Marina id’Italia · un totale di 285.000 soldati tra italiani e te - deschi, rinforzi inclusi....

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Marinai d’Italia MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MARINAI D’ITALIA Anno LXII n. 10 • 2018 Ottobre Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma “Una volta marinaio... marinaio per sempre” Bandiera di combattimento a Nave Rizzo

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Marinaid’ItaliaMENSILE

DELL’ASSOCIAZIONENAZIONALE

MARINAI D’ITALIA

Anno LXII

n. 10 • 2018Ottobre

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento

Postale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n° 46)art. 1 comma 1 - DCB Roma

“Una volta marinaio... marinaio per sempre”

Bandiera di combattimentoa Nave Rizzo

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S tanno terminando le celebrazioni, invero in for-ma assai sommessa, della fine della PrimaGuerra Mondiale, esattamente cento anni or

sono. Si è compiuta l’Unità territoriale d’Italia: Trento,Bolzano, Trieste, l’Istria e molte isole dalmate sonotornate italiane (anche se poi queste ultime ci sarannotolte con il trattato di pace del secondo dopoguerra).Il Tricolore (nella Costituzione, chissà perché, è scrittocon la T minuscola) sventola da allora sul nostro ter-ritorio, è il primo simbolo che si vede ad ogni posto difrontiera terrestre o marittima, identifica gli edificidella pubblica amministrazione e degli enti pubblici.Ora, secondo il disposto di una legge del 1998, la no-stra Bandiera è affiancata da quella dell’Unione Euro-pea. Troppe volte, però, sono esposti drappi assoluta-mente irriconoscibili, con i colori sbiaditi, altre ridottea stracci o appese per un lembo, in perenne balia degliagenti atmosferici, dei piccioni ma sempre per l’incu-ria degli uomini (e delle donne, per parità di genere).Mi capita di osservare questo scempio sulle aste ditantissime scuole ed edifici pubblici, dove peraltro ri-mangono issate (troppe volte questo termine è un eu-femismo, sembrando più a mezz’asta o addirittura ca-late) ininterrottamente giorno e notte, d’estate e d’in-verno, offrendo uno spettacolo, almeno per me che houn vivo senso della Patria e della Nazione, che defini-rei deprimente e di rabbia. Come al solito, da noi leleggi e le disposizioni ci sono, forse anche in sovrab-bondanza, ma pochi le fanno rispettare. C’è l’articolo12 della Costituzione, c’è un codice penale che puni-sce chi pubblicamente e intenzionalmente deteriora,rende inservibile o imbratta la Bandiera nazionale, c’èla legge 5 febbraio 1998 n.22, c’è il DPR 7 aprile 2000n.121… insomma, volendo, c’è una precisa, inoppu-gnabile legislazione in merito ma chi la conosce? Ep-pure è sancito che la Bandiera non debba essere espo-sta continuativamente di giorno e di notte, che vadamostrata dall’alba al tramonto, alzata e abbassatacon solennità ed esposta solamente per il tempo in cuii pubblici edifici esercitano le loro funzioni ed attività.Nelle scuole, per esempio, nei soli giorni di lezione edi esami, quindi non di notte e non nelle vacanze. Sa-rebbe tanto difficile pensare che possano essere glistessi alunni e studenti ad alzare la bandiera dell’Isti-tuto, magari come primo atto mattinale prima di en-trare nelle aule per le lezioni, sarebbe così contrarioal contratto sindacale se un incaricato a turno, fra il

personale non docente, provvedesse ad ammainarlaprima di chiudere l’edificio ed andarsene? Si elimine-rebbe così il desolante spettacolo dell’incuria, che ladice lunga sul senso di italianità dei nostri concittadi-ni che, alla visione di quelle bandiere vilipese, non in-sorgono se non in pochi casi, peraltro inascoltati, ri-donando a tutti i cittadini, giovani ed anziani, con labellezza dello sventolio di una Bandiera decorosa,l’orgoglio della nostra Storia ed il senso di apparte-nenza. La bandiera è dovunque rispettata ed amata,al di là e al disopra del credo politico, perché quei co-lori non sono né di destra né di sinistra, sono o dovreb-bero essere il simbolo della nostra Italia. Questo sen-timento non è contrario a nessuno spirito di accoglien-za o di europeismo (avete mai visto in Francia o in Ger-mania o in Gran Bretagna una bandiera sporca o lace-ra, abbandonata e fuligginosa?). Anche recentementeho fotografato in Grecia una bandiera immacolata fuo-ri da una chiesetta ed in Turchia, sul Bosforo, a Smir-ne, ovunque, perfino sui rimorchiatori (non certo luo-ghi di esemplare asetticità), bandiere pulite e perfet-tamente inastate. Sarebbe salutare per le nuove ge-nerazioni finirla una buona volta con questi atteggia-menti, purtroppo, “all’italiana” (che senso di ango-scia nello scrivere così) prima che perdano progressi-vamente, anche attraverso la trascuratezza dei simbo-li e grazie ai cattivi maestri, la cognizione di “chi sia-mo”. Quando ho fatto notare il triste spettacolo dellebandiere assolutamente irriconoscibili ad un dirigen-te scolastico, mi sono sentito rispondere che “nonhanno fondi nel capitolo”: bene, ho comprato le ban-diere di tasca mia e le ho portate a scuola. Ma i diri-genti scolastici sanno quanto costa una Bandiera? Po-chi euro contro un effetto strabiliante ed una duratalunghissima, se opportunamente manovrata, oculata-mente mostrata e conservata. Io credo che un funzio-nario pubblico, di qualunque grado e ruolo, dovrebbeimparare le regole per l’esposizione del Tricolore, do-vrebbero far parte del suo patrimonio genetico ededucativo, dovrebbe apprenderle già in fase di concor-so come la progressione in carriera e stipendiale. Poidovrebbe risponderne. Perché non io bensì la legge,quella che “è uguale per tutti”, dice espressamenteche ogni amministrazione deve designare un respon-sabile della corretta esposizione della bandiera (cita-to DPR 7 aprile 2000 n. 121, Capo IV, art.10.1).

nnn

Editoriale del Presidente Nazionale

Tricolore... orgoglio della nostra Patria

SOCI ANMI CENTENARIIn occasione della chiusura delle celebrazioni per il centenario della fine della Grande Guerra la PresidenzaNazionale rende omaggio ai nostri Soci in assoluto più anziani. Auguri da parte di tutti i Marinai d’Italia!

ùClasse Nome e cognome Località Classe Nome e cognome Località

1909 VittorianoMAGISTRELLI Parma 1917 Guido BENEDETTI Dongo (CO)

1913 Paolo MODUGNO Roma 1917 Antonio DE PONTE Maiori (SA)

1913 Enio ROSSI Sydney 1917 Lorenzo CIAPPETTI Prato

1914 Cosimo PICCINNI Alessano (LE) 1917 Alberto TOMMASI Lazise (VR)

1915 Vittorio ZANON Trieste 1918 Wilson REALI Gallipoli (LE)

1916 Francesco D’ASTE Cicagna (GE) 1918 Brigida MAIORANO Marittima (LE)

1916 Mario CROCCO Legnago (VA) 1918 Vincenzo GIOVANNITTI Ghezzano (PI)

Monumentoad Alpini e Marinainel Comune di Minucciano (LU)presso il lago di Gramolazzo,eretto il 26 luglio 1998

Grazie a Mario Veronesisocio del Gruppo di Pavia

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1 Editoriale del Presidente Nazionale

SPECIALE - XX Raduno ANMI - SALERNO 4 La lunga rotta per Salerno Strategia, storia e quattro marinai dimenticati

10 Varo della LSSVulcano

13 Le cartoline raccontano...

14 L’ammiraglia della flotta: il CAVOUR

20 La Nave-Asilo Caracciolo

24 75° dell’affondamento della Corazzata Roma

30 Testimonianze

32 Recensioni pag. 4

pag. 24

Sommario

Avvisoai Naviganti

Dal 1° giugno 2018saranno trattate solo:

• le foto pervenute alla Pre-sidenza Nazionale inviatealla casella di posta elet-tronica della [email protected] in formato digita-le (con risoluzione ottima-le per la stampa di 300 dpie una misura di base paria 10 cm. che di massimacorrisponde al “peso” di1,2 megabyte);

• le foto in cui sia palese ilcorretto impiego della di-visa sociale (come riporta-to nel “Regolamento di at-tuazione dello Statutodell’ANMI” - ed. 2012).

In ottemperanza al GDPR(General Data ProtectionRegulation) 679/2016, entra-to in vigore a far data dal 25maggio 2018, si assicura chela ditta incaricata della distri-buzione del “Giornale deiMarinai d’Italia” (DATASPED,SRLS - Via Ragusa 13/A,00041 Albano Laziale - RM)provvede alla cancellazionedei file elettronici contenentii dati dei Soci ANMI ai quali,avendo espresso il proprioassenso a riceverlo, il perio-dico viene inviato per posta.

La cancellazione dei dativiene eseguita al terminedella fase di cellofanatura(che precede quella dellaconsegna delle copie del“Giornale” alle PP.TT.).DATASPED SRLS comunicavia email a questa PresidenzaNazionale, di volta in volta,dell’avvenuta cancellazionedei file di che trattasi.

LA REDAZIONE

DIARIO DI BORDOMarinaid’ItaliaMENSILE

DELL’ASSOCIAZIONENAZIONALE

MARINAI D’ITALIA

Anno LXII

n.10 • 2018Ottobre

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento

Postale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n° 46)

art. 1 comma 1 - DCB Roma

“Una volta marinaio... marinaio per sempre”

Bandiera di combattimentoa Nave Rizzo

MARINAI D’ITALIA

In copertinaCerimonia di consegnadella bandiera di combattimentoa Nave Rizzo(foto di L. Grazioli)

Articolo previsto per il numerodi Novembre/Dicembre

Direttore responsabileGiovanni Vignati

VicedirettoreAngelo Castiglione

RedazioneAlessandro Di Capua, Gaetano Gallinaro,Massimo Messina, Daniela Stanco,Beppe Tommasiello

Direzione, Redazione e Amministrazionec/o Caserma M.M. Grazioli LantePiazza Randaccio, 2 - 00195 RomaTel. 06.36.80.23.81/2Fax 06.36.80.20.90

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Iscrizionen. 6038Reg. Trib. Roma 28 novembre 1957

Progetto grafico e impaginazioneRoberta Melarance

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Numero copie35.220

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Milazzo.Cerimonia di consegna della bandiera di combattimentoa Nave Rizzo (foto di L. Grazioli)

Articolo previsto per il numerodi Novembre/Dicembre

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relativi derivati e assimilati sparsi nei cin-que continenti, hanno sempre cercato dinon pagare la sale besogne del “volto dellabattaglia”, tanto per usare la celebre defi-nizione usata dal grande storico ingleseJohn Keegan. Classica la loro campagnadel 1940 nell’Europa occidentale, combat-tuta fino all’ultimo francese per poi rimbar-carsi, con una certa premura, a Dunkerque(il recente film dedicato a quella vicenda èpura fiction, ossia romanzo).E così, tanto per restare nell’ambito del Se-condo conflitto mondiale (ma in Corea, Viet-nam e altrove il discorso è sempre lo stes-so), a Sidi el Barrani, il 9 dicembre 1940,28.500 tra italiani e libici, per due terzi appie-dati, affrontarono 31.000 soldati, tra inglesi eindiani, tutti tatticamente meccanizzati estrategicamente motorizzati, oltre che me-glio armati, inquadrati ed addestrati. A ElAlamein nel luglio 1942, ovvero nel momen-to più favorevole per l’Asse di tutta la guer-ra, 18.000 stremati italo-tedeschi e 200 carriarmati affrontarono 39.000 avversari dotatidi 600 carri. Nel corso di quell’ultimo, dispe-rato assalto, gli inglesi rincularono nuova-mente, come già a maggio e a giugno diquello stesso anno in Libia, ma i sudafricani(boeri) e gli australiani no. Un po’ perchéerano truppe fresche e un po’ per spocchianei confronti di quelli che erano (oramai agliocchi di tutti) solo i loro altezzosi ex padroni.Ancora a El Alamein, nell’ottobre 1942,

104.000 italo-tedeschi furono attaccati da195.000 tra inglesi e imperiali. La musica, in-fernale, non cambiò neppure in Tunisia, vi-sto che nell’aprile-maggio 1943 oltre300.000 tra britannici, imperiali, statunitensie francesi (quasi tutti, questi ultimi, inrealtà, nordafricani) lanciarono i propri ulti-mi attacchi, fino allo sfondamento finale delfronte tedesco a ovest, battendosi contro180.000 tra germanici e italiani. Stesso di-scorso in Sicilia: 490.000 angloamericani

furono, infatti, messi a terra su quell’isola,tra il luglio e l’agosto 1943, per combattereun totale di 285.000 soldati tra italiani e te-deschi, rinforzi inclusi.Rispetto ai prudenti britannici, gli statuniten-si si dimostrarono, all’inizio, più audaci. Ap-parsi in forze, nel Mediterraneo, nel novem-bre 1942 gli americani sbarcarono, infatti, at-traverso un oceano mettendo piede in Alge-ria e in Marocco compiendo imprese mira-bili, come lanci, sull’Algeria, di paracadutisti

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F orte coi deboli e debole coi forti. Que-sta è, in sintesi, la storia della strate-gia anglosassone durante la Secon-

da guerra mondiale e, più in generale, dalXIV secolo a oggi.Dotati da Madre natura dei migliori fossatidel mondo (la Manica dapprima e dueoceani poi) e, pertanto, a prova d’invasio-ne, i popoli di lingua inglese hanno semprepotuto permettersi, una volta assicurata lanecessaria superiorità navale, di giocaresul sicuro.Le grandi manovre strategiche e le brillantisoluzioni tattiche, pertanto, non solo nonappartengono al loro repertorio, ma non so-no, giustamente, gradite. Un Federico ilGrande, un Cesare, un Napoleone, un Anni-bale e persino un Hitler dei tempi migliorinon possono nascere e, soprattutto, svilup-parsi nelle loro accademie militari. Quelloche è sempre servito, per contro, è – piùbrutalmente – lo schiacciasassi.

Il costo del materiale non ha importanzaperché la potenza navale dominante di tur-no, in quanto cosiddetto pagatore globale diultima istanza, non regola mai i propri debiti,ma vince sempre e comunque, come il ban-co al casinò. Basta pensare alla velocità,pari a 36 volte il proprio Prodotto InternoLordo annuo, con cui il deficit statunitense(a oggi oltre 21.000 miliardi di dollari) correogni 12 mesi, oppure alle cifre piuttosto fan-tasiose che il Regno Unito dovrebbe pagarealla Comunità Europea, ma che in realtà nonverranno mai liquidate perché l’unico siste-ma per esigerle sarebbe quello di battere laRoyal Navy e di sbarcare in Inghilterra, im-presa, questa, storicamente fuori dalla por-tata di Francia e Germania. Con il proprio sangue, per contro, gli anglo-sassoni ci vanno molto più piano. Pervenu-ti, sia pur per una serie di circostanze ab-bastanza casuali, ad avanzate forme di de-mocrazia, i britannici e gli statunitensi, coi

SPECIALE XX Raduno Nazionale Marinai d’Italia - Salerno 28/29 settembre 2019

La lunga rotta per SalernoStrategia, storiae quattro marinai dimenticatiEnrico Cernuschi - Socio del Gruppo di Pavia

Acque di Pantelleria, 15 giugno 1942.La cisterna Kentucky e il piroscafo Burdwan,in affondamento dopo essere stati danneggiatidagli aerei tedeschi e finiti dalle navi italiane,visti dall’incrociatore Montecuccoli.Il blocco del Canale di Sicilia– Mediterranean Stoppage – protrattoper 3 anni compromise la strategia inglese

(g.c. Famiglia Tani)

Mussolini e Hitler a Klessheim nell’aprile 1943.Il capo del governo italiano premetteper una pace separata con l’Unione Sovieticache avrebbe risolto, subito dopo,il conflitto mondiale.Il cancelliere, sempre più incerto dopo Stalingrado,rimandò allora e in seguito ogni decisione a settembre,oltretutto con parecchie riserve mentali

A sinistra: Modica, 12 luglio 1943. Il generale bolognese Achille d’Havet, comandante la 206ª Divisione Costiera,si arrende, dopo due giorni e mezzo di combattimenti, al generale canadese Guy Simons.Una divisione su tre reggimenti territoriali contro il XIII e il XXX Corpo d’armata britannici, pari a 4 divisioni.Il nemico non concesse l’onore delle armi in seguito a un ordine superiore pervenuto da Londra,ma lasciò al generale D’Havet, che Montgomery volle incontrare subito dopo come era già avvenutocol maresciallo Messe in Tunisia, la pistola come omaggio personale per il valore dimostrato dalle sue truppe

A destra: 12 luglio 1943. L’incontro tra il generale d’Havet e l’allora generale Montgomery

Re Vittorio Emanuele III a colloquio a Taranto con dueufficiali tedeschi nel gennaio 1942.L’anziano Sovrano, malandato in salute sin dal 1932e vittima, nel gennaio 1943, di un nuovo ictusche gli paralizzò il volto, oltre che scavalcato e sorpresodagli avvenimenti tra il pomeriggio del 25 luglioa quello dell’8 settembre 1943, fu chiamato, alla fine,a decidere per tutti a cose fatte

Roma, 13 maggio 1943. Mussolini e il Grande Ammiraglio Karl Dönitz a Palazzo Venezia.In piedi, tra loro, il capo di Stato Maggiore generale, il generale Vittorio Ambrosio, attivo sin dal 1942 assiemeal suo braccio destro, il generale Castellano, e a pochissimi altri collaboratori, per rovesciare il dittatore

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tedesca, pur disprezzando il nazismo ed es-sendo tecnicamente convinta, sin dalla finedell’estate 1942, di aver perso nuovamenteuna guerra mondiale, odiava ancora di più,per regioni ataviche, gli italiani, rifiutando intal modo a priori una soluzione politica delconflitto che potesse permettere ai proprivicini meridionali di uscirne, sia pure assie-me a loro, a buon mercato. L’unica soluzio-ne fattibile, a questo punto, restava, per igerarchi, quella della pace separata conl’Unione Sovietica lungo i confini del 1941. Ineffetti Mussolini la sosteneva, senza suc-cesso, presso Hitler almeno dal novembre1942, se non dalla fine dell’anno preceden-te. E i giapponesi pure. Ora, conclusero ivotanti dell’ordine del giorno Grandi, datal’impossibilità militare di rovesciare la si-tuazione nel Mediterraneo, era il Re VittorioEmanuele III, in fin dei conti capo di Stato alpari del diabolico cancelliere del III Reich,

a dover tentare di far ragionare il Führer to-gliendo. in questo modo. dall’imbarazzo l’e-videntemente malato e confuso capo delgoverno italiano. Se poi Hitler avesse rifiu-tato anche questa volta di farsi “pensiona-re” (visto che la fine del conflitto conl’URSS implicava, da un lato, il termine, ilgiorno dopo, dell’intera guerra europea,ma, dall’altro, comportava anche la finedella sua dittatura personale straordinariainaugurata in seguito all’incendio del Rei-chstag nel 1933) si sarebbe pensato a unarmistizio con gli anglosassoni. Come infat-ti commentò lo stesso Mussolini alla fine diquella riunione: “Certo, all’inizio una guerrasu due fronti, poi...”.È un fatto che l’unico corretto apprezza-mento della situazione fatto in Italia nel cor-so della primavera ed estate 1943 era statoquello dello Stato Maggiore della RegiaMarina. La Forza Armata aveva identificato,in effetti, sin dal 1924 l’unico punto deboledel mostruoso leviatano rappresentatodall’impero inglese, caratterizzato comeera da un PIL (all’epoca si diceva Redditonazionale lordo) 5 volte maggiore di quelloitaliano: il suo sistema circolatorio attraver-so i proverbiali sette mari. La strozzaturadel Canale di Sicilia (detta dai britanniciMediterranean Stoppage e protratta dalmaggio 1940 al maggio 1943) avrebbe infattiesposto, per la prima volta nella storia, leisole britanniche al concreto rischio di nonessere più alimentate a sufficienza da partedella sola flotta mercantile inglese o, co-munque, al servizio di Londra. Un’analogaminaccia si era verificata nel 1917, ma aquel tempo il sequestro, in ogni angolo delpianeta, del tonnellaggio neutrale scandi-navo, olandese e di qualsiasi altra bandierain nome del diritto di angheria (right of an-gary) e l’introduzione del sistema dei con-vogli avevano permesso alla Gran Breta-gna di sopravvivere senza pagare pegnoagli Stati Uniti, desiderosi per contro di su-bentrare a Londra come piazza mondialedegli affari e nemici giurati, da decenni, delprotezionismo britannico. Tra le due guerre,però, le esigenze del sistema-paese ingle-se erano aumentate mentre il tonnellaggiomercantile disponibile sotto la Red Ensignera rimasto lo stesso del 1914. Con l’aiuto diun paio di alleati di taglia (Francia e Russiao, se non c’erano alternative, Germania eGiappone), l’Inghilterra poteva essere per-tanto dissanguata a morte grazie alla guer-ra al traffico e costretta, alla fine, a stipula-re una pace di compromesso a beneficiodell’Italia e dei suoi alleati sotto la benedi-

zione degli statunitensi, a loro volta dimo-stratisi, sin dalla fine dell’Ottocento, partnerideali per lo sviluppo della nostra economiaitaliana e per il benessere generale del BelPaese. Per il marzo 1943 quest’obiettivo,consistente in pratica nel farsi tirare la vo-lata dagli inconsapevoli alleati di turno, erastato raggiunto. Washington aveva preso,per motivi puramente navali, la guida della“strana alleanza” anglosassone e sovieticaimponendo, tempo una notte, la fine dellarapace guerra “inglese” sostituendola conquella pax americana, senz’altro molto piùbenevola verso il nostro Paese, che reggeancora oggi, nel bene e nel male, ma certonella pace, il mondo odierno. Questi fatti, nudi e crudi, furono acclarati, amaggioranza e cifre alla mano, nel corso diquello stesso marzo 1943, dal ristretto verti-ce economico e finanziario italiano (in tuttouna dozzina di persone) del tempo nel corsodi un pubblico dibattito indetto a Torino pres-so l’Unione Industriali sotto gli occhi delleautorità del regime, sedute in prima fila, si-lenziose e consce di essere ormai superate.E questo stesso stato di cose fu confermato,ancora una volta a maggioranza, dal GranConsiglio del fascismo la notte sul 25 luglio1943. Gli ammiragli Giuseppe Fioravanzo,Domenico Cavagnari e Arturo Riccardi ave-vano così avuto ragione dimostrando, oltreal coraggio fisico che li aveva contraddistintidurante la loro carriera, anche uno straordi-nario valore intellettuale in quanto percorse-ro senza esitazioni una strada che, secondola dottrina concorde degli ultimi cent’anni,era, in realtà, impossibile. Detto in altre pa-role riuscirono, nonostante la presenza deglispettri, tutti fallimentari, di chi aveva tentatoquella stessa strategia prima di loro: LuigiXIV, Luigi XV, Luigi XVI, Robespierre, Napo-leone e il Kaiser Guglielmo II, a spuntarla. Escusate se è poco.

6 Marinai d’Italia Ottobre 2018

decollati dall’Inghilterra e forzamenti a vivaforza (falliti) dei porti francesi con l’aggiuntadi cacciatorpediniere carichi di truppe cherisalirono le foci dei fiumi.Queste prodezze erano però state concepi-te sulla base del presupposto, sbagliato, inbase al quale i francesi non si sarebbero di-fesi, ma avrebbero accolto a braccia aperteles américains. Dopo quella prima, rudeesperienza i successivi tre mesi di fila di du-re sconfitte incassate, in Tunisia, a operadei tedeschi e degli italiani e culminate nelladistruzione, nel febbraio 1943, del II Corpod’armata dell’U.S. Army (10.000 prigionieri emigliaia di morti e dispersi fuggiti a Kasseri-ne in pigiama e in piccoli gruppi, abbando-nando le armi per far prima, finendo massa-crati, a scopo di rapina, e di vendetta, dagliarabi) convinsero Washington ad adottare,per il seguito, una linea oltremodo metodicae prudente del tutto analoga a quella britan-nica con un’unica eccezione: Salerno, il 9settembre 1943. Eppure quell’obiettivo erastato definito, in precedenza, alla stregua diun catino, circondato com’è da colline sutre lati e con alle spalle il mare. Quanto allasuperiorità aerea, di per sé condizione im-prescindibile della guerra anglosassone sindal 1916, questa era affidata ad appena 108monomotori inglesi del tipo Seafire imbar-cati su 5 piccole portaerei appena entrate inservizio. Velivoli di scarsa autonomia e dalcarrello troppo fragile, quei monomotorieseguirono, in tre giorni, appena 265 missio-ni perdendo 65 apparecchi, il 90% dei qualidurante l’appontaggio.In realtà lo sbarco a Salerno fu un’operazio-ne politica, non militare, imposta dai governistatunitense e britannico alle “vergini ve-stali” che formavano i rispettivi Stati Mag-giori. La storia ufficiale dell’U.S. Army parlachiaro: ancora il 24 agosto 1943, ultimo gior-no della Conferenza angloamericana diQuebec, erano previsti solo l’invasione dellaSardegna, da scatenare a ottobre a operadi un corpo d’armata statunitense cui sa-rebbe seguito, lento pede, un attacco allaCorsica affidato a un corpo d’armata fran-cese riarmato e riorganizzato dagli ameri-cani. Gli inglesi, per contro, dopo l’attesosbarco a Reggio Calabria destinato a com-pletare le operazioni intraprese a luglio inSicilia, avrebbero effettuato un’ulterioreoperazione anfibia a Crotone grazie all’ap-poggio delle 5 portaerei leggere e ausiliariericordate in precedenza e arrivate, a quelloscopo, ad Algeri pochi giorni prima. Nessu-na avanzata fino alle Puglie era prevista, in-fine, prima del 1944 mentre per il maggio di

quello stesso anno era previsto l’inizio, dallaProvenza, dell’invasione della Francia, sal-vo assestare infine il colpo decisivo in Nor-mandia. Con buona pace di quanto narratopoi, infatti, nessuno scommetteva un soldobucato sulla missione del generale Castel-lano, giunto il 15 agosto 1943, senza creden-ziali, in Spagna dapprima e in Portogallo poi,e che non aveva gran che impressionato ipropri interlocutori. Fu solo il 31 agosto, do-po l’insperato arrivo di Castellano, prove-niente da Roma, in Sicilia, che i piani peruno sbarco a Salerno (fino a quel momentosolo uno degli innumerevoli obiettivi studiatidagli angloamericani) furono ripresi in tuttafretta, e in maniera professionalmente piut-tosto scadente, elaborando uno schemaabborracciato basato su un presupposto,conviene ripeterlo, puramente politico. Se-condo la concorde opinione anglosassonee italiana, infatti, il regime politico di Hitler,definito concordemente fragile, non avreb-be retto a un nuovo shock dopo quello veri-ficatosi in occasione dell’inattesa caduta diMussolini avvenuta il 25 luglio. La notiziadell’armistizio italiano, pertanto, avrebbeprovocato, a Berlino, la medesima crisi sca-tenata, nel novembre 1918, dall’armistizioaustro-ungarico di Villa Giusti, scatenandoautomaticamente una lotta di successionetra le SS e i generali dell’esercito germanicoseguita dalla fine della guerra. In effetti que-sto stesso schema era già stato esaminatonel corso dell’ultimo Gran Consiglio del fa-scismo, sia pure arrivando alla conclusione– corretta – in base alla quale la Generalität

SPECIALE XX Raduno Nazionale Marinai d’Italia - Salerno 28/29 settembre 2019

Il Duca Pietro Acquarone, ministro della Real Casa.Il generale Paolo Puntoni, Primo aiutantedi campo del Re, scrisse parole molto durenei confronti di Acquarone culminando,l’8 settembre 1943, con un severo“In questi giorni Acquarone fa e disfadi sua testa consigliandosi soltantocon Badoglio e ignorando che alla finela responsabilità di tutto ricadrà sul Sovrano”

Il GeneraleFerranteVincenzoGonzaga

Il Comandante DomenicoBaffigo

Il Generale AlbertKesselring

Il Generale MarkWayne Clark

Il GeneraleBernard LawMontgomery

Il Generale GiuseppeCastellano

9 settembre 1943, Salerno.Il comandante del sommergibile Nichelio,tenente di vascello Claudio Celli, mentre lasciala nave comando statunitense Ancon,ammiraglia della flotta d’invasione.L’ufficiale italiano ha con sé la propria pistolaallo scopo di testimoniare, anche davanti ai fotografi,che non c’è stata resa.Il tenente della riserva inglese che lo precedecorrettamente sembra deluso.In effetti Celli aveva gettato indietro, un’ora prima,la bandiera britannica che quell’ufficiale, comandantedi una squadriglia di vedette antisom, gli aveva tiratoa bordo con l’ordine di invergarla sul tricolore.Celli aveva ricevuto piena soddisfazionedall’ammiraglio americano Kent Hewitt.Le vicende delle altre navi italiane furono identiche.

(Da Vincent P. O’Hara ed Enrico Cernuschi,Dark Navy, Nimble Books, 2009)

Catania, 5 agosto 1943. Gli inglesi rinnovano,per le cineprese, la difesa e la conquista, alla baionetta,avvenuta intorno a mezzogiorno, del Treno Armatodella Regia Marina 120/4/S, ultimo difensoredel nord della città assieme ai resti della“Difesa Porto E” (Catania) del generale Passalacquadopo che i tedeschi si erano ritirati

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Militarmente Salerno non fu un disastro pergli americani: in fin dei conti il bilancio, mo-desto, fu di 225 morti caduti nel corso di unasettimana. Ma psicologicamente si trattò diun trauma dal quale gli statunitensi si sareb-bero ripresi soltanto un anno e mezzo dopo,nella primavera 1945. Convinti, la sera dell’8settembre, quando ancora erano sulle navi,che sarebbero stato accolti a braccia aper-te, i soldati dell’U.S. Army scoprirono, lamattina dopo, appena messo piede a terra,che dovevano combattere, in realtà, controi tedeschi. Il conseguente cortocircuitomentale li scaricò completamente in manie-ra, tutto sommato, non gran che diversa ri-spetto al trauma che, in quelle stesse ore,gli italiani, soldati e civili, stavano vivendodalla Francia fino a Rodi. Ai britannici andòpeggio. Convinti, sin dalla primavera 1940,che la “loro” vera guerra fosse quella con-tro i sempre disprezzati italiani, “gli arabid’Europa”, e non contro i cugini tedeschi,oggetto casomai d’ammirazione e giudicatiimbattibili sul campo, i soldati di Sua Mae-stà si ammutinarono, sedendosi sullespiagge salernitane e belando, per prote-sta, quando ricevettero l’ordine di andare inlinea. Già in Sicilia erano caduti, in propor-zione, più ufficiali inglesi che non in qual-siasi altra campagna di quella guerra inquanto il loro esempio era ormai indispen-sabile per riuscire a portare al fuoco le lorotruppe, ormai stanche (“Battle Shy”) dopoanni di battaglie oltremare. A Salerno, però,l’esempio di pochi non bastò. Provvidero aquesto punto i tribunali militari, con 700 sol-dati presi praticamente a caso tra inglesi escozzesi, e 191 condanne. (N.d.R. Alcunireggimenti scozzesi in rientro dall’Africa fu-rono dirottatati sull’operazione Avalanchea Salerno (Cameronians/ Argyll/SouthernHighlanders/Black Watch/Seaforth/Gor-don) e 700 uomini si rifiutano di combattere.Il Gen Mc Creery ne convinse 500 ma 192 ir-riducibili reimbarcano. Furono tutti condan-nati a 20 anni e poi rimandati al fronte. Moltidisertarono.).La battaglia fu vinta, alla fine, dagli angloa-mericani grazie a tre fattori decisivi. Il primoconsistette nel pesantissimo tiro di sbarra-mento sulle spiagge eseguito, per giorni,dalle navi da guerra inglesi e americanesparando – come già era avvenuto a Gelal’11 luglio 1943 in occasione dei contrattac-chi italiani e tedeschi – senza andare troppoper il sottile. Un muro di cannonate e pa-zienza per il fuoco amico. Il secondo fattorefu il fatto, puro e semplice, che una voltache si oppongono 5 divisioni rinforzate ad

appena 2, per quanto germaniche, la vita è,comunque, bella. Il terzo fatto è, per contro,regolarmente dimenticato. Gli avvenimentisono, peraltro, chiari nella loro sequenza.Già la sera dell’8 settembre 1943 il coman-dante della 222ª Divisione Costiera schiera-ta a Salerno, l’anziano generale FerranteVincenzo Gonzaga, rifiutò di arrendersi aitedeschi e fu ucciso in combattimento, pi-stola in pugno, da costoro. I distaccamentidel settore centrale della sua divisione furo-no rapidamente disarmati dagli ex alleatigermanici, perfettamente orientati e orga-nizzati da tempo per questo compito, ma leali dei due reggimenti della 222ª, tutti formatida anziani richiamati partenopei della terri-toriale, richiesero tutta la giornata del 9 e di-versi combattimenti locali prima di esserestanati dai loro piccoli bunker, tanto che ilbollettino tedesco ne parlò coniando, perl’occasione, il termine Badoglio-truppen.Più lunga fu la resistenza della Regia Mari-na. Riuniti in una compagnia d’emergenza, imarinai (dotati di 3 caricatori per i loro fucili’91 nuovi di trinca, oltre a due bombe a ma-no a testa e a metà dei già non gran che nu-merosi fucili mitragliatori Breda 30 previstid’organico per gli equivalenti plotoni di fan-teria del Regio Esercito) combatterono aCastellammare di Stabia fino all’11 settem-bre grazie anche all’appoggio assicuratodal tiro saltuario dei cannoni da 135 mmdell’incrociatore Giulio Germanico, non an-cora completato, ma utilizzato come batte-ria galleggiante per la difesa costiera sindalla fine dell’agosto 1943. Esauriti i proietti

e le munizioni, la lotta cessò. I tedeschi, im-bestialiti, fucilarono quello stesso giorno ilcomandante, capitano di corvetta Domeni-co Baffigo, assieme ai tenenti (GN) France-sco Bottino e Ugo Molino e al marinaio Vin-cenzo De Simone. È un fatto che quellostesso giorno il maresciallo della LuftwaffeWolfram von Richthofen, assegnato al quar-tier generale del Führer, scrisse nel propriodiario “Un tenente della Marina italiana haincendiato e distrutto i depositi tedeschi dicarburante vicino a Napoli (erano, appunto,a Castellammare, n.d.a.) sigillando così, conogni probabilità, il destino di ogni soldatogermanico nell’Italia meridionale”. La crisi,in termini di benzina e gasolio, dell’armatatedesca spiegata tra il Lazio e la Calabriaera già nota, sin dai primi del settembre1943, sia agli italiani sia agli anglosassoni.Quei quattro marinai la resero definitiva. Illoro destino fu, in seguito, sottaciuto al paridelle considerazioni, di per sé banali,espresse in quest’articolo. Possiamo conti-nuare a ignorare, in omaggio alle abitudinidei nostri intellettuali (sempre provinciali einclini a limitare le proprie ricerche alle tra-duzioni, più meno corrette, delle compiaciu-te relazioni straniere redatte – beninteso – abocce ferme e con l’ausilio del manzoniano“senno di poi”), i fatti, le quantità reali e glierrori fatali di quel tempo lontano. Eventiquesti confluiti inevitabilmente, al momentodella loro puntuale scadenza, a Salerno e,da lì, in tutt’Italia. Ma quei quattro marinaino, non possono essere dimenticati.

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8 Marinai d’Italia Ottobre 2018

I generali assurti al potere dopo l’improvvi-sato arresto di Mussolini verificatosi nelpomeriggio del 25 luglio 1943, tuttavia, de-cisero di gestire in proprio il merito della fi-ne della guerra. Tutti i protagonisti politicied economici della fine del regime e deicontatti con gli angloamericani furono,pertanto, rimossi, in un modo o nell’altro,dalla scacchiera lasciando in tal modospazio soltanto a un pugno (meno di mezzadozzina di persone) di orecchianti prove-nienti dalle file dell’esercito. Si cominciòcol celebre finanziere Giuseppe Volpi, cuinon fu permesso, il 26 luglio, di recarsi inSvizzera per portare a compimento prestoe bene i contatti in essere, da quasi dueanni, con gli americani. Pochi giorni dopo,tanto per essere doppiamente sicuri, fu or-ganizzata persino una dimostrazione con-tro di lui che gli provocò, notoriamente dia-betico com’era, un collasso. Seguì, ai primidi agosto, la Principessa di Piemonte Ma-ria José, a sua volta esiliata – in pratica –in alta montagna. Quanto a Dino Grandi, ilprotagonista della notte del Gran Consigliofu spedito in Portogallo, su decisione delvecchio e sempre più isolato e scavalcatoRe Vittorio Emanuele, soltanto il 18 agosto,ma finì per giocare solo il ruolo dello spec-chietto per le allodole allo scopo d’ingan-nare i tedeschi a beneficio di Castellano.Ad altri come Ettore Muti, tornato da pocodalla Spagna, e al Maresciallo Ugo Caval-lero, fedelissimo del Re e tra i pochi adavere chiaro il quadro completo della si-tuazione, andò anche peggio.Alla fine, giocando sulle parole, gli anglo-sassoni convinsero, il 1° settembre 1943, il

generale Ambrosio, capo di Stato Maggio-re generale, e il maresciallo Badoglio inmerito all’opportunità di stipulare un armi-stizio che mettesse al riparo da un temutocolpo di mano tedesco, giudicato ormai im-minente, l’Italia centrale (il nord era già da-to per perso sin dal 6 agosto 1943), grazie auno sbarco “a portata di Roma” e all’afflus-so nella capitale di una divisione paracadu-tisti statunitense in compagnia di una bri-gata corazzata americana destinata ad af-fluire, via mare, a Ostia per poi risalire il Te-vere mediante una flottiglia di piccoli mezzida sbarco della U.S. Navy. Il 7 settembremattina, però, i decrittatori della Regia Ma-rina e, poco dopo, la ricognizione aerea,accertarono che lo sbarco angloamerica-no era diretto verso Salerno. Quanto aiparà e ai tank destroyers americani non sa-rebbero stati a piè d’opera che tre giornidopo l’afflusso dei primi contingenti, ed

erano destinati non a combattere, ma afungere da mera forza d’occupazione, inquanto tutte le parti coinvolte nelle trattati-ve armistiziali partivano dal presuppostoche i tedeschi si sarebbero ritirati in dire-zione dell’allineamento Pisa-Rimini, salvotornarsene a casa tempo poche settimanein coincidenza con la caduta di Hitler e conla successiva, rapida fine generale delleostilità in Europa. Insomma un rinnovatonovembre 1918 in copia carbone con pochidanni per tutti. Andò a finire come sappiamo. Hitler noncadde, in quanto il popolo tedesco si strin-se subito intorno a lui, non appena la radiodiede notizia dell’armistizio italiano, comenon faceva più da quasi due anni. Si trattòdi una reazione istintiva dettata dall’odiomillenario che i germanici nutrono controgli “infidi nemici del sud”, giudicati sindall’epoca del Rinascimento, se non da pri-

ma, come i maestri del tradimento perchérifiutano, sin dal Primo secolo avanti Cristo,quel “Deutscher Wein und deutscherSangsollen in der Welt behaltenihren altenschönen Klang” (vino tedesco e canto te-desco, che devono mantenere nel mondo illoro antico, bel suono) di cui parla il loro in-no nazionale.Questa reazione, d’altra parte, è del tuttonaturale in quanto dettata da millenni di og-gettive differenze culturali ed emerge anco-ra oggi, senza neanche cercare di nascon-dere questi sentimenti profondi, non appe-na qualche esponente comunitario si confi-da con un giornalista fatto della sua stessapasta.

SPECIALE XX Raduno Nazionale Marinai d’Italia - Salerno 28/29 settembre 2019

Quattro immagini di Reparti tedeschi a Salerno

(Copyright Bundesarchiv Bild)

L’incrociatore Giulio Germanico, Castellammare di Stabia, fine maggio 1943 ad allestimento sospeso

(Coll. E. Bagnasco via M. Brescia)

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donna al vertice del Dicastero e pertantoun buono auspicio per la crescita del ruo-lo femminile nel mondo del lavoro“, hadetto: “abbiamo firmato il contratto perNave Vulcano nel 2015; in tre anni siamoarrivati al varo ed il prossimo anno conse-gneremo l’Unità Navale alla Marina Mili-tare Italiana: nessun altro Cantiere almondo è in grado di fare una cosa del ge-nere. Questa mattina, a Monfalcone, ab-biamo varato la Costa Venezia, prima na-ve da crociera specificatamente proget-tata e realizzata per il mercato cinese: co-me posso non essere orgoglioso di que-sta Azienda? Facciamo navi che hannosuccesso in tutto il mondo non solo per-ché siamo bravi a realizzarle ma anchegrazie alle attente specifiche dettate dallaMarina Militare Italiana. Ed è con grandeemozione che ricordo che il Ministro dellaDifesa, Elisabetta Trenta, si è detta prontaad impegnarsi con ogni mezzo per fare ri-conoscere, alla MMI, il premio Nobel perla pace: noi siamo al suo fianco“;

• il CSMM, Amm. Valter Girardelli che hadetto che “Nave Vulcano rappresenta ladimostrazione della cura e della precisio-ne del lavoro di Fincantieri: i due tronconidella nave, costruiti in due diversi Cantie-ri, si sono saldati perfettamente. Il pro-getto è stato inserito nei programmi diOCCAR di cui la Francia ha ordinato treunità mentre il Brasile rimane, ancora,nazione osservatrice. Questa collabora-zione abbassa i costi di sviluppo. La Ma-rina Militare Italiana svolge così il ruolo diguida nell’innovazione e di promozionedel sistema Paese”;

• “Dobbiamo sostenere le sfide industria-li” – ha aggiunto il Generale di Corpo

11Marinai d’Italia Ottobre 2018

Hanno preso la parola nell’ordine: • il Rappresentante delle Maestranze, Sig.

Roberto Vignali che, dopo aver esortatol’Azienda a fare ancora di più sul frontedella prevenzione antinfortunistica al fi-ne di evitare caduti sul lavoro, ha sotto-lineato come “le navi di Fincantieri sianoben costruite ed al servizio di un’Italiache aiuta ed accoglie”.

• l’Amministratore Delegato di Fincantieri,Dott. Giuseppe Bono, dopo aver salutatoil nuovo Ministro della Difesa, “un’altra

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Varo della LSS VulcanoA.S. (r) Roberto Camerini - Delegato Regionale per la Liguria

V enerdi 22 giugno 2018, presso ilCantiere Navale del Muggiano(SP) di Fincantieri, si è tenuta la

cerimonia del Varo della Nave Ausiliariaper il Supporto Logistico (LSS) Vulcano .L’Unità, commissionata a Fincantieri nel-l’ambito del piano di rinnovamento dellaflotta della Marina Militare Italiana, è il pri-mo grande progetto della Legge Navale avedere il mare ed è la prima nave ad esse-re varata nel corso di una cerimonia not-turna. Il progetto della Nave è stato inse-rito tra i programmi OCCAR, l’Organizza-zione congiunta per la cooperazione euro-pea in materia di armamenti. Nave Vulcano sarà destinata a sostituirele unità della Classe Stromboli.

Lo Schieramento d’Onore alla cerimoniacomprendeva: • Bandiera del Raggruppamento Subac-

quei ed Incursori; • Labaro del Nastro Azzurro (Prov. della

Spezia); • Medagliere della M.M.;

• Gonfaloni della Regione Liguria, dellaProvincia e della Città della Spezia;

• 8 Vessilli di 8 Gruppi ANMI della Delega-zione Liguria ed una Rappresentanza delLeone San Marco sezione della Liguria;

• Rappresentanza di 40 Marine estere pro-venienti dal concomitante evento “Sea-future 2018” svolto all’interno dell’Arse-nale Militare Marittimo della Spezia.

Madrina al Varo la Signora Maria TeresaPiras, vedova del Tenente di Vascello Emi-lio Attramini, deceduto nell’incidente ae-reo del Monte Serra il 3 marzo del 1977. LaMadrina è stata accompagnata dal CFGiorgetti designato Comandante di NaveVulcano. Erano presenti il Ministro della Difesa, Eli-sabetta Trenta, il CSMD, Generale di Corpod’Armata Claudio Graziano ed il CSMM,Ammiraglio di Squadra Valter Girardelli, ol-tre a numerose Autorità civili, militari e re-ligiose. A fare gli onori di casa il Presidentedi Fincantieri Giampiero Massolo e l’Ammi-raglio Delegato Giuseppe Bono.

Manifestazioni e Cerimonie

Il Capo di StatoMaggiore

della MarinaAmmiragliodi Squadra

Valter Girardellipronuncia

il suo discorso

L’unitàsul pontonegalleggiante

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spettacolo cinematografico! La cosa a dire ilvero non mi giunse sgradita; e poi era una no-vità, e le novità interessano sempre. Pertantola rappresentazione non accennava a princi-piare, ed il rumoroso pubblico minacciava ditrarre cattivo partito della cinematografia, fa-cendosi infliggere qualche eterna mezz’ora dipiantone, il che non sarebbe stato il più degnoepilogo al supposto divertimento che stava-mo per godere. Ho detto supposto, perché, ahimè!, con tuttala buona volontà, non potemmo mutare la no-stra supposizione in certezza. Infatti, sia chel’apparecchio da lungo tempo non usato agis-se male, sia che l’operatore elettricista quellasera non fosse del migliore umore, fatto stache quel primo spettacolo ebbe un esito così,così ... La prima pellicola, che per pudore nonportava titolo, doveva ai suoi bei tempi rap-presentare certe vedute di Algeri o di Tunisiprobabilmente pittoresche, ma quella seranon apparve sulla tela che una confusione diombre, in mezzo alle quali si poteva qual-che rara volta distinguere una pal-ma o la bianca figura di un arabo. L’argomento delle proiezioniseguenti: “Guerra italo-tur-ca” in tutte le salse, dallapartenza delle truppe da Na-poli alla cucina da campo,dalle esercitazioni degliascari, all’avanzata di Ain-Za-ra, rendeva opprimente il doverassistere a quelle scene già vistepiù volte in altri cinematografi un po-co migliori. Dopo il quinto numero, noi be-nedicemmo e Tripoli, e Bengasi, e la Libia etutto il continente africano, quando il titolo delsesto numero venne a sollevare un poco glianimi: “Benvenuto Cellini.” Siamo al sac-

cheggio di Roma, ed il protagonista fa prodigidi valore: eccolo col suo archibugio puntatofra i merli di un torrione e mentre i nemici ten-tano di scalare le mura egli non cessa di sca-ricare su di essi una gragnuola di piombo: lascena è quanto mai impressionante, e vienfatto di chiedersi quale di quelle archibugiatefreddò il Conestabile di Borbone. Quando non si richiede più nulla da lui, il no-stro eroe se ne torna alla sua Firenze, ma,ahimè!, una brutta notizia lo attende: la donnadel suo cuore non gli è rimasta fedele durantela sua assenza. Sdegnato, egli si avvolge nelsuo mantello, e, col pugnale stretto nella de-stra, segue l’odiato rivale che si reca ad unappuntamento. La luna illumina la tragica scena... ecco: la viaè deserta... il momento propizio è giunto... l’a-mante tradito alza la mano omicida e... trac! Lapellicola si spezzò, e col gesto rimasto per ariadel povero Benvenuto terminò il primo spetta-colo cinematografico dell’Accademia.”

Il racconto è dell’allievo Carlo Anto-nio Candelone (nella foto) che,

durante la campagna estivadella seconda classe sulla R.Nave Flavio Gioia, morirà il 23agosto 1913 cadendo dall’al-berata battendo il capo suun’imbarcazione. Aveva 16

anni. Potrebbe essere ritratto nella

foto in alto a sinistra scattata pro-prio durante la campagna del Flavio

Gioia del 1913, che porta come didascalia:Campo 1913 - Gimkana, in navigazione: i con-correnti alla “corsa al bugliolo” Notare la giovane età degli allievi!

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Testimonianze

13Marinai d’Italia Ottobre 2018

La benedizione dell’unità, posizionata inun bacino di carenaggio galleggiante, èstata impartita da Monsignore Enrico Nuti,Vicario Generale del Vescovo della Speziaaccompagnato dal Cappellano Militaredella Guardia di Finanza per la Liguria DonFabio Pagnin. È seguita la lettura della“Preghiera del Marinaio”. Su invito del Direttore del Cantiere, Ing. Lu-ca Maggiolo, la Madrina ha, quindi, taglia-to Il “cavetto”, sbloccando la tradizionale“bottiglia” che si è infranta sulla proradell’Unità. È quindi stata eseguita l’opera-zione di Varo consistita in una immersionedel bacino appena sufficiente a far lambi-re, dall’acqua, le taccate di sostegno dinave Vulcano.AI termine di questa operazione, sonostati proiettati, sulla prora di nave Vulcano,

i colori della Bandiera Nazionale rendendol’atmosfera particolarmente suggestiva.La Nave sarà consegnata alla Marina Mili-tare nel corso del 2019.

Presenti alla cerimonia per l’AssociazioneNazionale Marinai d’Italia: • il Delegato Regionale per la Liguria; • Rappresentanze con Vessillo dei se-

guenti Gruppi della Delegazione Liguria:Genova, La Spezia, Lerici, Rapallo, Sar-zana, Savona, Sestri Levante e Varigna-no/lncursori nonché una rappresentan-za del Gruppo Leone San Marco sezionedella Liguria.

Nave Vulcano è un’Unità di supporto logi-stico alla flotta dotata, tra le altre cose, di capacità ospedaliera e sanitaria graziealla presenza di un ospedale completa-mente attrezzato. Il troncone di proradell’Unità è stato varato il 10 aprile del2017 nello Stabilimento Fincantieri di Ca-stellammare di Stabia. I due tronconi pop-pieri sono stati costruiti nello StabilimentoFincantieri di Riva Trigoso.La nave che, come già detto è destinata asostituire le unità della classe Stromboli,è lunga 193 metri ed ha un dislocamentodi 27.200 tonnellate. L’altissimo livello diinnovazione, la rende estremamente fles-sibile ed idonea al doppio profilo d’impie-go (c.d. “dual use”) quello tipicamente mi-litare e quello a favore della collettività.È da sottolineare, inoltre, il basso impattoambientale che ottiene attraverso sistemidi propulsione ausiliari a bassa emissioneinquinante.

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12 Marinai d’Italia Ottobre 2018

Le cartolineraccontano...Roberto Liberi A.I.C. (r) e Socio del Gruppo di Livorno

Manifestazioni e Cerimonie

Appendice all’articolo del numero di Luglio 2018

N el numero di luglio 2018 abbiamo vi-sto come la Sala di ginnastica escherma dell’ Accademia fosse un

tempo utilizzata anche come cinematografo.Ho trovato in uno degli ultimi mercatini questoracconto che un allievo nel 1912 manda a ca-sa descrivendo “la prima volta” del cinema-tografo in Accademia:

“Circa due mesi or sono, una sera di Sabato,quando la ricreazione concessa dopo la cenaera da poco incominciata, echeggiarono lenote vivaci del segnale di assemblea. La cosainsolita ci fece rimanere un istante perplessi,inconsciamente esitanti ad eseguire l’ordine:ma non vi era tempo da perdere, e corremmoa porci in riga, invasi da quel senso indefinitodi ansia e di curiosità che si prova trovandosidinanzi ad una porta chiusa, al di là della qua-le si ignora ciò che vi sia. L’“attenti’’ dato dall’allievo brigadiere, troncòun bisbiglio sommesso di domande e di sup-posizioni che si incrociavano tra le file: “perdue, fianco sinist, marsch!”. L’ordine chiaro epreciso non lasciava dubbio: “per due, fiancosinist” dunque dalla parte opposta a quelladove si apre lo scalone che conduce ai dor-mitori: e percorremmo il corridoio in tutta lasua lunghezza, finché fu dato l’ordine di rom-pere le righe dinanzi alla sala di ginnastica.Tra due colonne del vasto locale era stesauna candida tela, e davanti ad essa erano di-sposte varie file di panche, in una parola:

d’Armata Claudio Graziano, CSMD – maanche far fronte ad esigenze operativesempre più complesse. Con Nave Vulca-no centriamo entrambi questi obbiettivi“;

• il Ministro della Difesa, Elisabetta Trentaha detto che: “siamo di fronte ad un altrogioiello della cantieristica italiana, cherappresenta un ulteriore passo avantinella modernizzazione delle nostre lineeoperative, perché oggi, più che mai, ab-biamo bisogno di mari ben presidiati. Unfatto che ha ricadute su un sistema indu-striale che dimostra capacità tecnicheche dobbiamo proteggere e valorizzareper rimanere al tavolo dei Grandi. NaveVulcano è simbolo di innovazione e svi-luppo tecnologico e l’Italia deve diventa-re, in questo, modello per l’Europa e peril Mondo“.

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tipo Dreadnought, praticamente identicaalle navi della stessa classe “G. Cesare” e“Leonardo da Vinci”, entrate in servizionell’esercizio precedente.Il suo armamento principale consiste in 13cannoni da 305/46 ripartiti in 5 impianticoassiali, 3 dei quali trini e gli altri 2 binati.L’armamento secondario comprende 18cannoni da 120/50 in batteria e 14 da 76/50in posizioni volanti sulla coperta e sulle so-prastrutture.

L’armamento guerresco è completato da 3tubi di lancio per siluri da 450, dei quali duelaterali a prora e uno centrale all’estremapoppa.La protezione è costituita da una estesacorazzatura dei fianchi e dei ridotti, da ri-vestimenti protettivi sui ponti, e da paratiespeciali contro gli scoppi subacquei, oltreche dalla suddivisione dello scafo in nu-merosissimi compartimenti stagni.L’apparato motore è a turbine Parsons suquattro assi, della potenza di oltre 30.000cav., capace d’imprimere alla nave unavelocità di circa 22 nodi.”(1)Progettato dal tenente generale del GenioNavale Eduardo Masdea, il Cavour fu co-struito nel Regio Arsenale di La Spezia.L’ordine di costruzione era stato dato il 31luglio del 1908, ma fra i lavori preparatori,la provvista del metallo e delle lamiere, lacostruzione iniziò veramente solo nel di-

cembre del 1909. “L’impostamento sulloscalo ebbe luogo il 10 agosto 1910, ed il va-ro un anno dopo, impiegandosi così nellacostruzione dello scafo da 4 a 3 mesi menodel tempo impiegato dall’industria privatanell’analogo lavoro delle navi dello stessotipo “G. Cesare” e “Leonardo da Vinci.”(2)L’anticipo venne perso durante l’allesti-mento, rallentato dalla Guerra di Libia, cheassorbì la maggior parte della manodope-ra arsenalizia nella manutenzione delleunità impegnate in Mediterraneo e MarRosso. Poi ci si mise l’industria privata – laVickers Terni, le Acciaierie Milanesi, la Si-derurgica di Savona, la Steel Company diGlasgow – consegnando in ritardo canno-ni e corazze e obbligando a far slittare tuttii lavori dipendenti dalla messa in operadegli uni e delle altre. Intanto era scoppiata la Guerra Europea,rapidamente evolutasi in Guerra Mondia-le. Nel luglio del 1914 il Governo del Reaveva avvertito i Tedeschi che l’Inghilterranon stava bluffando; poi, scoppiate le osti-lità, era rimasto neutrale per vedere chesarebbe successo. Come scrisse poi Salandra nelle sue me-morie, fin da agosto del ’14 apparve chiaroche l’Italia non poteva restare a lungo fuoridal conflitto. Se i Tedeschi avessero preso

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Grande Guerra

A mmiraglia della Marina Militare, nel2017 la sua nave più grande, il Ca-vour, portaerei da circa 30.000 ton-

nellate. Ammiraglia della Regia Marina,nel 1917 la sua nave più grande, il Cavour,corazzata da 32.000 tonnellate. È una coincidenza? Forse sì, perché perl’attuale Cavourerano stati proposti vari no-mi; ma, forse, chi ha scelto ha ricordato chela portaerei sarebbe stata l’ammiraglia del-la flotta nel centenario della Grande Guer-ra; e allora chissà? La forza della cultura!

La comparazione fra le due navi la dicelunga sull’evoluzione della tecnologia, del-la strategia d’impiego e, di conseguenza,dei mezzi. Il Cavour del 2017 è una portaerei con di-slocamento di 30.000 tonnellate, lunghezzadi 244 metri, larghezza di 51 fuori tutto, dicui solo 29,9 al galleggiamento, pescaggiodi metri 7,5, velocità massima di 29 nodi,autonomia di 16.000 miglia a 16 nodi, per-sonale imbarcato 1210.Il Cavour 1917 era una corazzata con dislo-camento di 32.000 tonnellate, lunghezza di

176,09 metri, larghezza di 28, pe-scaggio di metri 9,4, velocitàmassima di 22,2 nodi, autono-

mia di 4.800 miglia a 10 nodi, per-sonale imbarcato 1.000. Ebbe una

vita lunga, fu rimodernata, partecipò a dueguerre mondiali e vale la pena di raccon-tare qualcosa. Recita la parte “Generalità” della riservatarelazione Sull’andamento dei servizi dellaDirezione generale delle Costruzioni nava-li, Anno X, Esercizio 1914-1915: “La naveda battaglia di 1ª classe “Conte di Cavour”,dal dislocamento di circa 32.000 tonn. è del

L’ammiraglia della flotta:il CAVOURCiro Paoletti - Storico

Note

(1) CARPI, A., Sull’andamento dei servizi della Direzio-ne generale delle Costruzioni navali – relazionedel Direttore generale delle Costruzioni navali aS.E. il ministro della Marina – Anno X – Esercizio1914-1915 - Riservato, Roma, Officina PoligraficaItaliana, 1917, pag. 164.

(2) Idem, pag. 165.

Si issa per la prima volta la bandiera di combattimento sul Cavouril 6 aprile 1915

L’ammiraglio Bertole Vialesul Cavour il 6 aprile 1915

Alzabandierasul Cavour

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dubbio sui risultati di queste riguardo alconsumo del combustibile, mentre rima-neva del maggiore interesse sperimentareil regolare funzionamento dell’apparatomotore nelle andature di massima potenzae di massima resistenza.Inoltre nello svolgimento della prova a tut-ta forza si contenne di proposito lo svilup-po di potenza entro i limiti a suo tempo rag-giunti dalle navi gemelle”(3) le quali, pro-gettate per 24.000 cavalli, alle prove neavevano sviluppati ben 30.000.L’allestimento fu ultimato in marzo e la na-ve andò al primo armamento il 1° aprile1915, ricevendo la bandiera di guerra il 6“in uno splendido pomeriggio”. La cerimo-nia alla Spezia fu grandiosa e venne am-piamente riportata dalla stampa quotidia-na e periodica. Sulla nave era stato allestito un piccolo al-tare per la cerimonia religiosa, perché ilRegno, pur non avendo alcun concordato,pur mancando di cappellani militari e puressendo il ladro che aveva rubato Roma alPapa, era comunque cattolico. Vicino all’altare stava il cofano della ban-diera. Era stata offerta da un comitato ap-positamente formatosi a Torino e al disar-mo, dopo la Seconda Guerra Mondiale,sarebbe stata deposta nel Sacrario dellebandiere della Marina nell’Altare della Pa-tria a Roma col suo cofano. Quest’ultimo,rettangolare, di bronzo, rivestito interna-mente di cuoio con filettature in oro, eraopera dello scultore torinese conte Anni-bale Galateri di Genola. Sul lato anterioreun medaglione col ritratto di Cavour, sulposteriore un bassorilievo rappresentantesimbolicamente il congresso di Parigi del1856, sui fianchi gli stemmi del Regno edella famiglia Benso di Cavour, alla base lascritta “Aequam memento rebus in arduisserbare mentem – Invia virtuti nulla est via– Vincet Amor Patriae – Dei fortioribus ad-sunt ”, cioè “Ricordati di serbare menteobbiettiva nelle difficoltà – Al valore nes-suna strada è preclusa – L’amor di Patriavince – Gli Dei assistono i più forti.” “Alle 15 precise, salutati dalle salve di ar-tiglieria, giunsero in lancia a vapore, ac-compagnati dal ministro della marina am-miraglio Viale, il duca e la Duchessa di Ge-nova, madrina al battesimo della bandiera.Ricevuti gli ordini, il vescovo di Sarzanamons. Carli si recò all’altare, sul quale la

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subito Parigi, la guerra sarebbe finita infretta e si sarebbe potuta mantenere laneutralità. In caso contrario si doveva en-trare in guerra e, per tanti motivi, da quellipatriottici a quelli logistici, dalla parte del-l’Intesa. La Battaglia della Marna sciolse ogni dub-bio tranne uno. i Tedeschi non avevanovinto, non sarebbero entrati a Parigi e laguerra sarebbe durata a lungo. Occorrevaunirsi all’Intesa e partecipare. Il dubbioera: da quando?La data fu determinata dal tempo neces-sario alla preparazione dell’Esercito. Que-sta risultò più complessa di qualsiasi pianoesistente, perché le dimensioni delle ar-mate belligeranti non solo avevano supe-rato qualsiasi previsione degli anni di pa-ce, ma aumentavano di mese in mese. Pa-radossalmente la decisione fu subordinataalle mantelle invernali del Regio Esercito.Salandra disse a Cadorna che la produzio-ne di mantelle invernali avrebbe ritardatoquella delle uniformi. Si poteva evitarla en-trando in guerra a primavera inoltrata. Ca-dorna, non sapendo che nel gennaio del’15 l’esercito austriaco era ridotto al lumi-cino, ma sapendo cosa mancava ancora aquello italiano, rispose che entrare inguerra d’inverno e con la neve avrebbecomplicato le cose e confermò che la pri-mavera andava bene.Questo diede un minimo di respiro a molti,compresi gli Arsenali. In quest’atmosferadi guerra in preparazione e di rapidi allesti-menti di armi, mezzi e materiali, il 15 gen-naio del ’15 il Cavour fece la sua prima pro-va di collaudo nel Mar Ligure, tra La Spe-zia, Portofino e Punta Chiappa. Era quelladi massima potenza, della durata ininter-rotta di sei ore, con tutte le caldaie in fun-zione, per accertare che lo sviluppo di po-tenza non fosse inferiore a 24.000 cavalli-

asse, consumando combustibile per nonpiù di 0,9 kg carbone-equivalente per ca-vallo-asse-ora di potenza sviluppata. Sullatratta Portofino – Punta Chiappa, misuratadalla Marina in metri 6.035,1 – e si prega dinotare il “virgola 1” – il Cavour con 1.309,5tonnellate in meno rispetto al carico nor-male, registrò una velocità massima di22,2 nodi, contro una contrattuale previstadi 22, adoperando un misto di nafta rume-na e carbone gallese “Ocean Merthyr”(incidentalmente lo stesso adoperato perle prove del Titanic).Il 22 e il 23 gennaio si effettuò la prova di 24ore, divisa in 18 all’andatura di massimaresistenza, per accertare che lo sviluppodi potenza non fosse inferiore a 16.000 ca-valli-asse, consumando combustibile pernon più di 0,9 kg carbone-equivalente percavallo-asse-ora di potenza sviluppata, enelle 6 ore seguenti per accertare chel’apparato motore fosse capace di soppor-tare bene le variazioni di velocità comprese

fra zero e la massima potenza, prevedibiliin combattimento. A queste doveva seguire la prova di mas-simo raggio d’azione, di 10 ore, per verifi-care che velocità la nave tenesse con unapotenza di 3.000 cavalli-asse e che il con-sumo non eccedesse i 1.200 kg per caval-lo-asse-ora. Infine andavano esperite leprove complementari per verificare la po-tenza delle turbine nella marcia indietro,che doveva essere non inferiore a 14.000cavalli-asse, e quelle della potenza evapo-ratoria delle caldaie a carbone. In realtànon vennero eseguite. La relazione del Ge-nio Navale lo spiegò sia con la fretta diconcludere – la guerra incombeva, manon c’era bisogno di dirlo – sia col fattoche “essendo l’apparato motore di questanave una riproduzione di quelli delle navigemelle “Leonardo di Vinci” e “Giulio Ce-sare” di cui erano state precedentementeeseguite, con esito soddisfacente, tutte leprove contrattuali, non poteva nascere

Note

(3) Idem, pag. 206.

Compagnia di sbarcodel Cavour

Cannonieri dei pezzi minorial posto di combattimento

Caricamentocarbone in caldaiasul Cavour

Interno dellacamera di lanciodei siluri

Le turbo dinamodel Cavour

Grande Guerra

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il timone agli argani e verricelli, più i distil-latori, le cucine, le latrine, i bagni, i carnie-ri, l’impianto frigorifero, i mobili, gli arreda-menti, le scale, gli osteriggi e le tappezze-rie aggiungeva 958,656 tonnellate. La corazzatura, comprendeva quattro cor-si di corazze a murata per le traverse tra iponti, i ridotti circolari degli impianti da305, le torri di comando e quelle per la di-rezione del tiro ed i tubi di trasmissione de-gli ordini e andava – come protezione ver-ticale – da un massimo di 280 millimetri dispessore – nella parte cilindrica della tor-re prodiera di comando – a un minimo di 80in alcuni punti della parte prodiera. Inclusele chiavarde e i cuscini e sostegni in legno,mentre come protezione orizzontale anda-va da 12 a 40 millimetri. Da sola, la coraz-zatura pesava un buon quarto di tutta lanave: 5.173,142 tonnellate.

Un quinto, invece, pesavano le artiglierie:4.370,311 tonnellate, ripartite in 3.381,688tonnellate – 3.129,208 di cannoni di grossocalibro, 205,316 di cannoni di medi calibro,47,344 di cannoni di piccolo calibro, mitra-gliere e armi portatili – e 855,11 tonnellatedi munizioni di ogni genere, più altre176,813 tonnellate di “sistemazioni diversenei depositi.” Il munizionamento era con-servato in tre depositi principali, a prora, alcentro e a poppa. Il primo era diviso verti-calmente in due da una paratia stagna; laparte anteriore serviva l’impianto trinatoprodiero, la posteriore quello binato nellatorre superiore. Ogni deposito contenevamunizionamento da 305, 120 e 76. Per i 305

le cariche erano conservate al piano su-periore, che era quello del loro carica-mento, mentre i proiettili erano in quello in-feriore per la stessa ragione. Il rifornimen-to dei pezzi da 120 era a elevatori alterna-tivi elettrici, quello dei 76 invece con ele-vatori a revolver. Elettrico era pure il bran-deggio dei 305, ma solo il brandeggio e deisoli 305, perché il loro movimento eraidraulico, a pompe di vapore, mentre mo-vimento e brandeggio dei 120 e dei 76 era-no a mano. La armi subacquee giocavano per sole452,312 tonnellate, tutto incluso.L’armamento marinaresco pesava 498,192tonnellate e comprendeva 76,341 tonnel-late d’alberatura, 9,425 di tende e vele,116,404 di catene, ancore ed ormeggi, 96di imbarcazioni, torpediniere e loro attrez-zi, 3,818 di fanali, chiesuole portavoce e

“oggetti minuti d’armamento”, finendocon 196,204 tonnellate di dotazioni fisse edi consumo dei capi carico, comprensivedi olio e stoppa. Le ancore erano tre, tuttesenza ceppo, ognuna di 8 tonnellate, duedi posta del tipo “Hall” e una di speranza,tipo “Torino”, in esperimento; erano mos-se da due argani a salpare elettrici da 180HP l’uno da 340 giri al minuto, rientravanoin tre cubie – due a dritta e una a sinistradella nave – ed erano guarnite di 11 lun-ghezze di catene del calibro di 70 millime-tri. Quanto alle imbarcazioni, ai “pali-schermi”, il Cavour aveva due sistemazio-ni: “ordinaria in tempo di pace” e “di com-battimento in tempo di guerra”. La prima

prevedeva – nella nomenclatura ufficialedel tempo – due barche a vela da 13 metricon motore a benzina, una da 10 metri, seibarche a vapore da 12,25 metri, una barcaa remi da 9 metri da corsa, 2 barche di sal-vataggio da metri 8,60, una jole da 6 metrie due battelli da 4,50 metri. L’assetto diguerra le riduceva a una sola barca a velada 13 metri con motore a benzina, una so-la barca a vapore da 12,25 metri,e due lan-ce di salvataggio da 8,60.L’apparato motore, compresi i pezzi di ri-cambio, le scale e i pagliuoli, ne aggiunge-va altre 1712,84, includendovi però 144 ton-nellate d’acqua nelle caldaie e nei con-densatori. Era stato stato costruito dai Fra-telli Orlando di Livorno, adoperando turbi-ne dell’Ansaldo e caldaie della Odero diTerni e qui era l’unica vera differenza conle altre navi della classe, perché il Cavouraveva 20 caldaie tipo Blechynden – 8 anafta e 12 a combustione mista – invecedelle 24 Babcock di Cesare e Leonardo. Il combustibile doveva pesare 1950 tonnel-late precise, non un chilo più, non un chilomeno e cioè da una scorta ordinaria di 580a un massimo di 1300 tonnellate di carbo-ne, da stivare in 52 carbonaie – 24 di servi-zio, 16 di riserva superiori e 12 di riserva in-feriori – e da una dotazione normale di naf-ta di 340 tonnellate, aumentabili a 977,900,contenute in 30 cellule del doppio fondo ein due casse di servizio.L’altro apparato motore e il suo combusti-bile, cioè l’equipaggio e i viveri erano cal-colati in 118,00 tonnellate di uomini e lorocorredo e 256 tonnellate di viveri, acqua,casse e relativi recipienti, per un totale di374 tonnellate. Infine, vale la pena di ripeterlo, c’erano 140tonnellate di acqua di riserva per le cal-daie, 60 di acqua e liquidi vari nelle tubola-ture a 110 d’acqua nei doppi fondi, per untotale di 310 tonnellate d’acqua.Assegnata a Taranto, la corazzata divennela nave di bandiera del Duca degli Abruzzie dunque l’ammiraglia della flotta, ma lasua vita in guerra sarebbe stata monotona,praticamente non si mosse mai. In 41 mesidi conflitto avrebbe fatto 966 ore di moto inesercitazioni e solo 40 in tre azioni di guer-ra. Poi ci sarebbero stati Corfù, il disarmo,l’ammodernamento e l’altra guerra, maquesta è un’altra storia. Qui ciò che impor-ta è che, a cent’anni dalla Grande Guerra,l’ammiraglia è di nuovo il Cavour.La tradizione della Marina è anche questo.

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bandiera era stata spiegata. Il vescovo eraassistito dal suo vicario generale mons.Raganti e dall’abate barone d’Isengard; labreve cerimonia fu compiuta al suono diuna sacra melodia eseguita dalla musicadella R. Marina. Poi la baronessa OccellaTrincheri del comitato torinese, lesse bre-ve vibrante discorso.”(4) In realtà il discorso forse fu vibrante, matanto breve no, perché apertosi con la fra-se: “Nel nome dell’uomo per il quale que-sta nave ha onore e augurio, noi vi rechia-mo l’omaggio della sua nativa Torino”, rie-vocò la figura dello statista, prima di ter-minare con parole certo sincere, ma am-mantate da una retorica assai pesante:“Sacra alla nuova aurora, la bandiera vidarà la speranza e la fede nel fulgente av-venire della patria grande. Per la pace de-gli avi non indarno vissuti, per il lavoro delpopolo onde esulta nell’orbe il genio lati-no, per la gioia della vostra casa sospiratanei vesperi, per la vostra donna orantenell’ansia dell’attesa, per i figli che si ono-rano della virtù paterna, per l’animo no-stro che è con voi e per voi, questa ban-diera fate rispettata e temuta in quantimari ha il mondo: ma canti essa a gloriadall’alto di queste antenne o ripeta collento ritmo dell’onda la magnifica storiadei fast marinai, o sussurri le gesta deimagnanimi padri, alla sua voce dolce co-me la carezza marittima il cuore rispondasempre “Italia! Italia! Italia!.”(5) I vivi ap-plausi di prammatica quanto convinti sa-lutarono questa chiusa.Parlarono poi il sessantatreenne senatoreCesare Ferrero marchese di Cambiano,

che aveva dedicato molte delle sue ener-gie alla previdenza sociale ed era un fer-vente interventista. Seguì un’allocuzionedell’ammiraglio Viale e, infine, il ringrazia-mento del comandante della nave, capita-no di vascello Solari, che, “accettando inconsegna il vessillo, che sventolerà quan-do occorra alto e temuto, auspicando aigloriosi destini della Patria, ringraziò i do-natori a nome dell’equipaggio e chiuse coltriplice grido di “Viva il Re!Ad un cenno del comandante, due guar-diamarina invergarono la bandiera alla sa-gola che pendeva dall’alto e la fecero sali-re al picco. Scoppiò un applauso freneti-co, commisto a grida di “Viva l’Italia! Vivail Re!”; il Cavour e tutte le navi eseguironouna salva di 21 colpiDalla folla delle imbarcazioni che stavanoall’intorno salirono grida festose. Le ban-diere salutarono, le sirene fischiavano. Fuun momento di viva commozione. A tutti ipresenti venne donata una medaglia ricor-do, accompagnata, per le signore, da ungrazioso mazzolino di fiori.”(6)La baronessa Occella Trinchieri donò infi-ne al comandante una pergamena minia-ta “di squisita fattura”, contenente il testodel suo discorso e in cima alla quale cam-peggiva il motto del Cavour “A nessunosecondo”.Era una splendida nave. Con le altre duedella sua classe era la meglio armata delmondo, perché aveva 13 pezzi da 305,mentre le più potenti corazzate britanni-che, francesi o americane non ne aveva-no più di 12. Vale allora la pena di vedernele caratteristiche più da vicino, senza

però entrare troppo nei dettagli, se no ser-virebbero decine di pagine.La lunghezza massima estrema del Ca-vour era di 176,090 metri, che diventavano175,500 al galleggiamento e 168,960 fra leperpendicolari. La larghezza massimafuori fasciame era di 28,028 metri, quellafuori ossatura, cioè senza la corazza, di 28metri precisi. Il dislocamento fuori fasciame, o di proget-to, era di 21.546,887 tonnellate, la superfi-cie di galleggiamento era di 3.270,936 metriquadri, l’altezza metacentrica trasversalesul centro di carena era di 7,106 metri,quella longitudinale sul centro di carena233,080.Al varo, il peso della nave era stato di7.100,00 tonnellate, che ne avevano spo-state 7.212,00 d’acqua, ripartite in 6.398,320di peso dello scafo netto e 813,698 di pesia bordo estranei allo scafo.Ad allestimento compiuto, alle prove del 7aprile 1915 in assetto d’armamento e a pie-no carico, con 1950 tonnellate di combu-stibile, 140 d’acqua di riserva per le cal-daie nel triplo fondo, 178 d’acqua potabilee di lavanda nella casse e 110 d’acqua neldoppio fondo, la nave pescava 9,30 metri aprora e 9,40 a poppa, con una media di 9,35e un dislocamento di 24.250 tonnellate. Limitando il carico di combustibile e ac-qua alla dotazione normale, pari a 920 ton-nellate del primo e 150 della seconda, fraacqua di riserva per caldaie, potabile e dilavanda, coll’ovvia quanto tacita prece-denza a quella di caldaia, il dislocamentodiminuiva a 22.922 tonnellate e il pescag-gio a 8,95 metri. A pieno carico però il peso totale era di24.250,259 tonnellate, ripartite secondo ilseguente esponente di carico. Lo scafo era in acciaio ad elevata resi-stenza, escluse le parti soggette a forti vi-brazioni o dove si era lavorato molto a cal-do. Completo dei suoi accessori fissi, co-me fasciami di legno, ponti, riempimenti di-versi, fodere di legno, paratie e divisioni in-terne, cemento e pittura, pesava 8.450,798tonnellate. L’arredamento dello scafo, comprensivodei meccanismi ausiliari, dalle pompe alletubolature più diverse, dai macchinari per

Note

(4) “La bandiera di combattimento alla dreadnought“Conte di Cavour”, su “L’illustrazione Italiana”,anno XLII, n. 16, 18 aprile 1915, pag. 316.

(5) Ibidem. (6) Ibidem.

Un pezzoantiaereo

Le torri prodieredel Cavour

Le corazzate Cavour,Doria, Cesare e Duilioa Taranto

Grande Guerra

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vera e propria piaga sociale: orfani provenienti da famiglie disa-giate che vivevano alla giornata cercando di racimolare il ne-cessario per nutrirsi e sopravvivere. Non andavano a scuola,non lavoravano né sarebbero mai stati in grado farlo ed erano

destinati a gonfiare le schiere della malavita. Urgeva quindi unintervento pubblico e l’occasione venne dal mare con la Nave-Asilo Caracciolo.Questi giovani, divenuti uomini, “recuperati” alla vita mantennerocon la loro istitutrice un rapporto di profonda gratitudine sottoli-neato da una corrispondenza epistolare di toccante autenticità. L’esperienza delle Navi Asilo non era nuova in Italia: infatti giàNiccolò Garaventa nel 1888 diede vita a Genova alla “Scuola Offi-cina Redenzione” utilizzando una piccola cannoniera in disusoche in seguito prese il suo nome.Su questa nave venivano accolti giovanissimi detenuti appenausciti dal carcere, figli di detenuti e di prostitute. Garaventa as-sicurò a questa gioventù degradata un’istruzione elementare e

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Storie di navi

Q uesta è la storia di Giulia Civita Franceschi e della Nave-Asilo Caracciolo che divenne per circa settecento scu-gnizzi e orfani abbandonati a se stessi e in balia di un de-

stino di povertà e criminalità, una vera e propria casa oltre che unluogo di formazione professionale. Solidarietà, lavoro, affetti: fu-rono questi i valori che fecero dell’esperienza educativa della na-ve-asilo Caracciolo di Napoli un modello e un metodo pedagogi-co ammirato in tutto il mondo. Giulia Civita Franceschi, che diresse le attività sulla nave dal1913 al 1928, ne fu l’ispiratrice e riuscì a salvare dalla strada, dal-la delinquenza e dalle malattie tantissimi ragazzi della città par-tenopea preparandoli alla vita marinara. In quei tempi, gli scu-gnizzi di Napoli non erano semplicemente dei bambini vivaci chegiocavano per strada e facevano scherzi ai malcapitati, ma una

La Nave-Asilo CaraccioloGiulia Civita Franceschi e la storia di un riscatto sociale

Immacolata Iuppariello

Immacolata IupparielloDocente di Lettere presso l’IIS “Bartolomeo Scappi” di CastelSan Pietro Terna (BO), Si è laureata in Scienze Storiche a Bolognamentre in Lettere Moderne a Napoli. È altresì abilitata presso laScuola di Specializzazione per l’insegnamento superiore.

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lavoro diventerà un “lavoro educativo”, ladisciplina scolastica «del fare le cose chedevono produrre risultati e del farle in mo-do sociale e cooperativo» il cui «scoponon è il valore economico dei prodotti, malo sviluppo delle capacità dell’intelligenzasociale». Il Caracciolo divenne una vera e propriacomunità in cui ogni suo membro venivarispettato ma soprattutto valorizzato perle proprie qualità e veniva aiutato a svi-lupparle. L’esperienza della nave con-sentiva ai ragazzi di prendere le distanzeda ciò che erano stati prima e di raccon-tare con sufficiente distacco il loro pas-sato, le ingiustizie subite e le offese di turisti e passanti. Daquel momento in poi smettevano di essere “scugnizzi” diven-tando ”marinai”: la Nave-Asilo rappresentò la loro rinascita ela forma più alta di riscatto sociale. L’ambiente della Nave-Asilo Caracciolo divenne oggetto di curaparticolare poiché impegnarsi nella pulizia e nell’ordine di essa,ormai divenuta la loro vera casa, consentiva ai giovani marinaidi accrescere il senso di appartenenza alla comunità di cui or-mai erano parte. Sulla Nave-Asilo, come spiegava la stessa Ci-vita, si ricreavano «i rapporti di solidarietà, simili a quelli checrea la famiglia tra fratelli maggiori e minori[…]» (4).La relazione affettiva che si creava tra loro, quindi, favorivala nascita di una vera comunità sostitutiva della famiglia cheera in grado di compensare la più grande mancanza di tutti icaracciolini. Giulia Civita Franceschi inoltre tenne sempre a cuore la rela-zione personale con i suoi marinaretti e ciò è testimoniato dallenotizie che questi continuavano a inviarle da adulti nei mo-menti importanti della loro vita o anche solo come testi-monianze del loro affetto.

Una lezione ancora attualeLa riscoperta dell’opera di Giulia Civita France-schi costituisce un’operazione di ricerca storicae di recupero della memoria.Una memoria privata rimasta a lungo chiusa inuna dimensione meramente familiare da poco re-sasi pubblicamente disponibile.Il tutto è partito dalla riscoperta di un archivio pri-vato, da cui è nata la mostra foto-documentaria te-nutasi presso il Museo del Mare di Napoli.L’achivio, di proprietà di Ornella Labriola (figlia di Arturo), èpervenuto al Museo del Mare di Napoli attraverso gli eredi diun “caracciolino”, Gennaro Aubry, legato a Giulia Civita da un

rapporto profondissimo. In questo modosono ritornate alla luce le storie di riscattosociale di questi giovani napoletani e il va-lore di un’esperienza così preziosa perl’intera comunità. Per lunghi anni il ricordodi un esperimento educativo straordinariorivolto all’infanzia abbandonata di Napoli,e ammirato a livello internazionale per l’o-riginalità del metodo, era rimasto sepoltonella memoria privata dei tanti “caraccio-lini”, sottratto alla memoria collettiva dellacittà e alla storia nazionale.Oggi riemerge la vera forza di Giulia CivitaFreschi, il suo entusiasmo, lo spirito com-battivo e la convinzione che tutto fosse

possibile. Ella è stata sempre una donna in grado di leggere i bi-sogni della sua società e trovare risposte concrete ed efficaci.Il suo esempio ha permesso di riflettere sulla nostra culturaeducativa e formativa, sul nostro modo di fare scuola, sui tra-guardi e le innovazioni conquistate. Il diritto all’istruzione, la tu-tela dei minori e un generale “diritto all’infanzia” non sono sem-pre stati una realtà scontata e in molte zone del mondo non losono ancora.Dobbiamo considerare che essi sono traguardi raggiunti, anchenel moderno occidente, soltanto nell’ultimo secolo grazie all’im-pegno ed alle battaglie di persone coraggiose e pronte a tutto.Uno di questi eroi, spesso dimenticati dalla storia, è Giulia CivitaFranceschi.

L’eredità del CaraccioloL’erede dell’esperimento educativo di Giulia Civita Franceschi è

il progetto “Scugnizzi a vela” promosso dall’associazioneLIFE ONLUS (5) nato nel 2006 che si occupa di ragazzi a

rischio provenienti da famiglie disagiate della provin-cia di Napoli, della Comunità Pubblica per Minori diNisida, dell’ASL NA 1 Unità Operativa Ser.T. - Ser-vizio Tossicodipendenze DSB 26, dalle Case Fami-glia Aquilotto, Germoglio e Pianeti diversi. La Marina Militare ha messo a disposizione alcu-ni locali della Base Navale di Napoli di via Actonper la realizzazione del progetto.Il Cantiere scuola è sito nell’antica falegnameria

borbonica dove, grazie al contributo della MarinaMilitare, dell’Autorità Portuale di Napoli, di Marinai

d’Italia, i ragazzi a rischio possono imparare l’arte delrestauro e della veloterapia di antiche imbarcazioni ap-

partenute alla Marina Militare.Il percorso, in analogia con l’esperimento della Nave-Asilo Ca-racciolo prevede anche la Nave-Scuola Matteo, un bialbero di16 metri in cui vengono ospitati in quattro cabine i ragazzi di“Scugnizzi a vela” che potranno così condurre una vera e pro-pria esperienza di vita marinara e militare.I ragazzi svolgeranno lezioni teoriche e pratiche condotte damarinai e carabinieri in cui potranno apprendere sia un modellodi vita fondato su lealtà, onestà, rispetto, ma anche un mestiereche potrà favorire il loro inserimento nella società civile e nelmondo lavorativo.

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23Marinai d’Italia Ottobre 201822 Marinai d’Italia Ottobre 2018

un addestramento militare al termine delquale potevano essere arruolati, in caso diassenza di precedenti penali nella MarinaMilitare, oppure imbarcati sulle navi mer-cantili, garantendo loro un lavoro e un in-serimento dignitoso nel tessuto sociale. Inseguito anche a Venezia, grazie all’operaincessante del filantropo David Levi-Mo-renos, nacque la famosissima Scilla: unavecchia nave in disarmo (1) sulla quale ap-plicò i propri principi di scuola professio-nale, la ”Scuola attiva”, portando a Vene-zia tantissimi orfani “di mare” provenientida ogni parte d’Italia (2).La nave scuola comprendeva le classi discuola elementare al termine delle qualigli allievi frequentavano due anni di scuolaprofessionale nautica, che veniva svolta abordo sotto forma di lavori di bordo, labo-ratorio meccanico e falegnameria.A partire dal 1921 la Scilla si dotò di una“nave a terra” dove venivano ospitati gliallievi dai sei a dodici anni per permettereloro di frequentare la scuola elementare; essa ospitava anche ilaboratori, l’officina meccanica, la veleria, gli strumenti di eser-citazione per gli attrezzatori navali. A seguito di queste due esperienze di Navi-asilo, il Parlamentoitaliano grazie al lavoro di Pasquale Leonardi Cattolica, approvòla legge del 13 luglio 1911 n. 724 con cui fu concessa alla città diNapoli l’utilizzo di un ex pirocorvetta destinata alla demolizione,poi trasformata in Nave-Scuola a vela della Marina Militare, laCaracciolo; in seguito fu istituito il Consorzio pro Nave-Asilo chefu approvato col Regio Decreto del 23 giugno 1912 n. 758. La Na-ve-Asilo Caracciolo fu varata nell’aprile dell’anno successivo.Molti furono i personaggi che a vario titolo sostennero e permi-sero la realizzazione di questo progetto: Enrichetta ChiaravaglioGiolitti, David ed Elvira Levi-Morenos, Antonia Persico Nitti, LucyRe-Barlett, il deputato Filippo Dentice D’Accadia, il MarcheseCampolattaro.Anima di questo progetto fu proprio Giulia Civita Franceschi. Lanave Caracciolo in un primo tempo ospitò soltanto una decinadi bambini facendo nascere così la Nave-Scuola Marinaretti

Caracciolo. L’istituzione fu diretta da Uffi-ciali della Marina, l’istruzione fu affidata ainsegnanti civili mentre quella professio-nale era curata da Sottufficiali della Mari-na. L’assistenza sanitaria fu affidata a me-dici civili tra cui va ricordato Guido Bocciache fornì gratuitamente le sue prestazioni.La nave fu prima ormeggiata presso il Mo-lo Beverello per poi essere trasferita primaal Pontile Vittorio Emanuele e poi al MoloSan Vincenzo; durante l’estate veniva poiormeggiata a Castellamare di Stabia.Nel 1928 il Caracciolo, insieme alle altreNavi-Asilo italiane passò sotto la gestionedell’ONB (Opera Nazionale Balilla), e tra il1933 e il 1934 l’ONB ne pianificò lo sposta-mento a Sabaudia e a sud. In seguito futrasferita a Sabaudia anche l’alberaturadella nave per consentire agli allievi ilproseguimento del loro addestramento.Sempre a Sabaudia furono accolti anchei marinaretti delle Navi-Scuola di Venezia,Cagliari e Bari. Quando nel 1943 crollò il

regime fascista la Nave-Asilo passò sotto la gestione direttadella Marina Militare fino al 1962 quando fu affidata al CorpoForestale dello Stato che la utilizzò come Scuola di Formazionedi Guardie e Sottufficiali.La vecchia nave Caracciolo sopravvisse fino agli anni Settantaquando fu demolita definitivamente l’ultima parte dell’alberatu-ra restante.

Il sistema Civita Il modello pedagogico della Nave-Asilo Caracciolo rappresentò,attraverso l’opera di Giulia Civita Franceschi, un processo di ri-scatto sociale di centinaia di ragazzini in cui era coinvolto l’indi-viduo nella sua interezza, sia da un punto di vista cognitivo e psi-cologico ma anche fisico (3). Nell’esperienza della Nave-Asilo Caracciolo un elemento fonda-mentale era dato dall’esperienza del lavoro sulla nave che assu-meva un valore formativo fondamentale. L’esperienza della Ca-racciolo promuoverà la nascita di un ambiente educativo in cui il

Note

(1) http://www.xmasgrupsom.com/ Superfice/ NaviAsilo/Scilla.htm;http://www.venicexplorer.net/ .

(2) A. Mussari, M. A. Selvaggio, Da scugnizzi a marinaretti. L’esperienza della NaveAsilo Caracciolo 1913-1928, Napoli, E.S.A., 2010.

(3) M. A. Selvaggio, Da scugnizzi a marinaretti, op. cit.(4) G. Civita Franceschi, La Nave-Asilo Francesco Caracciolo, in “Solidarietà”,

n. 8, Anno IV, agosto 1944, p. 1. (5) http://www.associazionelife.it

Storie di navi

Giulia Civita Franceschiritratta a proravia del Caracciolo

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25Marinai d’Italia Ottobre 2018

Il generaledel Genio NavaleUmbertoPuglieseC.A. (GN) Claudio Boccalatte

L a Marina del Regno d’Ita-lia nel corso dei suoi 85 anni

di storia, dal 1861 al 1946, ha fornitoall’Italia, oltre ad eroi e strateghi navali,anche grandi tecnici e scienziati. In parti-colare numerosi ufficiali ingegneri navalidel corpo del Genio Navale della RegiaMarina sono entrati nella storia patria perl’importanza e l’originalità delle loro ope-re. Tra di essi ricordiamo i generali Bene-detto Brin, Giuseppe Rota, Umberto Pu-gliese, Edoardo Masdea, Vittorio Ema-nuele Cuniberti, Gioachino Russo, FilippoBonfiglietti e Francesco Rotundi; è graziealla loro opera che è nata la moderna in-gegneria navale italiana, e si è sviluppataquell’industria navale che oggi costitui-sce, in particolare nei settori delle navi dacrociera e da diporto, uno dei punti di ec-cellenza mondiale dell’industria italiana.Fucina di questi grandi è stato il Comitatoper i Progetti delle Navi, fondato nel 1880su impulso di Benedetto Brin, e soprav-vissuto per oltre un secolo, pur con diver-si cambiamenti di nome; nel suo ambitosono nati i progetti delle principali unitàdella Regia Marina e della Marina Milita-re, fino al 1994, quando il Comitato intesocome struttura permanente dove veniva-no sviluppati i progetti delle navi della

Marina è stato, di fatto, sop-presso, e le sue principali fun-zioni trasferite allo StatoMaggiore della Marina.Uno dei più interessanti per-sonaggi della storia dell’in-gegneria navale italiana èstato il Generale Pugliese, il

cui nome è legato, tra le altrecose, alle corazzate classe

Littorio. Umberto Pugliese nasce nel 1880ad Alessandria e nel 1893, all’età di tredicianni, entra in Accademia Navale. All’epo-ca Benedetto Brin è ministro degli Esterie Simone di Saint Bon ministro della Ma-rina, nell’ambito del governo guidato daGiovanni Giolitti. Nel 1898 viene promossoguardiamarina e nel 1901 consegue lalaurea in ingegneria navale e meccanicaa Genova ed entra nel corpo del GenioNavale. Dal 1912 al 1923 è destinato pres-so il Comitato Progetti Navi, dove parteci-pa al progetto delle supedreadnoughtclasse Caracciolo e concepisce i “cilindriassorbitori”, un efficace sistema di prote-zione dalle esplosioni subacquee (mine esiluri). Il concetto alla base dei cilindri Pu-gliese è di incanalare quanta più energiapossibile nella deformazione di appositestrutture “sacrificali” a cilindro, ubicateesternamente alla struttura resistente ve-ra e propria, che quindi resta integra. Dal 1923 al 1930 lavora presso l’Arsenaledella Spezia; dal 1930 al 35 è Direttore Ge-nerale delle costruzioni navali e meccani-che del Ministero della Marina.

24 Marinai d’Italia Ottobre 2018

Storie di navi

C olgo l’occasione per ringraziare ilDottor Vincenzo Cuomo che ha re-

centemente inviato un suo valido e cor-poso contributo su questa vicenda.La storia, bene o male, è nota a tutti quin-di non starò a dilungarmi sugli aspettiumani della tragedia che nel pomeriggiodel 9 settembre 1943 si abbatté sulla pos-sente flotta navale che incrociava adOvest delle Bocche di Bonifacio in pros-simità della costa sarda anche se neavrei ben donde. Mio padre era imbarca-to sulla Roma e riuscì a salvare la pelle(si trovava, in ruolo combattimento, sottol’impianto trinato da 152/55 mm. di poppaDR) perché ebbe la fortuna di correrenella direzione giusta per sbucare in co-perta e tuffarsi senza indugi in acqua (fupoi recuperato ed internato per quasidue anni a Port Mahon). Né scriverò su-gli aspetti tattico-operativi che caratte-rizzarono i movimenti delle forze navalida battaglia, che in Mediterraneo certa-mente facevano paura a chiunque e chenella mente dell’ammiraglio Bergaminiforse avrebbero finito per avere maggio-re gloria in uno scontro definitivo e riso-lutivo con gli anglo-americani anzichéandare a consegnarsi a Malta, obbeden-do agli ordini ricevuti.

Il 9 settembre 2018 è stata una data im-portante: il 75° anniversario dell’affonda-mento della corazzata Roma e dei CC.TT.Da Noli e Vivaldi.L’ANMI e la Marina Militare, nel ricordodegli oltre 1.600 marinai periti in quelfrangente, hanno organizzato lunedì 10settembre una duplice cerimonia: a Por-to Torres ed in mare, su nave Orione.

A terra, presenti i Gruppi di Alghero,Bosa, Olbia, Sassari, Sorso, Sezio-

ne aggregata Valle del Coghinas, Arba-tax, Guspini, S. Gavino Monreale, Porto-scuro, Cagliari, Quartu S. Elena, Paler-mo, Dongo ed una rappresentanza del-l’Associazione d’Arma dei Carabinieri, ilComandante Provinciale dei Carabinieri,il Direttore Marittimo di Olbia, il Coman-dante della locale Capitaneria di porto, ilConsigliere Nazionale Anmi per la Sar-degna, avvocato Urru, ed il Delegato Re-gionale per la Sardegna Settentrionale,Mario Tambasco, dopo l’alza bandiera, ilPresidente Nazionale ANMI Paolo Pa-gnottella ha presieduto la cerimonia discoprimento e benedizione del nuovomonumento dell’ANMI dedicato alle treunità navali e realizzato dall’artista Fa-brizio Budroni.

Successivamente, il Contrammiraglio Pa-cioni, titolare del Comando Supporto Logi-stico della Marina in Sardegna che perl’occasione ha rappresentato il Sig. Capodi Stato Maggiore della Marina, il Sindacodi P.to Torres Wheeler, il Prefetto di Sassa-ri Dottor Marani ed il Presidente Naziona-le, hanno deposto una corona di alloro.Hanno chiuso le manifestazioni a terra lebrevi allocuzioni da parte delle sopracci-tate autorità.Una volta imbarcati i Gruppi e le Autorità,accolte su Nave Orione dal Contrammira-glio Andrea Cottini, titolare del Comandodelle Forze di Pattugliamento della Mari-na e designato dal Comandante in Capodella Squadra Navale a rappresentarlo inquesta circostanza, l’unità navale ha mol-lato gli ormeggi da Porto Torres per diri-gere sul punto dell’affondamento dellaRoma, oggi finalmente noto grazie alle ri-cerche effettuate qualche anno fa dal-l’Ing. Guido Gay con il robot “Pluto” chehanno consentito la localizzazione deidue principali tronconi del relitto.Qui è stata lanciata una corona a marepoco prima benedetta da Monsignor Ruiu,Decano delle diocesi di Porto Torres: unaintensa, semplice ma sentitissima cerimo-nia nello stile della famiglia dei marinai.

I calibri principali prodieridella corazzata Roma

Il generale Umberto Pugliese

da Ernesto Pellegrini, Umberto Pugliese,Ufficio Storico della Marina Militare, 1999

Immagine del Littorio che transita nel canale navigabiledi Taranto per essere immesso in bacino a seguito

dei danni subiti per attacco di aerosiluranti britannicinella notte tra l’11 e il 12 novembre 1940. Si notano

a prora dritta i “cilindri di spinta” utilizzati per assicurareil galleggiamento dell’unità dopo l’affondamento

da Le navi di linea italiane – Ufficio Storico della Marina, 1962

C.A. (GN) Claudio BoccalatteEntrato in Accademia Navale di Livor-no nel 1975, ha conseguito con lode laLaurea in Ingegneria Navale e Mecca-nica presso l’Università degli Studi diGenova. Ha recentemente ricopertol’incarico di Direttore del CISAM(Centro Inter forze per le ApplicazioniMilitari) di Pisa. È Presidente dellaSezione spezzina di ATENA (Associa-zione di Tecnica Navale).

75° Anniversario dell’affondamentodella Corazzata Roma

C.A. (aus) Angelo Castiglione - P.N. 4° Ufficio e Socio del Gruppo di Roma • Giovanni Caddeo -Presidente del Gruppo di Porto Torres

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dalle bombe e dai proietti considerati dalrequisito) fu di massima compresa tra circa18.000 e 26.000 metri. Ciò era in linea con lecondizioni di impiego tattico previste per leunità in oggetto, che considerava le se-guenti distanze di combattimento:• distanza normale di apertura del tiro

per l’inizio della fase di “aggiustamen-to”: 25 Km.

• limite superiore della distanza efficace dicombattimento: 19÷21 Km.

Il Sistema di Combattimento fu costituitoda tre Sotto-sistemi:

Sotto-sistema Informativoche oltre agli strumenti di comunicazioneper la ricezione e la trasmissione comuni-cazioni e ordini, comprendeva gli strumentiottici seguenti per la scoperta aerea e na-vale e per la misura della distanza:• 26 postazioni di scoperta, ciascuna delle

quali manovrata da un operatore addet-to: 6 per la scoperta navale; 4 per la sco-perta aerea. Tutte non stabilizzate collo-cate alla sommità del torrione; 6 stabiliz-zate per la scoperta navale, sul cielo dellocale CSA dietro la Plancia; 10 stabiliz-zate per la scoperta aerea, in prossimitàdelle SDT Anti-Aeree;

• 1 telemetro tattico stereoscopico da 7,2metri, collocato nella torretta anulareinferiore del torrione e impiegato so-prattutto per fornire al Comando la di-stanza di punti cospicui in costa o deibersagli di interesse. Tuttavia esso po-teva anche concorrere alla misura del-la distanza dei bersagli navali da batte-re con le artiglierie;

• 1 telemetro stereoscopico da 3 metri, lacui torretta girevole era collocata sullastruttura poppiera interposta tra la torre3 da 381/50 e il fumaiolo di poppa.

• il radar GUFO, che venne installato alla fi-ne del 1942 sulla RN Littorio e all’inizio del1943 a bordo delle altre Unità della clas-se. Peraltro tale apparato, sebbene moltoimportante dal punto di vista storico, nonebbe un’efficacia tattica rilevante. Ciò a

causa delle sue limitazioni prestazionali(5 KW di potenza di picco con una porta-ta di circa 30 Km su bersagli navali) e deinumerosi problemi di efficienza che necondizionarono l’uso.Esisteva poi un avanzato sistema elettro-meccanico realizzato dalla SAN GIOR-GIO che assicurava la stabilizzazionedelle apparecchiature sensoriali dotatedi questa caratteristica (anche quelledestinate alla sola scoperta) e delle armidi bordo, per ricercare l’indipendenzadel loro orientamento dallo sbandamen-to della Nave dovuto al moto ondoso. Ta-le sistema risultò essere il più complessoe capace delle prestazioni migliori traquelli realizzati dall’industria nazionale.Esso tuttavia si rivelò di non semplicemanutenzione e non molto affidabile.

• Infine era possibile imbarcare fino a trevelivoli IMAM Ro 43 da ricognizione e/oREGGIANE Re 2000 da caccia e ricogni-zione, il cui decollo avveniva tramite unacatapulta a poppa estrema. Mentre gliidrovolanti Ro 43 potevano essere recu-perati dopo l’ammaraggio, gli altri aereierano dotati di carrello e al termine dellamissione dovevano rientrare a terra.

Sotto-sistema Valutativoera guidato dal Comandante dell’Unità,che veniva supportato nella sua azionedalla “Centrale del Servizio Armi” (CSA).In CSA:• confluivano i dati forniti dai sensori di

bordo, che erano poi esaminati per defi-nire il quadro della situazione tattica eper le valutazioni discendenti;

26 Marinai d’Italia Ottobre 2018

Raggiunge il vertice della sua carriera nel1935 quando viene nominato Presidentedel Comitato Progetti Navi e Capo di Cor-po del Genio Navale. Progetta le corazza-te classe Vittorio Veneto, considerate trale migliori dell’epoca per l’equilibrio fra levarie caratteristiche; è anche Presidentedel Reparto Ingegneria Navale del Consi-glio Nazionale delle Ricerche e punto di ri-ferimento degli Enti di ricerca italiani perle attività navali.La sua vita, come quella di tanti altri ita-liani, inclusi numerosi alti ufficiali dellaRegia Marina, subisce una tragica svoltanel gennaio 1939, quando è dispensatodal servizio permanente e collocato incongedo assoluto in applicazione delleleggi razziali promulgate dal regime fa-scista, in quanto originario di una famigliaebraica. Questa dura e ingiusta provanon intacca il suo amor di Patria e il suoattaccamento alla divisa e alla Marina;

viene, infatti, richiamato in servizio nel no-vembre 1940, dopo il disastro di Taranto,dove, nella notte tra l’11 e il 12 novembre,aerosiluranti inglesi affondano alcune trale più moderne e potenti unità navali ita-liane; per rimetterle a galla e reintrodurlein servizio c’era bisogno del migliore inge-gnere navale italiano disponibile, cioè delgenerale Pugliese. Nel 1941 Pugliese è uf-ficialmente “riabilitato” sfruttando un pa-ragrafo delle leggi razziali che prevedevala “dichiarazione di non appartenenza al-la razza ebraica” per chi avesse acquisitoparticolari meriti verso la nazione e vieneriammesso in servizio. Dopo il pensionamento per limiti d’età nel1945, viene nominato presidente della Va-sca Navale di Roma, carica che mantienedal 1946 al 1961, anno della morte; all’IN-SEAN organizza il trasferimento dellestrutture da San Paolo a Vallerano. Allamorte ha costituito, per lascito, una fonda-zione destinata a conferire premi per la for-mazione di ufficiali del Genio Navale spe-cializzati in Architettura Navale.

Il Sistemadi Combattimentodelle RRNN classe Vittorio VenetoC.A. (r) Marco SantariniSocio del Gruppo di Ostia

Le Unità della classe

Le RRNN classe Vittorio Veneto (che fu va-rata ed entrò in servizio per prima) sono giàstate descritte in numerosi testi, tra cui al-cuni assai ben documentati e molto inte-ressanti. In questa sede quindi si proponesolo una sintetica illustrazione del loro Si-stema di Combattimento, sottolineando ledifferenze esistenti tra la RN Roma e le pri-me due Navi della classe. Le caratteristi-che di queste Unità furono assai elevate ebene equilibrate tra loro: ciò le collocasenz’altro tra le costruzioni navali italianepiù significative. Le loro armi da 381/50 furono assai potenti,con gittate massime elevatissime e capa-cità di perforazione analoghe a quelle dimolti cannoni da 406 mm. Tuttavia la caden-za di tiro non fu particolarmente celere, limi-tandone così la potenza di fuoco. Esse furo-no costruite anche dalla OTO con lievi diffe-renze, ma con prestazioni identiche: la RNVIittorio Veneto fu dotata di cannoni OTO, laRN Littorio di armi ANSALDO, mentre la RNRoma ricevette materiali OTO (torri PR) eANSALDO (torre PP). Le caratteristiche del-le bocche da fuoco di bordo furono le se-guenti (vds. prospetto alla pag. seguente).

Le caratteristiche principalidel Sistema di Combattimento

Si sottolinea in particolare la validità dellecentrali di tiro di bordo: tutte di tipo analogi-co meccanico, i cui dati di ingresso e uscitaerano cioè rappresentati dallo scorrimentoo dalla rotazione di assi meccanici, pur es-sendo tali apparati alimentati elettricamen-te. Le RRNN Vittorio Veneto e Roma ebberoapparecchiature prodotte dalle OFFICINEGALILEO di Firenze, mentre la RN Littorio im-barcò apparati della SAN GIORGIO di Geno-va. Meno valido risultò purtroppo il vetrod’ottica impiegato nella realizzazione deglistrumenti di punteria e dei telemetri.La cosiddetta “zona immune” di queste na-vi (fascia di distanza entro cui l’area vitaleprotetta da corazza non era raggiungibile

Sezione trasversale di una corazzata classe Vittorio Veneto;si notano i cilindri assorbitori del tipo Pugliese per la protezione contro le esplosioni subacquee (mine e siluri),

l’elevatissimo spessore della corazzatura laterale destinata a fermare i colpi di artiglieri avversari e gli spessori,molto più ridotti, della corazzatura orizzontale destinata a fermare le bombe d’aereo

da Le navi di linea italiane – Ufficio Storico della Marina, 1962

Il Generale Umberto Pugliese nel periodo in cuiha ricoperto l’incarico di presidente dell’Istituto Nazionaleper gli Studi e le Esperienze di Architettura Navaledalla Rivista Marittima di settembre 1961

Modello di cilindri assorbitori tipo pugliese,conservato presso la sala pugliesedi Palazzo Marina, a RomaArchivio autore

Sotto-sistema esecutivo

Sotto-sistema sensoriale/informativo

Sotto-sistema valutativo Centrale del Servizio Armi (CSA)

Sistema d’armadi Grosso Calibro

381/50

Sistema d’armadi Medio CalibroAS 152/55

Sistema d’armadi Medio CalibroILL120/40

Sistema d’armadi Piccolo Calibro

90/50

Sistema d’armabasato su Mtg.37/54 20/65

Telemetroda 7,2 m “tattico”stereoscopico

Postazione di scopertaottica navale ed aereanon stabilizzate

Postazione di scopertaottica navale ed aerea

stabilizzate

Centrale girostaticadi stabilizzazione SAN GIORGIO

Apparatiradio tattici

Radar “Gufo”(dal 1943)

Velivoli imbarcati

Schema concettuale del Sistema di Combattimento (livello tattico)delle RRNN classe Vittorio Veneto

Tracciatore tattico

Tipo di arma Calibroa bordo

Armia bordo

Impianti(colpi/min.)

Ritmodi tiro (Kg)

Palladiromp. (Kg)

Granata(m)

Gittata(m)

Quota AAmassima

Grosso Calibro 381/50 9 3 1,33 884,8 824,3 42.000 -Medio Calibro 152/55 12 4 4,7 50 44 25.000 9.000 (sbarr.)

Medio Calibro 120/40 4 4 6 - 19,8 illumin. 9.500 -Piccolo Calibro 90/50 12 12 12 - 10,1 15.500 9.000

Mitragliere 37/54 20 12 120 - 0,8 7.800 5.000 -Mitragliere 20/65 16/32 8/16 240 - 0,1 5.000 3.000 -

Storie di navi

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29Marinai d’Italia Ottobre 2018

“Ponte di Corridoio”, tra le virole delletorri da 381/50 di prora. Essa eseguiva icalcoli fino ad una distanza massima delbersaglio di 44 Km e per una sua velocitàmassima di 40 nodi. Questo apparato ri-chiedeva però alcuni minuti per andare aregime ed era lento nel seguire le varia-zioni del moto nemico. Nel locale dellaCentrale di tiro c’erano anche il “Gime-tro” e il “Calcolatore del Vento assoluto”;

• una Centrale di tiro semplificata (“ridot-ta”) tipo RM-2 sistemata nella parte po-steriore di ciascuna torre da 381/50.

La componente sensoriale del Sistema dimedio calibro era installata in 2 SDT diur-ne, costituite da altrettante torrette ruotantistabilizzate “a quattro assi” (a centro drittae a centro sinistra) ciascuna dotata di APG,telemetro “duplex” da 5 metri e da 1 incli-nometro. Esistevano poi 4 SDT per il tironavale notturno. Queste SDT potevanocondurre anche i 90/50 nel tiro navale diur-no, notturno e in quello illuminante. Essefornivano inoltre il brandeggio alle armi da120/40 destinate al solo tiro illuminante, ilcui controllo avveniva però localmente daparte del Direttore di Tiro preposto. Ciascu-na torre di artiglieria da 152/55 possedevaun telemetro stereoscopico da 6,3 metri,mentre ogni Centrale di tiro pertinente eracollegata a un “Gimetro”, analogo a quelloper la condotta del tiro del 381/50.

La componente elaborativa del Sistema dimedio calibro era costituita da due Cen-trali di tiro (una per ciascuna batteria) deltutto uguali a quella del 381/50, fatta ecce-zione per i correttori meteo-balistici, riferitiad armi diverse: i calcoli necessari eranoeseguiti fino ad una distanza massima delbersaglio di 30 Km. Tali apparati erano col-locati in locali sul “Ponte di Corridoio”, ailati della virola della torre 2 di grosso cali-bro. Le artiglierie di medio calibro poteva-no essere condotte anche da una Centrale“ridotta” tipo RM-2 installata nella parteposteriore di ciascuna torre da 152/55 odall’elaboratore molto semplificato pre-sente in ciascuna SDT notturna, da cui po-teva essere diretto anche il tiro anti-aereodi sbarramento diurno fino all’elevazionemassima di 45°.

La componente sensoriale del Sistema dipiccolo calibro era installata in 2 SDT AAcollocate a dritta e a sinistra del torrione,ciascuna delle quali dotata di torretta gire-vole stabilizzata “a quattro assi”.

In particolare le RRNN Vittorio Veneto eLittorio disponevano di SDT ciascuna do-tata di:• una torretta telemetrica AA con teleme-

tro ottico stereoscopico da 3 metri;• una APG AA stabilizzata;• una “Colonnetta della rotta”.Le ultime due apparecchiature erano po-ste al di fuori della torretta telemetrica, inuna struttura sottostante, dal cui soffittofuoriuscivano le relative “teste ottiche”.Sulla RN Littorio, a differenza della RN Vit-torio Veneto, ciascuna torretta telemetricaAA conteneva anche un telemetro stereo-scopico da 2 metri per la conduzione dellemitragliere.Sulla RN Roma sia l’APG AA che la Centra-le di tiro AA erano all’interno della torrettatelemetrica. Tale soluzione non consentìperò di includere in essa anche il telemetroda 2 metri per la conduzione delle mitra-gliere, come era sulla RN Littorio. Sulla RNRoma quindi furono installate due “Colon-nine” aggiuntive a dritta e sinistra. La man-canza sulla RN Roma di una struttura al disotto delle torrette telemetriche consentì lospostamento più a prora delle vedette sta-bilizzate per la scoperta aerea.

La componente elaborativa del Sistema dipiccolo calibro era costituita da 2 Centralidi tiro (una per batteria) atte a condurre siail Tiro AA che quello contro navi leggere.Esse erano collocate:• in appositi locali sul “Ponte di Corridoio”,

ai lati della Centrale di tiro principale digrosso calibro, per le RRNN Vittorio Ve-neto e Littorio;

• entro ciascuna SDT AA per la RN Roma.Tale collocazione, lasciò liberi gli spaziinterni della Nave, adibiti a questi appa-rati sulle altre Unità. Sulle RRNN VittorioVeneto e Littorio esistevano poi due“Calcolatori speditivi AA”, sistemati unoper lato nella struttura sottostante la tor-retta telemetrica AA corrispondente. La

RN Roma viceversa non disponeva di taliCalcolatori. Le prestazioni delle CentraliAA della RN Roma risultarono superioria quelle delle analoghe presenti sulle al-tre Unità. In particolare esse potevanocondurre il tiro AA fino a una distanzamassima di 14.000 metri (contro 12.000metri) e sino a 8.000 metri di quota (con-tro 6.000 metri). Tutti questi apparati cal-colavano il tempo di scoppio da gradua-re sui proietti poco prima dello sparo.

Sistema basato su MitragliereIl numero delle mitragliere da 20/65 variò tral’inizio e la fine della Guerra a bordo delleRRNN Vittorio Veneto e Littorio da 16 a 32mentre le 37/54 rimasero 20. Sulla RN Romaoltre alle 20 armi da 37/54 furono subito in-stallate 32 mitragliere da 20/65. La Condu-zione del tiro era eseguita da “Colonnine”manovrate da 5 addetti, ciascuna dellequali dotata di un telemetro stereoscopicoda 2 metri e di un calcolatore “speditivo”.Sulla RN Vittorio Veneto le “Colonnine” fu-rono collocate due per lato, tra il torrione eil primo fumaiolo. Sulla RN Littorio, venneinvece installato un telemetro stereoscopi-co da 2 metri all’interno di ciascuna Torrettatelemetrica AA per il piccolo calibro, men-tre sulla RN Roma le “Colonnine” furono treper lato. Ciascuna mitragliera, oltre a un mi-rino per la punteria diretta, era dotata an-che di un calcolatore molto semplificatoper il puntamento in caso di assenza di co-mandi dalla relativa “Colonnina”.Le RRNN classe VITTORIO VENETO furonosenz’altro le unità italiane dotate del Siste-ma di Combattimento più avanzato fino atutto il Secondo Conflitto Mondiale. Le ar-mi, gli strumenti e le apparecchiature co-stituenti furono quindi la diretta espressio-ne delle più moderne concezioni di impie-go, il culmine delle capacità tecnologichedell’Industria nazionale dell’epoca e il pun-to di arrivo di una lunga fase evolutiva di ta-li materiali. nnn

28 Marinai d’Italia Ottobre 2018

• erano scelti i bersagli da battere e veni-vano decise le modalità di controllo deiSistemi d’Arma.

Sulle RRNN Vittorio Veneto e Littorio laCSA era ubicata sul retro della PlanciaAmmiraglio, mentre a sulla RN Roma essafu collocata dietro la sottostante PlanciaComando per cercare di ridurre le interfe-renze con le funzioni di più alto livello. Tut-tavia anche questa soluzione non fu soddi-sfacente, come ricorda l’Ammiraglio Iachi-no nel suo libro “Gaudo e Matapan” (pag.108). La CSA risultò assai “spartana” di-sponendo solo di un “Tracciatore di rotte”GALILEO che consentiva di seguire gli spo-stamenti del bersaglio di interesse, grazieai dati forniti dai sensori. Il “Tracciatore dirotte” fu l’antesignano dei “Tavoli TatticiNavali” (TTN) diffusi sin dal 1950 sulle Unitàdella MMI fino all’affermazione dei “Siste-mi di Comando e Controllo” SADOC (com-parsi nel 1963).

Sotto-sistema Esecutivoche era costituito dall’insieme dei cinqueSistemi di artiglieria di bordo:• Sistema di grosso calibro (381/50) per

contrasto di Unità navali maggiori;• Sistema di medio calibro (152/55) per

difesa contro Unità di superficie dotatedi siluri;

Vista esterna e in trasparenzadell’organizzazione interna

delle APG GALILEOinstallate sulla

RN Vittorio VenetoUfficio Storico - MMI

Vista esterna del Telemetro “duplex” SAN GIORGIO da 12 metri di base (immagine tratta da un catalogo San Giorgio dell’epoca)

Vista esternadel “Gimetro”installatoa bordo dellaRN Vittorio VenetoUfficio Storico - MMI

Centrale di tiro RM-4 SGCentrale di tiro RM-4 OG

• Sistema di medio calibro (120/40) per ilsolo impiego illuminante;

• Sistema di piccolo calibro (90/50) per ilTiro anti-aereo (AA), il concorso alla di-fesa contro Unità navali leggere e al Tiroilluminante. Per quest’ultimo erano im-piegabili solo gli impianti (a dritta e a si-nistra) di prora e poppa estrema;

• Sistema basato su mitragliere (37/54 e20/65).

Sistemi d’ArmaAvendo già descritto sommariamente le ar-tiglierie, nel seguito sono illustrati solo glistrumenti e le apparecchiature dei Sistemid’Arma. Occorre però ricordare che lemasse oscillanti delle bocche da fuoco digrosso e medio calibro (tutte in “culla” sin-gola) erano stabilizzate “in velocità” controlo sbandamento della Nave, mentre cia-scun’arma di piccolo calibro era collocatasu una piattaforma stabilizzata “a quattroassi”, cioè mantenuta sempre orizzontaleper agevolare il puntamento.

La componente sensoriale del Sistema digrosso calibro si avvaleva di due “Appa-recchiature di Punteria Generale” (APG)parzialmente stabilizzate per il puntamentoottico del bersaglio, ciascuna delle quali

posta entro una SDT di tipo fisso priva di te-lemetri: “in coffa” alla sommità del torrioneper il 1° Direttore del Tiro; in posizione pro-tetta sul cielo della “Plancia Ammiraglio”,destinata al 2° Direttore del Tiro. La SDTper il 3° Direttore del Tiro era entro la torre2 da 381/50 e non disponeva di APG, avva-lendosi degli strumenti di traguardo dellatorre stessa. Il tiro di grosso calibro potevaessere eseguito solo in condizioni diurne.La misura della distanza del bersaglio dabattere era assicurata da:• 3 Telemetri “duplex” SAN GIORGIO da 12

metri, ciascuno dei quali in una torre da381/50;

• 2 Telemetri “duplex” da 7,2 metri nellatorretta anulare superiore del torrione(uno a coincidenza e uno stereoscopico);

• era infine possibile avvalersi anche deidati forniti dal “Telemetro tattico”.

Esistevano poi strumenti detti “Inclinome-tri” (due in ciascuna torretta anulare deltorrione) per la misura dell’inclinazionedella rotta del bersaglio rispetto alla “Lineadi Mira” (angolo): dato impiegato nel cal-colo degli angoli di puntamento delle armi.Tuttavia tali strumenti, in cui prima del Con-flitto si riponeva molta fiducia, si rivelaronoassai poco precisi e di scarsa utilità incombattimento. Importantissimo fu inveceil “Gimetro”: apparato giroscopico che sul-le unità in esame misurava due grandezzeindispensabili per il calcolo degli angoli dipuntamento delle armi:• la velocità di rotazione angolare assolu-

ta (rispetto ad un riferimento fisso nellospazio) della congiungente APG-bersa-glio (“Linea di Mira”);

• l’angolo di “Sbandamento Orecchioni”.

La componente elaborativa del Sistema digrosso calibro era costituita da:• una Centrale di tiro tipo “Regia Marina”

del modello più avanzato (qui denomina-to RM-4) collocata in apposito locale sul

Storie di navi

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Ma a molti è sembrato un bel lavoro, benfatto e soprattutto utile.Per quanto riguarda la nostra Associazio-ne, aver contribuito ad invogliare i citta-dini al rispetto della legge non può cheessere motivo di giusto orgoglio e di sanasoddisfazione.

Il primo amore non si scorda maiDario Bilotti - Socio del Gruppo di Carmagnola

L a domanda che mi pongo è dettata dalla consapevolezza di non aver sentore di cosa miaspetta. Ecco, sì, apprensione per quello che sto per iniziare. La nave è bella, molto bel-la, ma sarò in grado di viverla appieno questa avventura? Debbo ritenermi fortunato del-

la destinazione? Salgo lungo il barcarizzo, saluto la Bandiera, depongo lo zaino davanti al Cor-po di Guardia e il timore mi assale. Ho l’impressione che tutti se ne accorgano, poi realizzo chesicuramente è così, non posso nasconderlo. Le paure si attenuano dopo aver fornito le mie ge-neralità: SC EM/RDT/ST Dario Bilotti, Matr. 68V0916T. Sono nel luogo che dovrò cominciare achiamare Casa. L’accoglienza è buona, i compagni sono per lo più giovani e i fratelli di corsodi altre categorie conosciuti a Mariscuole mi sorridono, fugando definitivamente la tensioneaccumulata dal momento in cui ho cominciato a realizzare che si stava avverando un sogno. Il battesimo del mare lo effettuo subito, appena imbarcato si mollano gli ormeggi e via, dire-zione Taranto da dove sono partito tre giorni prima. È l’inizio di tre mesi intensi di mare in cuientro nell’ingranaggio, ma soprattutto sentendomi parte di esso. E arriva il primo viaggio da vi-vere, quattro mesi lontano da casa lungo le coste di un Continente. Sicuramente conoscerò po-poli e persone con cui relazionarmi. Finalmente. Le guardie all’aperto sotto la pioggia comesotto il sole, sia di giorno che di notte e in mezzo a Oceani di nome Atlantico e poi Indiano, mifanno assaporare l’essenza della vita che mi sono scelto. I miei giovanili desideri sono appa-gati dalla conoscenza di questa parte di mondo, dalle culture e dalle varie umanità che si af-facciano sul mare. E poi esperienze nel condividere timori, come fermarsi in mezzo al mare perincendio oppure ormeggiare alla fonda con mare forza quattro davanti ad un porto e recarsi infranchigia in motobarca; divertenti come pescare calamari, barracuda e squali a poppa; inti-me come innamorarsi di bellissime figliole, ma soprattutto tanta cultura a cui mai avrei pen-sato di poter accedere. I miei diciotto anni sono un viatico per iniziare a costruire il mio carattere di giovane uomo. Iltempo vola, termina il viaggio di ventiquattromila miglia e si torna in Patria, Una splendidaesperienza alle spalle e la voglia di ricominciare. La casa a Torino è sempre lì, genitori e so-relle stanno bene, anche la cagnetta. Quando si riparte? Dobbiamo entrare in bacino. Nuove esperienze a secco come il caldo soffocante nei locali ele guardie notturne sudaticce. Ma mi manca il rumore soffuso dei motori che mi accompagnacon il suo sbuffare continuo e inascoltato; l’emozione nell’ ammirare dalla plancia il cielo e ilmare mentre scruto l’orizzonte; le prove in centrale in perfetta sintonia con i compagni; le pas-seggiate in coperta tra prora e poppa o anche solo sedermi a pensare. Come invocato la sostafinisce e l’acqua ci riaccoglie. Altro mare, altre attese sensazioni, altra intensa vita. Il reparto tutto, ormai diventato famiglia nella famiglia, mi aiuta a credere ancor più a me stes-so. Nuovi imbarchi di futuri amici per ora sconosciuti, sbarco di acquisiti fratelli con cui mi re-lazionavo e un nuovo Comandante.Poi... arriva un FOM con la ferale notizia, un movimento che mi porterà nuovamente a Taranto.Il neo Comandante mi assicura che salire sulla Nave Ammiraglia, sarà un passo in più per lamia carriera, confidandomi che lui ci ha lasciato il cuore. Realizzo che l’amore per la proprianave è sentimento comune.“Grazie Comandante, ma avrei preferito rimanere qui, mi mancherà”.Addio F581, Nave Carabiniere, so che mi rimarrai nel cuore.

31Marinai d’Italia Ottobre 2018

L a legge italiana prevede che l’ac-cesso alla battigia, cioè l’accessoal mare, sia libero. Questa previsio-

ne deriva dal fatto che il demanio maritti-mo appartiene allo Stato e non può essere“privatizzato”. Di conseguenza, se voglia-mo realizzare uno stabilimento balneareper consentire ai cittadini di fruire concomodità di un tratto di spiaggia, si devechiedere ed ottenere, a titolo oneroso,una “concessione demaniale”. Conces-sione che la evoluzione della ripartizionedei compiti delle varie branche della pub-blica Amministrazione, dopo la istituzionedelle Regioni, ha assegnato ai Comuni. Laconcessione, come detto, avviene a titolooneroso: ha un costo, che entra a far partedei costi di gestione degli stabilimentibalneari, che quindi i gestori caricano le-gittimamente e proporzionalmente sui va-ri servizi offerti ai clienti.

Spesso, però, viene chiesto il pagamentodi una somma anche per il semplice ac-cesso al mare, cioè per attraversare lostabilimento allo scopo di raggiungere labattigia. E questo, anche se la somma ri-chiesta è di solito modesta, è illegittimo.Per porre un freno a questa cattiva abitu-dine, la Presidenza del Consiglio dei Mi-nistri ha realizzato un breve filmato cheviene proiettato sul canali RAI in varieore della giornata.La realizzazione del filmato è stata affi-data al Ministero delle Infrastrutture, dalquale dipendono le Capitanerie di Porto. Il Comando Generale delle CC.P.P, essen-do a conoscenza, ovviamente, dello sta-bilimento gestito dal Gruppo ANMI diRoma a Maccarese, ha chiesto la nostradisponibilità ad ospitare la troupe per leriprese e a dare la necessaria assisten-za. Disponibilità offerta con piacere, invista degli scopi dell’iniziativa, certo; maanche per far conoscere al difuori delnostro ristretto giro di conoscenze, l’effi-cienza, l’ordine, la qualità dei servizi of-ferti ai Soci dell’ANMI e... da ultimo manon ultimo per importanza, la qualità e laraffinatezza del nostro ristorante.Il filmato, come detto, è andato in ondasulle reti RAI in diversi orari.

Chi ha avuto occasione di vederlo po-trebbe non avere riconosciuto l’inqua-dratura di ingresso, che era stata camuf-fata per non creare problemi di caratterenormativo e di... concorrenza con i nu-merosi altri stabilimenti del litorale diMaccarese.

30 Marinai d’Italia Ottobre 2018

UN CONTRIBUTO DELL’ANMIAL RISPETTO DELLA LEGGEMario d’Errico - Presidente del Gruppo di Roma

Testimonianze

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32 Marinai d’Italia Ottobre 2018

Luigi Bogotto

LE IMPRESEDEI NOSTRI SOMMERGIBILIAtelier Grafico – SchioPer acquisti: tel. 0445.520931

È la prefazione che, da sola, dicetutto su questo bellissimo, con-

ciso e gradevolissimo libro. Nulla dinuovo vi è detto sulla storia, sulle vi-cende, sui battelli e sulle guerredrammatiche combattute sotto tutti imari del mondo dai “nostri”, ma èuna storia che non può essere di-menticata e sulla quale questo lavo-ro sparge a piene mani entusiasmo,passione e grandi dosi di affetto. Connotevolissimo spirito di ricerca, chel’autore ha svolto nel tempo attin-gendo a fonti assai qualificate, eglivuole ricordare – sono le sue parole– i 3555 marinai sommergibilisti ca-duti nei due conflitti mondiali. È unsentito omaggio – dice ancora l’au-tore nella prefazione - a coloro chehanno sacrificato la vita per un do-vere e per la Patria. Nella durissimalotta subacquea, i nostri marinaihanno saputo affrontare, con gran-dissimo coraggio, privazioni e sacri-fici non indifferenti, fino alla morte.Luigi Bogotto, di cui va ricordata lalunga, proficua e appassionata pre-sidenza del Gruppo ANMI di Schiodal 1979 al 1998, scrive e narra inmaniera assai piacevole, divulgainformazioni su tutti i battelli e sulleloro imprese con uno stile asciutto econcreto, senza alcuna concessio-ne alla retorica, da buon anzi ottimomarinaio quale egli è stato. Premetteconsiderazioni degne di menzione,affronta con coraggio anche que-stioni dibattute ed ancora oggetto dicritica e controversa opinione e lo facon la coscienza che nulla vada ta-ciuto, perché comunque la si affron-ti, l’epopea dei nostri sommergibiliri-mane intatta nella sua gloria e nellamemoria, permeata dall’assoluto va-lore degli uomini e dei mezzi chel’hanno tracciata. Questa sintesi è,allora, un tributo vero, sincero ecommovente a quegli uomini che

non possono e non devono esseredimenticati, fulgido esempio del va-lore morale, prima che fisico, dellamiglior parte di questo popolo italia-no che, quando chiamato, rispondecon slancio, passione, attaccamen-to e dedizione certamente degni diogni elogio.Questa “razza” speciale, costituitadai sommergibilisti, rifulge qui in tut-ta la sua luce e questa luce non solonon va spenta, sembra dire Bogotto,ma fissata nella memoria delle gentiitaliche. Soprattutto per questo èstato scritto questo libro. Una lezio-ne di italianità, a noi che ne siamo glieredi ed ai giovani soprattutto, per-ché sentano e sfoderino quell’orgo-glio patrio loro consegnato da questiuomini onesti, semplici, eroici e nor-mali, chiamati a dare il meglio di séin condizioni incredibili e capaci diimprese degne delle migliori tradi-zioni navali italiane, certamente al-l’altezza delle più grandi e famoseflotte del mondo. Quando termina lalettura, sorge un sentimento di grati-tudine per quest’opera, che tutti do-vrebbero leggere e ponderare per lospirito che la ha animata e che rie-sce a trasfondere.

CIRÒ MARINAPresentato il libroE IL VENTO SOFFIAVASUL PONTE DELLA LINCE

“P resente!” A Cirò Marina, il20 maggio scorso, il socio

Vincenzo Sprovieri lo ha pronuncia-to dieci volte, tante quanti i caduti abordo della Regia Torpediniera “Lin-ce” la mattina del 28 agosto 1943. Afare l’appello degli sfortunati marinaiè stato Vincenzo Baldassarre, dele-gato della locale Sezione ANMI, ag-gregata al Gruppo “Cap. GN EugenioCorradino Amatruda” di Crotone. Uncommosso omaggio alla memoria diquei caduti che è scaturito da unamanifestazione tenutasi presso laLega Navale di Cirò Marina nel 75°dal siluramento dell’unità: la presen-tazione del libro di Antonio Luigi

Marrazzo “E il vento soffiava sulponte della Lince”. Marrazzo, damolti anni residente a Busto Arsizio,è socio sia di quel Gruppo che delGruppo “Amatruda” - Sezione ag-gregata di Cirò Marina, dove è nato.La ridente città jonica calabrese, incui torna per lunghi soggiorni ognianno, è la culla di ricordi d’infanzia,affetti familiari e innumerevoli amici-zie, ma anche di emozioni e senti-menti alla base del suo libro. La Re-gia Torpediniera “Lince” si era are-nata il 4 agosto del 1943 sulla spiag-gia di Punta Alice, poco a nord del-l’allora frazione Marina di Cirò. Peroltre tre settimane erano andatiavanti infruttuosi tentativi di disinca-gliarla e tra la locale popolazione el’equipaggio, in gran parte sbarcatoa terra e attendato sulla spiaggia,era nato un rapporto quasi fraterno.Poi, il 28 agosto di quell’anno, il silu-ramento da parte del sommergibilebritannico “Ultor” aveva generato laperdita dell’unità, i suoi morti e inter-rotto l’affabile dialogo quotidiano tracivili e militari. Marrazzo, come evi-denzia la presentazione del libro cu-rata da Bruno Scarpelli, ha dedicatocinquant’anni della propria vita allaricerca dei superstiti e dei familiaridei caduti, alla raccolta di testimo-nianze e fotografie e all’organizza-zione di raduni nel nome della “Lin-ce”. Va dato merito a questa Rivistadi aver favorito la stesura del libro.Infatti, non sarebbe probabilmentemai stato scritto se l’interesse e lacuriosità dell’autore non fosserostate stimolate da un articolo di Giu-seppe Cristiani sull’eroico trasferi-mento dell’unità da Tripoli a Trapanipubblicato proprio su “Marinai d’Ita-lia” , numero di febbraio 1984. GiulioGrilletta, consigliere del Gruppo“Amatruda” e autore della prefazio-ne, si è soffermato sul contesto sto-rico-militare nel quale si collocanogli ultimi giorni della “Lince” e hasottolineato la capacità di Marrazzodi far emergere quel lato umano del-la vicenda che i documenti ufficialinon riportano o non evidenziano ab-bastanza. Per l’ex senatore ed exsindaco Nicodemo Filippelli l’operadel suo conterraneo ha anche il pre-gio di presentare scene di vita del-l’antico borgo marinaro ed esaltarel’indole generosa e solidale degliabitanti. Erano presenti alla manife-stazione il fratello di Luigi Cravotta,di guardia sul ponte di poppa al mo-mento della mortale esplosione, e ilfiglio di Francesco Donnici, marinaiosopravvissuto che Marrazzo ha più

volte incontrato. Per Antonio Gallel-la, presidente della locale Lega Na-vale, la presentazione del libro è sta-ta un esempio di collaborazione conl’ANMI sulla scia di tradizioni e valo-ri condivisi dalle due associazioni.

Rudy Guastadisegni

GENTILUOMI DI MAREMare di carta editore

T utti i marinai, tutti gli uomini dimare vivono avventure di ogni

tipo, a volte poco simpatiche, a voltepiacevoli, spesso divertenti ma co-munque sempre avventure. Storie estorielle, tutte vere, che si racconta-no volentieri nelle lunghe notti dibordo tra una guardia e l'altra osemplicemente nei salotti di casa odei circoli davanti ad un caminettoacceso ed un televisore spento.Spesso sono nude cronache di av-venimenti storici o di ricordi sbiaditima a volte sono anche gustose sto-rielle con una sana morale finaleche strappano un sorriso di compia-cimento se non addirittura delle so-nore risate. Da esse traspare lo spirito goliardi-co della gente di mare, il desideriodi strappare un sorriso negli inter-valli della dura vita del marinaio, delpescatore, del velico e di tutti colo-ro che sul mare hanno vissuto an-che per puro divertimento come di-portisti, bagnanti e subacquei. Tuttihanno qualcosa da raccontare etutti si possono riconoscere neimolti dei protagonisti perché sonopiccole avventure che in forme di-verse ognuno di noi, uomini di mare,vive nell’arco della propria attivitàmarinara.Sono le raccolta delle migliori storiedi mare pubblicate nei 15 anni di at-tività dell’omonimo giornalino.

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Recensioni di Paolo Pagnottella

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