MEDICO CHIRURGICHE - informaticknowledge.com · dagogista e il prof. Cristiano Martini, direttore...

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di Leonida Pozzi 1

SANITÀ IN LOMBARDIA

ALLA SCOPERTADELLE GRANDI POTENZIALITÀMEDICO CHIRURGICHE

Il lungo e interessante col loquio con i l dott . Michele Colledan econ i l dott . Mario Strazzabosco , pubblicato in questo numero di“Prevenzione Oggi” , conduce i l le t tore in un interessante i t inera-rio attraverso l ’eccel lenza del la sanità in Italia (e probabilmentenel mondo).Con i l col loquio-intervista ci s iamo posti una serie di obiett ivi .Innanzi tutto sgombrare i l campo da possibi l i t imori conseguential la partenza del dott . Bruno Gridel l i dall ’ospedale di Bergamo,diretto al l ’Ismett di Palermo. Se i l valore del dott . Gridel l i - chi-rurgo e scienziato che ci onoriamo di annoverare fra gli amicidel l ’Aido e in particolare del la nostra rivista regionale - è fuoridiscussione , i l dott . Colledan (per l ’ambito chirurgico) e i l dott .Strazzabosco (per la parte del la ricerca e del trattamento del-l ’ambito e patico) , hanno già potuto dimostrare di essere assoluta-mente al l ’altezza del predecessore. Salutammo, i l mese scorso , i lprof. Gridel l i , dicendoci s icuri che la col laborazione con Bergamonon sarebbe cessata ; ed ecco che ai primi di luglio , giornali , radioe tv diedero spazi ad un intervento che vedeva proprio la condivi-sione di un trapianto di fegato fra gli ospedali di Bergamo e diPalermo. Come a dire , i fatt i dimostrano che avevamo visto giu-sto.Con l ’ intervista abbiamo poi voluto dare voce al le enormi poten-zialità mediche , scientif iche e chirurgiche del le nostre s trutturesanitarie. La Lombardia ospedaliera si pone , insomma, qualestruttura dialogante con centri d’ecce l lenza come l ’Ismett diPalermo o i l centro di Pittsburgh negli Stati Uniti (patria , que-st ’ult ima, degli s tudi di perfezionamento del prof. Gridel l i) .Tanto che nel futuro potrebbe essere eseguito , proprio a Bergamo,i l trapianto dei polmoni , un intervento di alt issima chirurgia chesegnerebbe un altro grande passo in avanti del l ’of fer ta curativanella nostra regione.Altri motivi di confor to i l le t tore l i potrà trovare nel l ’ interessan-te i l lustrazione del l ’att ività di alcuni volontari che operano asostegno degli ammalati in una struttura milanese. Pubblichiamoanche una breve sintesi dei lavori del corso per dirigenti Aidosvoltosi al la Casa del giovane di Bergamo, dal t i tolo “La scuolainterroga l ’Aido; come rispondere?”. Al corso erano presenti inqualità di relatori la dott . ssa Sara Mascarin, psicologa e psicope-dagogista e i l prof. Crist iano Martini , direttore del la neuroriani-mazione del l ’Ospedale A. Manzoni di Lecco , ol tre che membrodella Consulta nazionale permanente trapianti .Nell ’apprestarci ad augurarvi , cari let tori , un sereno periodo divacanze , pensiamo di avere ancora una volta risposto al nostroimpegno di dif fondere , insieme con la cultura del la donazione(sempre più importante) , anche una rivista che mette l ’accento suimotivi di confor to che segnano i l cammino del la nostra comunità.Arrivederci a set tembre. E

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EIn copertina:

«Spazi agrari»foto di Giuseppe Pellegrini - Mantova

“Il taglio geometrico dell’immagine sintetizzaaree agrarie di messi e colture vitali: grano, mais,girasole, senza dimenticarel’importanza dell’ombra edell’ossigeno offerto daglialberi. Così la luce e l’ombradisegnano, per ciascunuomo, la natura e la vita.”

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IPAGINA 1

ALLA SCOPERTA

DELLE GRANDI POTENZIALITÀ

MEDICO CHIRURGICHE

Editoriale del Presidente Leonida Pozzi

PAGINA 3

COLLEDAN E STRAZZABOSCO

CONTINUITÀ NELL’ECCELLENZA

PAGINA 13

HUMANITAS

DI NOME E DI FATTO

PAGINA 19

RICORDANDO

GIORGIO BRUMAT

PAGINA 20

I DIRIGENTI AIDO

VANNO A SCUOLA

PAGINA 23

NOTIZIE DALLE SEZIONI

TUTTI REDATTORI«Prevenzione Oggi» è il mensile dell’Associazione e come tale è aper-to alla collaborazione dei responsabili di Gruppi o Sezioni oltre che a

tutti gli amici che intendono favorire la diffusione del periodico.In particolare è importante che le Sezioni provincialipartecipino alla preparazione di «Prevenzione Oggi»

segnalando per tempo le iniziative,i convegni, le attività di sensibilizzazione in genere.

Nei prossimi numeri, inoltre, sarà avviata una rubricadi posta con i lettori che sarà curata dal dott. Pietro Poidomani

Mensi le d i cu l tura sani tar ia

de l Consig l io Regionale AIDO Lombardia

Anno XIII n. 120 - luglio 2003Editore: Consiglio Regionale AIDO Lombardia

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L’intervista

Colledan e Strazzaboscocontinuità

nell’eccellenza

Sanità in Lombardia

Tante volte “Prevenzioneoggi” si è occupata dei tra-

pianti. Raramente, invece, gliapprofondimenti hanno avutoper oggetto il pre e il post tra-pianto. Eppure sono fasi fonda-mentali: ogni malato vive conuguale intensità i suoi giorniprima di essere sottoposto all’in-tervento, così come si aspettache il “dopo” sia ricco di possibi-lità di vita. In realtà i dati dimo-strano che la scienza medica hafatto il miracolo e oggi i trapian-

tati vivono come (e a volte addi-rittura meglio) i “normali citta-dini”. Nei giorni seguenti la partenzadel prof. Bruno Gridelli perPalermo (vedi “Prevenzioneoggi, numero di maggio-giugno2003) abbiamo incontrato il dott.Michele Colledan, prezioso col-laboratore dello stesso Gridelliprima, e oggi continuatore del-l’opera di un gruppo che, nesiamo certi, rimarrà nella storiamedica dell’ospedale di Bergamo

come una delle fasi storiche piùalte e positive. Insieme con il dott. Colledanincontriamo il dott. MarioStrazzabosco proprio per sonda-re anche il mondo del prima e deldopo, della ricerca scientifica edel sostegno al trapianto.Quello che segue è il resoconto,il più fedele possibile, di un’in-tervista un po’ anomala, fatta dipoche domande e di rispostesemplici e chiare attraverso lequali, però, si svela una realtà

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UN PROGRAMMA NATO A MILANO

che i cittadini certo non cono-scono; uno spaccato diquell’Italia che funziona, di gio-vani medici che spendono la lorovita (nel senso pieno della paro-la) per migliorare le condizionidegli ammalati, per offrire a chi ènella sofferenza la possibilità ditornare a vivere. Abbiamo sco-perto - con “Prevenzione oggi”capita spesso - le enormi poten-zialità di una struttura sanitarialombarda che il mondo ci invidiae che forse, se fossimo tutti piùattenti, non si troverebbe spessoa dover lottare con le limitaterisorse che la comunità destinaalla ricerca e alla medicina più ingenerale.La chiacchierata si svolge pressogli Ospedali Riuniti di Bergamo,in un torrido pomeriggio di finegiugno: il caldo è l’unico disagioche soffriamo. Per il resto è vera-mente un piacevole incontro.Prevenzione oggi: Due sono gliscopi fondamentali di questaintervista. Innanzitutto conti-nuare il compito di illustrare ainostri lettori qual è la situazionedel trapianto di fegato, dalla pre-parazione del paziente al dopo

intervento. E in secondo luogosegnare quali sono gli elementidi continuità e quelli di evoluzio-ne rispetto al percorso tracciatodal gruppo del prof. Gridelli.Nell’editoriale della rivista delmese scorso abbiamo parlato di“amicizia che continua”. Siamocerti che il suo lavoro a Palermosarà sicuramente motivo dibuoni, anzi ottimi rapporti conl’Aido nazionale. Però dobbiamodire che Bergamo non perdenulla perché altri chirurghi diquella scuola continuano il lavo-ro intrapreso.Strazzabosco: Possiamo confer-mare che nell’attività dell’ospe-dale non cambia nulla se non ilresponsabile del programma.Quel modus operandi che andre-mo a descrivere, e che si potreb-be definire come una importantecompensazione tra attività chi-rurgica e attività medica, conti-nua come prima ed è qualcosa diparticolare che forse in Italianon è ancora la norma. La pre-parazione pre operatoria, l’inter-vento chirurgico e la cura suc-cessiva (il follow up a lungo ter-mine) vengono infatti gestiti da

aree professionali diverse, mache si integrano intimamente fradi loro all’interno di sfere diresponsabilità ben definite, unmodo di lavorare innovativo nelpanorama italiano.Colledan: Si può dire che il pro-gramma trapianti di Bergamosia nato a Milano, al Policlinico.Quello del Policlinico è uno deidue programmi più longevi,ormai, avendo festeggiato i ventianni di attività. Sia il prof.Gridelli che io che il dott.Lucianetti che fa parte del grup-po, fin dall’inizio, nel 1985 cisiamo incontrati nel Centro tra-pianti di fegato di Milano eabbiamo lavorato lì. Alla finedegli anni ‘80 il prof. Gridelli haintrapreso nell’ambito di questoCentro l’attività di trapianto difegato pediatrico, iniziando a tra-piantare i primi bambini. Piccolinumeri, perché c’era molto scet-ticismo da parte dei pediatri sultrapianto e sul fare il trapiantoin Italia. Pochi credevano ai tra-pianti e quei pochi che ci crede-vano tendevano a mandare ibambini all’estero. Poi pianopiano questo programma si è

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Curriculum Vitaedott. Michele Colledan

Il Dott. Michele Colledan è nato a Lodi il 9.4.1955, è coniugato con Lia Poggi dallaquale ha due figli: Sofia di 19 mesi ed Alvise di 5.Si è laureato in Medicina e Chirurgia a Milano nel 1979. Dopo la specializzazione inChirurgia Generale, ha iniziato la propria carriera professionale nel 1984 presso laclinica chirurgica generale dell’Università di Reims (Francia).Nel 1985 si è trasferito presso il centro per il Trapianto di Fegato dell’OspedaleMaggiore Policlinico di Milano dove ha prestato servizio ininterrottamente fin al1997, dapprima come assistente e quindi come aiuto chirurgo. Durante tale periodoha partecipato, con mansioni di responsabilità progressivamente crescente, all’atti-vità di trapianto epatico e polmonare in tutti i suoi aspetti: dalla selezione dei pazien-ti alla gestione della lista d’attesa, agli inter-venti di prelievo e trapianto al follow uppost-operatorio a breve e lungo termine.Ha inoltre svolto regolare attività di chirur-gia generale e d’urgenza ed una intensa atti-vità di ricerca sperimentale in ambito tra-piantologico.Nel frattempo, oltre a conseguire la specia-lizzazione in chirurgia vascolare, ha compiu-to stages di perfezionamento presso i cen-tri di trapianto di fegato delle università diPittsburgh (USA) e di Lione (Francia) epresso il centro di trapianto polmonaredella ashington University di st Louis (USA).Nell’Ottobre 1997 si è trasferito assieme alprof. Bruno Gridelli presso gli OspedaliRiuniti di Bergamo dove ha partecipato,come corresponsabile, all’avviamento dellocale programma di trapianto epatico,rapidamente affermatosi come leader euro-peo in ambito pediatrico e come centro dieccellenza nazionale per l’attività nell’adul-to. Contemporaneamente ha partecipato,sempre come corresponsabile, all’avvia-mento di un’intensa attività di alta chirurgiagenerale toracica ed addominale.Nel 1999 ha applicato e descritto per laprima volta al mondo, una tecnica di divi-sione del fegato di un donatore, adatta altrapianto di due riceventi adulti, attualmen-te impiegata dai principali centri mondiali.Nello stesso anno ha assunto la direzionedella Unità Operativa di Chirurgia GeneraleII degli Ospedali Riuniti di Bergamo, che hacompletamente riorganizzato, introducen-do moderni criteri di gestione clinica edorganizzativa e tecniche chirurgiche innova-tive, continuando però la attività diTrapianto Epatico.Nel Giugno 2003, in seguito al trasferimen-to del prof. Bruno Gridelli presso l’ISMETTdi Palermo, ha lasciato la direzione dellaUnità Operativa di Chirurgia II per assume-re quella della Unità Operativa di ChirurgiaIII e dei programmi di trapianto di fegato edi polmone degli Ospedali Riuniti diBergamo.Oltre al Trapianto di Fegato ed a quello diPolmone, la sua esperienza copre laChirurgia Generale Maggiore Toracica edAddominale, sia aperta che videolaparosco-pica.In ambito scientifico la sua attività si esplici-ta in circa trecento pubblicazioni, prevalen-temente ma non esclusivamente su argo-menti trapiantologici.I suoi interessi extraprofessionali sono rap-presentati, in ambito sportivo dallo sci edalla vela, quest’ultima praticata a livelloagonistico ed in ambito culturale dalla musi-ca che ama sia classica che rock, mentrenon ama il jazz e la musica sud americana.Ritiene di essere un Italiano atipico perchénon ama e non segue il calcio, non fuma enon beve caffè.

Curriculum Vitaedott. Mario Strazzabosco

Il Dott. Mario Strazzabosco è nato a Padova il 29 luglio del 1956.E’ sposato con Anna Maria, precedentemente archeologa ed oraMadre di due figlie e Moglie di medico. Sempre a Padova ha con-seguito la Maturità Classica e si è poi laureato in Medicina eChirurgia con 110 e Lode, dopo aver frequentato come allievointerno prima la Patologia Generale del Prof. Gianfelice Azzonee poi la Clinica Medica del Prof. Ernico Fiaschi. Ha svolto ilServizio Militare come Sottotenente Medico di Complementopresso il Comando Legione Carabinieri di Padova, ove ha rico-perto interinalmente la carica di Dirigente il Servizio Sanitario.Sotto la guida del Prof. Lajos Okolicsanyi e del Prof. GaetanoCrepaldi ha conseguito il Diploma di Specialità in MedicinaInterna. Dopo un periodo come post-doctoral fellow presso ilLiver Center dell’ Università di Yale negli Stati Uniti presso illaboratorio di biologia cellulare del fegato diretto dal Prof. JamesBoyer, ha poi conseguito il titolo di Dottore in Ricerca inFisopatologia Clinica presso l’Università degli Studi di Milano ed

il Diploma di Specialità in Malattie dell’ Apparato Digerente ed Endoscopia Digestiva presso l’Universitàdi Padova. Nel 1996 ha frequentato il Corso di specializzazione sulla Qualità nei Servizi di AssistenzaSanitaria presso la Scuola di Management della Università degli Studi Sociali (LUISS) di Roma, e nel 2001il Diploma del Corso di Management sanitario per Dirigenti di Struttura Complessa organizzato dallaregione Lombardia preso la Scuola di Direzione in Sanità della Regione Lombardia e l’Università deglistudi di Bergamo. La formazione medico-scientifica del Dr. Strazzabosco è stata inoltre completata dauna Visiting Professorship presso l’Università di Navarra in Spagna. Dopo l’ottenimento dei Diplomi diSpecialità il Dr. Strazzabosco è entrato in ruolo come Assitente Medico prima e poi come DirigenteMedico di primo livello, presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova; svolgendo un attività cli-nica primariamente rivolta ai problemi epatologici ed al trapianto di fegato; presso la stessa sede, dal1997 è divenuto Responsabile della Sezione Trapianto di fegato della Clinica Medica I°. Nel Febbraio2000 è poi passato agli Ospedali Riuniti di Bergamo, ove è Direttore della Unità Operativa Complessadi Gastroenterologia e Responsabile per la parte internistica del Programma di Trapianto di Fegato perl’ Adulto. Il Dott. Mario Strazzabosco ricopre vari incarichi di insegnamento: Professore a Contrattodi Gastroenterologia nella scuola di specialità di Medicina Interna dell’Università di Padova, Professorea Contratto di Gastroenterologia nella II° scuola di specialità di Gastroenterologia ed EndoscopiaDigestiva Medicina Interna dell’Università di Milano, Professore Associato di Patologia Medica pressola facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Navarra (Spagna) ed è Coordinatore Didattico delMaster Universitario di II° Livello in Medicina dei Trapianti, presso l’Università degli Studi di MilanoBicocca. Il Dott. Strazzabosco e’ membro delle seguenti società scientifiche: Associazione Italiana perlo Studio del Fegato (AISF) per la quale è stato Membro del consiglio Direttivo, ha precedentementesvolto il ruolo di Coordinatore della Commissione per le tecniche di biologia cellulare nello studio dellafisiopatologia epatica, della Società Italiana di Gastroenterologia (SIGE), della Associazione ItalianaGastroenterologi Ospedalieri (AIGO) e dell’ European Association for the Study of Liver Disease(EASL). Dal 1992 è membro degli Hochhausen Fellows, di cui è stato ccordinatore per il 1996 (tratta-si di un gruppo di studio sponsorizzato dalla Comunità Europea, che riunisce 20 studiosi europei ditrasporto epatobiliare). E’ stato Membro del Consiglio Direttivo del Biliary Club. E’ infine membro dell’European Club for Liver Cell Biology, di cui è stato co-coordinatore negli anni 2000-2001. E’ attual-mente Segretario del Comitato Direttivo dell’ AISF. Il Dott. Strazzabosco opera come Referee per lemaggiori riviste internazionali di gastroenterologia (Gastroenterology, Hepatology e Journal ofHepatology. American Journal of Physiology), per società scientifiche (EASL ed AISF) o per “fundingagencies” internazionali come il Consiglio Nazionale delle Ricerche svizzero e la Liver ChildrenFoundation britannica e la ZONW olandese. E’ membro dell’ Editorial Board del Journal of Hepatologyed è Associate Editor di Liver International. E’ stato ed è responsabile scientifico di numerosi progettidi ricerca nazionali ed internazionali nel campo dell’epatologia. L’attività scientifica del Dott.Strazzabosco si è concretizzata in numerose pubblicazioni sulle principali riviste specialistiche america-ne ed europee, con un Impact Factor cumulato superiore a 250 punti. I principali interessi di ricercaattuali riguardano la fisiopatologia delle malattie delle vie biliari, la trapiantologia epatica e l’epatocarci-noma. È direttore di un gruppo di ricerca che si occupa della biologia cellulare e molecolare del fega-to che collabora con numerose Università estere (Mayo Clinic, Università di Yale, Birmingham,Navarra, Lovanio). Ha tenuto più di 70 letture ad invito presso meetings internazionali ed ha ricevutonumerosi Premi di Studio e fellowships, tra cui la NATO Advanced Fellowship, la JE Fogarty Fellowshipfor Advanced Studies in Health Sciences da parte dell’NHI e la BBV Foundation Chair.

I protagonisti 5

I BAMBINI AL CENTRO DELL’ATTENZIONE

affermato come unico program-ma nazionale. Ripeto: piccolinumeri. Però negli ultimi annidella nostra permanenza aMilano (io ero subentrato a col-laborare anche al programmapediatrico con il prof. Gridelli) cieravamo assestati su dodici-quindici bambini trapiantati ognianno. Il limite era dato da tantifattori, ma uno fra questi parti-colarmente importante è che ilPoliclinico di Milano non è unospedale che preveda degli spaziper i bambini. Non c’è unaPediatria, non c’è unaRianimazione pediatrica, non cisono tutte le risorse necessarieper curare i bambini. Si lavoravacon gli Istituti Clinici diPerfezionamento, come la clinicaDe Marchi, però erano dueamministrazioni ospedalierediverse anche se divise solo dauna strada, e questo ovviamenteera un problema. Verso la metàdegli anni Novanta l’ammini-strazione degli Ospedali Riunitidi Bergamo - un’azienda nellaquale la cultura del trapianto eanche del trapianto pediatrico èben radicata- ha deciso di dotar-si di un programma di trapiantodi fegato. Sulla base di questadecisione nel 1997 è stato possi-bile ottenere un’autorizzazioneministeriale ai trapianti. In unprimo momento era stata riser-vata ai trapianti di fegato pedia-trico. Un gruppo che era statocostituito inizialmente dal prof.Gridelli, , dal dott. Segalin, tra-gicamente scomparso due annior sono, dal dott. Lucianetti e dalsottoscritto si è quindi trasferitodal Policlinico di Milano peravviare qui a Bergamo l’attivitàdi trapianto di fegato pediatrico.Ricordo che, quando discuteva-mo con la direzione sanitaria econ l’amministrazione dell’atti-vità, si erano fatte ipotesi di 15-20 trapianti all’anno. Ci sembra-va già un bell’obiettivo. In realtàsiamo andati ben al di là: siamoarrivati a Bergamo il primo otto-

bre del 1997 e l’attività dovevainiziare il primo novembre; peròc’è stato un donatore verso lafine del mese di ottobre e abbia-mo iniziato prima del dovuto.Alla fine del 1997 avevamo giàfatto otto trapianti. Nel giro diun anno eravamo intervenuti sucirca quaranta bambini ammala-ti. Questo è stato possibile per-ché di fatto abbiamo trovato unasituazione estremamente favore-vole, nel senso che il trapiantoera già giustamente inteso comeè, un’attività di squadra. Dirò dipiù: è un’attività di tutto unospedale.Prevenzione oggi: Quindi l’ini-zio è stato focalizzato sui bambi-ni...Colledan: Sì, i bambini sono unproblema molto sentito e delica-to, anche se i bambini che hannobisogno di trapianto di fegato inItalia sono solo un’ottantinaall’anno. E questo è un risultatoalla portata della chirurgia ita-liana. Oggi, grazie all’impiegoestensivo delle tecniche di divi-sione del fegato, cosiddeto split,nessun bambino muore più inItalia in attesa di trapianto elet-tivo.Diverso e assai più complesso ilragionamento attorno ai proble-mi del trapianto negli adulti. Èdifficile quantificare quanti adul-ti abbiano bisogno del trapianto

in Italia: probabilmente sono unacifra che si aggira fra i millecin-quecento e i tremila all’anno, aseconda di come si vuole porre illimite per la valutazione. E forsesono anche di più perché manmano che i risultati miglioranosi allargano anche i campi diapplicazione. E questo a frontedi ottocento trapianti circa fattil’anno scorso. Quindi qui biso-gna veramente cercare di farequalcosa di più. E qualcosa didiverso è la divisione del fegatoper due adulti (una versione piùcomplessa dello split che consen-te di trapiantare con un fegatodue pazienti adulti) e il trapiantoda donatore vivente.Quest’ultimo è diventato unadolorosa necessità (perchécomunque è un intervento chepone dei rischi non irrilevantinel donatore) ma va fatto peraumentare il numero dei pazien-ti trapiantabili e ha senso farlosolo là dove si utilizzano già almassimo e al meglio tutti i dona-tori cadaveri. Ma sia chiaro chenon deve essere un’alternativaall’impiego di questi. Serve peraumentare il numero dei tra-pianti e per migliorare la gestio-ne della lista d’attesa.In tutto questo noi venivamo daun’esperienza a Milano in cuiesisteva solo in linea teorica unacollaborazione con la

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elevata professionalità degli infermieri

Epatologia e con la Pediatria madi fatto, tra ospedali diversi, conpadiglioni lontanissimi fra diloro, la maggior parte dell’atti-vità anche pre/post la facevamonoi chirurghi. Ed è sbagliato.Intanto perché è tutto tempoportato via alla chirurgia, e poi cisono altre competenze medicheche i chirurghi non hanno.Proprio una delle priorità che cisi è posti nel venire a Bergamo èstata quella di superare questoconcetto che è poi il concettodella vecchia chirurgia: il chirur-go che guarda al proprio orto,che cerca ed è convinto di curareal meglio ogni malato. Con l’ac-quisizione della collaborazionedel dott. Strazzabosco e del dott.Torre (oggi primario dellaPediatria) si è costituito ungruppo integrato molto bene,nel quale ciascuno fa la propriaparte, però sulla base di criteri edi linee operative che vengonocontinuamente discusse, rielabo-rate, modificate e che sono con-divise da tutti. Effettivamentequesto tipo di sinergia così fortecredo non abbia altri esempi nelnostro Paese.Infine ci si è posti la necessità ditrasmettere tutto il bagaglioprofessionale acquisito al mag-gior numero possibile di personeimpegnate nella sanità. Questain particolare è opera del dottor

Strazzabosco, che ha proposto erealizzato, in collaborazione conl’Università di Milano-Bicocca ilprimo Master universitario di IIlivello in medicina e chirurgiadei trapianti, che consente adalcuni specialisti di chirurgia, diepatologia o di nefrologia di tra-scorrere un anno presso gliOspedali Riuniti di Bergamo,acquisendo sul campo una super-specializzazione. Acquisendocioè quella competenza specificache poi può servire sia a lavorarein un centro trapianti domani,sia a occuparsi dei pazienti tra-piantati. Perché quello che suc-cede con il trapianto è che da unlato si guarisce il paziente da unamalattia cronica di fegato assicu-randogli una qualità di vita e unasopravvivenza sostanzialmentenormali, però al prezzo di unaserie importante di controlli aiquali si deve sottoporre. Più tra-pianti si fanno, più cresce il volu-me di questo gruppo di personeche hanno bisogno di essereseguite in modo competente ecresce il bisogno di medici e spe-cialisti in grado di seguirle concompetenza.Strazzabosco: Ho cominciato adoccuparmi di trapianti di fegatonel 1994, all’ interno del CentroTrapianti di Padova. La mia sto-ria professionale presso gliOspedali Riuniti di Bergamo ini-

zia nella seconda metà del 1999con una consulenza finalizzataalla implementazione del pro-gramma di trapianto di fegatonell’adulto. In quei sei mesiabbiamo effettuato sei trapianti.Pensavamo di arrivare a regime,ad un target di trenta trapiantiall’anno e ci siamo riusciti loscorso anno. Dal 2000 ho poiassunto la responsabilità delreparto di Gastroenterologia.Pertanto, se dal punto di vistachirurgico il programma tra-pianto di fegato per adulti diBergamo è figlio della scuolamilanese, dal punto di vistainternistico esso deriva dallaesperienza acquisita dal CentroTrapianti di Padova e questo“rimescolamento genetico” èforse uno dei fattori che hannoreso possibile alcune delle cosebuone che abbiamo fatto. Devodire che sono arrivato aBergamo con tante motivazionie altrettanti progetti. Ero rima-sto colpito dai molti elementiqualitativi dell’ospedale: la cul-tura trapiantologica era diffusa,vi era una forte propensioneall’alta specialità, ed una profes-sionalità medica anch’essa diffu-sa, accompagnata da una qualitàdell’assistenza infermieristicadecisamente superiore allamedia degli altri ospedali italia-ni. Forse l’avevo trovata inSpagna dove hanno sempre pun-tato sulla qualità infermieristicae dove sono stati forse i primi aproporre la laurea in scienzeinfermieristiche. E poi ero affa-scinato dalla possibilità di colla-borare con un gruppo chirurgicosenza uguali in Italia, per il dina-mismo, la capacità di elaboraresempre nuove idee e di provarenuove strade. Per quanto miriguarda mi sono trovato moltobene. Tant’è che devo dire cheforse è più quello che io ho impa-rato da loro in chirurgia di quel-lo che loro hanno imparato dame in epatologia. A parte le bat-tute, ritengo che abbiamo messo

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UNA QUALITÀ «ACCERTATA»

a punto un programma che pre-senta alcuni elementi moltoinnovativi nel panorama italiano.Il primo è una forte integrazionemedico-chirurga, per cui il medi-co ha piano piano imparato asconfinare in alcuni ambiti dellapatologia chirurgica che primavenivano gestiti soltanto dal chi-rurgo e che invece per la partediagnostica e preparatoria sonoora di pertinenza del gastroente-rologo e dell’internista. Questoconsente di gestire meglio lerisorse e fa operare di più il chi-rurgo. Altro elemento moltoinnovativo è la gestione del pre-e del post-trapianto, che è orainteramente affidata alla equipemedica sulla base di protocolliche vengono condivisi con l’e-quipe chirurgica e continuamen-te aggiornati. Uno dei primiaspetti di cui ci siamo occupati èstata infatti la condivisione diprotocolli clinico-diagnostici eterapeutici. Questo adesso vieneanche richiesto anche dal CentroNazionale Trapianti ma all’ini-zio, quando abbiamo cominciatoè stata una nostra libera scelta. Ildottor Colledan, che è modesto,

non vi ha detto che recentemen-te abbiamo avuto l’audit delCentro Nazionale Trapianti, eche l’esito è stato fra i migliori inItalia. Alcune cose che i certifica-tori si aspettavano di dover chie-dere erano già presenti proprioperché era una scelta che erastata fatta già tre anni fa. Laseconda cosa è stata quella diimplementare una gestione dellalista che rispondesse ad alcunecaratteristiche che noi riteneva-mo importanti. Innanzi tuttodoveva essere una lista equa nel-l’accesso e trasparente nella suagestione. Quindi abbiamo codifi-cato alcuni meccanismi di pro-gressione nella lista decidendo,per esempio, di dare una prioritàal malato più grave piuttosto cheal tempo di immissione in listad’attesa. Volevamo poi evitare dicostruire una lista dove tuttipotessero entrare sapendo peròdi avere un’elevatissima probabi-lità di morire nell’attesa.Volevamo invece creare dei crite-ri per cui, una volta accettato unpaziente, gli fosse data unaragionevole probabilità di esseretrapiantato. In altre parole,

abbiamo privilegiato il contrattoterapeutico rispetto all’accesso.Credo che questa sia una dellecose importanti che sono statefatte ed infatti la mortalità inlista d’attesa è stata molto conte-nuta rispetto ad altre realtà. Dopo siamo arrivati anche a unadefinizione molto netta degliambiti di responsabilità. Il repar-to di Gastroenterologia selezio-na un possibile candidato, lo sot-topone agli accertamenti pre-operatori che sono molto estesied accurati e poi segue il pazien-te durante tutto l’iter clinicopre-trapianto cercando di por-tarlo all’intervento nelle miglio-ri condizioni cliniche e di gestirele complicanze della cirrosi chenel frattempo si verificherannocon sempre maggior frequenza.Durante riunioni settimanali conil gruppo chirurgico i pazientivengono discussi ed ogni setti-mana si aggiornano le priorità aseconda della evoluzione clinicadi ciascuno. Dopo l’intervento ilpaziente passa in terapia intensi-va da dove viene trasferito nelreparto chirurgico per la gestio-ne delle eventuali complicanzeprecoci. Durante queste fasiviene iniziata la immunosoppres-sione, che viene decisa sulla basedelle varie caratteristiche clini-che del paziente. Dopo circa unasettimana il paziente viene ritra-sferito nel reparto diGastroenterologia per una pre-parazione degli aspetti interni-stici. Non dimentichiamo chesono pazienti molto fragili, chevengono da anni di una malattiacronica cachetizzante e chehanno subito un grosso inter-vento con, cigliegina sulla torta,l’inizio della immunosoppressio-ne. Questo rende l’idea dellacomplessità del problema e deimille aspetti che debbono essereaffrontati durante la degenzamedica post-trapianto. Da lìcomincia, come ha detto il cav.Pozzi, “una storia che dura tutto ilresto della vita”. Cerchiamo piano

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tecniche chirurgiche d’avanguardia

piano, nei casi più fortunati, ditagliare il cordone ombelicaleche lega il paziente al Centrotrapianti, nella sostanza è peròfondamentale che per ogni biso-gno il paziente sappia di avere ilsuo reparto sempre aperto,disponibile e pronto ad acco-glierlo. E in più vi sono dei con-trolli che vengono previsti acadenze già stabilite per il moni-toraggio delle varie complican-ze. Questa è un’attività moltoimportante, ma anche moltopesante in termini di utilizzo dirisorse. Attualmente abbiamotrapiantato a Bergamo più dinovanta pazienti adulti; som-mando i trapianti che abbiamofatto noi e i pazienti trapiantatiin altra sede che per comodità sirivolgono al nostro centro, stia-mo seguendo circa centodiecipazienti. Devo dire che è un’atti-vità ad alta intensività in quantoil trapianto, pur avvicinandosisempre di più ad una proceduramedica di routine, presenta sem-pre notevoli aspetti di innovazio-ne e richiede propensione allostudio e capacità di esercitarefantasia per inventare costante-mente nuove soluzioni a proble-mi clinici sempre nuovi. Per que-sti motivi e grazie alla vivacitàdell’ ambiente, abbiamo pensato,come diceva il dott. Colledan,che questo tipo di approccioandasse anche divulgato e così,primi in Italia e forse in Europa,abbiamo pensato di trasformarequella che finora è stato unapprendimento trasmesso conmeccanismi “artigianali” (dalmaestro all’apprendista) edorganizzare per la prima voltaun corpus accademico di cono-scenze trasmissibile attraversocorsi specifici. In questo abbiamotrovato la grande disponibilitàdell’Università di Milano-Bicocca e del Prof. GiuseppeMancia, Direttore della ClinicaMedica e con loro abbiamoapprontato questa prima edizio-ne del Master. La facilità con cui

questo ambizioso progetto èstato messo in piedi è una delletante bellissime storie che pos-sono succedere agli OspedaliRiuniti di Bergamo. Ma con ilMaster vogliamo raggiungereanche altri obiettivi. Il primo èquello di dare una formazionecodificata alle persone. Il secon-do è quello di creare una figuraprofessionale. Chi ha subìto untrapianto ha diritto di esserecurato da veri specialisti, proprioperché le cose che bisogna saperfare sono ormai moltissime ecaratterizzate da grande specifi-cità. Queste sono figure profes-sionali che dovrebbero lavorarenon solo nei centri trapianto maanche negli Ospedali d’eccellen-za che non sono sede di Centrotrapianto. In altre parole, grazieal personale così formato, iCentri Trapianto potrebberoavere dei terminali con cuiseguire il paziente in manieraefficace e competente avocando asé la gestione del paziente soloper le complicanze e per i pro-blemi più gravi. Così facendoarriveremmo a una gestionequotidiana più snella. Questo

nell’interesse dei vari ospedalima anche nell’interesse deipazienti che a volte si sottopon-gono a disagi enormi, lunghetrasferte e spese ragguardevoli.A parte il Master in Medicinadei Trapianti, tante altre inizia-tive che stanno avendo risonan-za nazionale sono sorte qui.Come Segretariodell’Associazione italiana studiodel fegato, ho incaricato il prof.Gridelli ed il Prof. MarioAngelico di Roma, di costituireuna commissione scientificaAISF che comprende i maggioriesperti italiani in campo chirur-gico ed epatologico, finalizzata astendere delle raccomandazioni,basate su criteri scientifici, sulleindicazioni al trapianto, sullagestione della lista, sul pro-gramma di follow-up. Lo scopo èquello di dare uno strumento perchi deve governare i processi,uno strumento scientifico su cuibasare le proprie scelte. È laprima commissione di unasocietà scientifica italiana cheaffronti il problema trapianto difegato in modo paritetico tramedico e chirurgo, precedente-

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LA GESTIONE DELLA LISTA D’ATTESA

mente i due campi professionalirestavano sempre divisi. Inpoche parole, con questa iniziati-va stiamo estendendo il “model-lo bergamasco” su scala naziona-le. Questa iniziativa è partitamentre Bruno Gridelli era aBergamo, ma ora continueràanche meglio, con un maggiorcoinvolgimento dei Centri delSud. A proposito poi del trasferi-mento di Gridelli devo dire che,come persona che lavora aBergamo è chiaro che mi dispia-ce lo spostamento dell’amico edel caposcuola, ma guardando lecose con una visuale più ampia econsiderando l’equilibrio insenso nazionale, Gridelli aPalermo è sicuramente un gran-de investimento proprio perl’Italia e la medicina in generale.Dal punto di vista bergamasco,la partenza di Bruno è stataun’ulteriore occasione per laDirezione dei Riuniti per ribadi-re, con i fatti, che l’orientamentotrapiantologico rimane una scel-ta strategica dell’Ospedale.Debbo dire che abbiamo trovatonella Direzione (il Dott.Rossattini, come Direttore gene-rale, il Dott. Salmoiraghi comeDirettore Sanitario ed il Dott.Bonometti come Direttore

Amministrativo) un grandeaiuto nella fase di transizione.Prevenzione oggi: Come sonole liste d’attesa dei bambinirispetto a quella degli adulti?Colledan: Il fabbisogno nazio-nale è di circa 80 interventiall’anno e noi ne facciamo un po’più di quaranta. Quindi più dellametà. Il tempo d’attesa medianodella lista pediatrica è inferioreai trenta giorni, anche se presen-ta delle oscillazioni abbastanzaimportanti che sono fondamen-talmente frutto delle condizioniin cui sono i bambini che abbia-mo in lista. In altre parole, aseconda di quanto sono urgentio meno (anche se la parolaurgente non è la più adatta per-ché tutti sono urgenti) i bambiniche abbiamo in lista, noi abbiamola possibilità di “schiacciare sul-l’acceleratore o meno”. Quindi inun momento in cui abbiamobambini in attesa che sono stabi-li possiamo anche permetterci diaspettare l’occasione giusta; inaltri momenti possiamo accele-rare e arrivare prima al trapian-to. In questo momento noiabbiamo sette bambini in listama il numero è molto variabile.Strazzabosco: Anche sull’adul-to, con la modalità di gestione

della lista che abbiamo descrittoprima, le mediane di lista d’atte-sa sono abbastanza basse. Lascelta di avere dei criteri di pro-gressione di lista che tenganoprimariamente conto della gra-vità del paziente ha fatto sì che aicasi più gravi venga assegnata lamassima priorità, per cui allafine la mediana della lista d’atte-sa è soddisfacente. Vi sono per-sone che hanno aspettato dueanni, ma questo è dovuto allastabilità della loro condizioneclinica che consentiva di ritarda-re il trapianto. In questa sceltaabbiamo in effetti seguito le indi-cazioni del NITp che è semprestato all’avanguardia nel codifi-care le scelte secondo elementiobiettivabili e scientificamentegiustificabili. L’elemento dipreoccupazione invece è che sicomincia a vedere un po’ di con-trazione delle donazioni. E que-sta è una grossa preoccupazione.In particolare perché c’è unritorno di negati consensi.Prevenzione oggi: Spesso evolentieri si sente parlare discarso rapporto tra il medico dimedicina generale e il Centrotrapianto in quella che è lagestione della persona trapianta-ta. Sappiamo che la personaimmunosoppressa non può pren-dere molte delle medicine oggidisponibili; spesso ci troviamo ilmedico di medicina generalespiazzato di fronte alle necessitàcliniche del trapiantato. Chiabita vicino al centro può ovvia-re al problema recandosi diretta-mente al Centro ogni volta chene abbia bisogno. Ma le personeche sono lontane hanno bisognodi trovare nei medici di medicinagenerale importanti punti diriferimento per le loro cure.Strazzabosco: È chiaro che l’in-terazione con il medico di medi-cina generale è per noi moltoimportante. Noi abbiamo ancheun numero di telefono espressa-mente dedicato per essere repe-riti dai colleghi nei momenti di

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il rapporto con i medici della medicina di base

necessità. Se si tratta poi di fareinformazione siamo certamentedisponibili. Le problematiche deltrapiantato sono però un pocoparticolari perché questi pazien-ti sono tanti nel Centro trapian-ti, mentre nella popolazionegenerale vengono diluiti e sonopazienti complessi. Quindidiventa difficile per ciascunmedico acquisire la competenzanecessaria sulla base di uno odue pazienti che hanno subìtomagari interventi su organidiversi. Per questo sembrerebbeforse più fattibile in questo sta-dio l’idea di creare una rete condei nodi periferici, provinciali oregionali, con i quali il medico dimedicina generale si interfacciadirettamente e tramite questicon i Centri trapianto di afferen-za del paziente. Questi nodi peri-ferici potrebbero essere gestitida medici in possesso della for-mazione superspecialisticaacquisibile con la frequenza acorsi Master come quello orga-nizzato da noi.Colledan: Comunque la comuni-cazione con i medici di medicinagenerale a volte diventa proble-matica per cose in realtà moltosemplici. Per esempio la diffi-coltà di sentirsi, anche solotelefonicamente: mentre magariil medico generale è nel suo stu-dio e cerca lo specialista, questoè impegnato in una visita e non èreperibile e quando questi a suavolta è libero, magari fatica a rin-tracciare il medico di medicinageneale. Forse la posta elettroni-ca faciliterà questi contatti. Nondico per arrivare alla gestionediretta del paziente, ma perpoterci informare reciprocamen-te di ciò che succede. Un’altrapossibilità sono le forme attual-mente ipotizzate di partecipazio-ne più diretta dei medici di medi-cina generale alla gestione ospe-daliera del paziente che sonoancora di là da venire. Sonometodiche innovative con lequali in un certo senso il medico

generale entra in ospedale perseguire alcuni aspetti particolaridei propri pazienti. Strazzabosco: In effetti, l’atti-vità di trapianto consentirebbedi sperimentare nuovi modelli digestione integrata ospedale-ter-ritorio. Bisogna infatti conside-rare che l’attività di trapianto èun modello di gestione per l’in-tero ospedale. Infatti l’attività ditrapianto, generando una casisti-ca particolare e richiedendo unapproccio molto rigoroso, conuna raccolta di dati, la valutazio-ne degli outcomes (esiti clinici)ed una gestione secondo lineeguida, è in realtà un modello nonsolo medico ma anche di gestio-ne che nel prossimo futuropotrebbe essere esteso all’interoospedale. Il trapianto non è solomedicina di frontiera, ma èanche gestione di frontiera.Prevenzione oggi: L’Aido diBergamo ha organizzato recen-temente, insieme con l’Asl, uncorso per i medici di medicinagenerale, che ha avuto la percen-tuale più alta di partecipanti: benil 68 per cento dei medici dimedicina generale. Un dato cla-moroso. Un corso che è statoseguito con particolare interesseanche perché i medici hanno

bisogno di acquisire informazio-ni nel settore e certamentesarebbe il caso di mettere questimedici in condizione di miglio-rare la diagnosi.Strazzabosco: Sono convintoche queste iniziative dovrebberoessere intensificate. Vi è infattispazio per migliorare la gestionedel paziente epatopatico. Unindicatore importante di cuitener conto è la mortalità perepatocarcinoma, che è una com-plicanza della cirrosi epatica. Lamortalità per epatocarcinomanella provincia di Bergamo èmolto alta. Questa è una patolo-gia peraltro in cui è ben codifica-to un tipo di follow up che ilpaziente dovrebbe seguire unavolta diagnosticata una cirrosi.Noi vediamo pazienti arrivarealla nostra attenzione quandoormai sono usciti dalla possibi-lità di trattamento; e cioè quan-do l’epatocarcinoma non è più infase precoce. D’accordo conl’ASL di Bergamo, abbiamocominciato a lavorare attorno adun tavolo multidisciplinare in cuiprendere in esame quali possanoessere gli atteggiamenti ingrado di favorire nella provinciaun’attenzione verso la diagnosiprecoce. A tutti i medici di fami-

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INDISPENSABILE SOSTENERE LA RICERCA

glia dovrebbe essere spiegato ilprotocollo europeo per il followup del cirrotico e la diagnosticaprecoce dell’epatocarcinoma eche ora è possibile operare scelteterapeutiche razionali assegnan-do il paziente al trattamento piùindicato secondo la stadiazioneoncologica del tumore e funzio-nale della cirrosi epatica.Qualche anno fa questo non erapossibile. Adesso invece esistonole linee guida, esistono ipotesi dilavoro scientificamente valide,ed è questa la proposta che noiabbiamo portato all’ASL, pressola quale abbiamo trovato grandesensibilità. Se riusciremo adavere successo con il tavolo sul-l’epatocarcinoma - che significamettere d’accordo tutta una seriedi varie professionalità circa unaserie di procedure codificate daseguire, sia per la diagnosticache per la terapia - si potrà poipassare al problema più ampiodella gestione del paziente epa-topatico e forse a ridurre ilnumero dei pazienti che necessi-tano del trapianto.Colledan: Questo è il modo piùrazionale per valorizzare almeglio, per un migliore risultatosulla popolazione degli epatopa-

tici, l’opzione trapianto.Strazzabosco: Le cifre più omeno sono: quattordicimilamorti per cirrosi e altri otto-novemila morti per epatocarci-noma ogni anno in Italia. A fron-te di questo drammatico bolletti-no di guerra, noi abbiamo la pos-sibilità di offrire una terapiacurativa, il trapianto, solo anovecento pazienti. Perché èchiaro che con i criteri di esclu-sione attuali sono circa solo tre-mila gli ammalati che possonoessere mesi in lista di attesa.Siamo infatti costretti a restrin-gere di molto le indicazioni altrapianto, sulla base di criteriche sono sì basati su evidenzescientifiche, ma che restanocomunque insufficienti, un pocogrossolani. Un domani noi speriamo di riu-scire ad avere i parametri biolo-gici o molecolari, che ci “parlino”per esempio di geni mutati di untumore in grado di dirci con piùprecisione la prognosi post-tra-pianto. Per fare questo abbiamoperò bisogno di fare ricerca e perfare ricerca abbiamo bisogno ditempo e di risorse. E l’attualefocus principale sulla riduzionedella spesa non aiuta. Quanto

meno non aiuta l’indicazione del“risparmio ad ogni costo”, per-ché bisogna saper individuarequali strade intraprendere. I datiinfatti dimostrano che la tra-piantologia è già una proceduramedica a regime di efficienzamassimale. Noi abbiamo dei datidi un’analisi fatta con ilPolitecnico di Milano che con-fermano uno studio simile pub-blicato alcuni mesi fa su“Transplantation” dal CentroTrapianti di Pisa, con i quali sidimostra che il costo del trapian-to è molto vicino ai rimborsi.Siamo già quindi all’efficienza.Se proprio vogliamo e dobbiamorisparmiare, distinguiamo peraree e per ospedali. Non tutti gliospedali posseggono lo stessogrado di efficienza, e questivanno individuati, premiando imigliori ed aiutando gli altri amigliorare; inoltre, nello stessoospedale possono esserci areeche sono già all’efficienza massi-ma. Il punto di massima efficien-za è una condizione molto insta-bile e basta una minima riduzio-ne indiscriminata dei costi odella dotazione di personale perprecipitare rapidamente versouna condizione di non efficienza. Prevenzione oggi: Tanto veroche in un Consiglio nazionaledell’Aido, svoltosi recentementea Roma, si è discusso sull’ipotesidi una fondazione (come erastata suggerita da Gridelli perl’Art), attraverso la quale potersostenere le ricerche. Anche que-sto è un modo per sostenere itrapianti.Staremo a vedere se nel futuroriusciremo a fare qualcosa inquesto senso.

Intervista a cura diLeonio Callioni

Ha collaboratoLeonida Pozzi

Servizio fotograficoPaolo Seminati

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Normalmente uscire di casa per recarsi in Ospedalenon è di buon auspicio: o si sta male e ci si va per

farsi controllare e curare o si sta bene e allora ci si reca lìper trovare un parente o un amico meno fortunato.Incredibile ma vero, in Ospedale ci si può andare ancheper fare festa. Succede ogni anno all’Istituto ClinicoHumanitas di Rozzano ed è un evento che ha coinvoltotutta la comunità locale fino a diventare progressivamen-te una manifestazione unica in Italia. Allegri festoni, pal-loncini colorati, clown, trampolieri, una acrobata flut-tuante nell’aria e tanti, tanti bambini gioiosi: non stiamosognando, è esattamente questo lo spettacolo che trovia-mo all’ingresso dell’Ospedale. Semel in anno licet insanire,dicevano i latini, eppure qui non siamo di fronte a un casodi pazzia collettiva. Tutto fa pensare invece a un’occasio-ne speciale, di quelle che si organizzano quando si haqualcosa di veramente importante da dire. Ad esempioche l’Ospedale non è solo una struttura di cura ma ancheun luogo di cultura della salute, dove è possibile incon-trarsi e scambiare delle opinioni in tutta serenità. A que-sta quarta edizione, caratterizzata da una affluenza enor-me, il pubblico ha dimostrato di aver pienamente fattoproprio il messaggio. E di protagonisti in questa manife-stazione se ne sono visti tanti. Non ci riferiamo tanto ainumerosi vip che hanno partecipato al talk-show sullaprevenzione (Gerry Scotti, Massimo Boldi, GiacintoFacchetti, Patrizia Rossetti, Enrico Beruschi, GabriellaGolia) personalizzando questa tematica con molto garboe simpatia, ma piuttosto alla gente comune, che ha affol-lato i punti-salute per chiedere informazioni e suggeri-menti utili, che ha voluto visitare le sale operatorie, cheha parlato con gli studenti della scuola infermieri percapire le motivazioni di tale scelta, che ha seguito coninteresse una simulazione di primo soccorso e rianima-zione, che si è cimentata con gli esercizi proposti dai ten-nisti Paolo Canè, Omar Camporese, Claudio Panatta,Claudio Mezzadri, che ha giocato insieme ai figliall’Internet Point, per gli adulti una miniera multimedia-le di informazioni sui servizi dell’Ospedale, per i bambiniuna fonte di simpatici giochi a sfondo medico. L’euforia di

poter scoprire in una sola volta i segreti del tempio dellamedicina ha fatto da elemento catalizzante e chi più chimeno, fosse anche solo per un attimo, ha avuto l’impres-sione di aver superato lo spauracchio che sempre questoluogo incute. Ma la cosa bella è che anche dall’altra parte- quella dei medici, degli infermieri, degli ausiliari per iquali l’Ospedale è un semplice luogo di lavoro - si è assi-stito a strano fenomeno, quello per cui è possibile intrat-tenersi a parlare di sabato con degli ipotetici pazientisenza essere arrabbiati. Non a caso, verrebbe da dire, sichiama la giornata del sorriso e allora ben vengano que-ste manifestazioni e chissà che non abbiano a illuminarela normale quotidianità di tutte quelle realtà sanitariedove questo approccio innovativo stenta ad arrivare.

Laura Sposito

24 maggio: giornata dell’ospedale aperto 13

HUMANITASDI NOMEE DI FATTOIL SORRISODonare un sorrisorende felice il cuoreArricchisce chi lo ricevesenza impoverire chi lo donaNon dura che un istantema il suo ricordo rimane alungo...

VOLONTARI CON PROFESSIONALITÀ:UNA DIMENSIONE POSSIBILE

Con la Fonda-zione Humanitas il

primo incontro è stato diquelli che lasciano ilsegno. Nonostante i pochi minutia disposizione e la provvi-sorietà del luogo - un cor-ridoio dell’Istituto affol-latissimo per via dell’e-vento dell’Ospedale aper-to - la sua responsabile miè sembrata fin dal primoimpatto una persona spe-ciale. Affabile e gentile, si è subitoresa disponibile a raccontarmi dellaFondazione e del suo ruolo all’in-terno dell’Ospedale. Pochi attimi diconversazione, sufficienti tuttavia asvelare una grande umanità. Unaimpressione ulteriormente rinnova-ta dalla successiva occasione di dia-logo, questa volta nella sededell’Associazione.Ad accogliermi una segretariamolto cortese che mi fa accomodarein una piccola ma accogliente salet-ta, su una delle cui pareti è appeso“Il sorriso”*. Comincio a intuireche forse il cuore della Fondazione ètutto racchiuso nelle semplici paroledi questa poesia.La certezza si fa strada quando miritrovo nuovamente davanti aGiuliana Rocca. Questa elegante erasserenante signora - da cui ivolontari traggono per osmosi ilmedesimo stile - incarna infattialla perfezione il metodo con cuil’Associazione persegue la sua mis-sion: il sorriso, appunto, e la consa-pevolezza del compito da svolgere,entrambi sostenuti da una accuratapreparazione. Per un obiettivoambizioso quale quello che si propo-ne la Fondazione, ovvero migliora-re la qualità di vita non solo delmalato ma anche dei familiari

durante e dopo il periodo di cura inOspedale, l’intervento del volonta-rio non può essere lasciato al pressa-pochismo della semplice buonavolontà ma nemmeno all’applica-zione di un freddo tecnicismo. Postoche al centro di ogni attività è non ilmalato in senso generico ma la“persona” malata, occorrono dellefigure capaci non solo di modularedi volta in volta il proprio operaresulle esigenze particolari di quellospecifico paziente ma anche di farsicarico del disagio della sua fami-glia. Per questo il “cavallo di batta-glia” della Fondazione, ovvero lasua maggiore specificità, è l’atten-zione alle risorse umane. Cosa che ciè stata poi confermata anche daLuisa Mondorio, coordinatrice deivolontari: “Io ha la fortuna diappartenere a una fondazionelanciata verso il futuro dovemolti dei problemi che affliggo-no le altre associazioni che ope-rano a vario titolo nel campodell’assistenza sanitaria - primofra tutti la mancanza di forma-zione - sono già stati superati. Cianima infatti il criterio dellamobilitazione della capacità diascolto e della massima serietàperché diversamente non sareb-be possibile promuovere un’u-

manizzazione dellastruttura sanitaria fina-lizzata al benesserepsico-fisico del malato”.La preparazione deivolontari è dunque il car-dine su cui la Fondazioneha costruito le propriefondamenta e che le hapermesso nel corso di solitre anni di elaborare unamoltitudine impressio-nante di progetti.Assistenza, formazione

ma anche ricerca e comunicazione:questi sono gli ambiti in cuil’Associazione lavora assiduamentedal 1999 per merito della vulcanicacaparbietà della sua responsabile.Le abbiamo chiesto allora di spie-garci in virtù di quale segretaalchimia i volontari Humanitasriescano a estendere il loro impegnosu così tanti fronti. Ne è risultatauna lunga chiacchierata da cuisiamo sicuri - sulla falsariga delleparole emerse al corso per dirigentidi Bergamo - che la nostraAssociazione saprà trarre qualchespunto positivo.Partiamo dalla comunicazio-ne, in cui rientra l’organizza-zione insieme a ICH della par-ticolarissima Giornata del-l’Ospedale aperto. Come ènata questa iniziativa?Addentrarsi nella storia di que-sto momento di festa, che èdiventato in Italia un eventounico nel suo genere, significaun po’ parlare del rapporto digrande collaborazione che esistefra la Fondazione e l’IstitutoClinico Humanitas. Diversi nellefunzioni - l’uno preposto comeogni Ospedale che si rispetti acurare il corpo e la malattia, l’al-tra rivolta a salvaguardare e

Intervista a Giuliana Bossi Rocca

segretario generale della Fondazione Humanitas

Ci anima il criterio della massima capacità di ascolto per...14

...migliorare la qualità di vita del malato e della sua famiglia

potenziare a 360° la qualità divita del malato e di chi gli staaccanto - si assomigliano perconcezione. Entrambi infattisono fortemente innovativi, ilprimo nella capacità di offrireall’utenza un nuovo modellostrutturale e gestionale concaratteristiche di eccellenza edefficienza, la seconda nella suapretesa di facilitare il recuperodelle potenzialità del malatoattraverso percorsi di professio-nalità, competenza, rigoreimprenditoriale e trasparenza.Era inevitabile allora che lerispettive mission si integrasse-ro e che la Fondazione diventas-se per l’Istituto l’esplicitazioneconcreta della sua vocazione,contenuta nella parola humani-tas: realizzare cioè una strutturad’eccellenza che mantenesse una“dimensione umana”. Questospiega bene perché l’iniziativadella Giornata dell’Ospedaleaperto sia un momento non solocondiviso ma anche fortementevoluto da entrambe. L’idea ènata quattro anni fa alPresidente dell’IstitutoGianfelice Rocca che l’ha mutua-ta dall’esperienza del ChelseyHospital di Londra. Il messaggioè quello di far percepirel’Ospedale non solo come luogodi alta specializzazione e cura maanche come punto di incontro,scambio di opinioni, benessere ecultura della salute. Un eventopensato per tutti - cittadini,medici, infermieri, volontari epazienti - e che fin dalla primaedizione ha avuto un riscontrograndissimo. Per i pazienti e gliutenti un’occasione di rapportocon i medici diverso da quelloordinario, per il personale ospe-daliero un momento di visibilitàfuori dal consueto, per i cittadiniun’occasione per fruiredell’Ospedale come luogo di ini-ziative sportive, culturali, musi-cali, per i bambini un paradiso diproposte ludiche per sdramma-tizzare la paura. Dagli incontri

con i medici alle visite guidatealle sale operatorie, dall’internetpoint agli appuntamenti con ipersonaggi del mondo dellosport e dello spettacolo: una for-mula ben riuscita che abbiamomesso a punto di anno in anno eche si è rivelata a tal punto vin-cente da farci sfiorare in questaedizione le 5000 presenze. Laspiegazione sta nel fatto che lagente intuisce che non si trattadi una giornata per il marketing(l’Ospedale fornisce servizi tal-mente elevati e il desiderio disalute è cresciuto in maniera tal-mente esponenziale che le perso-ne -ahimè -non mancano) ma diuna specie di biglietto da visitadi tutta la realtà Humanitas e delsuo modo aperto di concepire lasanità. Di conseguenza la comu-nicazione - e quindi la scelta deitemi da proporre piuttosto chedei giornalisti da invitare - nonpuò che seguire lo stessa logica:non fare pubblicità ma trasmet-tere una identità.Per noi dell’AIDO la parolaprevenzione è fondamentale.Come mai ne avete fatto iltema della giornata?Innanzitutto perché riteniamoche l’ICH sia anche un luogo dicultura della salute e come parte

integrante del sistema sanitànon possa non occuparsene. Puressendo infatti una struttura peracuti, Humanitas è consapevoledel fatto che puntare sulla pre-venzione significa saper focaliz-zare bene le risorse economichesulle persone che ne hanno piùbisogno. In secondo luogo allaprevenzione è strettamente col-legato il discorso dei correttistili di vita che favoriscono ilbenessere ed evitano l’insorgeree il cronicizzarsi di eventualipatologie, argomenti verso iquali i dati statistici documenta-no una accresciuta curiosità.Non è un caso che il giornale on-line dell’Ospedale abbia monito-rato fra i temi più cliccati pro-prio quelli relativi allo sport, allabellezza, e soprattutto all’ali-mentazione a testimonianzadella sempre maggiore vogliadelle persone di partecipare alproprio progetto di salute, intesaquindi non come assenza dimalattia ma come benesserepsico-fisico. È nata così, alla lucedi queste considerazioni, l’idea diaffidare a un talk-show, e quindia una formula intermedia fra ildibattito scientifico e l’occasionedi intrattenimento, la trattazionedel tema della prevenzione, che

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Offriamo risposte concrete alle esigenze pratiche...

si è via via declinata nell’impor-tanza di una corretta alimenta-zione, nella necessità di unacostante attività fisica e infinenella opportunità di una diagno-si precoce delle patologie più dif-fuse. E devo dire che quest’annola tecnica di abbinare personalitàdel campo medico con personag-gi dello spettacolo e dello sportha funzionato molto bene perchéha prodotto nelle persone pre-senti in sala un sano meccanismodi identificazione.Come vivono questa giornata imedici e gli infermieri?Come un meritato momento difesta in cui essere coinvolti insie-me alla propria famiglia e di cuiessere pienamente protagonisti.Nel corso della giornata infattigli infermieri accompagno igruppi, per lo più di famiglie, avisitare le sale operatorie avendocosì l’opportunità di spiegarecome funziona il loro lavoro. Imedici partecipano altrettantoattivamente alla organizzazionedei punti-salute e in questa cir-costanza i loro figli hanno,magari per la prima volta, la pos-sibilità di vedere dove lavorano.Insomma è una giornata che hanotevoli risvolti di comunicazio-ne interna: tutti aderiscono

spontaneamente e con un coin-volgimento notevole, segnoconfortante che la mission èstata pienamente interiorizzata.E per quel che riguarda idegenti e i volontari dellaFondazione?Rispetto ai ricoverati occorresubito dire che la difficoltà mag-giore nell’organizzare questoevento è stata proprio quella distudiare una formula che evitas-se di disturbarli o di offendernela sensibilità (l’Ospedale è ancheun un luogo di sofferenza). Eallora si è cercato di prepararetutto nei minimi dettagli perchéfosse chiaro il messaggio che lostile della giornata era il sorrisoe il massimo rispetto della pri-vacy. Questo non significavaperò escluderli dalla manifesta-zione tanto è vero che si è sceltoil sabato - che è giorno di visitadei familiari - per favorire anchela loro partecipazione e là, dovefosse impossibile, dare la possibi-lità di seguire l’evento sul televi-sore della camera. Per quel cheriguarda invece i volontari, lagiornata è un importantissimomomento di comunicazione: siforniscono informazioni sullaFondazione e le sue attività e siraccolgono le donazioni dei par-

tecipanti in favore delle stesse.Veniamo alla Fondazione ealle sue caratteristiche...La Fondazione ha iniziato la suaattività nel 1999 presso l’IstitutoClinico Humanitas di Rozzanodopo il riconoscimento giuridicodella Regione Lombardia. Daallora ad oggi, al fine di garanti-re un sostegno qualificato allapersona malata prima, durante edopo il ricovero, ha offerto rispo-ste concrete alle necessità prati-che, psicologiche e sociali deipazienti, contando esclusiva-mente sulla generosità dei dona-tori e sulla laboriosa disponibi-lità dei volontari, che sono comeaccennavo prima la chiave divolta della collaborazione conl’Isituto. Oggi se ne contano 83,di cui la metà impegnati nelle 14degenze dell’Ospedale, i rima-nenti nei molteplici servizi atti-vati nel campo dell’assistenzache si articola nel supporto aiparenti dei ricoverati in DayHospital, nel sostegno ai pazien-ti dializzati e alle loro famiglie,nella fornitura e lettura “dellibro in camera” ai degenti chene facciano richiesta, nell’offertadi informazioni utili ai pazientiambulatoriali, ma anche nell’ac-coglienza e accompagnamentodei pazienti esterni, anziani estranieri e soprattutto di porta-tori di handicap e bambini cere-brolesi. Servizio quest’ultimoche evidenzia come la sfera diazione della Fondazione si dilatianche oltre la realtàdell’Ospedale andando incontroalle esigenze di chi vi deve entra-re sia che si trovi in “condizioninormali” (dal 2000 è stato attiva-to in collaborazione con la RealeMutua di Torino un numeroverde per facilitare l’accessoall’Istituto e la conoscenza delterritorio circostante a chi pro-viene da fuori Milano) sia che sitrovi in situazioni di disagio.L’attenzione al bisogno è infattiun tratto distintivo della nostraFondazione che ha addirittura

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...psicologiche e sociali dei pazienti ricoverati

tato è che abbiamo fornito unlavoro a lui, garantita la frequen-tazione delle scuole alle duebimbe e trovato per tutti unappartamento di cui ora sono ingrado di sostenere le spese.Insomma un intervento che,anche se “straordinario” per leenergie economiche e personaliche ha impegnato, da un puntodi vista etico ci ha sicuramenteripagato.Di fronte a tali risultati, vienespontaneo chiedersi da dove laFondazione tragga tutte que-ste risorse, finanziarie e non....La risposta è molto semplice. Sulpiano pratico abbiamo, oltre a uncapitale di base fornitoci in parteda un donatore anonimo e inparte dall’Ospedale, una dotazio-ne annuale che ci viene versatadalla medesima struttura e dallaReale Mutua e questa è, per cosìdire, la nostra “ricchezza istitu-zionale” a cui poi si aggiungonole tante donazioni dei privati cit-tadini che credono molto nellefinalità della nostra associazione.Per quel che riguarda invece lanostra filosofia, il segreto sta

nell’aver impostato tutta l’opera-tività su un concetto apparente-mente “scandaloso”: un inter-vento nel sociale che abbia lecaratteristiche della lungimiran-za e della credibilità deve essereun po’ “egoistico”, cioè fatto conla testa e quindi con professiona-lità. Il buonismo in Ospedale èriduttivo e il volontario che nonsappia entro quali confini muo-versi può diventare persino unostacolo. Per potersi far caricoglobalmente della vita di unmalato occorre prima di tuttomigliorare se stessi: ecco perchétutti i nostri processi di forma-zione sono impostati sul princi-pio di far emergere le eccellenzee i talenti di ciascuno. La prepa-razione quindi dei volontari -considerata la delicatezza deiservizi a cui sono chiamati - èfondamentale e avviene per pas-saggi graduali: prima un collo-quio di selezione per valutarne leattitudini, poi quattro giorni fulltime di corso curato da medici einfermieri di Humanitas (due diformazione relazionale in colla-borazione con il Centro di

istituito un fondo emergenza persostenere le necessità improvvi-se e urgenti di pazienti in gravedifficoltà sia un fondo interventispeciali per progetti di aiuto amalati non curabili altrove (inparticolare all’estero). Per nonparlare poi della sensibilità cheda sempre la Fondazione dimo-stra nei confronti degli stranieriin senso lato, siano essi pazienti(per i quali è stato pensato unservizio di interpretariato, gesti-to da volontari della stessa pro-venienza geografica) o medici(cinque dei quali - di nazionalitàaustraliana, cinese, canadese,greca, brasiliana - hanno benefi-ciato di una borsa di specializza-zione presso le unità diOrtopedia e Radiologia, trasfe-rendo nel loro Paese le tecnicheacquisite). Per fare un esempio ilfondo emergenza è stato adope-rato per aiutare una famigliaargentina il cui capofamiglia erain terapia presso il Centro dialisidi Humanitas. Ci può raccontare come èandata la sua vicenda?Iniziata drammaticamente si èconclusa con un lieto fine da filmsentimentale d’altri tempi.Questo caso ci è stato segnalatoda un religioso: si trattava di undializzato argentino che se fosserimasto nel suo Paese non avreb-be potuto assicurarsi le curenecessarie per sopravvivere.Così l’anno scorso è arrivato inHumanitas ma senza la sua fami-glia. Nel giro di poco tempoabbiamo capito che per aiutarlo aristabilirsi completamentesarebbe stato utile ricongiunger-lo alla moglie e alle figlie. Duemesi dopo le abbiamo portate quie siamo riusciti a stipulare unaconvenzione con un residence diMorimondo e un ristorante dellazona per assicurare loro vitto ealloggio gratuiti. In poche paro-le partendo dal problema delcapofamiglia ci siamo a poco apoco occupati di far stare beneanche i suoi congiunti e il risul-

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I PROGETTI DI PREVENZIONE

Sono due, uno relativo alla diagnosi precoce del tumore polmonare, l’al-tro per la diagnosi tempestiva del carcinoma mammario. Il primo, dettoProgetto Dante (Diagnostica Avanzata per lo screening delle Neoplasie

polmonari con la Tac e la biologia molecolarE), è condotto dall’Unità ope-rativa di chirurgia toracica di Humanitas sotto la responsabilità del Prof.Ravasi, in collaborazione con la sezione milanese della Lega Italiana per lalotta conto i tumori. Attivo da 2 anni, coinvolgerà circa 2400 soggetti arischio, ovvero grandi fumatori di sesso maschile e di età compresa fra i 60e i 74 anni. Finora hanno aderito 800 persone e i risultati sono incoraggian-ti: lo screening, che intende verificare se l’uso estensivo della TAC spirale edi markers molecolari può far diagnosticare precocemente il tumore pol-monare in pazienti asintomatici, ha infatti permesso di individuare diversicasi di cancro in fase iniziale. Il secondo, che riguarda invece un target fem-minile di età superiore ai 45 anni, condotto in collaborazione con la ASLMilano 2 - Melegnano, consiste in uno screening mammografico per diagno-sticare in tempo eventuali neoplasie del seno in pazienti che non presenta-no segni clinici di lesioni mammarie. Anche in questo caso, su un campionedi 7051 donne, 67 sono risultate fortemente sospette e sottoposte ad ulte-riori accertamenti, indagini che hanno successivamente portato alla diagno-si di 49 carcinomi maligni.

Professionalità e attenzione al bisogno, questo il nostro segreto

Analisi Transazionale con tantodi simulazioni pratiche, due diformazione igienico-sanitaria, diconoscenza dell’Ospedale e dellesue degenze), al termine un tiro-cinio di tre mesi di cui uno insie-me a un supervisore anziano einfine periodici incontri mensili.Un iter di tutto rispetto che ci hafatto guadagnare la stima dimedici, infermieri, ausiliari ecapisala che non hanno esitato adare la loro disponibilità. Ivolontari della Fondazione sonostati coinvolti a tutti i livelli dalpersonale medico-sanitario inte-ragendo positivamente con essoe questa collaborazione ha per-messo di migliorare sensibil-mente la qualità di vita neireparti dell’Ospedale.Una delle vostre peculiarità èl’insistenza sulla capacità diascolto. Quali risultati ha datoin termini concreti?I casi di cui parlare sarebberotantissimi ma sicuramente ilprogetto in cui meglio si è atti-vata questa nostra intuizione è ilgruppo di auto-aiuto per i dializ-zati e i loro familiari.Raccogliendo le esperienze deivolontari impegnati in questadegenza abbiamo capito che se ildializzato - che vive una fortedipendenza dalla macchina - èprotagonista della sua cura que-sta funziona meglio. Da qui ènata l’idea di offrire al malatouno spazio di confronto nelquale le sue esigenze pratichepotessero essere ascoltate e lesue difficoltà psicologiche condi-vise. Ma - come di consueto -non ci si è dimenticati dei fami-liari per i quali sono stati predi-sposti altrettanti gruppi per aiu-tarli a vivere in modo sano edequilibrato la situazione proble-matica in cui sono coinvolti. Laproposta si struttura in incontrimensili domenicali con medici,psicologi, capisala delle dialisi edè una esperienza di grande valo-re umano perché aiuta tutti, dia-lizzati e familiari, ad avere un

approccio più sereno con lamalattia. Inoltre è un progettoinnovativo perché è la primavolta che in Italia si crea unsostegno strutturato e organicoa favore di chi deve conviverecon un simile problema. E devodire che l’impegno profuso inquesto campo sta dando oggi ungrande frutto: si è creato ungruppo di lavoro fra rappresen-tanti dei dializzati che, insiemealla Fondazione, sta cercando dicostituire una rete di centri didialisi in località turistiche percontinuare ad offrire - anche invacanza - la stessa qualità dicure dell’Istituto.Qual è attualmente il progettoche più le sta a cuore?Indubbiamente ProgettoSesamo, il nuovo servizio diaccoglienza di pazienti ambula-toriali e del Day Hospital cheabbiano problemi di handicap (inparticolare per bambini affetti daparalisi cerebrale infantile) a cuiè sottesa la filosofia che il disabi-le in Humanitas non vienelasciato solo. Attraverso infattiuna semplice richiesta inoltrataal numero 0282246404 (lunedì,mercoledì e venerdì dalle 10 alle13), un volontario appositamenteformato per gestire i delicatiproblemi dei portatori di handi-cap si rende disponibile ad acco-glierli al loro ingresso inOspedale e ad accompagnarlinell’arco di tutta la giornata,sostenendoli durante tutto ilpercorso di diagnosi e cura.Concepito su prenotazione perconsentire la massima persona-lizzazione dell’intervento, è unservizio innovativo perché tieneconto fin dei minimi dettaglidelle difficoltà che quotidiana-mente devono affrontare nonsolo i diretti interassati maanche i loro familiari e qui miriferisco in particolare ai genito-ri dei bambini con paralisi cere-brale infantile. La disponibilità apromuovere un progetto assi-stenziale per queste famiglie -

spesso molto provate dal gestireuna malattia come la paralisicerebrale spastica - è scaturitadal rapporto di intensa collabo-razione con l’equipe del Prof.Portinaro, responsabile dellaDivisione di Ortopedia pediatri-ca, che da tempo cerca di miglio-rare la qualità di vita di questibambini con un approccio di tipomultidisciplinare. I pazientipediatrici affetti da questa malat-tia portano i segni permanenti diuna lesione al sistema nervosocentrale, avvenuta nel periodoperinatale, che ne compromettele capacità intellettive, motorie,linguistiche e di interrelazione.Cercare di alleggerire il caricodelle incombenze quotidiane deigenitori di questi bambini ci èsembrato un dovere sociale a cuinon potevamo sottrarci. Oggisono felice di poter annunciaredalle pagine di questa testatache, in collaborazione con laFondazione Humanitas e il sup-porto della Bayer e della BancaProfilo, il Rotary Club MilanoNord è riuscito a realizzare - suidea del Prof. Portinaro - unavideoccassetta divulgativa einformativa dal titolo “Una vitadiversa è possibile” che illustracon molta delicatezza un proble-ma di cui soffre 1 bambino su500 e di cui non si parla abba-stanza. Questo video, che saràpresto disponibile per coloro chene faranno richiesta presso laFondazione, farà parte del mate-riale formativo di un’altraimportante iniziativa rivolta, inparticolare, ai bambini con para-lisi cerebrale infantile e alle lorofamiglie, che stiamo preparandoper il prossimo ottobre. Tuttociò perché come Fondazionenutriamo una profonda convin-zione: conoscere e capire tuttociò che ci appare diverso aiuta acreare un clima di serenità e diaccoglienza che oltre a fare benealla persona accolta fa beneanche a noi.

L.S.

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RICORDANDOGIORGIO BRUMAT

non possiamo dimenticare

22 Giugno 2003: un’altra Assemblea nazionale senza Giorgio Brumat.Che sensazione strana sapere che non c’è !Mi piace pensare che sia nella hall dell’albergo, oppure al tavolo della segreteria;forse è in giardino per l’ultima sigaretta; forse........ Perché questa assenza è così pregnante ? Perché sento un improvviso vuotoe un impellente desiderio di cancellare il tempo, girarmi e ritrovarlo lì ? Riprendo le parole del poeta Neruda per esprimere meglio quel vago senso di timore e di abban-dono che ogni partenza lascia dentro, ma che, nello stesso tempo, viene mitigato dal ricordo:“....vivi nella mia assenza come in una casa; è una casa sì grande l’assenza che entreraiattraverso i muri e appenderai i quadri nell’aria. E’ una casa sì trasparente l’assenza .... “Era il 19 Giugno dell’anno 2001.Sono trascorsi già due anni.Sembra ieri. No, un secolo fa...Caro Giorgio, ci manchi, mi manchi. Manca l’amico, manca l’uomodell’accoglienza, della fraseche sdrammatizza, della battutina;l’uomo della condivisione.Manca il Personaggio cardinedell’Associazione. Quanti passi abbiamo fatto insieme?quanti incontri, colloqui, discussionie (perché no !) scontri ? quanteenergie spese per questa nostraAssociazione? Con passione, conperseveranza quasi ostinata, cre-dendoci fino in fondo perché lemotivazioni erano, e sono, forti ? Tu cammini ora su spondesconosciute, dove sicuramenteincontri i “grandi”, ovvero coloroche hanno donato; coloro, comeil nostro caro Beniamino, che conte hanno condiviso le battagliein favore della vita.Noi, io, tentiamo di continuare,perché il cammino è una lungastrada nel deserto dove l’orizzonteè a perdita d’occhio. La vogliamo,la voglio, percorrere ancora in tuacompagnia perché il seme gettato“porti molto frutto”.Ciao

Leonida

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I DIRIGENTI AIDOVANNO A SCUOLA

CORSO DI PERFEZIONAMENTO

“La scuola interroga l’Aido: come rispon-dere?”. Questo il tema del corso per

dirigenti Aido provinciali che si è svolto saba-to 28 giugno alla Casa del Giovane, inBergamo. Dopo il saluto e la presentazione delcorso da parte del presidente regionale, cav.Leonida Pozzi, ha preso la parola la dott.ssaSara Mascarin, psicologa-pedagogista, che haillustrato “l’esperienza della Regione Veneto”.Avvalendosi di una capacità comunicativa noncomune, la dott.ssa Mascarin ha catalizzatol’attenzione dei partecipanti al corso. Ha orga-nizzato la sua relazione partendo dall’indi-spensabile conoscenza delle leggi che regolanola donazione e il trapianto di organi: la 91 del1999, la 578 del ‘93 e la 582 del ‘94. Quindi lapsicologa ha proposto un’organizzazione del-l’analisi dei temi secondo una precisa scaletta:L’organizzazione reale; La parte operativa,prassi; come/dove; Trapianti - quali?; Efficaciaterapeutica del trapianto; Aspetti religiosi;Aspetti antropologici culturali; Aspetti psico-logici - donazione/trapianto; Esperienze: a) ditrapiantati; b) di famiglie che vivono il ricordodella donazione; c) personale.Il dirigente Aido che si reca nella scuola, haproseguito la dott.ssa Mascarin, deve: 1) sape-re; 2) sapere per travasare; 3) saper travasare.Nella scuola elementare bisogna parlare disolidarietà per produrre efficacia; nella scuolamedia si deve inoltre privilegiare l’incontrocon piccoli gruppi (una classe per volta), d’ac-cordo con gli insegnanti e facendo precederel’incontro dalla diffusione di un questionario.Quindi l’incontro in ogni singola scuola deveessere condotto adattandosi alle esigenze dellascuola. Dal questionario si potranno desumerequali sono gli argomenti che interessano mag-giormente i ragazzi e questo permette di indi-rizzare l’argomento e di tener conto, nell’espo-sizione, delle aspettative dei ragazzi. In base alquestionario si può quindi preparare la scalet-ta indicativamente con tre argomenti principa-li, di cui uno sarà l’illustrazionedell’Associazione e dei suoi obiettivi. Rilevata l’opportunità di raccogliere i risultatidegli incontri in uno scritto, per creare unabanca dati di rilevante valore documentaristi-

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co, è stato spiegato che nel tema della solidarietà è sba-gliato “premiare il o i migliore/i” perché “solidarietà” èun insieme, non è il prevalere di un singolo.Nel dibattito è intervenuto il dott. Pietro Poidomaniche ha ricordato come sia necessario instaurare un rap-porto di fiducia con i ragazzi.Per le scuole superiori vale quanto detto per le medieinferiri tenendo conto della maggiore età e quindi dellamaggiore maturità dei ragazzi coinvolti; un vantaggiopotrebbe essere dato dalla presenza di più relatori e inparticolare del coordinatore locale, figura rilevante nelrapporto fra Aido e istituzioni, così come vuole la legge91/99. Un’altra figura ideale è rappresentata dall’infer-miere il quale è un importante collegamento tra il medi-co e l’ammalato.La relazione della dott.ssa Mascarin si è conclusa conuna gustosa (e istruttiva) simulazione di un confrontotra un incaricato Aido e una insegnante non convintadell’opportunità di portare il messaggio dell’Aido nellescuole.Dopo la pausa pranzo è intervenuto il prof. CristianoMartini, direttore della Neurorianimazione dell’ospeda-le A. Manzoni di Lecco, membro della Consulta nazio-nale permanente Trapianti, che ha trattato il tema:“Comunicare la scienza”.Nonostante l’arduo compito, il prof. Martini è riuscitoad essere ancora una volta (è una sua prerogativa) moltochiaro e diretto. Difficile invece fare una sintesi di quan-to detto perché tanti e molto vasti gli argomenti tocca-ti dal prof. Martini. Ci proveremo, scusandoci fin d’orasia con i lettori che con lo stesso professore per quantola sintesi ci costringerà ad ignorare.La relazione ha affrontato dapprima il tema dei “con-cetti” della comunicazione: Chi li dà? L’Aido. Cosadare? Il valore della donazione in funzione del trapian-to. Come dare? Imparando alcune tecniche di comuni-cazione. A chi? In questo caso specifico, alla scuola.Molto difficile da affrontare è il concetto della morte. Èindispensabile, in questo caso, l’apprendimento di alcu-ne tecniche di comunicazione.L’Aido deve essere capace di rappresentare un punto diriferimento per la comunità. Deve quindi adattarsi allescuole e agli studenti. Altri ambienti da consideraresono gli oratori, le biblioteche, gli ospedali (un’espe-rienza positiva è quella di Lecco che, con la dovuta deli-catezza, porta piccoli gruppi di ragazzi delle scuolesuperiori nella Neurorianimazione).Parlando ai ragazzi - ha spiegato ancora il prof. Martini- bisogna tener conto che la comunicazione verbalepura e semplice, con parole o con scritto ha un’efficaciamolto bassa (7%); è fondamentale quindi curare anche latonalità e il ritmo (38% di efficacia), mentre quando siè capaci di proporsi con l’atteggiamento giusto, con igesti e i movimenti corretti, si raggiunge un’efficaciadel 55%. Così come è importante coinvolgere i ragazzicon cui si sta parlando: farli intervenire, farli parlare,

Il rapporto con scolari e studenti 21

renderli protagonisti della scelta che si propo-ne e in qualche modo “premiarli” moralmente.Bisogna anche saper accettare le situazioni dicontrapposizione e chiedere, con calma,pazienza e tanta capacità di ascolto, le spiega-zioni delle loro motivazioni.Il prof. Martini si è successivamente moltoben addentrato nel tema della comunicazionecon i familiari del potenziale donatore. Come sipuò parlare con le persone in queste circostan-ze? Con professionalità sanitaria unita ad unprofondo senso di umanità e di rispetto per lasofferenza.In questo caso il medico, che ha difronte a sé un potenziale donatore, sa di potercontribuire a salvare la vita ad una persona cheè in lista d’attesa e ha nel trapianto l’unica pos-sibilità di salvezza. Però ha di fronte a sé ancheun gravissimo dramma umano: deve quindisapersi mettere in dialogo con i familiari, con-dividere i loro sentimenti e farli partecipi delvalore della donazione spiegando, nel contem-po, quando sia inutile il rifiuto. Simulando unasituazione reale, ha spiegato ai dirigenti Aidotornati per l’occasione sui banchi di scuola,quanto sia necessario dare ai familiari il tempoper accettare la notizia della morte. I familiari- ha ricordato il docente - vedono in realtà il figlio che non sembramorto e quindi tendono a non accettare questo concetto, anche per-ché non dà più speranze e sconvolge la vita di una famiglia intera.Da tutto ciò emerge la grande responsabilità dell’Aido nella pre-parazione dei dirigenti e nella capacità di avvalersi, nel propriooperare, di consulenti esperti.La chiusura del corso è stata affidata al presidente cav. Pozzi, cheha ringraziato i partecipanti e i relatori, rilevando come sia semprepiù evidente l’importanza del cammino di formazione intrapresocon decisione dall’Aido.

1-continua

Saper comunicare nei momenti più difficili22

In questa e nellepagine precedenti

pubblichiamo alcuneimmagini dei

lavori del corso ealtre tratte dalla

relazione del prof. Cristiano

Martini

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SEZIONI

Nello scorso mese di maggio,nella sala civica di Merate, il

presidente del Gruppo Aido diMerate, cav. Fiore Milone, unita-mente ai componenti del consi-glio direttivo, hanno premiato ivincitori del Concorso Aido perle scuole, riferito all’anno scola-stico 2002-03. Erano presenti ilsindaco dott. Dario Perego e l’as-sessore ai Servizi sociali, sig.naLorenza Bosisio.Per la Sezione provinciale diLecco sono intervenuti il cav.Vincenzo Renna, il cav.Giampietro Mariani e i presiden-

ti dei Gruppi comunali diCastenovo, Airuno, CassagoBrianza, Olgiate Molgora. Per leassociazioni di volontariato pre-senti sul territorio erano presentialcuni rappresentanti dell’Avis,mentre per le scuole superiori leprof.sse Francesca Bonifacio perl’Istituto Commerciale F.Viganò; per gli istituti compren-sivi “Beata Vergine Maria” eranopresenti la vice preside suorLetizia e la prof.ssa Roberta Pini.;per l’istituto “A. Manzoni” laprof.ssa Delia Rigato; per la scuo-la media con indirizzo vocaziona-

le “A. Volta” di Villa Perego diMerate erano presenti il direttoredon Gigi Musazzi e la prof.ssaCasati.Alla serata è stata invitata ladott.ssa Tina Grassi, direttoremedico di U.O. Reparto diAnestesia e Rianimazionedell’Ospedale S. LeopoldoMandic di Merate, la quale hatenuto una breve conferenzamedica sul tema “Donazione etrapianto”. Molto ricco e articola-to il dibattito che nel è seguito.Quindi si è proceduto alla pre-miazione.

Èstato assegnato al Gruppocomunale Aido di Monza, alla

fine del mese scorso, sotto i Porticidell’Arengario, il premio “CoronaFerrea”, più conosciuto come “ilGiovannino d’argento”. La specia-le commissione incaricata di asse-gnare la prestigiosa onorificenzacivica, riservata alle Associazione,ha deciso di premiare il GruppoAido “in considerazione dell’attivae positiva presenza del Gruppocomunale nella città di Monza”.Molto soddisfatti del riconosci-mento la presidentessa monzesesignora Enrica Colzani e il presi-dente della Sezione pluricomunaleMonza-Brianza, sig. Lucio D’Atri,con tutti i volontari, i sostenitori egli amici dell’Aido per un premio

che ripaga di tutto l’egregio lavo-ro svolto sino ad oggi.A venticinque anni dalla nascitadel gruppo cittadino monzese,uno dei più frequentati ed amatidel territorio brianzolo, moltisono stati i passi fatti per informa-

re i cittadini e diffondere la culturadella donazione degli organi e deitessuti post mortem.L’obiettivo primario è semprestato quello di incentivare le dona-zioni d’organi attraverso un per-corso che punti all’aumento della

Concorso nelle scuoleMMeerraattee

Premio «Corona Ferrea» al Gruppo AidoMMoonnzzaa -- BBrriiaannzzaa

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SEZIONI

fiducia dei cittadini nei confrontidell’intero sistema dei prelievi edei trapianti e alla maturazione delvalore della solidarietà nellacoscienza collettiva. È utile ricor-dare il grande lavoro svolto nellescuole medie superiori pubbliche eprivate del territorio, presso lafacoltà di Medicina Milano-Bicocca di Monza, nelle trentaconferenze organizzate per i citta-

dini solo nel 2002 in collaborazio-ne con l’Asl Milano 3 e i Comunidella Brianza; le manifestazioni, leiniziative ludiche e sportive orga-nizzate, con gazebo e banchetti emateriale divulgativo a favoredella donazione, per raccoglierefondi e adesioni a favoredell’Associazione e della sua mis-sione. Tutto ciò, oltre ad una numerosa

raccolta di firme, ha permesso dipremiare tutti i volontari, i soste-nitori, gli amici e soprattutto gliiscritti, le famiglie dei donatori,della Associazione italiana dona-tori organi di Monza, e conte-stualmente di tutta la Brianza.Grazie a tutti coloro che ci hannosostenuto sino ad oggi e graziesoprattutto a coloro che ci aiute-ranno nel futuro prossimo.

Sabato 7 giugno si è svolta aCaravaggio la 1° “Fiaccolata per

la vita”.La serata, organizzata in collabora-zione con altri gruppi comunaliAido della provincia di Bergamo èiniziata con la celebrazione della S.Messa nella Basilica del Santuario diCaravaggio, proseguita in seguitocon la fiaccolata.Uno striscione con la scritta:Aido=Vita apriva l’affascinante cor-teo fatto di flebili fiammelle che illu-minavano i labari dei gruppi ed ivolti di ciascun partecipante. Il tuttoal crepuscolo di una calda ma dolceserata pre-estiva e sulle note ritmatedel gruppo bandistico diCaravaggio, che precedeva il lungocorteo.Percorrendo il viale alberato delSantuario il corteo prendeva semprepiù corpo e tante altre persone, inquesta magica atmosfera, chi a piedicon i bimbi e chi in bicicletta, cihanno accompagnato fino alChiostro di S. Bernardino.Lì il coro gospel de “Gli Armonauti”ha fatto sognare il folto pubblico,facendo ascoltare le loro voci armo-niose in una miscela esplosiva dimusica nera e moderna.E’ stata una vera festa, resa ancorapiù densa di significato grazie all’in-tervento di tre famiglie che in primapersona hanno vissuto l’esperienzadella donazione d’organi. Il cav.Leonida Pozzi, presidente dellasezione Aido di Bergamo e delConsiglio regionale Aido dellaLombardia, ed il sig. Luigi Degani, il

primo trapiantato di fegato, il secon-do di cuore, con il racconto delle loroemozionanti vicende personalihanno dimostrato a tutti i presentiche si può tornare ad una vita piùche normale, anche dopo aver subitoun trapianto.La terza testimonianza riguarda lafamiglia Orsini: mamma, papà e fra-tello di una giovane ragazza, allievadel maestro del coro GabriellaMazza, deceduta sei anni fa a Romaa causa di un incidente stradale.Ora Laura ha la possibilità di conti-nuare a vivere attraverso altre per-sone proprio perché sei parti del suocorpo continuano tuttora a vivere inaltrettanti corpi di persone cheerano in lista d’attesa per un trapian-to. Questo per merito della grangenerosità dei suoi familiari che,anche in un momento d’intenso edimprovviso dolore, hanno avuto ilcoraggio e la forza di pensare allasofferenza di tutti quei pazienti inlista d’attesa per un trapianto e dar

loro una speranza in più di vita.Ora speriamo che l’evento diventi unappuntamento fisso ed itinerante peri nostri gruppi della Bergamasca,un’occasione con la quale l’Aido sistringe intorno ai familiari dei dona-tori per un momento di ricordo dichi morendo ha ridato ad altri la vita;di ringraziamento ai familiari che, inuna situazione di profondo dolore,hanno detto SI, dimostrando ungrande amore per il prossimo; dicondivisione di una scelta di vita checon il consenso alla donazione espri-me una cultura della solidarietà cheva aldilà della vita stessa. Un parti-colare ringraziamento al Rettore delSantuario don Roberto Zilioli,all’Amministrazione Comunale edalla Banca di Credito Cooperativo diCaravaggio, al Consiglio provincialeAido di Bergamo, ai gruppi Aidodella Bergamasca ed a tutte le perso-ne che in vari modi hanno contribui-to alla realizzazione della manifesta-zione.

Una bella serata con testimonianze e musicaCCaarraavvaaggggiioo