governo, incapace di aspettare oltre che venganorealizzate le promesse di pace e sviluppo che la retoricasuccessiva alla cacciata dei talebani si era portata dietro.Gente stufa di vedere i tanti, troppi, signori della guerracontinuare a gestire da tanti anni il potere sulle cose e lepersone come antichi signori feudali. Gente che, con sem-pre maggiore facilità, cerca nella presunta o reale ineffica-cia della comunità internazionale la spiegazione, se nonanche la causa, di tutti i suoi problemi. Sono le semplifica-zioni della massa, scorciatoie verso spiegazioni che richie-derebbero argomentazioni molto più complesse, difficilida capire e anche da accettare. Ma sono stati d’animo sin-tomatici delle pulsioni che in profondità animano il paesee contribuiscono a rafforzare la resistenza armata al gover-no e a rendere le prospettive generali tanto incerte e grigie.

Molte domande, dunque, restano in sospeso, pensan-do alla situazione afgana. Con esse, una sola, piccola,scontata certezza: la strategia attuata fino a oggi non stafunzionando. Il presidente della repubblica Karzai, il suogoverno e la comunità internazionale che lo ha sostenu-to, hanno bruciato dal 2001 a oggi l’enorme credito con lapopolazione che avevano acquisito in seguito alla caccia-ta dei talebani. Sarebbe ingiusto dire che non ci sono sta-ti anche progressi, ma sarebbe stupido e pericoloso igno-rare il risentimento e l’insoddisfazione che sta crescendo.C’è un forte bisogno di cambiare rotta, c’è bisogno dismettere di puntare sulla soluzione militare per concen-trarsi sulla ricostruzione e lo sviluppo. Se la storia dell’Af-ghanistan insegna qualcosa, è che in questo paese non sivince militarmente. Non c’è riuscita la Gran Bretagna nel-l’Ottocento, non ce l’ha fatta l’Unione Sovietica nel Nove-cento, di certo non ce la può fare il presidente Karzai, an-che con il supporto delle forze Nato. C’è un reale rischiodi un perpetrarsi infinito della guerra, sotto forma diguerriglia o peggio sotto forma di strategia del terrore, at-traverso attentati, rapimenti, violenze diffuse. Bisognadare risposte credibili alla popolazione, che chiede di po-ter guardare al proprio futuro, senza pensare che debbaessere uguale a un presente tormentato e irrisolto.

LA PRESENZA CARITAS

Caritas Italiana opera in Afghanistan in strettocontatto con il network Caritas Internationalis sin dal periododell’emergenza succeduta agli interventi armati Usa e Natodell’ottobre 2001. Da giugno 2004 ha aperto un ufficio a Kabul, con un operatore espatriato, per seguire in manieradiretta i progetti finanziati e trovare nuovi percorsiprogettuali. Tra gli obiettivi primari della presenza di CaritasItaliana in Afghanistan, vi è il supporto e l’accompagnamentodell’associazione intercongregazionale Pro Bambini di Kabul(Pbk), che da novembre 2004 è presente nel paese per realizzare un centro per minori disabili. Caritas Italianafinanzia anche (e dal punto di vista economico è lo sforzopiù rilevante) la costruzione di alcune scuole nella provinciadi Ghor, Afghanistan centro-occidentale; si sta valutandoanche la possibilità di realizzare iniziative di formazione degli insegnanti. Nella stessa area si realizzano progetti per la sicurezza alimentare. A Kabul, infine, è in corso da tre anni una collaborazione con l’ong locale Hawca per un progetto di educazione alla pace per ragazzi in età scolare e con l’Associazione nazionale sordomuti (Anad), di cui Caritassostiene alcuni progetti e il percorso di capacity building.

AFFAMATI DI FUTUROBambini in una zona montuosa dellaprovincia di Ghor, nell’Afghanistancentro-occidentale, dove CaritasItaliana finanzia nuove scuole

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QUESTIONE PLANETARIA,PERÒ NESSUNO LO AMMETTE

se confinante, il Pakistan, che rischiadi incendiarsi, con grave e prevedibiledanno per l’intera area.

D’altronde l’Afghanistan è inAsia. E in Asia si stanno rimescolan-do le alleanze, ma soprattutto si staconsolidando un antico asse ideolo-gico e pragmatico contro gli StatiUniti: l’asse tra Pechino e Mosca. Do-po l’11 settembre cinesi e russi si era-no alleati nella lotta al terrorismo,trascinandosi dietro anche i riottosistaterelli ex sovietici e le orgogliosefinte democrazie asiatiche che occu-pano lo spazio tra oceano Indiano emar della Cina. Washington ne hatratto profitto, anche finanziario, per-ché le borse cinesi e quelle asiatichehanno coperto con le loro veloci tran-sazioni ogni squilibrio a Wall Street.Salvo dare segnali inquietanti allabandiera a stelle e strisce, quando lacrisi in Iraq e Afghanistan si è fatta piùpesante e si è visto che le potenze oc-cidentali non avevano alcuna ideacirca la soluzione. Così a Shanghai

hanno sgonfiato la bolla e chi ne ha fatto le spese è statala finanza occidentale, in particolare quella americana.

Ma soprattutto le piazze asiatiche hanno dimostratoche crisi finanziarie e geopolitiche vanno a braccetto.Non è un caso che a Shanghai sia stato fondato, qualcheanno fa, un club che mette insieme Mosca, Pechino e lerepubbliche asiatiche ex sovietiche e che siano stati invi-tati come “osservatori” (un modo molto diplomatico perlanciare il sasso e nascondere la mano) India, Pakistan,Iran e Mongolia. È un’organizzazione multilaterale, doveUsa ed Europa non hanno neppure un box di posta. Ep-pure l’Occidente continua a baloccarsi con vecchi sche-mi: quelli ideologici e quelli del terrorismo. Perdendo di-sinvoltamente di vista la complessità della partita.

Dov’è l’Afghanistan? Non è una domanda da niente. Perché og-gi attorno al paese s’intrecciano interessi geopolitici, ma so-prattutto grandi amnesie geopolitiche. Allora la questione di-

venta di capitale importanza. Se l’Afghanistan si trovasse in Euro-pa, oppure in America Latina, o ancora nell’Estremo Oriente asia-tico, cioè sulle rotte marittime di grandi cargo e petroliere, sarebbestato meno trascurato. Invece si trova nel cuore dell’Asia continen-tale, appiccicato all’asse geopolitico più pericoloso e ballerino delmondo. Sta in mezzo all’altalena russo-cinese, dentro lo scontrotra musulmani buoni e cattivi, al crocevia di tutti i traffici di droga,

nel senso che senza l’Afghanistan i car-telli internazionali della droga soc-comberebbero. E con essi buona partedelle transazioni finanziarie mondiali.

Così l’Afghanistan è diventato unmito nelle operazioni di pace interna-zionali. Ma il paese, che da 35 anninon conosce pace, è un posto trascu-rato. Ha ricevuto meno soldi per gli in-terventi di ricostruzione di quantonon sia accaduto a ex Jugoslavia, Haitio Timor Est. Il sud è del tutto dimenti-cato. Nessuno ha investito nel settoreagricolo, che fa vivere quasi l’80% della popolazione, e co-sì gli agricoltori sono tornati ad investire nell’unica coltiva-zione strategica per le proprie tasche, l’oppio, grazie a in-centivi che non vengono dalla comunità internazionale,ma dai grandi trafficanti di oppio. I cui proventi finanzianogli estremisti in Kashmir, Asia centrale, Cina e Cecenia.

A braccetto con la finanzaInsomma, l’Afghanistan è una questione planetaria, manessuno lo ammette. C’è un governo che non riesce a te-nere sotto controllo nemmeno il giardino di casa, figurarsile lontane province di Herat e Kandahar. C’è una corruzio-ne a livelli spaventosi, signori della guerra che stabilisconoalleanze e strategie nazionali e internazionali. E c’è un pae-

contrappunto

La crisi in Afghanistannon è un problema

locale. Il paese si trovalungo l’asse geopoliticopiù instabile del mondo.

Insicurezza,aiuti insufficienti, oppio,

ruolo delle borse:l’occidente sta perdendo

di vista la complessitàdella partita

di Alberto Bobbio

internazionale

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internazionaledietro i conflitti

«Salvate i bambini di Kabul!». L’accorato gridodi papa Giovanni Paolo II risuonò nel mes-saggio di Natale 2001. L’Afghanistan era unpaese sconvolto dalla guerra, molti bambinierano rimasti orfani, soli, senza un tetto a

causa delle lunghe guerre. Così nacque l’esperienza del-l’associazione intercongregazionale Pbk (Pro Bambini diKabul), composta da 14 congregazioni religiose cristiane,che si poneva l’obiettivo di aprire un centro per bambinidisabili mentali a Kabul. Quattro suore (delle Marcelline,delle Francescane Missionarie di Maria e delle Domenica-ne di Santa Caterina da Siena, duepakistane e due polacche) venne-ro scelte per dar corpo al progetto.

L’associazione si rivolse quindia Caritas Italiana per chiedere unsostegno economico e gestionaleper la realizzazione del centro, cheha trovato sede nel quartiere popo-lare Taimany. Prese così avvio unpercorso, tra non pochi ostacoli edifficoltà, che ha condotto il 22maggio 2006 all’inaugurazione delcentro, alla presenza, tra gli altri, delrappresentante amministrativo delquartiere, il quale ha garantito lasua cooperazione e ha manifestato il suo apprezzamento.

Gli tirano le pietreIl 24 maggio è stato il primo giorno di apertura del centro.I primi a frequentarlo sono stati Tooba, Saher, Mehmoode Mashi, accompagnati dai loro genitori; oggi i piccoliutenti sono 13, dai 5 ai 12 anni. I bambini stanno al centrodalle 8 alle 14 e malgrado le molte attività non danno maisegni di stanchezza. Un’attenzione particolare viene dataall’aspetto nutrizionale, attraverso una ricca merenda ametà mattinata e poi un sostanzioso pranzo, preparatinella cucina del centro secondo la tradizione locale. Ognipasto inizia con una preghiera, di solito condotta da uncomponente afgano dello staff o da uno dei bambini.

Nel centro i bambini ricevono un’istruzione di base,imparano a disegnare e a colorare. Componente centra-le della proposta educativa è costituita dall’apprendi-mento di alcune attività basilari relative alla cura perso-nale: viene insegnato a vestirsi, mettersi le scarpe, man-giare, andare al bagno da soli, aver cura dell’igiene per-sonale e avere attenzione all’ambiente.

I genitori sembrano felici di questo centro, anche per-ché, secondo loro, non esistono strutture analoghe in Af-ghanistan. Il centro si sta facendo lentamente conosceredalla popolazione locale. Ci sono state molte richieste di

ammissione. Alcune si sono do-vute rifiutare perché i genitorinon erano in grado di accompa-gnare i bambini ogni giorno alcentro; anche per questo si rendesempre più necessario, e sarà ilprossimo passo, l’acquisto di unpulmino per andare a prendere eriaccompagnare i bambini.

La disabilità, sotto tutte le sueforme, è un problema molto se-rio in Afghanistan, sia per pro-blemi strutturali, legati alla diffi-cile situazione che continua a vi-vere il paese, sia per motivi di ca-

rattere culturale. Le famiglie e la società fanno fatica adaccettare i bambini disabili e anche quando riescono adaccettarli non sanno in che modo aiutarli. Capita spessoche i bambini disabili siano oggetto di discriminazioni evessazioni: quando escono in strada, gli altri li deridonoe tirano loro le pietre. In famiglia nessuno ha tempo perloro. Nessuno capisce i loro bisogni. Alcuni genitori sof-frono di questa dolorosa situazione, ma sono impotenti.L’intero Afghanistan soffre per le pesanti conseguenze dilunghi anni di guerre, i giovani e i bambini ne sono le pri-me vittime. A maggior ragione quelli che soffrono formedi disabilità, trascurati e marginalizzati. Ma in grado difare progressi e di camminare verso una nuova vita, se sifornisce loro una concreta possibilità.

Dall’appello di papa Wojtylaun centro per bambini disabiliUn’associazione creata da quattordici congregazioni. Quattro suore a Kabul.E un piccolo segno di speranza. Che ha l’obiettivo di garantire salute. E dignità

CONTRO I PREGIUDIZIEducatori e bambini nel centro per disabiliaperto a Kabul dall’associazione Pbk

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I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 7 33

La Chiesa latinoamericana vuole compiereuna nuova tappa nel suo cammino accan-to al popolo, per chiarire la missione cheDio le affida in questo tempo. Le direttivefondamentali del Concilio Vaticano II, ilcammino della chiesa latinoamericananelle precedenti Conferenze generali e in

particolare l’opzione per i poveri, l’importanza dellechiese locali e della collegialità episcopale: è a partire daquesti punti di riferimento irrinunciabili che la chiesadel continente (diocesi, religiosi, movimenti, teologi eorganismi pastorali) ha risposto al Documento di parte-cipazione diffuso dalla Conferenza episcopale latinoa-mericana in vista dell’appuntamento di Aparecida.

Nei contributi inviati, ritorna con insistenza la richie-sta che la Conferenza non perda di vista il metodo di ri-flessione adottato dal Concilio Vaticano II nella Gau-dium et spes e divenuto base della teologia latinoameri-cana: “vedere-giudicare-agire”. La Conferenza deve re-cuperarlo per garantire una diagnosi obiettiva dellarealtà, una riflessione aggiornata sulla stessa e un impe-gno pastorale che risponda a domande concrete.

La chiesa di America Latina e Caraibi vuole essere unacomunità di comunità, nel mondo e per il mondo, nellarealtà di un continente segnato dal contrasto tra i moltivalori che caratterizzano il popolo (la religiosità, la capa-cità di condividere, la gioia, la tenacia, la speranza, la soli-darietà) e, purtroppo, l’estrema povertà nella quale vive lamaggior parte della popolazione nei diversi paesi.

Strutturali, non congiunturaliLa realtà del contesto latinoamericano è segnata daprofondi problemi.■ La povertà crescente e i grandi contrasti sociali. La povertà

e l’esclusione sociale furono considerate dai vescovi co-me una minaccia alla pace del continente già nella Con-ferenza di Medellin. A Puebla essi costatarono l’aggra-varsi della situazione e, allo stesso tempo, che le sue cau-

se non erano congiunturali, ma strutturali: un riflesso delsistema neoliberista imposto ai nostri paesi. Oggi, il traf-fico delle droghe e la violenza sono segnali di disperazio-ne e per molti una scappatoia; instabilità, violenza e con-flitti generano flussi di rifugiati; diventa sempre più evi-dente la necessità di cambiamenti strutturali.

■ La violazione dei diritti umani. Mai come ai nostri gior-ni si è avuta tanta coscienza dei diritti umani; ma, allostesso tempo, mai come oggi essi sono stati violati tan-to sistematicamente: le principali vittime sono mino-renni, giovani, donne, carcerati, indigeni, neri, senza-terra e senza-casa, disoccupati e immigrati.

■ La minaccia di un disastro ecologico. Sempre piùprendiamo coscienza che il nostro futuro, e quellodelle prossime generazioni, dipende dalla cura concui tratteremo la natura: attentare contro il nostropianeta, come si fa in molti modi in America Latina,significa attentare contro la vita umana.

■ Il pluralismo religioso. In America Latina e Caraibi c’èsempre stata una pluralità di esperienze religiose. Lagrande novità dei nostri giorni è la proliferazione diesperienze religiose di ogni tipo, insieme al fenome-no del grande numero di persone che cambiano reli-gione. Questa situazione esige un atteggiamentoaperto al dialogo rispettoso, ma anche di profezia di-nanzi a ogni forma di strumentalizzazione della sferareligiosa per interessi ideologici.

■ La massificazione e l'anonimato nel mondo urbano.Assistiamo al più grande sviluppo urbano e demo-grafico di tutta la storia. Mai siamo stati tanto vicinigli uni agli altri e, allo stesso tempo, tanto soli e chiu-si. Anche in America Latina, stiamo facendo l’espe-rienza della solitudine in mezzo alla moltitudine.

■ La famiglia, cellula della comunità e della società. Èfondamentale offrire alla famiglia condizioni di vita de-gna, che si realizza attraverso casa, lavoro, formazionee salute, così come con il rispetto dell’istituzione delmatrimonio e della vita che da esso nasce.

internazionale

di Demétrio Valentini presidente di Caritas Brasiliana, vescovo della diocesi di Jales (San Paolo)

america latina

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Il cammino accanto al popolo.Il contrasto tra valori e povertà.La natura dinamica del Vangeloe il “sacramento della realtà”.Riflessioni di un pastore, in vistadi un appuntamento cruciale per la chiesa latinoamericana

La chiesa latinoamericana e caraibica si prepara a un appuntamento di grande importanza, cioè

la quinta Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, che si svolgerà ad Aparecida (Brasile)

dal 13 al 31 maggio e sarà caratterizzata, nei giorni iniziali, da una visita di papa Benedetto XVI.

In vista di questo appuntamento, che riserverà ampio spazio alla riflessione sul ruolo della carità

nell’azione pastorale, proponiamo brani di una riflessione del presidente di Caritas Brasiliana.

VOLTI DI UN CONTINENTEBambino a Santiago de Cuba;sullo sfondo, un santuario

LA SFIDA DEI CAMBIAMENTI,IL VOLTO REALE DEI POVERI

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Condannare la mercificazioneAd Aparecida è in gioco la comprensionedella natura dinamica del Vangelo. Che nonconsiste tanto in parole e storie che si rac-contano a proposito di Gesù. Consiste inreazioni davanti ai fatti del suo tempo, che ciilluminano per agire allo stesso modo da-vanti ai fatti di oggi. Così la realtà diventa “sa-cramento” per fare vedere come sia il Vange-lo ad agire nel nostro presente, nella misurain cui noi reagiamo davanti alla realtà, mos-si dall’esempio e dallo Spirito di Gesù.

Partire dalla realtà non è capriccio o stra-tegia, ma è l’atteggiamento di chi vuole ab-bracciare la dinamica del Vangelo. Il puntodi partenza della riflessione e dell’azioneevangelizzatrice deve essere la realtà socio-culturale, considerata dal punto di vista del-le grandi masse impoverite e, all’interno diesse, dei gruppi che più soffrono.

Sono molte le aspettative suscitate dallaConferenza, sulla scia della sequenza apertanel 1955 a Rio di Janeiro, continuata a Me-dellín (1968), Puebla (1979) e Santo Domin-go (1992). La Conferenza di Aparecida è cir-condata dalla percezione che è giunto il mo-mento che la chiesa affronti le nuove realtà,frutto delle profonde trasformazioni vissutenegli ultimi decenni dal continente, la cuiidentità va rapidamente prescindendo dal legame con lachiesa cattolica. La quale proprio per questo si domandacome fare per mantenere rilevanza storica in un popoloche già non si sente obbligato a identificarsi con essa.

Certamente ad Aparecida le giornate saranno pocheper temi tanto rilevanti, e il documento tanto atteso saràincapace di rispondere a tutti i desideri. Proprio per questoè importante intendere la Conferenza non come eventoisolato, bensì come un processo, che già è incominciato edeve rimanere aperto. Recuperare lo spirito di partecipa-zione e comunione, in virtù del quale tutti si sentano sog-getti del cammino della chiesa, è il primo passo a cui laConferenza si deve impegnare. Ma soprattutto, Aparecidanon dovrà perdere di vista il volto concreto dei poveri.Questo imperativo si concretizza in alcune sfide: Apareci-da dovrà condannare la mercificazione della vita, della sa-lute, dei mezzi di comunicazione e della stessa religione,dichiarando esplicitamente che la chiesa non è legata alcapitalismo. Dovrà precisare la relazione intrinseca della

guerre alla finestra

L’IRAQ IN AGONIA,TRIBALIZZATO E SPOPOLATO

nità fa sì che gli ospedali non funzio-nino, perché manca la fiducia nel me-dico. E molti studenti non hanno piùscuola, perché i professori sono fuggi-ti. Anche il presidente della repubbli-ca è andato a curarsi in Giordania!».

Il costo della vitaLa guerra in Iraq nutre sé stessa:molti fondi vengono spesi per la si-curezza (di chi ha abbastanza mezziper potersela accrescere) anzichéper la ricostruzione. Il crimine, im-punito, si industrializza: «Dopo averpagato il riscatto, non sempre si ri-consegna il sequestrato, ma lo sipassa a un’altra gang, che a sua vol-ta richiede un riscatto».

Così il sogno di molti è partire. Chinon partirebbe quando, dice Khawla,«cominciamo ogni giornata senza sa-pere se alla sera saremo vivi?». Eppu-re Sami, un uomo di una certa età, è ilsolo membro della sua famiglia rima-sto nel paese. Khawla è una donna

ancora giovane, con due figli studenti. Monsignor Sleimanha deciso di ristrutturare la cattedrale e non vuole che nes-suna chiesa sia chiusa: assume operai sciiti che lavoranovolentieri per lui. «Dobbiamo dare segni di speranza. Enon c’è solo la chiesa, ma bisogna preparare un centro peri giovani, per incoraggiarli a restare, perché studino. Quel-li che se ne sono andati ormai non torneranno più…».

Sami Yussuf prende le sue carte e illustra i progetti2007 di Caritas Iraq: «Tutti gli interventi vanno estesi, ibambini malnutriti sono il 28%, solo per loro ci occor-re un milione e mezzo di dollari. Ora abbiamo migliaiadi sfollati interni di cui occuparci e ci servono 200 mi-la dollari. Molti nostri impiegati se ne vanno, ma netroveremo altri. Se Dio vuole vivremo. Nonostante ilcosto della vita salito alle stelle…».

«L’Iraq è morto, prepariamoci a seppellirlo». Khawla Jajo, segre-

taria generale di Caritas Iraq, non usa giri di parole. È stata a

Roma a metà marzo, insieme a Sami Yussuf, presidente di Ca-

ritas, al signor Nabil, coordinatore dei progetti, e a monsignor Jean Slei-

man, arcivescovo di rito latino di Bagdad, per fare sentire alla rete Caritas

Internationalis le voci di un paese in agonia. «L’Iraq è una società esplosa»,

dice monsignor Sleiman, e si capisce che non è un’espressione letteraria.

Significa che nessuno ha più fiducia di nessuno e che le diverse comunità

si ricompongono al loro interno,spostandosi o fuggendo.

Si torna insomma alla “tribalizza-zione” del paese, così le piccole co-munità finiscono per trovarsi senzaprotezione. In mancanza di uno statodi diritto, le minoranze sono in trap-pola per il fatto stesso di essere mino-ranza. «L’Iraq non è più un paese, è uninsieme di confessioni e tribù», conti-nua Sleiman. E una società tribalizza-ta non può non diventare fondamen-talista. Altro che democrazia…

Chi può parte: certi giorni si arrivaa 5 mila persone che se ne vanno all’estero; le Nazioni Uni-te valutano che l’esodo a fine 2007 potrebbe avere rag-giunto il 10% della popolazione. A generare paura non cisono solo gli attentati, trasmessi dalle tv di tutto il mondo,ma rapimenti e gente che scompare, ogni giorno. L’errorepiù grave, secondo gli interlocutori di Caritas Iraq, è statocommesso all’inizio, quando le truppe straniere non han-no mosso dito davanti a saccheggiatori e criminali. Oggi ilclima di impunità fa sì che i momenti di calma siano ap-parenti: le assicurazioni del governo sono parole. Khawlatrattiene l’emozione: «È vero, gli sciiti vogliono rifarsi di unpassato di emarginazione e persecuzione sotto Saddam;dettano legge in scuole e ospedali, ovunque ci sono ritrat-ti del loro califfo e martire Hussein; cittadini iraniani en-trano numerosi nel paese. Ma il ricompattarsi delle comu-

I responsabilidi Caritas Iraq hanno

tracciato a Romauna terribile diagnosidella vita quotidiana

nel paese. L’insicurezzaregna sovrana, la guerra

nutre se stessa el’industria del crimine. Ma c’è chi costruisce

speranza

internazionale

di Silvio Tessari

fede con la prassi di liberazione, affinché la religione nonsia relegata alla sfera privata, spiritualità intimista che giu-stificherebbe la sua critica come fonte di alienazione. Do-vrà ribadire l’opzione per i poveri, nella prospettiva di ren-derli soggetti dell’edificazione del regno di Dio nella sto-ria, non oggetto di una carità assistenzialista. Dovrà affer-mare la ministerialità della chiesa, come sottolineato dalconcilio Vaticano II, e la conseguente necessità di crearenuovi ministeri, in modo speciale per i laici e le donne.

Ancora, Aparecida dovrà esprimere un’ecclesiologianon cristocentrica ma trinitaria e pneumatologica, fonda-ta sul trinomio chiesa-regno-mondo. Dovrà ripensare lamissione della chiesa nel mondo, con particolare attenzio-ne alla pastorale sociale nell’ambiente urbano: dovrà deli-neare una chiesa che serve ed è profetica, a partire dallagratuità del regno di Dio. Infine, dovrà sollecitare un’azio-ne evangelizzatrice più incisiva nel sociale, considerandoche l’America Latina, pur essendo un continente cattolico,è teatro di clamorose ingiustizie e disuguaglianze.

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internazionale

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america latina

Caritas è presente in tutti i 22 paesi della regione AmericaLatina e Caraibi, organizzati in quattro zone (Bolivariana, Camexpa, Caraibi e Cono Sud). In quanto organizzazione della chiesa, Caritas è fortemente integrata con gli organismi di pastorale sociale. In alcune nazioni, Caritas ha una storia di più di 50 anni.

I rappresentanti delle 22 Caritas latinoamericane e caraibiche si riuniscono ogni quattro anni (l’ultima volta dal 20 al 24 marzo di quest’anno) in un’Assemblea regionale che stabilisce piani di lavoro e strategie congiunte. Per raggiungere la missione istituzionale, vengonoorganizzate azioni coordinate nei settori empoderamiento (rafforzamento)e incidenza; cooperazione solidale e emergenze; genere; riconciliazione e pace; Aids; migrazioni e comunicazione.

Il capillare lavoro che la Caritas svolge nei settori dell’assistenza, dello sviluppo e dell’emergenza è possibile grazie al contributo di decinedi migliaia di volontari, che operano in nome di un atteggiamentocomunitario e fraterno, caratteristico dell’azione pastorale nel continente,e a partire da una spiritualità di incarnazione e formazione integrale.

Nel continente non mancano le situazioni sociali e politiche delicate,se non critiche. Il Venezuela, per esempio, è segnato da una fortelacerazione socio-politica: la credibilità di cui gode Caritas le consente di esercitare importanti funzioni di mediazione e dialogo, per avvicinareposizioni ed evitare escalation di violenza e conflitti aperti. Si tratta di un compito importante, che ha visto anche Caritas Argentina, dopo la recente crisi economica nel paese, ospitare e animare un Tavolo di mediazione, che ha contribuito a orientare il processo di confrontonazionale e di revisione legislativa. La funzione di mediazione riguardaanche i conflitti guerreggiati: un forte impegno è per esempio espressodalla rete internazionale Caritas riguardo al conflitto in Colombia.

LA PRESENZA CARITAS

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impegno, ma decisive per favorireun loro graduale auto-sviluppo.Ciascun intervento è la rispostadelle comunità italiane (gli offeren-ti sono privati, parrocchie e diocesi)a un preciso bisogno, segnalato dal-le Caritas locali o dai responsabilidelle diocesi in cui si trovano le co-munità rurali o urbane da sostene-re. Oltre all’operazione finanziaria,rilevante è il ruolo pedagogico che imicroprogetti riescono ad attivare:la fase del loro finanziamento serveinfatti a sensibilizzare le comunitàitaliane riguardo ai problemi di al-tre popolazioni. E il messaggio rag-giunge soggetti diversi e sollecita motivazioni dispara-te: le donazioni vengono effettuate in occasioni di ma-trimoni, cresime e battesimi, in seguito alla rinuncia aregali di compleanni e laurea, in memoria di parenti oamici defunti, per ringraziare di una buona posizionesociale raggiunta, in occasione dell’acquisto di unanuova casa, o dell’anniversario di messa di un sacerdo-te, o dell’ingresso di un prete in una nuova parrocchia.

Priorità ai più deboliNel corso degli anni, e in occasione di vari incontri conle Caritas e le diocesi dei paesi in via di sviluppo, Cari-tas Italiana ha affinato criteri e obiettivi a cui rispondel’erogazione delle “micro”. Dopo una prima fase, ai pae-si raggiunti tradizionalmente sono stati affiancati an-che paesi in transizione e in via di sviluppo dell’Europa

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nno 1976: “Promozione educativa e pro-fessionale nella zona di Balsas - Brasile”,3.000 dollari Usa (circa 1.800.000 lire del-l’epoca). In questa formula breve c’è l’ini-zio di una storia lunga. Nascosta ma frut-tuosa. Quella richiesta di 31 anni fa fu in-fatti la prima ricevuta da Caritas Italiana

da un paese del sud del mondo: fu pubblicata su ItaliaCaritas nella primavera del 1976, insieme ad altri pic-coli programmi di sviluppo. Alla fine di quell’anno iprogrammi realizzati erano già 50.

Nacque così, sommessamente ma non per caso,l’appassionante vicenda dei “microprogetti”. In tre de-cenni, Caritas Italiana ha sempre più incrementato ilsostegno ai paesi più poveri e meno sviluppati, non so-lo intervenendo nelle emergenze dopo catastrofi natu-rali e belliche, non solo impegnandosi in grandi pro-getti post-emergenza o di sviluppo, ma anche utiliz-zando lo strumento delle “micro”. Dal 1976 al 1990, lemicrorealizzazioni finanziate sono state più di 3.500;nei quindici anni successivi il loro numero è salito a8.634, con una media annuale di 575. Quasi tre milionisono state le persone che hanno beneficiato, diretta-mente o indirettamente, di questa capillare azione, inoltre 70 paesi del mondo.

Lo sviluppo, in effetti, non è fatto solo di grandi ope-re e grandi infrastrutture. Un terreno secco apprezza larugiada, più del temporale. Nell’ambito dell’aiuto aipaesi poveri, Caritas Italiana si propone di contribuirealla promozione umana e sociale delle popolazioni, an-che sostenendo piccole comunità – le più arretrate emeno aiutate – nella realizzazione di opere di modesto

L’anno scorso sono stati metà di milleÈ l’India il paese più “gettonato”

Nel 2006 Caritas Italiana ha realizzato 499 microprogetti di sviluppo in 52 paesi, per un importo di 1.650.000 euro. Quelli relativi alle categorie di intervento attualmente considerateprioritarie rappresentano il 90% dei progetti realizzati (reperimentoacqua, sviluppo comunitario, attività produttive nell’ambito rurale e artigianale, programmi sanitari). Il restante 10% si riferisce a interventi educativi e di promozione umana e sociale in favoredelle categorie più deboli. Gli interventi hanno avuto la seguentedistribuzione geografica:■ 157 miniprogetti in 25 paesi dell’Africa: Angola 2, Botswana 1,

Burkina Faso 2, Burundi 1, Camerun 4, Centrafrica 1, Ciad 1,Congo Brazzaville 5, Congo Repubblica Democratica 29, Costa d’Avorio 5, Etiopia 1, Guinea Bissau 1, Ghana 2, Kenya 9, Madagascar 15, Malawi 1, Mali 2, Mauritania 2,Mozambico 2, Nigeria 3, Sudan 1, Tanzania 16, Togo 1, Uganda 49, Zimbabwe 1.

■ 84 miniprogetti in 11 paesi dell’America Latina: Argentina 8,Bolivia 14, Brasile 15, Cile 3, Colombia 13, Ecuador 9, El Salvador 6, Guatemala 5, Honduras 1, Perù 7, Uruguay 3.

■ 249 miniprogetti in 13 paesi dell’Asia: Cina 1, Filippine 11, India105, Indonesia 3, Kazakistan 2, Libano 1, Myanmar 16, Nepal 7,Palestina 1, Pakistan 3, Thailandia 1, Sri Lanka 2, Vietnam 96 (il numero elevato di miniprogetti per l’Asia deriva dal fatto che l’importo medio per intervento è stato inferiore ai 2.500 euro).

■ 9 miniprogetti in 3 paesi dell’Europa: Albania 2, Armenia 3,Serbia 4.

dell’est e del Medio Oriente. E sono state fissate alcunepriorità: per poter rispondere con maggiore efficaciaalle richieste che pervengono dalle chiese locali, ven-gono considerati prioritari (e in caso di ridotte disponi-bilità finanziarie, esclusivi) tre tipi di richieste: ■ programmi di avviamento al lavoro, che generino

nell’immediato una certa produttività e redditivitànegli ambiti rurale, dell’allevamento, dell’artigiana-to;

■ programmi di reperimento di acqua per uso dome-stico, irrigazione, piscicoltura, allevamento in gene-re;

■ programmi sanitari, relativi a piccoli dispensari ru-rali e di periferia, con preferenza a quelli di nuovacostruzione (in questo caso la richiesta deve essererelativa a piccole attrezzature, strumentazioni e ma-

internazionalecooperazione

di Claudio Francia e Ferruccio Ferrante

UN MONDO DI PROGETTIAcqua in Africa, allevamentoin India: due foto dall’archivio storicodelle “micro” di Caritas Italiana

Il primo fu in Brasile, nel 1976. Ne sono seguiti 8.633:i microprogetti finanziati da Caritas Italiana hannoraggiunto tre milioni di persone in oltre 70 paesi.Una battaglia anti-povertà, che punta sulle comunità locali

TRENT’ANNIDI “MICRO”,SVILUPPOA PICCOLI PASSI

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internazionalecasa comune

L’EUROPA CI RIPROVATRA PIRANDELLO E ORWELL

le della Ue, viene spesso mortificato.Restano le celebrazioni del cin-

quantenario della storica firma inCampidoglio (25 marzo 1957) deiTrattati istitutivi. A Roma si sono datiappuntamento i parlamenti degli sta-ti membri, il Comitato delle regioni, igiovani per un loro forum continenta-le. E si è svolto il convegno organizza-to dalla Comece (Commissione degliepiscopati della Comunità europea): ivescovi hanno analizzato il portatostorico dell’Ue, le sue difficoltà attua-li; hanno ribadito l’importanza di va-lorizzare l’identità e le radici cristianedell’Europa. Tema sul quale li haconfortati, ricevendoli in udienza, pa-pa Benedetto XVI.

Sbrogliare la matassaAl termine delle celebrazioni ufficiali,i vertici Ue hanno quindi reso nota laDichiarazione di Berlino, sottoscrittadalla cancelliera tedesca AngelaMerkel, presidente di turno, da José

Manuel Barroso, capo della Commissione, da Hans-GertPöttering, presidente dell’Europarlamento. Il testo dovreb-be fare da base per il riavvio del processo di integrazione,dopo lo stop seguito al “no” francese e olandese sulla Co-stituzione. A questo proposito il documento afferma: “È inquesto spirito che (…) siamo uniti nell’obiettivo di dare al-l’Ue entro le elezioni del Parlamento europeo del 2009 unabase comune rinnovata. Perché l’Europa è il nostro futurocomune”. Il Consiglio di giugno dovrebbe stabilire, secon-do quanto detto dalla Merkel, una road map per rispettarela scadenza del 2009. L’intenzione è avviare una nuovaConferenza intergovernativa nella seconda metà di que-st’anno, per sbrogliare la matassa costituzionale.

Il cammino riprende: ma solo nel 2009 potremo dire sel’Ue ha un futuro all’altezza della sua storia.

Il Pirandello è quello dei “perso-naggi in cerca d’autore”, che qui nonsono sei, semmai ventisette. L’Ue inmezzo secolo di integrazione è cre-sciuta, si è rafforzata, ha ottenuto im-portanti risultati (pace, sviluppo eco-nomico-sociale, consolidamentodella democrazia, tutela dei diritti,riunificazione); ha fallito diverse pro-ve (una per tutte, la costruzione diuna politica estera univoca); è cadutae si è rialzata. Eppure mostra un’iden-tità ancora incerta e non sa bene “co-sa farà da grande”. C’è chi spinge peruna maggior integrazione, c’è chi frena. I cittadini com-prendono che la collaborazione fra stati è una via obbliga-ta nell’era globale e cominciano a verificare i risultati di ta-lune politiche attuate a Bruxelles e Strasburgo; ma allostesso tempo temono una Ue più “potente” degli stati na-zionali e comunque rimangono lontani dalle istituzionicomuni. E la Dichiarazione di Berlino, proclamata al ter-mine del summit del 25 marzo, si è rivelata una sintesi alribasso tra gli atteggiamenti degli euroentusiasti da unaparte e quelli degli euroscettici dall’altra.

Poi c’è l’Orwell della Fattoria degli animali, della de-mocrazia sbandierata eppure calpestata da chi invoca ildiritto di veto e antepone gli interessi nazionali a quelli co-muni, ritenendosi “più eguale degli altri”. Così il principiodi solidarietà, che dovrebbe essere il pilastro fondamenta-

Un organismo in cercad’autore. Interessi

“più uguali degli altri”.Il futuro dell’Unione

europea sarà all’altezzadella sua storia?

Per saperlo dobbiamoaspettare il 2009.

Anche se la riflessionesulla costituzione

è ripartita

di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles

C’è un po’ di Pirandello e un po’ di Orwell nelle vicende del-

l’Unione europea che, girata la boa dei 50 anni, si appre-

sta a decidere (Consiglio dei capi di stato e di governo del

21 e 22 giugno) cosa fare della Costituzione. Ossia di un Trattato

fondamentale, necessario per dare un quadro valoriale, giuridico

e politico alla “casa comune”, da tutti (o quasi) auspicato, firmato

a Roma a fine 2004, già ratificato da 18 dei 27 stati membri, e che

ora rischia di essere rimesso nel cassetto.

teriale sanitario, mentre per quanto riguarda medi-cinali e materiale di consumo può essere concessoun piccolo contributo iniziale, a condizione che suc-cessivamente possa essere garantita – con contribu-ti locali o di altri organismi – la sostenibilità del mi-niprogramma proposto).All’interno di questi tre filoni di priorità, vengono

ancor più privilegiati i microprogetti rivolti alle catego-rie più deboli e disagiate: disabili, orfani e vedove acausa dell’Aids, vittime di situazioni politiche partico-lari, emigrati forzati, famiglie di carcerati ed ex carcera-ti, gravi emarginati sociali (anche in relazione a conte-sti culturali, politici e religiosi particolari: fuori casta,aborigeni, indigeni). Per alcuni paesi molto poveri oper zone abbandonate, vengono effettuati anche pic-

coli programmi di promozione sociale tramite la realiz-zazione di infrastrutture civili (sentieri, strade, risana-mento di servizi igienici e fognari, piccoli ponti), quan-do è provata l’assoluta indisponibilità o impossibilità diintervento da parte delle autorità competenti.

In ogni caso, i microprogetti devono essere espres-sione diretta della chiesa locale, che garantisce vigilan-za e controllo, ed effettuati direttamente nelle comu-nità (rurali, semi-urbane o di periferia), i cui esponenticontribuiscono direttamente al progetto, spesso assi-curando la manodopera. Non vengono invece conside-rati prioritari i programmi in favore di comunità reli-giose, ong e associazioni, eseguiti nelle loro proprietà oa sostegno del mantenimento di istituti o attività di lo-ro proprietà.

Le capre e l’irrigazione nelle lettere del cambiamento

Migliaia di lettere. Per chiedere,ringraziare, aggiornare,rendicontare. Testimoniarecambiamenti lenti e minuti, ma decisivi per le sorti di una comunità. Trent’anni di “micro” si sono lasciati alle spalle un fittissimo archivio.Con i referenti delle comunità localibeneficiarie dei progetti, lo scambioe il contatto sono stati (e sono)costanti. Dietro la montagna di documenti, si distinguonochiaramente volti e voci noti, concui il legame dura da lunga data.

Monsignor Paul Marie Cao DinhThuyen, vescovo di Vinh, in Vietnam, è uno di questi partnera distanza. “Trent’anni di microprogetti sono tanti e ognianno è stato di certo significativo –ha scritto a Caritas Italiana di recente –. Qui in Vietnam, nei nostri villaggi, ci hannopermesso di raggiungere piccoliobiettivi, ma di effetto immediato,che hanno contribuito a trasformarepoco a poco il livello di vita

delle persone e delle comunità. Un esempio pratico? Con 2.500euro possiamo allestire ben trebacini di 9 metri per 9 per 2 per la raccolta e il filtraggio dell’acqua:un piccolo sogno, che diventa realtàe consente a uomini e animali di non patire più per la siccità”.

Dall’Asia all’Africa, per ascoltarealtre testimonianze. “In casi di calamità ed emergenze daimedia si ricevono forti emozioni – osserva il direttore di CaritasUganda, Vincent B. Sebukyu –.Anche questo può contribuire a formare le mentalità, ma è fortecomunque l’esigenza di andareoltre l’aiuto immediato. Occorredare la possibilità di effettuareprogrammi autoproduttivi a livello di villaggio (…). A volte bastanopiccole somme, come le pochemigliaia di euro che hannoconsentito a 45 donne nel distrettodi Kabale di acquistare capre, per avere la disponibilità di latte per i propri figli e per 60 orfani.Nello stesso tempo potranno

vendere i capretti che nasceranno egarantire la fertilizzazione del terrenoda dedicare a produzioni agricole”.

Meccanismi semplici, dunque,che generano reddito e consentonol’attivazione di gruppi comunitari.Come nel caso della Bolivia.“A Tarija, nelle comunità di Rujeroe Corana – spiega José FelixGutierrez, direttore dell’Iicca(Instituto de Investigación y Capacitacion Campesina) – grazie a riunioni di villaggio è nata l’ideadi dotare di sistemi di irrigazionecinque famiglie per ognuna delledue comunità, con l’obiettivo di ottimizzare le risorse idriche e incentivare le coltivazionibiologiche già in atto. Una propostaefficace, che si potrà estendereprogressivamente alle comunitàcircostanti. In questo modo larelazione di comunione e carità chesi stabilisce, grazie alle micro, tradue comunità diventa a sua voltageneratrice di legami e di svilupposul territorio, e dà vita a una seriedi contatti che durano nel tempo”.

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internazionalecooperazione

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agenda territori

BOLZANO-BRESSANONE

I debiti, una spirale:consigli per evitaredi farsi intrappolare

Avere cautela nel coprire i debitiaccendendo nuovi prestiti. Controllarele abitudini di consumo e preparareun buon piano economico domestico.Compilare un libretto per la contabilitàdomestica, al fine di tenere d’occhio

entrate e uscite. Sonoi consigli contenuti nelrapporto 2006 del Servizioconsulenza debitori dellaCaritas diocesana di

Bolzano-Bressanone. Nel 2006, 1.106persone con problemi finanziari – singolio membri di nuclei famigliari, con undebito medio di 60 mila euro – si sonorivolti ai cinque consulenti del servizionegli uffici di Bolzano, Merano e Brunico:il 6% si è fatto consigliarepreventivamente, per evitare situazioni di sovraindebitamento a causa di ingentiinvestimenti; i restanti utenti avevano già problemi finanziari e il 17% di essi,dopo una consulenza dettagliata, ha potuto porre mano da solo a unaregolazione dei debiti. Per gli altri, il servizio ha operato con l’intento di favorire una stabilizzazione finanziariaduratura, sviluppando ben strutturatipiani di risanamento dei debiti.

ROVIGO

Fondi per homeless,ma sono menodi quelli per i randagi

Undici centesimi contro novanta: è la quota pro capite spesa dai comunidella provincia di Rovigo per l’accoglienzadei senza dimora e per i cani randagi.La denuncia è stata effettuata dalla “'Casa solidale”, un centro

CUNEO

Chiusi in casa per timore di vendette,un libro per i bambini dell’Albania

Nelle zone più remote dell’Albania vige ancor oggi un antico codice consuetudinario che regola la vita dellecomunità, il Kanun, la cui violazione, se non ricomposta,comporta l’obbligo della famiglia offesa di vendicare con il sangue il torto subito. Sebbene il codice non lo preveda,la vendetta ricade anche sui minori. È il triste fenomenodella Gjakmarrja, che nelle impervie zone rurali e del norddel paese costringe i minori a non uscire di casa, per

paura di essere uccisi a causa di vendette di sangue. Ancora oggi sarebbero1.600 i conflitti di questo genere in corso, che (secondo stime Unicef e di diverse organizzazioni locali) costringono migliaia di bambini a restarechiusi in casa per non rischiare la vita. Per attenuare le conseguenze di questofenomeno, l’associazione albanese “Ambasciatori di Pace”, sostenutada Caritas Albania, ha lanciato il progetto “La scuola viene da me”, che si propone di portare educatori e insegnanti nelle case dei minori vittime della Gjakmarrja e di denunciare, attraverso un libro-reportage fotografico, la violazione dei loro diritti fondamentali. Caritas Cuneo ha deciso di sostenereil progetto “Un libro per la vita” e ha presentato la sua iniziativa nel corsodi una serata pubblica tenutasi a inizio aprile a Borgo San Dalmazzo.

MILANO

Carcere e povertà,i detenuti sonogiovani e disoccupati

Caritas Ambrosiana ha presentato a metà aprile il convegno “L’estremorimedio. Giustizia penale e giustiziasociale oltre l’indulto”, una riflessione a tutto campo, a nove mesi dall’atto di clemenza approvato dal parlamento,sul sistema penale italiano e sugli effettidell’indulto. Tra gli autorevoli relatori,anche due sottosegretari, Luigi Manconi(giustizia) e Cristina De Luca (solidarietàsociale). In occasione del convegnosono state presentate due ricerche. Laprima, realizzata dall’università di Torinoper conto del ministero della giustizia,riguarda gli effetti del provvedimento diindulto ed esamina i casi di recidiva tra

i beneficiari dell’atto. La seconda è statarealizzata da Caritas Ambrosiana(nell’ambito del progetto “Un tetto pertutti”, che mette a disposizione 52 postiletto in 23 appartamenti e una comunitàper l’inserimento abitativo e sociale di detenuti o ex detenuti) ed è incentratasul rapporto tra carcere e povertà:basata su oltre 1.300 questionariraccolti tra i detenuti dei penitenziari di San Vittore, Opera e Bollate,rappresenta la fotografia più precisascattata finora sulla popolazionepenitenziaria milanese. La ricercaesamina nazionalità, composizionesociale, livello di istruzione, situazionelavorativa e abitativa dei detenuti ed evidenzia una forte correlazione tra detenzione, età giovanile,disoccupazione e (almeno tra gli italiani)basso livello di scolarizzazione.

“Un cuore che vede”, Montecatiniospita il convegno delle Caritas

Montecatini Terme (Pt), Centro congressi, dal 25 al 28 giugno:è l’appuntamento per il 31° convegno nazionale delle Caritasdiocesane, dedicato al tema Al di sopra di tutto. “Un cuore che vede”per animare alla carità. Il convegno giunge a conclusione dell’itinerariodi verifica “Quale Caritas per i prossimi anni?” e del trittico costituitodai tre Forum di approfondimento sui rapporti parrocchia - territorio,parrocchia - Caritas parrocchiale, parrocchia - animatore Caritas.A Montecatini si cercherà di fare sintesi e portare a maturazionele riflessioni elaborate nel corso dell’anno, collegandole con il messaggio proposto da Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas est.L’obiettivo del convegno è la conduzione di un’approfondita riflessionesu percorsi e prospettive di animazione della comunità e del territorio,

per far crescere nell’ordinarietàdella vita cristiana forme semprepiù diffuse di responsabilità,coinvolgimento e impegno.

Il programmaIl programma prevede, come di consueto, celebrazioni liturgiche, ampi spazi di preghiera e ogni giorno una lectio divina. L’intervento di apertura sarà affidato, nel pomeriggio di lunedì 25, a monsignorAngelo Bagnasco, neopresidente della Cei; seguirà la prolusione di monsignor Francesco Montenegro, presidente di Caritas Italiana.Martedì 26, in mattinata, interventi sul tema “Testimoni di speranza:impegno e animazione delle comunità”: interverranno Savino Pezzotta,presidente della Fondazione per il sud, e don Franco Giulio Brambilla,preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale; nel pomeriggiotavola rotonda dal titolo “Animare al senso di carità. Il cammino di Caritas Italiana”, con i tre direttori del passato, monsignor GiovanniNervo, monsignor Giuseppe Pasini e don Elvio Damoli. Mercoledì 27,in mattinata assemblee tematiche su vari aspetti del tema “Testimoni di speranza: luoghi di impegno”, guidate da esponentidel mondo accademico ed ecclesiale. Nel pomeriggio,meditazione spirituale sul tema “Testimoni di speranza: impegnoe contemplazione”, guidata da Luciano Manicardi, monacodella Comunità di Bose. Giovedì 28, infine, mattinata di confrontoa più voci sul tema “Giovani e comunità: coinvolgimento e animazione”, con particolare attenzione al tema del servizio civile,dopo le “Prospettive di lavoro pastorale”, proposteda monsignor Vittorio Nozza, direttore di Caritas Italiana.

bachecadi accoglienza per homeless promossodal centro di servizio per il volontariato di Rovigo, al quale collabora la Caritasdiocesana insieme ad altre associazionidel territorio. I promotori della Casa sonosoddisfatti per l’attività condotta in inverno, ma evidenziano che i fondimessi a disposizione del servizio sonostati pochi, meno di quelli attesi, moltimeno di quelli stanziati per altre, pur importanti, situazioni problematiche.La conferenza dei sindaci ha infattistanziato per il problema dei senza tetto11 centesimi di euro per abitante di ciascun comune, ben poca cosa se paragonata ai 90 centesimi di europer abitante a favore dei randagi. Eppuresolo nei primi mesi del 2007, grazieall’impegno del volontariato, la Casa

ha accolto 24 persone,oltre la metà italiani, con una media di 7accoglienze giornaliere.Con la conclusionedell’attività invernale,

però, pochissimi ospiti sono stati inseritiin altre strutture: il centro invernale non è più sufficiente a far fronte a un problema che anche a Rovigo è ormai strutturale. [redattore sociale]

ROMA

Un fumetto raccontavita e discriminazionidei minori stranieri

Un fumetto per accogliere e avviareal lavoro i minori stranieri. Si intitolaSottotraccia. Percorsi e storie di vitadi giovani migranti ed è stato promossonell’ambito del progetto Equal Palms,che vede coinvolto il comune di Roma(insieme ad altre città italiane edeuropee) per sperimentare nuovi modellie soluzioni efficaci per l’accoglienza, la formazione e l’inserimento lavorativo di minori stranieri, oltre che per garantire

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agenda territori

loro i diritti fondamentali. Al progettopartecipano, nel territorio romano, anchevarie associazioni e organizzazioni, tra cuila Caritas diocesana di Roma. Il fumettoè uno strumento innovativo e informaleper far conoscere ai giovani e ai cittadiniromani i percorsi di vita di una delle

categorie più a rischiodi esclusione socialee di discriminazioni.Solo negli ultimi treanni, sono stati 4.266

i minori stranieri segnalati e accolti neicentri di prima accoglienza del comune di Roma. Nel progetto Palms, da ottobre2005 sono stati inseriti 119 minoristranieri non accompagnati; con ciascuno è stato definito un progetto educativo personalizzato.Fino a oggi l’unità di strada che li incontra ha effettuato oltre tremilacontatti. [redattore sociale]

RAGUSA

Donne straniere,prevenzione gratiscontro i tumori

La Lega italiana lotta ai tumori hapresentato a Ragusa il progetto “Donneimmigrate”, realizzato in collaborazionecon il Rotary, la Caritas diocesana e l’Azienda Usl 7. A tutte le donneimmigrate, regolari e non, sarà data la possibilità di sottoporsi gratuitamentea visite di prevenzione oncologica in unodei dodici ambulatori della Lilt, doveviene garantita (per rispettare le esigenzeposte dalle diverse fedi religiose) anchela presenza di un’oncologa. Gli uffici di medicina di base della Usl e i centri di ascolto e di accoglienza per immigratidella Caritas provvedono alladistribuzione del depliant multilingue,realizzato con la collaborazione dellafacoltà di lingue dell’Università diRagusa. Il progetto proseguirà nel 2008.

Aiuti allo sviluppo trasparenti e senza condizioni,“Prima che sia troppo tardi” fa pressione sui governi del G8

Il documentoLa campagna Caritas-Focsiv “Prima che sia troppo tardi” entra nel vivo. Maggio vedrà intensificare la mobilitazione a favore della lotta per sradicare la povertà nel mondo. Si avvicina infatti il vertice annuale cheriunirà a Berlino, a inizio giugno, i capi di governo degli otto paesi più ricchi del mondo. Il summit del G8 saràun’occasione per il cosiddetto Mid term review, ovvero la verifica di metà percorso rispetto al raggiungimento,previsto nel 2015, degli otto Obiettivi di sviluppo del millennio fissati dall’Assemblea generale Onu nel 2000.

Gli organizzatori della campagna hanno steso un documento politico (scaricabile dal sito internet dellacampagna) con le richieste ai governi del G8, perché mantengano le promesse e rendano più efficaci gli aiuti

pubblici allo sviluppo in termini di quantità e qualità. Rispetto allaquantità degli aiuti, si sollecitano i donatori a mantenere l’impegno,rinnovato nel 2005 al G8 di Gleneagles, di aumentare gli aiuti ai paesiin via di sviluppo, per arrivare allo 0,7% del Pil entro il 2015. Il documento ribadisce l’esigenza di un aumento reale delle risorse:quelle liberate dalla cancellazione del debito non vanno conteggiatetra gli aiuti. Relativamente alla qualità, il documento evidenzia che la concessione degli aiuti dovrebbe partire dalla valutazione dei “bisogni delle popolazioni povere”, con una forte attenzione alle aree di crisi dimenticate, senza influenzare la politica economica dei paesi destinatari: è tempo di abbandonare la pratica

che subordina la concessione di aiuti e la cancellazione dei debiti a determinate condizioni; inoltre, gli aiuti non dovrebbero essere utilizzati per contribuire alla “guerra al terrorismo”, come è accaduto in molti paesi.Il documento ribadisce inoltre la necessità di garantire prestiti responsabili, di cui benefici l’intera popolazionedei paesi in via di sviluppo, privilegiando le fasce più povere, attraverso processi di negoziazione trasparentie con responsabilità condivise. Infine, la campagna cita la lotta alla corruzione: governi donatori e istituzionifinanziarie dovrebbero promuovere, nei paesi destinatari, ratifica e attuazione della convezione Onu controla corruzione e definire insieme liste nere e forme di boicottaggio delle industrie corrotte.

La mobilitazioneTramite il documento politico Caritas Italiana e Volontari del Mondo - Focsiv, insieme a tutte le realtà cattolicheaderenti alla campagna, intendono rafforzare il proprio contributo all’azione di mobilitazione globale che si sviluppain un anno che, oltre al Mid term review, propone il quarantesimo anniversario dell’enciclica di Paolo VIPopulorum Progressio: su tutti questi elementi, il sito propone articolati strumenti formativi. Intanto la campagnainvita a partecipare attivamente, entro maggio, alla diffusione e alla spedizione della cartolina indirizzata al presidente del consiglio italiano, con la richiesta di rispettare gli impegni internazionali in materia di aiuti. La cartolina, nella sua versione internazionale, proposta da Caritas Internationalis e dalla rete globale Cidse, cui aderiscono molti coordinamenti di ong cattoliche, sarà diffusa anche nei paesi del sud del mondo, da dove sarà inviata al cancelliere tedesco, Angela Merkel, presidente di turno del G8, per sollecitare l’aumentodegli aiuti allo sviluppo, in quantità e qualità.

Info www.primachesiatroppotardi.it

sto in campagna

Incontro e comunicazione,Informagiovani contro il disagio

Uno dei bisogni più importantidei giovani è senz’altro quello di possedere una conoscenzapiena, esauriente e articolatadelle possibilità offerte dai varienti, soggetti e istituzionioperanti in un territorio.

Per far fronte a questaesigenza, la Caritas diocesana

di Crotone - Santa Severina, grazie ai fondi Cei otto per mille Italia, ha inaugurato nello scorso mese di settembre un servizio Informagiovani(nella foto, la sede). L’idea è nata dall’analisi della realtà oggettiva delterritorio: si è immediatamente evidenziata la carenza di un serviziosimile, rivolto alle giovani generazioni, la cui attivazione si è resanecessaria per contrastare i rischi di emarginazione e disagio giovanile,che un’area come quella crotonese presenta in modo rilevante.

Gli scopi di questa nuova struttura sono molteplici: essa si proponeanzitutto di raccogliere informazioni idonee e necessarie per la crescitaconsapevole dei giovani, elaborandole e rendendole accessibili a chiunque, ma intende anche comunicare con l’utenza, ascoltandone e decodificandone le domande e i bisogni, individuando la possibilesoluzione non in termini di assistenza, ma di continua disponibilità e collaborazione. Atteggiamenti che devono attivare le risorse e le potenzialità insite in ogni giovane, anche grazie all’impegno degli operatori della nuova struttura, tutti professionalmente preparati.

Dalle professioni allo sportLa Caritas diocesana ha voluto impegnarsi in un’iniziativa simile, perchéritiene che attraverso uno sportello Informagiovani sia possibile creare un luogo di incontro, uno spazio aperto per favorire la comunicazione, la circolazione di idee, di proposte, di richieste. Formazione e orientamentoscolastico, professioni, lavoro, educazione permanente, salute e vitasociale, attività culturali e tempo libero, viaggi e vacanze, studio e lavoroall’estero, sport: sono questi gli argomenti sui quali i giovani possono“interrogare” la struttura, ricevendone risposte e indicazioni.

I risultati positivi dell’attivazione del nuovo servizio non si sono fattiattendere: dall’inizio dell’attività, i contatti sul sito internet sono stati2.500, le persone che hanno richieste informazioni sono state 300,mentre i ragazzi che si sono iscritti ai corsi (inglese, informatica e impresa) sono stati 73, mentre le newsletter inviate sono state 13.

ottoxmille di Antonella Maria Parisi di Roberta Dragonetti

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villaggio globale

Peled, di cui è protagonistaun’adolescente, Jasmine Lee, che a 16anni è costretta a lasciare la sua casanella provincia di Schicuan, nella Cinasud-occidentale, per recarsi a lavorare in città come operaia in una fabbrica di jeans destinati al mercato occidentale.Sono oltre 130 milioni i lavoratori che in Cina hanno lasciato le zone rurali per i centri urbani in cerca di occupazione: nelcorso della loro vita lavorativa cambianoin media quattro volte il posto di lavoro tornano a casa ogni due-tre anni a seconda delle disponibilità economichee dei costi di trasporto. Le condizioni dilavoro non sono umane, ma manifestareo scioperare sono pratiche impopolari e rischiose. E le donne, come ben

documenta il film, rappresentano l’anellodebole della catena. [redattore sociale]

RADIO

In pellegrinaggiocon Radio Rai 3sulla via di Sigerico

Ha preso il via il 21aprile il camminoradiofonico lungoLa via di Sigerico.Radio3 propone per il quarto anno(dopo le fortunate esperienze dedicate al cammino di Santiago de Compostela,alla via Francigena e alla via di Paolo

PREMIO

Giornalismo sociale,secondo i direttoriitaliani interessati

L’interesse del pubblico italiano verso i temi sociali è aumentato negli ultimianni. Ne è convinto il 35% dei direttori di testate giornalistiche, interpellati in occasione di una ricerca condotta da Sodalitas, Eurisko e UniversitàCattolica di Milano. Secondo l’indagine,presentata a fine marzo in occasionedella quinta edizione del premioSodalitas “Giornalismo per il sociale”,l’interesse espresso verso i temi sociali(96,7% di gradimento) è in testa allagraduatoria insieme a quello per cronacae attualità (96,8%). Il tema sociale che più appassiona i lettori? Lavoro e occupazione (43%), seguito da povertà- disagio sociale (17%), ecologia (14%),famiglia (14%), immigrazione (11%).Secondo il 51,6% dei direttori, lo spaziodedicato dai media ai temi sociali è “giusto”, “insufficiente” per il 45,7% ed “eccessivo” solo per il 2,7%. Tuttavia,i direttori pensano che i temi socialivengano trattati in modo “inadeguato”nel 54,3% dei casi. [redattore sociale]

CINEMA

Donne al lavoronella Cina del boom,proiezioni in azienda

Un intenso film-documentario, perdenunciare la condizione delle donne

lavoratrici in Cina. L’ongIscos (Istituto sindacaleper la cooperazione allosviluppo, nato in ambitoCisl) ha avviato unacampagna nazionale

di proiezioni nei luoghi di lavoro di ChinaBlue, pellicola diretta dal regista Micha

È stata molto intensa, anche nel 2006, l’attività di comunicazione di CaritasItaliana. Nel settore dei rapporti con i media, sono state organizzate 4 conferenze stampa, redatti 32 comunicati, monitorate 1.505 presenze su carta stampata, radio-tv e internet. Il sito www.caritasitaliana.it ha ottenuto 216.427 contatti (+4% rispetto al 2005); il numero medio nel giorno feriale è stato 788. In fase di consolidamento è l’altro strumentoon line curato da Caritas Italiana, il blog del Tavolo ecclesiale sul serviziocivile, raggiungibile all’indirizzo www.esseciblog.it: durante l’anno ha avuto14.457 contatti, con 275 post (articoli) pubblicati. Il mensile Italia Caritas

ha visto uscire dieci numeri, per un totale di 385 mila copie stampate; tra i destinatari,anche le 210 strutture carcerarie italiane.I numeri del quindicinale Informacaritas,

scaricabile dall’area riservata del sito di Caritas Italiana e destinato allaCaritas diocesane, sono stati 19 (3 doppi). Tre anche le Newsletter inviateagli offerenti Caritas per informarli sulle attività internazionali. All’interno delcontenitore quotidiano “Ecclesia”, su Radio inBlu, syndication che riunisce200 radio comunitarie in Italia, l’ufficio comunicazione ha curato fino a luglio27 puntate di uno spazio settimanale di oltre 6 minuti. Da settembre, con il titolo “Caritas: incontri e testimonianze” (nella foto, il logo), lo spazio è statoampliato a 15 minuti e va in onda ogni lunedì; fino a dicembre sono staterealizzate 13 puntate, riascoltabili in streaming sul sito di Caritas Italiana.

MEDIA E SOLIDARIETÀ

Comunicare Caritas: cresce internet,più spazio per gli incontri alla radio

a tu per tu di Danilo Angelelli

Una filmografia maestosa, che fa onore al cinema italiano da 45 anni. Titoli densi di impegno civile come Padre padrone, La notte di San Lorenzo, Kaos.Oggi Paolo e Vittorio Taviani sono tornati, mossi dall’urgenza di riaccendere una luce su una strage non solo dimenticata, ma mai riconosciuta: il genocidiodegli armeni in Turchia nel 1915. L’urgenza è diventata cronaca e poesia in La masseria delle allodole, film liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan. Una storia ambientata quasi un secolo fa, per il film più contemporaneo dei fratelli per antonomasia del nostro cinema.

Da quale sentimento nasce l’esigenza di raccontare questo genocidio?Da qualche tempo sentivamo inquietudine per il fatto che in Kosovo, in Africa, in Asia avvengono eccidi. Popoli fratelli che improvvisamente diventano feroci e si vogliono cancellare a vicenda. Non è possibile stare a guardare. Per questoabbiamo realizzato il film. Che non dà giudizi storici e non è un resoconto etico,ma un lavoro di fantasia che raccoglie le nostre sensazioni.

Un film che riapre ferite può essere veicolo di pace?Beethoven diceva: «Non ho scritto mai una nota che non fosse per l’umanità». Nel nostro piccolo anche noi non abbiamo mai fatto film contro l’umanità. Il momento negativo viene rappresentato in nome del suo superamento. Molti personaggi turchi del film, pur coinvolti nel genocidio, si sentono sull’orlodell’abisso e cercano di ritrovare se stessi, fanno autocoscienza, si assumonoresponsabilità. L’uomo ha la grande possibilità di rovesciare gli schemi, di cambiare.

Perché La masseria delle allodole è stato girato in Bulgaria?Era impensabile girare in Turchia: abbiamo avuto molte pressioni dal governoperché non fosse realizzato. Eppure l’utopia non è un sogno, ma un progetto:

crediamo davvero che tra non molto tempo il film potrà essere proiettato anche in Turchia. Il genocidio armeno ancoranon viene riconosciuto, però ci sono segnali di cambiamento, si percepisce il desiderio del popolo turco di ritrovare un nuovo modo di essere. Libertà di espressione significa anche affrontare le zone oscure che ogni comunità ha in sé.

Cosa pensate dell’ingresso in Europa della Turchia?È necessario che la Turchia entri in Europa, anche per essere un ponte tra oriente e occidente. Ma è indispensabile che il governo si pronunci sul genocidio armeno, così come hanno fatto tempo fa Germania e Italia guardando in faccia e condannando il proprio passato di fascismo e nazismo. Lo si è fatto con sofferenza, ma attraverso il dolorec’è la possibilità di riscatto.

La vostra filmografia è ricca di opere che hanno riscosso alti consensi di pubblico e critica. Come vi ponetedavanti a ogni nuovo film?

Per noi ogni film è il primo. Lo si affronta con paura, stupore ed entusiasmo. Se non ci sono queste emozioni, non nasce niente di vitale. E poi sentiamo sempre molto forte la responsabilità di raccontare qualcosa di importante.

Anche se un grande film, come un buon libro, vive nell’atemporalità, suscitando in ogni epoca domande differenti,quando è possibile tentarne un bilancio?

Restando a La masseria delle allodole, pensiamo che solo fra dieci anni sapremo se e come il film ha inciso. Per orapossiamo dire che si tratta di un’opera che abbiamo ritenuto giusto realizzare in questo preciso momento storico.

Cronaca e poesia, il genocidio secondo i Taviani«L’utopia formato film, perché l’uomo può cambiare»

FRATELLIREGISTIPaolo e VittorioTaviani sulset di “Lamasseriadelleallodole”.Sotto,due scene

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ritratto d’autore

Delle tante storie di donne e uomini che ho conosciuto e ascoltato negli anni di lavorocome portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur-Unhcr), pochissime sono state quelle prive di sofferenza, in cui la condizione

di persona in fuga si è risolta senza traumi. La maggior parte è passata per un vero calvario di dolore e solitudine.

Le storie che mi sono rimaste più impresse non sono necessariamente le più crudeli, maquelle che mi hanno turbato maggiormente. Ci sono infatti situazioni in cui la disperazionedell’altro è travolgente e per una persona che ascolta è impossibile mettere degli argini. Così si incamera un malessere che può trovare conforto solo se si riesce a fare qualcosa di concreto per quella persona. O almeno infonderle un po’ di speranza per il futuro.

Se ritorno indietro negli anni, il mio ricordo del conflitto in Bosnia si sintetizza in un orfanatrofio dove ho capito che il rispetto delle regole può indurre a voltare le spalle a chi è debole e ti implora di portarlo via. Ritengo che quello sia stato un momento in cui, per essere stata ligia alle regole, non ho fatto la cosa giusta.

Sempre dai Balcani mi è rimasta indelebile l’immagine di colonne di vecchi cacciati dainosocomi in Kosovo e trasportati dai parenti in carrette lungo impervi sentieri di montagna,sotto una pioggia incessante. Dolore e silenzio. Sguardi atterriti di vecchi che avrebberopreferito morire anziché dover vivere quello strazio. E ancora, prigionieri scheletrici rilasciati

a un posto di frontiera dopo essere stati usati come scudi umani a protezione delle postazioni militari nemiche. Storie di disumanità, troppo crude anche da ascoltare. E per questo insopportabili alla memoria.

In Afghanistan, uno dei luoghi più spettacolari del pianeta, ho avvertito spessoun intollerabile stridore tra la bellezza della natura e le storie di orrore raccontate da donne annientate dalla violenza. Le bianche e immacolate vette dell’Indokushda una parte, dall’altra gli efferati crimini contro intere generazioni di tantosilenziose quanto invisibili donne e bambine. Come trovare una sintesi, un punto di congiunzione tra questi estremi?

Dopo qualche anno, altri racconti di rifugiati, questa volta in Italia, mi hanno portato a conoscenza dell’ennesima frontiera della disperazione. Una vera e propria “roulette russa”, messa in atto dai trafficanti, i veri signori della guerra che si combatte ogni estate nel Mediterraneo. Essere costretti a partiresu un gommone sgangherato o una barchetta in vetroresina per attraversare

le 180 miglia che separano la Libia da Lampedusa, equivale infatti ad accettare a caro prezzouna scommessa sulla propria pelle. Una sola cosa mi chiese un gruppo di giovani eritrei,sopravvissuti a un naufragio e ospiti del centro di Lampedusa nell’agosto del 2006:«Fate sapere a chi è rimasto sull’altra sponda del Mediterraneo, in attesa di partire,cosa abbiamo passato noi, che siamo vivi per miracolo, mentre molti altri nonce l’hanno fatta».

Considero ognuna di queste storie un’eredità che mi è stata lasciata e un patrimonio di grande valore sul quale investire continuamente tramite il mio lavoro. Un lavoro che mi auguro possa prima o poi rendermi testimone anche di storie a lieto fine.

Dal Kosovoall’Afghanistan,

dalla Bosnia a Lampedusa, mille voltisi materializzano nella

memoria di chi incrociale rotte dei rifugiati.

La disperazione, a volte,è tanto travolgente

da non avere argini. Maogni storia è un’eredità

di Laura Boldrini portavoce Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur)

ORFANI, SCHELETRI, NAUFRAGHI«RACCONTATE COSA ABBIAMO VISSUTO»

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e Giovanni) un “radiopellegrinaggio” sulleantiche vie della spiritualità d’occidente e d’oriente. Quest’anno si torna sullastrada maestra della via Francigena: si narra infatti che fu Sigerico, di ritornoda Roma dopo aver ricevuto l’investituradi arcivescovo di Canterbury dal papa, a tracciare nel 990 le tappe della viaFrancigena. Cinque coppie di conduttori(giornalisti, scrittori, attori) racconterannoper cinque settimane in diretta, ogni giorno dalle 18 alle 18.45, il lorocammino sulla via di Sigerico, da Aosta a Canterbury. Il cammino verrà aggiornatoe si potrà seguire anche via internet, su www.radio.rai.it/radio3/laviadisigerico.

LIBRI

Dio, roccia del cuore:il mistero si manifestaanche nel dolore

Rispetto e cura per i genitori, accettazionedella malattia, fede.Entro questi argini si sviluppa il libroRoccia del mio cuoreè Dio (Portalupi,2006), che monsignorLuigi Ginami ha dedicato alla madreSantina. “Hai avuto in questo tempotante occasioni di sofferta obbedienza e adorazione del mistero di Dio che si manifesta anche nel tempo del doloree della malattia”, scrive il cardinale CarloMaria Martini nell’intensa presentazione,in cui evidenzia anche come “tutte le nostre inevitabili negligenze e fragilità(...) al calore dell’amore di Dio siscioglieranno come neve al sole”. Anchela giornalista palestinese Rula Jebrealspende parole che fanno riflettere nelpresentare il libro: “Gerusalemme (...)rimane immutabile nel tempo, come se il suo compito fosse quello di ammonircisulla fragilità e sulla caducità umana”.

Consumo e ricchezze perverse,la collera dei poveri “avariati”:la collisione è inevitabile?

Nord e sud del mondo, paesi ricchi e poveri, occidente e resto del globo:la perversa frattura che separa popoli, continenti e nazioni del nostropianeta si intreccia inesorabilmente con il controverso fenomeno della

globalizzazione. Se ne occupano alcune pubblicazioni recenti:Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, di Zygmunt Bauman (Erickson2007, pagine 112); Per un futuro equo. Conflitti sulle risorsee giustizia globale, a cura di Wolfgang Sachs e TilmanSantarius (Feltrinelli 2007, pagine 296); Il pianeta degli slum, di Mike Davis (Feltrinelli 2006, pagine 216); Hic sunt leones. Africa in nero e in bianco,di Giulio Albanese (Paoline 2007, pagine 248).

Bauman sostiene che l’odierna e folle corsa ai consumi,non più in gruppo ma “a sciame”, rimanda sempre ad ulteriori bisogni, perché la definitiva soddisfazione

sfocerebbe nella stagnazione economica. Il contraltare dell’uomoconsumens è l’uomo sacer, il povero, estromesso dal gioco in quantoconsumatore difettoso o “avariato”. La miseria degli esclusi non viene più considerata un’ingiustizia da sanare, ma un esito “inarrestabile”,foraggiato da meccanismi perversi.

Sachs e Santarius si soffermano sulla diffusa – anche se talvoltacontraddittoria – attenzione alla tutela dell’ambiente e ai suoi progressi.Iniquità economiche e squilibri ecologici pronunciati sono fattori critici per l’esplosione di conflitti locali e globali. Se si vuole perseguire una qualche forma di democrazia mondiale, è imperativo il passaggio a modelli di benessere ecologicamente e socialmente sostenibili.

Davis sottolinea che più di un miliardo di persone (dati Onu)sopravvive nelle baraccopoli delle tristi periferie urbane del sud del mondo. Una vasta umanità, non prevista dai classici della teoriamarxista né dal pensiero neoliberista: vulcani in collera, pronti a eruttare?Davis offre una panoramica dei diversi movimenti – politici, etnici, religiosi –che si “contendono” questi nuovi poveri urbani: dal fondamentalismoinduista di Mumbay all’estremismo islamista di Casablanca e Il Cairo; dal pentecostalismo di Kinshasa e Rio de Janeiro al populismorivoluzionario di Caracas e La Paz.

Padre Albanese offre infine il racconto di un’Africa plurale, attanagliatada contraddizioni ma ricca di umanità, spiritualità e cultura. E propone di guardare alla sua gente non come a “leoni” feroci e pericolosi, ma come a persone agili e tenaci, annunciatrici di riscatto e speranza.

pagine altre pagine di Francesco Meloni

villaggio globale

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Terra Futura è promossa e organizzata dalla Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus per conto del sistema Banca Etica (Banca Etica, Consorzio Etimos, Etica SGR, Rivista “Valori”) e da Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c.

Realizzata in partnership con Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente.

In collaborazione con: Regione Toscana, Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Firenze Fiera SpA, Centro SIeCI-Mani Tese, ACLI-Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, AGICES-Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale, AIAB-Associazione Italiana per Agricoltura Biologica, Alleanza per il Clima, AzzeroCO2, CESVOT, CNCA-Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Coordinamento Agende 21 locali italiane, Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, Ctm altromercato, Fairtrade TransFair Italia, FederBio-Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica, FIBA-CISL, FISAC CGIL Toscana, Forum Ambientalista, ICEA-Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale, Istituto Nazionale di Bioarchitettura, Metadistretto Veneto della Bioedilizia, Rete di Lilliput, Rete Nuovo Municipio, WWF, Wuppertal Institut.

Con il patrocinio di: AIEL-Associazione Italiana Energia dal Legno, AITR-Associazione Italiana Turismo Responsabile, ANAB-Associazione Nazionale Architettura Bioecologica, ANCI-Associazione Nazionale Comuni Italiani, APER-Associazione Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili, CIA-Confederazione Italiana Agricoltori, Confcooperative, Federazione Italiana dei Parchi e delle Riserve Naturali, Forum Permanente del Terzo Settore, GIFI-Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane, Kyoto Club, Lega delle Autonomie Locali, Segretariato Sociale RAI, UNCEM-Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, UNDP-United Nations Development Programme, UNEP-United Nations Environment Programme, UPI-Unione Province d’Italia.

Media Partner: Valori, Arcoiris Tv, Asca, Carta, Diario, Ecoradio, La Nuova Ecologia, Redattore Sociale, Unimondo, Vita-non profit magazine.

“il nostro compito è guardare il mondo e vederlo intero.occorre vivere più semplicemente per permettere agli altri semplicemente di vivere”[ E.F. Schumacher ]

terrafuturamostra-convegno internazionaledelle buone pratiche di sostenibilità

pratiche di vita, di governo e d’impresa verso un futuro equo e sostenibile

Relazioni istituzionali e Programmazione culturale

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Organizzazione evento

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firenze - fortezza da basso

18-20 maggio 20074ª edizione - ingresso libero - ore 9.00 - 20.00