Marina id’Italia

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Marinai d’Italia MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MARINAI D’ITALIA Anno LXII n. 6 • 2018 Giugno Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma “Una volta marinaio... marinaio per sempre” L’Oceano Indiano

Transcript of Marina id’Italia

Marinaid’ItaliaMENSILE

DELL’ASSOCIAZIONENAZIONALE

MARINAI D’ITALIA

Anno LXII

n. 6 • 2018Giugno

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento

Postale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n° 46)art. 1 comma 1 - DCB Roma

“Una volta marinaio... marinaio per sempre”

L’OceanoIndiano

M io padre era un professore di scuola mediasuperiore ed ha dedicato alla scuola tutta lavita. Sosteneva che gli studenti hanno nume-

ro pari di diritti e doveri: hanno, per esempio, il dirittoad avere scuole pulite, strutturalmente sicure, dirittoad avere insegnanti preparati e modello di vita, dirittoa ricevere un insegnamento equilibrato nel peso, so-stenibile e utile. Hanno il dovere di studiare, rispettarei docenti, gli arredi (materiale dello Stato, dunque ditutti) e gli orari, impegnarsi al miglioramento continuo.Così, tre a tre, palla al centro. Infine, non si rassegnavaal cambio di “ragione sociale” del Ministero, semprepreferendo la sostanza di quello storico “Ministerodell’Educazione” al più riduttivo “dell’Istruzione”, con-siderando quest’ultima una parte sola dell’operatodella scuola e del corpo docente. Anche lui ha avuto ache fare con il bullismo, ne parlava spesso, ma nessuncaso eclatante gli è mai scoppiato fra le mani, forse isuoi metodi ne scoraggiavano l’insorgenza, la virulen-za e la diffusione.Ora leggiamo dei casi di Velletri, Modena, Lucca e tantialtri, episodi bollati con un riduttivo termine di bullismonei confronti di altri studenti più deboli e perfino degliinsegnanti. A ben guardarli, sono episodi di vera e pro-pria violenza, fisica e verbale, perché non saprei altri-menti definire il lancio del cestino della carta contro laprofessoressa, le minacce di sciogliere la prof nell’aci-do o la intimidazione al professore di “mettersi in ginoc-chio” e di non farlo “incazzare”, così come i pugni e leaggressioni ai compagni, per non parlare poi di quellisferrati agli insegnanti dai vari genitori accorsi alla di-fesa del pargolo. Mi colpiscono le risatine dementi deicompagni che filmano gli episodi e li ”postano” sui so-cial come se fossero bravate da imitare, senza alcunapresa di distanza da piccoli individui già sulla buonastrada per diventare grandi delinquenti. Ricordo unacanzone di Antoine, anni sessanta, che diceva “Sei bel-lo e ti tirano le pietre, sei brutto e ti tirano le pietre, qua-lunque cosa fai… tu sempre pietre in faccia prenderai!”.Oggi, potrebbero cantarla in coro i nostri insegnanti,aggiornando il testo perché ti tirano cestini, pugni, calcie perfino coltelli.Dobbiamo riflettere, senza tuttavia generalizzare, suuna scuola divenuta (o in via di divenire) luogo di rac-colta indifferenziata di frustrazioni familiari.Sono forse questi episodi l’indice di una società in dis-soluzione, ove si fa largo il concetto del farsi giustiziada sé, del disprezzo delle regole e di chiunque le rap-presenti, insegnante o Stato che sia?Continuiamo a sentire che sono ragazzi cresciuti ed ab-bandonati a se stessi, che non hanno ricevuto né assor-bito quei valori essenziali per una crescita (anche intel-lettuale) armoniosa, sana e rispettosa del vivere in so-cietà. E allora, cosa facciamo? Lasciamo che la violenzae la maleducazione vadano a ruota libera, che prendapiede e si diffonda come una moda, senza intervenire?Soluzioni proposte (al nuovo Governo): sospensione im-mediata degli studenti in “flagranza di reato” (dagli in-sulti alle aggressioni, fisiche e verbali), ridefinizione delruolo dei docenti, dirigenti e personale ausiliario della

scuola come “pubblici ufficiali” quando in servizio, rida-re un voto determinante alla nostra vecchia e cara “con-dotta” (non so oggi come la si chiami dopo le innume-revoli giravolte e ridenominazioni subite). È pur vero chetanti cafoni, maleducati e violenti si annidano fra i geni-tori (a loro volta frutto di “quella” scuola del “vietato vie-tare”, ricordate?) che danno un pessimo esempio ai pro-pri figli (a volte, con la loro assenza, li abbandonano aloro stessi). Credo sia arrivato il momento per un giro divite che riporti le coscienze al valore fondante e primariodell’istruzione quale elemento essenziale dell’educa-zione dei ragazzi. Avremmo davvero bisogno di un DeGaulle con la sua celebre frase: “La recréation est finie”.Non giovano certo, a questo obiettivo, anni ed anni di te-levisione-spazzatura, orrori grammaticali e sintattici dipresentatori, tronisti e divette semi analfabeti ma onni-presenti, che potrebbero avere convinto i ragazzi chenella vita si può fare strada anche così, tenendo testa amaestri e professori su qualsiasi argomento (ritenendosufficiente un’occhiata su smartphone o Wikipedia).Il brodo del bullismo deriva dalle classi-pollaio, dallascarsa considerazione di cui godono gli insegnanti edalla loro inefficiente selezione, dalla considerazioneche la scuola sia una mera “spesa da tagliare” (14% inmeno negli ultimi 5 anni, secondo i dati OCSE) e nonun investimento sul futuro, da sostenere e, caso mai,incrementare.La scuola è immagine e somiglianza della società: do-vrebbe essere ripristinato il concetto basilare che si è re-sponsabili delle proprie azioni, fin dall’età della ragione,che chi sbaglia non deve essere compatito o avvolto damille scusanti ma punito (oltre e prima che recuperato).Che Stato è mai quello che considera come incarico as-solutamente minore e sottopagato quello dei maestrielementari e dei professori, cioè degli uomini e delledonne che hanno la responsabilità, insieme alla fami-glia, di prendere dei pulcini ignoranti e farne uomini edonne colti, che sanno leggere, scrivere, fare di conto e,domani, vivere in società?Sul “Corriere della Sera” del 5 giugno scorso, il noto edi-torialista Ernesto Galli della Loggia ha rivolto al neo-Mi-nistro dell’Istruzione l’invito al “cambiamento” (mottodi questo Governo), reintroducendo la predella sotto lacattedra dell’insegnante, l’obbligo per gli studenti di al-zarsi in piedi all’ingresso e all’uscita del docente, il di-vieto di ogni forma di occupazione/autogestione, la can-cellazione di un qualunque ruolo delle famiglie nell’isti-tuzione scolastica, l’affidamento delle pulizie interne edel decoro esterno degli edifici scolastici agli studentidella scuola stessa, il divieto di portare all’interno degliedifici scolastici (e tanto più in classe) lo smartphone,vietandone la vendita e l’uso ai minori di 14 anni, le gitescolastiche solo in Italia. Non ho scritto io queste propo-ste, le ha scritte uno dei più stimati “opinion maker”: iosemplicemente le condivido appieno, aggiungendovi,perché no, tempo pieno per tutti, divisa scolastica perogni istituto (così la facciamo finita con minigonne ingui-nali, bermuda strappati e “ciavatte” in classe), meno va-canze e sport obbligatorio per tutti.

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Editoriale del Presidente Nazionale

La scuola è immagine e somiglianza della società

Contributi 2018Gruppo di New Jersey (USA) € 26,42

Gruppo di Torino € 60,00

Gruppo di Sarzana (SP) € 54,00

Al giornale “Marinai d’Italia”Buongiorno,desidero segnalare la meritoria opera dell’Associazione CroataVANGA (Fucilieri di Marina) di Pola, guidata dal presidente KarloGodina, che con grande spirito di fratellanza organizza e partecipaspesso a cerimonie commemorative riguardanti i Caduti Italiani eperiodicamente prende anche cura del Cimitero Italiano di Pola.La loro opera, e lo dice un Fiumano figlio di Fiumani, oltre che evi-denziare un senso dell’Onore Militare ammirevole, fa rinascereun senso di speranza nei rapporti tra Uomini, anche se un tempoavversari, di cui l’essere Marinai è sempre stato un tramite e unafonte di ispirazione.

Stefano FotiGruppo Varignano Incursori

Caro amico, il giorno 28.04. siamo stati sul posto dell’affondamento del CesareRossarol. Ti mando un paio di foto dove si vede quello che abbiamofatto.Nella foto di gruppo sono il sindaco di Lisignano, rappresentanti delTurismo, il Custode del Museo di Marina per Istria, direttore del clubsubaqueo e noi “Vanga”. Il giorno 16 di novembre organizzeremo peri 100 anni della tragedia la visita al monumento, col supporto dellamarina da guerra per andare sul posto della Rossaroldove i somoz-zatori porteranno una ghirlanda per i caduti. Avviseremo il consolato Italiano, la marina Croata e sarebbe belloche pure voi fosse qui presenti.

Karlo Godina

I nostri due giovani studenti, Alessandro Capasso e AlessandroPontesilli, iscritti al Gruppo ANMI di Cisterna di Latina hannofatto parte dei 28 studenti imbarcati su Nave Palinurodove han-no avuto modo di conoscere altri ragazzi e consolidare amicizie.Purtroppo il 15 aprile 2018 questo sodalizio è stato funestatodalla morte, avvenuta a causa di un incidente stradale verifica-tosi a Nocera Superiore, del giovane 17 enne Raffaele Rossi diSant’Egidio e, in occasione dei funerali, tutti i compagni del Pa-linuro hanno voluto essere presenti con un “cuscino” e con unalettera di saluto letta da una ragazza, di quel Gruppo.

Raffo BaffoNoi siamo la prova, la prova di quanto un ragazzo, di nome Raf-faele che nessuno conosceva o aveva mai visto, a parte me, pri-ma dell’imbarco, sia speciale.Perché Speciale?Beh spiegarlo a parole non è semplice... quel sorriso che avevisempre stampato sulla faccia non si spiega a parole...Sappiamo solo che in quelle due settimane dove tutti erava-mo perfetti sconosciuti, tu, o in un modo o in un altro, sei riu-scito a spiccare tra battute e facce da pagliaccio che solo tusapevi fare.Raffo Baffo ti chiamavamo, che quando era il momento di fareil turno di guardia eri sempre l’ultimo a scendere dalla tuaamata amaca, tu che prendevi sempre qualche pacco di biscot-ti in più per conservarlo nell’armadietto per poi tirarlo fuori du-rante il turno quando nessuno vedeva… e certo chi ce la facevaa stare 4 ore senza mettere qualcosa sotto i denti… uagliò ijteng fam le parole che ti uscivano più spesso dalla bocca… epoi abbiamo i sorrisi… ma quanti ce ne hai fatti fare con i tuoimodi di fare e le battute, quanti? Impossibile contarli.Con quel sorriso hai veramente conquistato tutti Raffo in appe-na due settimane... cosa non da tutti, anzi da pochi, i migliori.Noi vogliamo ricordarti così… un ragazzo SPECIALE!

Ciao Raffo Baffo sempre nei nostri cuori.

I ragazzi del Palinuro 2017

Avvisoai Naviganti

Dal 1° giugno 2018saranno trattate solo:

• le foto pervenute alla Pre-sidenza Nazionale inviatealla casella di posta elet-tronica della [email protected] in formato digita-le (con risoluzione ottima-le per la stampa di 300 dpie una misura di base paria 10 cm. che di massimacorrisponde al “peso” di1,2 megabyte);

• le foto in cui sia palese ilcorretto impiego della di-visa sociale (come riporta-to nel “Regolamento di at-tuazione dello Statutodell’ANMI” - ed. 2012).

In ottemperanza al GDPR(General Data ProtectionRegulation) 679/2016, entra-to in vigore a far data dal 25maggio 2018, si assicura chela ditta incaricata della distri-buzione del “Giornale deiMarinai d’Italia” (DATASPED,SRLS - Via Ragusa 13/A,00041 Albano Laziale - RM)provvede alla cancellazionedei file elettronici contenentii dati dei Soci ANMI ai quali,avendo espresso il proprioassenso a riceverlo, il perio-dico viene inviato per posta.

La cancellazione dei dativiene eseguita al terminedella fase di cellofanatura(che precede quella dellaconsegna delle copie del“Giornale” alle PP.TT.).DATASPED SRLS comunicavia email a questa PresidenzaNazionale, di volta in volta,dell’avvenuta cancellazionedei file di che trattasi.

LA REDAZIONE

DIARIO DI BORDOMARINAI D’ITALIA

In copertinaUna suggestiva immaginedell’Oceano Indiano(vds art. a pag. 4 e segg. di Andrea Tani)

1 Editoriale del Presidente Nazionale

4 Oceano Indiano Così importante e così sconosciuto

8 La “flotta del Lupo”

12 L’articolo impossibile

15 Crociera dei Marinai d’Italia 2018 MSC Poesia

18 Uragano Anna

22 Premuda

27 Museo della Corazzata Roma e dei CC.TT. Da Noli e Vivaldi

28 Le cartoline raccontano

30 Foto d’epoca

32 Recensioni

pag. 4

pag. 8

pag. 18

pag. 22

Sommario

Direttore responsabileGiovanni Vignati

VicedirettoreAngelo Castiglione

RedazioneAlessandro Di Capua, Gaetano Gallinaro,Massimo Messina, Daniela Stanco,Beppe Tommasiello

Direzione, Redazione e Amministrazionec/o Caserma M.M. Grazioli LantePiazza Randaccio, 2 - 00195 RomaTel. 06.36.80.23.81/2Fax 06.36.80.20.90

Sito webwww.marinaiditalia.com

[email protected]

Iscrizionen. 6038Reg. Trib. Roma 28 novembre 1957

Progetto grafico e impaginazioneRoberta Melarance

StampaArtigrafiche Boccia spa via Tiberio Claudio Felice, 784131 Salerno

Numero copie34.800

Codice fiscale 80216990582

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Ambedue i conti intestati aAssociazione Nazionale Marinai d’ItaliaPresidenza Nazionalec/o Caserma M.M. Grazioli LantePiazza Randaccio, 2 - 00195 Roma

13 maggio 2018

Centomila Alpini sfilano a Trento.Nella foto il defilamento dei “nostri”

già dell’equipaggio di Nave Alpino

stato raggiunto in nessun altro bacino di di-mensioni comparabili. Sotto un certo puntodi vista, tale livello è stato persino superiorea quello esistente nel Mediterraneo, maremolto più piccolo ma con un regime di ventialeatorio e imprevedibile. Da tempo immemorabile popolazioni interesi sono spostate in questo oceano, natural-mente sempre per parallelo. Persiani edEbrei in India, Gujarati in Africa Orientale,Indonesiani in Sudafrica, Tamil nell’Asiasudorientale, Arabi in Malacca e nell’arci-pelago indonesiano, e così via. Il commer-cio marittimo monsonico, un vero networkdi legami culturali, comportamentali ed et-nici, ha rappresentato l’ordinario modo divivere per tutte le popolazioni rivierasche,dando vita all’area di interscambio più im-portante dell’antichità. Attraverso di essa si sono collegati i grandiimperi storici – Ittiti, Persia, mondo ellenico,Roma, Cina, le varie Indie, Israele, Venezia,galassia islamica, potenze navali emergen-ti europee – ed è stato favorito il proseliti-smo delle grandi confessioni monoteiste.Cristianesimo in primis –forzato con estre-ma durezza dal primo paese europeo che viha fondato un impero, il Portogallo – ma so-prattutto Islam che, nella sua espansione

verso oriente, si è veicolato essenzialmen-te su questo oceano arrivando a conquista-re, con la sola forza del proselitismo, terrelontanissime, come le isole indonesiane. A questo proposito si può dire che l’OceanoIndiano abbraccia l’intera complessitàdell’Islam: la sua mappa è intimamente le-gata alle modalità storiche di diffusione diquesta fede, da ovest verso est, e, all’inver-so, alla successiva pratica della Haj, il pel-legrinaggio alla Mecca.

L’Islam è stato un fenomeno religioso lega-to strettamente alle sabbie desertiche delMedio Oriente ma anche, almeno altrettan-to, alla salsedine dell’oceano e al verde deltropico asiatico.Oltre agli scambi commerciali e culturali ilmonsone influenza profondamente il climae determina anche i ritmi dell’agricoltura, eanche se talvolta si mostra distruttivo esso

è essenziale per la crescita e la prosperitàdi tanti paesi. Anche oggi, quando c’è unbuon monsone in India, ad esempio, il par-tito al potere se ne avvantaggia nei consen-si, perché l’economia tira. E al contrario, senon succede.Dominato soprattutto dagli occidentali, al-meno negli ultimi cinquecento anni – por-toghesi, olandesi, britannici e infine statu-nitensi – e in qualche modo fuori dei giochistrategici principali durante la Guerra

Fredda, questa parte di mondo sta riemer-gendo come il centro di gravità globale delpotere mondiale e del conflitto, di oggi edei prossimi anni. Ovvero l’hub del ventu-nesimo secolo. Quasi tutti i dossier più im-portanti della contemporaneità scaturi-scono da questa area geopolitica:• La demografiaun terzo della popolazione mondiale gra-vita su questo oceano.

• L’energiasia come scaturigine che come trasferi-mento al destinatario.Il 70% del greggio del mondo viene estrat-to sulle coste dell’Oceano Indiano e lo at-traversa in tutte le direzioni mediantequella che gli addetti ai lavori chiamanola “global energy intestate” dell’Asia-Pa-cifico. Il 90% dell’import energetico india-no e il 70% di quello cinese corrono suquesta autostrada. I principali passaggiobbligati (choke points) del commerciomondiale – Bab el Mandeb, Hormuz, andstretto di Malacca – sono qui. Per il primopassaggio passa il dieci per cento delgreggio estratto nel mondo, per il secon-do il quaranta per cento, mentre nel terzo

5Marinai d’Italia Giugno 2018

O ggi c’è bisogno di guardare all’O-ceano Indiano con una prospettivainnovativa, che poi corrisponde al-

la visione storica di un bacino unificante efecondante come pochi - l’”Oceano IndianoAllargato”, potremmo definirlo, liberamentetraducendo “The Greater Indian Ocean”

frequentemente citato nella letteraturageopolitica anglosassone. Esso com-prende il Mar Rosso, il mar Arabico, laBaia del Bengala, lo stretto di Malacca ilmar di Giava e quello della Cina Meridio-nale e si stende fra il Sahara, il MedioOriente, il Sud Africa, l’altipiano iranico e

il sucontinente indiano, fino all’arcipelagoindonesiano. Grazie al prodigio meteorologico rappre-sentato dai venti monsonici che invertonola direzione di provenienza con regolaritàogni sei mesi (libeccio d’estate e grecaled’inverno, si potrebbe azzardare prenden-do a prestito l’eolica nostrale), “Al Bahr alHindi” – come lo chiamavano gli arabi neiloro trattati di navigazione – è stato naviga-bile e navigato dai primordi in piena sicu-rezza anche da imbarcazioni relativamentemodeste e primitive. Si tratta dell’unico oceano del mondo ca-ratterizzato da un regime monsonico esclu-sivo, che consente l’assoluta prevedibilitàdei venti (anche come intensità) e quindidelle modalità di traversata nell’uno e nel-l’altro senso. L’Atlantico, con i suoi famosi alisei, non èneanche paragonabile, dato che verso ove-st ci si va facilmente, ma, in quanto a tornareindietro, è tutt’altra faccenda. Bisogna salirein latitudine e sfruttare le depressioni occi-dentali che sono burrasche più o meno ma-neggevoli. Niente di particolarmente adattoa imbarcazioni leggere o primitive. Prova nesia che prima di Colombo nessuno c’è tantoriuscito da raccontarlo. Si ha certezza di na-vigazioni organizzate nell’Oceano Indiano,viceversa, fin dal 100 a.C.. Non è stato ne-cessario quindi aspettare l’era delle propul-sione navale a vapore perché si stabilisseun legame sincretico fra le culture e le gentirivierasche dell’Indiano, a differenza – dinuovo – di quanto è successo in Atlantico,che è stato percorso da conquistatori in unasola direzione ed è stato più o meno unifica-to ma unilateralmente e su un esclusivo mo-dulo europeo. Il livello d’interazione fra i po-poli che si sono serviti del monsone non è

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Riflessioni

OCEANO INDIANO Così importantee così sconosciutoAndrea Tani - Esperto di Geopolitica

Giappone.Il Grande Buddha nel tempiodi Todai-ji, Nara,fuso originariamente nel 752 Alba nel deserto del Thar

India.La festa anuale hindu DURGA PUJA

(copyright Biswarup Ganguly)

CV (r) Andrea TaniDopo aver frequentato il Morosini e l’Ac-cademia Navale, è stato ufficiale in Ma-rina in Spe per un ventennio, in Patria eall’estero. Ha operato nell’industria del-la difesa per il successivo quarto di se-colo. Autore di circa ottocento articoli suargomenti strategici, geopolitici, milita-ri e navali. Vive a Roma.

è mai comparso e anche i tagli generatidalla crisi economica in corso che sonoun lusso che nessuno si può permettere.

• La rivoluzione delle gerarchiegeopolitiche planetarieil sorgere dei maggiori aspiranti egemoniplanetari, Cina e India, qui una realtàconcreta, come lo è la loro rivalità. Ènell’Oceano Indiano che si sovrappon-gono e interagiscono gli interessi e l’in-fluenza – sopratutto marittima e “navale”in senso anglosassone – dei futuri com-petitori per l’egemonia mondiale, Cina,USA e India, ed è qui che le dinamicheglobali di potere verranno disvelate.

• Per quanto riguarda la valenza navaledel teatro, è opinione comune e assaicondivisibile che la Cina e l’India sonodestinate a competere, sopratutto nel-l’Indiano, dato che è impensabile chele task force di New Delhi operino in

prossimità del bastione continentalecinese, a meno di un deciso rafforza-mento dell’alleanza quadrangolare Sta-ti Uniti, India, Giappone e Australia chesembra delinearsi a tratti, senza forma-lizzarsi mai. Quelle cinesi – le task forcecinesi - operano già da tempo in questobacino e non hanno alcuna intenzionedi ritirarsi, dovendo sostenere, fra l’al-tro, la penetrazione di Pechino in Africae la protezione delle giugulari energeti-che che alimentano lo sviluppo Han.

• C’è chi sostiene che l’interdipendenzadell’Elefante e del Dragone sugli stessimari potrebbe viceversa condurre i duecolossi ad una mutua alleanza, magariimplicitamente ostile agli Stati Uniti. Inalternativa, viene ventilata un’altra pos-sibilità, alquanto palingenetica, in ve-rità. Ossia che alla fine venga fuori, inquesto Oceano, come negli altri mari

asiatici, un’ammucchiata un po’ hol-lywoodiana e buonista di tutti “con” tutti– Cina, India, USA, sud-estasiatici, Giap-pone, Australia – in modo da “tenere imari sgombri dai pirati assicurando lafruizione del “bene comune”.

Sappiamo poco, in Europa continentale ein particolare nel nostro Paese, su ciascu-no di questi temi, isolatamente e visti nelloro interagire complessivo. Si tratta di una lacuna culturale e cono-scitiva non più tollerabile nel mondo di og-gi, che sarà sempre più dominato dalle te-matiche asiatiche gravitanti su questoOceano. Sulle quali si è scritto e letto pocosopratutto perché nel secolo scorso sonostati l’Atlantico e il Pacifico a prevalere. IlMedio Oriente – che in gran parte è com-preso in questo teatro – è stato estesa-mente trattato ma in chiave autoreferen-ziale/petrolifera/religiosa o in relazione al-le tematiche occidentali.La lettura più corretta delle vicende e deifuturi dell’Oceano Indiano è oggi auspica-bile con lo sguardo rivolto ad oriente, so-prattutto da parte dei cittadini della Super-potenza dominante, i quali portano il far-dello, anche in questo scacchiere, di im-mense responsabilità geopolitiche ma nonhanno vera esperienza storica di questelatitudini e longitudini, a differenza di quan-to succede nei confronti dell’Atlantico edel Pacifico, dove sono cresciuti e hannocombattuto le loro grandi guerre nazionali.E gli europei? Forse gli europei hanno fattoil loro tempo, almeno in questo oceano eper quanto riguarda la presenza militare,che sostanzia quella geopolitica. Lo hannoscoperto, percorso, trafficato, conquista-to, disputato, ma oggi la loro unica realtàstrategica è rappresentata da qualche fre-gata antipirati e da sporadiche basi allaporta del Mar Rosso (che tutto sommato èanche e soprattutto un’appendice del Me-diterraneo), a Gibuti e nel Golfo Persico,che è un bacino “molto” particolare dell’O-ceano Indiano. In un certo senso la malin-conica vicenda italica dei cosiddetti“marò” ha rappresentato la chiusura sim-bolica non solo della presenza italiana, chenel secolo scorso ha avuto momenti assaiconcreti e significativi – la Regia Marinaha dislocato da queste parti il secondo di-spositivo navale di tutte le grandi potenzedi allora – ma della complessiva navalitàEU. È difficile che questo trend si inverta, aldi là degli amarcord.

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7Marinai d’Italia Giugno 2018

scorre il 50 percento dell’intero trafficocommerciale. Ovvero, per l’Oceano In-diano fluiscono le più importanti e ca-pienti giugulari marittime del pianeta.

• I grandi movimenti a sfondo religiosoche sembra abbiano sostituito le ideolo-gie politiche come motori dei grandi con-tenziosi (ma è mai veramente successo,all’infuori dell’Occidente?) sono tutteconcentrate in questa area e qui cozzanofra loro con maggiore fragore. Si scon-trano anche con le dottrine secolari, co-me il consumismo capitalistico a sfondoliberale dell’Occidente (asiatico) e quellosempre capitalistico ma a conduzione di-rigistica della Cina. Per inciso questa èl’area dove la più dinamica (o solo ag-gressiva) confessione del mondo l’Islamha e fa più proseliti – fondamentalisti co-me i sauditi, i pakistani e gli iraniani, tol-leranti e sincretici come gli indonesiani egli africani, o semplicemente ordinari co-me gli indiani, i bengalesi e i malesi – cheviene a contatto con la più dinamica (osolo aggressiva) laicità, quella della Cina.

• Il terrorismoe i conflitti che ne sono derivati (Afghanistan, Iraq) sono nati e si sonosviluppati su queste sponde: Al Qaeda etutte le organizzazioni che ad essa siispirano hanno la loro matrice e il loroprincipale campo di estrinsecazionenell’Oceano Indiano Allargato.

• La pirateriache del terrorismo è una specie di va-riante marittima e anarchica, ha i suoimaggiori protagonisti da queste parti, al

largo della Somalia e attorno alla Malac-ca. Lo stesso dicasi per gran parte dellaproduzione e del commercio di stupefa-centi (Afghanistan, Penisola indocinese).

• Il fallimento dei più derelittiparia statualiè una caratteristica di queste latitudini elongitudini – Somalia, Afghanistan, Ban-gladesh, Myanmar, Pakistan, tanto percitare i più eclatanti.

• La proliferazionedelle armi di distruzione di massa.Tre dei fuorilegge nucleari più o menoamnistiati sono stanziati da queste parti– India, Pakistan e Israele – e il quarto,la Corea del Nord, ancora non condona-to è stato indottrinato da uno di loro. Unquinto, l’Iran è prossimo ad unirsi al

team. Il guru geopolitico Thomas P.M.Barnetha ha scritto che “l’Oceano India-no è sicuramente il più nuclearizzato deiSette Mari, essendo presidiato e attra-versato da deterrenti strategici di alme-no otto nazioni (USA, Regno Unito, Fran-cia, Russia, Cina, Cina, India e Israele (isottomarini con la stella di Davide si ad-destrano a lanciare i loro Popeye a testaatomica nei poligoni indiani, e pattuglia-no le zone di lancio al largo dell’Iran).

• La corsa più accentuataagli armamenti convenzionaliche vede Cina, India, UAE, Pakistan,Arabia Saudita, Singapore, in pole posi-tion. La densità di armi e armati non haequivalenti in alcuna altra parte delmondo. Il “dividendo della pace” qui non

6 Marinai d’Italia Giugno 2018

Diffusione dell’Islam nel mondo

Cina.Tempio taoista a Shangrao, in Jiangxi,dedicato a Dongyuedadi,il “Grande Dio del Monte Tai”,una delle montagne sacre cinesi

Iran.Santuario dell’Imam Reza a Mashhad,uno dei centri religiosi più importanti

Indonesia.L’isola di Bali

Riflessioni

classe “Meckerell” degli anni ’40. Realizzati in due lotti tra 1952 e1957, i battelli classe “Abtao”, poi radicalmente ammodernati nel1965-1968, e dotati di nuovi sensori all’inizio degli anni ’80, sareb-bero rimasti in servizio per oltre 40 anni, prima di essere radiatitra il 1998 e il 1999. (2) La flotta alturiera però continuò ad esserealimentata con naviglio di seconda mano, benché di costruzionerecente, compiendo comunque un notevole salto di qualità. Incro-ciatori e caccia risalenti alla Prima guerra mondiale, furono cosìsostituiti da 2 incrociatori e 2 caccia veterani della Seconda, checompletavano il rinnovo avviato con l’entrata in linea delle citate6 moderne unità di scorta; anche se il Gàlvez, in cattive condizioni,fu radiato già nel 1961, sostituito da 2 corvette antisom da 1.250 t.ricavate dai dragamine oceanici tipo “Auk” della US Navy, e con-segnate nel 1960 (classe “Gàlvez”).I nuovi pezzi pregiati erano però gli incrociatori Almirante Grau(poi Capitàn Quiñones) e Coronel Bolognesi, unità ex britannicheda 11.000 t. classe “Crown Colony”, armate con 9 cannoni da152/50 mm Mk-22. Di costruzione relativamente recente (1939-1943), erano stati completamente ammodernati tra 1951 e 1957,con interventi strutturali, nuovi sensori, e cannoni antiaerei auto-matici a guida radar (3), per poi essere revisionati all’atto dellacessione al Perù, nel 1959-1960; nel 1963 a poppa sarebbe stata

realizzata una piazzola elicotteristica per limitate operazioni di vo-lo in favore dei Bell 47G acquistati dalla Marina.I 2 nuovi cacciatorpediniere di squadra, erano invece dei “Flet-cher” del 1943, ceduti dalla US Navy nel 1960-1961 come classe“Villar”, e più tardi (1975-1976) anch’essi dotati di ponte di volo perelicotteri.In questi anni furono anche migliorati i reparti logistici e anfibi,con l’acquisizione di 2 LST da 4.080 t. del 1943-1944, cedute dallaUS Navy nel 1951 e 1957 (classe “Chimbote”: una terza arriverànel 1977 per cannibalizzazione), seguite nel 1959 da 2 LSM da1.100 t. del 1945, classe “Lomas”, mentre i locali cantieri SIMAdell’Arsenale di Callao realizzeranno nel 1952-1959 la cisterna Ta-lara, da 7.000 t, e 2 unità più grandi classe “Sechura” da 8.700 t.,per il supporto in mare, e anche per attività commerciali.

Nel decennio 1960-1970, mentre veniva-no ammodernate leunità in servizio, furo-no radiate le 2 fregateclasse “Ferré”, e va-rie unità ausiliarie divecchio tipo. Pochi inuovi programmi; fu-rono infatti acquisite2 cannoniere tipoPGM-71 americane:la Rio Sama conse-gnata nel 1966, e laRio Chira realizzata su

licenza nei cantieri SIMA (1971-1972), da cui uscirono anche unaterza cisterna classe “Sechura” (1966), le 2 petroliere classe “Pa-rinas” (1967-1968), da 14.000 t., e 2 navi trasporto/rifornimentoclasse “Ilo” (costruite nel 1970-1973), da 18.400 t.. (4)Nel 1969 furono poi acquistati dalla Royal Navy due cacciatorpe-diniere classe “Daring”, ribattezzati Palacios e Ferré: unità da3.600 t. di costruzione recente (erano stati completati nel 1953-1954), furono sottoposti nei cantieri inglesi a un lungo programmadi ricostruzione, tra 1970 e 1973, quando divennero operativi nellaMarina de Guerra, dopo radicali interventi strutturali, l’installazio-ne di un nuovo radar di ricerca aeronavale, e di 8 lanciatori permissili antinave “Exocet” MM-38. La loro entrata in servizio segnòun decennio di espansione spettacolare della Marina Peruviana,in larga parte alimentata da naviglio di seconda mano, ma concrescenti innesti di mezzi allo stato dell’arte, anche a causa dellecrescenti tensioni con la giunta militare cilena guidata da Augu-sto Pinochet, proprio mentre i militari al potere a Lima dal 1968 sierano avvicinati all’URSS (da cui acquistarono carri armati e ae-rei, ma non navi), per poi cedere il governo ai civili, nel 1980. Fupresa in considerazione la possibilità di acquistare una portaereileggera inglese classe “Centaur”; ma si ripiegò poi su 2 incrocia-tori olandesi classe “De Ruyter” che, impostati nel 1939, eranostati completati nel 1953-1954, con cannoni Bofors da 152/53 mme da 57 e 40 mm antiaerei radar guidati. Lima acquistò il De Ruyternel 1973, ribattezzandolo Almirante Grau, e 3 anni dopo il De Zeven

9Marinai d’Italia Giugno 2018

È stata la seconda marina militare del Sudamerica (dove alungo, dopo la “decolonizzazione”, completata nel 1826,l’abitudine era quella di armare navi da guerra solo in caso

di conflitto, per poi restare con un pugno di guardacoste per esi-genze doganali) a dotarsi, dal 1845, di una flotta permanente. Larinnovata Marina de Guerra del Perù puntò inoltre subito su mezzitecnologicamente all’avanguardia: navi a vapore, a ruote e poi aelica, cannoni rigati, corazzate (ben 4, entrate in servizio tra 1866e 1868), torpediniere lanciasiluri, e un sommergibile. Una realtàspazzata via nella disastrosa sconfitta subita durante la guerracombattuta col Cile nel 1879-1883; per lungo tempo, Lima dovetteaccontentarsi di schierare un solo incrociatore sprotetto e un pu-gno di cannoniere: ciò che restava della “grande flotta” armatatra 1865 e 1880. Gli ufficiali peruviani che avevano combattutocontro il Cile sopravvivendo alla prova, divenuti ammiragli e mini-stri della Marina, ne indirizzarono la rinascita all’inizio del XX se-colo: nel 1907 entravano in servizio 2 modernissimi incrociatorileggeri, i primi dell’America Latina, al pari dei sommergibili: 2 bat-telli consegnati dalla Francia nel 1912-1913, i primi operativi nellaregione. Un’attenzione mantenuta negli anni successivi, contras-segnati da brevi conflitti contro Colombia (1932-1933) ed Ecuador(1941-1942), e dall’emergenza della Seconda guerra mondiale. (1)Nel 1946, la flotta iniziava però a mostrare vistosamente i segnidel tempo. Benché più volte ammodernati (l’ultima volta nel 1942-1944), i 2 incrociatori classe “Almirante Grau” erano obsoleti, alpari dei 2 cacciatorpediniere costruiti nel 1914-1917, e dei 4 som-mergibili acquistati negli Stati Uniti nel 1928 (classe “Islay”): le

unità più moderne erano 2 cannoniere fluviali classe “Amazonas”completate nel 1935, e peraltro tuttora in servizio. Tuttavia, la pos-sibilità di accedere al surplus delle potenze navali anglo-sassoni,che in quegli anni avevano dovuto smobilitare parte del navigliocostruito nel 1939-1945, permise anche al Perù di fare buoni af-fari, al pari delle altre marine sudamericane.Le prime unità acquistate furono, già nel 1947, un destroyer escortclasse “Tacoma” da 2.200 t. ceduto dalla US Navy e ribattezzato Gàl-vez, e 2 fregate “River” ex canadesi, classe “Ferré”: tutte unità co-struite nel 1943-1944, e con sofisticati armamento e sensoristica an-tisom e antiaerei. Nel 1951-1952 la US Navy cedette al Perù anche3 caccia di scorta tipo “Bostwick”, costruiti nel 1943 e aggiornati pri-ma del trasferimento (come classe “Aguirre”), mentre venivano am-modernate anche le navi già in servizio. Nel 1951 entravano altresìin servizio 2 fiammanti cannoniere fluviali classe “Marañon”. Gli ammiragli peruviani avevano però ambizioni maggiori, semprecon un occhio alle tensioni con l’Ecuador (riprese soprattutto nel1960, quando Quito denunciò il trattato di pace di Rio de Janeirodel 1942), e alla tradizionale rivalità col Cile, col quale erano statecombattute due guerre dal forte impatto navale, nel 1836-1839 enel 1879-1883. Un rafforzamento concentrato soprattutto sullacomponente subacquea, che già nella guerra del 1879 aveva vistola costruzione di un battello, il Toro Submarino, armato con unatorpedine ad asta, che però dovette essere autoaffondato primadi tentare la sorte contro la flotta cilena.Trovatosi a proprio agio con gli affidabili “Islay”, il Perù ordinòsempre alla Electric Boat di Groton 4 sommergibili derivati dalla

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Marine Militari nel Mondo

La “flotta del Lupo”L’evoluzione della Marina del Perù

Giuliano Da Frè - Storico e giornalista

Note

(1) Il Perù ruppe i rapporti con le potenze dell’Asse nel 1942, ma per la dichiara-zione di guerra attese il 12 febbraio 1945.

(2) Dal 2004 l’Abtao è una nave-museo.(3) Il Newfoundland (poi Almirante Grau) il 31/10/1956 aveva affondato la fregata

egiziana Domiat, durante la crisi di Suez.(4) Molte navi cisterna erano impiegate dall’azienda di stato Petroperu, oltre che

dalla Marina militare.

La base navaledi Callao

La fregata Carvajal(1979)tipo Lupo

Radiazionedel caccia Ferrè(2007)

L’incrociatore ingleseNewfoundlandceduto al Perù nel 1959

Nel 2004-2005, infatti, sono state acquistate di seconda mano le 4fregate classe “Lupo”, che la Marina Italiana aveva passato dapoco passato in riserva. Unità simili a quelle già in servizio con laMarina de Guerra, relativamente recenti (sono state completatenel 1977-1980), e radicalmente ammodernate nel 1991-1995, men-tre un ulteriore upgrade fu effettuato da Fincantieri nel 2004-2006,all’atto del trasferimento.Dal 2012 le fregate sono soggette a un più radicale aggiorna-mento, con l’imbarco di nuove armi e sensori (come i missili an-tinave MM-40 “Exocet” Block-3, radar 3D “Kronos”, sistemi diinganno MASS), mentre nel 2013 la capoclasse Carvajal è statatrasformata in pattugliatore d’altura, sbarcando sistemi missili-stici e antisom.

Un contratto con la Corea del Sud ha invece portato all’acquisi-zione nel 2016-2017 di 4 nuovi pattugliatori costieri da 500 t. clas-se “Rio Canete”, mentre il governo di Seul trasferiva alla Colom-bia una corvetta dismessa classe “Pohang” (1986), convertita inOPV col nome di Ferré, affiancandola a 2 lotti di vedette in con-segna dal 2013.I programmi di ammodernamento riguardano anche la linea lo-gistica e specializzata, e vedono Lima puntare soprattutto su na-viglio di nuova costruzione, sempre coinvolgendo la cantieristicalocale. Il contratto più importante è stato stipulato con l’Indone-sia, per realizzare su licenza 2 LPD anfibie da 11.400 t. basate suun progetto sudcoreano (e capaci di imbarcare fino a 500 soldati,40 mezzi blindati e 5 elicotteri), tipo “Makassar”. Le unità, che for-meranno la classe “Pisco”, sono in costruzione dal 2013, e sa-ranno completate nel 2018-2019. Ma i cantieri SIMA nel 2012-2015 hanno anche costruito uno splendido 4 alberi, l’Uniòn, dal2016 nuova nave scuola della Marina, oltre ai 2 pattugliatori flu-viali classe “Clavero” realizzati nel 2010-2016; sempre nel 2016 èentrata in servizio anche la nuovissima nave scientifica artica dicostruzione spagnola Carrasco, che dispone di un ampio hangarper elicotteri.

Il supporto logistico è invece ora incentrato su 2 cisterne di squa-dra da 28.000 t. costruite in Russia nel 1986-1987, classe “Bayovar”,comperate nel 2007, e su una nave da rifornimento di moderna con-cezione, benché sia stata acquistata di seconda mano dall’Olanda:si tratta dell’Amsterdam, completata nel 1995, da 18.000 t., capacedi trasportare 4 elicotteri, entrata in servizio nella Marina Peruvianacome Tacna. Tuttavia, il 26 settembre 2017 è stata scritta la parolafine alla lunga carriera, sotto tre bandiere (nel 1940-1944 lo scafo incostruzione era stato incorporato dalla Kriegsmarine tedesca),dell’incrociatore Grau, passato in disarmo dopo 64 anni di servizio.Il suo nome è stato passato a una delle fregate “Carvajal” già ag-giornate, assieme alle funzioni di nave ammiraglia. Ad oggi (fine ot-tobre 2017), la flotta peruviana comprende pertanto 7 fregate tipo

“Lupo” in fase di ammodernamento (6), 2 pattugliatori d’altura –l’ex fregata Carvajal, e la corvetta Ferré -, 6 corvette classe “Ve-larde”, 6 sommergibili Type-209, 6 cannoniere e pattugliatori flu-viali, 2 LST ex US Navy, un rifornitore di squadra e 2 cisterne, piùil naviglio minore. Il grosso delle unità di prima linea (fregate, cor-vette/OPV e sommergibili) ha un’età compresa tra i 30 e i 43 anni;e se le componenti di supporto specializzate, e di sorveglianza, so-no in fase di ammodernamento, salta agli occhi l’assenza di navi-glio per la guerra di mine.Quindi, restano sul tappeto i nodi principali da sciogliere, ossia lasostituzione entro il 2030 di 8 fregate, 6 corvette e 6 sommergibilicostruiti tra 1971 e 1987. Ufficiali peruviani negli anni scorsi hannoispezionato le fregate italiane di cui è iniziata la dismissione (“Mae-strale” e “Soldati”, mentre i caccia “Durand de la Penne” potreb-bero essere presi in considerazione per sostituire il Grau), ma sitratta pur sempre di navi costruite tra 1978 e 1993; e nel 2016 è statacosì confermata una esigenza minima di 6 fregate e 4 OPV di nuovacostruzione, mentre è partito l’ennesimo upgrade per i Type-209 piùrecenti, che probabilmente tireranno avanti sino al 2030, quandopotrebbero essere sostituiti da 4/6 battelli nuovi, o quasi.Vedremo se anche la prossima generazione di navi di squadraperuviane parlerà italiano: sinora, quando ha preso in conside-razione fregate di nuovo tipo, la stampa specializzata (e non) hacitato l’interesse per un primo lotto di 2 fregate FREMM ma nellaversione francese, meno sofisticata e costosa, e per le più pic-cole F-3000 sudcoreane...

nnn

11Marinai d’Italia Giugno 2018

Provincien, che nel 1962-1964 era stato trasformato in lanciamis-sili: nel 1976-1978, ribattezzato Aguirre, fu nuovamente trasforma-to, sbarcando il sistema SAM “Terrier” (che aveva comportato losbarco di 2 torri da 152 mm), per far posto ad un ampio hangar conponte di volo poppiero, per accogliere 3 elicotteri ASH-3D “SeaKing”, forniti dall’italiana Agusta. La flotta poté però contare su 4incrociatori per poco tempo: le 2 unità ex inglesi furono infatti ra-diate tra 1980 e 1982, dopo circa 38 anni di servizio. Occorreva poirinverdire la componente di scorta. In primis, furono nuovamenteammodernati i 2 caccia “Palacios”, che tra 1975 e 1978 furono do-tati di ponte di volo e nuovi sensori, imbarcando anche sistemiCIWS Breda-Bofors “Compatti” binati da 40/70 mm, associati aradar Selenia RTN-10X. Tra il 1974 e il 1982 furono poi radiate 7unità di scorta tra caccia e corvette degli anni ’40. A sostituirli, un(numericamente ingente) mix di vecchio e nuovo.Nel 1974 furono ordinate ai CNR italiani 2 fregate lanciamissili tipo“Lupo” modificate (imbarcavano infatti già il sistema SAM “Alba-tros/Aspide”, e un hangar fisso e non telescopico, per 6 elicotteriAB-212ASW acquistati da Agusta), e consegnate nel 1979. L’ac-cordo fu esteso ad altre 2 unità da realizzare nei cantieri SIMA,dove furono costruite tra 1978 e 1987, andando a formare la classe“Carvajal”. Nel 1976 furono invece ordinate alla SFCN francese 6corvette lanciamissili tipo PR-72P da 600 t., armate con 4 “Exocet”e artiglieria italiana (un “Compatto” da 76/62 mm e un impianto bi-nato da 40/70 mm), consegnate nel 1980-1981 come classe “Ve-larde”. Ma la nascita di un moderno reparto di 10 sofisticate unitàlanciamissili non bastava.Nel 1978 fu acquistato dall’Olanda un cacciatorpediniere antisomclasse “Holland” (ribattezzato Garcia y Garcia), da 2.600 t. e com-pletato nel 1954, cui fece seguito nel 1980-1982 la consegna di ben7 “Friesland”, versione migliorata degli “Holland”, costruiti nel1951-1958 (classe Villar”), benché 2 unità fossero presto disarma-te per cannibalizzazione. Tra 1985 e 1988 sull’incrociatore Almirante Grau fu completamen-te rinnovata la sensoristica, in vista della successiva trasforma-zione in lanciamissili, avvenuta però solamente nel 1993-1996, im-barcando 8 impianti Otomat Mk-2, più 2 CIWS Compatti Breda-Bofors da 40/70 mm.Ovviamente, la componente subacquea, da sempre punta di lan-cia della Marina de Guerra, non poteva essere trascurata. Nel1970 furono ordinati alla tedesca HDW 2 dei più diffusi sommer-gibili convenzionali del mondo, i Type-209, nella versione “1.100”,che furono consegnati nel 1974-1975 (classe “Islay”), mentre laUS Navy cedeva al Perù – nonostante le tensioni col regime mi-

litare filosocialista – 2 vecchi battelli classe “Balao”, costruiti nel1944 ma aggiornati allo standard Guppy-1A nel 1951. Soddisfattidegli ottimi “Islay”, gli ammiragli peruviani ordinarono altri 4 som-mergibili tedeschi, nella più prestante versione Type-209/1200,consegnati tra 1980 e 1983 come classe “Angamos”, mentre glialtri 2 venivano aggiornati nel 1983-1984, al pari degli “Abtao”.Dall’italiana Whitehead furono acquistati i siluri pesanti da 533mm A-184.Nel 1983 la Marina peruviana poteva quindi schierare 2 incrocia-tori, 2 caccia lanciamissili e 6 antisom, 2 fregate e 6 corvette lan-ciamissili, e ben 12 sommergibili. Non tutte le navi erano di primopelo (alcune nemmeno di secondo), ma si trattava di una forzaragguardevole, anche perché era proseguito il potenziamento

della componente logistica, acquisendo negli anni ’70 altre 2 ci-sterne di squadra.Questa nuova “grande flotta” non poteva durare. Tra il 1983 e il1992 furono infatti radiati tutti gli 8 caccia antisom ex olandesi, i 2sommergibili più datati (5), e diverse unità logistiche, comprese 5navi anfibie della Seconda guerra mondiale. In quegli stessi annivenivano completate le 2 “Carvajal” costruite nei cantieri SIMA,mentre 4 LST da 5.800 t. ex US Navy tipo “Terrebonne Parish”, co-struite nel 1951-1953, furono trasferite al Perù nel 1984-1985, for-mando la classe “Paita”.Per circa 20 anni, queste furono le ultime navi entrate in servizionella Marina Peruviana, che anzi proseguiva nel suo gradualeprocesso di ridimensionamento. A partire dal 1990, infatti, veniva-no radiati il caccia Palacios (1993), i 4 sommergibili classe “Ab-tao” – disarmati entro il 1999 -, e infine l’incrociatore portaelicot-teri Aguirre, nel 2000. Accanto ai pezzi pregiati – ma irrimediabil-mente datati – uscivano di linea anche diverse unità logistiche,con la sola nota positiva della cisterna di squadra Lobitos, acqui-sita di seconda mano nel 1998.Dopo il 2000, si è tentato di risalire la china, anche se tra 2007 e2015 uscivano di scena altre 3 unità logistiche, 2 LST classe “Pai-ta”, e il caccia lanciamissili Ferré. Ancora una volta è stata l’industria italiana, che negli anni ’70 e’80 aveva fornito 4 modernissime fregate, ma anche elicotteri (SH-3D “Sea King”, AB-212ASW e A-109A), sistemi d’arma – cannonida 76/62 mm e CIWS, missili antinave Otomat Mk-2 e siluri A-184e A-244 – e sensoristica, a dare un importante contributo.

10 Marinai d’Italia Giugno 2018

Bordata dei 152 del Grau(1993)

Note

(5) Il Pacocha in realtà fu affondato per collisone nel 1988.(6) Il programma dovrebbe però riguardare solo 6 fregate, una settima dovrebbe

essere posta in disarmo per cannibalizzazione.

Corvetta classe Velardein azione(1980-2017)

L’incrociatore Grau(1973-2017)

Nave scuola Martebrigantino golettaex Marina Canadese(1974)

Marine Militari nel Mondo

a “Sapere” e a “Teatro-Inchiesta”). In seguito è diventato di modacriticare la RAI educatrice di quegli anni, ma la realtà è che quelletrasmissioni non soltanto le seguivano tutti, ma univano tutti davantia un rinnovato focolare: noi bambini perché non sapevamo nulla; igrandi perché gli spazi dell’apprendimento erano diventati, improvvi-samente, infiniti rispetto a quanto avevano studiato ancora pochi an-ni prima, e i nonni perché volevano sapere che cosa, per esempio,

aveva loro cambiato o, addirittura, rovinato la vita, a partire dalleguerre mondiali uno e due.Fin qui, pertanto, e in linea generale, tutto bene. Ma il mio era uncaso particolarmente complicato perché di attualità navale televi-siva, in Italia, ce n’era davvero poca. In fin dei conti ero uno scola-ro delle elementari e delle medie che abitava nel bel mezzo dellaPianura Padana e che quando andava al mare in vacanza vedeva,al massimo, i mosconi (la gente “su” li chiamava, però, pattini), ol-tre alla mitica motonave romagnola Soraya, alias un traghetto pas-seggeri non proprio di primo pelo e lungo, come misurai di perso-na, 25 metri fuori tutto. Quel bastimento prometteva, con infintafaccia tosta, ai bagnanti, attraverso l’altoparlante: “Un’indimenti-cabile crociera romantica fino alle foci del Po, andata e ritorno ingiornata, con musica, balli, pesce dei nostri mari e vino delle colli-ne di Romagna”. Altro che Internet!La futura cultura marittimo-televisiva di chi scrive partì - ad ognimodo - bene, nel mio caso particolare, anche se in modo strano. Aprimavera del 1967 (non so il giorno, ma era la fine di marzo), andòin onda, nel pomeriggio, alla TV dei ragazzi, “Un giorno al Varigna-no”. Un documentario fatto da Dio che ricordo fotogramma per fo-togramma. Era dedicato agli incursori e alle attività subacquee.C’era tutto: dalle nozioni sull’embolia fino alle torrette per lavori adalta profondità e ai mezzi d’assalto, oltre a una panoramica dellabase navale di La Spezia con le sue infinite officine. Vedere dal vi-vo quello che avevo letto, poco tempo prima, sui fumetti fu unagrossa emozione. Molti (tanti) anni dopo, scoprii che non ero statoil solo a essere rimasto contagiato da quei 30 minuti. Pure LucaPoggiali (grosso storico ed esperto navale contemporaneo) avevavisto quello stesso programma rimanendone folgorato, e con lui al-tri. Ci scambiammo, in seguito, ricordi e dettagli. L’unica cosa sucui non concordiamo è l’occasione. La RAI, infatti, cosa stranissi-ma per quei tempi, replicò quello stesso documentario, sempre perla TV dei ragazzi, anche la settimana successiva. Naturalmente io

sostengo di essere stato quello della prima ora e che Luca ha vistoquel filmato sette giorni dopo mentre lui afferma, per quanto la co-sa non possa che sembrare assurda, esattamente il contrario, ri-vendicano in tal modo un’anzianità, tra bambini, cui solo io ho di-ritto; ma così va il mondo.Una volta che si prescinda da qualche saltuaria manciata di pochisecondi di telegiornale (per esempio l’arrivo in Italia delle navi dasbarco Caorle e Grado passateci dagli statunitensi) relegati, di so-lito, alle edizioni serali delle 22 e passa, o da momenti emozionanticome l’arrivo a terra di Francis Chichester (poi Sir Francis) dopoaver circumnavigato il mondo, da solo, in barca a vela disimparan-do, nel contempo, a camminare, bisogna arrivare al 1972 per vede-re, finalmente, un breve sceneggiato dedicato alla Marina Italiana,anzi alla Regia Marina, come avevo ormai imparato a dire nel frat-tempo: “Processo a un atto di valore”, con il mostro sacro AndreaChecchi. Il programma fu preceduto da una presentazione fatta delcomandante Marc’Antonio Bragadin. Sembrava così vecchio, vistosullo schermo, quel marinaio della guerra passata. Più anziano, ad-dirittura. dell’Ungaretti che aveva declamato, nel 1968, i versi diOmero prima di ogni puntata della mitica Odissea della RAI. Braga-din avrebbe continuato, tuttavia, ancora per un decennio, semprelucidissimo, a svolgere a spada tratta la propria opera di divulgazio-ne e di difesa della Marina nei confronti dei soliti noti, nonché indi-gnati speciali, di quel tempo.Lo sceneggiato in parola, diviso in due puntate, era una ricostruzione,rimaneggiata, della vicenda del cacciatorpediniere Carducci e delsuo comandante durante la notte di Matapan. Girato in teatro di posalo spettacolo era, sostanzialmente, un dramma giudiziario alla PerryMason inframezzato dalla scena, straziante, dei naufraghi rimasti inmare per giorni e giorni. Momento culminante: la recitazione dellapreghiera del marinaio da parte del comandante, piagato dal sole edalla nafta, con la gente intorno a lui che si fa il segno della croce eche si scopre, anche i morenti. Bellissime le uniformi e, soprattutto,lo stile degli attori che componevano la commissione d’inchiesta.Nessuna sbavatura, niente retorica, maniere corrette e naturalezza.Uniche assenti le navi, e non fu cosa da poco.Andò peggio, a parer mio, 5 anni dopo con un altro breve sceneg-giato: “Supermarina commissione d’inchiesta SMG 507”. Si trattò diuna versione, ancora una volta adattata e rivista, della storia di Fe-cia di Cossato. Per l’occasione l’attenzione ai dettagli uniformologi-ci lasciò a desiderare, anche se lo stile dell’insieme e della recita-zione fu, grazie a Dio, salvo. Questa volta si cercò di rimediare allamancanza di navi filmando il vecchio sommergibile Cappellini, fer-mo in banchina, da tutte le angolazioni possibili e immaginabili. Fupersino rizzato, dietro alla falsa torre (pardon, vela) un cannone da76/30 della Grande Guerra rimediato in un magazzino. Peccato cheil pezzo, non controbilanciato e minuscolo, pendesse a canna ingiù, con un effetto finale tra il comico e il deprimente. Il peggio,però, capitò al comandante, descritto come una sorta di personag-gio allucinato, totalmente dedito al dovere (“In una guerra comequesta non c’è spazio per errori”) e che corre, in buona sostanza,verso la propria morte. Il comandante del sommergibile Tazzoli edella torpediniera Aliseo meritava, sul piccolo schermo, una sortemigliore. Si trattava, peraltro, di quello che passava il convento inquegli anni a partire dalla stampa quotidiana, divisa a sua volta trale presunte, recenti rivelazioni di tradimenti italiani consumati aidanni dei sempre sospettosi ed efficientissimi alleati tedeschi (e latrama di quello sceneggiato faceva un cenno tutt’altro che velato aquest’interpretazione dei fatti), e la cattiva coscienza di troppi nei

13Marinai d’Italia Giugno 201812 Marinai d’Italia Giugno 2018

Q uesto è un articolo impossibile. Niente fotografie (salvo iconsueti miracoli del Direttore, se ci riesce anche stavolta)e pochi riferimenti. Solo ricordi. I miei coscritti (classe 1960

e dintorni) mi capiranno benissimo. Agli altri devo chiedere di creder-mi sulla parola.C’era una volta, come dicono le favole, un tempo lontano, dove la te-levisione era solo in bianco e nero e i canali appena due: il Primo e ilSecondo. So che è difficile concepire un simile mondo ma, lo ripeto,abbiate fede. Per tutta una serie di motivi che sarebbe lungo spiega-re (o, meglio, che si spiegano benissimo: si trattò di un articolo illu-strato pubblicato sul Corriere dei Piccoli), entrai in contatto, all’età di6 anni, col mondo della Marina Militare. Piccolo, ma non del tuttosmarrito, capii subito, nel giro di qualche mese, che si trattava di unascelta e di una passione elitaria o, più correttamente, di pochi e perpochi, visto che a quel tempo non conoscevo il francese. Nel corsodegli anni successivi i saltuari articoli di carattere navale, dalla storiaalla divulgazione spicciola, apparsi sul Corriere dei Piccoli (diventato,

infine, dopo una scelta editoriale sciagurata, dei Ragazzial termine diun referendum rivolto ai lettori in occasione del quale votai “No” perpoi scoprire, già nel 1970, che si poteva benissimo aver ragione e per-dere), proseguirono fino ai primi anni Settanta assicurandomi, in talmodo, un minimo di aggiornamento, ma niente di più. L’altro grandeveicolo d’informazione d’attualità del tempo, la TV, era, infatti, latitan-te. Ed è proprio alle rare trasmissioni televisive di carattere, diciamocosì, marinaro di quel decennio (per me formativo), oggi dimenticatee irrintracciabili su You Tube o altrove, che sono dedicate queste pa-gine, col loro corredo di ricordi e sensazioni.A quel tempo, povero rispetto a oggi, ma bello e dotato di un propriofascino particolare che va al di là del ricordo, pur legittimo, della pri-ma giovinezza, la frase “L’ha detto la televisione” era importante. Tutticredevano al mezzobusto di turno e tutti, il giorno dopo, commenta-vano, nel cortile della scuola, in ufficio, in fabbrica o nei negozi, il filmtrasmesso il lunedì o il finale dello sceneggiato della domenica sera.“Chi era l’assassino?”; “Ma che ha detto Vannucchi! Christine erabruna e quella è bionda”; “Insomma, Inardi ha sbagliato o no a Ri-schiatutto?”, e così via. Certo, c’era anche lo sport (leggi calcio), conquell’ultima, diabolica invenzione tecnologica: la moviola. Ma il tifo,la partigianeria e il rigore assegnato o no dal terribile arbitro Concet-to Lo Bello, facevano parte della normalità e c’erano sempre stati. Di-verso era, viceversa, il caso dei romanzi sceneggiati (che quandoerano malfatti o, addirittura, demenziali, diventano, per tutti, “sce-meggiati”) e di certe trasmissioni divulgative di grande qualità (penso

L’articoloimpossibileEnrico Cernuschi - Socio del Gruppo di Pavia

Un fotogramma della fiction RAI“Pronto emergenza”

Verbigrazia... pensieri in libertà, con licenza de’ Superiori e privilegio

14 Marinai d’Italia Giugno 2018

confronti del comandante Di Cossato, liquidato sveltamente, alla fi-ne, come un eterno suicida in potenza allo scopo di coprire il primapossibile la sua inquietante e complessa vicenda. La TV, pertanto,fu una volta di più lo specchio fedele dei tempi correnti.Molto migliore si rivelò, infine, lo sceneggiato (ben 12 puntate)“Pronto emergenza”, andato in onda nel 1980. Ambientata, final-mente, in epoca contemporanea, la trama narrava le vicende, inbuona parte autentiche, di un piccolo nucleo interforze destinatoa risolvere con i mezzi a disposizione situazioni drammatiche o, inalternativa, comiche e financo grottesche dimostrando efficienza,buon senso e fantasia. Memorabile, tra tutte, la battuta del capi-tano di corvetta (sempre in impeccabile uniforme blu) che com-mentò, a un certo punto, sospirando: “Naturalmente. C’è da fareun salvataggio in montagna? Chiamiamo la Marina!”. E fu cosìche una coppia di superbi elicotteri navali SH3D volarono al soc-corso, sugli Appennini, perché soltanto quegli equipaggi poteva-no operare, in virtù del proprio particolare addestramento, quelgiorno, con quel tempo e in quel modo. Fu una scena semplice

(ma quelle acrobazie, riprese dal vivo, non lo furono certamente)come quella dell’aliscafo Sparviero mentre si apprestava a supe-rare, nonostante i limiti fissati dal libro matricolare e la legittimapreoccupazione del Direttore di macchina, i 45 nodi pur di portarein tempo un illustre chirurgo fino a un remoto ospedale sito su unaminuscola isola dove era atteso con ansia. Meno male che il ma-re, ovviamente, era un olio anche se le nubi basse non permette-vano agli aeromobili di decollare.Resta ancora da ricordare, quantomeno secondo il mio hard diskcranico, ahimè non updated né reloaded, un bel concerto della Ban-da della Marina, diretta dal maestro Vittorio Manente, eseguito sulponte di volo del Doria durante la seconda metà degli anni Settanta(facevo il liceo). All’epoca non esistevano i videoregistratori e lo inci-si sul magnetofono a cassette col microfono appoggiato alla TV. Ilfruscio (ma all’epoca non si sapeva neanche cosa fosse il Dolby) de-ve essere stato, rispetto al giorno d’oggi, bestiale, ma lo ascoltai eriascoltai per anni, sempre con piacere. La vera TV della Marina, tuttavia, la vidi nel 1976 in occasione del ter-remoto del Friuli. A quell’epoca i gusti collettivi erano cambiati e giàgirava la descrizione, vera o falsa che fosse, del giornalista che, mu-nito di telecamera, chiedeva alla signora piangente sulle rovine dellapropria casa sotto le quali giacevano marito e figli: “Ci dica, cosa pro-va in questo momento?”.Vidi a un Tiggì (in tutto furono dieci secondi al massimo) Gemonadevastata; seguì l’inquadratura di alcune paia di piedi, calzati congli anfibi, di qualcuno che portava delle marmitte; poi fu la volta digente in fila, vestita con quello che aveva addosso la sera prece-dente al momento delle scosse e che mangiava, in ordine e con di-gnità infinita, un piatto di minestra. Ancora una pila di coperte di ca-sermaggio e sullo sfondo, il tempo di un lampo, un cartello: “CampoBattaglione San Marco”. Niente musica, niente pubblicità, neppureuna faccia. Quanto di meno telegenico e promozionale ci sia.Ma è questa la Marina.

nnn

Terremoto del Friuli nel 1976.Sbarco tende in località Porzius

Crociera dei Marinai d’Italia 2018

MSC POESIAIn occasione del Centenario della fine vittoriosa della Prima Guerra Mondiale,

la Presidenza Nazionale organizza, in collaborazione con MSC CROCIEREche ha concesso tariffe speciali per i Soci ANMI, la “Crociera dei Marinai d’Italia 2018”

particolarmente dedicata, con un itinerario in Adriatico e Mediterraneo orientale,alla commemorazione dei marinai italiani caduti in combattimento nel corso di quel conflitto

Tutte le informazioni di dettaglio, inerenti a tariffe, modalità di iscrizione,attività a bordo e terra, etc sono pubblicate sul sito

www.marinaiditalia.com

Associazione Nazionale Marinai d’Italiain collaborazione con MSC Crociere

Per tutte le informazioni, l’organizzazione tecnica e le prenotazioni, la PresidenzaNazionale, in accordo con MSC Crociere, ha dato l’incarico all’agenzia “I Viaggi delleMeraviglie S.r.l.” sita in Roma in Viale Trastevere, 117-121 (contattabile via telefono allo06.53.27.43.74 oppure all’indirizzo e-mail [email protected]) che opereràattraverso un service dedicato a disposizione dei Soci ANMI dal lunedì al venerdì dalle10,00 alle 13,00 e dalle 15.00 alle 18.00.

Per motivi di semplicità ed omogeneità organizzativa si raccomanda a tutti i Gruppi e/o Soci di fare esclusivoriferimento alla citata agenzia la quale, tra l’altro, per chi lo desidera, offre modalità agevolate di pagamento(da richiedere e valutare direttamente).

LE ATTIVITÀ PROGRAMMATE SARANNO RISERVATE ESCLUSIVAMENTE AI PRENOTATI PRESSO QUESTO UNICO REFERENTE

KatakolonMykonos

Pireo/Atene

Venezia

Bari

GRECIA

ALBANIA

ITALIA

CROAZIA

Mar Tirreno

Mar Mediterraneo

Mar IonioM a r E g e o

ia

ri

eeo/Atenee

Sarande

Ragusa(oggi Dubrovnik)

Da Caporettoa Vittorio Veneto

Il salvataggiodell’Esercito Serbo

Omaggio ai cadutidi Matapan

Il Dodecannesoitaliano

La Regia Marinanella Prima Guerra

Mondiale

Crociera dei Marinai d’Italia 2018MSC POESIA

Per i Soci ANMI sono previsti due porti di imbarcoSabato29 settembre - Venezia partenza ore 16,30Domenica30 settembre - Bari partenza ore 17,00

Lunedì1 ottobre - Katakolon - Grecia dalle 11,00 alle 17,00 Martedì2 ottobre - Mykonos - Grecia dalle 8,00 alle 19,00 Mercoledì3 ottobre - Pireo/Atene - Grecia dalle 7,30 alle 16,30 Giovedì4 ottobre - Sarande - Albania dalle 12,00 alle 20,00

Venerdì5 ottobre - Ragusa (oggi Dubrovnik) - Croazia dalle 9,00 alle 15,00

Sabato6 ottobre - Venezia dalle 9,00 alle 16,30Domenica7 ottobre - Bari arrivo ore 10,00

19Marinai d’Italia Giugno 2018

il pranzo. Nel primo pomeriggio uscivamoin franchigia, la ricerca di ragazze era il te-ma principale. La nostra candida divisabianca estiva colpiva subito e non era diffi-cile avvicinare le persone. Dopo quasi unmese interessante, anche divertente nono-stante gli impegni, lasciammo la base condirezione Charleston lungo la costa del SudVirginia. Due settimane per rifornire di mu-nizioni tutta la... muta di Cani. Il caposqua-driglia era l’Alano, Comandato dal TV AtosFraternali, gli altri: Bracco, Molosso, Segu-gio, Spinone e Sparviero. L’Oceano... gene-roso ci riserva una buona navigazione, di-rezione Nord, verso Norfolk.

È una grande Base Aereonavale situatadopo un lungo percorso in un canale inter-no. Ormeggiamo tra... giganti, Portaerei, In-crociatori ed altre unità vicino alle qualisembravamo scialuppe di salvataggio...!Qui ebbe inizio un pressante addestramen-to alle armi di bordo, per noi categoria PM(puntatori mitraglieri). Uscite in mare gior-naliere per serie di tiro contro bersagli na-vali ed aerei effettuati da postazioni fisse,situate lungo la spiaggia fronte Oceano,all’interno della base. Le postazioni com-prendevano torri di tutti i calibri di cannonie piazzole per le mitragliere. I bersagli era-no piccoli aerei veloci, dotati di motori areazione. Le piazzole erano complete diportamunizioni per il rifornimento e nonerano previsti limiti per il fuoco contro i ber-sagli, si sparava fino all’ordine di cessate ilfuoco un istante prima di colpire il piccoloaereo, nonostante tutto se ne abbattevano4-5 al giorno dopo che si era presa confi-denza con le armi. In franchigia, oltre alpasseggio e la curiosità di conoscere i luo-ghi, il tempo di cercare compagnia di ra-gazze non mancava, specialmente sullespiagge, dove tra l’altro, un luna park c’erasempre. Così trascorse un mese tranquilloe spensierato. Dopo le serie di tiro alle15.00, si mollava tutto per uscire o riposarein camerata. Ancora una partenza. La pro-ra sempre a Nord, mare calmo; solo una

grande onda lunga cullava le nostre “bar-chette”. New York era la meta a 400 migliadi distanza; si rifaceva il percorso inverso,questa volta per mare. Per la seconda vol-ta a pochi metri dal molo 86, dove ormeg-giammo tra immense navi di ogni genere, ilmolo infatti non era militare. Fu riposo ge-nerale, solo le incombenze normali dasvolgere e poi fuori per le strade a... cac-cia. Con 5 dollari entrai al Radio City, ilgrande Cine-Teatro sulla 42° strada, 3000posti, dove assistetti alla prima del film:“Ballando sotto la pioggia” e la rivista cheseguiva arricchita da sessanta ballerine infila sul palco, dove parevano persino po-che, data la sua grandezza. Ecco che sia-mo arrivati al momento in cui ho iniziatoqueste righe. Partenza. Prora a Est, Europaa oltre 3500 miglia di mare passando per leBermuda, dove è prevista una sosta. Sco-stiamo dalla banchina verso il mare aperto.Lascio il mio posto di manovra, vado incuccetta sapendo che alle 24.00 sono diguardia in contro plancia. Mare calmo enotte serena, pare che cominci bene...! Mivengono a chiamare alle 04.00, mi rendoconto che il tempo è cambiato, si rolla pa-recchio. Raggiungo il mio posto di guardiain contro-plancia, cioè all’aperto sopra laplancia comando. Il cielo è nero ed un fortevento solleva onde alte, vengono da sini-stra. Dopo mezz’ora devo alzare gli occhi

18 Marinai d’Italia Giugno 2018

Testimonianze

Q uando fu chiamato il “posto di ma-novra” a bordo del Molosso ci fuun vero e proprio fuggi... fuggi sulla

passerella che portava sul molo. Ragazze evisitatori vari scendevano a terra veloci, re-sisi conto che la nave toglieva gli ormeggi.Stavamo lasciando New York dopo quasisei mesi di permanenza negli USA. Eranostati, questi 25 giorni nella capitale, un pre-mio per tutte le fatiche e impegni gravosidopo l’arrivo negli USA.Era iniziato con il trasferimento a Jachson-ville in Florida. Alla stazione di New York ciattendeva un treno riservato, vagoni lettocon ristorante e inservienti civili, che ciavrebbe portati proprio lì.

24 ore filate, eccetto due soste tecnicheper il cambio di locomotore. Serviti in tuttoe per tutto intenti solo a guardare il mera-viglioso, e diverso, panorama americano.Foreste, paludi, coccodrilli, meraviglioseradure verdi con Ville stupende al centro,scorrevano davanti ai nostri occhi. Jach-sonville, una bella cittadina del Sud, ospita-va la grande base aereonavale USA. Pernoi, 150 tra marinai e graduati, era riservatauna lunga costruzione-camerata, situatanella grande pineta che ospitava tutti i fab-bricati, in cui dimoravano 3000 tra marines,marinai e piloti americani. Ci volle qualchegiorno per acclimatarci all’ambiente torrido(circa 40°C ed alle 15 del pomeriggio, pun-tuale come una sveglia, un forte acquazzo-ne fortunatamente mitigava la temperatu-ra). Non durava più di mezz’ora. Dopo una“presa di possesso ufficiale”delle Moto-cannoniere,” barche di 400 tonn. scafo lun-go 40 metri, per 6 di larghezza, a fondo piat-to per potersi arenare sulla spiaggia ese-guendo un forte volume di fuoco a protezio-ne dei mezzi da sbarco. Istruttori americani

ci addestrarono ad usare armi e strutture,macchine ecc. fino al raggiungimento diuna discreta padronanza dei Mezzi nel girodi una settimana. Iniziarono quindi le uscitein mare. Tredici miglia nei tornanti del fiu-me, interrotti ogni tanto da baie larghe eprofonde stipate da navi militari, Cacciator-pediniere, Incrociatori e navi ausiliarie, af-fiancate per categoria, tutte le sovrastrut-ture coperte da teli grigi, ed una sola guar-dia a prora controllava tutto. Riflettevamoimpressionati: era chiaro perchè gli ameri-cani avessero vinto la guerra...! L’Oceanoera calmo, onde lunghe e lisce consentiva-no tutte le manovre. Il rientro in tempo per

UraganoAnnaAntonio Della BrunaSocio del Gruppo di Pinerolo

Le cannoniere Molosso (MO), Bracco (BR)e Alano (AO, C° Squadriglia) all’ormeggio a Little Creek,

Virginia, nell’agosto 1951. La foto è ripresa duranteuna sosta nella base navale americana delle forze anfibie

dell’Atlantico nel corso del periodo di addestramento inizialeseguito alla consegna, avvenuta nel luglio precedente,

alla Marina Militare italiana parte dell’U.S Navydi un gruppo di sei cannoniere d’appoggio del tipo LSS(L).

Concluso l’addestramento, le sei piccole unitàdella classe “Alano” dovranno affrontare la traversataoceanica che, attraverso Gibilterra, le porterà in Italia

(foto E. Bagnasco pubblicata su Marinai d’Italia a dicembre 2009)Norfolk

La base navaleUSA di Norfolk

21Marinai d’Italia Giugno 2018

Ad un certo punto la vedetta, nel frattempo,tornata in controplancia, segnala una luceal traverso dritta. Il Capo squadriglia ordinaa nave Mastino di cercare di raggiungerequello che pareva un mercantile per chie-dere la posizione, considerando che trat-tandosi di una nave di almeno 3000 ton. for-se era stata più stabile nel tenere la rotta. IlMastino si mette all’inseguimento e soloquasi all’alba riuscì a raggiungere la nave.Nulla di positivo, anche il Liberty, vecchiomercantile, era nelle stesse nostre condi-zioni. Il nostro piccolo radar ,con un raggioutile di soli 80 km. batteva solo le alte cimedelle onde, niente terra. I vari comandanti,dopo un rapido consulto via radio, adotta-rono una rotta corretta di 20 gradi versoNord, cercando nel frattempo di raggrup-pare la “muta” approfittando del calo delmoto ondoso. Era quasi l’alba del quintogiorno quando fu avvistata la luce del bas-so faro di Bermuda, la cui altezza massimaera di 30 metri. Eravamo parecchie migliaoltre Bermuda. Corretta la rotta, ci volleropiù di tre ore per arrivare sulla frastagliatae pericolosa costa delle isole. Aspettammol’arrivo del pilota per inoltrarci nel labirintodi scogliere ed isolotti. Ci portarono in unabella baia a qualche miglio del capoluogoPort Hamilton. Eravamo simili a pirati, barbelunghe, visi patiti visto il quasi totale digiu-no, a bordo non si era potuto cucinare,nemmeno con le pentole appese a sospen-sioni cardaniche della cucina. Giacche an-cora sbottonate, coltellacci alla cintura,pronti a tagliare quello che poteva ostaco-lare il galleggiamento. Procedemmo all’or-meggio nel porticciolo, osservati dalle nu-merose persone, accorse dal villaggio vici-no. La permanenza sull’isola, prevista diuna settimana, fu protratta in seguito dopo

aver riscontrato i danni subiti. Decisero in-fine, che sarebbe venuta una commissionedi esperti per verificare. Giunsero due gior-ni dopo e la decisione fu che dovevamo tor-nare a New York per ulteriori disposizioni. Ilgiorno seguente lasciammo gli ormeggi, sipuò capire il nostro stato d’animo. Dopo so-lo poche ore di navigazione, ci venne ordi-nato di ritornare in porto. In seguito ci fece-ro raggiungere l’Arsenale ad Hamilton do-ve le imbarcazioni che avevano subito dan-ni sarebbero state riparate. Chi aveva l‘as-se storto, o il timone in disordine ecc... qua-si tutti dichiararono un danno. Il Molossoera intatto a parte l’affusto della mitraglieradi prora un po’ storto, che non fu riparatosul posto, non essendo di ostacolo alla na-vigazione. Rimanemmo quasi un mese alleBermuda, infine giunse il giorno della par-tenza. Lasciato il porto avevamo 3000 migliadi Oceano di fronte e, ripensando ai giornipassati, non eravamo molto tranquilli. Ave-vamo saputo, nel frattempo, che era stataprevista una scorta di due cacciatorpedi-niere, ma inspiegabilmente, lo Stato Mag-giore Marina decise di farli partire in anti-cipo. Seguirono invece giorni stupendi, unmare calmo ed onde così lunghe da nonprovocare alcun rollio né beccheggio. Pe-sci rondine saltavano fuori dall’acqua e at-terravano in coperta a decine. Il cuoco pre-parava pizze nel pomeriggio e sottocopertasi giocava a carte. Furono 15 giorni di navi-gazione senza un soffio di vento e mare cal-mo fino a Gibilterra. Era prevista una sostaa Madera, ma optarono per il proseguimen-to per evitare una perturbazione in arrivo.Così fu infatti. Il giorno seguente all’arrivo inporto una “buriana” tremenda ci costrinsea rinforzare al massimo gli ormeggi per te-nere le barche accostate in banchina.

Approfittammo, durante la franchigia, perpassare il confine e visitare la Spagna. Unasettimana dopo attraversammo lo Stretto,entrammo nel Mediterraneo. Tutto bene fi-no in prossimità del Golfo del Leone. Ci sor-prese una mareggiata, forza dodici chequasi ci affondò. Onde violentissime, an-che se più piccole di quelle atlantiche, cifecero imbarcare acqua dalle prese d’ariadi coperta. Fu terribile anche se la subim-mo per una sola giornata, per fortuna il re-sto della navigazione fino a Brindisi fu tran-quillo. Qui, terminato un riassetto generalefummo destinati al servizio di vigilanza pe-sca in Adriatico. Si trattava di sorvegliare inostri pescherecci per proteggerli dallemotovedette slave che usavano seque-strarli con il falso pretesto che entravanonelle loro acque territoriali. Ci fu possibileinfatti, sventare il sequestro che una moto-vedetta stava eseguendo, di notte, in ac-que internazionali, a scapito di un pesche-reccio italiano. Arrivando di sorpresa cat-turammo anche un marinaio slavo lasciatoa bordo del peschereccio, mentre la moto-vedetta slava se la filava. Rimasi tre annisul Molosso in Adriatico, poi la nave fumessa ai lavori e venni trasferito sulla ge-mella Bracco. Non cambiò nulla. Un giornodi sosta per rifornimento ad Ancona o Ve-nezia e poi di nuovo in mare. Un servizio te-dioso. Decisi di inoltrare domanda per ilCorso da Incursore dopo averli incontratialle Isole Tremiti. Dovevano effettuare unaesercitazione di attacco a San Nicola, con-siderata come base nemica. Al Braccovenne assegnato il compito di sorvegliareun tratto di costa in difesa. Presi terra suPunta Coccodrillo insieme a due marinaiche feci sistemare in posizioni opportune.Io presi posto proprio sulla Punta. Ricordochiaramente, era una notte bellissima, se-rena con luna piena, mare calmo. Non ebbidifficoltà ad avvistarli. Udii il rumore dellamotosilurante che li aveva messi in mare a1500 metri dalla costa. Dopo parecchiotempo, vidi le teste nere in mare, erano ri-coperte da una retina scura che, con buiopieno sarebbe stata efficace. 100 metri, at-tesi... Quando raggiunsero gli scogli, a duemetri da me, sparai un razzo di segnalazio-ne in aria. Li dichiarai prigionieri e ne fui di-spiaciuto, dopo la fatica che avevano fatto.Riconobbi alcuni compagni di Corso e mifeci spiegare chi erano e cosa facevano gliIncursori. Quindi lasciai che terminasserola loro azione. Dopo pochi mesi iniziai il5°Corso Incursori.

nnn

20 Marinai d’Italia Giugno 2018

Testimonianze

verso l’alto per vederne la cima. Sono enor-mi e quando rotolano frangendo coprono lanostra prora dilagando in coperta. Si balla,rollio e beccheggio scuotono la barchettache pare un pezzo di sughero frollato daimarosi. Mi bagno molto perchè gli spruzziarrivano a otto metri fin dove mi trovo sopraal ponte di coperta. Quando il cielo schiari-sce un poco, intravedo montagne d’acquaalte come una casa. Mai visto onde così...!Ma non sono lisce, cappellate di schiumache ricoprono interamente da poppa fran-gendosi contro gli sportelli delle riservettedi munizioni della 40mm, ad ogni ondata in-teramente sommersa. Il mare è veramentescuro come il cielo ed il vento lancia ondeenormi. Dopo qualche tempo sono comple-tamente inzuppato d’acqua. Dalla planciami chiamano con il telefono... Della Brunascendi in plancia! Esco dalla “fossa” dicontro-plancia e mi calo scivolando sulpassamano della scaletta che porta allaplancia, apro il portello stagno ed entro. C’èil Comandante vicino alla bussola, il timo-niere aggrappato al recalcitrante timone edil Comandante in 2a che mi cede i telegrafidi macchina. L’atmosfera è tesa. Il coman-dante è attaccato al barometro che consul-ta in continuazione. Intanto la baraonda dimare scuote la barca da tutti i lati piegan-dola fino a 60 gradi sulle fiancate. La squa-driglia non è più compatta allineate per duea distanza di 50 metri, a stento s’intravedo-no le cime di qualche albero. Ad un certopunto il capo squadriglia da l’ordine di met-tere la poppa al vento e al mare, pare checosì reggiamo meglio. Il quadro è veramen-te impressionante, è giorno ormai ma il cie-lo è sempre nero e la luce scarsissima, l’u-nica cosa visibile chiaramente è la schiumadelle onde sempre più alte e potenti che

scuotono e sollevano la nave per poi la-sciarla cadere nel vuoto sottostante condegli schianti terrificanti. Temiamo che lesaldature dello scafo si aprano, le lamiereche lo costituiscono sono saldate tra loro,mentre nelle navi italiane sono imbullonate.Il Comandante non nasconde la sua preoc-cupazione e senza distogliere gli occhi dalbarometro invita il Nostromo, succeduto altimoniere, a tenere bel salda la ruota del ti-mone. Pare tutto inutile la nave prende col-pi su colpi totalmente in balia del mare. Orale onde sono vere montagne, più alte deinostri alberi ed almeno cinque metri d’ac-qua frangono da cime di 15 metri, dando lasensazione che non ce la si faccia a riemer-gere. È un vero uragano, la radio di bordoha precisato che si tratta dell’Uragano An-na, con nomi di questo genere gli americanibattezzano le tremende tempeste oceani-che. In un crescendo di mare e di tempestapare che non ci sia fine a questo, pare undramma in attesa del peggio.

La squadriglia è sparsa e non c’è contattovisivo tra le navi. Arriva la notte e tutto l’e-quipaggio è pronto al peggio. Si tengono letute di navigazione e gli stivaletti slacciatipronti per liberarsene nel caso peggiore.Non scendo più dalla plancia, non si chie-dono neanche i cambi di guardia, ognunoresta al suo posto pronto al peggio. Le mon-tagne d’acqua sono impressionanti, è un ri-bollire di schiuma e un muro liquido checolpisce incessantemente lo scafo da tuttele direzioni. Qualcuno comincia a fare votireligiosi. Passa la notte e non cambia nulla,se fosse possibile descrivere in modo chia-ro la situazione direi che il mare era più ver-ticale che in piano. Montagne d’acqua alteanche 20 metri ci vengono incontro a 40chilometri orari, non riuscivano ad affon-darci proprio perchè i nostri “gusci” sonopiccoli e leggeri, nonostante il pieno caricodi viveri, nafta e munizioni, risalgono la ba-se delle montagne d’acqua per precipitarenel vuoto tra una e l’altra onda. Pericolosisono i poderosi colpi della carena piattaquando incontra nuovamente l’acqua. In-tanto non è possibile effettuare un puntonave preciso e non si sapeva con esattezzala nostra posizione, certamente molto fuorirotta, a causa della deriva e dell’incerta di-rezione percorsa con mare in poppa, pertenere a galla la “barca”. Viene nuovamen-te la sera e finalmente si ha sentore di unleggero miglioramento. Il mare è sempremolto “grosso” ma il vento diminuiva.

Il Molosso a lento moto nella laguna venetanell’estate del 1971. L’unità passerà in disarmol’anno successivo. Si distingue bene la posizionedelle “colonnine” di punteria per le mitragliere da 40/56:davanti alla controplancia prodiera, e al centroquella poppiera, con accanto l’unica imbarcazione di bordorizzata verticalmente contro l’osteriggio di macchina

(Foto A. Molinari)

Immagine di un uraganosulla costa occidentaledegli Stati Uniti

Un ciclone temporalesconel Golfo del Leone

fino al 22 gennaio del 1918, quando era scoppiata una rivolta nel-l’arsenale di Pola. Fame, paghe basse – specie in confronto aquelle del personale tedesco distaccato là dalla Germania – e iduri controlli di polizia, uniti ai primi scossoni indipendentistici ealle nuove della Rivoluzione Russa avevano infiammato gli animi.Se ne uscì con permessi, aumenti di paga, distribuzioni di vestiarioe di scarpe; ma il male era profondo. I movimenti già accaduti inStiria, Ungheria e Bassa Austria erano stati simili, ma fra i civili;adesso invece avevano toccato la Marina e il contagio si diffuse.Quando l’eco dei fatti di Pola arrivò a Cattaro, il 1° febbraio 1918 lasquadra esplose: fucilate sui comandanti, ufficiali feriti, bandiererosse sulle navi, minaccia di sparare su quelle rimaste fedeli oneutrali… la flottiglia incrociatori andò completamente fuori con-trollo. Solo il 3 febbraio e sotto la minaccia d’essere affondatedall’appositamente accorsa III Divisione Navale, le navi ribelligrandi e piccole s’erano arrese.In Italia non se ne seppe nulla e si continuò a pensare alla guerracome al solito, ma la compagine militare nemica era ormai scossae incrinata in terra e in mare. Solo una vittoria poteva, forse, rinfor-zarla, una grande vittoria contro l’odiata nemica del sud, perciò fupredisposto un piano grandioso e interforze. La parte navale prevedeva la distruzione dello sbarramento d’O-tranto. Due squadre con sette corazzate, due sommergibili e 50 fraincrociatori, caccia e torpediniere dovevano essere impegnate,

divise in vari gruppi. Nelle prime ore del mattino del 12 giugno ottounità medie e quattro torpediniere si sarebbero buttate sullo sbar-ramento, distruggendolo. Ci si aspettava che gli Italiani avrebberoreagito più che nel maggio del ’17 e, appena uscite in caccia, le lo-ro navi sarebbero finite sotto il tiro di tre corazzate classe “Arci-duca Carlo” e di quattro classe “Viribus Unitis”, sostenute da altre42 navi fra medie e minori: sarebbe stato un massacro.Il piano era la premessa marittima e il contraltare adriatico all’of-fensiva di terra prevista per il 15 giugno e poi nota in Italia come“Battaglia del Solstizio”. L’Austria se ne riprometteva una doppiavittoria, che per terra le facesse prendere Verona e Venezia e permare le aprisse le porte dell’Adriatico, piegando l’Italia all’armisti-zio e liberando truppe da inviare contro la Francia sulle Alpi e inFiandra, per far crollare, magari, pure il fronte francese.Le tre corazzate “Arciduca Carlo” erano già in bassa Dalmazia, lequattro “Viribus Unitis” dovevano raggiungerle da Pola. La primasezione, composta da Prinz Eugen e Viribus Unitis, sulla quale in-nalzava la sua insegna il comandante in capo della flotta, con-trammiraglio Horthy de Nagybánya, futuro Reggente d’Ungheria,era uscita da Pola la sera del’8 giugno, scortata da cinque torpe-diniere. Ventiquattr’ore dopo era partita la seconda sezione, com-posta dalle corazzate Szent István – Santo Stefano per noi – e Te-getthoff, scortate dal caccia Velebit e da sei torpediniere. La preparazione era stata accurata e permeata da una certabaldanza. Tutti gli ordini erano stati trasmessi a mano per sicu-rezza e si era perfino imbarcata sulla Tegetthoff una squadra dicineoperatori, cui spettava riprendere il trionfo dell’Austria sulmare. Le premesse però non furono buone. Nel momento in cuile due corazzate a Pola stavano per muoversi, il caccia Varasdi-ner tagliò la rotta al Santo Stefano con le sirene che urlavano ela bandiera a mezz’asta: segno di morte, lutto, malaugurio.

23Marinai d’Italia Giugno 201822 Marinai d’Italia Giugno 2018

Grande Guerra

N ell’oscurità prima dell’alba del 10 giugno 1918, Luigi Rizzonavigava lentamente sul suo MAS in mezzo all’Adriatico,al termine d’un noioso appostamento di routine.

Negli ultimi mesi il destino gli aveva riservato molte sorprese, tutteottime quanto non cercate. Un anno prima era un tenente divascello richiamato per la guerra, decorato di medagliad’argento, stimato e rispettato, noto fra i colleghi e isuperiori per le buone prove date intorno a Gra-do, ma nulla più. Un ufficiale serio, un marinaioesperto, un soldato coraggioso, che faceva ilsuo dovere, ma in fondo come tanti altri. Die-ci mesi prima, nell’ottobre del 1917, si erasposato; nove mesi prima, nel novembre del’17, dopo una preparazione di mesi, aveva si-lurato il Wien, la prima corazzata degli ImperiCentrali affondata da una marina alleata. Neaveva avuto fama nazionale, la medaglia d’oroal valor militare e la promozione a capitano dicorvetta. Infine, esattamente quattro mesi prima, il10 febbraio 1918, era partito per partecipare alla Beffadi Buccari, che, grazie a d’Annunzio, gli aveva dato altra noto-rietà. Non che la cercasse. Non gli importava molto essere uneroe, famoso in tutta Italia e amico di d’Annunzio. A lui interessavafare la guerra all’Austria e farla bene; e questo significava agirecon accuratezza – come quando aveva preparato l’incursione aMuggia – e fare tutto il suo dovere, pure se c’erano contrattempi,come quelli che avevano posticipato quella sua missione dal 7 al

9 giugno; e pure se era un dovere monotono, come in quel mo-mento, prima dell’alba del 10 giugno 1918, a largo di Premuda,dentro il suo MAS 15, che si dondolava sulle acque accanto alMAS 21 di Aonzo. Per essere notte, la visibilità era ottima, col cielo terso a levante euna certa foschia a ponente. Unico guaio: gli si era fermato l’oro-logio per una mezz’ora, perciò, quando si rimise in moto, non eranole due del mattino – come da ordini – ma le due e mezzo. Fu unadifferenza che fece la storia, perché alle 3,15 vide “a poppavia deltraverso e sulla dritta una gran nuvola di fumo”; tanto fumo, troppo

per le torpediniere italiane che aspettava per farsi rimorchiaread Ancona; perciò, pensò, era il nemico: l’avevano sco-

perto e le torpediniere della stazione di Gruiza stava-no venendo ad attaccarlo. Ordinò di muoversi, maverso il fumo, per attaccare. Sotto il fumo c’erano una squadra austriaca etutte le speranze dell’Austria stessa. Nonavrebbero superato la mattinata. Da molto e molto tempo l’Austria si reggevaper miracolo. Troppo composito era l’Imperoe da mezzo secolo sul punto di sgretolarsi.Per quasi settant’anni si era fondato su due pi-lastri: Francesco Giuseppe e l’esercito, ma nel

dicembre del ‘16 il primo era morto e dall’estatedel ’17 il secondo era in crisi profonda. L’Imperatore

aveva deciso la guerra e la guerra stava distruggendol’Impero. La fame attanagliava militari e civili ed acuiva i dis-

sensi tra le varie nazionalità, domani nemiche fra loro, ma in quelmomento alleate contro il dominante gruppo tedesco e certe chela pace avrebbe messo fine a fame, lutti e privazioni. L’imperatore Carlo era giovane e debole, perché debole era or-mai l’Impero, o meglio, perché debole era il sostegno dell’Impero.“Nel tuo accampamento è l’Austria” si ripeteva col poeta Grill-parzer dal 1848; e adesso l’accampamento si stava afflosciando;e la flotta pure.Nell’autunno del ’17, prima di Caporetto, si erano iniziati a vederei primi segni del collasso anche in Marina. Il 5 ottobre l’equipaggiodell’Imperialregia Torpediniera 11 s’era ammutinato e da Sebeni-co aveva raggiunto Ancona e consegnato la nave agli Italiani, perdi più di Fanteria, nemmeno di Marina. Era rimasto un caso isolato

PremudaCiro Paoletti - Storico

I due MAS 15 e 21comandati da Rizzo e Aonzo

CC Luigi Rizzodue Medaglie al VM

La Corazzata Santo Stefano

improvvisamente, si avvertì una leggera scossa: torpedine! E dinuovo tutta forza e avanti a zigzag, lasciando una torpediniera ac-canto al Santo Stefano e, poco dopo, altro allarme sommergibile.Tornata un po’ di calma, nuovo avvicinamento e nuovo segnaleeducatamente disperato di Seitz: “Prego prendermi a rimorchio.È necessario fare presto”, ma quando si era quasi terminato direcuperare il cavo di canapa “e la gassa del cavo d’acciaio sta-va per uscire dalle bocche di rancio del Szent István, questo co-minciò a sbandare.” Era finita. Si tagliò il cavo e si rimase ad as-sistere, mentre i cineoperatori, che, da veri professionisti, ave-vano già dato qualche giro di manovella, cominciavano a ripren-dere quella che a tutt’oggi è l’unica sequenza dell’affondamentod’una corazzata della Grande Guerra; sarebbe stata trovata aPola dopo l’armistizio. Alle 5,38 il Santo Stefano cominciò ad affondare sbandando sulladritta e facendo finire in mare il capitano con tutto il suo Stato Mag-giore. Alle 6,05 finì di capovolgersi e alle 6,11 minuti, colò a picco a44° 16’ nord e 14° 13’ est, al suono del “Gott erhalte” – “Dio conser-vi” l’inno imperiale, la cui musica è ora il “Deutschland uber Alles”–e mestamente salutato da tutti gli ufficiali ed equipaggi intorno.Il Tegetthoff comunicò: “Stamani alle 6 la Santo Stefano è co-lata a picco due volte colpita da siluri di motoscafo”. RisposeHorty: “La missione non verrà eseguita, rientrare a Pola contutte le unità di scorta.”

Fu un viaggio triste e reso difficile dal maltempo, un altro presagio:la tempesta si avvicinava all’Impero e con essa la fine. Dall’altra parte dell’Adriatico, mentre la corazzata affondava, iMAS stavano rientrando ad Ancona. In vista del porto Rizzo feceissare la bandiera grande e le bandierine del gran pavese “daaffondamento”. Alle cinque del pomeriggio del giorno avanti, pri-ma di partire, salendo sul MAS 15 aveva chiesto a un marinaio:“Abbiamo la bandiera grande?” “Signor no, la comune.” “Va aprendere la grande, non si sa mai.” E adesso la faceva sventola-re vittoriosa. Dal posto d’avvistamento al Monte dei Cappuccini lo scorsero esegnalarono al Comando: “Marina Centrale – AnconaMiglia 15 N. N.- E. due motoscafi scarichi siluri, carichi di onore egloria dirigono porto. Monte Cappuccini”; e fu un trionfo. Dalla radio era già noto l’affon-damento; si, ma di che cosa? Rizzo onestamente non lo sapeva.

25Marinai d’Italia Giugno 201824 Marinai d’Italia Giugno 2018

Brutto, pessimo presagio dissero i marinai. Non sapevano che ilcaccia aveva avuto un’esplosione a bordo, con morti e feriti e,pure a saperlo, non importava: era un gran brutto segno e basta.Si cominciava male e si continuò peggio. Le ostruzioni del portonon erano state aperte e fra una cosa e l’altra si perse un’ora.

Poi, una volta fuori, il commodoro Seitz, comandante il SantoStefano e la 1ª Divisione, per recuperare il ritardo ordinò di for-zare l’andatura a 17,5 nodi, tre meno del massimo e sette e mez-zo più della velocità di crociera. Conseguenza: le turbine si sur-riscaldarono e l’obbligarono a diminuire la velocità a 12,5 perriaumentarla lentamente non appena si furono raffreddate. Fu così che, intorno alle 3,15 del mattino del 10 giugno 1918, le duecorazzate, in linea di fila dietro al Velebit e protette su ogni lato datre torpediniere, si trovarono ad ovest delle isole di Gruiza e Pre-muda, con rotta per sudest, senza immaginare d’avere i MAS diRizzo alcune centinaia di metri a dritta, cioè a ponente .Riporta la relazione austriaca: “il mare era calmo, la notte splen-dente di stelle. La visibilità verso levante era eccellente; verso po-nente ostacolata da una lieve foschia”, perciò Rizzo distinguevabenissimo al suo levante le navi nemiche, che invece non poteva-no veder bene lui, al loro ponente. Riferì Rizzo: “decisi di approfit-tare della luce incerta per prevenire l’attacco e perciò, seguito dalMAS 21, invertii la rotta, dirigendo sulle unità nemiche alla minimavelocità per non far rumore ed evitare i baffi a prua che avrebberotradito la mia presenza” Si avvicinò a 9 nodi e si accorse “dell’i-nesattezza dell’ipotesi, trattandosi di due grosse navi scortate da8 a 10 cacciatorpediniere che le proteggevano da prora a poppae dai fianchi.” Non capì cosa avesse davanti. Sapeva solo cheerano unità maggiori, una circa 700 metri dietro l’altra, ma incro-ciatori o corazzate? Non si pose troppi dubbi. Decise di lanciaredalla minima distanza. I siluri, pronti contro siluranti, erano rego-lati a un metro e mezzo, perciò andavano bene. Diresse verso laprima nave, mentre Aonzo puntava alla seconda. Aumentò la ve-locità da 9 a 12 nodi, si infilò fra due torpediniere che gli venivanoda sinistra, le oltrepassò di 100 metri e, a 300 metri dal Santo Ste-fano, lanciò. Centro in pieno, un’azione da manuale; il siluro di drit-ta colpì a mezza nave, fra la prima e la seconda ciminiera, quellodi sinistra fra la seconda ciminiera e la poppa “sollevando duegrandi nuvole di acqua e fumo nerastro.”

Aonzo fece lo stesso contro il Tegetthoff, ma senza fortuna, il silurourtò ma non scoppiò, dopodiché i MAS evoluirono e presero il largo.Sul Santo Stefano non ci si era accorti quasi di niente. Navigava a14 nodi quando, verso le tre e mezza, si era sentita “all’altezza delcompartimento prodiero di caldaie una sorda esplosione, alla qua-le pochi secondi dopo ne fece seguito un’altra un poco più a pop-pavia. La nave non riuscì a vedere alcuna unità nemica.” Poi si udi-rono dei colpi di cannone. La Torpediniera 76 aveva scorto il MAS15 ed era partita all’inseguimento, seguita dalla 81. Rizzo scrisseche la 76 riuscì: “… a mettersi sulla mia scia ad una distanza da100 a 150 metri. Apriva il fuoco con un sol pezzo con colpi ben di-retti, ma leggermente alti che scoppiavano di prora.” Non fu un caso. Viene mostrato benissimo nel film che nel 1923 laRegia Marina fece girare sull’impresa di Premuda, adoperando ilTegetthoff, preda di guerra, al posto del gemello Santo Stefano e ilMAS 15 con tutto l’equipaggio come attori, a partire da Rizzo in per-sona, benché, per esigenze di ripresa, la scena del siluramento siastata girata di giorno e con le distanze fra le navi assai ridotte. Riz-zo regolò la velocità così da tenersi nell’angolo morto del pezzoprodiero della torpediniera, poi le scaricò due bombe antisom da-vanti alla prua. La prima non scoppiò, la seconda si. La 76 accostò di 90°, lui accostò a sinistra, aumentò l’andatura e inbreve si mise fuori vista. Poi segnalò coi razzi e la pistola Very alletorpediniere italiane: “Ho silurato, ritiratevi su Ancona” e, puntò ad

Ovest. Raggiunte le torpediniere verso le cinque del mattino e tro-vatovi Aonzo col MAS 21, comunicò la notizia perché la trasmet-tessero via radio a terra.Nel frattempo nella squadra austriaca regnava il disorientamentopiù totale. Siluri si, ma di MAS, di nave, o di sommergibile?

E si era certi che non ce ne fossero ancora? E sommergibili? Per sfuggire ad altri lanci, il Tegetthoff, viste alle 3,31 delle luci euditi degli scoppi, aveva iniziato a zigzagare, allontanandosi dallazona pericolosa. Le torpediniere correvano su e giù per intercetta-re eventuali sommergibili o altri MAS e lanciavano torpedini qui elà, mentre sul Santo Stefano Seitz prendeva i primi provvedimenti.Comandò d’accostare a sinistra, ma intanto le macchine si eranofermate e la nave, sbandando a destra, era già inclinata di 10°. Or-dinò di ripescare i marinai che allo scoppio si erano buttati in ac-qua, d’eseguire gli allagamenti di compensazione dello sbanda-mento, riferire sui danni e preparare i paglietti turafalle. L’acquaperò entrava a fiotti e non si riusciva a fermarla. Dieci minuti dopoil siluramento fece segnalare a von Perglas del Tegetthoff: “siamopronti ad essere presi a rimorchio”, ma, a causa delle manovre perpaura dei siluri, dal Tegetthoff videro solo le prime due parole e noncapirono. L’acqua saliva. Seitz fece girare le torri verso sinistra percompensare lo sbandamento e, visto che aveva vapore in caldaiae le macchine potevano funzionare, ordinò di muovere a 4,5 nodiper rotta vera 100°, sperando di portare la nave almeno a incagliar-si verso Porto Brgulje e segnalò coi proiettori al Tegetthoff: “ho bi-sogno di soccorso”, ma di nuovo il segnale non fu capito e il co-mandante von Perglas ordinò di non chiederne la ripetizione, per-ché se no “si sarebbe svelata al nemico la posizione della nave.” Alle 4,20 del mattino era giorno. Il Tegetthoff, capito finalmentel’accaduto, s’avvicinò per iniziare il rimorchio, ma disorientamentoe nervosismo regnavano sovrani e la batteria di dritta del SantoStefano aprì il fuoco contro un periscopio. Mentre le torpedinierericominciavano ad incrociare impazzite, il Tegetthoff interruppe lamanovra; poi l’equipaggio capì che il periscopio era solo il gavitel-lo d’una torpedine e riaccostò. Stavano per rimettersi all’operaquando fu distintamente avvistata la scia d’un siluro che puntavadritto su di loro. Dato l’indietro a tutta forza, sembravano comun-que perduti quando, a 150 metri, la scia improvvisamente scom-parve. Fu ripresa la manovra di accostamento per il rimorchio, ma,

La grande nave si è capovolta.Lo scafo galleggerà ancora quattro minutiprima di inabissarsi

Rizzo in visitaall’“Ansaldo” di Sampierdarena...

... e all’“Isotta Fraschini”di Milanonel luglio 1918

Rizzo e i suoi due equipaggifotografati dopo l’impresa di Premuda

Mas 15

Grande Guerra

Museodella Corazzata Romae dei CC.TT. Da Nolie Vivaldi

APorto Torres esiste un museo che raccoglie cimeli, testi-monianze e ricordi relativi alla vita operativa ed alla

scomparsa delle tre Regie Navi delle quali quest’anno ricorreil 75° anniversario dell’affondamento (9 settembre 1943).In merito, insieme allo SMM, sarà organizzata una cerimoniacommemorativa in Porto Torres, centrata sulla inaugurazionedel rinnovato Monumento ai Caduti della RN Roma, sulla rior-ganizzazione del sopraccitato museo in oggetto e sulla ceri-monia protocollare in mare nelle acque che videro la tragediae sui cui fondali giacciono le nostre navi.Pertanto tutti i Gruppi –e quindi tutti i Soci –sono pregati di ve-rificare l’esistenza di cimeli, testimonianze e quant’altro (peresempio fotografie) relativi alla nave da battaglia Romae ai cac-ciatorpediniere Da Noli e Vivaldi, protagoniste, al largo dell’A-sinara, di quel tragico giorno.

I Gruppi e Soci ANMI interessati a donare o prestare eventua-li cimeli al museo dovranno fare riferimento e prendere diret-to contatto con:

• C.N. Sardegna, Avv. Antonello [email protected] - tel. 328.4752774

• Presidente Porto Torres, Cav. Giovanni Caddeo(tenendo informato il Consigliere Nazionale)[email protected] - tel. 347.0506942

27Marinai d’Italia Giugno 201826 Marinai d’Italia Giugno 2018

Appena messo piede a terra, vide il guardiamarina Briganti, dell’a-viazione navale, che poi raccontò: “mi disse d’essere incerto sullaclasse della nave silurata. Però, dalla descrizione della sagomadella nave, che aveva due grandi ciminiere affiancate, mi resi su-bito conto che si trattava di una nave da battaglia della classe Vi-ribus Unitis.Il Com.te Rizzo, nonostante il suo evidente desiderio che io avessiragione, non era però ancora del tutto persuaso, pur riconoscendola nostra grande esperienza nel riconoscere le navi, affinata du-rante le molte ricognizioni.Quando fummo ricevuti dal Comandante della base, svegliato inanticipo per comunicargli l’importante notizia, Rizzo gli disse te-stualmente: “il signor Briganti afferma che abbiamo silurato unadreadnought.” Fu confermato. I bollettini austriaci lo ammisero efu un’apoteosi: titoloni sui giornali in Italia e fuori; medaglia d’oroa lui e ad Aonzo, un grosso premio d’un milione e trecentomila lireda spartire: metà a lui e il resto all’equipaggio nel gennaio del ’19;promozione a capitano di fregata e poi, a distanza di tempo, l’o-nore, perché due volte decorato di medaglia d’oro, di portare labara del Milite Ignoto, il titolo di conte di Grado e di Premuda, lapromozione ad ammiraglio. Tutto questo non gli diede alla testa, nemmeno un po’; e non nesfruttò i vantaggi in modo improprio. Quasi sicuramente dev’es-sergli stata fatta qualche proposta pubblicitaria, come a d’An-nunzio dopo Buccari, ma non ci fu storia. Tutto ciò che si vide ingiro fu un paio di fotografie delle visite fatte in estate all’IsottaFraschini a Milano ed all’Ansaldo a Sampierdarena. In entrambeè in mezzo agli operai, in entrambe è preso da lontano, in nessunadelle due è in posa: discreto, sobrio, militare, come del resto lo ènella foto dell’inizio del 1919, per laconsegna d’una medaglia d’oro ce-lebrativa agli equipaggi dei dueMAS di Premuda. La sua vittoria aveva pesato sulconflitto? Certamente, visto cheaveva indotto il nemico ad annulla-re l’azione, i cui risultati è però diffi-cile immaginare.

La Regia Marina non dormiva. Appreso che Horthy era stato mes-so a capo di quella austroungarica, il 6 marzo 1918 Thaon di Revelavevano ordinato di aumentare la vigilanza. Horthy era noto per essere energico e d’iniziativa. Lo si era visto il15 maggio del ’17 e a maggior ragione ce ne si poteva aspettarequalcosa di simile ora che comandava l’intera flotta. Nel caso specifico, la ricognizione aerea italiana si era accortadell’assenza delle navi da Pola e un segnale d’un sommergibilefrancese, mal decifrato da una nave appoggio pure francese, lamattina del 10 aveva avvertito che sette unità nemiche – anzichéuna sola come trasmesso – erano in rotta verso Otranto, inducen-do i comandi a far uscire da Brindisi gli incrociatori italiani e inglesicoi loro caccia, ad ordinare l’accensione alle corazzate a Tarantoe a far accorrere forze da Corfù. L’errore della cifra, insomma, ave-va dato il risultato giusto. Ma è inutile dire che sarebbe successose l’azione austriaca fosse andata avanti, se Rizzo non ci fossestato, se avesse deciso – ma non era il tipo – di disimpegnarsi do-po visto il fumo, se il suo orologio non si fosse fermato e gli avessefatto lasciare l’agguato in orario, mezz’ora prima. Rizzo ci fu, at-taccò con perizia e coraggio, vinse e in meno di cinque minuti e,al costo di due siluri, quattro con quelli d’Aonzo, annientò non unanave, ma un intero piano, ferendo a morte una flotta intera, dan-neggiando il morale di essa e d’una nazione nemica e dando, intermini odierni, un ottimo esempio di guerra asimmetrica: eccocosa accadde il 10 giugno 1918; ecco che bisogna ricordare; eccoperché il 10 giugno è la Giornata della Marina.

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Una celebre immaginedel “saluto alla voce”reso dall’equipaggio del Tegetthoffalla gemella Szent Istvánnegli istantidell’affondamento

Grande Guerra Avviso della Presidenza Nazionale

Il CT Da Noli

Il CT Vivaldi

La corazzata Romanei fondali dell’Asinarafotografata dall’ing. G. Gay

La corazzata Roma

Ma Piero Foscari non si limita ad ammini-strare i beni di famiglia: nel 1899 inizia l’at-tività politica, con l’elezione nel consigliocomunale di Venezia, ove sarà poi riconfer-mato fino al 1919. In questa carica si inse-risce nel dibattito sul futuro della città,schierandosi col nascente polo industrialeed appoggiando attivamente il progettoche vedrà nascere Porto Marghera. Fervente irredentista, cresciuto politica-mente nell’area liberal-democratica, nel1909 viene eletto deputato nel collegio diMirano e, dopo aver partecipato alla guer-ra in Libia come capitano di corvetta, vienerieletto al parlamento nel 1913 (nonostante

nella cartolina sembrasse non gradire “lacorda elettorale intorno al collo”) diven-tando capogruppo dei parlamentari nazio-nalisti. Durante questo mandato sarà sot-tosegretario alle colonie nei governi Bo-selli e Orlando. All’inizio della Prima Guerra Mondiale glisarà affidata la difesa aerea di Venezia estringerà in questo periodo amicizia conGabriele D’Annunzio che viveva nella “ca-setta rossa” sul Canal Grande, e con luiparteciperà nel 1919 all’impresa di Fiume. Fervido promotore dell’italianità dellaDalmazia, dopo la guerra presiede nelmarzo del 1923 l’ultima seduta del comitato

centrale nazionalista di Federzoni, nellaquale viene deliberata la fusione con ilPartito Nazionale Fascista e muore a Ve-nezia il mese successivo, poco prima del-la convalida della sua nomina a senatoredel Regno. Del figlio Giorgio so in realtà abbastanzapoco, anche perché lo scarso tempo a di-sposizione mi costringe a limitare le ricer-che alle fonti disponibili nei miei “archivi”e in quelli raggiungibili tramite internet. Lo ritrovo però nell’album fotografico delcompagno di corso Eugenio Torriani, nelperiodo in cui quest’ultimo era destinato inAccademia come aiutante di bandiera del-l’ammiraglio Cavagnari, futuro sottosegre-tario alla Marina quando, dopo Sirianni,Mussolini avocò a sé l’incarico di ministrodella Marina.

Giorgio Foscari farà parte nel 1931-32 del-lo Stato Maggiore dell’istituto e lo vedia-mo nelle foto che lo riprendono a cavallo,sia in Accademia che durante una storicacaccia alla volpe organizzata nella pinetadi Tombolo nel gennaio del 1932, alla qua-le parteciperanno ufficiali dell’Accade-mia e dell’Esercito e notabili locali con lo-ro familiari.In queste foto troviamo anche la mogliedel Foscari, Daniela Balbo (“donna Da-niella”), distinta cavallerizza cui viene ce-rimoniosamente destinata (secondo tra-dizione) la coda della povera volpe! Giorgio Foscari morirà durante la secondaguerra mondiale, il 12 luglio 1944.

Anche questa volta dietro una cartolinaabbiamo scoperto mille storie, ma quelloche nessun testo potrà mai raccontarci èl’emozione di quel padre mentre vede ilproprio figlio vestire la divisa di allievodell’Accademia!

nnn

29Marinai d’Italia Giugno 2018

R iprendo in mano l’album delle car-toline e questa volta mi soffermosu questa, un’immagine dell’Acca-

demia che porta la data del 30 settembre1913, anche se in realtà proprio in quell’an-no il fabbricato allievi veniva rialzato di unpiano e portato alle attuali dimensioni; masi sa, le cartoline possono rimanere incommercio anche qualche anno dopo lafotografia usata per l’illustrazione …

Chi scrive è il padre di uno dei giovani allie-vi ammessi a frequentare il primo corso:“Sono qui tornato con Marina e ho assisti-to or ora alla prima toilette marinara diGiorgio. L’ho lasciato lieto e beato fra i suoiottanta coetanei: fra meno di quattro annisarà ufficiale! Pensate quale folla di pen-sieri intorno a me in questo giorno”. È un papà emozionato, ma non può essereun papà qualunque. La vestizione degli al-lievi non è (e non era) un atto pubblico … epoi la cartolina continua: “… E posdomanisarò a Roma per liberarmi di una cordaelettorale che mi hanno messo attorno alcollo. Fra tre giorni riprenderò finalmente lamia vita …”. Si parla quindi delle elezionidel 1913, quelle per la XXIV legislatura.

La firma è limitata alle iniziali “P. F.” ma, vi-sto che sono curioso per natura e mi pia-ce dar vita alle cartoline e possibilmenteun volto alle persone coinvolte, mi bastaper iniziare le mie ricerche. Dunque, devotrovare un giovinetto entrato in Accade-mia nel 1913 che si chiama Giorgio con uncognome che dovrebbe iniziare con la let-tera “F”... Scorro sui Memoriali della miacollezione i nomi di quell’anno e fra i variGiorgio ce n’è uno solo che inizia per “F”,Giorgio Foscari, nato il 22 dicembre 1899 efiglio del conte Piero; l’indirizzo di casa èPalazzo Widmann a Venezia. Il conte Piero Foscari apparteneva ad un’il-lustre famiglia del patriziato veneziano maormai in decadenza. Era entrato a dodicianni nella Regia Scuola Macchinisti di Ve-nezia e successivamente all’AccademiaNavale di Livorno dalla quale era uscitocon il grado di guardiamarina. Dopo aver partecipato alla guerra in Abis-sinia (1895-96) sposa nel 1897 la barones-sa Elisabetta Widmann Rezzonico, erede

di una ricca famiglia con proprietà in Ca-rinzia delle quali Piero diviene procuratorerinunciando alla carriera militare. Piero edElisabetta avranno ben sette figli dei qualii primi due sono Marina, nata nel 1898 eche andrà successivamente in sposa aFranco Gherardini, e il nostro Giorgio, na-to, come abbiamo visto, l’anno successivo,che non aveva ancora quattordici anni(come si usava allora) al momento dell’in-gresso in Accademia. Bene, le cose iniziano a quadrare. PieroFoscari, la cui calligrafia nella sigla “P. F.”è facilmente confrontabile con quella dellafirma apposta sotto la caricatura disegna-ta da Musacchio (foto a sinistra), assistealla vestizione di Giorgio assieme a Mari-na, la prima figlia, allora quindicenne. Tor-na anche l’indirizzo sul memoriale (PalazzoWidmann, di proprietà della famiglia dellamoglie di Piero).

28 Marinai d’Italia Giugno 2018

Le cartolineraccontano...Roberto Liberi A.I.C. (r) e Socio del Gruppo di Livorno

Testimonianze

Caricatura del capitanodi fregata Pietro Foscari,disegnata daCesare AnnibaleMusacchio

Don PietroConte FoscariPatr. Ven

Cedendogli onori della codaa Donna Daniella

ContessaDaniella Foscari

31Marinai d’Italia Giugno 201830 Marinai d’Italia Giugno 2018

Foto d’epoca

Spett.le “Marinai d’Italia”, riordinando il mio archivio fotografico ho “ritrovato” alcunevecchie fotografie che ritraggono dei marinai in servizio negli anni 1939/40; le fotografie sono: 1) scritto sul retro “Regia Torpediniera PERSEO” con i nomi:

Zambelli - Samataro - Reggioli - Parisi - Cirillo - Agnese2) due marinai vicini ad una tomba che suppongo sia di un commilitone Caduto, sul retro non vi è scritto nulla.3) scritto sul retro “Lero 9-10-1939”

Ringrazio per l’attenzione e concludo porgendo cordiali Saluticon il benaugurante marinaro “Pale a prora-Voga”

Claudio Genta - Socio di Venaria Reale (TO)

Carissimo Direttore,la settimana scorsa sono stato a trovare l’amico marinaio Cremaschiil quale, sapendo della mia visita, mi ha fatto trovare il documentoche ti invio e da lui rintracciato in una vecchia scatoladimenticata in cantina.Di mio ho solo aggiunto la foto che Lorenzo pure mi ha dato.Sul retro di questa foto c’è scritto“A poche miglia da Palermo si trae a bordo prigioniero l’equipaggiodi un aereo inglese abbattuto dalla contraerea di Palermo”. Spero ti sia utile... Un abbraccio Gino RaimondiSocio ANMI Gruppo di Rovello Porro - Socio di Venaria Reale (TO)

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32 Marinai d’Italia Giugno 2018

Giorgio Dissera BragadinIL MIO CAPO MATAPAN

Q uesto libro fa parte della lette-ratura di grande interesse sto-

rico e sentimentale: scritto da unoche c’era, un protagonista alloragiovane ma dall’intelletto vivo e gliocchi e le orecchie aperti, curiosi epronti a cogliere in senso degli av-venimenti, il filo logico delle vicen-de. Non è dunque la semplice nar-razione dei suoi vent’anni, quandoera imbarcato sul Regio Incrociato-re Trieste ed ha partecipato allebattaglie nel Mediterraneo, ma unapenna che narra avendo ancoraben vivo – e ancora non gli dà pace– “il rombo tremendo delle bordatedella mia Nave, le nacchere dellemitragliere, il tremendo frastuonodei bombardamenti dal mare e dalcielo ma soprattutto il grido indifesodei feriti e quello insostenibile e os-sessivo dei naufraghi” dei quali nonpuò liberarsene.Lo fa con quest’opera “sui generis”,compendio di testimonianze, la vo-ce dei superstiti, quella dell’autore,ovviamente, in primis.Mi piace già dalla copertina, che ri-porta una fotografia davvero strug-gente, l’ultimo appuntamento la se-ra del 28 marzo 1941 – la notte primadi Matapan – fra le unità della 1^ edella 3^ Divisione Navale. Ecco al-lora dipanarsi la storia vista dalbasso, prima e sopra le testimo-nianze del dopo guerra fatte daiprotagonisti con la “greca”, spessopiù volte a scrollarsi di dosso so-spetti e responsabilità che a rac-contare fatti e vicende nella lororeale cornice e sostanza. Qui l’ami-co Giorgio sviluppa la sua narrazio-ne perché, dice, “la guerra bisognaberla sul posto, non servita su uncabaret porto da altri”: ecco allora ivertici della nostra Regia Marina vi-sti dal basso, le operazioni terrestriviste da chi sentiva e, intanto, ragio-nava con la sua testa, fino ad arri-vare all’operazione “Gaudo”. È aquesto punto che Dissera lascia,

per così dire, il filo della narrazionealle diverse opinioni di chi ha vissu-to quel “dannato” episodio, racco-gliendole solamente in un unicumche faccia da cornice al puzzle. Co-me non emozionarsi a leggere le te-stimonianze di sopravvissuti del Po-la, Zara, Fiume, Carducci e Alfieri –le navi affondate in quel tragicocombattimento, corredate dagli esi-ti delle ricerche che l’autore ha fat-to negli archivi inglesi e australiani.Menzione a sé merita il corredo fo-tografico, molto spesso provenien-te da archivi personali dell’autore edi marinai: una collezione impres-sionante d’immagini opportuna-mente e sapientemente inserite perdare vita e forza ai racconti, moltospesso inedite e qualche volta an-che curiose, genuine.Nel libro ve n’è una ricchissima col-lezione, quasi un album di famigliascoperto e pubblicato per esserecondiviso e non più lasciato nellapolvere di un armadio.Sono convinto che lo scopo dell’o-pera e della fatica di Giorgio sia sta-to pienamente conseguito: si è trat-tato semplicemente di far risaltare ildramma delle coscienze degli equi-paggi chiamati a lottare, da cuiemerge con lucida chiarezza comefatti, anche narrati da autori “auto-revolissimi”, magari anche presentiai medesimi, possano avere diffor-mi valutazioni, possano conteneresviste tali da far dubitare perfinodell’effettiva presenza o, quantome-no, far nascere il sospetto di unasuccessiva rivisitazione.Troppe volte i ricordi sono stati con-siderati d’insufficiente attendibilitàstorica, quasi ad avallare l’idea chesolo i rapporti ufficiali delle varieazioni siano da considerare utili perla ricostruzione dei fatti.Essi possono essere, naturalmente,la prima fonte da consultare, maspesso sono “aridi e frettolosi, prividi quell’esposizione minuziosa e vi-va degli avvenimenti e dei moventidelle decisioni prese”, come scriveanche uno dei protagonisti dell’e-poca, l’Ammiraglio Angelo Iachino.Ecco dunque la validità, a ognibuon fine, di libri come questo incui l’autore, assai modestamentema molto chiaramente dice: “Ionon ero un Capo, caso mai un at-tento e scrupoloso annotatore didiari, e non avevo e non ho alcuninteresse da tutelare”.Godiamoci, dunque, questo “zibal-done” – parola dell’autore – cheviene dall’animo ed è dedicato a

tutti quelli che c’erano e non è giu-sto né dimenticare né emarginarequando si vuole consegnare allaStoria la verità.

Antonio MartelliLA BATTAGLIAD’INGHILTERRASocietà editrice Il MulinoBologna

U no splendido libro di argo-menti prevalentemente (ed

ovviamente) attinenti al conflittoaereo, ma di grande interesse an-che per tutti noi marinai, perchésvolge considerazioni e induce a ri-flessioni assolutamente pertinential nostro ambito, ormai da allora di-venuto aero-navale.Il tema di fondo, ripercorrendo queidrammatici mesi, parte dal quesito:sarebbe stato possibile resistereall’attacco di una Germania che ap-pariva invincibile?Il modo con cui gli Inglesi affronta-rono la sfida è appunto la risposta,per dare la quale, in maniera ap-profondita e storicamente valida,l’autore ritiene corretto e fonda-mentale (a buona ragione, dico an-ch’io) ripercorre brevemente la sto-ria dell’aviazione militare fino allabattaglia stessa, concentrando ov-viamente l’analisi sulle due aero-nautiche protagoniste, la Royal AirForce (RAF) e la Luftwaffe. Inoltre, èstata sviluppata un’approfonditaanalisi degli altri fattori pertinenti,politici, tecnologici, industriali edumani, necessario presupposto allapiù completa trattazione della batta-glia stessa.L’autore, che anche nel titolo haadottato il termine ormai acquisito(fu coniato da Churchill) anzichéquello più corretto di “campagna”,dato che gli scontri durarono perben quattro mesi, ritorna giusta-mente e ricostruisce lo “spirito deltempo”, cosa assolutamente neces-saria da conoscere e soprattuttocomprendere se si vuole inquadrare

poi la guerra nella sua esatta di-mensione e svolgimento.Dalla lettura avvincente del testo, siottiene la sensazione della eccezio-nalità delle energie, delle volontà ingioco, delle forze materiali e moraliimpegnate nell’epico scontro.E questa è certamente la battagliadecisiva, che determinerà il seguitoe l’esito finale del conflitto consa-crando, ai fini della vittoria, la ne-cessità di coniugare insieme il clas-sico domino del mare ed il nuovofattore, il controllo congiunto deimari e dei cieli.Infine, con grande acume e sensodella storia, Martelli presenta i pro-tagonisti nei due campi, a partiredall’uomo senza la cui volontà di re-sistenza, tanto agli occhi inglesiquanto a quelli tedeschi, il corsodegli eventi avrebbe certamentepreso una diversa piega: WinstonChurchill. E poi, i protagonisti neidue campi, come Hermann Goring,Hugo Speerle, Adolf Galland eWerner Molders per i tedeschi,Hugh Dowding, Peter Townsend eAdolf Malan (sudafricano, detto“sailor” cioè marinaio) per i britan-nici, nomi che devono rimanere im-pressi nella memoria di tutti perquanto fatto, ideato, messo in cam-po, dalle strategie ai duelli aerei.Come mai, si chiedono ancor oggimolti storici, la Luftwaffe, che di-sponeva all’inizio di un maggior nu-mero di velivoli, di piloti più adde-strati e determinati, non è riuscitaa vincere la battaglia sui cieli dellaGran Bretagna?L’autore esamina, con perspicaciaed approfonditamente, la questio-ne ed attribuisce a tre fattori lasconfitta tattica tedesca: la logisti-ca, più favorevole agli Inglesi, il si-stema radar britannico, decisa-mente più efficiente e gli erroricommessi dai capi della Luftwaffeche, agli inizi di settembre 1940,decisero di trascurare i bombarda-menti sugli aeroporti per concen-trarsi sulla città di Londra.Tutta la narrazione scorre in ma-niera accattivante, appassionante,conducendo il lettore attraverso glieventi che caratterizzarono unodei più significativi scontri dellastoria con una ricca serie di dati,considerazioni ed approfondimentidi grandissimo interesse.Il risultato di tanto impegno è un li-bro di fondamentale importanzaper tutti coloro che desiderano sa-pere o saperne di più.

nnn

Recensioni di Paolo Pagnottella