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Marinai d’Italia MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MARINAI D’ITALIA Anno LXII n. 3 • 2018 Marzo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma “Una volta marinaio... marinaio per sempre” Varo di Nave Marceglia

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Marinaid’ItaliaMENSILE

DELL’ASSOCIAZIONENAZIONALE

MARINAI D’ITALIA

Anno LXII

n. 3 • 2018Marzo

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento

Postale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n° 46)art. 1 comma 1 - DCB Roma

“Una volta marinaio... marinaio per sempre”

Varo di Nave Marceglia

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Mi è capitato di incontrare alcuni compa-gni di scuola e di classe di mio nipote,11 anni, quinta elementare, ai quali

avevo iniziato a parlare del significato delle duegiornate, della memoria (inerente la Shoah) edel ricordo (massacro nelle foibe ed esilio degliitaliani giuliano-dalmati). Ero partito dal pre-supposto che ne avessero già parlato i loro in-segnanti a scuola, inquadrando così gli eventinel corretto contesto storico. Uno di questi ra-gazzini mi ha guardato con aria davvero meravi-gliata e mi ha chiesto se la Seconda GuerraMondiale fosse, per caso, un nuovo video-gamee da dove lo avessi scaricato. La mia iniziativa siè arrestata subito, per non ingenerare altra con-fusione. Poi, mi sono fatto da loro riferire suiprogrammi di storia ed ho scoperto che da anni,alle elementari, il programma di storia arriva(forse) alla caduta dell’impero romano. Cioè, adodici anni non si ha ancora notizia di MedioEvo, Repubbliche Marinare, Risorgimento, Gari-baldi, Prima Guerra Mondiale, temi che gli stu-denti affronteranno (e non approfondiranno)per la prima volta alle medie. Ho chiesto loro se,in casa, magari qualcuno avesse parlato delleguerre mondiali, ricevendo risposte unanimima… negative. Ho riflettuto molto su questa le-zione, poi ho considerato che noi, negli anni ’50e ’60, avevamo nonni e padri viventi che aveva-no combattuto in quelle guerre, parenti che ave-vano vissuto la terribile esperienza dei bombar-damenti. Ne avevamo ricavato aneddoti e rac-conti, conoscevamo le armi principali ed i loroeffetti. Così a nostra volta, abbiamo affrontatole “nostre” esperienze di guerra (fortunatamen-te non coinvolti di persona), che si chiamanoCorea, Vietnam, Sei giorni, Yom Kippur.

Pochi di noi hanno “partecipato” alla spedizionein Libano, alle missioni nel Golfo, tutti eravamodavanti alla televisione quando scattò l’opera-zione “Desert Storm”, abbiamo visto il bombar-damento di Baghdad, la dissoluzione dell’eser-cito di Saddam Hussein. Dei nostri soldati in Af-ghanistan poco se ne è parlato, salvo quandorientravano a Ciampino in una bara avvolta neltricolore, col Presidente della Repubblica che netoccava i lembi. I genitori di un tredicenne, oggi,hanno, a dir tanto, quaranta anni: non hannoavuto mai alcun sentore di guerra (salvo non fos-se mediato da uno schermo TV) perché l’ultimasu suolo europeo è stata la guerra in Iugoslavia(anni ’90) e loro erano giovani spensierati e gau-denti. Proviamo a chiedere loro chi era il Presi-dente del Consiglio nel 1999 quando aerei italia-ni furono mandati a bombardare postazioni mi-litari in Serbia e dovremo accontentarci di rispo-ste folkloristiche, tipo (il solito) Berlusconi oGengis Khan (per la cronaca, era Massimo D’A-lema). E stiamo parlando di un periodo a noiprossimo, vent’anni fa, dunque non meraviglia-moci che un adolescente non conosca la storiadi settanta anni fa! Ignorare la storia, almeno persommi capi, a quell’età, li rende vulnerabili, prividi riferimenti, disponibili a credere a tutto conampia probabilità di ripetere errori del passatopoiché credono di fare cose nuove e geniali. Fac-ciamo pure tutte le giornate della memoria e delricordo, ben vengano e anzi solennizziamole, macredo che il miglior contributo all’educazionedei nostri giovani sia dato dall’insegnare loro lastoria, ed insegnargliela bene, fin dalla più gio-vane età. Perché poi, a 18 anni (e c’è chi vorrebbeanticipare a 16) andranno a votare!

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Editoriale del Presidente Nazionale

Insegnare la storia...

Il 20 marzo u.s. il Presidente Nazionale, Ammiraglio di Squadra (r) Paolo Pagnottella,ha reso visita ufficiale al nuovo Comandante Generale delle Capitanerie di Porto/Guardia Costiera,

Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Giovanni Pettorino

Contributi 2018

Gruppo di Boston (USA) € 23,31

Giacomo de Pasquale, socio del Gruppo di Ponte nelle Alpi (BL) € 40,00

Gruppo di Suzzara (MN) € 50,00

Aldo Aceto, socio del Gruppo di Pordenone“In memoria del padre C.C. (CS) Giuseppe Aceto nel 20° anniversario della scomparsa” € 20,00

Gruppo di Melbourne (Australia) € 166,24

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Avvisoai Naviganti

N ella fase di valorizzazionedelle foto inviate alla Presi-

denza Nazionale a cura dei Grup-pi, a testimonianza delle varie at-tività effettuate, è stato rilevatocome, in diverse circostanze, al-cuni Soci vestano in forma noncorretta la divisa sociale: peresempio il pantalone blue jeans,camicia celeste, cravatta diversada quella sociale, ecc... Ciò è sta-to in particolare riscontrato in oc-casione di manifestazioni e ceri-monie di carattere ufficiale, allapresenza di organi istituzionali.Soprattutto allo scopo di tutela-re l’immagine dell’ANMI versol’esterno ed in tutti i contesti(formali e non) possibili, si ri-chiama allo scrupoloso rispettodelle norme per l’impiego delladivisa sociale riportate nel “Re-golamento di attuazione delloStatuto dell’ANMI” (ed. 2012),specificando che NON sarannopubblicate foto che ritraggonoSoci in disordine nella divisa.Con l’occasione si richiama altre-sì l’attenzione in merito ai contri-buti fotografici inviati alla Presi-denza Nazionale per la loroeventuale pubblicazione sul“Diario di bordo”. Per ragioni re-dazionali è opportuno che i sin-goli file fotografici abbiano unarisoluzione ottimale per lastampa di 300 dpi e una misuradi base pari a 10 cm., (che dimassima corrisponde al “peso”di 1,2 megabyte). Inoltre si ram-menta che il file fotografico do-vrà essere inviato separatamen-te dalla parte redazionale (dida-scalia o testo) a cui è riferito equesta dovrà pervenire in forma-to Word (altri formati, tipo JPEG oPDF non saranno tenuti in consi-derazione per la pubblicazione).A riguardo, la trattazione dellefoto pervenute alla PresidenzaNazionale su carta fotograficasarà in vigore sino al 31 mag-gio 2018; oltre tale data saran-no accettate esclusivamenteimmagini fotografiche in forma-to digitale (secondo le caratteri-stiche di cui sopra) da inviare al-la casella di posta elettronicadella redazione:[email protected]

LA REDAZIONE

DIARIO DI BORDOMARINAI D’ITALIA

In copertinaNuova linfa per la MM:l’ottava FREMM Antonio Marcegliail giorno del varo

1 Editoriale del Presidente Nazionale

4 Varo di Nave Marceglia

7 Thomas J. Somerscales“Off Valparaiso”

8 d’Annunzio a Buccari

12 La scomparsa del sommergibile argentinoSan Juan

15 Crociera dei Marinai d’Italia 2018 MSC Poesia

18 Brevi imbarchi di Soci ANMI sulle Navi Scuola

20 Il gatto centenario

22 Galeazzi

24 Le cartoline raccontano

26 Primo Longobardo tra mito e leggenda

28 ANAIM Foglio informativo

30 Gli italiani “dall’altra parte” nella Grande Guerra

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pag. 30

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Sommario

Direttore responsabileGiovanni Vignati

VicedirettoreAngelo Castiglione

RedazioneAlessandro Di Capua, Gaetano Gallinaro,Massimo Messina, Daniela Stanco,Beppe Tommasiello

Direzione, Redazione e Amministrazionec/o Caserma M.M. Grazioli LantePiazza Randaccio, 2 - 00195 RomaTel. 06.36.80.23.81/2Fax 06.36.80.20.90

Sito webwww.marinaiditalia.com

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Iscrizionen. 6038Reg. Trib. Roma 28 novembre 1957

Progetto grafico e impaginazioneRoberta Melarance

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Numero copie35.850

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Ambedue i conti intestati aAssociazione Nazionale Marinai d’ItaliaPresidenza Nazionalec/o Caserma M.M. Grazioli LantePiazza Randaccio, 2 - 00195 Roma

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La pioggia accompagnal'ultimo viaggio del vecchio Arditoattraverso lo Stretto di Messina

(foto Paolo Cangemi)

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ricco di commesse abbia una ricadutaoccupazionale sul territorio;

• l’Amministratore Delegato di Fincantieri,Dott. Giuseppe Bono che in particolareha detto: “con l’operazione STX ci siamopresi un pezzo di Francia. Ma se fossesuccesso il contrario, in Italia nessuno sisarebbe schierato a difesa dell’Industrianazionale come invece hanno fatto loro“e, continuando “abbiamo dato l’opportu-nità al Paese di non essere sempre suc-cube e di giocare un ruolo da protagoni-sta nel progetto di difesa comune euro-pea“; infine ha voluto sottolineare che“senza la legge navale Fincantieri nonavrebbe potuto quotarsi in borsa“;

• il CSMM, Amm. Valter Girardelli, ha com-mentato come senza unità navali comequelle di prossimo varo “non si può cor-rispondere ai compiti di presenza e sor-veglianza e garantire la sicurezza marit-tima nei bacini in cui è necessario tutela-re gli interessi del nostro Paese“;

• il Ministro della Difesa, Senatrice Ro-berta Pinotti ha evidenziato “la neces-sità che il mare sia presidiato per la si-curezza del Mediterraneo“ e, inoltre,“la necessità di passare attraverso l’in-tegrazione industriale per arrivare aduna difesa europea e che le FREMM nerappresentano l’esempio“.La benedizione dell’unità è stata impartitadal Cappellano Militare della Guardia di Fi-nanza per la Liguria Don Fabio Pagnin. Diseguito la “Preghiera del Marinaio”, quindi,su invito del Direttore del Cantiere, Ing. LucaMaggiolo, la Madrina ha tagliato il “cavet-to”, sbloccando la tradizionale “bottiglia”

7Marinai d’Italia Marzo 2018

A fare gli onori di casa il Presidente diFincantieri Giampiero Massolo e l’Ammi-nistratore Delegato della Società Giu-seppe Bono.Hanno preso la parola nell’ordine: • il Presidente della Regione Liguria, Dott.Giovanni Toti;

• il Rappresentante delle Maestranze,Sig. Marco Mezzetta che ha sottolineatocome questo successo di Fincantieri

6 Marinai d’Italia Marzo 2018

Manifestazioni e Cerimonie

Varo di Nave MarcegliaA.S. (r) Roberto Camerini - Delegato Regionale per la Liguria

S abato 3 febbraio 2018, presso il Can-tiere Navale di Riva Trigoso (GE) diFincantieri, si è tenuta la cerimonia

del varo della Fregata Antonio Marceglia. L’Unità è l’ottava del programma FREMMche prevede la realizzazione di dieci Fre-gate Europee Multi Missione, commissio-nate a Fincantieri nell’ambito dell’accordodi cooperazione internazionale tra l’Italia ela Francia con il coordinamento di OCCAR,l’Organizzazione congiunta per la coope-razione europea in materia di armamenti. Già in servizio 6 unità della stessa Classe:Bergamini, Fasan, Margottini, Carabiniere,Alpino e Rizzo, Martinengo in allestimentopresso il Cantiere del Muggiano, Marce-glia appena varata. In costruzione pressoRiva Trigoso: Schergat e Bianchi.

Lo schieramento d’Onore alla cerimoniacomprendeva:• Bandiera del Raggruppamento Subac-quei ed Incursori;

• Labaro del Nastro Azzurro (Prov. Genova); • Medagliere della M.M.; • Gonfaloni della Regione Liguria, Città diGenova e Comune di Riva Trigoso;

• 17 Vessilli di 16 Gruppi ANMI della Dele-gazione Liguria e del Gruppo ANMI diBergamo (il Comandante designato diNave Marceglia, il C.F. Francesco Fa-gnani, è nativo di Bergamo).Madrina al varo la Signora Silvia Marce-glia, nipote dell’eroe cui è intitolata l’u-nità, accompagnata dal C.F. Fagnani. Massima Autorità Politica, il Ministrodella Difesa, Senatrice Roberta Pinotti.Erano presenti anche il Presidente dellaRegione Liguria Giovanni Toti ed ilCSMM, Ammiraglio di Squadra Valter Gi-rardelli con delega anche del CSMDGen. Claudio Graziano, oltre a numeroseAutorità civili e militari.

Reportage fotografico e copertina del Socio Renato Ruffino del Gruppo di Savona

La bottiglia si infrange sulla propra del Marceglia

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che si è infranta sulla fiancata (e ciò secon-do la tradizione navale, è di buon auspicioper la vita della nave). Sono seguite le operazioni di varo facendoavanzare l’unità solo per alcuni metri at-traverso carrelli ruotati ove essa era statain precedenza messa in appoggio. In fase successiva il Marcegliaè stato tra-sferito su pontone galleggiante e rimor-chiato alla Spezia, Cantiere del Muggiano,ove è iniziata la fase di allestimento i cuilavori saranno ultimati nel 2019. Presenti alla cerimonia per l’AssociazioneNazionale Marinai d’Italia: • il D.R. ed il C.N. per la Liguria; • Rappresentanze con Vessillo dei seguen-ti 16 Gruppi della Delegazione Liguria: Alassio, Cicagna F., Diano Marina, FinaleLigure, Genova, La Spezia, Moneglia,Pietra Ligure, Rapallo, Sarzana, Savona,Sestri Levante, Sori, Varignano/lncursorie Ventimiglia;

• Rappresentanza con Vessillo del GruppoANMI di Bergamo.La fregata porta il nome del Capitano diVascello del Genio Navale Antonio Mar-ceglia incursore della X Flottiglia MAS chenella notte tra il 18 ed il 19 dicembre del1941 partecipò all’azione contro Alessan-dria d’Egitto affondando, insieme al 2 CapoPalombaro Spartaco Schergat, la nave dabattaglia inglese Queen Elizabeth.Con R. Decreto del 31 agosto 1944 gli fuconcessa in vita la Medaglia d’Oro al Va-lore Militare.La cerimonia si è svolta in una situazionemeteorologica favorevole ma con unfreddo glaciale.

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8 Marinai d’Italia Marzo 2018

Cultura Marinara

Una rappresentanzadel Gruppo di Alassio

Prima della cerimonia del varo davanti ai 16 Vessilli schierati, il nuovo D.R. per la Liguria, Amm. Sq. (r) RobertoCamerini, ha consegnato un attestato di benemerenza , per conto della Presidenza Nazionale dell’ANMI, all’Amm.Nicola Sarto, per l’impegno, la serietà, la continuità e la passione profusi quale Delegato Regionale della Liguria,incarico ricoperto dal 1992 sino al 31.12.2017.

L a pittura di marina di scuola britannica è sicuramente la piùvasta e di qualità in questo specifico genere, e sono nume-rosissimi gli artisti inglesi che, dal Settecento ai giorni no-

stri, hanno raggiunto nel settore vette artistiche e documentali dipiù che considerevole valenza. In particolare, tra la seconda metàdell’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso, oltremanica siè assistito ad un’autentica fioritura artistica in questo ambito, conpittori quali William M. Willie, Charles Pears e Norman Wilkinsonle cui opere rientrano di diritto tra la migliore produzione del pe-riodo e raggiungono notevoli quotazioni nelle aste britanniche estatunitensi, oltre ad essere esposte nelle più quotate gallerie lon-dinesi e del Regno Unito. In questo panorama, la figura di ThomasJ. Somerscales è abbastanza atipica e “indipendente”: figlio di uncapitano di lungo corso, nacque a Kingston upon Hull nel 1847 eben presto iniziò una carriera di insegnate tecnico con la RoyalNavy. In quel periodo diede avvio, su basi del tutto autodidattiche,ad un’attività collaterale di pittore amatoriale: caratteristica di fa-miglia, dato che il padre e uno zio erano essi stessi grafici dilet-tanti, disegnatore il primo e pittore il secondo. Nel 1864 Somersca-les visitò Valparaiso, in Cile, per la prima volta, e si stabilì in quellastessa città nel 1869, dopo aver contratto la malaria nel corso diun viaggio ai tropici nell’Oceano Pacifico. In Cile, Somerscalesproseguì la sua attività artistica su basi professionali, partecipan-do a numerose mostre e esposizioni di pittura di marina e guada-gnandosi una fama che, ben presto, lo rese noto anche in patria.

Rientrò nel 1915 in Gran Bretagna, stabilendosi nella città nataledi Kingston upon Hull ove, sino alla sua morte (1927), proseguìl’attività di pittore di marina; il suo quadro più famoso è sicura-mente “Off Valparaiso” (“Al largo di Valparaiso”), realizzato inCile nel 1899, che qui presentiamo.L’opera (olio su tela), è oggi esposta alla Tate Gallery di Londra,che la acquistò dopo che questa era stata esposta alla RoyalAcademy nei primi anni Venti, e presenta tutti gli aspetti che me-glio evidenziano l’arte di Thomas J. Somerscales, ossia un’ec-cezionale fusione tra elementi naturali (il mare e il cielo), nautici(la corretta raffigurazione di scafi, alberature e manovre) e una“dinamicità” che coinvolge l’appassionato, l’osservatore e chiper mare ha navigato e conosce la realtà di questi elementi.Una “nave attrezzata a nave” (cioè un veliero a tre alberi convele quadre) naviga al gran lasco al largo di Valparaiso, e si pre-para ad imbarcare il pilota, la cui imbarcazione (siamo in SudAmerica alla fine dell’Ottocento…) è una semplice lancia a remiche sfida le onde dell’Oceano Pacifico.Va evidenziata la corretta disposizione della velatura, in riferi-mento alla situazione in cui il tre alberi è raffigurato. Come detto,il bastimento naviga al gran lasco ma deve mantenere rotta estabilità, riducendo nel contempo la velocità. I due fiocchi por-tati “a farfalla” favoriscono quindi il mantenimento della rottacon un’andatura portante, ma le scotte delle vele superiori deitre alberi sono state allascate per ridurre la velocità e lo sban-damento: velaccino e controvelaccino (al trinchetto), velaccio econtrovelaccio (alla maestra), belvedere e controbelvedere (al-la mezzana) sono quindi già sventati e il veliero, maestosamente,riduce l’abbrivo e si prepara a ricevere il pilota a bordo.La nave raffigurata è un tipico tre alberi con scafo in ferro, lar-gamente impiegato dalle principali marinerie sul finire dell’Otto-cento, le cui forme di scafo e la cui velatura sono mutuate daquelle dei famosi “clipper” del the e della lana in attività alcunidecenni prima.

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(1) L’autore cura, a partire da agosto 2017, anche una rubrica dedicata alla “pittura di marina” sul mensile Il Mare

Manifestazioni e Cerimonie

Pittori di MarinaThomas J. Somerscales“Off Valparaiso”Maurizio BresciaDirettore editoriale di Storia militareSegretario del Gruppo di Savona 1

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11Marinai d’Italia Marzo 2018

il coraggio che è già impaziente di misurarsicol pericolo ignoto. Se vi dicessi dove andia-mo, io credo che non vi potrei tenere dal bat-tere una tarantella di allegrezza. Ma avetecerto indovinato dalla cera del vostro Coman-dante, che questa volta getta il fegato più lon-tano che mai. Ora il suo fegato è il nostro, an-diamo laggiù a ripigliarlo. Siamo un pugno diuomini su tre piccoli scafi. Più dei motori pos-sono i cuori. Più dei siluri possono le volontà;e il vero treppiede della mitragliatrice è lo spi-rito di sacrificio. Da poppa a prua ordigni edarmi, vigilanza e silenzio, niente altro. La notteè senza luna e noi non invochiamo le stelle.V’è una sola costellazione per l’anima sola: labuona causa. Per lasciare un segno al nemi-co portiamo con noi tre bottiglie, suggellate ecoronate di fiamme tricolori. Le lasceremo agalla stanotte, laggiù nello specchio d’acquaincrinato, tra i rottami e i naufragi che avremocolpito. In ognuna è racchiuso questo cartellodi scherno: “In onta alla cautissima flotta au-striaca occupata a covare senza fine la glo-riuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuo-co a scuotere la prudenza nel suo più comodorifugio i marinai d’Italia, che si ridono di ognisorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osa-re l’inosabile. E un buon compagno, ben noto,il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicis-simo, quello di Pola, di Cattaro, è venuto conloro a beffarsi della taglia. l0 febbraio 1917 Ga-briele d’Annunzio”.La nostra impresa è tanto audace che già que-sta partenza è una vittoria sopra la sorte. Perciascuno di voi l’averla compiuta sarà un ono-re perpetuo. Domani il vostro nome dorato co-me il siluro e dritto coma la sua traiettoria tra-verserà l’aspettazione della Patria. Ciascunodi voi oggi deve dare non tutto sé, ma più chetutto sé, deve operare non secondo le sue for-ze, ma al di là delle sue forze. Lo giurate? Com-pagni, rispondetemi!”. Urlarono “Lo giuro!”,poi ricevettero da lui una bandierina tricolore“non più grande d’un cuore umano”, comespiegò, in segno d’unione di ciascuno allo spi-rito della Patria. Si imbarcarono e partirono.

Lasciarono l’ormeggio nella mattinata, ap-poggiati da due gruppi di caccia e uno di tor-pediniere.Il 1° Gruppo, del capitano di fregata Lodolo,composto dall’esploratore Aquila e dai cac-cia Acerbi, Sirtori, Stocco, Ardente e Ardito,doveva ancorarsi a destra della foce del Poe tenersi pronto ad intervenire. Il 2°, coman-dato dal capitano di fregata Arturo Ciano, fra-tello di Costanzo, includeva i caccia Animo-so, Audace ed Abba e doveva rimorchiare iMAS fino a Sansego, dove avrebbe passatole cime alle torpediniere 12 PN, 13 PN e 18PN, componenti il 3° Gruppo del capitano dicorvetta Spano. Ad esse spettava il rimor-

la sigla M.A.S.: che voleva dire? Semplice-mente “Motoscafo Armato S.V.A.N.”, doveS.V.A.N. stava per “Società Veneziana Auto-mobili Navali”; l’acronimo poi era divenuto“Motoscafi Armati Siluranti” e infine “Moto-scafi Anti Sommergibili.”Brutto, a d’Annunzio non piaceva proprio; bi-sognava trovare un significato più bello, unmotto. Procaccini suggerì: “Motum AnimatSpes”. Non suonava bene, non per d’Annun-zio, che lo sostituì seduta stante con Memen-to Audere Semper; e quello è rimasto.Alle 18,15 i caccia passarono i cavi alle torpe-diniere, le quali, alle 18,30, assunta la forma-zione in linea di fila, puntarono verso Unie.

chio dal Punto O – Sansego – al Punto A, lacongiungente fra le punte Kabile, sull’isola diCherso, e Sant’Andrea, in Istria. Da là e per50 miglia i MAS sarebbero andati avanti dasoli fino all’obiettivo, per poi ritornare, se nefossero stati capaci. Due sommergibili eranodestinati all’agguato, rispettivamente l’F3 a15 miglia a est di Pola e l’F5 a 15 miglia a suddi Capo Promontore.Secondo i rapporti, i caccia e i MAS lasciaro-no Venezia alle 10,45 di domenica 10 febbraio1918. La navigazione fu tranquilla. D’Annunzioera sul MAS 96 di Rizzo, insieme a CostanzoCiano. Dormì un po’ su una bomba di profon-dità colla testa su un salvagente, mangiò ilpranzo fatto dalla sua cuoca, portato da casain una cesta e servitogli su due assicelle, macon porcellane, argenterie ed il tocco dellochampagne, che divise con Ciano e Rizzo, poidiscusse con Angelo Procaccini, il volontariomotonauta che era al timone, a proposito del-

Alle 22,15 i MAS lasciarono il rimorchio e,mentre le torpediniere dirigevano per rientra-re, procedettero da soli per il Canale della Fa-resina. Erano a un miglio dalla costa e il nemico nonli aveva scorti. Sfilarono a tiro di fucile dallebatterie di Prestenizza, coi motori a benzinache facevano un chiasso spaventoso, quasiper nulla attutito dai materassi con cui li ave-vano coperti. Passarono ai propulsori elettricie silenziosamente scivolarono nella baia, pri-ma il “96”, poi il “94”, ultimo il “95” e si avvi-cinarono ai bersagli, ma scoprirono che nonc’erano più. O meglio, Procaccini avvistòquattro sagome, ma dopo un istante si reseroconto che, invece del naviglio da guerra se-gnalato dagli aerei, c’erano tre mercantili eun vapore passeggeri.Abbiamo quattro versioni dei fatti. La prima,quella ufficiale, è il rapporto di fine missio-ne di Costanzo Ciano, secco, asettico, pre-

10 Marinai d’Italia Marzo 2018

Grande Guerra

L a Beffa di Buccari è ricordata – quandolo è – più per la “canzone del Carnaro”di d’Annunzio che per quanto fece la

Regia Marina. Ma senza di questa la beffanon ci sarebbe stata; e sarebbe un peccatoperché ebbe un’eco enorme, per tanti motivi.L’idea era di penetrare in una base nemica esilurarvi le navi maggiori viste in precedenzadai ricognitori. Non che la Marina avesse bi-sogno di d’Annunzio per farselo suggerire,ma solo gente come lui – o come Ciano e Riz-zo – poteva pensare d’andare coi MAS aBuccari. Le acque non erano affatto facili: ilsommergibile Pullino vi si era irrimediabil-mente incagliato due anni prima sullo scogliodella Galiola pur avendo a bordo NazarioSauro, ottimo e ineguagliato conoscitore ditutta la costa adriatica da Venezia a Valona; ele possibilità di tornare andavano, secondologica, da zero a meno di zero.Per chi guarda la carta nautica, la baia diBuccari, a Sud di Fiume, ha l’aspetto di unaocarina – come scrisse d’Annunzio – o d’unsommergibile capovolto. Vi si entra dalla fal-satorre, un canale lungo circa 800 metri, le cuisponde hanno l’aspetto rudimentale: quellaNord d’una E e quella Sud di un 3, in esattacontrapposizione fra loro. Per cui si passa pertre restringimenti e due allargamenti. Il primorestringimento è l’entrata del canale che è

ampio circa 800 metri mentre l’ultimo, la basedella falsatorre che immette nella baia, è di250-300 metri soltanto.Proseguendo nella similitudine fra baia esommergibile, una volta scesi nello scafo siha a destra, a Sudest, la prua del battello e asinistra, a Nordovest, Buccari, all’estremitàdi poppa, diciamo all’altezza dell’elica, cioè auna distanza di circa 2 miglia dall’ingressonella baia e di tre miglia abbondanti dallosbocco in mare. Ovviamente la baia, come loscafo d’un sommergibile, verso poppa si as-sottiglia e passa da un’ampiezza di un chilo-metro quando si entra e si vira a sinistra aquella di un centinaio di metri all’estremità.La larghezza media dell’ultimo miglio da per-correre è pari a 500 metri scarsi.Riassumendo: bisognava attraversare l’A-driatico, svicolare fra l’Istria a Nord e le isoledi Unie, Lussino, Cherso e Veglia a Sud, tuttein mano al nemico; infilarsi in un vero e pro-prio budello, dominato dall’artiglieria costie-ra a Porto Re; percorrere tre miglia fino alporto, silurare e tornare indietro. Ammesso dinon essere scorti all’andata e ammesso dinon essere cannoneggiati o mitragliati fra l’I-stria e le isole, ammesso di non essere visti ecannoneggiati nel canale e allo sbocco nellabaia, ammesso di poterla risalire per due mi-glia sempre senza essere visti né colpiti e di

non essere colpiti dopo aver lanciato e, sisperava, di aver affondato il naviglio nemico,era del tutto illogico pensare di poter uscireriguadagnando il largo. Attenzione: non dipoter uscire con pochi danni o senza danni,semplicemente di poter uscire, in assoluto,data la base antisommergibili del Canale del-la Faresina.Considerando infine che su d’Annunzio pen-deva fin dall’inizio della guerra una taglia di20.000 corone d’oro, il fatto che avesse prete-so e ottenuto di partecipare alla missione ladice lunga su che pasta d’uomo fosse.La Regia Marina ci pensò, ponderò e accettò.Si stabilì che l’impresa fosse nel periodo il-lune di gennaio, ma il maltempo obbligò aposticiparla due volte e si finì per fissarla al-le primissime ore del mattino dell’11 feb-braio 1918.A d’Annunzio la data piacque moltissimo.Considerava quel giorno “caro alla mia su-perstizione”, un suo numero fortunato: l’11settembre 1909 aveva fatto il suo primo volo,adesso Buccari e, in memoria di Buccari, nel1919 avrebbe poi chiesto ai Giurati di Ronchid’entrare a Fiume l’11 anche se di settembre.L’azione fu affidata ai MAS 94, 95 e 96 alle di-pendenze di Costanzo Ciano. Il “94” era co-mandato, come a Muggia, dal cinquantaquat-trenne Andrea Ferrarini adesso sottotenentedel Corpo Reale Equipaggi; il “95” dal quaran-tacinquenne tenente di vascello di comple-mento Profeta De Santis e il “96” dal capitanodi corvetta Luigi Rizzo, con cui si imbarcaronopure Ciano e d’Annunzio.Ognuno si occupò di ciò che sapeva fare me-glio. Gli uomini della Marina pensarono agliaspetti militari, d’Annunzio a quelli morali e dipropaganda. Cominciò col preparare un mes-saggio per gli Austriaci, da lasciare in mare intre bottiglie con nastri tricolori. Poi scrisseun’allocuzione e prima di partire la lesse agliequipaggi. Fu un grande successo. Disse loronon dove sarebbero andati ma che non sa-rebbero tornati. E li entusiasmò: “Marinai,miei compagni, questa che noi stiamo percompiere, è una impresa di taciturni. Il silen-zio è il nostro timoniere più fido. Perciò nonconviene un lungo discorso a muovere in voi

“Siamo trenta su tre gusci,su tre tavole di ponte...”d’Annunzio a BuccariCiro Paoletti - Storico

Beffa di Buccari - d’Annunzio leggea Costanzo Ciano il testo del messaggio

Rizzo, d'Annunzioe Costanzo Ciano

Procaccini, Rizzo e d'Annunzioa Venezia il 10 febbraio 1918prima della partenza per Buccari

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dei Mas si era rapidamente dileguato”. Daquesto si deduce che Faresina non avevadato alcun allarme al loro ingresso, altrimen-ti li avrebbero chiusi in trappola tagliando lo-ro la ritirata; dunque è implicitamente chiaroche gli Austriaci si misero in moto solo quan-do scattò l’allarme dopo l’attacco e i MASuscirono diretti al largo a 22 nodi, ecco per-ché “il rumore dei Mas si era rapidamentedileguato”: li avevano inseguiti quando era-no già in acque aperte, non in quelle chiusedella baia e del canale, dove il rumore non sisarebbe dileguato.Ma il colmo della sfacciataggine auto-giusti-ficatoria si ebbe quando gli Austriaci scris-sero che “L’affermazione che un siluro fosseesploso non è del resto fondata stando ai piùaccreditati rapporti italiani. Restando nellarealtà sembra infatti che la si debba esclu-dere, perché essa avrebbe immediatamentegettato l’allarme, mentre effettivamente iltentativo venne scoperto soltanto dopo chefurono ripescati i siluri affondati.” Infatti ènoto che in ogni Marina, durante una guerra,tutte le mattine ci si dedica alla pesca al si-luro in tutti i porti. Li si cerca comunque, apriori, ci sia stata o meno un’incursione nellanotte. Quindi, avendoli trovati e solo perchéli avevano trovati, gli Austriaci avrebberodedotto d’aver subito un attacco; ma allora,se non si erano accorti dell’incursione, le“unità di caccia ai sommergibili” che ricer-ca avevano intrapreso per poi doverla ab-bandonare? In più, nelle righe immediata-mente precedenti della relazione ufficiale,gli Austriaci avevano esordito dichiarandoche “un siluro esplose senza aver raggiuntoun bersaglio visibile, i siluri rimanenti ven-nero recuperati nel corso del giorno suc-cessivo.” Allora: non è che si erano accorti

dell’attacco solo perché avevano pescato isiluri l’indomani, ma li avevano trovati per-ché li avevano cercati dopo aver sentito ilbotto; però in nota, nella stessa pagina, deitrovati ne elencarono solo tre, non sei enemmeno cinque, solo tre; e gli altri? In chiusura i nemici si consolarono sottoli-neando che la promessa di d’Annunzio “rima-se inadempiuta”, perché non era stato affon-dato nulla. Ma si diedero di nuovo la zappa suipiedi nelle righe immediatamente seguenti,quando scrissero che “il comando della ma-rina austro-ungarica inclinava a intraprende-re una vigorosa offensiva contro i MAS italia-ni, se non fosse stato possibile di costruirnedei simili. Poiché non vi erano altre possibilitàdi colpire decisamente questa nuova arma, sidecise di spingere l’attacco contro i MAS finnel loro porto di base: Ancona.” Quella d’An-cona ai primi d’aprile del ‘18 fu un’incursioneorganizzata troppo in fretta e perciò finì in unaltro fallimento, ma allora perché farla così dicorsa? Per paura di altre perdite. Perché sel’affondamento del Wiena Muggia poteva es-sere stato un fatto isolato e l’iniziativa d’un co-mandante che aveva portato la sua nave e ilsuo equipaggio all’estremo, Buccari avevadimostrato che no: quella non era l’eccezio-ne, era la regola e poteva ripetersi; e con per-dite, con alte perdite.Al di là del successo morale e di propaganda,al di là di ogni altra considerazione non mili-tare, sul piano tattico l’impresa di Buccari erauna campana a morto per l’Imperial RegiaMarina da Guerra e un campanellino a festaper la Regia Marina, che si sarebbe tramutatoin uno scampanio trionfale sul piano strategi-co nel giro di quattro mesi esatti.Due note di colore adesso, una molto praticae una da pettegoli maldicenti.

Quella pratica è che l’eco dell’impresa di Buc-cari fu enorme. Finì su tutti i giornali. Le tre bot-tiglie coi nastri tricolori erano un toccasana, unbalsamo sulla recentissima ferita di Caporetto,peraltro già curata dalla strenua resistenza sulPiave. D’Annunzio narrò l’azione, poi scrisse la“canzone del Carnaro” e pubblicò entrambe –più l’elenco dei partecipanti, il “cartello”, cioèla lettera, e due carte nautiche, per fare spes-sore – in un libretto di 70 pagine, che andò aruba. Cantò la gloria sua e degli altri e l’eroismodi tutti: “Siamo trenta d’una sorte e trentunocon la morte!” Ora, l’eroismo va bene, ma seci si guadagna del vil denaro va pure meglio; ed’Annunzio – peraltro sempre al verde – ne eb-be un ritorno monetario. Come? L’Isotta Fra-schini, che delle “mani macchine armi prontecon la morte a paro a paro”, era la ditta pro-duttrice dei motori dei MAS, chiese, pagò –non si sa quanto – ed ottenne da lui una dichia-razione che apparve sui giornali diciotto giornidopo: “I suoi motori marini ci furono fedeli co-me la fortuna.” E l’Isotta chiosava: “E fu infattiun miracolo d’audacia l’“Impresa di Buccari”!È però doveroso rilevare, come a tanto ardi-mento, abbiano validamente corrisposto i po-tenti motori “Isotta Fraschini”, che durante illungo e periglioso viaggio, funzionarono sem-pre con regolarità meravigliosa…”La nota di maldicenza riguarda invece l’am-biente militare: durante l’ultimo anno di guerra,d’Annunzio cominciò ad avere una fama di me-nagramo che durò anche dopo il periodo bel-lico. Si vociferava che chi andava in azionecon lui prima o poi ci rimaneva secco: Randac-cio, con cui aveva partecipato alla IX e X Bat-taglia dell’Isonzo, era caduto nell’XI in un’azio-ne suggerita dal Poeta; Miraglia, suo pilota nelvolo su Trieste era morto in un incidente in La-guna; Gori e Pagliano, suoi piloti su Pola, l’Her-mada e la Bainsizza, erano stati abbattuti il 30dicembre del ’17 e a loro d’Annunzio aveva de-dicato l’impresa di Buccari; Palli, il suo pilotadel volo su Vienna sarebbe morto assideratodopo un incidente aereo sulle Alpi nel 1919. In-fine, quando nel Natale di Sangue del 1920, laRegia Marina bombardò Fiume e colpì la saladov’era d’Annunzio lui ne uscì incolume manon così il granatiere di guardia dall’altro latodella porta. C’era di che toccarsi le stellette, loscongiuro dei militari d’allora. Bene, però, am-messo che sia mai esistita, la jella di cui d’An-nunzio era apportatore non colpì nessuno, maproprio nessuno dei membri degli equipaggi diBuccari, né allora, né dopo. Tutti sopravvisseroalla guerra, alcuni a lungo, altri molto a lungo,come Procaccini, capitano di fregata di com-plemento e ultimo dei Trenta di Buccari, dece-duto a 99 anni a Venezia nel 1982. Sarà stata laProvvidenza dei Marinai a proteggerli in que-sto come li aveva protetti a Buccari? Forse,perché tutti morirono di morte naturale.

nnn

12 Marinai d’Italia Marzo 2018

ciso. La seconda è di d’Annunzio, immagi-nifica, elevata, risonante; la terza, sostan-zialmente di Procaccini, intervistato da Lui-gi Bazzoli nel 1977, è più concreta e colori-ta; l’ultima è quella della relazione ufficialeaustriaca. Proviamo a metterle insieme evediamo che ne esce.Lasciate le torpediniere ed entrati nel cana-le di Faresina, “con i suoi proiettori, con lesue batterie, con i suoi lanciasiluri, con isuoi sbarramenti, con ogni sorta di difese eostacoli”, come disse d’Annunzio, proce-dettero con cautela, temendo d’imbattersi inqualche ostruzione, ma, sorprendentemen-te, non ne trovarono. “Che buona gentequesti Austriaci!” commentò Rizzo a d‘An-nunzio, che poi chiosò: “Ma non dice “buo-na gente” in verità. Mi scodella gli attributidi Bartolomeo Colleoni.”.Gli Austriaci si lamentarono, nel quarto volu-me della relazione ufficiale: “Il porto di Buc-

cari non era rimasto aperto per negligenza,ma si era consentito restasse in quelle condi-zioni per speciali preghiere della popolazioneaffamata, alla quale era stato concesso di pe-scare di giorno e di notte, anche con lampa-de.” E non era vero che i MAS fossero entratiinosservati, “Faresina aveva dato l’allarme al-la flottiglia per la ricerca e la caccia dei som-mergibili e Porto Re aveva visto benissimo imotoscafi entrare, ma li aveva scambiati perbarche da pesca.” Potremmo crederci se allapagina precedente la medesima relazioneaustriaca non dicesse: “Le tre siluranti a mo-tore penetrarono senza essere scorte finnell’interno della baia di Buccari”, afferma-zione alla cui luce l’avvistamento da Porto Resembra tanto una scusa ex-post e l’allarme diFaresina viene il dubbio che sia stato lanciatodopo l’azione, quando li videro uscire, non pri-ma, all’entrata; ma ci torneremo.Ad ogni modo in rada c’erano i quattro piro-scafi in disarmo Burma, Visegrad, Baron Clu-metzky e Belena. Però dai MAS non li si ve-deva. Con quel buio non si vedeva nulla. Sec-cato, Ciano chiese a Rizzo: “dove sono le navida guerra avvistate dal nostro ricognitore?”Il commento di Rizzo non è stato riportato inextenso, ma si sa che fu assai colorito. Nonsi scorgevano perché, come riferì Ciano, era-no coperte dall’ombra della “retrostante co-sta elevata”. Poi “Eccole laggiù!” esclamòProcaccini, ma “si precisarono tre piroscafida carico ed uno da passeggeri, che fu rico-nosciuto per uno di quelli della Società Un-garo Croata già adibiti al servizio Fiume-Ve-nezia”, sottolineò Ciano.Delusione! O meglio, delusione per tutti menoche per d’Annunzio. Per lui andava benissimocosì. L’importante era l’avventura e lasciareuna traccia: volò su Trieste e gli misero unataglia addosso, volò su Trento e lo si pubblicò;nel volo su Vienna lanciò manifestini, nelleacque di Buccari aveva “…le mie bottigliesotto la mano, pronte alla beffa, forti bottiglienerastre, di vetro spesso, panciuto, col car-tello dentro avvolto in rotolo, scritto di mio pu-gno, scritto di indelebile inchiostro. Le ho pre-parate io stesso con due sugheri da sciabica,con tre lunghe fiamme tricolori fermate intor-no al collo dallo spago e dalla cera”; ecco:l’impresa, la beffa, a lui bastava e avanzava.Ciano, benché deluso, diede gli ordini. Avevagià stabilito come lanciare, adesso attribuì ibersagli: al MAS 96 il piroscafo a sinistra, al94 i due centrali, al 95 quello più a destra. Al-l’una e venti del mattino lanciarono. Non suc-cesse niente. Sui bersagli i siluri c’erano arri-vati, ma non erano esplosi e li si sentiva sca-ricare aria, perciò dovevano essersi impigliatinella reti di protezione. Ciano ordinò: “fuori dinuovo!” Il 94 aveva esaurito le armi, per cuitoccò al 95 e al 96. Il siluro del 95 non lasciòtraccia, quello del 96 arrivò da qualche parte

– a terra, si seppe poi – ed esplose; e fu l’al-larme generale. Nel suo rapporto Ciano scris-se secco: “…fu pertanto iniziato il ritorno,che si svolse felicemente per i tre motosca-fi…. ”, concludendo, une riga dopo “Alle 1 he 35 m fuori della Baia, nella formazione ordi-nata, muovevamo a 22 miglia di velocità perla Faresina.” Tredici minuti dal momento del primo lancio,tredici minuti in cui era successo un convulsodi tutto. Vediamolo.Preso atto del mancato effetto, circa due mi-nuti dopo il primo lancio era avvenuto il se-condo e, dopo un altro mezzo minuto, l’ultimosiluro del MAS 96 aveva toccato terra ed eraesploso. C’era stato un boato tremendo, am-pliato dalla conca della baia e dalla quietedella notte. Per un istante era tornato il silen-zio, poi voci, urla, luci, spari. Ciano ordinò ilrientro, perciò virata a dritta e massima velo-cità coi motori a benzina. D’Annunzio lasciòuna dopo l’altra le sue tre bottiglie nella sciae all’una e venticinque accostarono per im-boccare il canale. “Fioi ghe semo”, brontolòpreoccupato il nocchiero Beltramin sul “96”.A quel punto, mentre da Prestenizza partiva-no alcuni colpi di fucile, il MAS di Ferrariniandò in avaria e cominciò a scadere. D’An-nunzio se ne accorse. Ciano ordinò di tornareindietro e poiché “tutti tornano o nessuno”,andarono tutti a ricacciarsi in bocca al nemi-co. Ma la fecero franca. Nessuno sparò loroaddosso. Evidentemente, sempre che li aves-se già visti prima, pure adesso “Porto Re… liaveva scambiati per barche da pesca.”.Rag-giunsero Ferrarini ed ebbero la lieta sorpresa;aveva riparato l’avaria: carburatore intasatoe nulla più. Nuova virata, nuovo passaggiosotto il naso del nemico, per la quarta volta,poi via verso il largo.E gli Austriaci? Bè, avevano detto, lo sappia-mo, che “Faresina aveva dato l’allarme allaflottiglia per la ricerca e la caccia dei som-mergibili”, ma poi ammisero che “Le unità dicaccia ai sommergibili avevano presto dovu-to abbandonare la ricerca perché il rumore

Prima della partenza, che avvenne intornoalle ore 11 del 10 febbraio 1918, fu scattata

una fotografia davanti all’ingresso di quelloche era stato un ex carcere maschile, alla Giu-decca, trasformato in caserma per gli equipag-gi dei MAS dopo il trasferimento da Grado aVenezia. Al centro della foto il “Poeta soldato”,avvolto in un impermeabile, con il cappuccioalzato, il volto in un’espressione impenetrabi-le, quasi triste, a sinistra Rizzo, che con l’indiceverso l’alto indica la scritta “R. CASA DI PENAPEI MAS...” (visibili, benché “graffiate”, le let-tere che completavano la parola “maschi”), adestra Ciano che sorride divertito e, alle lorospalle, Ponzio. Più tardi, commentando quel-l’immagine, d’Annunzio si definirà “Il Cristoschiodato tra due ladroni di mare”.

Buccari - Le tre bottiglie della beffafotografate prima della partenza

Il MAS 96, regalato a d’Annunzio,sulle acque del Lago di Garda negli anni ’30

Grande Guerra

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una moderna componente subacquea, acquistando 2 sommergi-bili di costruzione francese, in servizio dal 1913, seguito entro unanno dal Brasile, che nel 1913-1914 ottenne 3 sommergibili e unanave appoggio costruiti in Italia dalla Fiat-San Giorgio. In effetti, lacantieristica italiana fece buoni affari in Sudamerica, a cavallodelle due guerre mondiali, vendendo grazie ai progetti di una triadedi ottimi ingegneri navali (Cavallini, Ferrari, Laurenti) ben 10 dei 25battelli consegnati a 4 paesi sudamericani tra il 1913 e il 1937.Italiani furono anche i primi 3 sommergibili acquistati dall’Argen-tina, quarto paese dell’America Latina a entrare nel “club dei del-fini”, dopo Perù, Brasile e Cile. Un ingresso tardivo, benché i pro-grammi risalissero agli anni “Dieci”, durante i quali l’Armada diBuenos Aires preferì tuttavia investire in corazzate monocalibro emoderni cacciatorpediniere con turbine a vapore. Negli anni ‘20 fututtavia avviata una nuova modernizzazione della flotta argentina,proseguita coi programmi degli anni ’30, mirata a creare una forzameglio bilanciata: e se la componente di superficie e quella aero-navale ottenevano mezzi moderni, e l’ammodernamento delle 2corazzate monocalibro e di 2 datati incrociatori corazzati, 3 nuoviincrociatori (compresi i 2 pesanti classe “Veinticinco de Mayo”realizzati in Italia), 12 cacciatorpediniere, e 9 dragamine, nel 1933entravano in servizio i suoi primi 3 sommergibili.Il programma navale del 1926, se vide i cantieri spagnoli e inglesiaggiudicarsi la costruzione di 5 caccia, fu il fiore all’occhiello del-l’export navale italiano tra le due guerre. La OTO ottenne infatti uncontratto da 1.125.000 sterline per la costruzione di 2 incrociatoripesanti classe “Veinticinco de Mayo”, consegnati nel 19312 . Ilcantiere Tosi di Taranto si aggiudicò invece il contratto, firmato il29 settembre 1926, per 3 sommergibili derivati dalla riuscita classe“Cavallini”, con un costo di 208.000 sterline cadauno.Il modello prescelto presentava un doppio scafo parziale, con otti-me caratteristiche di affidabilità e robustezza: impostati nel cantie-re di Taranto nel 1928, e varati nel 1931-1932, i 3 “Tarantinos”, comesarebbero stati – affettuosamente – ribattezzati Santa Fe (capo-classe), Salta e Santiago del Estero, furono completati nel gennaio1933 e giunsero in Argentina il 7 aprile di quello stesso anno.

Con il loro arrivo, divenne operativa la “Fuerza de Submarinos”,ubicata da allora nella base navale di Mar del Plata, mentre qualenave appoggio veniva assegnato il vecchio incrociatore corazzatoGeneral Belgrano, uno dei 4 eccellenti “Garibaldi” acquistati in Ita-lia alla fine del XIX secolo, già ammodernato nel cantiere Odero diSestri Ponente nel 1926-1930, e sottoposto a nuovi lavori di conver-sione nel 1932-1933, restando in servizio sino al 1947. I 3 “Taranti-nos” si sarebbero rivelati battelli molto apprezzati, e, ammodernatinegli anni ’40, avrebbero prestato servizio per oltre un quarto di se-colo. Il Santiago del Estero (che durante un’esercitazione raggiun-se quota 114 metri, record per il modello “Settembrini”3) e SantaFe furono radiati il 23 aprile 1959, seguiti il 5 aprile 1961 dal Salta,che poco prima aveva compiuto la sua millesima immersione. Ge-nerazioni di sommergibilisti argentini avevano pertanto imparato ilmestiere sui battelli italiani. Ma, per quanto apprezzati, già neglianni ’40 i “Santa Fe” erano tecnologicamente superati4. L’Armadaseguì le orme di altri paesi sudamericani (al cui “club dei delfini”si iscrisse in quel periodo anche il Venezuela), ottenendo dalla USNavy alcuni dei suoi molti – ottimi – battelli divenuti surplus. Ap-partenevano alle classi “Gato”, “Balao” e “Tench”, con 226 esem-plari realizzati tra 1940 e 1951, molti dei quali sottoposti tra 1947 e1962 ai radicali programmi GUPPY (Greater Underwater PropulsionProgram), man mano passati in disarmo e ceduti a paesi amici5.L’Armada ottenne in affitto i primi 2 battelli nell’agosto 1960, sosti-tuendo i “Santa Fe”, e ribattezzandoli proprio coi nomi dei 2 “Ta-rantinos” radiati l’anno precedente. Si trattava di 2 unità classe“Balao” non sottoposte al programma GUPPY, ma a una accuratarevisione prima della cessione. L’Armada li impiegò sino al 1971(col Santiago del Estero impegnato nel 1966 in un’operazione clan-destina nelle Falkland), quando dopo averli formalmente restituitialla US Navy, li acquistò come residuati, disarmandoli subito dopo

15Marinai d’Italia Marzo 2018

F orse non si saprà mai veramente cosa è successo a bordodel sommergibile argentino San Juan, quel mercoledì 15 no-vembre 2017, quando furono registrate le ultime comunica-

zioni tra il suo comandante e la base di Mar del Plata. I messaggiriferivano di un’infiltrazione d’acqua dallo snorkel, con conse-guente avaria alle batterie e un principio di incendio; ma nessunaemergenza, i guasti sembravano sotto controllo. Poi, un paio di oredopo l’ultimo contatto, gli strumenti di ascolto della CTBTO, l’orga-nizzazione internazionale per il monitoraggio della messa al bandodelle esplosioni nucleari, con sede a Vienna, registrarono un “in-cidente idroacustico anomalo”. Un segnale singolo, breve ma vio-lento e non nucleare: una probabile esplosione, e localizzata pro-prio nell’area dove si presume stesse navigando il San Juan, in ba-se alle sue ultime comunicazioni. Il battello, dopo aver partecipatoad un’esercitazione, stava effettuando una missione di pattuglia-mento (e, si dice, di sorveglianza coste delle Falkland). Il 17 novem-bre, scaduti i tempi legati ai protocolli di emergenza, la notizia di-ventava ufficiale: del sommergibile, e dei 44 membri dell’equipag-gio (tutti operatori esperti, a giudicare dall’età media, e compresa

Eliana Mara Krawczyk, classe 1982, tenente di vascello e ingegne-re responsabile dei sistemi di bordo: la prima donna sommergibili-sta in Sudamerica), non si sapeva più nulla da 48 ore. Scattava al-lora un’imponente operazione di “ricerca e soccorso” (SAR), cuipartecipavano decine di navi e aerei forniti da 13 paesi – compresala Gran Bretagna, coi mezzi presenti nelle contestate Falkland-Mal-vinas – con 4.000 uomini impegnati, e il dispiegamento di sofisticatimezzi per la ricerca subacquea, mentre in aria venivano impiegatianche un modernissimo P-8 “Poseidon” della US Navy, e uno spe-ciale P-3 della NASA, con attrezzatura sofisticata. Il 5 dicembre,l’annuncio ufficiale: sommergibile ed equipaggio erano da consi-derarsi perduti. Proseguivano a quel punto solo le ricerche del re-litto, ad oggi non ancora individuato anche a causa del maltempo.La fine del San Juan è certamente il momento più drammatico nel-la lunga storia dei “delfini” argentini, gli unici tra l’altro ad essereeffettivamente stati al combattimento, tra i sommergibilisti suda-mericani, durante la guerra delle Falkland, nel 1982; anche se bat-telli brasiliani parteciparono ad entrambe le guerre mondiali, equelli peruviani ai conflitti con Colombia (1932-1933) ed Ecuador(1941 e 1995 1), ma solo per operazioni di pattugliamento.In effetti, l’interesse dei paesi sudamericani per i sommergibili èantica e segue di poco la fine delle guerre di indipendenza da Spa-gna e Brasile. Già nel 1838 era stato sperimentato un rudimentalebattello in Ecuador, mentre durante la “Guerra del guano” con laSpagna (1864-1866), alcuni ingegneri tedeschi avevano presentatoprogetti di sommergibili artigianali – e anche alcuni prototipi, unodei quali perduto durante un collaudo – ai governi di Cile e Perù.Proprio il Perù realizzò un battello da impiegare nella guerra del1879-1883 contro il Cile, ma che dovette essere autoaffondato nel1881, poco dopo essere divenuto operativo. Sempre il Perù sareb-be stato il primo paese sudamericano a dotarsi, nel XX secolo, di

14 Marinai d’Italia Marzo 2018

Tragedie in mare

La scomparsadel sommergibileargentinoSan JuanLa componentesubacquea dell’Armadanacque con l’acquistodi battelli italianiGiuliano Da FrèStorico - Giornalista

Note

(1) Durante la breve “Guerra del Condor”, nel 1995, anche l’Ecuador poteva conta-re su 2 battelli.

Note

(2) Basati sui “Trento” della Regia Marina, ma più piccoli, con dimensioni e prote-zione paragonabili in effetti a quella dei leggeri “Montecuccoli”, e armati con 6cannoni da 190 mm. Più volte ammodernati, resteranno in servizio sino al 1961.

(3) Le 2 unità italiane, in servizio dal 1932, venivano accreditate di 90 metri di quotaoperativa massima.

(4) L’Argentina, i cui comandi militari erano divisi tra la fascinazione verso il nazifa-scismo, e i buoni rapporti con le potenze alleate, dichiarò guerra all’Asse il 27marzo 1945. Il 10 luglio e il 17 agosto giunsero nei suoi porti 2 U-boote tedeschi,che furono brevemente requisiti, e poi inviati negli Stati Uniti, dopo che se neera ipotizzato l’impiego sotto bandiera argentina.

(5) Italia compresa, con ben 9 unità cedute tra 1954 e 1974. Va ricordato – per il SanJuan perduto si è infatti parlato di età avanzata, coi suoi 32 anni di vita – che 2battelli, un “Balao” e un “Tench” del 1945-1946, sono ancora in servizio a Taiwan.

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per cannibalizzarli a favore di altri 2 “Balao” entrati in servizio il 1°luglio 1971, e anche questa volta ribattezzati Santa Fe e Santiagodel Estero. Costruiti anch’essi nel 1944-1945, erano tuttavia statisottoposti al programma GUPPY-II (1948-1950) il Santa Fe, e alGUPPY-IA il Santiago del Estero, nel 1961, oltre a una revisione ge-nerale all’atto del trasferimento. Grazie all’ammodernamento e allacannibalizzazione degli altri 2 battelli, i 2 “Santa Fe” ebbero una vitaoperativa intensa. E se durante il conflitto del 1982 il Santiago delEstero era ai lavori, il Santa Fe partecipò alle operazioni inziali,sbarcando gli incursori destinati a creare una testa di ponte a PortStanley, durante l’invasione del 2 aprile. Tre settimane dopo, il 25aprile 1982, mentre trasportava rifornimenti alla guarnigione ar-gentina installata nella South Georgia, fu attaccato da 3 elicotteribritannici, e posto fuori combattimento a colpi di mitragliera, cari-chette di profondità e missili antinave AS-12. Dichiarata irrecupe-rabile, l’unità restò in mani britanniche e definitivamente affondatanel 1985. Il Santiago del Estero fu invece radiato nel 1983.Tuttavia, l’Argentina fu il secondo paese sudamericano dopo ilPerù (che negli anni ’50 aveva acquistato 4 battelli realizzati dallaElectric Boat di Groton) ad acquistare sommergibili appartenentia modelli post-bellici6. Nel 1969 furono infatti ordinati alla Howaldt-swerke di Kiel 2 sommergibili Type-209/1.100, consegnati nel 1974coi nomi di Salta e San Luis, assieme a un lotto di siluri TelefunkenSST-4 che però diedero parecchi problemi. Durante la guerra del1982 il Salta era impegnato in una serie di test con queste armimentre il San Luis, che aveva inutilmente tentato di arrivare alleportaerei della Task Force britannica, lanciò due attacchi con si-luro contro le fregate nemiche falliti per il malfunzionamento dellearmi e dei sensori. Per contro, i Type-209 si dimostrarono validi bat-telli, sfuggendo alla serrata caccia di 10 ore scatenata dalle navie dagli elicotteri antisom inglesi, tra i migliori assetti del mondo nel-la lotta ai sommergibili. La crisi economica e politica seguita allasconfitta e alla caduta dei generali della Giunta, portò l’Armada aldeclino, anche perché alla prima fase di ammodernamento dei pri-mi anni ’70 (che aveva visto l’acquisto di una portaerei di secondamano, più jet A-4 e “Super Etendard”, 2 caccia lanciamissili an-tiaerei, 3 corvette lanciamissili, 2 unità leggere, una LST anfibia),erano seguiti due ancora più ambiziosi maxi-contratti con le tede-sche Blohm&Voss, per 4 fregate e 6 corvette, e con ThyssenKruppper 6 sottomarini. Così, per i 2 “Salta” iniziava una fase difficile: fu-rono passati in riserva e posti in vendita nel 1985-1986; poi nel 1988l’unità capoclasse andò ai lavori di ammodernamento, rientrandoin servizio nel 1995, mentre il San Luis fu infine radiato il 23 aprile1997. Va sottolineato che i paesi sudamericani (e al “club dei del-fini” si aggiunsero in quegli anni Ecuador, Colombia e Cuba) ac-quistarono tra il 1974 e il 2005 ben 17 “Type-209”, tutti ancora inservizio – alcuni con più di 40 anni di vita – con l’eccezione del SanLuis, in disarmo per cannibalizzazione.E così arriviamo allo sfortunato San Juan.L’unità perduta il 15 novembre 2017 era in servizio da quasi 32 anni,essendo stata consegnata il 18 novembre 1985, ed era il secondobattello dei 6 TR-1700 (il capoclasse Santa Cruz era stato conse-gnato un anno prima) che Buenos Aires aveva ordinato alla Thys-senKrupp nel 1977, nell’ambito degli ambiziosi programmi varatidall’Armadaprima della guerra delle Falkland. Il contratto prevede-va, come accennato, la realizzazione di 6 battelli: 2 presso i Thyssen

Nordseewerke di Emden, e gli altri 4 nei cantieri argentini DomecqGarcía, assemblando parti realizzate in Germania. La crisi tuttaviatarpò le ali al programma, che dovette essere drasticamente ridi-mensionato: dopo la consegna dei primi 2 battelli, i lavori sulla se-conda coppia di unità, realizzate localmente, furono infatti sospesi.Secondo Alessandro Turrini, nel suo “Almanacco dei sommergibi-li-Tomo I”, edito quale supplemento alla Rivista Marittima nel 2002,il Santa Fe risultava allestito al 70%, e il Santiago del Estero al 50per cento, mentre della terza coppia solo lo S-45 era stato imposta-to nel 1992, e nel 1993 i lavori, già sospesi parzialmente nel 1986, so-no stati definitivamente interrotti7. Con anche il San Luis prima in ri-serva e poi radiato, e il Salta rientrato in servizio nel 1995 (e nuova-mente sottoposto a grandi lavori nel 2004-2005 e nel 2013-2014),l’Armadaha concentrato le scarse risorse assegnatele sui 3 battelliancora in servizio, mentre non si è mai concretizzata l’ipotesi diriavviare i lavori almeno sul Santa Fe, completandolo come battellocon propulsione AIP, secondo uno studio di fattibilità effettuato nel2010, ma rimasto solo sulla carta. Si è puntato allora a valorizzareal massimo i 2 “Santa Cruz”, mentre al Salta venivano demandateattività sperimentali e addestrative. I battelli “TR-1700” presentanocaratteristiche avanzate rispetto ai “Type-209”: più grandi (65 metridi lunghezza e un dislocamento di 2.150/2.356 t., contro i 56 metri e1.140/1.250 t. dei “Salta”), offrono migliori prestazioni, con una ve-locità in immersione che tocca i 25 nodi, superando tutti gli altri die-sel-elettrici mai costruiti, grande autonomia, 6 lanciasiluri da 533mm per 22 armi con un innovativo sistema di ricarica automatica,rispetto ai 14 siluri (per 8 tubi) stoccati dai “Type-209” e una quotamassima di profondità di 300 metri, contro 250.Il primo “upgrade” è stato effettuato dal San Juan in Brasile, nel1999-2002. Rimandato, e poi prolungatosi a causa dei continui taglidi bilancio, un più radicale ammodernamento ha poi interessato ilSan Juan tra il 2008 e il 2014, mentre nel 2016 è stato di nuovo il SantaCruz ad andare ai lavori, che dovrebbero essere completati entro il2019, anche se è ipotizzabile un ritardo dovuto alle inevitabili verifi-che, alla luce del disastro. L’intervento sul San Juan, costato più di12 milioni di dollari e svoltosi presso l’Argentine Naval IndustrialComplex/CINAR, ha comportato, oltre al rinnovamento dei sensori,la sostituzione di 960 batterie e la revisione completa dei motori die-sel-elettrici, previo taglio dello scafo a centronave. Intervento strut-turale su cui si stanno ora appuntando alcuni dei sospetti, mentrealtre ipotesi hanno riportato a galla i problemi tecnico-organizzativie finanziari in cui si dibatte l’Armada, mentre la stampa argentinaparlava anche di possibile corruzione. Lo stesso comando della Ma-rina ha sottolineato il prolungarsi dei lavori che vengono effettuatinei cantieri nazionali, come già era accaduto per il Salta un quartodi secolo fa. Tuttavia è anche vero che, eccezion fatta per il som-mergibile perduto durante la guerra del 1982, i battelli argentini han-no sempre dimostrato di essere affidabili e di lunga durata. A partireda quei primi 3 delfini costruiti a Taranto, quasi 90 anni fa...

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16 Marinai d’Italia Marzo 2018

Note

(7) Altre fonti forniscono dati diversi.

Crociera dei Marinai d’Italia 2018

MSC POESIAIn occasione del Centenario della fine vittoriosa della Prima Guerra Mondiale,la Presidenza Nazionale organizza, in collaborazione con MSC CROCIERE

che ha concesso tariffe speciali per i Soci ANMI, la “Crociera dei Marinai d’Italia 2018”particolarmente dedicata, con un itinerario in Adriatico e Mediterraneo orientale,

alla commemorazione dei marinai italiani caduti in combattimento nel corso di quel conflitto

Tutte le informazioni di dettaglio, inerenti a tariffe, modalità di iscrizione,attività a bordo e terra, etc sono pubblicate sul sito

www.marinaiditalia.com

Associazione Nazionale Marinai d’Italiain collaborazione con MSC Crociere

Per tutte le informazioni, l’organizzazione tecnica e le prenotazioni, la PresidenzaNazionale, in accordo con MSC Crociere, ha dato l’incarico all’agenzia “I Viaggi delleMeraviglie S.r.l.” sita in Roma in Viale Trastevere, 117-121 (contattabile via telefono allo06.53.27.43.74 oppure all’indirizzo e-mail [email protected]) che opereràattraverso un service dedicato a disposizione dei Soci ANMI dal lunedì al venerdì dalle10,00 alle 13,00 e dalle 15.00 alle 18.00.

Per motivi di semplicità ed omogeneità organizzativa si raccomanda a tutti i Gruppi e/o Soci di fare esclusivoriferimento alla citata agenzia la quale, tra l’altro, per chi lo desidera, offre modalità agevolate di pagamento(da richiedere e valutare direttamente).

LE ATTIVITÀ PROGRAMMATE SARANNO RISERVATE ESCLUSIVAMENTE AI PRENOTATI PRESSO QUESTO UNICO REFERENTE

Tragedia in mare

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KatakolonMykonos

Pireo/Atene

Venezia

Bari

GRECIA

ALBANIA

ITALIA

CROAZIA

Mar Tirreno

Mar Mediterraneo

Mar IonioM a r E g e o

ia

ri

eeo/Atenee

Sarande

Ragusa(oggi Dubrovnik)

Da Caporettoa Vittorio Veneto

Il salvataggiodell’Esercito Serbo

Omaggio ai cadutidi Matapan

Il Dodecannesoitaliano

La Regia Marinanella Prima Guerra

Mondiale

Crociera dei Marinai d’Italia 2018MSC POESIA

Per i Soci ANMI sono previsti due porti di imbarcoSabato29 settembre - Venezia partenza ore 16,30Domenica30 settembre - Bari partenza ore 17,00

Lunedì1 ottobre - Katakolon - Grecia dalle 11,00 alle 17,00 Martedì2 ottobre - Mykonos - Grecia dalle 8,00 alle 19,00 Mercoledì3 ottobre - Pireo/Atene - Grecia dalle 7,30 alle 16,30 Giovedì4 ottobre - Sarande - Albania dalle 12,00 alle 20,00

Venerdì5 ottobre - Ragusa (oggi Dubrovnik) - Croazia dalle 9,00 alle 15,00

Sabato6 ottobre - Venezia dalle 9,00 alle 16,30Domenica7 ottobre - Bari arrivo ore 10,00

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21Marinai d’Italia Marzo 2018

Gruppo di ManfredoniaQuest’anno il Gruppo di Manfredonia ha potuto realizzare il sognodi alcuni studenti del locale Istituto Nautico “Francesco Rotundi”imbarcando sull’Amerigo Vespucci, il famoso Veliero progettatodal Generale del Genio Navale Francesco Rotundi, nato a Foggia.L’occasione ha manifestato la vera natura di questi giovani che,in un contesto sociale teso alla ricerca della visibilità e dove siè succubi della predominanza dei social network, ha evidenzia-to, invece, la volontà di individuare i propri desideri e progettiper il proprio futuro. Questo è l’esempio che hanno dato i cinque ragazzi imbarcatisull’Amerigo Vespucci. Quando al rientro li abbiamo incontrati,ognuno di loro ha riportato tutte le emozioni vissute, consapevoliche anche i lavori umili che hanno svolto sono indispensabili abordo di un veliero, denotando, così, il senso del dovere. Nei loroocchi traspariva una luminosità gioiosa per l’esperienza appenafatta, ma anche un po’di dispiacere per la conclusione della stes-sa. I loro racconti si accavallavano alle emozioni, difficilmentetrattenute: dallo spiegamento delle vele, alla lucidatura degli ot-toni; dal dormire sull’amaca al pulire il ponte di coperta; dalla filaalla mensa, ai rumori del motore diesel; dalla rotta tracciata sullacarta nautica, al governo del “Veliero”.Meravigliosi sono stati i tramonti e le albe vissute e l’emozionenel vedere la gente che si accalcava sulla banchina, in attesa divisitare il Vespucci. Hanno potuto apprezzare l’amicizia vissuta con il personale di bor-do nonché la giusta autorità del Comandante CV Roberto Recchia. In conclusione, il viaggio di questi ragazzi ha riacceso anche leemozioni che albergano nei nostri cuori di Marinai d’Italia e iloro racconti ci hanno fatto rivivere i momenti del nostro pas-sato servizio.Il nostro Gruppo si impegnerà ancora affinché questo progettopossa essere nuovamente realizzato in futuro.

I ragazzi dell’ITN “S. Venier” VeneziaDopo anni, noi ragazzi del nautico di Venezia in collaborazionecon l’ANMI abbiamo avuto l’occasione di vivere un esperienzaindimenticabile a bordo della nave scuola Amerigo Vespucci.Imbarcati a Trieste, abbiamo trascorso una settimana a strettocontatto con la vita di bordo, sperimentando varie attività legateall’ambiente, partendo da funzioni più tecniche come la tenuta diuna guardia in plancia e le operazioni per regolare le vele, ad at-tività più semplici come la pulizia degli alloggi, del ponte ed il lu-strare gli ottoni di bordo.Abbiamo vissuto anche momenti solenni quali la cerimonia del-l’ammaina bandiera, la lettura della Preghiera del Marinaio e l’al-za bandiera. La navigazione a bordo della nave scuola è statatranquilla. Solo durante i primi giorni di navigazione qualcuno dinoi ha dovuto affrontare il mal di mare, ma questa sfida non hacreato scompensi morali, anzi ci ha spronati e rafforzati. Il 29 ot-tobre siamo sbarcati a Taranto e siamo tornati a casa portandodentro di noi quest’esperienza incredibile.

20 Marinai d’Italia Marzo 2018

I giovani e il mare

Brevi imbarchidi Soci ANMIsulle Navi Scuola

Filippo Maguolo, socio del Gruppo di Treviso: “(…) e sono state altrettanto vere le dormite sulle amache (peraltro molto comode), le guar-die, la lucidatura degli ottoni, la condivisione del pasto con il resto del gruppo. Ho conosciuto parte dell’equipaggio e alcuni loro superiori:tutte persone speciali e che mi hanno messo a mio agio, pur mantenendo le giuste distanze. Ho avuto l’onore, insieme ai miei 30 compagnidi avventura, di assistere all’alza bandiera e all’ammaina bandiera solenne (…). Grazie.”

Davide Cancian, socio del Gruppo di Conegliano: “Ho avuto la fortuna di imbarcarmi per una settimana sull’Amerigo Vespucci e devo con-fermare che l’appellativo “nave più bella del mondo” è completamente appropriato. (…) L’esperienza è iniziata lunedì 23 ottobre a Triestedove, con una ventina di ragazzi, siamo saliti a bordo. Tutti eravamo carichi di emozione, consci di iniziare un’esperienza riservata a pochi. Martedì la nave è salpata verso Taranto. (…) Noi abbiamo vissuto una settimana da cadetti, imparando e svolgendo le attività loro riservate.(…). La giornata iniziava con la sveglia e l’alzabandiera e proseguiva con le attività di pulizia. Lo splendore della nave va continuamentemantenuto, i ponti e i locali sono costantemente puliti e tutti gli ottoni devono essere lucidi. Abbiamo eseguito operazioni di carteggio,mettendo finalmente in pratica alcune nozioni apprese a scuola, governato il timone, conosciuto le parti della nave e ricevuto competenzedi navigazione. Ognuno aveva i propri turni di vedetta, che filavano via lisci anche nel cuore della notte. Non riesco a esprimere a parole lesensazioni che ho vissuto, bisogna provarle! (…)”.

Sono stati imbarcati giovani dei Gruppi di Spoleto, Cagliari, Conegliano,Trieste, Treviso, Crotone, Rosolina, Cisterna di Latina e Manfredonia

eravamo destinati nelle varie parti della nave a dare una mano al-l’equipaggio. Alle sera assistevamo alla consueta cerimoniadell’ammaina bandiera, il personale sulla coperta si metteva sugliattenti e attraverso la ROC (Rete Ordini Collettivi) veniva data let-tura delle motivazioni delle medaglie d’oro consegnate a Ufficialie marinai, della Preghiera del Marinaio; regolata dai fischi deinocchieri, la bandiera veniva ammainata per poi essere portata“a segno” nuovamente e issata perché il Codice della Naviga-zione proibisce ad una nave di navigare senza bandiera del Pae-se di appartenenza. Nonostante questo sia il secondo anno chevado a bordo e nonostante sia uno studente del IT Nautico “LeonPancaldo” di Savona, abbastanza pratico di marineria, ho senti-to tante parole nuove a bordo ma quello che più mi ha affascinatoè la vita di bordo scandita dai fischi dei nostromi, il silenzio del na-vigare a vela e il senso di squadra che si acquisisce a bordo. Il 2ottobre siamo arrivati all’Arsenale di Messina e dopo avere or-meggiato abbiamo approntato la nave per le visite del giorno suc-cessivo; abbiamo finito di lucidare gli ottoni e abbiamo sistematotutti i tendoni. Fino al 9 di ottobre siamo rimasti a bordo ad accom-pagnare la cittadinanza sulla nave e a spiegargli i dati tecnici e icompiti che Nave Palinuro svolge. Disormeggiati da Messina cisiamo diretti a Napoli dove, il 12 ottobre siamo purtroppo sbarca-ti. È stata una esperienza unica, molto formativa e interessanteche ci ha permesso di capire la vita militare a bordo, di seguirel’equipaggio in tutti i vari compiti e ci ha “fatto assaggiare” cosavuol dire navigare per mare.

nnn

Gruppo di SavonaDopo il primo imbarco su Nave Palinuro avvenuto l’anno scorsosono potuto finalmente tornare a bordo di questa fantastica golet-ta. Anche se questo è il secondo imbarco le emozioni non sonocambiate, anzi, ogni volta sono sempre più orgoglioso di tornare asalire la passerella. Quest’anno mi sono imbarcato con i miei“compagni d’avventura” a Livorno il 26 di settembre. Appena abordo abbiamo preso posto a centro-nave per lo smarcamentosulla lista del Corpo di Guardia e successivamente ci siamo recatiin locale allievi dove ci hanno assegnato l’armadietto e poi le len-zuola per l’amaca e le posate. Siamo partiti nel pomeriggio del se-condo giorno e siamo salpati alla volta di Messina. Ed è arrivato il momento della prima guardia: subito dopo la ceri-monia dell’ammaina bandiera la mia squadra è montata di guar-dia suddividendosi i lavori da fare: due ragazzi in plancia a timo-nare e due all’estremità del cassero poppiero a fare la vedetta.Quest’anno, a differenza dello scorso, abbiamo avuto in dotazio-ne una radio portatile per comunicare con la plancia quando siera di vedetta (inoltre era obbligatorio indossare l’apposita im-bragatura di sicurezza). Io ho coperto il turno più difficile, cioèquello dalle 04;00 di notte alle 08;00 del mattino, ma nonostantetutto l’ho retto molto bene. Quando siamo smontati di guardia ab-biamo iniziato a lavorare assieme all’equipaggio. Abbiamo dap-prima fatto il “posto di rassetto e pulizia” nei locali di vita dell’e-quipaggio e di noi allievi e poi abbiamo ricevuto il benvenuto dalComandante della nave, il C.F. Valentini. Le nostre giornate sonoandate avanti a ritmo di guardia e quando non eravamo di turno

Gruppo di Manfredonia I ragazzi dell’ITN “S. Venier” di Venezia

Gruppo di Savona Gruppo di Cagliari

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Oggi, nel corso di un confrontoquotidiano dentro e fuori il Me-diterraneo, gli uomini e le don-ne della Marina Militare affron-tano altri nemici; meno clamo-rosi, certo, ma non meno insi-diosi e, apparentemente, im-prendibili. Navigano giorno enotte, con ogni tempo nel corsodi lunghe missioni affrontateper settimane con poco confor-to e nel silenzio ovattato e ava-ro dei notiziari. Meglio così. IlPotere Marittimo è tanto più ef-

ficace quanto meno rumore fa. Rappresentano, lo ripeto, unadelle quattro gambe del “Sistema Paese Italia“. Le altre tre og-nuno le può identificare e attribuire per conto proprio: magarila Banca d’Italia, come scriveva nel Novembre 2006 Piero Otto-ne affiancando, non a caso, a quell’Istituto la Marina italiana.Oppure le altre Forze Armate o, ancora, i numerosi poli d’eccel-lenza medica o scientifica del Bel Paese o, infine e più in gene-rale, il Lavoro e il Risparmio di tutti noi. Il gatto è sempre lì, dasecoli e per sempre.

nnn

23Marinai d’Italia Marzo 201822 Marinai d’Italia Marzo 2018

S iamo a gennaio. Queste righe non potranno apparire, per-tanto (ammesso e non concesso che il Direttore sia tantoincosciente da farlo), prima di marzo/aprile. Non esiste,

perciò, alcun pericolo (per quanto improbabile) di accuse di pro-paganda elettorale a favore di Tizio o contro Caio. Le elezioni so-no state fissate, infatti, per i primi di marzo e per quell’epoca,qualsiasi sia il responso delle urne, consummatum est.Ho ascoltato, assieme a qualche milione di italiani, sia le osser-vazioni pronunciate pubblicamente, il 17 di questo mese, dalcommissario europeo Pierre Moscovici (transalpino di lontanaascendenza danubiana) in merito all’Italia discola che cade sem-pre in piedi come un gatto sia i successivi, pepati commentiespressi, a casa nostra, da stampa e TV. Personalmente non tro-vo nulla di strano nelle parole di questo severo già ministro fran-cese. Chiunque, a mio parere, può affermare quello che vuole neiconfronti di chicchessia purché, beninteso, lo stesso eserciziosia consentito a parti invertite.Da cultore di storia non ho potuto fare a meno, però, di notare unpaio di curiose coincidenze. Non mi riferisco a questioni di lanacaprina come il famigerato tetto del 3% di un PIL che ciascunoconfeziona e cucina per conto proprio e a misura della propriataglia con differenze quantitative e qualitative piuttosto rilevantitra i piatti propinati all’opinione pubblica dei vari esperti o pre-sunti tali (spesso, in realtà, di formazione esclusivamente lette-raria stile – per intenderci – “T’amo pio bove …” e che, quandosono onesti - ovvero quasi mai - premettono: “Io non sono uneconomista, ma la mia ricetta per risanare il mondo è …”. Non m’interessano, inoltre, neppure le sorti dell’Italia e, tantomeno, dell’Europa continentale, in quantocredo che queste realtà millenarie possa-no ridere, come le piramidi, del passaredel tempo e delle peregrine follie e maniedegli statisti di turno. Quello che mi inte-ressa è il gatto.Mi spiego. Esattamente cent’anni fa, nelgennaio 1918, l’Austria-Ungheria, nota an-che come “la monarchia danubiana”,emise un bollo chiudilettere di grandesuccesso. Raffigurava, in vari colori, unenergumeno che cercava di ammazzare,con una clava, un gatto. Il tutto era sotto-titolato “Infamia sull’Italia”. Quell’iniziati-va propagandistica, del tutto legittima intempo di guerra, ebbe grande successo,tanto che ancora il 22 febbraio 1943, comeriportano I documenti diplomatici italiani,Nona serie, Volume X, il Console generaleitaliano a Innsbruck scriveva al ministrodegli esteri (ovvero a Mussolini in perso-na, in quanto titolare di quel dicastero do-po il recente allontanamento di GaleazzoCiano) “… da qualche giorno circolavano

qui notizie poco simpatiche nei riguardi del nostro Paese … eripercussioni tra la popolazione tirolese si son subito palesatee in alcuni negozi della città sono stati attaccati, da ignoti, fran-cobolli che sembra fossero largamente diffusi durante la guerra1914-18 e negli anni successivi, rappresentanti un contadino delTirolo nell’atto di assestare un colpo di bastone al gatto-tradito-re (Italia) con le scritte: «Ignominia sull’Italia» e «Via la mano»”.Tutte cose che non dovrebbero succedere tra buoni vicini comequelli che si fronteggiano al Brennero e che emergono, di solito,quando le cose si fanno difficili per tutti, come può capitare intempi di crisi economica o politica.Un’altra identificazione dell’Italia con un felino, tutto sommato,fortunato, fu pronunciata da un altro celebre nativo della valle delDanubio: Adolf Hitler, il quale dichiarò divertito alle proprie segre-tarie, nel dicembre 1941: “Bambine, non possiamo più perdere!Ora abbiamo un alleato, il Giappone, che non ha mai perso unabattaglia e un altro, l’Italia, che le ha perse tutte vincendo, peròogni guerra, cadendo sempre in piedi come i gatti” (Katzen siefallen immer auf ihre Füße).Nel tentativo di minimizzare i danni e di compiacere i vicini, i no-stri media hanno attribuito al gatto sempre-in-piedi di Monsei-gneur Moscovici un significato positivo e simpatico, quasi sitrattasse di un affettuoso riferimento al gatto Silvestro deicartoni animati e della pubblicità su Carosello di tanti anni fa.Basta però vedere e ascoltare in Internet la dichiarazione fattain lingua originale da quel severo commissario per capire che isentimenti dell’illustre critico d’Oltralpe non erano, in realtà,gran che diversi da quelli del nerboruto chiudilettere con la cla-

va di cent‘anni prima.Ora, si chiederà legittimanente il fino adora paziente lettore di queste righe: per-chè vieni a scrivere tutto ciò? La rispostaè presto detta: almeno una zampadell’odiato e, sotto sotto, ammirato gattodi cui sopra, è rappresentata dalla Mari-na italiana.Gli austriaci che leccavano il bollo in que-stione per sigillare le loro lettere erano glistessi che, nel gennaio 1918, si ribellaro-no, a Vienna e altrove, entrando in sciope-ro e saccheggiando i treni in transito, per-chè impazziti dalla fame. Il bottino di Ca-poretto era svanito presto, come sempresuccede con tutte le prede, e dopo Natalela fame e il freddo erano tornati a farla dapadrone attraverso tutto l’Impero. Il bloc-co che la Regia Marina aveva imposto,nel Basso Adriatico, sin dalla fine di lugliodel 1914 (ovvero prima ancora della guer-ra e della prima cannonata tirata sul ma-re), costringendo le navi da guerra asbur-giche a lasciare in tutta fretta l’Albania,

Il gatto centenarioEnrico Cernuschi - Socio del Gruppo di Pavia

Si riporta, di seguito, l’argomento ritenuto di interesse dei Soci ANMI:

PEREQUAZIONE DELLE PENSIONI EX SENT. N. 70/2015 DELLA CONSULTACome noto, la Corte Costituzionale con la citata sentenza dichiarava illegittima la norma di legge che disponeva il blocco della perequazione pergli anni 2012 e 2013.Ma il Governo, per ragioni di finanza pubblica, interveniva con D.L. n. 65/2015 (c.d. decreto Poletti), convertito nella legge n. 109/2015. Con questasi riconosceva una parziale rivalutazione, limitata alle pensioni più basse (cioè del 100% fino ad € 1.405,05 mensili e gradualmente a scalare finoal 10% fino ad €2.810,10 mensili) e non a tutte.Gli studi legali subito si attivarono per proporre ricorso da parte di pensionati esclusi contro questa norma ritenuta anch’essa illegittima. Sicchéalcune Sezioni Territoriali della Corte dei Conti rimettevano gli atti nuovamente alla Corte Costituzionale per la pronuncia sulla legittimità costi-tuzionale. La Consulta si è pronunciata sull’argomento nella seduta del 24 ottobre u.s. stabilendo che il D.L. n. 65/2015 “non è né discriminatorioné anticostituzionale”, mettendo fine così ai ricorsi proposti dai pensionati.

Associazione Nazionale Ufficiali Marina Provenienti dal Servizio Effettivo

Bollettino informativo n. 3 - Anno 2017per i Soci ANMI (Ufficiali e Sottufficiali)

continuava imperterrito e av-rebbe infine strangolato l’in-tera vita militare, economica,sociale e politica della Dupli-ce Monarchia, fino ad abbat-terla per sempre dopo milleanni di regno.Quanto alla correlata contro-mossa germanica, ovvero laguerra subacquea, questa erastata imbrigliata, nel 1917, peressere infine battuta durante laprimavera 1918. E alla fine delconflitto risultò che un terzodegli U Boote persi nel Mediterraneo erano stati affondati dallaMarina italiana. Nel dicembre 1941, con buona pace del diabolico Cancelliere, laRegia Marina era riuscita a spezzare il tentativo di blocco ingleselungo le rotte della Libia, vincendo sia il confronto quotidiano inquel mare, sia la Prima battaglia della Sirte con l’aggiunta, per farbuon peso, della Notte di Alessandria e della distruzione e messafuori combattimento, sulle mine posate davanti a Tripoli, dell’ap-parentemente inafferrabile e tecnologicamente avanzatissimaDivisione incrociatori di base a Malta.

Verbigrazia... pensieri in libertà, con licenza de’ Superiori e privilegio

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25Marinai d’Italia Marzo 2018

Ma torniamo agli anni 20, un periodo fertiledi studi e sperimentazioni da parte di Rober-to Galeazzi. Dal 1920 al 1926 Galeazzi lavoròpresso il cantiere navale del Muggiano e nel1928 progettò il sommergibile “modello co-loniale”, un battello innovativo decisamentesenza pari in nessuna marina militare delmondo. Con una lunghezza di 120 metri e3800 tonnellate di stazza, era armato condue torri binate da 152 e 20 siluri imbarcatie poteva scendere ad oltre 100 metri diprofondità sviluppando una velocità in im-mersione di oltre 8 nodi. Un’arma tanto inno-vativa che non entrò mai in produzione. Inquel periodo nacque l’idea di costruire mez-zi subacquei con struttura sferica in mododa poter spingersi più in profondità.Dopo aver lavorato per alcuni anni comesingolo imprenditore, affidando la costruzio-ne delle sue apparecchiature ad altre offici-ne di Genova e Torino, Galeazzi decise diaprire nel 1930 la “Ditta Roberto Galeazziapparecchi per lavori subacquei a qualsiasiprofondità” con sede a La Spezia in via XXSettembre. Ma fu nel 1932 che, grazie al re-cupero del tesoro dalla nave Egypt, affonda-ta nel canale della Manica con il suo caricodi lingotti d’oro e di argento, il nome Galeazziassunse una risonanza mondiale. La ricercae recupero fu ottenuto grazie alla torrettabutoscopica ideata da Alberto Gianni, capopalombaro dell’Artiglio, che ebbe l’idea ini-ziale della torretta per ovviare all’inconve-niente che presentavano gli scafandri arti-colati, in uso all’epoca per operare ad alteprofondità. Infatti, in condizioni di corrente,

questi avevano la tendenza ad orientarsicon la stessa, rendendo difficile l’osserva-zione in ogni altra direzione dall’unico oblòfrontale. La torretta di Gianni, a forma cilin-drica e dotata di una serie circolare di fine-strini, permetteva al palombaro una mag-gior libertà di movimento al suo interno eduna facile osservazione esterna dall’oblòpiù appropriato in ogni condizione di orien-tamento. L’ingegnerizzazione e la realizza-zione industriale della torretta fu di RobertoGaleazzi senior. In un video dell’epoca sipuò vedere il palombaro entrare nello sca-fandro articolato per scendere sul fondo perle operazioni di recupero.Nel 1937 la Galeazzi si trasferisce nella sedestorica di via Oldoini alla Spezia dove rimarràfino al 1980. La sua continua ricerca e speri-mentazione lo porta a collaudare, nel 1938,nel golfo della Spezia il primo scafandro rigi-do articolato fino a 250 metri di profondità.Uno scafandro costruito interamente a ma-no ricavando la struttura sferica del corpodello scafandro da lamiere di acciaio di soli3 mm. di spessore. Arriviamo negli anni 40quando la Ditta Galeazzi comincia a produr-re le attrezzature da palombaro con elmi,scarponi, piombi e coltelli, oggi ricercatipezzi da collezione. Costruisce, brevetta ecede alla Pirelli il vestito da palombaro mo-dello Galeazzi, il più comodo e duraturo ve-stito da palombaro mai costruito in Italia,con una caratteristica unica legata al suoconfezionamento non prevedente cuciturema solo incollaggi.Ma Roberto Galeazzi non fu solo un genialeinventore, abile tecnico e scienziato visiona-rio nel campo della meccanica ma anche undotato artista, nel senso più pieno della pa-rola. Nel suo tempo libero si dedicava allebelle arti dimostrando grande sensibilità.

Questa sua capacità creativa venne eredita-ta anche dal figlio Cesare, famoso architettodel ‘900, tra l’altro costruttore della allora fu-turistica cattedrale di Cristo Re di La Spezia.A Roberto succederà il figlio Roberto Junior.Nato a Torino nel 1911, dopo un’esperienzapresso l’Esposizione Universale di Roma(E.U.R), inizia a lavorare nell’azienda di fami-glia. Si deve a lui l’istituzione del T.C.A.H.O(Technical Centre for the Application of Hy-perbaric Oxygen), che porterà la Ditta Ga-leazzi a costruire le Camere Iperbariche perossigenoterapia ed a diffonderle in tutto ilmondo, e dei primi corsi per tecnici e mediciiperbarici. Furono proprio questi seminari aportare alla creazione della categoria O.T.I.ed alla specializzazione universitaria in me-dicina subacquea ed iperbarica. Titolare dioltre trenta brevetti specifici per apparec-chiature subacquee ed iperbariche, nel1980 fu lui a trasferire la Galeazzi dalla sto-rica sede cittadina in un nuovo e modernostabilimento nell’hinterland spezzino. Ro-berto Junior fu anche dirigente CMAS, fon-datore e presidente del CIRSS, vice presi-dente dell’Unione Industriali di La Spezia,delegato della F.I.P.S. e fornitore esclusivoper la Marina Militare fino agli anni 80’ ditutte le attrezzature subacquee ed iperbari-che. Nel 1972 costruì a Marsiglia, per l’Ho-pital Salvator, il più grande complesso iper-barico ospedaliero d’Europa costituito daben nove grandi camere iperbariche. Nel1962 fu insignito del Tridente d’oro.La ditta Galeazzi continuò ad esistere finoagli anni 80 unendosi in seguito con la“DRASS”, con sede a Livorno, un’aziendaleader nella produzione di attrezzature peralti fondali, sistemi per operare in saturazio-ne e camere iperbariche.

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Ventimila leghe sotto i mari!

C i sono nomi che non hanno bisogno dipresentazioni. Quando si nomina Ga-leazzi la memoria va subito agli elmi

da palombaro, alle innovative attrezzatureche furono in seguito adottate da grandi so-cietà di ricerca recupero e soccorso subac-queo ma anche alle moderne camere per iltrattamento iperbarico ancor oggi in dota-zione a molte marine militari ed ospedali ci-vili. Oggi racconteremo di questa grandeazienda familiare italiana passata alla storiadella subacquea.

Nascita dell’aziendaIl fondatore dell’azienda fu Roberto GaleazziSenior (lo vediamo con il giovane foglio Ro-berto in una rara foto con un modello delloscafandro articolato di sua invenzione). L’a-zienda Galeazzi nacque ufficialmente il pri-mo maggio del 1936 con sede in Via Oldoini19 – 27 a La Spezia; in realtà Galeazzi lavo-rava già da diversi anni (almeno dal 1930) inuna sua officina in Via XX Settembre, sem-pre a La Spezia. Vi domanderete perché allaSpezia? La Spezia era già all’epoca una fu-cina di formazione dei palombari grazie an-che alla Regia Marina che aveva costruito inquella piccola città, un tempo di pescatori,uno degli arsenali militari più importanti do-po l’unificazione del Regno di Italia. Molti pa-lombari erano formati al Varignano, attualesede del COMSUBIN, il cui vicino borgo, leGrazie è ora chiamato il paese dei palomba-ri. Ma torniamo a Galeazzi.Nel 1931 venne costruita una torretta buto-scopica (da lui ribattezzata “butengosco-pio”) la cui foto fu pubblicata su un giornaleche mostrava proprio la sua officina origina-le. Il successo iniziò con il brevetto della suageniale invenzione, avvenuta nel 1926, di unarivoluzionaria “struttura sferica”, altamenteresistente alle pressioni e studiata per esse-re applicata sui nuovi sommergibili. Questaidea venne in seguito applicata con succes-so alle torrette butoscopiche ed agli scafan-dri rigidi articolati che portarono tanta famaall’azienda. Nel campo delle apparecchiatu-re da palombaro la Galeazzi si impose a livel-lo internazionale con il suo “elmo Mod. 1905secondo tipo”, da lui ribattezzato nei suoi ca-taloghi “Modello Marina”. In seguito venne-ro prodotti diversi nuovi modelli sia di elmi sia

GaleazziBreve storia di una famigliache fece la storia della subacqueaAndrea Mucedola

Marinai d’Italia Marzo 2018

Galeazzi, padre e figlio,Roberto Sr. e Robert Jr.

con uno scafandro articolato(cortesia Giancarlo Bartoli – HDS)

La bellissimaplacca della

ditta “Galeazzi”in puro stile Decò

delle necessarie pompe da palombaro. tra iprimi va ricordato l’elmo Galeazzi PBG.La sigla indicava le iniziali di tre grandi nominel campo subacqueo (Pirelli, Belloni, Ga-leazzi) che collaborarono tra loro per realiz-zare questo elmo sperimentale nel campodell’uso di miscele respiratorie a base dielio. Ne furono costruiti solo due esemplariche rimasero allo stato di prototipo. Il su-bacqueo respirava la miscela attraverso unboccaglio collegato al piatto frontale. Lamuta ed il casco erano pressurizzati conaria compressa, per risparmiare sulla co-stosa miscela. Una curiosità: ogni elmo ave-va una matricola numerica progressiva,punzonata sulla flangia della testa e del col-lare in posizione anteriore. Tale matricolaera preceduta da un 33: o da un 3: (esempio33:xxx oppure 3:xxx).Tale numero indicava il grado di rifinituradell’elmo: 33 con rifinitura standard, 3 conspazzolatura a lucido, una rifinitura decisa-mente più costosa e per pochi.

Roberto Galeazzi, padreNacque a Livorno il 30 aprile del 1882 dovevi trascorse la prima gioventù; in seguito,dopo aver frequentato il primo biennio di in-gegneria all’Università di Pisa, attratto dalmondo della meccanica, lasciò quegli studie cominciò a lavorare presso varie officineinteressandosi di impianti diilluminazione stradalea benzina, di motoritermici presso la

Serpollet di Milano, le officine Carels in Bel-gio, e Diesel & Lockmann. Nel 1910 si sposòe dal matrimonio nacquero due figli: Rober-to, nel 1911, che poi ne segui le orme e nel1914 Cesare che sarebbe diventato poi unconosciuto architetto della Spezia. Dal 1919al 1920 visse negli Stati Uniti d’America perstudiare, per conto dell’Ansaldo di Genova,il sistema industriale americano. Rientrato aLa Spezia iniziò la sua collaborazione con ilcantiere navale Fiat-San Giorgio del Mug-giano e, sotto la guida dell’ing. Laurenti pa-dre dei sommergibili italiani, si avvicinò allatecnologia subacquea.Fu in questo periodo che Galeazzi inventò ebrevettò la struttura sferica per la costru-zione di scafi resistenti a pressione e co-struì le famose torrette butoscopiche. Se-guirono poi gli scafandri rigidi articolati, im-piegati dalla Marina Militare per il salvatag-gio dei sommergibili e tante altre apparec-chiature minori ma di grande efficacia nellavoro subacqueo soprattutto di quellosvolto a grande profondità. Roberto Galeaz-zi amava dire: ”...se volete andare piùprofondi di una apparecchiatura subac-quea Galeazzi dovete scavare un buco sulfondo del mare”. La sua fama fece il giro delmondo e Galeazzi fu soprannominato da Ja-mes Dugan, nel libro “Man under the sea”,il “mago della profondità”.

Andrea MucedolaOriginario di La Spezia, è un ammiragliodella Marina Militare (riserva); laureato inscienze marittime presso l’Università di Pi-sa ed in Scienze Politiche presso quella diTrieste è anche istruttore subacqueo conoltre 2000 immersioni effettuate in quasitutti gli oceani.Dal 1993 collabora con l’ISSD (Internatio-nal School for Scientific Diving) del Prof.Cinelli come docente di cartografia e me-todologia del trattamento dei dati costie-ri. Si occupa altresì di Scienze Marittimecollaborando in giro per il mondo congruppi di ricerca nell’ambito della Mariti-me Security e pubblicando articoli su ri-viste italiane e straniere.È il direttore del website Ocean4future(www.oceanforfuture.org): una vetrinache ha per focus il mare e che spaziadall’archeologia subacquea alla biologiae geologia marina, alle scienze naturaliad indirizzo marino o costiero e tanto al-tro ancora.

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Il destinatario della cartolina è il guardia-marina Sebastiano Morin. Figlio del piùnoto Enrico Costantino Morin, l’ammira-glio che all’inizio del novecento sarà Mi-nistro della Marina e degli Esteri, cui èdedicato alla Spezia il lungomare (Pas-seggiata Morin), Sebastiano arriverà finoal grado di contrammiraglio nel 1945 e la-scerà la Marina al termine del conflitto,dedicandosi all’attività di traduttore di li-bri di argomento navale e agli acquarelli.

Pochi anni dopo questa cartolina, nelcorso della prima guerra mondiale, meri-terà la medaglia di bronzo al valor milita-re che l’ammiraglio Tur, nel suo libro“Plancia Ammiraglio”, nel parlare dell’

attacco ad un nostro convoglio da partedi cacciatorpediniere austriaci, così rac-conta: “Poco dopo, alle 3,15, i due cacciatorpe-diniere avvistano il piccolo nostro C.T. Borea di 400 ton. con tre piroscafi dipoppa. Lo attaccano a cannonate. I primicolpi prendono subito in pieno la sua tu-bolatura di vapore. Il Borea si ferma. Vie-ne ancora colpito al galleggiamento. Ri-sponde al tiro. Un colpo successivo,scoppiato a prora, fa saltare in mare ilcomandante Franceschi, il tenente di va-scello Morin, che è di passaggio, e alcu-ni marinai. Franceschi è ferito. Aiutatoda Morin torna a bordo. Morin distruggei documenti riservatissimi. Si mettono insalvo i feriti. Poi, mentre la nave affonda,gli uomini rimasti a bordo si gettano inmare. Un piroscafo, il Bersagliere, rie-sce a fuggire e a dirigere su Valona; glialtri due vengono affondati: 11 i morti e12 i feriti del Borea, 5 i morti e 9 i feriti deipiroscafi“.

Spostiamo ora l’attenzione sulla firmadella cartolina.È di Vito Nunziante, un degli allievi entra-to in Accademia nel 1911 ed inserito nelcorso del vecchio ordinamento.Figlio di Ferdinando Nunziante, marchesedi San Ferdinando, e di Anna Colonna,aveva conseguito il 31 novembre del 1915il grado di sotto tenente di vascello.Scomparirà in mare la notte dell’11 dicem-bre 1916 nell’affondamento della R.N. Re-gina Margherita nelle acque di Valona.

Così sono descritti i suoi ultimi momenti: “Terminato il suo turno di guardia, men-tre si accingeva a prendere un poco diriposo, venne avvisato del pericolo, laRegina Margherita aveva urtato una mi-na in uscita dal porto di Valona. Senza pensare a premunirsi, ad indossa-re nuovamente la maglia ed a cingere ilsalvagente, corse subito al suo postodove il dovere lo chiamava. Era calmo esereno e si sforzava di rincorare la gen-te. Invitava i marinai a gridare “Viva ilRe!” Ad un ufficiale amico che gli chie-deva quel che accadesse, rispose face-tamente in dialetto napoletano: “Gua-gliò, ccajammo a picco!”, invitandolo asalvarsi. Distribuiva salvagenti, non pensando pernulla alla sua vita, in quel pericoloso egrave momento, pur di salvare quella de-gli altri. Un tenente di vascello superstite, che perl’oscurità della notte non poteva veder Vi-to, ritirandosi a poppa mano mano che lanave affondava, udiva chiaramente gli or-dini che con la sua calma abituale Vitoimpartiva per ammainare la baleniera. Sino agli ultimi istanti dell’agonia dellasua nave, egli è stato sorretto dal nobilis-simo spirito del dovere e del sacrificio! Ammainata la lancia il Nunziante fu l’ulti-mo ad imbarcarsi. Ma l’imbarcazione trop-po carica affondò. Rimase in acqua per piùdi mezz’ora in un gruppo di marinai. Era sempre calmo e si sforzava di inco-raggiare i suoi compagni di sventura mo-strandosi allegro. Poi un’ondata li divise.La sua salma non è stata ritrovata”

Alla sua memoria è stata concessa lamedaglia d’argento al valor militare. Con lui si sarebbe estinto il ramo deimarchesi di San Ferdinando.La sorella maggiore sposò però un altroufficiale di Marina, Mario Coda che ritro-veremo a Taranto nel corso della Secon-da Guerra Mondiale, richiamato nel gra-do di capitano di vascello.Mario Coda ottiene con regio decretodel 1941 il titolo di marchese e aggiungeil cognome Nunziante di San Ferdinandocon decreto del Presidente della Repub-blica Italiana del 9 settembre 1948, dan-do origine al ramo dei marchesi CodaNunziante.

E mi sembra che questa cartolina ci ab-bia detto abbastanza!

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27Marinai d’Italia Marzo 2018

V i sembrerà una cosa strana male cartoline, per chi sa guardareed ascoltare, parlano!

Ci parlano di cose, di luoghi, di persone,di fatti accaduti e che accadranno. Unesempio? Prendiamo questa cartolina. È una cartolina del Mak p 100 del corsoentrato all’Accademia di Livorno nel1911. Che cos’è il Mak p 100 lo sappiamotutti, nei primi anni del novecento anchein Marina si diffonde la tradizione, inizia-ta una decina d’anni prima nelle scuoledell’Esercito, di stampare, in occasionedei festeggiamenti, una cartolina ricordo.Questa tradizione andrà avanti, in manie-ra pressoché ininterrotta, fino alla finedegli anni ‘60, ma nel secondo dopoguer-ra aveva perso il valore simbolico invecepresente nei primi decenni, impoveren-dosi anche dal punto di vista grafico. Quella che vediamo è edita nel 1914, co-me si legge nell’immagine, ed è l’ultima(fino agli anni ‘50) stampata in bianco enero. La voglia di colore però è così tan-ta che vengono acquerellate a mano conil verde le chiome degli alberi e con ilgiallo alcuni particolari; che si tratta di

acquarellatura d’epoca si vede dal retro(il colore è passato ossidandosi) e chesiano nate così lo dimostra il fatto chealtri esemplari da me trovati sono colo-rati esattamente nello stesso modo. Veniamo al disegno che rappresenta,come potete vedere, con tratti che ci ri-cordano lo stile Liberty ancora in auge, ilneo ufficiale che esce orgoglioso dall’in-gresso principale dell’Accademia alla fi-ne degli anni di studio. La sciabola sim-boleggia il raggiunto status di ufficiale,così come vediamo in molte altre carto-line del periodo (in altri casi lo statussymbol sarà il giro di bitta, oppure la di-visa, la feluca, la fascia azzurra... ). Percapire però il significato della scenetta

bisogna sapere che nel 1911 cambia l’or-dinamento della Regia Accademia e glianni di durata dei corsi passano da tre aquattro. Così facendo ci sarebbe statoperò un anno in cui dall’Accademia nonsarebbe uscito nessun ufficiale, con for-te disagio per i normali avvicendamentisulle navi. Per ridurre questo disagio sipensò allora di suddividere il corso chestava entrando quell’ anno in due metà:la prima avrebbe seguito il vecchio ordi-namento, uscendo dall’Accademia con ilgrado di guardiamarina nel 1914, l’altrametà avrebbe invece seguito il nuovo or-dinamento su quattro anni, completandogli studi l’anno successivo. A questo punto diventa chiaro lo sfottòdella cartolina: l’ufficiale che esce bal-danzoso dall’ Accademia con i suoi gradiluccicanti è l’allievo del vecchio ordina-mento mentre il suo compagno di corsodel nuovo ordinamento lo vediamo anco-ra tenuto a balia (e lo spadino simboleg-gia lo status di allievo in contrasto con lasciabola) e gioca ancora con la barchet-ta (mentre una vera nave attende il neoufficiale), barchetta che ha sulla vela lelettere NO che stanno appunto per“Nuovo Ordinamento“. Ma giriamo la cartolina. A parte le macchie conseguenti all’ac-quarellatura di cui abbiamo già parlato,notiamo innanzitutto l’intestazione “Ulti-mo corso vecchio ordinamento“ il cui si-gnificato abbiamo già visto, e la confer-ma che la Cartoleria Belforte già in que-gli anni lavorava per l’Accademia.

26 Marinai d’Italia Marzo 2018

Testimonianze

Quando all’inizio del 2014 è stata manifestata da parte della presidenza del GruppoANMI di Livorno (al quale sono iscritto) di dar vita ad un “giornalino” ad uso e consu-

mo dei soci, con la richiesta di farsi avanti per le possibili collaborazioni, mi è sembratogiusto e doveroso propormi, anche per farmi perdonare la mia molto saltuaria partecipa-zione alla vita del gruppo causata dalla mia lontananza fisica.Nasce così la collana “Le cartoline raccontano” che prende spunto dalla mia collezione pri-vata e dalla curiosità che mi ha sempre spinto ad indagare e a scoprire chi si nasconde die-tro una firma o un indirizzo. È così che ho scoperto che se uno è in grado di starle ad ascol-tare sono tantissime le cose che le cartoline possono raccontarci e che la storia così rivis-suta riesce a coinvolgerci più di quella che si legge nei libri di testo.Questi articoli hanno incontrato anche il favore dei soci ANMI, non solo dei livornesi (si ve-de che le mie “manie” possono contagiare…) tanto che la rivista, che nel frattempo si è af-fermata e consolidata con il suggestivo nome di “Vecchia Prora”, mi ha sempre contato frai suoi collaboratori.Un grazie, quindi, ai presidenti che si sono nel tempo succeduti ed all’amico Fabio Scappiche è stato finora la mia preziosa interfaccia con la redazione, che mi hanno incoraggiatoa portare avanti questa collana ed ora a questa bella rivista per avermi accolto.

Le cartolineraccontano...Roberto Liberi A.I.C. (r) e Socio del Gruppo di Livorno

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29Marinai d’Italia Marzo 2018

dal comandante Gwinner. Da preda, ilLulworth diventò in un attimo cacciatore, vi-sto che la manovra lo portò a poche decine dimetri dal Calvi che ormai stava per esseresperonato.La grande abilità del comandante italiano,sebbene timoni ed eliche fossero quasi deltutto inefficienti, evitò per due volte lo spero-namento. Alla terza però, anche se riuscì nuo-vamente ad evitare la nave nemica, il Calviperse un’elica, rimanendo così alla totalemercé del nemico.Il Lulworth non aspettava che questo. Inqua-drato il sommergibile con delle potentissimefotoelettriche, cominciò a falciare il pontecon le mitragliere uccidendo tutti marinai cheda sottocoperta uscivano per scappare daquello che ormai era diventato l’inferno.Longobardo, dalla falsatorre, ordinò agli uo-mini di mettersi ai cannoni. Quello prodieroera bloccato, rimaneva solo quello di poppa

che agli ordini del comandante in seconda,T.V. Gennaro Maffettone cominciò una imparilotta a colpi di granate.Purtroppo, inquadrato dai proiettori, nella suatuta bianca che spiccava nella luce, il leggen-dario comandante italiano venne colpito mor-talmente da una raffica di mitragliatrice, la-sciando nello sgomento totale i pochi marinaiche gli stavano vicini.Il S.T.V. Villa ed il capo timoniere, cercaronodi portare il suo corpo esanime all’interno delbattello affinché diventasse la sua tombaeterna, ma lo scoppio di alcune bombole diacetilene fece saltare la torretta dilaniandoanche loro due.Dalla torretta devastata, lingue di fuoco in-ghiottivano tutti quelli che si trovavano vicinie le urla di dolore si propagavano per l’ocea-no disperdendosi tra i marosi che stavanolentamente alzandosi spinti dal vento.Sebbene senza un braccio, tranciato di nettoda un proiettile, Maffettone, diventato ora il co-mandante dell’unità, non demordeva, incitan-do i pochi uomini rimasti in vita a non cedere.

ma anche la scialuppa con gli uomini desti-nati a catturarlo.Quando North salì a bordo del Calvi, si trovòin mezzo ad un ammasso di corpi dilaniati daicolpi delle mitragliere. Chiese chi fosse il co-mandante, ma gli venne risposto solamenteche era morto.North voleva catturare il battello a tutti i costie sebbene fosse stato avvertito che i tubi lan-ciasiluri e le valvole di sfogo erano stateaperte, si recò comunque sottocoperta men-tre i pochi superstiti si gettavano a mare perallontanarsi. Quando i 35 naufraghi furono acirca un centinaio di metri, l’enorme scafo sirizzò verticalmente e si inabissò tra un fra-stuono di lamiere contorte, con il suo caricodi morti e feriti. Il tenente North, trascinato dalgorgo imponente, scomparve in mare.Tornato dopo alcune ore, peraltro senza avercolpito l’U-boot tedesco, Gwinner non trovòad attenderlo altro che i naufraghi ed i mari-nai della scialuppa.Il Calvi ed il tenente North si erano ormai ina-bissati per sempre.

Inquadrato anche lui nei mirini inglesi, immo-lava la sua giovane vita al grido “Viva l’Italia”.Visto comunque che l’unità era ormai perdu-ta, vennero aperti i tubi lanciasiluri per accel-lerarne l’affondamento.Il comandante Gwinner, vedendo la possibi-lità di catturare il sommergibile, fece metterea mare una scialuppa con a bordo il T.V. Northed alcuni marinai. Questa, spinta dalle potentibraccia dei suoi rematori, giunse in pochi at-timi a fianco del Calvi.Nel frattempo, il comandante Kals, da debitadistanza, notando la grande difficolta del bat-tello alleato, per cercare di distogliere l’atten-zione e far sì che i superstiti lasciassero il Cal-vi, lanciò una coppiola di siluri verso ilLulworth, che Gwinner ancora una volta riu-scì ad evitare.In preda all’ira, Gwinner si mise a cacciadell’U-130. Il C.T. inglese abbandonò momen-taneamente non solo il sommergibile italiano,

Dopo il ricongiungimento con il convoglio, ilcomandante della Squadriglia chiese glifossero inviati a bordo due ufficiali prigio-nieri per avere notizie sul battello affondato.Caricati in una scialuppa, il S.T.V. Ferrucci edil G.M. Burgio salirono a bordo del London-derry, unità a capo della scorta.Portati al cospetto del comandante, fu offertaloro dallo stesso una sigaretta contenuta inun bellissimo portasigarette d’argento. L’uffi-ciale inglese insistette perché venisse letta ladedica scritta al suo interno.Quando Ferrucci lesse quelle parole incise ri-mase scioccato.“Con fraterna amicizia-Primo Longobardo”.Il personaggio che stava davanti a lui e Bur-gio era proprio John Standley Dalison, L’uffi-ciale di cui Longobardo parlò loro ad iniziomissione ed il portasigarette era quello che luistesso gli regalò in Cina.Quando apprese dai due giovani ufficiali cheproprio una delle sue navi aveva affondato eucciso il suo grande amico poche ore prima,avrebbe avuto voglia di prendere a pugniGwinner, ma sapeva che non poteva farlo.Era la dura legge della guerra dove l’amicoa volte può diventare un nemico.E così era successo.Anche Gwinner scoppiò in lacrime, piomban-do in uno sconforto che si porterà dietro finoalla morte.A fine conflitto, cercò invano di contattare lamoglie ed i figli dell’amico senza mai riuscirci.Non voleva rimanere in Europa, fu quindiesaudita la sua richiesta di trasferimento inCanada a capo di un gruppo di Ispettori Na-vali. Aveva voglia di dimenticare quei ricordidrammatici e tristi gli solcavano la mente daquella infausta notte del 14 luglio 1942.Il 9 ottobre del 1949, durante una battuta dipesca in un laghetto nei dintorni di Ottawa,mentre si apprestava ad accendersi una si-garetta, il portasigarette gli scivolò di manocadendo in acqua. Lo vide ondeggiare. Conla mano cercò inutilmente di fermarlo nellasua corsa verso il fondo, ma non ci riuscì. Salito in macchina arrabbiato e sconsolatoper la perdita del prezioso regalo, fu trovatomorto nella sua macchina, schiantata controun albero alcune ore dopo.Dai rilevamenti fatti dalla polizia Canadese,non fu individuato nessun segno di frenata.Sarà stato un malore, una svista.Chi mai potrà saperlo, forse solo il portasiga-rette, unico oggetto che racchiude ancoraoggi la verità, la vita e la morte di questi duepersonaggi leggendari.

Le gesta di Longobardo sono state riportatenel romanzo storico di V. Emanuele DallaBella “Il Portasigarette d’Argento” disponi-bile in formato Ebook in tutti gli Store più im-portanti d’Italia ed esteri.

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28 Marinai d’Italia Marzo 2018

Marinai nella Storia

S ettantacinque anni fa, esattamente lanotte del 14 luglio 1942, scompariva inmare una delle figure più carismati-

che che la Marina Italiana abbia mai avutonei suoi oltre 150 anni di storia.Era il C.F. Primo Longobardo (1901-1942), uffi-ciale gentiluomo che ha ispirato tanti ufficialidestinati all’arma subacquea negli anni suc-cessivi alla fine della Seconda Guerra Mon-diale (ed ancora oggi).La storia di Longobardo, in modo particolarequella legata al periodo bellico, è un susse-guirsi di fatti a volte al limite dell’incredibile.Il combattimento violento avvenuto proprio lanotte del 14 con l’affondamento del Regiosommergibile Pietro Calvi da parte del C.T.della Royal Navy Lulworth, unità che facevaparte della squadriglia che scortava un gros-so convoglio partito da Freetown (Sierra Leo-ne) con destinazione Inghilterra, il quale co-mandante era il C.F. John Standley Dalison,amico di vecchia data dell’ufficiale italiano, èla conferma di quanto misteriosa possa esse-re la vita in tutti i suoi risvolti.Longobardo e Dalison si erano conosciuti aTien-Tsin, il piccolo possedimento concessoall’Italia dalla Cina agli inizi del 1900, per l’in-tervento che l’Italia stessa, nonché molte al-tre nazioni tra cui anche l’Inghilterra, aveva-no effettuato per sedare la “rivolta deiBoxer” che aveva portato la Cina alle portedi un conflitto interno sicuramente dagli esitidevastanti.Dal 1929 al 1933, anno in cui Longobardotornò in Italia per intraprendere il corsosommergibilisti, l’amicizia tra questi duegiovani ufficiali era diventata quasi fraternae servì molto ad entrambi per imparare lalingua dell’altro.Il portasigarette donato da Longobardo aDalison, sarà la chiave che legherà la vita ela morte di questi due personaggi.

Ma cosa portò a far incontrare in quella fati-dica notte i due amici? Mito o leggenda; riu-scire a concepire tali situazioni è a volte quasiimpossibile e surreale, quindi è molto proba-bile che il destino avesse scelto tutto questo.Ma andiamo con ordine. Partito da Bordeauxil 2 luglio, al Calvi veniva assegnato il “quadra-tino” di mare a levante delle Piccole Antille, zo-na risultata molto fruttuosa visti i numerosiaffondamenti effettuati dal Da Vinci (T.V. Gian-franco Gazzana Priaroggia), dal Torelli (T.V.An-tonio de Giacomo) e dal Tazzoli (C.C. Carlo Fe-cia di Cossato) in quei primi mesi del ’42.Lunedi 13 luglio, all’incirca verso le ore 10,30,veniva segnalata dall’U-160 la presenza di unmercantile isolato: l’Andalucia Star. Il Calvi simise a caccia dello stesso, cercando di ser-rare le distanze velocemente per poterlo at-taccare. Verso l’alba del 14, dopo una notte dinavigazione, della nave non vi era comunquetraccia. O era stata data al sommergibile laposizione errata o la stessa poteva esserestata affondata da qualche “U-boot”.Il Calvi riprese quindi la rotta di avvicinamentoal “quadratino” assegnatoli da “Betasom”.Nel tardo pomeriggio al Calvi giunse un altromessaggio, diramato dal comandante di “Be-tasom”, Amm. Romolo Polacchini, nonchédall’U-130, comandato dal T.V. Ernst Kals, chesegnalava la presenza di un convoglio chenavigava a circa 400 miglia a ovest di Las Pal-mas de Gran Canaria.Il battello italiano, con i diesel al massimo deigiri, si mise in rotta di rapido avvicinamento.Se fosse riuscito a serrarne le distanze all’im-brunire, avrebbe avuto vita più facile nell’at-taccarlo col favore delle tenebre.Durante l’avvicinamento ci fu l’incontro a di-stanza con il battello di Kals. Dopo un brevescambio di messaggi, i due comandanti si ac-cordarono per attaccarlo. Chi prima l’avesseraggiunto l’avrebbe attaccato.

Verso le 22,30 il Calvi aveva il convoglio a por-tata di siluri. Prima di immergersi, Longobardopoté inquadrare circa una decina di mercan-tili nemici di vario tonnellaggio e quattro C.T.che navigavano zigzagando alla ricerca di in-sidie provenienti dal fondo.Portatosi ad una profondità di circa 80 metri,il comandante fermò il battello ed esposeagli ufficiali il piano d’attacco. Avrebberoaspettato che la scorta passasse sopra di lo-ro, poi sarebbero emersi rapidamente all’in-terno del convoglio per attaccarlo a distanzaravvicinata, tecnica affinata da Longobardodurante la missione effettuata nel settembredel 1940 come ospite a bordo dell’U-99, que-sti comandato dal più prolifico degli affonda-tori della Seconda Guerra Mondiale; il C.C.Otto Kretschmer; metodo d’attacco che ave-va comunque già sperimentato a bordo delLuigi Torelli con ottimi risultati, consideratoche riuscì ad affondare un piccolo convogliodi 4 mercantili in una sola missione svoltanell’inverno del 1941. Era comunque una tec-nica più adatta ai “Branchi di Lupi” che abattelli solitari.I Branchi, per l’appunto, essendo gruppi for-mati da almeno una mezza dozzina di battelli,potevano permettersi di lasciarne alcuni in im-mersione affinché la caccia nemica si disto-gliesse dalla scorta, dando quindi la possibi-lità agli altri di addentrarsi all’interno dei con-vogli e lanciare i loro siluri da distanze a volteinferiori ai 200 metri, con effetti devastanti perogni nave che si fosse trovata di fronte.Il Calvi fu purtroppo avvistato durante l’avvi-cinamento da un caccia di scorta. Grazie al-l’ASDIC, strumento da poco in dotazione nellenavi inglesi, il Lulworth aveva individuato lapresenza del sommergibile e subito si mise incaccia. Il battello si portò ad una profondità dicirca 110 metri per cercare di evitare l’attac-co della nave nemica che ormai gli si trovavasopra. Longobardo, dopo il primo attacco e vi-sto che il sommergibile aveva subito solodanni lievi, scese a 130 metri, quota sicura vi-sto che i sommergibili avevano come prova dicollaudo 90-100 metri, ma il caccia inglesenon desistette e continuò l’attacco.Al terzo attacco del Lulworth, con un numeroimprecisato di avarie e perdite d’acqua da pa-ratie e tubazioni, per non perdere battello edequipaggio, Longobardo diede l’ordine diemergere per cercare un combattimento insuperficie con i cannoni di bordo e con i siluridi poppa, caricati per cercare di tentare un si-luramento all’unità nemica.Alle 23,36 il Calviemerse, inclinato di parecchigradi e quasi impossibile da manovrare, quin-di in totale balia del caccia nemico che co-munque non si era accorto che il sommergi-bile era salito in superfice.Longobardo, inquadrata l’unità nemica, fecelanciare i siluri poppieri. Questi, notati dallevedette, furono schivati con un’abile manovra

PRIMO LONGOBARDOtra mito e leggenda

Antonio Della BrunaSocio del Gruppo di Pinerolo

Il Torelli al rientro da una missione atlanticacon al comando il CF Primo Longobardo

Primo Longobardopasseggia in coperta

del Torelli

Il Torelli in partenzada Betasom. Di spalle Longobardoe il comandantedella base italianaamm. Angelo Parona

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Marinai d’Italia Marzo 2018 31

ENGEA: “20 anni di attività”...un’idea brillante del nostro socio MauroTestarella, nata in Sardegna vent’anni fa edoggi una grande realtà con tantissimi centriippici sparsi su tutto il territorio nazionaleed in espansione all’estero. Un progettoche prevede l’utilizzo del cavallo per il con-trollo del territorio, volontariato, attivitàsportive e terapeutiche per la cura delle di-sabilità nei ragazzi. Lo scorso 25 novembre, presso l’albergo SanMarco di Parma, l’ENGEA (Ente Nazionale

Guide Equestri Ambientali) ha festeggiato ilsuo ventesimo anniversario. Vent’anni di sa-crifici e difficoltà superate grazie all’entusia-smo di Mauro Testarella, oggi Presidente EN-GEA, Adina Pinzi ed ai suoi più stretti collabo-ratori.Presenti all’evento rappresentanti del CONI,PGS e di tutti i centri affiliati del territorio na-zionale ed estero; presente anche una dele-gazione greca ed una croata con soldati Us-sari in divisa storica.Per l’ANAIM, che da alcuni anni collabora conENGEA per attività sportive, erano presenti il

Vice Presidente Giuseppe Frijia e il SegretarioNazionale Gaetano Zirpoli. Per tutti, quale di-mostrazione di stima e affetto, riconoscimen-ti e attestati di partecipazione.Al Presidente Mauro Testarella ed ai suoi col-laboratori i nostri più vivi complimenti per ilgrande traguardo raggiunto e l’augurio perun futuro ricco di soddisfazioni.

Marinai d’Italia Marzo 2018

I ndelebile nella nostra memoria l’attimoin cui ognuno di noi ha indossato per laprima volta il “basco verde” al termine dellungo percorso addestrativo, il Corso Ordi-nario Incursori.È stata questa la scintilla che si è accesanelle mente del nostro Segretario Naziona-le il quale convinto che fosse un’ ottimaidea, per il calendario ANAIM 2018, l’haprospettata al Consiglio Direttivo Naziona-le che l’ha accolta con grande entusiasmo.Accolta favorevolmente anche dal RepartoOperativo e dalla Scuola Incursori che haprovveduto a fornire il materiale fotografi-co necessario; una serie di fotogrammi iquali ben rappresentano le molteplici atti-vità addestrative che caratterizzano le va-rie fasi del nostro Corso Ordinario.Lo scorso 15 dicembre in occasione deiconsueti auguri natalizi il calendarioANAIM 2018, dedicato alla Scuola Incurso-ri, è stato ufficialmente presentato nel Sa-lone di Rappresentanza della nostra sede.Molti i soci intervenuti tra i quali alcuniOperatori ancora in servizio e gli allievi del68° Corso Incursori che a gennaio 2018 in-dosseranno il basco verde.

In copertina la genesi del “Percorso Opera-tivo” di ognuno di noi; una bella immaginedell’allievo Incursore che, come consuetu-dine, riceve il basco verde dal decano dellaScuola.

Tante le foto all’interno che rendono ill’opera preziosa e accattivante; ognunodi noi, dice il presidente Cuciz mostran-do le immagini su grande schermo:” sfo-gliandolo può tornare indietro nel tem-po e rivivere la propria storia da AllievoIncursore”.Ad interessare i mesi di gennaio e feb-braio, in breve e su un’immagine del Va-rignano come sfondo, la storia dellaScuola Incursori dalla sua nascita aigiorni d’oggi, per dare al calendario an-che una nota culturale.Ringraziamo la Scuola Incursori per ilmateriale fotografico fornito e gli spon-sor “Mec Military”, l’Associazione “Do-ganalisti” di La Spezia e la “LucaccioniFranco s.a.s.” che con il loro contributohanno permesso la realizzazione dell’o-pera e ai quali è stato riservato uno spa-zio sulla retro copertina.Al termine della presentazione gli augurinatalizi formulati dal Presidente che a no-me di tutto il Direttivo ringrazia quanti han-no voluto condividere l’evento.Buon Natale e Sereno 2018 a tutti voi ealle vostre famiglie.

ANAIMAssociazione Nazionale Arditi Incursori Marina

Galleria Oldoini 3 - 19124 LA SPEZIA - Presidenza: 3283475315 - Segreteria: 3920102250 - www.anaim.it - [email protected]

Foglio informativo

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Calendario ANAIM: “Alla Scuola Incursori il 2018”

L’ANAIM: ricordando Carmelo Borg PISANI. - M.O.V.M.

Una stele in granito, situata nel giardino del museo Tecnico Navale di La Spezia, quelladedicata a Carmelo Borg Pisani; irredentista maltese condannato a morte per impicca-gione, da un tribunale militare inglese, per tradimento e cospirazione contro il Governodi sua Maestà Britannica il 28 novembre del 1942.Carmelo era nato a Malta ma il suo cuore batteva per l’Italia e come tanti maltesi com-batteva per “l’italianità” del suo Paese. Patriota maltese naturalizzato italiano avevarinunciato alla sua cittadinanza per assumere quella italiana. Come volontario, nel mag-gio del 1942, partecipò ad una missione di ricognizione durante la quale fu catturato,imprigionato e successivamente condannato a morte. Fu il Re Vittorio Emanuele III,motu proprio, ad insignirlo della Medaglia d’Oro al Valor Militare.Lo scorso 28 novembre, in occasione dell’anniversario della sua morte, l’ANAIM, dopoaver provveduto alla sistemazione della stele e alla donazione di una lampada votivain bronzo ad energia solare, ha voluto ricordarlo con una semplice e privata cerimonia.Onori ad un ragazzo che per tener fede ai suoi principi non ha esitato a sacrificare lapropria vita affrontando il patibolo al grido di “viva l’Italia”.

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In ogni numero, rigorosi articolidedicati agli avvenimenti, agli uominie ai mezzi (terrestri, navali e aerei)che hanno fatto la storia, accompagnatida un imponente apparato illustrativo.L’immagine d’epoca, sempre puntualee di elevato livello tecnico,è infatti una delle caratteristiche salientidi questo mensile che si avvaledella collaborazione dei più affermatispecialisti nei vari settori storico-militari

Edizioni Storia Militare srl

DOSSIER

Bimestrale in edicoladal 1° marzo del 2012Pubblicazione dedicataa specifici argomentistorico-militari

VARIGNANO“Il Loro ricordo nonci abbandonerà mai”

Fato? Destino? Errore? Chis-sà? Di fronte a queste do-

mande cerchiamo sempre una

spiegazione che a volte nonarriva o semplicemente nonvediamo.È quanto è successo anche 30anni fa il giorno 18 febbraio1987 a Luni di Sarzana quandodurante un lancio addestrati-vo, ad apertura comandata,l’Incursore Salvatore Sessadel 24° corso perse la vita.Salvatore era un paracadutistaesperto con tantissimi lanci asuo attivo ma quel giornoqualcosa sfuggi, causandonela morte.Lo scorso 4 dicembre, in oc-casione della festa di SantaBarbara e del 30° anniversa-

rio della sua morte, il Repar-to Operativo ha voluto ricor-darlo intitolandogli una rin-novata sala ripiegamento pa-racadute.Presenti all’evento la famigliadi Salvatore, i suoi “fratelli”del 24° Corso e della squadraA.C. di allora.Doverosa anche la presenza diuna rappresentanza della no-stra Associazione.In scaletta una visita al cimite-ro locale per un omaggio allatomba di Salvatore e a quelledegli Incursori che li riposano;a seguire la Santa Messa disuffragio e successivamente

la scopertura della targa com-memorativa posta all’ingressodella sala ripiegamento.A ricordare la figura dell’In-cursore Sessa e quella diAlessandro Bergaglio, dece-duto il 30 luglio 2015 in se-guito all’incidente avvenutoil giorno di Santa Barbara del2012, il Comandante del GOIche ha detto:“Il loro ricordo non ci abban-donerà mai per questo è initinere il progetto per il qualetutte le strutture del GOI ver-ranno, nel tempo, intitolateagli Incursori che hanno per-so la vita in servizio”.

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Ora, a distanza di 100 annidalla fine di quel massacroche fu la Prima Guerra Mon-diale le motivazioni di risen-timento che esacerbarono gli animi delle nazioni belligeranti so-no scomparse, quindi, è possibile parlare di quei tragici momenticon la necessaria serenità che ci è consentita dal trascorrere deltempo per cui, solo per ricordare che ci furono altri italiani chevissero quella tragica esperienza e che certamente rimasero fe-riti o persero la vita sull’“altro fronte”, mi viene offerta l’opportu-nità di pubblicare le foto di mio nonno e di suoi commilitoni delMaschinengewehrabteilung des 2 Battallions des k. k. Landweh-rinfaterieregiments Pola Nr. 6 (Reparto Mitragliatrici del 2° Bat-taglione dell’imperial regio Reggimento di fanteria Pola Nr.6).Da documenti personali lasciati a mia nonna ho appreso chemio nonno ha combattuto sulle cime dolomitiche nel 1916, nel1917 è stato nelle trincee di Valmaggiore (allora nel Tirolo) ed inquelle di Asiago, dal 1917 all’aprile 1918 è stato impiegato nelTrentino sul “Doss dei Morti” e poi inviato a frequentare un cor-so di specializzazione fino al termine delle operazioni belliche.Tra le memorie, anche fisiche, che mi ha tramandato mia nonnac’è una tabacchiera d’argento (vedi foto in alto) che mio nonnoportava nel taschino della divisa che deviò, salvandogli la vita,una pallottola italiana a lui destinata sul fronte di Asiago.

Al di là di questi ricordi personali così particolari è per me do-veroso rievocare le altrettante peculiarità e drammaticità dellevicende storiche che sono state vissute dalle sfortunate popo-lazioni di quelle che una volta erano definite “terre irredente”,il territorio cioè dell’Istria e della Dalmazia.Quei territori di confine, dopo il periodo romano che ha lasciatoresti importanti (basti pensare all’Arena di Pola, una delle piùgrandi dell’Impero Romano), sono stati per circa cinquecentoanni sotto il dominio e l’influenza veneziana (il dialetto parlatoin quelle zone è ancora il veneto) segnando così l’italianità diquella popolazione; alla caduta della Repubblica Veneta le terreistriane e dalmate passarono sotto il controllo degli Asburgo fi-no alla fine della Grande Guerra.

33Marinai d’Italia Marzo 201832 Marinai d’Italia Marzo 2018

Testimonianze

P rima di parlare di mio nonno, del quale possiedo alcunefoto che mi sono state lasciate in eredità, ri-tengo opportuno parlare

brevemente di me per raccontareal lettore come un Ufficiale di Ma-rina (ora non più in servizio attivo)possa avere retaggi storici così sin-golari e controversi.Sono figlio, con natali campani (Solo-paca, in provincia di Benevento), di unCapitano Commissario della Regia Ma-rina, Federico Tommasiello (anche eglinato in quel paese, nel 1906), che appe-na terminata la Seconda Guerra Mondia-le sposava a Trieste la signorina Lidia Pin-tarelli, mia madre, nata a Pola nel 1920 e lìconosciuta durante il periodo bellico. Lafutura sposa era figlia della Signora Fran-cesca Belich, nata a Pola (Istria) nel 1899e di Beniamino Vittorio Pintarelli, venutoalla luce a Trieste il 29 gennaio 1891 ma re-sidente a Pola; egli, in quanto cittadino diuna terra all’epoca sotto il domino austriaco, allo scoppio dellaGrande Guerra era stato regolarmente chiamato a “difendere laPatria” nell’Imperial Regio Esercito austroungarico.

Di questo nonno, di cui porto il secondo nome, non ho, ahimè, nes-sun ricordo poiché deceduto il 27 luglio del 1936 per cause natu-rali quando mia madre era una giovane fanciulla sedicenne; tuttoquello che so sono solo parziali e frammentari ricordi tramandati

da mia nonna che, vissuta fino all’età di 86 anni, mi raccon-tava di questo uomo dal carattere sempre al-

legro ed amico di tutti.Era un italiano fiero di essereistriano come molti altri italianidell’epoca che vivevano in quellaparte della “Mitteleuropa” dellaquale, comunque, riconosceva ilbuon governo ed il rispetto delleautorità verso la popolazione (la fa-mosa “Austria Felix”; qualche annofa ho avuto occasione di leggere unlibro scritto in veneto dal titolo “L’Au-stria era un Paese ordinato”, di Fara-guna e Carpinteri, che rievoca con tonileggeri quell’atmosfera prebellica nelleterre istriane). Come noto, l’impero au-striaco era un coacervo di nazionalitàaggregate dall’espansionismo della Casa

Asburgica e, naturalmente, chiamate anche a versare il sanguein caso di conflitto. Cosa che regolarmente avvenne nel 1914.

Gli italiani “dall’altra parte”nella Grande Guerra

Beppe Vittorio Tommasiello Contrammiraglio (r) - Presidenza Nazionale e Socio del Gruppo di Roma

Il primo a sinistra in bassoè il nonno Vittorio qui ritrattocon alcuni amici commilitoni

Foto delnonno Vittorio

all’età di 21 anni

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34 Marinai d’Italia Marzo 2018

Dopo le famose vicende della cosid-detta “vittoria mutilata” e dell’impresadannunziana di Fiume, l’Istria e la Dal-mazia furono “terra italiana” ma le du-re clausole del Trattato di Pace che po-se fine alla Seconda Guerra Mondialeconsegnarono quei territori italiani allaJugoslavia di Tito (in tale contesto gliepisodi drammatici delle “foibe”, deiquali mia madre e mia nonna ne ave-vano avuto esperienza diretta, segna-no ancora oggi i miei ricordi di bambi-no, così come le vicende dell’”esodo” che le costrinsero a la-sciare la loro casa ed i loro affetti a Pola) ed ai giorni nostri, dopoil dissolvimento della Jugoslavia, sono passate in parte alla Slo-venia e in parte alla Croazia.

Concludo queste brevi note con una filastrocca sulla Prima Guer-ra Mondiale, tramandata da mia madre, che recito a memoria edella quale non conosco l’esatta grafia.Chiedo scusa pertanto se sono presenti errori nel tedesco, nelcroato e nel veneto; si tratta di una memoria popolare nelle trelingue parlate all’epoca in Istria. Spiritosa, semplicistica, di chi –questo ignoto Lazarich – non avendo ritengo una spessa cultura

ma conoscitore, sia pure approssimativo, di quegli idiomi, rievo-ca la propria esperienza di guerra, certamente poco eroica, e dicome abbia salvato la vita:

Eine grosse (tedesco)flotta italiana se misiava (veneto)po nassu (croato);ein grosse fligen gekommen (tedesco);eine grosse bombe gefallen (tedesco)in di kaponera (croato);ganz chicchirichì krepiert (tedesco);bozman Lazarich salviert (tedesco)!

traduzione:

Una grandeflotta italiana si aggiravadalle nostre parti;un grosso uccello (aereo) è arrivato;una grande bomba è cadutanel pollaio;tutte le galline sono morte;il caporale (?) Lazarich si è salvato!

nnn

Testimonianze

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