Menant, Economia Monastica Del Norditalia Nel Secolo Della Riforma

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FRANÇOIS MENANT L’ECONOMIA MONASTICA DEL NORDITALIA NEL SECOLO DELLA RIFORMA DELLA CHIESA Chi vuole rileggere la storia economica dei monasteri nell’XI seco- lo 1 deve prendere le mosse dagli studi di due maestri prestigiosi, la cui influenza è sempre viva fra chi si occupa di storia monastica e di storia economica del Medioevo: Cinzio Violante e Georges Duby. Il presente contributo ripropone infatti argomenti affrontati dal Duby nella sua lezione Le monachisme et l’économie rurale alla Settimana internazionale di studio della Mendola del 1968 su Il monachesimo e la riforma ecclesiastica, 2 e dal Violante a più riprese nel contesto della sua lunga e proficua riflessione sui concetti di Chiesa feudale – titolo da lui voluto per la Mendola del 1992 3 – e di signoria ecclesiastica, 4 1. Il convegno è intitolato Il monachesimo in Italia nel secolo XI. Inserendo la mia relazione in questo quadro cronologico, ho tuttavia preferito indicarne la problematica con un riferimento alla riforma della Chiesa, che risulta uno degli elementi importanti nell’evoluzione economica dei monasteri. Ho d’altra parte limitato il quadro geografico al Norditalia – fra Alpi e Appennino –, che meglio conosco, e che offre su questo tema una materia abbondantissima. Ho dovuto rinunciare infatti a citare puntualmente nelle note tutti i casi illustrativi dei fenomeni che analizzo nel testo, limitandomi a rinviare ai principali volumi collettivi. 2. G. DUBY, Le monachisme et l’économie rurale, in Il monachesimo e la riforma ecclesiastica (1049-1122). Atti della quarta Settimana internazionale di studio (Mendola, 23- 29 agosto 1968), Milano 1971, p. 336-349; ristampato in ID., Hommes et structures du Moyen Âge, Paris 1973, p. 381-394. 3. C. VIOLANTE, Il concetto di Chiesa feudale, in Chiesa e mondo feudale nei secoli X-XII. Atti della dodicesima Settimana internazionale di studio (Mendola, 24-28 agosto 1992), Milano 1995, p. 3-26. Fra gli studi dedicati dal Violante ai rapporti fra Chiesa e feudalità, si vedano anche i due articoli riuniti sotto il titolo Fluidità del feudalesimo nel regno italico (secoli X e XI). Alternanze e compenetrazione di forme giuridiche delle concessioni di terre ecclesiastiche a laici, « Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento », 21 (1995), p. 11-39. 4. La definizione più precisa della ‘signoria ecclesiastica’ è infatti data da G. AN- DENNA, La signoria ecclesiastica nell’Italia settentrionale, in Chiesa e mondo feudale, p. 111-150. Ma il concetto, ideato dal Violante, è stato ripreso e perfezionato a numero- se riprese nei suoi studi sulla signoria rurale, delle quali citeremo soltanto la sua Intro- duzione a Strutture e trasformazioni della signoria rurale nei secoli X-XIII, a cura di G. DILCHER - C. VIOLANTE, Bologna 1996 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico. Quaderno, 44); C. VIOLANTE, La signoria rurale nel secolo X. Proposte tipologiche, in Il secolo di ferro. Mito e realtà del secolo X (Spoleto, 19-25 aprile 1990), Spoleto 1991 04 - Menant.pmd 10/02/2011, 11.04 35

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L’ECONOMIA MONASTICA DEL NORDITALIANEL SECOLO DELLA RIFORMA DELLA CHIESA

Chi vuole rileggere la storia economica dei monasteri nell’XI seco-lo 1 deve prendere le mosse dagli studi di due maestri prestigiosi, lacui influenza è sempre viva fra chi si occupa di storia monastica e distoria economica del Medioevo: Cinzio Violante e Georges Duby. Ilpresente contributo ripropone infatti argomenti affrontati dal Dubynella sua lezione Le monachisme et l’économie rurale alla Settimanainternazionale di studio della Mendola del 1968 su Il monachesimo e lariforma ecclesiastica,2 e dal Violante a più riprese nel contesto della sualunga e proficua riflessione sui concetti di Chiesa feudale – titolo dalui voluto per la Mendola del 1992 3 – e di signoria ecclesiastica,4

1. Il convegno è intitolato Il monachesimo in Italia nel secolo XI. Inserendo la miarelazione in questo quadro cronologico, ho tuttavia preferito indicarne la problematicacon un riferimento alla riforma della Chiesa, che risulta uno degli elementi importantinell’evoluzione economica dei monasteri. Ho d’altra parte limitato il quadro geograficoal Norditalia – fra Alpi e Appennino –, che meglio conosco, e che offre su questotema una materia abbondantissima. Ho dovuto rinunciare infatti a citare puntualmentenelle note tutti i casi illustrativi dei fenomeni che analizzo nel testo, limitandomi arinviare ai principali volumi collettivi.

2. G. DUBY, Le monachisme et l’économie rurale, in Il monachesimo e la riformaecclesiastica (1049-1122). Atti della quarta Settimana internazionale di studio (Mendola, 23-29 agosto 1968), Milano 1971, p. 336-349; ristampato in ID., Hommes et structures duMoyen Âge, Paris 1973, p. 381-394.

3. C. VIOLANTE, Il concetto di Chiesa feudale, in Chiesa e mondo feudale nei secoliX-XII. Atti della dodicesima Settimana internazionale di studio (Mendola, 24-28 agosto1992), Milano 1995, p. 3-26. Fra gli studi dedicati dal Violante ai rapporti fra Chiesa efeudalità, si vedano anche i due articoli riuniti sotto il titolo Fluidità del feudalesimonel regno italico (secoli X e XI). Alternanze e compenetrazione di forme giuridiche delleconcessioni di terre ecclesiastiche a laici, « Annali dell’Istituto storico italo-germanico inTrento », 21 (1995), p. 11-39.

4. La definizione più precisa della ‘signoria ecclesiastica’ è infatti data da G. AN-DENNA, La signoria ecclesiastica nell’Italia settentrionale, in Chiesa e mondo feudale,p. 111-150. Ma il concetto, ideato dal Violante, è stato ripreso e perfezionato a numero-se riprese nei suoi studi sulla signoria rurale, delle quali citeremo soltanto la sua Intro-duzione a Strutture e trasformazioni della signoria rurale nei secoli X-XIII, a cura diG. DILCHER - C. VIOLANTE, Bologna 1996 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico.Quaderno, 44); C. VIOLANTE, La signoria rurale nel secolo X. Proposte tipologiche, inIl secolo di ferro. Mito e realtà del secolo X (Spoleto, 19-25 aprile 1990), Spoleto 1991

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sull’espansione cluniacense in Italia e sul suo inserimento nelle realtàeconomiche e sociali del secolo undicesimo.5

Come si capisce da questi riferimenti iniziali, la questione del-l’economia monastica dell’XI secolo va situata in un contesto com-plesso, nel quale s’incrociano evoluzioni sia economiche che socio-politiche – come signoria e feudalità –, spirituali e disciplinari.L’economia monastica costituisce in questo senso un punto di osserva-zione per una storia veramente globale di questo periodo di grandicambiamenti in tutti i campi. Ancora un riferimento a Violante: nel1992 dava come titolo a un incontro trentino del Centro storico italo-germanico, organizzato con Johannes Fried, Il secolo XI, una svolta? 6

Anche questa domanda è al centro del mio contributo. Vedremo tut-tavia che per quanto riguarda l’economia monastica, si può parlare,più che di svolta, di transizione fra due sistemi, ma anche di perma-nenze di lunga durata.

Il punto di partenza di ogni riflessione sull’economia monastica èsenz’altro la regola di s. Benedetto (anche se non tutti i monaci delsecolo XI sono benedettini),7 e il rapporto molto preciso e molto

(Settimane del Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 38), p. 329-385; ID., La signo-ria ‘territoriale’ come quadro delle strutture organizzative del contado nella Lombardiadel secolo XII, in Histoire comparée de l’administration. Actes du XIVe colloque histori-que franco-allemand (Tours, 27 mars – 1er avril 1977), a cura di W. PARAVICINI - K. F.WERNER, München 1980, p. 333-344; Violante ha d’altra parte dedicato una parte impor-tante dei suoi ultimi anni di lavoro all’ideazione e alla pubblicazione di due grandiconvegni sulla signoria rurale, nei quali uno dei fili rossi è ancora la signoria ecclesia-stica: il già citato Strutture e trasformazioni della signoria rurale e La signoria rurale nelmedioevo italiano, a cura di A. SPICCIANI - C. VIOLANTE, 2 vol., Pisa 1997 e 1998.

5. Cluny in Lombardia. Atti del Convegno storico celebrativo del IX Centenariodella fondazione del priorato cluniacense di Pontida (22-25 aprile 1977), 2 vol., Cesena1979 e 1981 (particolarmente la conclusione di C. VIOLANTE, Per una riconsiderazionedella presenza cluniacense in Lombardia, vol. II, p. 521-664); L’Italia nel quadro del-l’espansione europea del monachesimo cluniacense. Atti del Convegno internazionale distoria medievale (Pe-scia, 26-28 novembre 1981), a cura di C. VIOLANTE - A. SPICCIANI -G. SPINELLI, Cesena 1985.

6. Il secolo XI: una svolta?, a cura di C. VIOLANTE - J. FRIED, Bologna 1993 (Annalidell’Istituto storico italo-germanico in Trento. Quaderni, 35).

7. Il quadro teorico della riflessione è stato tracciato da V. TONEATTO - P. &ERNIC -S. PAULITTI, Economia monastica. Dalla disciplina del desiderio all’amministrazione razio-nale, Spoleto 2004. Per un quadro sintetico del monachesimo occidentale e italiano neisecoli centrali del medioevo (fra numerose altre opere): G. MERLO, Le riforme monastichee la « vita apostolica », in Storia dell’Italia religiosa, a cura di G. DE ROSA - T. GREGORY -A. VAUCHEZ, 1: L’antichità e il medioevo, Bari 1993, p. 274-275; G. PENCO, Storia delmonachesimo in Italia. Dalle origini alla fine del Medioevo, Milano 19953 (Complementialla Storia della Chiesa diretta da Hubert Jedin); G. PICASSO, Il monachesimo nell’altomedioevo, in Dall’eremo al cenobio. La civiltà monastica in Italia dalle origini all’età di

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particolare che tale regola fissa tra i monaci e le attività economiche.La maggioranza delle riforme delle quali parliamo sono delle riletturedella regola in sensi diversi, sempre con importanti riflessi economici.La regola conferisce infatti una importanza determinante alle condi-zioni materiali di vita dei monaci, e in questo senso definisce neces-sariamente il modo nel quale loro si inseriscono nell’economia circo-stante: il monastero costituisce un centro di consumo di prodotti bendefiniti, in quantità e in tempi precisi, e tale consumo condizionatutta l’organizzazione delle proprietà e del lavoro dei monaci e deiloro dipendenti. D’altronde, la ridistribuzione fa parte integrante del-l’economia monastica: una parte importante dei redditi del monasteroviene distribuita ai laici che lo circondano, attraverso rendite, preca-rie, e mantenimento di familiari e di oblati che hanno ceduto i lorobeni in cambio del vitto e dell’alloggio. Ma la parte più importantedella ridistribuzione ha un carattere caritativo: si tratta di elemosineper i poveri, che si vedono poco nella documentazione ma che sonosenz’altro considerevoli, e che diventano colossali in tempo di care-stia; la ridistribuzione viene anche adoperata attraverso gli ospedali,che sono delle dipendenze normali dei monasteri e sviluppano la pro-pria funzione economica. Si deve ancora notare che la regola nonesprime nessuna reticenza rispetto all’uso della moneta; anzi, una partedei bisogni dei monaci, per il vestiario soprattutto, va assicurata me-diante acquisti all’esterno del monastero. Questo punto è importante,perchè i monasteri giocano un ruolo decisivo nella circolazione mo-netaria nell’XI secolo.8

Come giustamente osservava Duby nella sua relazione del 1968,l’economia monastica attraversa grandi trasformazioni a partire dallafine del secolo XI, con l’invenzione della gestione fondiaria di tipocistercense, segnata dallo sfruttamento diretto della terra; fenomeno bennoto, e molto importante in Italia settentrionale dal secondo terzo del

Dante, Milano 1987, p. 3-66; R. MANSELLI - E. PASZTOR, Il monachesimo nel Basso Me-dioevo, in Dall’eremo al cenobio, p. 67-126; L’histoire des moines, chanoines et religieuxau Moyen Âge. Guide de recherche et documents, a cura di A. VAUCHEZ - C. CABY,Turnhout 2003.

8. C. VIOLANTE, Monasteri e canoniche nello sviluppo dell’economia monetaria (seco-li XI-XIII), in Istituzioni monastiche e istituzioni canonicali in Occidente (1123-1215). Attidella settima Settimana internazionale di studio (Mendola, 28 agosto – 3 settembre 1977),Milano 1980, p. 396-416. Sarebbe interessante il confronto con la gestione e il ruoloeconomico dei conventi degli ordini mendicanti, artefici di un’altra svolta nel rapportodegli ordini religiosi con l’economia e con il denaro: cfr. L’economia dei conventi deifrati minori e predicatori fino alla metà del Trecento. Atti del XXXI Convegno interna-zionale (Assisi, 9-11 ottobre 2003), Spoleto 2004.

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dodicesimo secolo.9 Nell’epoca che ci interessa, invece, la gestione di-retta della terra resta secondo me complessivamente marginale nelmondo monastico; è vero che i conversi, attori principali di questanuova economia monastica, fanno la loro comparsa in alcuni monasteriin questo secolo,10 e che la costruzione di patrimoni monastici indiriz-zati all’allevamento transumante comincia precisamente negli ultimi de-cenni del secolo.11 Questi fenomeni sono tuttavia ancora marginali oambigui: la svolta della gestione monastica – che peraltro tocca soltan-to una parte dei monasteri – è essenzialmente un fenomeno dell’epocasuccessiva. Nel secolo XI, il rapporto fra i monaci e l’economia sem-bra infatti molto più complesso di quanto lo potrà essere nel XII onel XIII secolo: per dare in breve il filo conduttore della mia relazio-ne, i monasteri (come gli altri grandi organismi ecclesiali) si devonoadattare nel secolo XI a profondi e talvolta brutali cambiamenti del-l’economia agraria e dei rapporti sociali.12 La questione, all’epoca delle

9. Per un quadro complessivo dell’espansione cistercense nel Norditalia, cfr. perultimo C. CABY, L’espansione cistercense in Italia (secoli XII-XIII), in Certosini e Cister-censi in Italia (secoli XII-XV). Atti del Convegno (Cuneo – Chiusa Pesio – Rocca de’Baldi, giovedì 23 – domenica 26 settembre 1999), a cura di R. COMBA - G. G. MERLO,Cuneo 2000, p. 143-155. I nuovi modi di gestione cistercense e la loro influenza inLombardia e Piemonte sono stati ampiamente analizzati dagli studi di R. Comba e diL. Chiappa Mauri: R. COMBA, I cistercensi fra città e campagne nei secoli XII e XIII.Una sintesi mutevole di orientamenti economici e culturali nell’Italia nord-occidentale,« Studi storici », 26 (1985), p. 237-261, e altri tre contributi raggruppati sotto il titoloEconomia monastica: i cistercensi e le campagne, « Studi storici », 26 (1985), p. 263-351 (enumerosi altri contributi di Comba); L. CHIAPPA MAURI, Monasteri ed economia ruralein Lombardia nei secoli XII-XIII, in Il monachesimo italiano nell’età comunale. Atti delIV Convegno di studi storici sull’Italia benedettina (Abbazia di S. Giacomo Maggiore,Pontida, 3-6 settembre 1995), a cura di F. G. B. TROLESE, Cesena 1998 (Italia benedettina,16), p. 199-218; EAD., L’economia cistercense tra normativa e prassi. Alcune riflessioni, inGli spazi economici della Chiesa nell’Occidente mediterraneo (secoli XII-metà XIV). Sedi-cesimo Convegno internazionale di studi (Pistoia, 16-19 maggio 1997), Pistoia 1999; e glistudi della stessa sulla gestione economica e le aziende agrarie del monastero di Chia-ravalle Milanese, particolarmente EAD., Le scelte economiche del monastero di Chiaraval-le Milanese nel XII e XIII secolo, in Chiaravalle. Arte e storia di un’abbazia cistercense,a cura di P. TOMEA, Milano 1992, p. 31-49; e i due studi ripubblicati in EAD., Paesaggirurali di Lombardia, Roma-Bari 1990.

10. G. G. MERLO, Tra « vecchio » e « nuovo » monachesimo (metà XII – metà XIIIsecolo), « Studi storici », 28 (1987), p. 447-469.

11. Per il caso delle Prealpi lombarde: F. MENANT, Campagnes lombardes du MoyenÂge. L’économie et la société rurales dans la région de Bergame, de Crémone et deBrescia du Xe au XIIIe siècle, Rome 1993.

12. Le linee maggiori dell’evoluzione sono indicate da L. CHIAPPA MAURI, Tra con-suetudine e rinnovamento: la gestione della grande proprietà fondiaria nella Lombardiacentrale (X-XII secolo), in Aziende agrarie nel medioevo. Forme della conduzione fondiaria

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riforme, è di sapere come conciliare la permanenza dei modi di vitaregolari con l’evoluzione di un sistema economico che si sta ampia-mente trasformando, col declino dell’organizzazione curtense, lo svilup-po di un prelievo signorile di tipo bannale, e quello della feudalità.13

La proprietà monastica gioca un ruolo molto importante nell’eco-nomia globale dell’Occidente, anche se si deve naturalmente tenereconto del fatto che la documentazione è in grande parte monastica, eche tendiamo dunque a sopravvalutare la parte dei monasteri nell’eco-nomia. L’Italia settentrionale, come tutto l’Occidente, è coperta da unarete di grandi monasteri, relativamente poco numerosi ma estremamen-te ricchi e potenti, da S. Ambrogio a Nonantola, a S. Zeno di Veronae tanti altri famosissimi.14 Sono in maggioranza molto antichi, e la lororicchezza fondiaria ha conservato delle caratteristiche ormai diventatearcaiche, come l’organizzazione curtense e la dispersione dei possessisu distanze di varie centinaia di chilometri, come nel caso, particolar-mente ben studiato, del patrimonio di S. Giulia di Brescia, sparpaglia-to attraverso tutta la pianura padana e le Prealpi.15

nell’Italia nord-occidentale (secoli IX-XV), a cura di R. COMBA - F. PANERO, Cuneo 2000[= « Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provinciadi Cuneo », (2000), fasc. 123], p. 59-91; cfr. M. NOBILI, Le trasformazioni nell’ordinamen-to agrario e nei rapporti economico-sociali nelle campagne dell’Italia centrosettentrionalenel secolo XI, in Il secolo XI, una svolta?, p. 157-204.

13. I monasteri femminili sperimentano problemi specifici nel rapporto al lavoro,all’economia e al governo dei contadini e dei milites. Citiamo a diverse riprese il casodi S. Giulia, monastero femminile di eccezionale rilievo, ampiamente studiato. Ma nelcomplesso consideriamo più che altro monasteri maschili. Notiamo tuttavia che i mona-steri femminili fondati nell’XI (per lo più cluniacensi o indipendenti) e nel XII (moltidei quali cistercensi o comunque segnati da una vita di povertà più o meno volontaria,comportante spesso il lavoro manuale) hanno dato luogo a una corrente di studi inquesti ultimi anni: per esempio Il monastero di Rifreddo e il monachesimo cistercensefemminile nell’Italia occidentale (secoli XII-XIV). Atti del Convegno (Staffarda-Rifreddo,sabato 18 e domenica 19 maggio 1999), a cura di R. COMBA, Cuneo 1999; L. CHIAPPA

MAURI, Sulle tracce del “nuovo” monachesimo: le “sorores” di Santa Maria di Montano nelsecolo XII, in Lombardia monastica e religiosa. Per Maria Bettelli, a cura di G. G. MER-LO, Milano 2001, p. 263-292; G. ANDENNA, Il monachesimo cluniacense femminile nella« provincia Lumbardie » dei secoli XI-XIII, in Cluny in Lombardia, p. 331-383; e per ilperiodo successivo ID., Il monachesimo femminile cluniacense in Lombardia dalla metàdel XIII alla fine del XV secolo, in L’Italia nel quadro dell’espansione, p. 221-246.

14. Risulta impossibile citare i diversi studi sui grandi monasteri. Per un quadrocomplessivo – sia pure invecchiato – si veda per esempio Monasteri in alta Italia dopole invasioni saracene e magiare (sec. X-XII). Relazioni e comunicazioni presentate alXXXII Congresso storico subalpino; III Convegno di storia della Chiesa in Italia (Pinero-lo, 6-9 settembre 1964), Torino 1966.

15. S. Salvatore di Brescia. Materiali per un museo, 2 vol., Brescia 1978, particolar-mente G. PASQUALI, La distribuzione geografica delle cappelle e delle aziende rurali

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La ricchezza monastica nelle città risulta meno visibile nella docu-mentazione, ma è estremamente importante anch’essa. Si deve notareinnanzitutto che molti monasteri norditaliani sono impiantati nelle cittào nelle loro immediate periferie: 16 ogni città possedeva almeno uno odue monasteri antichi, spesso potentissimi, e i grandi monasteri ruralidisponevano di impianti urbani, priorati o magazzini che agevolavanolo smercio dei loro prodotti. Un ulteriore strato di monasteri urbani esuburbani si compone delle fondazioni dell’XI secolo, legate a varicontesti riformatori – mentre i priorati cluniacensi, tuttavia, sono quasitutti rurali, come molte altre fondazioni di lignaggi aristocratici. Lapresenza dei monaci in città indirizza naturalmente la loro attività eco-nomica verso il mercato e le transazioni monetarie. Ma il fatto forsepiù importante ancora è che una parte significativa del suolo di moltecittà appartiene a monasteri,17 come hanno mostrato Giancarlo Anden-na per S. Giulia a Brescia,18 Etienne Hubert per i monasteri romani,19

altri ancora per altre città.20 Questi estesi possedimenti monastici nellecittà sono la lontana eredità di antichi donazioni e acquisti, risalenti aitempi nei quali la pressione demografica era debole e il terreno, pococostoso, si poteva distribuire generosamente; i proprietari sono dunquesoprattutto i monasteri più antichi, e le fondazioni recenti non dispon-gono invece di consistenti dotazioni nella città. Non tornerò su questa

descritte nell’inventario di S. Giulia di Brescia, p. 141-167; S. Giulia di Brescia. Archeolo-gia, arte, storia di un monastero regio dai Longobardi al Barbarossa. Atti del Convegno,Brescia 1992, particolarmente G. PASQUALI, Gestione economica e controllo sociale diS. Salvatore-S. Giulia dall’epoca longobarda all’età comunale, p. 131-146; e F. MENANT, Lemonastère de S. Giulia et le monde féodal, p. 119-129.

16. Quadro d’insieme del monachesimo urbano: C. CABY, Les implantations urbai-nes des ordres religieux dans l’Italie médiévale. Bilan et propositions de recherche, « Rivi-sta di storia e letteratura religiosa », 35 (1999), p. 151-179.

17. E. HUBERT, Propriété ecclésiastique et croissance urbaine. A propos de l’Italiecentro-septentrionale, XIIe-début XIVe siècle, in Gli spazi economici della Chiesa, p. 125-155, e diversi altri contributi del volume.

18. G. ANDENNA, Il monastero e l’evoluzione urbanistica di Brescia tra XI e XIIIsecolo, in S. Giulia di Brescia, p. 93-118.

19. E. HUBERT, Espace urbain et habitat à Rome du Xe siècle à la fin du XIIIe

siècle, Rome, 1990.20. R. RINALDI, Forme di gestione immobiliare a Bologna nei secoli centrali del

Medioevo tra normativa e prassi, in Le sol et l’immeuble. Les formes dissociées de lapropriété immobilière dans les villes de France et d’Italie (XIIe-XIXe siècles), a cura diO. FARON - E. HUBERT, Roma-Lyon 1995, p. 41-70; P. GRILLO, Il richiamo della metropo-li: immigrazione e crescita demografica a Milano nel XIII secolo, in Demografia e societànell’Italia medievale (secoli IX-XIV), a cura di R. COMBA - I. NASO, Cuneo 1994, p. 441-454; G. GARZELLA, Pisa com’era: topografia e insediamento dall’impianto tardoantico allacittà murata del secolo XII, Napoli 1990; etc.

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ricchezza fondiaria urbana dei monasteri, perchè il suo sfruttamentoinizia veramente soltanto nel XII secolo, con la rapida crescita demo-grafica delle città e la lottizzazione di ampi complessi fondiari,21 comele terre di S. Giulia a Brescia o le braidae suburbane di S. Ambrogio.Ma se ne avvertono gli inizi già alla fine dell’XI intorno ai monasteriextra-murali di tutte le grandi città, Milano, Bologna 22 e altre. In que-sta fase, si tratta di crescita spontanea intorno ai monasteri ubicati allaperiferia cittadina, non ancora di lottizzazione sistematica. Anche sottoquesto rispetto, i monasteri sono nell’XI secolo in una fase di transi-zione, che corrisponde alla prima fioritura della rinascita urbana.

Un altro elemento fondamentale dell’economia monastica è costitu-ito dalle risorse ecclesiali: decime, altari e offerte varie alle chiese par-rocchiali. I monasteri posseggono normalmente questi redditi nei vil-laggi dei quali sono i signori, e la riforma aumenta senz’altro la loroparte. Le decime e le chiese possedute da laici non sono sempre resti-tuite al clero plebano, ma sono piuttosto date ai monasteri, medianteeventualmente l’intervento del vescovo.23 Alcuni monasteri raccolgonocosì una rete di chiese locali e un complesso di decime di notevolereddito. Un altro tipo di risorse molto redditizio, indicizzato anche luisulla crescita economica, sono i pedaggi come quelli prelevati sul com-mercio padano, da S. Giulia a Piacenza e da S. Sisto di Piacenza aGuastalla. Queste due fonti di reddito molto abbondanti, decime epedaggi, inseriscono direttamente i monasteri nell’economia di merca-to: la decima fornisce delle quantità di prodotti troppo abbondanti peressere consumati interamente nel monastero, e i pedaggi procurano unlauto reddito in moneta.

I monasteri sono infatti al cuore del primo sviluppo dell’economiamonetaria, alla pari dei vescovi e dei capitoli cattedrali.24 Ritroviamo

21. E. HUBERT, La construction de la ville. Sur l’urbanisation dans l’Italie médiévale,« Annales HSS », 59 (2004), p. 109-139.

22. Per esempio intorno al monastero suburbano bolognese dei SS. Nabore e Fe-lice nasce il borgo di S. Felice, menzionato dalla fine dell’XI secolo (G. PENCO, Mona-steri e comuni cittadini, in Il monachesimo italiano nell’età comunale, p. 11).

23. A. CASTAGNETTI, Le decime e i laici, in Storia d’Italia. Annali, 9: La Chiesa e ilpotere politico dal medioevo all’età contemporanea, Torino 1986, p. 507-530; C. E. BOYD,Tithes and Parishes in Medieval Italy. The Historical Roots of a Modern Problem, Ithaca-New-York 1952.

24. Tema evidenziato da C. Violante per quanto riguarda i vescovi: C. VIOLANTE,I vescovi dell’Italia centro-settentrionale e lo sviluppo dell’economia monetaria, in Vescovie diocesi in Italia nel Medioevo (sec. IX-XII). Atti del II Convegno di Storia dellaChiesa (Roma, 5-9 novembre 1961), Padova 1964, p. 193-217; ristampato in ID., Studi sullacristianità medioevale. Società istituzioni spiritualità, Milano 1972, p. 325-347. Cfr. P. CAM-MAROSANO, Introduzione a Gli spazi economici della Chiesa, p. 1-19, a p. 9: le stesse

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qui un tema ampiamente illustrato da studi pionieristici di Violante,per esempio nella sua relazione della Mendola del 1977 su Monasteri ecanoniche nello sviluppo dell’economia monetaria.25 Fino alla metà delsecolo XII, spiega Violante – e dopo di lui Paolo Cammarosano –,26 imonasteri dispongono di ampie risorse monetarie che investono nel-l’economia, spesso mediante il prestito. La disponibilità di tesori dioggetti preziosi è un’altro modo di stimolare l’economia.

Ma torniamo alle proprietà rurali: uno dei nodi della questionedell’economia monastica dell’undicesimo secolo è lo smantellamentodel sistema curtense e dei modi di sfruttamento sui quali poggiava.Si tratta di una questione ben nota e molto studiata, per la quale ilNorditalia è un buon esempio: gli ultimi polittici sono dell’inizio deldecimo secolo, e nell’undicesimo i documenti non sono più delledescrizioni di corti rurali splendidamente ordinate, ma delle liste diterre e di censi più o meno disordinate. Tuttavia le grandi proprietàrurali, anche se hanno perso molto della loro coerenza, danno ancoranell’undicesimo secolo redditi elevati. È vero che le riserve dominica-li, sfruttate direttamente dal signore, sembrano essere scomparse. Nonsiamo sicuri tuttavia che questa scomparsa è generale, perchè è unfenomeno sul quale la documentazione è scarsa; la mancanza di fontinon consente di osservare gli inizi della gestione diretta, medianteconversi, salariati o famuli di tipi diversi, che si rivela soltanto nelsecolo seguente. Conosciamo bene invece le piccole aziende concessealle famiglie contadine, le sortes massariciae, che costituiscono senz’al-tro l’essenziale dei possessi monastici di questo tempo. Sono sottopo-ste a un prelievo in natura che assicura ai proprietari un redditosicuro e abbondante. Questo prelievo consiste generalmente sia inuna quota proporzionale del terzo o del quarto del raccolto, sia inun censo fisso ugualmente in natura e normalmente piuttosto consi-stente. Si capisce in queste condizioni il relativo immobilismo di molteproprietà monastiche ancora nei secoli dodicesimo e tredicesimo: imodi di gestione tradizionali sono infatti molto comodi e molto van-taggiosi per i proprietari.

D’altra parte – come nota Giuseppe Sergi nella sua introduzione –i proprietari monastici si adattano perfettamente alla diffusione dei pre-lievi signorili di tipo bannale che si generalizzano nel secolo XI. Lecorti monastiche erano infatti dotate da tempo dei diritti regalistici. La

alienazioni di beni dei monasteri e le loro difficoltà (tradotte attraverso l’indebitamento,l’affitto...) sono dei fattori dello sviluppo economico complessivo.

25. VIOLANTE, Monasteri e canoniche nello sviluppo dell’economia monetaria.26. CAMMAROSANO, Introduzione, in Gli spazi economici della Chiesa, p. 16.

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27. VIOLANTE, Il concetto di Chiesa feudale; G. ANDENNA, La signoria ecclesiasticanell’Italia settentrionale, p. 111-150; G. BOIS, Patrimoine ecclésiastique et système féodal auxXIe-XIIe siècles, in Chiesa e mondo feudale, p. 45-60.

28. Classico il caso dei grandi monasteri laziali, il cui ruolo nell’incastellamento èstato evidenziato da P. TOUBERT, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridio-nal et la Sabine du IXe siècle à la fin du XIIe siècle, 2 vol., Roma 1973. L’analisi delToubert è servita di modello allo studio del fenomeno nel Nord, dove le condizioniambientali e politiche gli hanno conferito caratteri propri.

29. F. MENANT, Les chartes de franchise de l’Italie communale: un tour d’horizon etquelques études de cas, in Pour une anthropologie du prélèvement seigneurial dans lescampagnes médiévales (XIe-XIVe siècles). Réalités et représentations paysannes (Medinadel Campo du 31 mai – 3 juin 2000), a cura di M. BOURIN - P. MARTINEZ SOPENA, Paris2004, p. 239-269; A. CASTAGNETTI, Le comunità rurali, in Storia della società italiana, 6,Milano 1986, p. 315-348.

‘signoria ecclesiastica’ descritta da Violante e Andenna 27 è in molti casiuna signoria monastica, e la riforma della Chiesa non la sopprime.Anzi, la parte dei redditi signorili nei patrimoni monastici cresce rapi-damente nell’XI e all’inizio del XII secolo, mediante le donazioni diquote di signorie ai nuovi monasteri, cluniacensi o altri. Per quantoriguarda i monasteri antichi, posseggono delle signorie potentissime,comprendenti villaggi interi. Il prelievo signorile fornisce nuove risorseai monasteri: il fodro, le multe di giustizia, e molti altri prelievi, per lopiù in moneta. Sia per le antiche proprietà dei grandi monasteri cheper le nuove fondazioni, le signorie monastiche sono spesso il fulcrodel riordinamento e della fortificazione dell’habitat rurale, l’incastella-mento, iniziato nel X secolo ma che va avanti per tutto l’XI.28 Nume-rosi castra del Nord sono stati fondati da monasteri, altri, costruiti daun lignaggio signorile, sono stati dati al monastero fondato dai diversirami per consentire la ricomposizione delle quote di signoria; le fonda-zioni di priorati cluniacensi, per esempio, ne offrono diversi casi. L’epo-ca della riforma coincide anche con le prime carte di franchigia peralcune comunità di abitanti particolarmente ricche e sviluppate, comeNonantola o Guastalla.29 Si tratta sempre di grosse signorie, apparte-nenti a grandi monasteri, i cui abitanti dispongono di risorse economi-che particolarmente elevate, poggianti sul commercio.

Uno dei grandi pericoli per la proprietà monastica del secolo XI èla feudalizzazione della società aristocratica, che ritaglia dei feudi suibeni degli enti ecclesiastici, come i vescovadi, i capitoli, e anche i gran-di monasteri: S. Ambrogio, S. Giulia, S. Benedetto di Leno, S. Zenodi Verona, per citarne soltanto alcuni. Tale situazione non è certo nuo-va: già in epoca carolingia i maggiori abati si circondano di vassalli, ipolittici menzionano dei benefici e delle precarie, e una parte dellaproprietà monastica (e ecclesiastica in generale) è ufficialmente riservata

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30. G. TABACCO, Il regno italico nei secoli IX-XI, in Ordinamenti militari in Occi-dente nell’alto Medioevo, Spoleto 1968 (Settimane del Centro italiano di studi sull’altomedioevo, 15), p. 763-790. Cfr. il ben noto caso di Bobbio: M. NOBILI, Vassalli su terramonastica fra re e « principi »: il caso di Bobbio (seconda metà del sec. X – inizi delsec. XI), in Structures féodales et féodalisme dans l’Occident méditerranéen (Xe-XIIIe s.).Bilan et perspectives de recherches (Rome, 10-13 octobre 1978), Rome 1980, p. 299-309. Unaltro esempio, fra molti: G. SERGI, I rapporti vassallatico-beneficiari, in Milano e i Mila-nesi prima del Mille (VIII-X secolo). Atti del 10° Congresso internazionale di studi sul-l’alto medioevo (Milano, 26-30 settembre 1983), Spoleto 1986, p. 137-163.

31. H. KELLER, Signori e vassalli nell’Italia delle città, Torino 1995 [ed. tedesca: Adel-sherrschaft und städtische Gesellschaft in Oberitalien (9.-12. Jahrhundert), Tübingen 1979];MENANT, Campagnes lombardes; G. SERGI, Vescovi, monasteri, aristocrazia militare, inStoria d’Italia. Annali, 9, p. 75-98; F. MENANT, La féodalité italienne entre XIe et XIIe

siècles, in Il feudalesimo nell’alto medioevo (Spoleto, 8-12 aprile 1999), I, Spoleto 2000(Settimane del Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 47), p. 346-387.

32. Valutazione dell’importanza complessiva delle risorse concesse in feudo, per ilperiodo immediatamente posteriore: P. CAMMAROSANO, L’economia italiana nell’età deicomuni e il “modo feudale di produzione”: una discussione, « Società e storia », 5 (1979),p. 495-520; ID., La situazione economica del Regno d’Italia all’epoca di Federico Barbaros-sa, in Federico I Barbarossa e l’Italia nell’ottocentesimo anniversario della sua morte.Atti del convegno (Roma, 24-26 maggio 1990), a cura di I. LORI SANFILIPPO, Roma 1992[= « Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano »,96 (1990)], p. 157-173.

33. Per ultimo, su queste categorie sociali intermedie: B. CASTIGLIONI, Il feudo con-dizionale in area veneta tra XII e XIII secolo: contributo allo studio dei rapporti didipendenza personale, tesi di dottorato di ricerca, Università Statale di Milano, VI ciclo,1993-1994; in corso di stampa sotto il titolo Un altro feudalesimo. Vassallagio, servizio eselezione sociale in area veneta nei secoli XI-XII. Queste funzioni sono infatti in corsodi feudalizzazione dall’epoca carolingia, come indicano i polittici.

34. CAMMAROSANO, Introduzione, p. 11; un elemento di forza è invece la continuitàdell’istituzione, che non patisce rotture biologiche come i lignaggi aristocratici.

alla dotazione di cavalieri dell’esercito reale.30 Ma questa pratica siintensifica moltissimo nell’XI secolo, e l’eredità dei benefici, ormai san-zionata dalla legge, conferisce ai vassalli una grande autonomia, soprat-tutto nel campo economico.31 I monasteri perdono allora il controllodi intere corti e signorie, in particolare di quelle più lontane, e quindipiù difficili da controllare, che diventano possessi quasi-patrimonali difamiglie di milites locali.32 Il controllo si allenta anche sulle proprietàche rimangono ai monaci, mediante la feudalizzazione delle funzionidei piccoli amministratori locali, come intendenti o sindaci.33 Un pro-blema dell’economia monastica è infatti che l’abate deve farsi rappre-sentare localmente, delegare una frazione del suo potere, e questa de-lega, normalmente affidata a laici, apre la porta a tutti gli abusi.34

Perfino quando il legame di vassallaggio resta ricordato attraverso rin-novi regolari del giuramento di fedeltà, i feudi, piccoli o grandi, non

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rendono più niente; i patrimoni monastici della fine dell’undicesimosecolo sono dunque assai ridotti rispetto a quelli del nono secolo.

La feudalizzazione non ha tuttavia soltanto conseguenze economi-che ed esiti negativi. Nell’ultimo terzo dell’undicesimo secolo, emergo-no infatti intorno ai monasteri delle clientele vassallatiche, cristallizzateper lunghe generazioni dall’eredità dei feudi. Non dobbiamo dimenti-care che la riforma della Chiesa è violenta, e che gli avversari si af-frontano militarmente: gli eserciti feudali dei monasteri combattonoveramente, e la feudalità costituisce un sistema di reclutamento milita-re e non solo di appropriazione dei redditi ecclesiastici. Il ruolo feuda-le dei monasteri introduce infatti nella loro vita quotidiana una com-ponente importante di gioco politico locale, di inserimento negli affaridella città. Più che mai, alla fine del secolo XI – cioè all’alba dell’etàcomunale – i monasteri sono dei poli della vita sociale, e particolar-mente poli di aggregazione delle élites aristocratiche: intorno ai grandimonasteri si struttura il più alto livello dell’aristocrazia, in Lombardiaquello dei capitanei, e intorno ai monasteri rurali più piccoli, come ipriorati cluniacensi e le fondazioni indipendenti, si strutturano le fami-glie locali.35 La polarizzazione delle élites intorno ai monasteri è desti-nata a durare a lungo, come molte strutture feudali create a questaepoca: ancora in pieno Duecento le curiae vassallatiche si riunisconointorno all’abate o alla badessa.

C’è infatti un doppio movimento, che va in sensi opposti: le alie-nazioni, le concessioni in feudi e in precarie, le usurpazioni, diminui-scono il patrimonio monastico; invece il flusso di donazioni, anch’essomolto importante, lo aumenta. La riforma suscita la moltiplicazionedelle donazioni, dirette soprattutto verso i nuovi monasteri.36 Questomovimento è ben documentato ed è stato bene studiato, per esempioper i priorati cluniacensi. Ma ci sono anche numerose fondazioni ari-stocratiche di piccoli monasteri indipendenti, accompagnate dalla do-nazione di una quota del patrimonio familiare. Il rapporto dei monacicon l’economia comprende anche questo scambio di beni fondiaricontro dei beni immateriali come preghiere, ingresso del donatore al

35. Gli studi monografici sui rapporti di una famiglia aristocratica dell’XI secolocon un monastero sono numerosissimi (C. Violante per esempio ne ha prodotto parec-chi). Citiamo soltanto, fra le raccolte più importanti: Formazione e strutture dei cetidominanti nel medioevo: marchesi, conti e visconti nel regno italico (secc. IX-XII). Attidel primo convegno di Pisa (10-11 maggio 1983), Roma 1988.

36. Si deve tuttavia precisare che le compere cominciano allora a moltiplicarsi,parallelamente alle donazioni: è l’inizio di una tendenza che si rafforzerà sempre dipiù; d’altra parte le stesse donazioni comportano ormai un diritto di controllo deidonatori e dei loro eredi: CAMMAROSANO, Introduzione, p. 10.

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monastero come monaco o converso, sepoltura, iscrizione nel necrolo-gio o semplice ‘vicinanza con il santo’. Barbara Rosenwein ha mostratotutta l’importanza di questa parte dell’economia monastica.37 La ‘pro-prietà’ monastica s’intreccia infatti in mille modi con la ‘proprietà’ ari-stocratica; si deve porre delle virgolette alla parola proprietà, perchènon si tratta mai di una proprietà completa e perfetta, ma di feudi odi beni offerti sui quali la famiglia del donatore conserva dei dirittipiù o meno estesi. I piccoli monasteri restano spesso nell’orbita econo-mica della famiglia fondatrice, con la quale scambiano dei prestiti efanno circolare i beni fondiari a secondo delle circostanze; la fondazio-ne di un monastero può anche consentire ai diversi rami di un lignag-gio di affermare la loro comune identità e di ricostituire l’unità di unpossesso – spesso un castello e la sua signoria – del quale gli danno leloro quote. L’economia monastica non si può infatti mai separare dalcontesto sociale, nel quale è embedded, inserita, come dicono gli Ingle-si dopo Polanyi.38

Per concludere, vorrei sottolineare due dimensioni dell’economiamonastica del secolo XI.

La prima è il suo carattere di transizione: i monasteri del secoloXI sono a metà strada, per quanto riguarda l’organizzazione economi-ca, fra il sistema curtense carolingio e i modi di gestione dei secolidodicesimo e tredicesimo, cioè la gestione diretta di tipo cistercense el’affitto generale. Nei modi di gestione del secolo undicesimo, non siavvertono infatti il carattere spettacolare e lo sforzo di razionalizzazio-ne che caratterizzano sia il sistema curtense che le pratiche di epocacomunale. Troviamo invece soluzioni semplici, che sono basate soprat-tutto sulla rendita delle sortes massariciae affittate ai contadini, e pro-curano un reddito consistente.

La seconda dimensione dell’economia monastica che dobbiamo sot-tolineare è il suo carattere dinamico. Lo sviluppo della feudalità, ac-compagnato dal trasferimento di una fetta dei beni monastici versol’aristocrazia, e l’allentarsi dei legami con i possessi periferici delle an-tiche reti curtensi, non devono nascondere i trasferimenti in senso op-posto, dall’aristocrazia verso i monaci, che accrescono il patrimonio diquesti ultimi. I monaci sanno inserirsi nelle nuove fonti di reddito:sono loro a organizzare gli spostamenti dei greggi dalle Alpi verso lapianura padana, alla fine del secolo XI; s’indovina la loro presenza sia

37. B. H. ROSENWEIN, To be the Neighbor of Saint Peter: the Social Meaning ofCluny’s Property, 909-1049, Ithaca-London 1989.

38. K. POLANYI, La grande transformation. Aux origines politiques et économiquesde notre temps, Paris 1983 (ed. americana 1944).

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nelle imprese minerarie e metallurgiche delle Alpi, che nella bonificadella Bassa padana che comincia allora – a Nonantola per esempio –.39

Il prelievo signorile sembra svilupparsi in modo particolarmente siste-matico sulle terre monastiche, e i monaci ricuperano una buona partedelle decime abbandonate dai laici. Il ruolo tenuto dai monaci nellarinascita dell’economia monetaria conferma l’importanza delle loro ri-sorse e il loro dinamismo per usarle. L’economia monastica offre in-somma nell’undicesimo secolo un’immagine complessa, fra stabilità distrutture secolari e inizi di profonde trasformazioni, ma questa immagi-ne è ampiamente positiva.

39. MENANT, Campagnes lombardes; ID., Pour une histoire médiévale de l’entrepriseminière en Lombardie, « Annales ESC », 42 (1987), p. 779-796.

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