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Marinai d’Italia MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MARINAI D’ITALIA Anno LXIII n. 11/12 • 2019 Novembre/Dicembre Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma “Una volta marinaio... marinaio per sempre” Varo di Nave Thaon di Revel

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Marinaid’ItaliaMENSILE

DELL’ASSOCIAZIONENAZIONALE

MARINAI D’ITALIA

Anno LXIII

n. 11/12 • 2019Novembre/Dicembre

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento

Postale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n° 46)art. 1 comma 1 - DCB Roma

“Una volta marinaio... marinaio per sempre”

Varo di Nave Thaon di Revel

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C ome faccio sempre, durante le feste di Natale,mentre i collaboratori sono tutti in vacanza e lapace regna finalmente sovrana in ufficio, coi te-

lefoni stranamente silenziosi ed il piazzale della casermavuoto, senza i Fucilieri del “San Marco” in addestramento

all’ordine chiuso, dedico qualche ora a riordinare carte escrivania. Ho trovato una letterina che, evidentemente,era rimasta nella cartella intitolata “Domani”, quella chenon si svuota mai e desidero condividerla con voi, primadi impostarla. Recita così:

Editoriale del Presidente Nazionale

Lettera a Babbo Natale

«Caro Babbo Natale, sono un’anziana Associazione d’Arma, quella dei Marinaid’Italia, ho oltre cento anni e sento il peso della mia età e della responsabilitàche agli anni si accompagna. Ti scrivo per i miei figli, ne ho tanti, più di trentami-la ma ancor più ne avevo negli anni passati. Molti di loro mi hanno lasciato, chisalpando per l’ultima missione, chi stanco di stare vicino ad una vecchia comeme, di cui non condivideva più stile ed ideali. Molti, però, mi amano ancora e miconfortano con la loro amicizia, stima e presenza. Io mi sento bene, ancora gio-vane ed in gran forma, ho da poco rinnovato anche il mio maquillage dandomi unnuovo statuto che credo, a giudicare dall’unanime consenso riscosso, possaridare vigore ai tiepidi e nuova linfa vitale ai giovani che vogliano venire a trovar-mi. Ti chiedo, per queste feste di Natale, di portare a ciascuno dei miei figli quel-lo di cui hanno veramente bisogno, a prescindere da ciò che loro stessi ti hannogià scritto di desiderare come regalo. Ma tu dai ascolto a me, perché li conoscomeglio di chiunque altro. Dunque, ti chiedo di portare loro buona salute, un buonlavoro a padri, madri e figli, una bella casa, tranquillità economica e serenità infamiglia. Sono cose essenziali, quelle di cui, credo, non possano davvero fare ameno. Il resto fa parte del superfluo; decidi tu in merito. Capisco che per ottenerealcuni di questi doni, come la salute e la serenità, occorra anche una buona dosedi fortuna e tu dàgliela, una buona volta, ed anche in dose esagerata! Ma per glialtri regali, caro Babbo Natale, per il lavoro, per la stabilità economica, pergodersi la propria bella casa, ci vorrebbe che tu portassi ai miei figli, innanzitutto, dei buoni governanti e onesti amministratori che si occupassero finalmen-te di noi tutti piuttosto che continuare a litigare e perdere tempo in provvedimen-ti di interesse dei soliti pochi. Allora, porta loro buon senso, buona volontà, unpo’ di lungimiranza (ci accontenteremmo anche di una piccola dose), e ferma

determinazione a mettere gli interessi della collettività in cima ai loro pen-sieri. Io ed i miei figli ti assicuriamo che manterremo saldo ciò che serve,prima di ogni altra cosa, a costruire o ricostruire, ossia l’orgoglio diessere Italiani, anche se di questi tempi non mi sembra sia più moltodi moda e si faccia fatica a conservarlo e trasmetterlo ai più giovani.Infine, mio caro Babbo Natale, ti prego, regala a tutte le migliaia dimiei figli la consapevolezza che quello che hanno sempre avuto, e

che forse negli ultimi tempi hanno un po’ perso, sia il fonda-mento della nostra vita di marinai, la voglia di non mollaremai, di sognare e di realizzare i nostri sogni.“Navigare è sognare” l’aveva scritto anche il nostro ante-

nato Cristoforo Colombo nel suo diario. E lui, da buon mari-naio, non ha mai mollato davvero.Con affetto, buon Natale».

Felice Anno Nuovo a tutti coloroche sono e si sentono nell’animo

Marinai d’Italia

“Il Gioiello” di Vicenza Girolamo TrombettaPresidente del Gruppo di Vicenza

N ell’ambito della manifestazioni e celebrazioni che si sono svol-te a Vicenza a cura dell’“Associazione Pigafetta500” per il cin-

quecentenario dell’impresa condotta da Ferdinando Magellano edescritta dal suo diarista Antonio Pigafetta ne “Il primo viaggio in-torno al mondo”, è stato chiesto al Gruppo ANMI di trasportare amano e in spalla nella tradizionale processione diocesana del 7 e 8settembre, “il Gioiello” di Vicenza, un manufatto di oltre 60 kg,creato dai “Maestri Orafi Vicentini”, in argento e che raffigura lacittà di Vicenza dal centro storico fino alla Basilica Santuario diMonte Berico, percorrendo le antiche vie della città (compreso l’ac-cesso all’“Arco delle Scalette” e al Santuario incluse le 200 scalet-te, opera di Andrea Palladio). Alla manifestazione era presente il Vice Presidente Nazionale Avv.Paolo Mele. Alla processione hanno altresì partecipato il Sindaco ePresidente della Provincia di Vicenza Avv. Francesco Rucco, la VicePresidente della Provincia Dott.ssa Maria Cristina Franco.

Notizie storiche “Il Gioiello” è un capolavoro di fede e di gioielleria fatto costruire dai vicentininel 1578 come ex-voto per scongiurare le continue epidemie di peste. Il con-siglio cittadino lo affidò simbolicamente nelle mani del patrono San Vincenzoperché lo consegnasse alla patrona della città, la Madonna di Monte Berico,attraverso una processione religiosa che partisse dalla chiesa di San Vincen-zo in Piazza dei Signori fino al Santuario.Realizzato partendo dalla “pianta angelica”, custodita in Vaticano, con lasupervisione di Andrea Palladio e la maestria dell’orafo Cesare Capobianco(documentato) perché rappresentasse l’anima della città nel pieno dellasua trasformazione in “teatro urbis” neoclassico. Nelle campagne d’Italiadel 1797 le truppe napoleoniche razziarono la maggior parte dell’oreficeriaricavandone materiale prezioso e tra questi “il Gioiello” che da allora so-pravvisse nella memoria solo attraverso sei dipinti ad olio conservati inchiese e istituzioni della provincia.Nell’ambito della rinascita dei due simboli storici della città, il “Giro dellaRua” e “il Gioiello”, lo storico Davide Fiore riunì nel 2009 al museo Diocesanoi membri del futuro comitato scientifico, ognuno per la sua specifica capacitàal’interno del progetto.

Contributi 2019

Gruppo di Conegliano (TV) € 50,00

Gruppo di Sarzana (SP) € 19,00

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1 Editoriale del Presidente Nazionale

4 Varo del pattugliatore polivalente d’alturaThaon di Revel

6 Tra memoria e storia

9 La celebrazione della Spedizione Nobile al Polo Nord

10 Le crepe nel Muro

13 Storia di un berretto da marinaio

14 Le cartoline raccontano...

16 1915-1918 Ambulanze e ospedali sull’acqua

20 Storia del “crest”

22 Chiamatemi comandante

24 Il marinaio Acefalo e l’antropologo forense

27 ITALAIR Quaranta anni e non li dimostra

28 Esperienze a bordo della nave scuola Amerigo Vespucci

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Sommario

Avvisiai Naviganti

C ontinua l’invio della foto di unaUnità Navale della M.M. in li-

nea operativa, ovvero della RegiaMarina (foto o disegno storico) alle-gata al “Giornale”. Ci eravamo la-sciati con la silhouette del RegioSmg. Scirè (nr. di Giu./Lug.); inquello di Ago./Set. nulla è stato in-serito trattandosi del solo “Diario dibordo” mentre nel “numero specia-le” per il XX Raduno Nazionale”, diOttobre, abbiamo selezionato laportaerei Cavour. In questo numeroil lettore troverà la foto del Regio in-crociatore leggero Bartolomeo Col-leoni. Allo scoppio del secondo con-flitto mondiale sul Colleoni, uno de-gli incrociatori della classe “Albertodi Giussano”, da 6.570 t., in pienaefficienza bellica, si abbatté il desti-no avverso: il 18 luglio 1940 salpòda Tripoli col Giovanni delle BandeNere diretto a Leros (Mar Egeo) percontrastare il naviglio britannico inquell’area. Nelle prime ore del 19 lu-glio vennero intercettati al largo diCapo Spada (Creta) dall’incrociato-re australiano Sydney e da cinquecacciatorpediniere nemici. Nellasuccessiva battaglia navale il Col-leoni venne colpito nella sala mac-chine e poi immobilizzato, diven-tando facile bersaglio. IlBande Ne-re si sganciò inseguito dal Sydneymentre il Colleoni, peraltro in fiam-me (un colpo aveva provocato l’e-splosione dei depositi munizioniprodieri e l’asportazione dellaprua), fu finito con i siluri dai cacciainglesi Ilex e Havock. Esplose eaffondò alle 8.29, trascinando consé 121 marinai, mentre gli altri 525furono recuperati e fatti prigionieridagli inglesi.

Entro breve sarà aperto il “canaleYoutube ANMI” sulla home-pagedel nostro sito (www.marinaidita-lia.com) tramite apposito link. Inquesto contenitore, gestito dall’uffi-cio “Comunicazione e documenta-zione” della P.N., verranno postati ifilmati di interesse dell’Associazio-ne (p.e. il defilamento del 29 set-tembre 2019 in occasione del XXRaduno Nazionale di Salerno cosìcome i contributi relativi a cerimo-nie e/o avvenimenti che i Gruppi fa-ranno pervenire). A riguardo ver-ranno comunicati sul bollettino, sulsito e sul “Giornale” sia le normesia i requisiti tecnici per la pubbli-cazione dei filmati.

LA REDAZIONE

In copertina15 giugno 2019.Varo di nave Thaon di Revel(Foto di Renato Ruffino)

Direttore responsabileGiovanni Vignati

VicedirettoreAngelo Castiglione

RedazioneAlessandro Di Capua, Gaetano Gallinaro,Massimo Messina, Innocente Rutigliano,Daniela Stanco, Beppe Tommasiello

Direzione, Redazione e Amministrazionec/o Caserma M.M. Grazioli LantePiazza Randaccio, 2 - 00195 RomaTel. 06.36.80.23.81/2 - Fax 06.36.80.20.90

Sito webwww.marinaiditalia.com

[email protected]

Iscrizionen. 6038Reg. Trib. Roma 28 novembre 1957

Progetto grafico e impaginazioneRoberta Melarance

StampaArtigrafiche Boccia spa via Tiberio Claudio Felice, 784131 Salerno

Numero copie37.500

Codice fiscale 80216990582

C.C. BancarioUNICREDIT BANCA DI ROMA S.p.A.Agenzia di Roma 213Ministero Difesa MarinaIBAN: IT 28 J 02008 05114 000400075643Codice BIC SWIFT: UNCRITM 1B94

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Ambedue i conti intestati aAssociazione Nazionale Marinai d’ItaliaPresidenza Nazionalec/o Caserma M.M. Grazioli LantePiazza Randaccio, 2 - 00195 Roma

L’informativa sul trattamentoe protezione dei dati personaliè riportata sul sito dell’Associazionewww.marinaiditalia.comsezione “informativa privacy”

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MARINAI D’ITALIA DIARIO DI BORDO

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situata all’estrema poppa. Di seguito lesue caratteristiche tecniche più rilevanti:• 132,5 metri di lunghezza;• Velocità oltre 31 nodi in funzione dellaconfigurazione e dell’assetto operativo;

• 171, tra uomini e donne di equipaggio;• impianto combinato diesel e turbina a gas(CODAG) per la propulsione principale;sistema di propulsione elettrica;

• capacità di fornire acqua potabile e cor-rente elettrica (potenza massima di 2.000kw) a terra;

• 2 zone modulari a poppa e centro naveche permettono l’imbarco di svariate ti-pologie di moduli operativi/logistici/abita-tivi/sanitari containerizzati.

I PPA saranno costruiti presso il CantiereIntegrato di Riva Trigoso e Muggiano; isuccessivi “PPA” saranno consegnati nel2022, 2023, 2025 e 2026 (nel 2024 due unitànavali).

nnn

Grande AmmiraglioPaolo Thaon di Revel

Nacque a Torino il 10 giugno 1859 e morìa Roma il 24 marzo 1948. Ha frequen-

tato la Scuola di Marina di Napoli e quindiquella di Genova, uscendone Guardiamarinanel 1877. Partecipò alla circumnavigazionedel globo a bordo della Fregata Garibaldinel1879. Da capitano di corvetta fu per quattroanni “Aiutante di campo” del Re Umberto I°,ricevendo poi il comando della “scuola mac-chinisti” di Venezia e dell’Accademia Navaledi Livorno dal 1900 al 1907.Dal 1907 al 1909 fu al comando della nuovacorazzata Vittorio Emanuelesulla quale pre-sero imbarco il Re e la Regina quando si re-carono a Messina sconvolta dal terremotodel 1908.Contrammiraglio nel 1910, varò la riformadegli studi dell’Accademia Navale e ricevet-te l’incarico di “Aiutante di campo” del ReVittorio Emanuele III°.Partecipò alla guerra italo-turca del 1911-12al comando della II^ Divisione della II^Squadra Navale e si guadagnò la commendadell’Ordine Militare di Savoia.Nominato Capo di Stato Maggiore della Re-gia Marina nel 1913, si dimise dall’incariconell’ottobre 1915 per divergenze di vedutecon il Comandante in Capo dell’Armata, Lui-gi di Savoia Duca degli Abruzzi, e fu nomina-to Comandante in Capo del DipartimentoMarittimo di Venezia. Mantenne tale incari-co anche nel 1917, quando fu nominato Co-mandante delle Forze Navali Mobilitate lequali, grazie al potenziamento da lui avviatodell’aviazione navale, della fanteria di Mari-na e dei MAS, conseguirono la vittoria nellaGrande Guerra conclusasi il 4 novembre1918 con l’occupazione dell’Istria e delle iso-le costiere dalmate assegnate all’Italia.Nominato senatore del Regno nel 1917 epromosso Ammiraglio nel 1918, partecipòcome delegato navale alla conferenza dipace di Parigi.Dall’ottobre 1922 a maggio 1925 fu Mini-stro della Marina, insignito del titolo di“Duca del Mare” il 24 maggio 1924 e pro-mosso Grande Ammiraglio il 4 novembre1924, unico nella storia della Marina.Fu Presidente del Senato dal luglio 1943 alluglio 1944.Le sue spoglie riposano nella basilica diSanta Maria degli Angeli a Roma, accantoa quelle del Generale Armando Diaz.

5Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

L a cerimonia del varo è avvenuta nel-lo stabilimento Fincantieri di Mug-giano (La Spezia) sabato 15 giugno

2019. Il pattugliatore polivalente d’altura (inacronimo“PPA”) Paolo Thaon di Revel è ilprimo di sette unità e sarà consegnato allaMarina Militare nel 2021. Il “PPA” rientranel piano di rinnovamento delle unità navalidella Marina deciso dal Governo e dal Par-lamento e avviato con la legge navale nel2015. Presenti alla cerimonia il ministro del-la Difesa Elisabetta Trenta, il capo di stato

maggiore della Marina ammiraglio ValterGirardelli, mentre per Fincantieri il Presi-dente, Giampiero Massolo e l’amministra-tore delegato Giuseppe Bono.

Caratteristiche tecniche del “PPA”Il Paolo Thaon di Revel rappresenta una ti-pologia di nave altamente flessibile concapacità di assolvere a molteplici compitiche vanno dal pattugliamento con capa-cità di soccorso in mare, alle operazioni diProtezione Civile, nonché, nella sua ver-

sione più equipaggiata, da nave combat-tente di prima linea. Sono infatti previstedifferenti configurazioni di sistema di com-battimento: a partire da una “leggera”, re-lativa al compito di pattugliamento, inte-grata di capacità di autodifesa, fino a quel-la “completa”, equipaggiata con il massi-mo della capacità di difesa. Inoltre l’unitànavale è in grado di impiegare imbarcazio-ni veloci tipo RHIB (Rigid Hull InflatableBoat) sino a una lunghezza di oltre 11 metritramite gru laterali o una rampa di alaggio

4 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

Manifestazioni, Cerimonie e Ricorrenze

15 giugno 2019

Varo del pattugliatore polivalented’altura Thaon di RevelIl presente articoloviene pubblicato con notevole ritardoa causa di una sfavorevole congiuntura:nel numero di Giugno/Luglio abbiamo dovutodare priorità al varo del Trieste(avvenuto peraltro tre settimane prima)mentre il numero di Ottobreè stato dedicato interamenteal XX Raduno Nazionale

Le delegazioni dei Gruppi di Biella, Gorgonzola,Melzo, Milano, Monza, Rho

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7Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

(che dovrebbe essere d’archivio e non bi-bliografica ma che purtroppo spesso nonpuò esserlo in quanto lo studioso nonsempre ha la possibilità di viaggiare, diaccedere agli archivi, di conoscere piùlingue) anche se spesso viziata da giusti-ficazione più che da linearità oggettiva.Ma accanto vi è un‘altra storia, quella‘orale’, come quella dei semplici militari,che è stata per lunghissimi anni emargi-nata e accantonata a differenza della pri-ma che ha, al contrario, prosperato.Le esperienze militari vengono, nella ri-cerca storica generale, sottovalutate co-me se la vita e le traversie dell’individuoin guerra non fossero veritiere, invalidatea priori dall’eventuale vizio dell’esagera-zione soggettiva. In realtà la memoria del

soldato, se ben compresa, riporta in lucesituazioni particolari e microstorie, talvol-ta diverse da quelle ufficiali, che possonoaprire settori nuovi di ricerca e portare arielaborazioni divergenti da quelle in es-sere nella conoscenza collettiva. La memoria ha diritto ad una sua dimen-sione autonoma nei confronti della storia:ha il dovere di rimanere nella dimensione

del racconto dei fatti e dei relativi giudiziche il testimone ha vissuto ed elaboratoin un tempo più o meno lontano da essi.Certamente, in quanto memoria non puòessere che soggettiva e portatrice di rap-presentazioni che rimandano al percorsoindividuale del testimone che spessoperò è l’attore sul quale ruota la narrazio-ne ufficiale e che in moltissimi casi è dia-metralmente opposta al ricordo di que-st’ultima.Chiaramente della memoria non va fattoun uso disinvolto che porterebbe ad ap-piattimenti del quadro delle vicende chene sono oggetto e in alcuni casi a situa-zioni senza contorni e sfondi o, al contra-rio, ad esasperazioni colpevoli soprattut-to nei toni.

La memoria non può essere omologata ocondivisa ma va analizzata e riscontratase si vuole arrivare a verità non soggetti-ve.Proviamo a chiederci che cos’è il ricordo.Rispondere a questa domanda non sem-pre è facile quando si parla di guerra du-rante la quale le esperienze sono uniche.Il ricordo è il riportare alla memoria fatti

e situazioni sostanzialmente lontane, inti-me (e per questo spesso difficili da accet-tare), per riviverle nella loro giusta realtà.Possiamo comunque definire il ricordo,prendendo a prestito William Word-sworth come: l’emozione rivissuta intranquillità. Certamente, e non va dimen-ticato, può accadere che, nel ‘ripescare’dall’oblio della memoria fatti, soprattuttovicini, confondiamo la realtà con l’imma-ginazione, confondiamo quello che è sta-to con quello che crediamo sia stato.In un’epoca nella quale prima la televisio-ne e adesso soprattutto internet cambia-no la realtà facendola diventare virtuale,è addirittura normale essere convinti checerti fatti siano successi realmente an-che se non è vero, immaginiamo che i ri-cordi che affiorano alla mente siano verio facciamo come se lo fossero. In realtà,delle memorie reali, molte non sono com-pletamente veritiere ma spesso volutecongruenti con il resto dei nostri e deglialtrui ricordi.Nel caso di azioni oggettive come quellemilitari le cose sono diverse.Le esperienze fatte dai militari, primadell’avvento delle comunicazioni di mas-sa, sono fissate nella memoria come im-magini, come quadri che l’attore si prestaa spiegare. Ovviamente non dobbiamotralasciare il fatto che prima dell’avventodella realtà virtuale, che sta cambiando ilruolo del ricordo con l’applicazione dellamemoria delegata alla rete (quanti oggiricordano un solo numero di telefono,esercizio normale di sviluppo mnemoni-co?), la memoria difficilmente tradiva. I ri-cordi passati avevano una loro oggetti-vità anche se è ovvio che il carattere per-sonale del ricordo ingrandisce la diffi-coltà di confermarlo come vero. Tuttaviai controlli effettuati, inserendoli nel giustocontesto generale, durante la mia espe-rienza degli ultimi trent’anni nel campodella storia orale hanno dimostrato l’e-sattezza, la validità e la congruenza del ri-cordo degli anziani relativamente agliepisodi di guerra vissuta.Molti ricordi personali creano un immagi-nario comune e fanno sì che il passato di-venti storia e che questa sia comune-mente accettata e spesso ritenuta reale.Questo accade soprattutto nella cosid-detta storia minore, storia di gente comu-ne che fa parte di piccole comunità. Sitratta di storie locali che però comunquesi intrecciano, a diversi livelli, alla storiagenerale, la grande storia.

6 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

C on l’arte della memoria l’uomo hacercato, fin dall’antichità, di lotta-re contro la fuga, l’evanescenza

delle cose, nel tentativo di trattenerle aldi qua della linea d’ombra oltre la qualeesse precipitano in un oblio che non èmai pura e semplice assenza, ma piutto-sto oscura presenza della notte e dellamorte1. Ma la memoria, se è possessoconsolatorio dell’esperienza passata, il“fedele ricordo” che salva dalla perdita,è anche una condanna che non consentel’oblio di cose spiacevoli. Assai più diquello dei giovani e degli adulti il ricorda-re degli anziani è metastorico, nel sensoche procede, al di là della verità storica,ordinando le trame di un racconto che hauna coglibile precisa direzione di signifi-cato: in altri termini si delinea in una spe-cie di mitologia, obbligata dal binario mo-tore degli affetti, preferibilmente sulla ba-se di un modello estetico. Aristotele affer-mava che il raccontare è mito. E il mito èl’apparizione di un’immagine con la quale

tutto il mondo viene ad essere visibile, unmondo che prima era oscuro. Ci sono ele-menti, nella memoria, che rimandano aldiscorso poetico e metaforico. Il discorso poetico porta a parole, aspetti,qualità e valori della realtà che non han-no modo di esprimersi nel linguaggio di-rettamente descrittivo e che possono es-sere detti solo grazie a un gioco comples-so tra enunciazione e trasgressione, re-golate dai significati abituali delle nostre

parole. L’enunciato metaforico ha la ca-pacità di descrivere una realtà inacces-sibile alla descrizione diretta, di ristabilireuna verità mnesica che ovviamente nonè storica ma che è più profondamente eaffettivamente vera2.Paradossalmente la ‘storia’ raccontatadai diretti protagonisti se messa in rap-porto alla documentazione ufficiale, ine-rente lo stesso episodio o lo svolgersisuccessivo degli avvenimenti, porta asintesi che danno luogo a conclusioni di-verse. Tali antitesi tra i risultati sono fontefrequente di equivoci fra gli schieramentidegli esegeti della storia orale e quellidella storia documentale.La storia ‘oggettiva’, quella con la S maiu-scola, è frutto di ricerca documentale

Riflessioni

Tra memoria e storiaEnrico CernigoiStorico navale e Socio del Gruppo di Cervignano del Friuli

Aristotele

N acque nel 384 a.C. a Stagira, in Grecia. Quando compì 17 anni, si iscrisse all'Accademiadi Platone. Nel 335 Aristotele fondò la sua scuola ad Atene, il Liceo, dove trascorse la

maggior parte del resto della sua vita a studiare, insegnare e scrivere. Assieme a Socrate e Pla-tone, pose le basi per quella che sarebbe divenuta la filosofia occidentale.

“Per prima cosa cercate di rendere i vostri ideali ben definiti, chiari, pratici, trasfor-mandoli in obiettivi. In secondo luogo verificate se avete tutti i mezzi necessari perperseguirli: capacità, soldi, materiali, metodologie. In ultimo fate in modo che tuttii vostri mezzi siano indirizzati al raggiungimento dell'obiettivo”

Note

(1) Gaspare Vella e Alberto Siracusano, La complessità della memoria, Il pensiero scientifico editore, Roma 1992(2) Ricoeur R. Temps et récit, Paris, Editions du Seuil, 1983

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9Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 20198 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

Siccome non si può raccogliere il ricordoorale di tutti e scrivere il susseguirsi deifatti, nella loro reale miseria e crudezza,la storia viene scritta, e soprattutto con-divisa, da chi trova tracce documentali.Si ritiene che solo i fatti concretamentevisibili siano oggettivi e tutto il resto inter-pretazione. Ne consegue che chi si occu-pa di storia e si dichiara esperto è con-vinto del realismo della materia che trat-ta; il più delle volte però, più che gli avve-nimenti reali, nella documentazione ven-gono portati a conoscenza quelli edulco-rati, condivisi, fuorvianti e spesso onirici.Si tratta di documenti e avvenimenti chesono l’espressione, è bene non dimenti-care, di altre volontà e di altri fini, il piùdelle volte interessati a giustificare e a ri-marcare i fatti più che a capire interpre-tarli, analizzarli e confrontarli. Il chespesso porta a conoscenze non comple-tamente rispondenti alla realtà.Riprendendo il tema del ricordo, puntocentrale del nostro discorso, non possia-mo sottacere che spesso le nostre espe-rienze ‘quotidiane’, considerata la loro ri-petitività, sono dimenticate.Lavorare, mangiare, dormire, ecc. sonoattività che si esplicano in azioni quoti-diane che non hanno nulla di straordina-rio e, quindi, vengono collocate nella lorogiusta dimensione. La concatenazionedegli eventi lega le azioni al presentesenza soluzione di continuità e senzagrossi traumi. Le cose sono diverse separliamo di fatti eccezionali successi agente comune, per esempio l’esperienza

della guerra nelle sue varie forme. Separliamo del vissuto di episodi drammati-ci e violenti (campo di concentramento,torture, interrogatori, ecc.), probabilmen-te ne verrà ricordata solamente una pic-cola frazione perché circoscrivere i no-stri ricordi, scavare nella realtà, fa male.Ricordare più di una frazione di passatosarebbe immensamente lungo e doloro-so. Se invece parliamo dell’esperienzadel soldato, la memoria riveste un parti-colare settore della sfera emotiva, nonassimilabile alle altre ma lucida e reale.Come esperienza unica, e fortunatamen-te irripetibile, diventa indimenticabile.Spesso l’intervistato non ricorda quelloche ha mangiato il giorno prima ma ricor-da perfettamente la colazione del 10 giu-gno 1940 come momento di cambiamentoepocale.Va sottolineato, tuttavia, che l’intervista,per essere veritiera, deve essere unica.Solo la prima descrizione del ricordo, in-fatti, è reale in quanto priva di rielabora-zione, non filtrata da elucubrazioni suc-cessive o da letture specifiche fatte perinserire la memoria nel contesto di riferi-mento o reinterpretare gli avvenimenti al-la luce delle necessità del presente. Ri-leggendo le dichiarazioni rilasciate o ri-pensandoci, il ricordo si modifica, si cam-bia l’ordine degli avvenimenti perché ilfatto avvenuto sia maggiormente com-prensibile ma soprattutto accettato; pri-ma da noi stessi, poi dagli altri. L’opera-zione principale della memoria, in molteoccasioni, non è quella di preservare il

passato, ma di adattarlo, spesso arric-chendolo il più delle volte inconsciamen-te, con lo scopo di manipolare il presentealle proprie esigenze. Nella memoria per-sonale che possiamo benissimo definire“storia di parole”, il racconto può così di-ventare un semi-soggetto romanzesco.La memoria è una grande organizzatricedi coscienze. E se il ricordo è personalediventa un’autobiografia; “una documen-tazione di se stessi o di ciò che si sia pre-cedentemente scelto di ricordare delleproprie azioni”.Per concludere, riteniamo necessariosottolineare, all’interno della nostra ricer-ca sulla memoria storica dei militari, enello specifico dei reduci, come non vadamai dimenticato che lo studio della me-moria ci insegna che tutte le fonti storichepossono essere viziate dal diritto di sog-gettività. Prendere cognizione di ciò signi-fica rendersi conto che anche la storiagenerale, più facilmente di quanto si cre-da, può diventare un “mezzo romanzo”. La storia ufficiale è condizionata dal nar-ratore come da noi stessi. Come noi sia-mo prodotti dal passato, così la cono-scenza del passato è un artefatto del no-stro tempo, essa avviene per ipotesi allaluce dell’esperienza e della giustificazio-ne all’oggi.Lo storico va oltre la costruzione della do-cumentazione per spiegare il passato suoe degli altri al ‘suo’ pubblico. Fa le suescelte di montaggio in riferimento all’epo-ca, sintetizzando il commento e raggiun-gendo le interpretazioni necessarie perlegittimarlo nella sua cerchia e nel suotempo. E il passaggio del tempo che hasorpassato il limite della nostra compren-sione viene filtrato attraverso un’attentalente mentale. In ogni caso, i vari tipi dimemoria interagiscono e si influenzano avicenda e appaiono sempre in continua,lenta rielaborazione: con il trascorreredel tempo, nessuna memoria – compre-sa quella degli storici – rimane a lungoinalterata. Il correttomodus operandi e ladifficoltà vera per uno storico dovrebbeessere, oltre ad un’attenta ricerca sullefonti, quindi, l’interpretazione correttadella memoria sia quella orale che quelladocumentata. C’è però una cosa che nondobbiamo dimenticare e cioè che noi, nel-la storia orale, riportiamo in vita, il passatoe i suoi protagonisti: gli uomini così comegli indiani shuali danno l’immortalità agliantenati, ricordandoli.

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V enerdì 12 luglio a bordo del Krassin, nave-museo dellaMarina russa ormeggiata a San Pietroburgo, sul fiumeNeva, si è svolto il raduno dei discendenti dell’equipaggio

del Dirigibile Italia che, al comando del gen. Umberto Nobile, nel1928, sorvolò il Polo Nord e rimase poi vittima di una tempesta chelo fece impattare sul ghiaccio polare. I superstiti rimasero in at-tesa dei soccorsi per ben 49 giorni all’interno della mitica “tendarossa” finchè, grazie agli SOS lanciati con l’apparato radiotelegra-fico “Ondina”, costruito dalle officine dell’Arsenale Militare Marit-timo della Spezia, la rompighiaccio Krassin riuscì a trovarli e trarliin salvo. In un momento particolarmente teso dei rapporti interna-zionali fu un’operazione congiunta tra Italia, Unione Sovietica,Norvegia, Svezia, Finlandia e Francia conclusa positivamente. Il gruppo di discendenti è stato ospite, a bordo del Krassin, della di-rettrice della nave-museo Irina Stont; era presente anche il discen-dente del secondo pilota dell’aereo russo che aveva avvistato i su-perstiti sul ghiaccio e indirizzato la nave verso di loro. L’ANMI ha patrocinato il convegno organizzato alla Spezia dall’As-sociazione “Amici del Museo Navale e della Storia”, lo scorso no-vembre, in occasione del 90° anniversario della missione del Diri-gibile Italia al Polo Nord. Nella foto in basso il contrammiraglio Benedetti mentre consegnail Jack della Marina Militare alla direttrice Irina Stont a nome dellaPresidenza Nazionale dell’ANMI. Sulla sua destra Filippo Belloni,nipote di Filippo Zappi, idrografo della Marina; seduto davanti a loroGiuseppe Biagi, nipote omonimo del radiotelegrafista della Marinache riuscì a riparare l’Ondina e a trasmettere senza sosta il mes-saggio di soccorso. Erano inoltre presenti i discendenti di Adalber-to Mariano, idrografo della Marina, Gianni Albertini, del CAI (ClubAlpino Italiano) che partecipò alle ricerche, Nicola De Martino, ca-po della base logistica di Kingsbay.

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Immagini dell’Archivio ANMI Fondo Donini con la “Tenda Rossa”e membri della spedizione Nobile sul Pack

La celebrazionedella Spedizione Nobileal Polo NordSilvano BenedettiSocio dell’Associazione “Amici del Museo Navale e della Storia”e del Gruppo di La Spezia

“Tra quelli che nel 1928 partirono, a bordo della Regia Nave Città di Mi-lano, alla volta dello Spitsbergen, in appoggio alla spedizione scienti-fica inviata al Polo Nord, e guidata da Umberto Nobile, c’era anche miopadre, Sottocapo Cannoniere telemetrista Camillo Betto. Voglio solo ri-cordare la memoria di mio padre (congedatosi da Capo di 2 ̂cl ad iniziodel 1941 per poi essere richiamato da STV (AN) per servire la Patria inarmi) e di tutti quelli che parteciparono alla spedizione artica”.

C° 1^ cl. “sc” (c.a.) RT Giovanni Betto

La “Tenda Rossa”(Foto Donini)

La spedizione Nobile(Foto Donini)

La spedizione Nobile(Foto Donini)

TestimonianzeRiflessioni

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11Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

Nessuna questione ideologica, pertanto,ma – allora come oggi – un mero homohomini lupus, valido ai tempi di Plauto co-me nel corso di una delle correnti tratta-tive internazionali o, come si dice adesso,sovranazionali.Se tutto, quindi, è una questione di lupi,più o meno astuti, rozzi o potenti, parlia-mo di quello che successe poco primadel crollo del Muro e, di conseguenza,anche del nostro lupo, quello italiano,sornione e apparentemente bonario e di-stratto, in quei tempi di ferro, ma non dimeno in grado di azzannare con esiti deltutto in linea con quelli del potere marit-timo, il quale – come è noto – è tanto piùefficace quanto meno rumore fa.

Sapere è potere

A cavallo tra il 1988 e l’anno successivosuccesse qualcosa, anche se non sap-piamo (e forse non sapremo mai) esatta-

mente che cosa. Gli indizi non mancano,a partire dal rocambolesco abbattimentoa marzo, in Germania, subito dopo il con-fine cecoslovacco, di un elicottero milita-re statunitense di ritorno dai boschi dellaMoravia. Un incidente di rotta come tanti,si disse subito, salvo coprire allora e in se-guito quell’episodio sotto tonnellate di si-lenzio ufficiale. Per fortuna non c’eranostati morti come nel caso, assai più cele-bre, del Jumbo sud coreano rimasto vitti-ma di un caccia sovietico il 1 settembre1983. L’ammiraglio Mario De Arcangelis,nel proprio libro “La guerra elettronica”,

uscito nel 1981, ricorda una ventina dianaloghi incidenti, e non è un caso che neabbia parlato un ammiraglio, visto che labattaglia delle misurazioni (elettroniche,infrarossi eccetera) fu combattuta, senzasoluzione di continuità, dal 1945 fino al ter-mine delle Guerra fredda, e che continuatutt’oggi sopra e sotto i mari. Certo cam-bia l’etichetta, dal vecchio “Maritelera-dar” all’attuale CSSN - Centro di Supportoe Sperimentazione Navale, ma è comevoler cambiare l’etichetta (rendendola piùcool o smart, come si dice oggi, o appenameno decifrabile) a una bottiglia di sem-pre ottimo vino.Nel frattempo erano successe tante co-se, e altre si sarebbero verificate di lì apoco. La legazione russa a Roma denun-ciò, come rivelarono subito i giornali, unclamoroso furto verificatosi a “Villa Aba-melek”, sul Gianicolo, residenza dell’am-basciatore sovietico. La polizia, natural-mente, indagò subito ritrovando, di lì apoco, nel parco di quella residenza sette-

centesca, le opere d’arte sottratte. Evi-dentemente i ladri, nonostante la lorocompetenza elettronica a dir poco strato-sferica, erano stati costretti ad abbando-nare la refurtiva al momento della fuga.Sono cose che capitano, e poiché la de-nuncia depositata in questura specifica-va che erano stati sottratti soltanto qua-dri e bronzetti, tutto finì lì. In precedenza anche l’ambasciata afganaaveva lamentato qualche problema dopouna simpatica festa in onore dei corpi di-plomatici dell’est e di vari simpatizzantiper celebrare la loro festa nazionale cioè

l’occupazione manu militari dall’Armatarossa nel 1979 dopo sei anni di una mezza-dria dell’Unione Sovietica con il partito co-munista locale giudicata, evidentemente,non più sufficiente per i vertici del Cremli-no per quanto si trattasse di un paese, nel-la sua indiscussa dignità, ben poveroquanto a risorse e militarmente pieno diguai, da sempre, nei confronti di qualsiasiinvasore. L’ambasciata era in effetti, off li-mits da anni e nessuno aveva mai più vistoi cambiamenti sopravvenuti, dalla ristrut-turazione dei nuovi locali al semplice sen-so di apertura delle porte. Si sa che in crit-tografia basta un niente per trovare lachiave del giorno e quel niente può saltarfuori da un dettaglio qualsiasi, magari unquadro o un colore. In effetti uno degli in-vitati captò una indiscrezione del PrimoSegretario dell’Ambasciatore quando sifece sfuggire che l’Addetto militare cineseaveva inopinatamente declinato l’invito.Sempre a proposito di colori aveva avutoluogo, qualche tempo prima, una com-plessa esercitazione, nel Golfo di Taran-to, il cui scopo era quello di dimostrareche i sommergibili della classe “Sauro”avrebbero potuto sorvegliare benissimo,o quasi, gli zingareschi ancoraggi russi allargo della Tunisia. Le varie obiezioni, apartire da quella, decisiva, dei bassi fon-dali, furono messe alla prova e i risultatisuperarono le aspettative, nonostante leprestazioni di quei battelli non fosserocerto quelle odierne, in termini di intrudere non solo, dei “Todaro”. Tante cose possono essere chiarite,smentite o, magari, scoperte di sana piantaosservando particolari apparentementesecondari, come la pitturazione delle unitàalla fonda, la manutenzione e così via. Ba-sta esserci per vedere e registrare, ma ilproblema è farlo senza farsi scoprire, con

10 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

A novembre sono ricorsi i trent’annidella caduta del Muro di Berlinoe, in pratica, della fine della Guer-

ra fredda, dell’Unione Sovietica e delPatto di Varsavia. Grosse realtà formal-mente seppellite di lì a due anni dopo,ma – in pratica – inoffensive (e quindiinutili e abbandonate da tutti, a partiredai loro vertici supremi) dopo la perditadelle fanterie tedesche e dell’Europaorientale con il correlato, definitivo tra-collo, a favore dell’Occidente, di una bi-lancia militare convenzionale che, dal1945 in poi, era rimasta sempre a favoredi Mosca e del suo impero.Intendiamoci: Stalin e i suoi successori,dal compagno Kruscev a Breznev, An-dropov e Cernienko fino allo sventuratotovarich Gorbaciov, non avevano fattoaltro che proseguire sulle orme del ca-postipite Lenin, il quale aveva lanciato,senza successo e sperando in una rivo-luzione continentale, la neonata Armatarossa contro l’Europa tra il 1920 e il 1923.Il padre della rivoluzione bolscevica, pe-raltro, e il suo successore al Cremlinonon avevano fatto altro che cercare d’in-cassare la cambiale che Londra (con Pa-rigi al rimorchio) aveva firmato nel marzo

1915 nelle mani dello zar promettendo aquest’ultimo non soltanto gli Stretti tur-chi e il Baltico, ma anche quella che sa-rebbe diventata, poi, la Germania Est inbase alla seguente, esile giustificazione:i territori fino al fiume Oder erano statiraggiunti dalle tribù slave nel IX secolodopo Cristo ed era quindi giusto che i di-scendenti dei nomadi provenienti dallesteppe si riprendessero il maltolto sot-tratto loro da Carlomagno e dagli altri im-peratori e cavalieri tedeschi. Natural-mente nessun inglese giustificava, incuor suo, quella follia, ma la Germania

aveva inaspettatamente gettato gli occi-dentali in una tale crisi militare, tra il 1914e l’anno successivo, che Londra e Parigiaccettarono persino l’idea di compensa-re l’Italia, una volta che fosse scesa incampo, bon gré mal gré, al loro fianco;circostanza questa che inglesi e francesiavevano giudicato, fino a poco tempoprima, del tutto inaccettabile, come d’al-tronde era avvenuto in occasione dellaspartizione europea avvenuta durante ilCongresso di Berlino del 1878 e, quattroanni dopo, al momento dell’occupazionedell’Egitto.

Le crepenel MuroEnrico CernuschiSocio del Gruppo di Pavia

Verbigratia... Pensieri in libertà con licenza de’ superiori e privilegio

Un elicotteroAH 64 Apache

“Villa Abamelek” a Roma

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V i posso raccontare una storia? Parto! Era da poco passatal’ora di pranzo, ad un tratto odo suonare il telefono, corro arispondere e una voce tremante per l’emozione mi dice che

cercava il C.N. Lidano Ceccano; rispondevo all’interlocutore di es-sere proprio io la persona che cercava. Mi chiedeva se poteva rac-contarmi un fatto accadutogli qualche anno fa. Prego dissi io.

Sono il socio Iorio di Sarzana e sono stato marinaio di leva imbar-cato su Nave Centauro e poi trasferito su Nave Rizzo per ordine diMARIPERS. Fui assegnato allo “scafo” e conobbi un gruppo diamici. Purtroppo il periodo di leva terminò e dovetti tornare a casa.

Portai con me alcuni capi di corredo tra cui il berretto da franchigiacon il nastrino Nave Rizzo.Passano gli anni! Della Marina rimaneva il ricordo di Nave Rizzo edegli amici addetti allo “scafo” perduti ormai di vista.

Viene varata la nuova FREMM RIZZO nei cantieri di Riva Trigoso(GE). L’ANMI Gruppo di Sarzana, dove sono iscritto, viene invitataalla cerimonia. Motivato da questo evento, senza pensarci un mi-nuto, misi il berretto con su scritto “Nave Rizzo” e con il Gruppo an-dai alla manifestazione.Passò qualche mese quando un giorno mi arrivò una telefonata:era il Comandante del Rizzo, CF Angelo Pazzaglia, il quale mi diedeun appuntamento per comunicazioni. Rimasi quasi stupito, non sa-pevo spiegarmi quale il motivo di quell’incontro; in principio crede-vo a uno scherzo di qualche amico. Decisi di andare all’appunta-mento. Effettivamente il Comandante della Nave mi venne incontrosalutandomi. Non credevo che in un attimo fossi diventato il primoattore di questa storia, io che ero stato un semplice marinaio di levavenivo atteso da un comandante. Mi chiedevo strada facendo cosavolesse l’Ufficiale che nemmeno conoscevo. Era impossibile trarredelle conclusioni.Il Comandante Pazzaglia, mi dice: “Vede signor Iorio, alcuni mesifa lei venne a bordo, indossava il suo cappello da franchigia consu la scritta Nave Rizzo; ebbene, per me e per l’equipaggio rap-presenta un cimelio che vorremmo che ci fosse donato per cu-stodirlo in mensa equipaggio in una bacheca. Capisco che per leiprivarsi del suo berretto custodito gelosamente per tanti anni si-gnifica rinunciare a quei ricordi della propria vita vissuta a bordoe in mare, della vecchia gloriosa Nave Rizzo, ma la prego ci pensie poi decida”.Ci pensai molto in quel periodo e mi riusciva difficile decidere. Quelberretto per me rappresentava il ricordo della mia gioventù, deltempo passato a bordo di quella nave e il ricordo dei tanti porti dicittà straniere toccate nel periodo del mio imbarco. Dopo qualchegiorno decisi di chiamare il Comandante e gli annunziai che cedevoil berretto. Fu grande festa a bordo. Ora il mio berretto è custoditoin una teca in vetro in mensa equipaggio e ne sono fiero.Questo ed altri aneddoti ignoti possono testimoniare l’attaccamen-to dei Marinai alla propria Nave e alla Marina. Un berretto! un caposemplice di corredo eppure è riuscito a creare una storia che haportato Domenico Iorio, detto Mimmo, indietro negli anni e a meche lo ascoltavo dei brividi che percorrevano il mio corpo.

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13Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 201912 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

poca acqua sotto e in mezzo a un’infinità direlitti, dalle guerre puniche all’ultimo con-flitto mondiale. Con buona volontà, fortunae mestiere un piccolo battello può esseremanovrato come una motocicletta facen-do questo ed altro, magari con un pizzicod’incoscienza e mettendo, a turno, tutti aitimoni, cuoco incluso, perché deve impa-rare anche lui e, soprattutto, svitando, ap-pena usciti per mare, il “magnetron” delradar mettendolo in cassaforte, affinchénessuno, né noi né loro né terzi, potesseroindividuare il sommergibile.In pratica, se è concessa quest’espressio-ne, le crepe del Muro (crollato all’improvvi-so, o quasi, la sera del 9 novembre 1989 do-po che un giornalista – naturalmente italia-no, Riccardo Ehrman dell’ANSA – avevadato la notizia, grazie alla televisione, a tut-to il mondo a partire dai berlinesi diPankow, i quali si gettarono in massa, nelgiro di un minuto, per vedere l’occidente)erano state viste col periscopio molto prima

che ad occhio nudo. E in fin dei conti è giu-sto così, visto che il mare domina e precedela terra, come disse nel 1589 il filosofo pie-montese Giovanni Botero poi copiato da SirWalter Raleigh dieci anni dopo.

Conclusione

Se ne potrebbero raccontare tante, manon si può. Sono tutte storie e avventureproibite, come d’altra parte è giusto chesia per due ottimi motivi: • primo: i segreti, in quanto tali, non si ri-velano;

• secondo: la Guerra fredda è finita, ma lostato di belligeranza, in mare, è poco piùdi una formalità tra ambasciatori. Larealtà di fondo (e sul fondo) non cambia:bisogna pattugliare ogni giorno e ogninotte, con qualsiasi tempo, per evitarele offese, potenziali o in atto, della natu-ra e dell’uomo, oltre che per prevenirlee reprimerle quando l’autorità politica diturno decide, per un attimo e semprecontando sulla discrezione, tradiziona-le, della Marina, che è giunto il momen-to di sfilarsi i guanti ed azzannare, siapure sempre col sorriso sulle labbra.

Perché stupirsi o, peggio ancora, scanda-lizzarsi, per questo stato di cose come fan-no, regolarmente, i soliti noti, nemici dellaMarina, i quali ancora rimpiangono lestentoree e rumorose affermazioni delpassato regime? Churchill, in fin dei conti,fu severamente criticato dall’opposizioneparlamentare di turno e dagli intellettuali

del suo Paese (non migliori né peggiori deinostri) perché aveva usato una formula ot-tocentesca e infiorettata di espressioni di-plomatiche e cortesi in occasione della di-chiarazione di guerra britannica al Giap-pone. La sua risposta, arguta come sem-pre, fu: “Quando devi uccidere qualcuno,non costa nulla essere gentile”. Il potere marittimo è silenzioso come unbattello. Per chi lo conosce o lo praticaresta la sola soddisfazione, riassunta inuna frase, che i centurioni romani siscambiavano, sporchi ed esausti, sottola tenda dopo una battaglia, come peresempio quella del Monte Graupio con-tro i caledoni, in Scozia: “Hodie et sala-rium meruit nostram”.

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Un sottomarino classe Sauroin emersione

Una colonna di blindati BTR-80durante il ritiro sovietico dall’Afghanistan

Uno di noi

Storia di un berrettoda marinaioLidano Ceccano - Consigliere Nazionale Lazio Sud

In alto l’equipaggio di allora e sotto i Marinai di Nave Rizzo oggi

Verbigratia... Pensieri in libertà con licenza de’ superiori e privilegio

Whinston Churchill

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ne distribuita la razione intera ai puniti coni ferri corti”. Sappiamo inoltre che “…I puniti con i ferrinon prestano alcun servizio: sono riunitinel locale all’uopo destinato e tengono legambe passate in due distinte maniglie. Aduna stessa barra chiusa con un lucchettopossono essere riuniti tre individui al più(due nel nostro caso)… Quelli ai ferri, du-rante la notte avranno una gamba sciolta(in modo da potersi sdraiare e dormire)…Il castigo dei ferri può anche essere scon-tato in un locale chiuso del bastimento, masufficientemente aerato. In questo caso ilcastigato dovrà passare due ore al giornoai ferri all’aria libera…” Il regolamento del 1893 precisava poi chei comuni puniti con i ferri di rigore, ossiacon ferri per due gambe, di giorno stannoseduti sopra un apposita panca con legambe passate in due maniglie assicura-te ad una sbarra fissata ai piedi della pan-ca, che è quella che vediamo aperta sottola scolta. Non poteva ovviamente mancare fra i varisoggetti il rancio di bordo che in questa se-rie compare con due immagini, entrambeinteressanti. La prima ci mostra un rancio in navigazio-ne e ci ricorda come nell’Ottocento l’equi-paggio mangiasse sedendosi sul ponte dicoperta (se non pioveva) oppure sul pontedi batteria (quello sottostante) così come isoldati dell’Esercito, fino ad epoche abba-stanza recenti, si sedevano a terra nel cor-tile della caserma con la loro gavetta. Le fotografie dell’epoca (non solo le car-toline che potrebbero essere state “co-struite”) ci mostrano marinai sorridenti e

rilassati e in effetti la pausa pranzo hasempre avuto lo scopo di interromperel’attività lavorativa a favore del riposo edella socializzazione: sono momenti infattinei quali le persone si parlano e si creanoquei legami di amicizia che fanno sì cheun equipaggio sia sempre qualcosa di piùdella somma dei suoi componenti.

Abbastanza presto (siamo ancora nell’Ot-tocento) si era diffuso l’uso delle tavole edelle panche per la consumazione del ran-cio. Erano tavole e panche pieghevoli per-ché non esisteva un locale mensa per imarinai e quindi al termine del pasto dove-vano essere riposte in appositi spazi perrendere agibili i locali. Li vediamo nellacartolina in basso che ci mostra anche unaltro aspetto. Col termine rancio si indicava in Marinanon solo il pasto dei marinai ma anche cia-scuno dei gruppi nei quali veniva diviso l’e-quipaggio di una nave per la consumazio-ne dei pasti. Ogni gruppo era generalmen-te formato da otto persone (come vediamonell’immagine) uno dei quali (il capo ran-cio) aveva il compito di ritirare dalla cucinail contenitore del rancio. Ed è quindi cor-retto il titolo della cartolina (Un rancio) chesi riferisce non al cibo ma al gruppo di ma-rinai seduti alla mensa. Sono tante le immagini di un mondo ormaiscomparso che emerge da quelle cartoli-ne. Ad esempio i marinai che ripongono lebrande nei bastingaggi. Questa operazione è rimasta viva ormaisolo sul Vespucci, ma un tempo tutto l’e-quipaggio dormiva sulle brande, che era-no in definitiva costituite da un rettangolodi tela olona (molto robusto, per ovvi moti-vi) lungo poco più di due metri e largo pocomeno di un metro. La descrizione esatta laritroviamo nel già citato libro dell’amm.Galuppini (op. cit., pagg. 279-284) e qui milimito a dire che la branda era strettamen-te personale e seguiva il marinaio nellesue varie destinazioni, tanto che per indi-care il trasferimento si usava dire “fare

sacco e branda” ove il sacco era quelloche conteneva il vestiario e gli altri oggettipersonali (come le posate) e la branda eraquella di cui parliamo, un’amaca destinataad essere rimossa al mattino per liberarei locali (non c’erano dormitori) per essereriposta nei bastingaggi, appositi cassonimetallici che sulle navi scuola erano nor-

malmente posizionati sui trincarini dellacoperta mentre sulle normali navi trovava-no generalmente posto a murata, nei loca-li dove dovevano poi essere stese di nottele brande. Se di notte le brande erano stese in localiper nulla areati e di giorno venivano “rol-late” e rinchiuse nei bastingaggi, ed ag-giungiamo il basso livello di igiene del per-sonale, dovuto essenzialmente alla scar-sità d’acqua che ha sempre afflitto le no-stre unità, si capisce come diventasse unavera necessità quella pratica chiamata“sciorino brande”. Nel giorno stabilito perlo sciorino le brande non venivano “rolla-te” o depositate nei bastingaggi, ma veni-vano lasciate aperte in coperta per unconveniente periodo di tempo, in modoche l’aria ed il sole provvedessero alla ne-cessaria igienizzazione. Un’altra usanza ormai scomparsa da quasiun secolo a bordo delle nostre navi è quelladell’imbarco di animali vivi che venivano te-nuti in coperta durante le lunghe navigazio-ni per poter disporre di carne fresca, fino almomento della macellazione; un eventotruculento che attirava molti spettatori, an-che perché animava la navigazione. I nostrifantasiosi amministrativi avevano coniato iltermine di “carne in piedi” per annotarel’acquisto del bestiame e l’espressione erapoi entrata nell’uso corrente. Sulla cartolina Edoardo Guidotti scrive al-le due sorelle “Spero così collezionecompleta” e questo ci conferma come lecartoline illustrate fossero già alla finedell’Ottocento e all’inizio del Novecentooggetto di collezione e come le sorelle DiPuccio fossero intrigate da questi aspetti

della vita di bordo, il che ha permesso chequeste immagini giungessero fino a noiconsentendoci di rivivere queste scene da-tate ormai più di un secolo. E se questa car-tolina chiudeva la collezione delle due so-relle di Viareggio, mi sembra giusto chechiuda anche questo breve articolo.

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15Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

D iversi anni fa (almeno una quindi-cina, c’era ancora la lira!) mi è ca-pitato di acquistare a Lucca un

“pacchetto” di una dozzina di cartoline tut-te dedicate alla vita di bordo. Il mittente eraun giovane tenente commissario, EdoardoGuidotti, che nel 1902 le spediva a due ra-gazze di Viareggio, le sorelle Di Puccio. DiGuidotti sono riuscito a sapere poco, an-che se ha fatto una brillante carriera rag-giungendo il 28 ottobre 1935 il grado apica-le di Tenente Generale nel corpo di Com-missariato Militare Marittimo (in praticaCapo di Corpo dei Commissari) transitandopoi in congedo il 1° gennaio del 1938.Quando nel 1935 il generale Dallolio, presi-dente del Comitato di Mobilitazione Civile,aveva proposto l’avvio di una seria politicadelle scorte delle materie prime in vistadella guerra, la Commissione Suprema diDifesa (CSD) aveva costituito un comitatointerministeriale per le materie prime in-sufficienti e per i surrogati e succedanei(CISS) di cui Edoardo Guidotti faceva partecome rappresentante della Regia Marina(Vds. Giovanni Farese (2008) “Dare creditoall’autarchia: l’IMI e la politica industrialedel fascismo, 1936-1943”. Tesi di Dottorato,LUISS Guido Carli). Un personaggio insom-ma di notevole spessore. In realtà ero però stato attratto dalle imma-gini delle cartoline, decisamente migliori,per qualità ed argomenti, alle numerosecoeve che trattavano la vita di bordo. La prima cartolina ci mostra, ad esempio,due marinai ai ferri con la scolta impe-gnata nella sorveglianza. Se l’uso di ca-tene o ferri era stato abolito nel regno d’I-talia sin dall’agosto 1861, così non era peri puniti sulle navi e nelle caserme dellaRegia Marina.Non starò qui a fare tutta la storia dellepunizioni nei vari ordinamenti della RegiaMarina, rimandando i lettori interessati allavoro (Gino Galuppini, “Storie di una Ma-rina che non c’è più - Vol. I” - Pagg. 537-543) edito dall’Ufficio Storico della Mari-na, limitandomi a quanto previsto dal “re-golamento di disciplina militare” del 1865per i castighi che si potevano infliggere ai

comuni a bordo delle navi, che sostanzial-mente erano: a) Piantone di castigo (2 ore durante 5 giorni) b) Lista di punizione (fino a 15 giorni) c) Consegna a bordo (fino a 20 giorni) d) Prigione (fino a 10 giorni) e) Ferri ad una gamba (fino a 15 giorni) f) Ferri per due gambe (da 1 a 8 giorni) g) Ferri corti (da 1 a 8 giorni) h) Retrocessione Limitandoci all’argomento della cartolina,e cioè i ferri, troviamo nei successivi arti-coli anche le modalità con le quali venivamessa in atto la punizione. “Il castigo deiferri per una gamba consiste nell’avereuna gamba passata in un anello di ferro. Ilcastigo dei ferri per due gambe consistenell’avere ciascuna gamba passata in unanello di ferro. Nel castigo dei ferri corti,

che è poi quello rappresentato nella carto-lina, le due gambe sono passate in anelli diferro stabiliti su una stessa barra di ferro,fissata ad un luogo. Il castigo dei ferri cortiè sempre accompagnato dalla sospensio-ne di tutti i viveri, meno il pane di cui saràdata doppia razione. Nei giorni di giovedì ein quelli festivi, ad eccezione del vino, vie-

14 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

Testimonianze

Le cartolineraccontano...Roberto Liberi A.I.C. (r) e Socio del Gruppo di Livorno

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Alfonso Litta. Che volle così ricordare il figlio Alfonso Litta (1870-1891), avuto da Umberto I di Savoia (1844-1900), deceduto mentreprestava il servizio militare. Si trattava di un convoglio collegato diquattro natanti, perfettamente attrezzato come ospedale mobile.Lo scopo dell’ambulanza fluviale era quello di portare assistenza aipaesi situati lungo le rive del Po e dei suoi affluenti, privi di assi-stenza ospedaliera sul posto e mal collegati sia sotto il profilo stra-dale che ferroviario. Secondo il progetto, i convogli composti da

più barconi di differente tipologia avrebbero trasportato più di tre-cento persone tra feriti e personale di servizio, essendo dotati disale chirurgiche, ambulatori per le medicazioni, magazzini, uffici ealloggiamenti. L’ospedale galleggiante fu inaugurato il 22 giugno1898, alla darsena milanese. Partì il successivo 30 per il suo primoviaggio, per raggiungere Chioggia e il 10 luglio Venezia, ovunqueaccolto dalla gente con grandi feste. La “Litta“ era composta ini-zialmente da quattro chiatte a fondo piatto, lunghe 14 metri e lar-ghe 4, di quelle che servivano normalmente per il trasporto di mer-ci su tutto il bacino del Po; di cui una destinata al personale diret-tivo, alla farmacia, alla camera di medicazione ed alla cucina e lealtre tre ad infermerie con 46 barelle e 10 posti a sedere ciascuno.L’assistenza tecnica a terra e a bordo era assicurata, inizialmente,dai soci delle società sportive di canottaggio. In seguito la CroceRossa Italiana venne autorizzata ad arruolare nel proprio persona-le anche riservisti in congedo del Corpo Equipaggi della Regia Ma-rina e quelli del Regio Esercito appartenenti alla specialità del “ge-nio pontieri”. Il 26 settembre 1915 tutte le imbarcazioni passarono alla Sanità Mi-litare. Con l’entrata in guerra, la Croce Rossa Italiana militarizzò im-mediatamente il proprio personale, forte di 9.500 infermieri e 1.200dottori, con 209 suoi apparati logistici tra ospedali territoriali, atten-damenti, autoambulanze e treni-ospedali. Nel 1916 i medici militariin zona di guerra erano 8.000 (più altri 6.000 che operavano in re-trovia) e nel 1918 diventarono complessivamente 18.000.Le direttive generali riguardanti i servizi logistici furono impartitedall’ufficio del Capo di Stato Maggiore della Marina, tra le autoritàinteressate ci fu anche l’Ispettorato di Sanità che rispondeva al-l’ufficio logistico di Ravenna-Porto Corsini. Creato inizalmente co-me ente autonomo, ma successivamente posto alle dipendenzedel Comando Marina del Brenta con sede a Ferrara. Oltre all’ap-prontamento delle strutture atte a ricevere tutto quanto fosse tra-sferito da Venezia, l’ufficio doveva garantire l‘amministrazione e

l’accasermamento del personale civile e militare della nuovastruttura. In brevissimo tempo furono realizzati una caserma, deimagazzini per i viveri, per il vestiario e per il materiale sanitario,depositi per armamenti e costruzioni navali, magazzini per mate-riale aeronautico e semaforico.Sui barconi-ambulanza era vietato mettere qualsiasi segnale ec-cetto lo stemma della Croce Rossa, prescritto dalla Convenzionedi Ginevra, dipinto sopra una lastra metallica e fissato alle paratiee sulla coperta della barca. Avvenne anche la mobilatazionedell’ambulanza lagunare Città di Venezia, istituita dal ComitatoRegionale CRI di Venezia dopo aver preso accordi con il Coman-do in Capo della Piazza Marittima del capoluogo veneto. Questaunità era costituita da un convoglio di 3 “peote” (grosse barchea remi da trasporto, con fondo piatto, con prua alta e rotonda inuso nella laguna veneta), ognuna dotata di diciotto barelle e trai-nata da uno o più motoscafi. Trasportava, oltre ai 54 barellati, finoad un massimo di 200 infermi seduti o in piedi. In laguna, a questaunità si affiancarono anche l’autoscafo Regina Elena ed alcunibattelli a vapore attrezzati.Le ambulanze lagunari rispondevano a criteri di costituzione, ge-stione ed impiego analoghi a quelli delle fluviali. Entrambe veni-vano, all’occorrenza, allestite e gestite sempre sotto il controllodelle autorità sanitarie militari di armata o territoriali, e dall CroceRossa Italiana.

17Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 201916 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

Grande Guerra

A lla fine dell’ottocento, alla Croce Rossa Italiana (CRI) nonsfuggi l’occasione di allestire, come avveniva per i treniospedale, dei natanti da utilizzarsi nelle attività di soccorso

ed assistenza alle popolazioni colpite da calamità. Infatti, gran par-te del materiale utilizzabile per l’allestimento dei treni ospedale loera anche per quello delle ambulanze fluviali. Nel 1891 vennero pre-disposte le attrezzature e gli arredi per allestire il primo “convoglioambulanza fluviale” della Croce Rossa Italiana, la Brunetta d’Us-saux, che potremmo anche definire “lacuale” visto che operò sulLago Maggiore, con base a Verbania. Concepita e progettata dalConte Eugenio Brunetta d’Usseaux (1857-1919), personaggio daimolteplici interessi, sicuramente va ricordato per essere stato il pri-mo (ed unico) italiano a ricoprire la carica di segretario generaledel Comitato Olimpico Internazionale. Lo studio, compresi i pianicostruttivi delle barche, venne raccolto in una pubblicazione chegli fruttò un Grand prix d’honneur all’Esposizione Universale di Pa-rigi del 1900. La prima edizione venne pubblicata col titolo: Progettodi Convogli Ospedali Fluviali, compilato in base al regolamentodell’Associazione Italiana della Croce Rossa, per il trasporto in tem-po di guerra dei feriti e malati sui treni ospedali. Questi convogli di ambulanze fluviali, composti da nove barconi ri-covero e tre barche di scorta, erano stati progettati per trasportarefino a 300 soldati e 25 ufficiali (oltre ad 80 persone di servizio). Alprogetto, secondo il d’Usseaux, avrebbero dovuto prestare la loroopera anche le Società Canottieri con i loro uomini e darsene diservizio nelle rispettive zone, oltre ai loro locali come punti d’ap-provvigionamento viveri, d’imbarco e sbarco, per il servizio di porta

ordini, ordini ai sindaci, servizio di corrispondenza ai malati, comu-nicazione con i delegati d’armata e con le autorità militari e civili. Nel 1894 venne predisposto il materiale per allestire un altra ambu-lanza fluviale, la Lario, destinata ad operare sul lago di Como. Perquesto viaggio inaugurale furono utilizzati due “comballi“ (grandiimbarcazioni a vela e a remi tipiche del lago di Como, che dal XIIIa tutta la metà del XX secolo furono il principale mezzo di trasportolacuale di merci pesanti), coperti con assicelle di legno bianco,uno per uso infermeria, l’altro per cucina, sala da pranzo e cambu-sa. In realtà l’ambulanza completa sarebbe stata composta da 10“comballi“, capaci di contenere 214 feriti e 53 addetti. Queste dueambulanze fluviali avrebbero reso possibile il trasporto, in caso diguerra, di un gran numero di feriti ed ammalati, in una vasta zonadell’Italia del nord, dai laghi prealpini all’Adriatico, percorsa da fiu-mi e canali navigabili. In base ad un apposito accordo con statutoe regolamento, i soci delle “canottieri e vogatori”, si impegnavanoa custodire i barconi e a guidarli in caso di mobilitazione. Tuttoquello che consisteva dell’allestimento rimaneva in custodia nellesedi e nei magazzini della CRI, comprese le assicelle bianche perla copertura. Queste ambulanze erano l’equivalente navigante diun treno-ospedale o di un ospedale da campo.Nel 1897 la contessa Eugenia Litta Bolognini Attendolo Sforza(1837-1914) insieme alla Croce Rossa di Milano ed al presidentedell’ospedale Maggiore, il conte Emilio Borromeo, finanziò e varòquattro natanti, destinati a funzionare da ospedale da campo gal-leggiante. Il costo complessivo fu di oltre 60.000 lire e l’ambulanzavenne iscritta tra le unità ospedaliere sotto la denominazione di

1915-1918Ambulanze e ospedali sull’acqua

Mario Veronesi - Socio del Gruppo di Pavia

La foto è stata scattata nel momento in cui il barcone n. 1 della CRI Alfonso Littasta passando sotto il ponte che collega la Darsena di Milano con il Naviglio Pavese.Si noti la folla di curiosi assiepata sui parapetti (Collezione CRI Cremona)

Ambulanza fluviale “Alfonso Litta”, sosta sul Po(Collezione CRI Cremona)

Preparazione del rancio per l’equipaggio dell’ambulanza fluviale in sosta nei pressidi una chiusa sul Naviglio Pavese. Il personale della CRI indossa l’uniforme da fatica e,dato il periodo estivo, un cappello di paglia a falde larghe. I barconi agli ormeggi sonoi numeri 1 e 2, riconoscibili dal numero sulla fiancata. Dal tetto del barcone n. 1si nota il comignolo della cucina/cambusa (Collezione CRI Cremona)

Prima Guerra Mondiale.Ambulanza Fluviale

in navigazione sul Po(fonte Wikipedia)

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58 motobarche, 31 autoscafi, 71 rimorchiatori, 59 rascone7, 119sandoli8 e 45 caorline9. A queste vanno aggiunte le zattere assem-blate sul lago di Como e fatte scendere lungo l’Adda fino al Po. Al comando di tutto il sistema medico sanitario militare italiano,che in 41 mesi di guerra dovette gestire il trasporto, la cura e il ri-covero di oltre due milioni e mezzo di feriti ed ammalati, era il ten.gen. Francesco Della Valle (1858-1937), che poteva contare su 53sezioni di sanità, 126 ospedaletti someggiati da 50 letti, 82 ospe-dali da campo da 100 letti e 42 da 200, 120 autoambulanze, 108 au-tobus, 16 treni attrezzati. Su tutto il territorio nazionale erano inoltre presenti 28 ospedalimilitari principali, due ospedali succursali, sei strutture per i con-valescenti, 31 infermerie presidiarie nonché un numero impreci-

sato di ospedali di riserva. Complessi-vamente si poteva disporre di circa24.000 posti letto per l’esercito impe-gnato nelle operazioni belliche, e di ol-tre 100.000 negli stabilimenti di riserva.Impegnati anche i soldati del Corpodella Sanità Militare e dall’apparatodella Croce Rossa Italiana (personalemedico) e “Dame della Croce Rossa”,cioè crocerossine volontarie, coadiu-vato dal personale infermieristico,sempre volontario, facente parte divari comitati assistenziali, quali: i “Ca-valieri di Malta”, quelli dell’”Ordinedei SS Maurizio e Lazzaro”, e i Gesuiti.Importante fu anche l’aiuto dato dagliAlleati: nel 1918 operavano nel fronteitaliano centinaia di militari di Sanitàbritannici e statunitensi, con compitidi ambulanzieri ma anche barrellieri einfermieri.Jesolo, allora Cavazuccherina, con il

suo Comando Fluviale era uno snodo cruciale di questo sistemaessendo posizionato nel luogo esatto in cui la navigazione lagu-nare s’immetteva nella Piave Vecchia e, attraverso il Canale Ca-vetta, si indirizzava verso la “Litoranea Veneta”: un vero dedalodi strade d’acqua comunicanti tra loro e il mare Adriatico. Lì mi-gliaia di feriti del Carso furono sgomberati su chiatte rimorchiateda battelli che partivano da Grado e dopo una notte di viaggioraggiungevano Mestre.Grazie alla realizzazione di due conche sul Tagliamento, nel di-cembre del 1915 la rete delle acque interne permetteva di rag-giungere Grado collegando direttamente Milano al fronte isonti-no. Successivamente il servizio venne esteso alle linee del pa-dovano e del vicentino alimentate dai fiumi Brenta e Bacchiglio-ne e sui canali che dai laghi di Como e Maggiore portano a Mi-lano e al Po. Venne inoltre attuato un servizio di trasporti nei la-ghi di Garda, Maggiore e Idro. A Cavazuccherina inoltre stazio-navano pontoni armati e due Squadriglie M.A.S. al Comando deiTenenti di Vascello Luigi Rizzo (1887-1951) e Pagano di Melito(1879-1944).

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19Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 201918 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

Importante fu il servizio del Città di Venezia, che insieme al ReginaElena e ad alcuni battelli a vapore attrezzati effettuarono il traspor-to di feriti e degli ammalati dai treni ai vari ospedali e viceversa,nonché il trasferimento dall’uno all’altro ospedale. Le tabelle stati-stiche dimostrano come a tutto il 1916 le ambulanze fluviali abbianoprovveduto al trasporto di 23.473 uomini, di cui 4.217 in barella. Al30 giugno 1917 erano stati trasportati 28.082 infermi, dei quali 4.465in barella. Nel marzo 1918 le ambulanze fluviali passarono alle di-pendenze della Delegazione Generale della Croce Rossa Italiana,che le assegnò alla Delegazione della 3a Armata. Al 30 giugno 1918erano stati trasportati 48.353 infermi. Per il servizio di sgombero della Brigata di Marina nella difesa delbasso Piave (circa 8.000 uomini) fu istituita una speciale sezionedi sanità con mezzi di trasporto e di ospedalizzazione adatti allazona prevalentemente fluviale. Questa sezione, ideata dal capita-no medico della Regia Marina Salotti, era composta da due vapo-retti-ospedale, ricavati dalla trasformazione dei comuni vaporettilagunari di Venezia, con a prora un reparto sistemato a cuccettesmontabili (una trentina circa) e a poppa una sala operatoria. Lasezione possedeva inoltre tre motoscafi ambulanza attrezzati contelai-barella per otto feriti gravi e con sedili per feriti e malati leg-geri. Questi motoscafi si spinsero fino alle trincee e alle batteriesparse lungo i canali e i fiumi per raccogliere i feriti e trasportarliai vaporetti-ospedale. Il personale sanitario addetto alla sezioneera costituito da due ufficiali medici, dieci infermieri e una squa-dra di portaferiti. Appena mobilitati gli ospedali fluviali di guerra dipendevano diret-tamente dal Presidente della CRI o da suoi rappresentanti, ma ap-pena giunti in zona dell’intendenza dell’esercito mobilitato, passa-vano sotto gli ordini diretti del delegato di Armata. Al contrario,

quelli inviati in una circoscrizione di Dipartimento Marittimo passa-vano sotto gli ordini del Delegato Generale presso la Regia Marina. Il Direttore, provvedeva al servizio del deposito del vestiario, deldeposito di tutto il materiale dell’ospedale, della cucina e dispensa,della farmacia, degli alloggi per tutto il personale, ecc..Il prelevamento delle derrate necessarie era fatto di massima me-diante buoni a favore o nelle sussistenze militari o delle impreseincaricate del servizio viveri per l’Esercito o la Marina previo ac-cordo con l’Amministrazione Militare. Ma potevano anche essereacquistate da privati con pagamento diretto, come ad esempioper le spese di cucina che avvenivano anche nei centri rivieraschidel Po o dei suoi affluenti. Questi ospedali fluviali servirono specialmente per i lunghi tra-sporti di feriti e malati militari da un ospedale all’altro, allo scopodi mantenere sempre “leggeri” gli stabilimenti sanitari avanzati edi prevenire ogni affollamento, diradando i feriti sino ai più lontaniospedali retrostanti. Erano provvisti di tutto quello che occorre perl’assistenza, la cura ed il vitto dei feriti e malati anche per viaggi dipiù giorni. Il medico aveva il dovere di ricevere gli ammalati e feriti che sali-vano a bordo per il trasporto, di controllare le operazioni di caricoe scarico, ordinare la separazione degli ammalati dai feriti, in mododa facilitarne il servizio clinico, sorvegliare la consegna dei malatialla stazione di arrivo, curare la pulizia dei natanti, l’igiene dei tra-sportati; era inoltre il tenutario del registro dei defunti. Se durante la navigazione avvenivano decessi, i cadaveri veniva-no sbarcati al primo scalo possibile, corredati dall’atto di morte,insieme agli oggetti appartenenti al defunto, e poi consegnati alpiù vicino Comando Militare. Di regola, dopo aver compiuto il tra-sporto di feriti e malati, il barcone doveva essere ripulito, lavato edisinfettato. Quelli che avevano trasportato malati contagiosi o af-fetti da malattie diffusibili, appena sbarcati si chiudevano e veni-vano sigillati in attesa di una speciale disinfezione.La rete era strutturata come un sistema ferroviario su fiume, contrazioni, scali, orari sistematici di passaggio dei vari convogli trai-nati dai rimorchiatori. Dove non era possibile il traino, nelle retipiù interne, come sul Bacchiglione o sul Sile, si ricorreva al tradi-zionale alaggio lungo le rive, con i cavalli del “genio lagunari”,che avevano una grande scuderia a Jesolo, o attraverso l’appal-to a contadini che mettevano a disposizione i loro animali. Alla metà del 1918 furono censiti: 639 burchi1, 149 peate2, 65 bra-gozzi3, 19 batelloni, 5 preame, 12 burchielli4, 66 battelle5, 5 “topi6,

Note

(1) Burchio, battello di grandi dimensioni dal fondo piatto per poter navigare age-volmente nei bassi fondali della laguna. Realizzato tradizionalmente in legno,presenta una lunghezza variabile tra i 20 e i 35 metri con un pescaggio massimodi due metri. Dotato di due alberi, uno a prua e l’altro a poppa, con velatura alterzo, manovrabile tramite un timone a barra, incenierato al centro della poppa.

(2) Peata, imbarcazione da trasporto utilizzata nella laguna veneta. Di dimensionianche considerevoli, è simile come forma alla “caorlina” ma è più squadrata edai bordi più bassi. La capacità di carico è notevole e varia dai 100, agli oltre 800quintali di portata. Il nome deriva forse da “pedota”, ovvero “pilota”.

(3) Bragozzo, imbarcazione da pesca e da carico, tipica del medio e alto Adriatico,che esercitava il cabotaggio sin nel mare Ionio. Dotata di due alberi muniti di ve-la al terzo.

(4) Burchiello, imbarcazione fluviale utilizzata per trasporto di merci. Anticamenteutilizzata dai nobili veneziani, per recarsi nei loro possedimenti di terraferma.

(5) Battelle, piccole barche dell’Adriatico.(6) Topo, imbarcazione tipica della laguna veneta, principalmente usato come bar-

ca da trasporto merci. Usato nelle zone meno calme, dove la vicinanza del marerendeva la navigazione più difficoltosa, per le barche a fondo piatto.

(7) Rascona, detta anche “nave di Pavia”, di grandi dimensioni (la lunghezza mediaera di 28 metri per una larghezza di 6,5 metri), era caratterizzato da una forma amezzaluna e fondo piatto. A seconda delle dimensioni, la portata era compresatra le 15 e le 120 tonnellate. La propulsione era a vela al terzo, con due alberi ab-battibili.

(8) Sandoli, barca da trasporto, con fondo piatto, tipica della laguna veneta.(9) Caorlina, imbarcazione tipica della laguna di Venezia. Usata inizialmente per la

pesca e per il trasporto anche di ingenti carichi (grazie alla sua capienza ed agi-lità di movimento). Le dimensioni sono 9,65 metri di lunghezza per 1,75 metri dilarghezza.

Bibliografia

1) M. Scroccaro, C. Pietrobon - La sanità militare italiana nel Veneto du-rante la Grande guerra - Antiga edizioni, 2015

2) M. Veronesi – Sulle vie d’acqua, barche, uomini, merci, curiosità e leg-gende sul grande fiume – editore, Medea 2016

3) M. Veronesi – Ambulanze sull’acqua (dalle prime esperienze alla guerra1915-1918)

4) C. Cipolla, Q. Fabbri, F. Lombardi – Storia della Croce Rossa Lombarda(1859-1914), vol II documenti - Franco Angeli editore 2014

5) Guerra Italo-austriaca, Riassunto dell’opera svolta dalla Croce RossaItaliana in zona di guerra e in zona territoriale, relazioni inedite custoditepresso l’Archivio Storico del Comitato Centrale della Croce Rossa Italia-na a Roma

6) R. Cordani – I Navigli, da Milano lungo i canali – edizioni Celip, Milano2002

(Fonte: La Marina ltaliananella guerra 1915-1918,

Lega Navale 1920)

Prima Guerra Mondiale,Ambulanza Fluviale sul Po(Archivio G. Spazzapan)

Grande Guerra

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dei “crest” finora realizzati, i quali rimango-no semplicemente una "tappezzeria" perdecorare pareti di abitazioni, circoli e uffici. Nel mondo militare, il “crest” è un emblemametallico posto su di una base in legno aforma di scudo, usato come ricordo. Il soggetto raffigurato sul “crest” può esse-re in fusione di bronzo, ottone o alluminio efa riferimento a navi, enti militari, associa-zioni d’arma e altri ancora. La Marina Militare vanta un elevato nume-ro di “crest” che riportano la figura dellanave a cui fanno riferimento ed il motto chela caratterizza. Si aggiungono poi quelli degli Enti di terra,delle Capitanerie di Porto, delle Scuole,dell’Accademia Navale, della PresidenzaNazionale e dei Gruppi ANMI, ecc..Nel 1865 la flotta italiana era ancora com-posta prevalentemente di navi con cannoniin batteria, e solo l’Affondatore aveva duecannoni da 254 mm in due torri, una a prorae una a poppa.

Fu solo dopo l’adozione dei cannoni in tor-re sulle corazzate Italia e Lepanto del1880-82 che i tappi di volata, da sempliciconi di legno, si trasformarono in oggettipiù elaborati, sulla cui superficie esternasi metteva un medaglione di bronzo conuno stemma più o meno attinente al nomedella nave.

La costruzione delle navi in ferro aveva por-tato come conseguenza che anche le bittelo fossero, e che fossero normalmentechiuse superiormente da un tappo circola-re di ottone o di bronzo, ornato con lo stem-ma della nave. Oltre che sui tappi di volata e sui coperchidelle bitte, lo stemma della nave era ripor-tato sui “medaglioni” applicati sui due latidella prora delle imbarcazioni apparte-nenti alla nave. Probabilmente, agli inizi, tali stemmi eranoapplicati secondo le semplici direttive delcomandante della nave; ma in epochesuccessive la loro forma e dimensione furegolamentata dalla Direzione Generaledelle Costruzioni Navali e Meccaniche delMinistero della Marina, con la pubblica-zione “Norme riguardanti Emblemi, Distin-tivi e nomi da applicare sulle Regie Navi”,che disponeva:IMBARCAZIONI, BITTE,TAPPI DI VOLATA DEI CANNONIa)di corazzate e incrociatori che abbianoun nome che si riferisca a uno stemmaaraldico: stemma araldico del nome.

b)di tutte le altre unità: fregio marino di 1a,2a e 3a grandezza.

Nota:Gli stemmi per le imbarcazioni erano applicati soloa quelle della nave, vale a dire lance a remi, piro-barche, diesel-barche, motobarche, motoscafi deicomandanti, ma non sui motoscafi degli ammiragli,per i quali era prescritto un fregio costituito daun'insegna ammiraglio, cioè da una bandiera az-zurra con il numero di stelle gialle competente peril grado rivestito. Per tutta la durata della SecondaGuerra Mondiale e per il decennio successivo que-ste norme furono osservate.

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21Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

L a parola inglese “crest” oltre a signi-ficare la cresta che hanno sulla testai galli e altri uccelli, secondo il

“Twentieth Century Dictionary” significaanche: figura decorativa che originaria-mente sormontava l’elmo, posta su una co-rona ecc., oppure usata separatamentecome distintivo personale su una piastraecc.. II vocabolario Webster riporta “inse-gna o emblema... come ornamento o segnodistintivo per targhe, divise e simili”. Da quanto sopra riferito si può concludereche la parola “crest” indichi un emblemache può essere posto su una targa come ri-cordo personale o, più in generale, come ri-cordo di un ente o di una nave. Con questo termine preso a prestito dallalingua inglese sono correntemente indica-te delle fusioni di bronzo, ottone o di allu-minio, di vario soggetto, applicate su unsostegno di legno a forma di scudo chenavi ed enti della Marina Militare offronocome loro ricordo ad autorità che visitanola nave o l’ente. In Italia, prima della Seconda GuerraMondiale, durante e per oltre un decenniodopo la sua cessazione, non se ne cono-sceva l’uso.Le navi e gli enti, a quell’epoca, avevanoinvece una propria medaglietta che eraofferta ai visitatori e alle signore invitate

alle feste a bordo; in questo caso era or-nata con un nastrino azzurro col nome del-l’Unità Navale mentre, ornata da un fiorein oro, era donata agli ufficiali al terminedel proprio periodo d’imbarco.Chi introdusse, come fu introdotto e comesi sia diffuso questo genere di “ricordo na-vale” non è facile a determinarsi. Si diceche in Italia le prime richieste furono fatteall’Arsenale Militare Marittimo di Tarantoda alcuni comandanti per le loro Unità, ne-gli anni 1957/58. Quindi possiamo dire chela tradizione dei “crest” nella Marina italia-na non è molto antica e si può datare intor-no all’anno 1960. Mentre nella marineriabritannica e statunitense il “crest” era dif-fuso già da molti anni; certamente da noi, èentrato nell’uso in seguito ai contatti con

tali marine, suIle cui navi i “crest” ador-navano le pareti dei quadrati ufficiali. Tuttavia la remota origine del “cre-st” nella Marina italiana si può farrisalire alla Circolare n. 419 – da-tata Torino, 2 febbraio 1865,quando la città era ancora lacapitale del Regno –che riguar-dava l’istituzione dei “tappi divolata”. Tale circolare stabilivache: “Ogni nave abbia per dota-zione fissa un numero di difensedi legno per cannoni, eguale a

quello delle bocche da fuoco dellabatteria scoverta, e che queste di-

fense siano costruite giusta il model-lo... che verrà approvato dal Ministero”.

Si parlava dunque di tappi di legno, ma nondi ornamenti da apporvi sopra.Come per le medaglie, anche per la realiz-zazione dei “crest” non esistono norme uf-ficiali; quindi figure, iscrizioni e fregi che liornano sono frutto della fantasia dell’artistache viene incaricato dell’opera. I più antichi esemplari erano semplici fusio-ni in bronzo, costituite da un medaglione sulcui contorno correva la fascia con la scrittadel nome della nave, e nel cui centro si tro-vava un simbolo più o meno attinente al no-me della nave o alla sua attività.Vi sono poi state fusioni di alluminio colo-rato ed infine, in epoche molto recenti,delle vere e proprie composizioni, accom-pagnate da targhette con il numero dellestelle, e talora la firma dell’ammiraglio cuisi riferiscono (Capo di Stato Maggiore, Co-mandante di Dipartimento, ecc.). Quellipropri delle Unità Navali, a quanto risultaallo scrivente, non sono fregiate di queste“appendici”.La diffusione dei “crest” è stata generaliz-zata: oltre alle navi, li hanno adottati enti aterra come Accademia Navale, Arsenali,Comandi di Dipartimento, Comandi Marina,Ente Circoli, Circoli delle varie sedi, Direzio-ni di Commissariato, Centri di addestra-mento, Capitanerie di Porto, Gruppi ANMI,fino a enti civili assortiti.Mentre esistono collezioni più o menocomplete delle medaglie delle Unità Navali,preziose perché prevalentemente in oro,non risulta che esistano raccolte ufficiali

20 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

Cultura marinara

Storia del “crest”Michele TocciPresidente del Gruppo di Cosenza

Tappi di volata e copribitta della Regia Nave Andrea Doria (1885)

I copribittadella fregata Alpino

Tappi di volatadell’impianto Dardodella fregata Scirocco

L’autore dell’articoloritratto davanti a una delle paretidella sua abitazione,coperta di “crest” navali

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All’inizio dell’estate un avvenimento inatteso ci proiettò dal MedioAdriatico alla Sicilia: i Gruppi ANMI di Giarre e Riposto (CT) avevanochiesto alle competenti autorità della Marina Militare di poter offrirela bandiera di combattimento al Mango e alla 72a Squadriglia Dra-gamine Costieri di Messina che ne erano ancora privi. Fu così chesul finire di giugno 1967 lasciammo Ancona carichi di entusiasmoper la lunga crociera di nave isolata, che ci avrebbe permesso, nelpieno della stagione balneare, di sostare in rade e porticcioli gre-miti di bagnanti. Grazie alle condizioni meteorologiche ottimali, nelcorso del trasferimento potemmo dare fondo in qualche calettariparata dove i miei marinai sguazzarono a volontà. Nelporto di Riposto fummo accolti con grande simpatia dal-la popolazione che il 2 luglio partecipò numerosa allasolenne cerimonia della consegna delle bandiere dicombattimento. Per l’occasione venne coniata unamedaglia ricordo e gli equipaggi furono ospiti d’onoredi innumerevoli banchetti e feste danzanti.Dopo il rientro ad Ancona partimmo insieme al gemelloSandalo in crociera addestrativa che ci portò a Venezia,Trieste, Jesolo, Porto Corsini, Cesenatico e Rimini. Altri ba-gni di folla ogniqualvolta si autorizzavano le visite a bordo; inostri piccoli scafi si riempivano di vacanzieri che arriva-vano sottobordo con ogni tipo di natante, compresi ipedalò. Dovetti spesso far interrompere le visite permotivi di sicurezza.Giunse infine il mio movimento per la Scuola Comandodi Augusta, dove i giovani comandanti imparavano ilmestiere in scenari operativi complessi interagendocon navi, aerei, elicotteri e sommergibili. Mi fu assegnatala corvetta Salvatore Todaro, una bella nave moderna dapoco entrata in linea. L’80a sessione della Scuola Comando duròdal 5 ottobre al 3 dicembre 1967, e mi laureò comandante: il salto dalMango al Todaro fu notevole, perché la nuova corvetta dislocavaquasi 1.000 tonnellate a pieno carico, aveva un equipaggio di 128persone e un armamento di tutto rispetto, compreso un sonar rimor-chiato a profondità variabile sistemato a poppa estrema, una veranovità per la Marina italiana. La stagione autunnale mise a duraprova le navi e gli equipaggi della Scuola Comando, con condizionidi mare non di rado difficili che però non interruppero mai l’intensaattività addestrativa. Ricordo che l’uscita in mare da Civitavecchiacon a bordo una ventina di ufficiali frequentatori della Scuola diGuerra fu rovinata da una libecciata improvvisa che mise “a pajolo”gli ospiti e rese particolarmente difficoltoso il ritorno in banchina.

Conclusi la mia permanenza sul Todaro portandolo a Messina peril carenamento periodico e raggiunsi in fretta Taranto dove miaspettava un ulteriore periodo di comando sulla corvetta Sibilla.Trovai la nave ai grandi lavori: un relitto privo di motori ed eliche econ grandi vuoti lungo le fiancate perché molte lamiere erano incorso di sostituzione. Mi passò le consegne – in pratica gli archividi bordo – il compagno di corso Angelo Mariani, futuro Capo diStato Maggiore della Marina, augurandomi buona fortuna. Neavevo bisogno. Grazie a qualche pressione esercitata da CINC-

NAV, desideroso di ricuperare il Sibilla per riprendere le eser-citazioni di tiro contraereo (l’unità era dotata a prora diuna catapulta per il lancio dei bersagli radiocomandatiBRC), a fine gennaio 1968 presi possesso della mianave rimessa a nuovo. Dopo due settimane di provein Mar Piccolo il 15 febbraio 1968 il Sibilla fu dichia-rato “nave pronta”, un risultato inimmaginabile soloun mese prima. La prima uscita in mare aperto fu dedicata alle esi-

genze della Squadra Navale che si sfogò a sparare con-tro il nostro bersaglio volante teleguidato; i tiri furono abba-stanza precisi e distrussero il primo BRC ma il secondo

scampò al massacro e fu ricuperato a esaurimento car-burante. Poi ci fu data libertà di manovra e dirigemmoper Crotone per svolgere alcune esercitazioni conuna squadriglia di motosiluranti. Nel porto calabre-se il mio ufficiale in seconda ebbe un colpo di genio:ottenuto il permesso di organizzare una festa in qua-drato ufficiali si recò, in divisa e accompagnato da

due aitanti Guardiamarina, all’UPIM cittadina e chieseal direttore di poter invitare le commesse del grande ma-

gazzino ad un party a bordo. Le ragazze si dichiararono entu-siaste e ne parlarono in famiglia ottenendo l’assenso dei genitoriche si premunirono organizzando un discreto chaperonnage daparte di due mamme simpaticissime. Se si pensa che tutto questosuccedeva in Calabria mezzo secolo fa, nell’”anno domini” 1968, sipuò apprezzare l’eccezionalità dell’avvenimento.Il 25 marzo 1968 conclusi il mio periodo di comando navale e sbar-cai dal Sibilla che odorava ancora di pittura fresca. In attesa dellapromozione a ufficiale superiore ritornai ad una scrivania dell’Uffi-cio Operazioni di MARIDIPART Taranto, dove la famiglia mi rag-giunse da Venezia in uno dei tanti traslochi-lampo che segnaronola mia permanenza in Marina.

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23Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 201922 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

N el 1966 prestavo servizio a MARIDIPART Ancona con l’in-carico di ufficiale addetto alle operazioni aeronavali quan-do da Roma giunse il tanto atteso ordine di imbarco: “Pre-

gasi disporre che il Tenente di Vascello in SPE (Pil.A) Giancarlo Ga-rello pagato 12 dicembre p.v. assuma il comando del DragamineMango in sostituzione del T.V. Antonio Staglianò da avviarsi su naveTodaro designato comandante”. Il momento più importante dellamia carriera di giovane ufficiale era finalmente arrivato: dopo quat-tro anni di studi rigorosi in Accademia e nove di servizio sulle navie negli aeroporti avrei conosciuto l’onore e l’onere del comando.Fortunatamente il Mango faceva parte di una squadriglia di draga-mine di base ad Ancona, per cui il trasferimento da terra a bordofu particolarmente agevole: il 10 dicembre 1966, mentre un camion-cino trasportava il mio baule di effetti personali giù al porto, mi pre-sentai al compagno di Corso Antonio Staglianò, titolare del Mango,per prendere le consegne. Il collega Staglianò, “Ninì” per gli amici,era un ufficiale in gamba e avrebbe conosciuto una brillante car-riera che lo portò ai vertici della Marina Militare quale Comandantein Capo della Squadra Navale e Sottocapo di Stato Maggiore dellaMarina. Bastarono un paio di giorni per prendere confidenza conla nave che era molto manovriera, ma con il vento al traverso o almascone tendeva ad abbattere la prora rendendo difficoltosa lapresentazione di poppa in banchina.Espletate le formalità burocratiche il 12 dicembre divenni coman-dante di un dragamine da 400 tonnellate con un equipaggio di 38persone; lo stato maggiore della nave era costituito da due soli uf-ficiali, il sottoscritto e il mio secondo che fortunatamente era spe-cializzato in “mine e dragaggio” e mi illustrò le varie tecniche diguerra alle mine, perfidi ordigni che esistono in versione magnetica,sonora e a pressione e che io avevo studiato sui libri in Accademia.In mancanza di mine da distruggere l’attività principale dei draga-mine di Ancona era la vigilanza pesca, cioè l’assistenza in mare ai

nostri pescherecci per evitare che questi, sconfinando in acque yu-goslave, si mettessero nei guai. Tre giorni dopo l’assunzione di co-mando ricevetti l’ordine di effettuare appunto una missione di vigi-lanza pesca; ero impaziente di mettermi alla prova ma quel giornosoffiava una bora “scura” a raffiche che aveva già fatto montare ilmare a forza 4-5. Appena ci affacciammo fuori dal porto il Mangocominciò a ballare come un fuscello e il mio entusiasmo scemò no-tevolmente: i marinai di guardia in plancia erano lividi e quelli sotto-coperta stavano già raccando. Feci qualche chiamata sulle fre-quenze della radiopesca ma non ebbi risposta: l’Adriatico era de-serto e i pescherecci di Fano, S. Benedetto del Tronto e Termoli sene stavano al sicuro nei porti. Comunicai la situazione alla sala ope-rativa del MARIDIPART che mi autorizzò al rientro; con l’ego un po’ammaccato riportai il Mango in banchina ma l’equipaggio apprezzòmolto la mia sofferta decisione e ne guadagnai la fiducia. Ebbi poimodo di rifarmi, svolgendo frequenti missioni di vigilanza pesca finoalla primavera del 1967, quando la 58a Squadriglia Dragaggio, cuiapparteneva il Mango, fu chiamata finalmente ad un compito istitu-zionale. Il sommergibile Toti, costruito a Monfalcone, stava per ini-ziare le prove di immersione nel golfo di Trieste e bisognava liberarei fondali da eventuali residuati bellici della Seconda Guerra Mon-diale. In coppia con il Palma dragammo a sciabica per molti giornifinché potemmo dichiarare quella zona di mare libera da mine con-sentendo al Toti di appoggiarsi sul fondo senza pericolo.

I Soci raccontano

ChiamatemicomandanteGiancarlo Garello - Socio del Gruppo di Cairo Montenotte (SV)

La 58a Squadriglia Dragaggiosotto la neve

nel porto di Ancona

Nave Todaro in navigazione a lento moto

La corvetta Sibillaal passaggio

nel canale navigabiledi Taranto

004 Recupero del BRCda bordo del Sibilla

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Raccontaci un po’ della tua vita e carriera.Che cosa è un antropologo forense? L’antropologia forense è una disciplinache si occupa delle vittime andando a stu-diare la loro anatomia: andiamo ad analiz-zare lo scheletro di un individuo per con-ferirgli un’identità.Questi soggetti possono essere vittima direato: il loro corpo viene trovato in unostato più o meno scheletrizzato o decom-posto e dobbiamo poter fornire all’AutoritàGiudiziaria un nome e un cognome.Tuttavia, il lavoro di noi antropologi forensinon si limita a questo, perché possiamooffrire delle risposte per quanto riguarda iltempo trascorso dal decesso e anche perquanto concerne la causa e le modalità dimorte. Possiamo cercare di capire – stu-diando i traumi dal punto di vista schele-trico – se l’individuo è stato vittima di unincidente, di una morte naturale, o di unomicidio.L’antropologia si occupa anche, fondendo-si con un’altra disciplina chiamata “ar-cheologia forense”, delle tecniche di ricer-ca e recupero del corpo di queste vittime.Ci sono casi giudiziari molto recenti, dal“caso Yara” al “caso Roberta Ragusa”, do-ve il corpo doveva essere trovato, nei qualil’antropologo forense può essere chiamatoanche ad aiutare nelle fasi di ricerca delcadavere. Quando il luogo di occultamentoviene individuato si deve procedere contecniche di scavo stratigrafico, ricostruen-do la scena del crimine.Entrambi questi scenari, ovvero la ricercadel luogo di occultamento/sepoltura, il re-cupero dei resti e la loro identificazioni,hanno fatto parte della missione per il re-cupero di Carlo Acefalo a Barra MusaKhebir.

E cosa ti ha portato a scegliere questo tipodi lavoro?Discipline come l’archeologia e l’antropo-logia possono apparire talvolta fine a séstesse, o alla sola ricerca scientifica. Nelmanuale “Archeologia Forense” che pub-blicai nel 2007 concludevo con un capitolodal titolo “Archeologi meno egoisti” proprioper mostrare come, se rivolgiamo questescienze al mondo forense possiamo vera-mente fare qualcosa per le persone che cicircondano. In particolar modo le famigliedegli scomparsi o dei caduti in guerra.Questa è la ragione per cui mi sono dedi-cato all’antropologia forense: poter aiutarele famiglie a ricongiungersi con i loro cari,seppur deceduti, non solo per onorare i de-funti ma anche e soprattutto per dar lorogiustizia. Sono particolarmente fiero cheper queste attività la Commonwealth WarGrave Commission, che si occupa del recu-pero delle salme dei caduti del Com-monwealth in tutto il mondo mi abbia nomi-nato nel 2012 membro onorario.

Come mai uno scienziato italiano finisceper lavorare in Inghilterra?All’estero l’antropologia forense ha un ruo-lo molto ben riconosciuto, mentre in Italia ilpercorso per chi vuole studiarla o, comenel mio caso insegnarla, è molto tortuoso.Inoltre, nel nostro Paese, l’arruolamentouniversitario è piuttosto fermo. Ho insegna-to come professore a contratto in diversiatenei, dalla Pontificia “San Bonaventura”a Firenze e Roma. Tuttavia sono sempre sta-te docenze a contratto. Ho avuto la possibi-lità di fare un concorso per una cattedra diprofessore associato nel Regno Unito, e co-sì è iniziato tutto. Dal punto di vista didatticosono molto soddisfatto: qui alla Liverpool

John Moores University un intero percorsodi laurea è interamente dedicato all’antro-pologia forense. Ne sono stato presidente eresponsabile, nonché fautore del suo ac-creditamento: siamo l’unico corso accredi-tato nel Regno Unito per l’antropologia fo-rense fino al livello di laurea triennale.Certamente il mio Paese, l’Italia, mi manca.Mi mancano molti aspetti del nostro mondoaccademico ma più ancora mi mancano lemie radici. Tornare in Italia è ovviamente undesiderio, anche se, qualora succedesse,lascerei l’Inghilterra con malinconia.

Quando ti ho raccontato per la prima voltala vicenda di Acefalo, quali erano le tueprincipali preoccupazioni per portare abuon fine il lavoro che ti proponevo?Prima di tutto gli aspetti logistici. Non mi ri-ferisco alle condizioni estreme in cuiavremmo dovuto lavorare. Ho recuperato estudiato resti scheletrici nel deserto egizia-no, mi sono calato in profondità nelle foi-be... e poi con una formazione in parte ar-cheologica, ci si sente sempre un po’ India-na Jones. Mi preoccupavano gli aspetti or-ganizzativi e politici: il rischio che l’opera-zione potesse essere bloccata a livello bu-rocratico per qualche impasse tra i varipaese coinvolti. Inoltre, la mia paura erache i resti non ci fossero, che non si fosseroconservati o che fossero stati disturbati. Infin dei conti erano passati oltre 70 anni e ilcorpo era stato sepolto sotto pochi centi-metri di sabbia. Le condizioni meteorologi-che, la presenza di animali, la curiosità dieventuali visitatori in questo lasso di tempoavrebbero potuto far scomparire totalmen-te la salma che stavamo cercando.Tuttavia il progetto era meraviglioso dalpunto di vista umano e stimolante da sotto

25Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

sole africano, senza quasi cibo o acqua, daun altro sommergibile italiano, il Guglielmot-ti, grazie a tre uomini dell’equipaggio cheremarono per 5 giorni sul battellino del Ma-callè, riuscendo finalmente a raggiungerel’Eritrea e dare quindi l’allarme. Furono sal-vati tutti meno uno: il sottocapo silurista Car-lo Acefalo, un piemontese di 24 anni chemorì sull’isolotto e fu seppellito in una fossascavata nella sabbia dai suoi compagni.Nel giugno 2014 venni a conoscenza dellastoria mentre ero a Barra Musa Khebir a fo-tografare pescecani.Grazie alla gentile collaborazione del Uffi-cio Storico della Marina Militare a Romatrovai il verbale di una Commissione di In-chiesta Speciale (C.I.S.) sulla perdita delsommergibile, con le prime indicazioni sul-le ultime ore di vita di Acefalo e i dettaglidella sua sepoltura. Ritornai sull’isolottonell’ottobre di quello stesso anno e, munitodell’informazione contenuta nella C.I.S.riuscii a localizzare il perimetro di quellache poteva essere la tomba di Acefalo, masapevo che non avevo né le conoscenzené i mezzi per verificarlo.Fu così che entrai in contatto con il prof.dott. Matteo Borrini, un esperto antropo-logo forense riconosciuto a livello mon-diale, e ritornammo insieme all’isolottonell’ottobre del 2017 per condurre unoscavo che risolvesse il mistero dei resti diAcefalo. Gli ho posto, pertanto, qualchedomanda che potesse aiutare il lettore acapire sotto questo aspetto il recupero deiresti del marinaio.

24 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

Testimonianze

Il marinaio Acefaloe l’antropologo forenseRicardo Preve - Socio del Gruppo di Savona

Preambolo della redazioneDelle vicissitudini del sottocapo silurista Carlo Acefalo, imbarcato sul sommergibileMacallè durante la 2^ Guerra Mondiale, ammalatosi nel corso di una operazionee morto conseguentemente di stenti, sotterrato dall’equipaggio sull’isolottoBara Mousa (ma anche Barra Musa) Khebir nel Mar Rosso (Stato del Sudana 65 miglia a Sud-Est di Port Sudan) sul quale il battello si era accidentalmenteincagliato, il Giornale dei “Marinai d’Italia” si è occupato a più riprese.L’ultima volta è stato sul numero di Maggio di questo anno (pagg. 22 e 23)per documentare il rientro in Patria dei suoi resti, dopo oltre 70 anni,e la successiva tumulazione nella tomba accanto alla madre.Con il presente articolo vogliamo ricordare il sottocapo Acefalo dando voceai due personaggi che più di tanti altri hanno contribuito all’esitopositivo dell’intera vicenda: il socio Ricardo Preve, regista tra l’altro del film“Tornando a casa” (ovvero la storia di Acefalo trasposta in pellicola),recentemente trasmesso da RAI3, che dopo un doveroso cappello introduttivointervista il dott. Matteo Borrini, antropologo di chiara fama, che grazieai reperti ossei da lui rinvenuti sul posto è risuscito a stabilire trattarsi propriodi quelli dello sfortunato nostro marinaio; condizione questa alla basedel successivo procedimento di rimpatrio dei resti di Acefalo.

S iamo a giugno 1940 e l’Italia entranella Seconda Guerra Mondialecon 8 sommergibili di base a Mas-

saua in Eritrea. Fra questi il Macallè dellaclasse “Adua”, Tipo 600, che parte il 10 giu-gno risalendo il Mar Rosso verso il nord allaricerca di naviglio inglese nella zona di PortSudan. Si trattava della prima missione diguerra di sommergibili in un ambiente tro-picale, e l’impianto di raffreddamento delbattello non si dimostrò all’altezza delle cir-

costanze. Il sistema di condizionamentodell’aria usava il cloruro di metile, un gaspericoloso per la salute dell’equipaggio(ma allora non lo si sapeva). Perdite nelletubature durante la navigazione causaronol’incagliamento del battello a Barra MusaKhebir la notte del 15 giugno.Qualche ora dopo, il Macallè affondò. I 45membri dell’equipaggio riuscirono a gua-dagnare terra sull’isolotto e furono tratti insalvo, dopo una settimana sotto il rovente

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I l 2 e 3 luglio si è celebrato a Naqoura(Sud Libano), il quarantennale del di-spiegamento della Task Force ”ITA-

LAIR”, la più longeva missione di pea-cekeeping italiana, originariamente“Squadrone Elicotteri Italair”, avvenutonel lontano 1979 e la sua ininterrotta pre-senza nel teatro libanese.Quaranta anni e non li dimostraperché lo spirito, la professio-nalità e il rapporto con lapopolazione del raggrup-pamento composto da pi-loti e specialisti di Eser-cito, Marina e Aeronau-tica ai quali da qualchedecennio si è aggiuntaun componente di sicu-rezza composta da militaridell’Arma dei Carabinieri, è ri-masto quello di un tempo e si ècementato. Ma se ITALAIR dopo quarantaanni non è cambiata se non nei mezzi cheovviamente sono stati aggiornati, moltecose sono cambiate. La “old Italair” eramolto più vicina alla popolazione nel sen-so che non esistevano barriere in cemen-to come oggi, e il Libano, in particolare ilSud, sono cambiati radicalmente.Malgrado le ovvie tensioni e preoccupa-zioni per la situazione politico militare, ilPaese ha avuto negli ultimi decenni un

impressionante sviluppo sociale ed eco-nomico. La stessa Naqoura il cui nome lo-cale è “An Nāqūrah” oggi appare comeuna prosperosa cittadina molto diversada quella che hanno trovato nel lontano1979 i primi piloti e specialisti di ITALAIR.E il merito di tutto ciò va ascritto in partealla presenza della Task Force che sindall’inizio del suo mandato ha operato an-che in supporto alla popolazione localecon interventi di protezione civile, eva-cuazione medica ed interventi di antin-cendio. A dimostrazione di ciò, propriodurante lo svolgimento della cerimoniache si è svolta nell’antico Ippodromo Ro-mano di Tiro, è scattata una emergenzemedica. Un elicottero si è subito alzato involo per recuperare e trasportare con ur-genza al locale ospedale un libanese. Il

rapporto tra la popolazione localee ITALAIR proprio per questoè speciale perché “sento-no” gli uomini e ora anchele donne della Task For-ce, come parte della co-munità. Un amico su cuipoter contare perchésempre pronto ad inter-venire per ogni esigenza

o emergenza senza chie-dere nulla.

Il quarantennale è stato organiz-zato dagli uomini di ITALAIR, che con ilproprio comandante, Ten. Col. GiancarloZacà, hanno speso per mesi il loro breveperiodo di riposo tra un turno di servizio el’altro, per poter realizzare al meglio la ce-rimonia alla quale hanno partecipato 39ufficiali e sottufficiali, piloti e specialisti inquiescenza “Veterani” della Task Force.ITALAIR all’inizio disponeva di elicotteriAB 204. Successivamente, ed in momentidiversi, questi sono stati sostituiti dall’AB

205 e quindi dagli attuali AB 212 anche seper un certo periodo la Task Force ha po-tuto disporre anche di 2 AB 412. Il mondodi ITALAIR è un mondo variegato compo-sto di militari di tutte le regioni e ovvia-mente interforze con forte spirito di comu-nanza, responsabilità, dovere e professio-nalità. Elementi questi che hanno fatto na-scere nella popolazione locale un fortesenso di rispetto e stima nei loro confron-ti. Quaranta anni di ITALAIR in terra liba-nese si sono volatilizzati tra i sassi, le ster-paglie e la polvere della Naqoura cheavevamo conosciuto. Adesso ci rimane il

rafforzamento di un legame e di una stimache si estende anche a persone che pri-ma non si conoscevano neppure e la con-vinzione che gli uomini di ITALAIR sapran-no sempre farsi apprezzare e stimare.È questo il vero tesoro che lascia il 40°Anniversario di ITALAIR.

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27Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

il profilo scientifico. Mi sembrasti una per-sona decisa e sicura dei suoi obbiettivi, eb-bi la sensazione di potermi fidare di te. Unasensazione che si è rivelata essere più checorretta!

Che sfide hai dovuto affrontare durante gliscavi? Cosa ricordi di quei tre giorni a Bar-ra Musa Khebir?Vivere sulla nave Don Questo, sbarcareogni giorno e percorrere a piedi, immersi si-no alla vita e con le attrezzature sulla testa,il tratto di rift fino alla spiaggia non lo con-sidererai una sfida quanto piuttosto unaspetto inusuale e unico di questa avven-tura. Tuttavia l’estrema temperatura e l’ari-dità del luogo di scavo hanno reso fisica-mente estenuanti le operazioni. Non mi eramai capitato di fondere le suole degli stivalia contatto con la sabbia! E pensare chequei marinai rimasero per giorni sull’isola...noi almeno avevamo un gazebo per riparar-ci, e acqua fresca. Una sfida professionaledecisamente interessante è stato il doverrecuperare e analizzare sul posto i resti on-de accertarne l’identità. Non eravamo au-torizzati, infatti, a rimuovere nessun corpose non fosse stato quello di Carlo Acefalo.Dovevamo procedere al profilo biologico(ricostruzione di gruppo umano, sesso, etàalla morte) e al suo confronto con i datianagrafici di Carlo Acefalo in quelle condi-zioni estreme e con i mezzi che eravamostati in grado di far giungere in Sudan. E acomplicare le cose c’era l’estrema fram-mentarietà e lacunosità della salma. Si erasalvata solo metà del corpo, e le ossa eranoridotte a schegge di pochi centimetri a cau-sa della permanenza, per quasi un secolo,sotto un sottile strato di sabbia salata inun’isola dove la temperatura può superare

i 40 gradi per la maggior par-te dell’anno.Fortunatamente la morfolo-gia di alcuni elementi dentarisuperstiti, di una porzionedel cranio e della diafisi fe-morale mi hanno consentitodi procedere nelle operazio-ni di identificazione, e di po-ter asserire che quella sal-ma, anche in considerazionedei dati storici e contestuali,apparteneva al sottocapoCarlo Acefalo oltre ogni ra-gionevole dubbio.

Hai avuto come tuo assistente l’archeolo-go Cosimo Giachetti. Come fu quella colla-borazione?Conosco Cosimo da quando frequentava illiceo, e si iscrisse come volontario ad unadelle campagne archeologiche che orga-nizzavo a La Spezia. L’ho visto iscriversi al-l’università, crescere come persona e co-me studioso. Ho avuto il privilegio di esseresuo correlatore di tesi sia triennale che ma-gistrale, prima all’Università di Firenze e poidi Siena. Lo ritengo un professionista pre-parato ma soprattutto una persona di cuore,onesta e di cui ci si possa fidare. Sebbene isuoi modi sono molto diversi dai miei. Macome dice Cosimo stesso... lui è Toscano, ioormai sto diventando un Inglese!Detto questo, il suo supporto, dal punto divista tecnico è stato essenziale. Mi ha aiu-tato a scavare con precisione la tomba e arecuperare ogni singolo frammento di Car-lo Acefalo e a documentare tutte le proce-dure. Senza il suo aiuto non avrei potutoportare a termine l’operazione.

Quando finalmente il 6 ottobre 2017 met-temmo i resti di Acefalo nella cassetta, av-volti nella bandiera italiana, cosa hai sen-tito… come scienziato? Come italiano? Ecome essere umano…?Quando termini una perizia, o vedi un tuoarticolo pubblicato, provi un senso di sod-disfazione ma anche di liberazione. Comeaver completato un atto in un qualche mo-do creativo. In questo caso era diverso.Non si trattava di aver completato una me-ra identificazione forense. Stavamo ripor-tando a casa quel ragazzo che era mortoindossando i colori del nostro Paese a mi-gliaia di chilometri lontano da casa. Eramorto invocando la mamma, che lo avreb-be atteso per decenni. Ora lo stavamo por-tando a casa da lei.

Provai un senso di vicinanza, di affetto, so-prattutto mentre insieme a te mi incammi-nai portando la cassa verso la spiaggia, at-traversando l’isola. Ma provai anche unsenso di piccolezza, pensando a quantoqueste generazioni passate, quelle dei no-stri genitori e dei nostri nonni, erano in gra-do di fare e hanno fatto per noi e per il fu-turo. Compreso l’estremo e ultimo sacrifi-cio. Non credo che oggi si abbia ancoraquel coraggio e quella dedizione.

Adesso che sono passati due anni da quel-l’avventura, che pensieri puoi condividerecon il pubblico, ed in particolare con i ma-rinai italiani?Dopo aver attraversato l’isola aspettammoil barchino che ci riportasse alla Don Que-sto. Non volli affidare a nessuno la cassadi Acefalo. La portai personalmente a spal-la fin sul gommone. Mentre ci avvicinava-mo alla nave vidi che il capitano LorenzoSegalini, sotto mia richiesta, aveva ammai-nato la bandiera di poppa. Arrivati sottobordo, un membro della troupe di riprese siagguantò alla murata per scendere. Lo fer-mai dicendogli “no, prima lui”. E passai lacassa direttamente nelle mani del capita-no. Arrivati sul ponte tutti stavano festeg-giando. Ce l’avevamo fatta. Stava tramon-tando il sole all’orizzonte e un branco didelfini iniziò a danzare attorno alla DonQuesto, quasi a portare il loro saluto al ma-rinaio dopo averlo vegliato per 77 anni,quasi ad augurargli un felice ritorno a ca-sa. In quel momento, mi accorsi che le la-crime mi solcavano il volto.

I resti di Carlo Acefalo sono stati seppel-liti nella tomba accanto alla madre, nelcimitero municipale di Castiglione Fallet-to (CN) il 24 novembre 2018.

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26 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

Manifestazioni, Cerimonie e Ricorrenze

Hanno partecipato all’evento anche iparenti delle vittime dell’elicottero

Agusta-Bell 205 di ITALAIR pilotato dalcapitano italiano Antonino Sgrò e dal te-nente Giuseppe Parisi con a bordo il ma-resciallo capo Massimo Gatti, l’appunta-to dei Carabinieri Daniel Forner e il ser-gente dell’esercito irlandese John Lunch,che la sera del 6 agosto 1997, dopo averappena sorvolato il villaggio di Bint Jbeil,si è schiantato al suolo.

Un analogo episodio si era già verificatonel 1995 quanto un AB 205, fatto segno acolpi di contraerea da parte di elementidi Hezbollah che ha provocato un incen-dio a bordo, è stato costretto ad effettua-re un atterraggio di emergenza fortuna-tamente senza vittime.

ITALAIRQuaranta annie non li dimostraMichele Santoro Giornalista e “veterano di ITALAIR”

Testimonianze

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San Marco ci illustrano le loro attività grazie a un video. Questaunità militare nasceva il 21 marzo 1861 come fanteria reale, solo inseguito, nel 2013, diventano brigata. Il loro motto è : “Per mare perterra, SAN MARCO”. Con grande gioia Francesco ed io riceviamol’invito di un aperitivo con il Comandante Costantino condiviso nelgiardinetto con la presenza del Dottore di bordo e dell’Aiutante. Lascia che lasciamo dietro di noi scrive una storia di 88 anni, ricca ditanti Racconti che lei la “nave più bella del mondo” si porta dietro

tenendoli gelosamente stretti a sé; posso solo ammirare quellascia che poeticamente mi ispira e mi culla. Nel nostro viaggio ab-biamo osservato alla nostra sinistra la terra ferma mentre a drittale isole sfilano piano piano una a una: l’Elba, Monte Cristo, Giglio,Corsica, Sardegna, Ischia, Positano, Stromboli. Sembrano velatecome se si sentissero timide alla vista della “signora dei mari”, poitroviamo uno stretto di Messina che fa sognare e noi incantati guar-diamo ben sapendo che in questa occasione non metteremo piede

su quelle terre. Facendo Aumentare in noi la voglia di nuovi posti.Arrivati a Salerno tutti abbiamo aiutato per l’attracco: chi a gli ar-gani e chi come me in momentanea squadra antincendio. I ragazzihanno voglia di conoscere questa città e di camminare finalmentesu terra ferma, sentono il bisogno di normalità. Allo stesso temposono anche entusiasti di poter fare da guida ai visitatori e così tuttia studiare le informazioni di base per poi con grande entusiasmopoter spiegare ogni cosa agli ospiti , per entrare in profondità dellanave. Alcuni di loro ricevono i propri famigliari a bordo. Vedendosalire una delle ragazze dagli alloggi femminili con la famiglia miviene spontaneo chiedere se prima di scendere avesse controllatoche fosse tutto in ordine. Salerno è anche il punto di incontro coni nostri gruppi ANMI di appartenenza, tra le ragazze c’è chi si or-ganizza per andare a cena con loro. Per me è diverso, sono con inostri “cugini“ Isola Gallina-Albenga. Cugini dal fatto che eranocon il gruppo ANMI di Diano Marina e poi al momento giusto hannoaperto le ali e preso il volo formando il Gruppo Isola Gallinara-Al-benga. Una piccola delegazione “vulcanica”, con cui passare quelpoco tempo libero che ho, con l’opportunità di poter sapere semprecosa fanno i miei ragazzi.Fin dall’inizio ho cercato di dar loro una giusta direzione e di esseresempre presente, e materna al momento giusto,come quando hoinsegnato a due ragazzi a lavarsi le cose delicate a mano.Di buon ora domenica mattina ci siamo preparati e siamo partitiverso il percorso del defilamento del Raduno ANMI 2019, un chilo-metro e mezzo di marcia al passo della Banda Musicale della Ma-rina. In riga e marciando perfettamente scoprivamo quanta genteci applaudiva e sosteneva nel percorso, sentendoci dire «VOI SIE-TE IL NOSTRO FUTURO!». Perfettamente su gli attenti portavamogli onori alle autorità che erano sul palco, di conseguenza ancheloro contraccambiavano il saluto per la profonda esperienza. Al ter-mine eravamo tutti visibilmente emozionati, si ci scambiava parerie informazioni acquisite. Anche chi in principio non desiderava

Esperienza a bordodella nave scuolaAmerigo Vespucci

Maruska Aicardi - Socio del Gruppo di Diano Marina

T utti vorremmo ricevere quella chiamata che ci cambia la vita,a me è accaduto ben due volte. Il merito è sempre suo, di nave

Vespucci, ancora una volta è un sogno che si avvera, questa voltanon sarò sola, con me ci saranno compagni di viaggio moltospeciali. Ragazzi e ragazze pronti ad apprendere, anche l’artemarinaresca.Il nostro sogno è iniziato il 23 settembre sulla banchina di fronte allacapitaneria di porto di Livorno, ad attenderci un Vespucci nella suapiù maestosa e profonda bellezza.Siamo trentanove persone, ognuno con una storia diversa da rac-contare, pronti a passare i prossimi 13 giorni a bordo della “navepiù bella del mondo”. Per tutti è la prima esperienza sul Vespucci,per me sono tanti ricordi che ritornano alla mente.Questa volta sono in compagnia di Francesco, anche lui ligure diGenova; assieme accompagneremo 37 ragazzi (ognuno con unastoria diversa) nell’arte marinaresca. Il lavoro è serio e si inizia for-mando i nomi delle 3 squadre che andranno ad affiancare l’equi-paggio; questa esperienza non è solo fare le guardie, ma anche im-parare a condividere e rispettare gli spazi comuni con gli altri, doveognuno lavora e tutti assieme formano una grossa forza. Il dubbiopiù grande tra loro sono quei nodi che devono fare per legare l’a-maca, con la paura di sbagliarli e ritrovarsi a terra. Così provano in-numerevoli volte i nodi, riscoprendo un comodo giaciglio di tela conun sottile materasso all’interno. I ragazzi ogni sera prendono leamache dalla coperta situate dalle paratie della nave, come si fa-ceva un tempo (la motivazione di allora era dare un ispessimentoalle paratie), poi ogni mattina smontando le amache le ripongonoin coperta dove sono state prese. Per le ragazze è diverso, quandonon sono utilizzate rimangono ben sistemate su una parete delle lo-ro squadra. Ormai gli ottoni e la manteca non hanno più segreti perloro. Il timone tra le mani li rende inimitabili, il mare vulnerabile.

L’ammaina bandiera solenne emozionante, c’è la lettura della moti-vazione di una Medaglia d’Oro al Valor Militare e poi la “preghieradel marinaio” seguita dall’inno d’Italia cantato da tutto l’equipaggio.Per l’occasione il Comandante Stefano Costantino consegna al noc-chiere Cortese un attestato di “abilitazione condotta mezzi straordi-nari” e dopo i nuovi gradi al Tenete di Vascello Guarnieri diventatoCapitano di Corvetta. L’emozione è palpabile, le ragazze hanno gliocchi lucidi. Le cose speciali hanno il profumo di semplicità.Ormai ci si conosce, si incominciano a formare gruppi per le partitea carte, ognuno conosce giochi diversi e così si dividono, e si scam-biano con la voglia di imparare nuovi giochi. In questo modo si di-venta ”tutti” Amici.Quando si naviga la pizza di mezzanotte è un rito che tutti voglionofare e così tengono i conti dei loro turni di guardia, solo chi montala guardia a mezzanotte si ferma a mangiare. Quando si frattazzala musica li accompagna, si scherza e il lavoro risulta leggero e pia-cevole; forse non per tutti, infatti alcuni consigliano di camminaree sporcare poco così all’indomani mattina non dovranno pulire iponti. Ormai sotto i nostri fieri occhi i ragazzi si spingono a supe-rarsi, leggendo loro al tramonto (per l’ammaina bandiera) sia le mo-tivazioni di una Medaglia d’Oro al Valor Militare sia la “preghieradel marinaio”. Sentendo la Patria scorrere tra le vene e lanciandoun”Viva la Marina” come quei tuoni che rompono i silenziosi cieliestivi, la “preghiera del marinaio” viene decantata come la più pre-ziosa gemma della terra. Al grido “Viva la Marina” mi sento dire daun altro ragazzo ”mi è partito il patriottismo anche a me”.La nostra mensa con i cibi nella gamella ha momenti conviviali dovec’è chi ci allieta cantando e chi come me si fa trasportare con lamusica che proviene dalla cucina. Una cucina diversa di quelle chesi trovano sulla terra ferma; i cuochi sono conviviali, pieni di vita emolto allegri, anche la vettovaglia rispecchia questo loro essereamorevoli e simpatici. Nelle nostre gamelle compaiono cibi da millesfumature con grossa forza vitale, senza mai scordarsi di aggiun-

gere l’ingrediente segreto, l’amore. Infatti se noi siamo quello chemangiamo di conseguenza tra noi regna la convivialità, l’amore lasimpatia. Quando soffia il vento si aprono le vele ed i ragazzi aiutanoad alare il parrocchetto , il fiocco, strallo di mezzana, ma se il ventodiminuisce tutti sono pronti per ammainare. A bordo ogni cosa di-venta materia di lezione ; la navigazione , la strumentazione, l’usodel timone di emergenza nel locale agghiaccio timone, anche i tu-bolari sulle tute da lavoro dei componenti l’equipaggio diventanooggetto di lezione. I nodi sono uno scambio tra me e loro, tutti conuna cima in mano per dare un contributo. I due uomini della Brigata

Noi e i giovani

29Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 201928 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

I soci imbarcati su nave Vespucci sfilano a Salernoin occasione del XX Raduno ANMI. In prima fila Maruska Aicardi

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31Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 201930 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

della manteca (una crema speciale per pulire, lucidare e proteg-gere dall’ossidazione gli oggetti in ottone) a ricordo di innumerevoliottoni tirati a lucido.Questo viaggio ha profondamente cambiato alcuni di noi, imparan-do gli uni dagli altri con la voglia di portare tutto questo nel nostroquotidiano. L’affetto che si è formato tra di noi fa si che ci si abbrac-cia per l’ultimo saluto. Siamo partiti da Livorno il 23 settembre edora 5 ottobre ad Ancona porteremo a termine il viaggio con il com-pito più difficile: salutare e lasciare la “nave più bella del mondo”con l’equipaggio più meraviglioso del mondo. L’emozione si trasfor-ma in minuscoli lustrini sul viso, ci si smarca per l’ultima volta sa-pendo che non saremo più dell’equipaggio. Piano piano si scendo-no gli scalini del barcarizzo e arrivati in banchina il saluto è d’ob-bligo, come si fa a Imperia per quelle imbarcazioni speciali, e cosìesce spontaneo ”PER NAVE VESPUCCI HIP HIP URRA’, HIP HIPURRA’, HIP HIP URRA’ URRA’ URRA’“.Senza voltarmi, con le lacrime a gli occhi, mi avvio ormai verso lastrada di casa, con un bagaglio ricco di ricordi, sogni e realtà chesolo questa nave ci può donare.

Gaia Alice - Socio del Gruppo di Lerici

D al 23 settembre al 05 ottobre, io e altri trentasei ragazzi abbia-mo avuto l’onore di partecipare ad un breve imbarco sulla na-

ve scuola della Marina Militare: Amerigo Vespucci. Questa espe-rienza si è rivelata fin dal primo istante straordinaria. Quando ho sa-puto di essere stata scelta ero incredula ed emozionata, il mio so-gno si stava realizzando. Siamo partiti dal porto di Livorno per giun-gere a Salerno, dove hanno avuto luogo varie manifestazioni tra cuiil XX Raduno Nazionale dell’Associazione Nazionale Marinai d’Ita-lia. Qui abbiamo partecipato al defilamento sul lungo mare sotto gliocchi delle più alte cariche della Marina Militare. Questo mi ha re-galato forti emozioni e reso orgogliosa di far parte di questa asso-ciazione e della nostra Patria.La domenica sera siamo salpati per raggiungere la nostra ultimatappa: Ancona. La vita di bordo è stata piena di attività di vario ge-nere, l’equipaggio ci ha sempre affiancato, sostenuto e spronatoa superare i nostri limiti. Tutto sulla Nave Vespucci è speciale:dall’apertura delle vele alla lucidatura degli ottoni, alla pizza dimezzanotte per chi ha il turno di guardia, al cuore a mille durantel’ammaina bandiera. Porterò sempre nel cuore ogni minimo istan-te, perché tutto è stato meraviglioso e ringrazio l’ANMI, la MarinaMilitare e il Gruppo di Lerici per avermi dato questa straordinariaopportunità.

Sabrina Fedele - Socio del Gruppo di Statte (TA)

G iornata indimenticabile questa del 18 settembre 2019! Unachiamata inaspettata da parte dell’Ammiraglio Luparelli mi

annuncia la notizia straordinaria; un’esplosione di gioia mista asensazioni strane, mai provate, violente e piacevoli ad un tempo:salire a bordo nella nave scuola Amerigo Vespucci, non è da tuttiné per tutti. Grazie all’associazione dei Marinai d’Italia e alla Mari-na Militare il 23 settembre sono arrivata a Livorno con destinazioneSalerno e Ancona.Il veliero più bello del mondo impone un gran senso di rispetto, qua-si sacro, come per tutte le cose antiche! Una nave varata nel 1931,che ha solcato mari profondi e ha resistito nel tempo come un mo-numento ieratico galleggiante, incute timore, soggezione e ammi-razione ad un tempo.Mi ero prefissata delle finalità: imparare a relazionarmi con gli altrie a lavorare in gruppo; organizzarmi in termini di tempo e lavoro dasvolgere; venire a contatto con i meccanismi e le norme che rego-lano la vita in mare; individuare gli aspetti applicativi, comprender-ne i problemi, capire come affrontarli e risolverli; mettere in praticale conoscenze acquisite finora; apprendere nuove competenzecon metodologie diverse da quelle delle lezioni scolastiche; acqui-sire prime esperienze professionali spendibili nel futuro inserimen-to lavorativo; acquisire nuovi interessi professionali.

sfilare si ritrova ad aumentare la propria stima e la voglia di espri-mere quanto fosse stato bello entrare in profondità di questa ma-nifestazione. NON CHI COMINCIA MA QUEL CHE PERSEVERA, ecosì è stato per noi l’imbarco speciale momentaneo sul Vespucci.Lasciare Salerno non è stato facile, abbiamo avuto giorni intensidove chi si sentiva la testa in disordine mi ha dato il piacere di fareun taglio di capelli a bordo, in barberia. Lasciando il porto e ripren-dendo la navigazione siamo tornati ai nostri ritmi, imparando ancheogni cosa sulla lavanderia, ognuno impegnato a non trascurare siagli indumenti sporchi che quelli che tornavano puliti. Sempre prontaad aiutare ed a essere disponibile per quanto riguarda il bene deiragazzi riuscendo anche a dedicare del tempo per le cose che mipiacciono; e mi sono dedicata a stirarmi gli abiti con immensa gioia.Il bello di questi ultimi giorni è aver la possibilità di interagire con ilComandante cedente Stefano Costantino e l’accettante Capitanodi Vascello Gianfranco Bacchi. Per Francesco e me il pranzo inquadrato Ufficiali con i due Comandanti del Vespucci e i due Co-mandati in seconda è stato un esperienza unica, i discorsi su motoe vacanze andavano ad accompagnare la formalità e il galateo delquadrato. A fine pasto ho voluto lasciare in dono la mia prima poe-sia scritta su nave Amerigo Vespucci. Un dono molto gradito pertutti, accolto con entusiasmo. Se la fortuna assiste, può anche ca-pitare di essere in anticipo sulla tabella di marcia e nel nostro casoil Comandante Costantino ha fatto mettere in mare la motobarcaper regalarci una gita intorno al veliero. Con il giubbotto di salva-taggio addosso abbiamo formato piccoli gruppi, per poter fare il gi-ro intorno al Vespucci dove ognuno di noi ha potuto assaporarequelle sensazioni che il mare ti può donare, fotografandoci con leialle spalle sentivamo la magia: noi in quel momento eravamo glispettatori di un quadro di altri tempi . La “signora dei mari” ci ha re-galato anche momenti dove siamo tornati bambini con la voglia digiocare e così i ragazzi incominciano a fare tornei di canestrelli, ungioco con le stesse regole delle bocce, ma in questo caso al postodi palle ci sono dei piccoli cerchi (canestrelli) fatti interamente dicima di canapa. La squadre sono due e si sfidano, chi arriva primaal punteggio di 11 ha vinto.Quando si parla di giocare non mi tiro mai indietro e così mi ritrovoin squadra prima con un ragazzo del nostro gruppo e chi sa comea un certo punto sono in squadra con una delle ragazze e siamoin sfida con due nocchieri. In principio con un buon vantaggio, maa un certo punto ci siamo ritrovati ad accettare la sconfitta. Il pia-cere della vita di bordo è la profondità della condivisione delleesperienze, delle emozioni il divertirsi anche con poco. Dopo unpranzo in “quadrato Ufficiali” arriva l’invito di una cena in “qua-drato Sergenti”, mi viene fatta la richiesta di indossare la divisadell’ANMI. La motivazione è che vogliono una foto con me in altauniforme non essendo riusciti a farla a Salerno. Per me è un veropiacere potermi vestire in maniera diversa dal solito. Arrivata in“quadrato Sergenti” comprendo subito che qui l’atmosfera è de-cisamente diversa, mi ricorda le serate alle “Vele d’Epoca” di Im-peria passate sulle unità della Marina. Ci si scambia racconti dellapropria vita e si fanno scambi di vita di bordo, quando mi parlanodella pasticceria di bordo mi viene spontaneo parlare delle mie ri-cette di battaglia: i fantastici cantucci e il mio zenzero candito. Icantucci destano interesse e mi chiedono la ricetta per poterli fareanche a bordo. I cibi condivisi fanno da cornice a una serata pia-cevole, come quei sabato sera in compagnia degli amici. La fortu-na può sempre baciare due volte e così riusciamo ad assistere aun secondo ammaina bandiera solenne, dove vengono date due

onorificenze. Una medaglia d’argento per 15 anni di navigazione alCapitano di Corvetta Guarnieri e una medaglia di bronzo per i 10anni di navigazione al 2°Capo Scelto Giaccobello. Mi accorgo cheanche un passerotto si ferma su un strallo e assiste a gran partedella cerimonia. Ogni cosa è unica, ricca di emozioni anche i tra-monti e le albe assumono un profumo magico ricco di vita. I ragazziincominciano a sentire la stanchezza per i ritmi frenetici di bordo,c’è chi si addormenta nel cesto della biancheria, e nessuno osadisturbarlo vedendolo beato tra le braccia di Morfeo. Quando si vaper mare si deve essere pronti a tutto, anche al brutto tempo, piog-gia e mare mosso, dove tutto assume una forma diversa, ci si trovaa combattere con i fantasmi del proprio passato, dove si scontranocon un equipaggio coeso e si può solo vincere prendendociprofondamente cura uno dell’altro. In questi 13 giorni mi è capitatodi visitare anche l’infermeria formata da un Dottore, un Tecnico ra-diologo, un Dentista, un Analista del sangue, 2 Infermieri e Fisio-terapista. Diverse volte ho accompagnato i “miei” ragazzi/e perqualsiasi parere medico dall’acidità di stomaco al mal di mare auna semplice abrasione. Ogni volta ho trovato un team preparatoanche sul fattore umano. Ormai nocchiera a tutti gli effetti vengoinvitata ad un aperitivo a bordo dove c’è una piccola rappresen-tanza dei nocchieri e il Nostromo. Oltre a parlare di arte marinare-sca e dei miei nodi mi aiutano a capire meglio come poter svolgerein futuro il compito di accompagnatrice.Ormai siamo un tutt’uno con l’equipaggio del Vespucci; ognuno haimparato, aiutato e supportato i compagni di viaggio ed è proprioqui che il nostro viaggio va a terminare, proprio quando ognunoaveva imparato ad essere unico ma anche a far parte del gruppo,il viaggio si porta al termine, con l’arrivo nel porto di Ancona. Dopol’ormeggio il Comandante Costantino ci ha dato appuntamento sulcassero per la consegna degli attestati d’imbarco, i ragazzi deci-dono attraverso una portavoce di esprimere la loro gratitudine perl’esperienza appena fatta che ormai si porta al termine. La foto dirito con il Comandante, per noi Uomini e Donne di mare diventa lafoto con i due Comandanti, quello cedente e accettante. Tutti hannonel cuore l’amore che solo questa esperienza può darti, ma anchela capacità e l’unicità di essersi confrontati con se stessi e di es-sere riusciti ad avere una grande forza per sé e per chi aveva bi-sogno di aiuto. Alcuni dei ragazzi si fanno regalare i barattoli vuoti

Noi e i giovani

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32 Marinai d’Italia Novembre/Dicembre 2019

Ho incontrato trentasette ragazzi e ragazze provenienti da tutta Ita-lia che come me hanno deciso di mettersi in gioco per due setti-mane, vivendo la vita dell’equipaggio e percorrendo ben 1.045 mi-glia. Sin da subito, ci siamo sentiti in famiglia per l’accoglienza el’amorevolezza di chi ha esperienza e alta professionalità, ma chesoprattutto da tempo prova una dedizione smisurata per l’AmerigoVespucci. Siamo stati divisi in squadre, io ero nella prima; ognunaavrebbe dovuto dedicarsi ad attività specifiche di bordo: timonare,lucidare gli ottoni con cura, frattazzare alle 04:00; tutte modulavanodisciplina, coraggio, forza, determinazione, fatica e stanchezza. Inuna cornice naturalistica a tratti anche poetica, non sono certomancati momenti di intensa emozione come quello della preghieraserale, durante l’ammaina bandiera; “…benedici nella cadentenotte il riposo del popolo, benedici noi che per esso vegliamo in ar-mi sul mare, benedici”; sono parole che un marinaio rivolge a Dioperché possa sostenerlo nella traversata incerta, nella missione ri-schiosa o forse solo per condividere con i compagni la serenità diaver concluso una giornata in mare che è pur sempre insidiosa. Igiorni passavano in fretta ed io sapevo di dover godere ogni attimodi quell’esperienza fino in fondo e pregustavo la nostalgia che miavrebbe preso al ritorno di quelle sensazioni; l’odore, il rumore, i co-lori del mare sono diversi su una nave, sono più intensi e avvolgenti;la notte è più profonda; il cielo stellato, il tramonto, l’alba si caricanodi significati intimi che portano a riflessioni più ampie sul senso del-la vita e dell’umanità. A Salerno abbiamo avuto l’occasione di par-tecipare al defilamento delle Delegazioni dei Marinai d’Italia. Ab-biamo preso parte dell’evento insieme con altri 15.000 Soci dell’AN-MI; il fatto di rappresentare la “signora dei mari” ci ha veramenteresi orgogliosi. Al di là della maestosità indiscussa del Vespucci, èl’equipaggio che ho visto vivere e lavorare indefessamente, lonta-no dai loro cari, degno di grande ammirazione. Questa esperienzami ha dimostrato che credere nei sogni, sperare, inseguire unobiettivo è il solo modo per dare senso alla propria vita; e per rea-lizzare i desideri occorre coraggio, preparazione e tenacia. Ho ca-pito cosa vorrei fare da grande: far parte della Marina Militare èora il mio sogno!I ricordi e le suggestive immagini di tramonti e lune sono rimasti in-delebili: dal VESPUCCI NON SI SCENDE MAI DEL TUTTO!

Anna Testa - Socio del Gruppo di Torino

G razie a una splendida collaborazione tra ANMI e Marina Mi-litare, lo scorso 23 Settembre siamo salpati da Livorno con de-

stinazione Salerno ed Ancona. Noi, 37 tra ragazzi e ragazze prove-nienti da tutta Italia, che abbiamo scelto di metterci in gioco per duesettimane vivendo con l’equipaggio della nave-scuola Amerigo Ve-spucci percorrendo ben 1045 miglia!Un’esperienza molto arricchente dal punto di vista personale, in cuiabbiamo imparato tanto, ma soprattutto abbiamo capito che il cer-vello non deve mai mollare anche quando la forza fisica viene me-no. Fatica e stanchezza erano infatti all’ordine del giorno, compa-gne inseparabili durante tutta la giornata, dalle attività di servizio aiturni di guardia. Ma l’entusiasmo provato nel riuscire a calcolare ilpunto nave, la soddisfazione nel veder brillare un ottone lucidatocon cura, la meraviglia nel contemplare il cielo stellato, sempre su-peravano di gran lunga la stanchezza.Tutto ciò è stato possibile grazie all’equipaggio che, come ungrande fratello maggiore, ci ha accolto, illustrato ed insegnato leattività di bordo. Un equipaggio forte e competente che ci ha sup-portato e sopportato, cercando di soddisfare ogni nostro dubbioe curiosità.A Salerno poi abbiamo avuto l’opportunità di partecipare al defi-lamento del XX Raduno dei Marinai d’Italia. Abbiamo preso parteall’evento insieme ad altri 15.000 Marinai, e il fatto di rappresen-tare la “signora dei mari” ci ha resi ancora più orgogliosi mentre –coordinati e in riga – marciavamo accanto alla tribuna delle piùalte Autorità dello Stato.Dopo quasi due settimane dalla partenza siamo infine sbarcati adAncona. Sono stati giorni intensi di navigazione in un mare spessotranquillo e talvolta in burrasca, giorni ricchi di emozioni per tra-monti unici ed albe indimenticabili, in cui abbiamo stretto amiciziee che ci hanno aiutati a maturare rendendoci consapevoli non solodelle nostre capacità ma anche dei nostri limiti.Al momento del saluto ci siamo stretti in un grande abbraccio cheracchiudeva simbolicamente noi ragazzi ed il maestoso veliero,confortati dalla certezza che era solamente un arrivederci e nonun addio.

Noi e i giovani

Accademia Navale - 7 dicembre 2019

Giuramento Solennedegli Allievi

Hanno partecipato i soci provenienti dalle Delegazioni Toscane(Livorno, Piombino, Follonica, Pisa, Grosseto, Portoferraio, Pe-

scia, Seravezza, Viareggio e Lucca) oltre ad altri da Milano, Desen-zano e Savona. Il numero complessivo di Solini presenti ha supera-to di molto le 100 unità realizzando una concreta visibilità della no-stra Associazione.La Cerimonia è stata caratterizzata da alcune novità organizzativeche in sintesi hanno “avvicinato” maggiormente i Giurandi agli in-tervenuti alla manifestazione, Autorità militari ed istituzionali, fa-miliari ed Associati dell’ANMI.Il Medagliere ha avuto i dovuti onori ed i numerosi Vessilli dei Grup-pi presenti erano schierati in Piazzale in piena vista di tutti. Il com-portamento dei nostri Marinai è stato inappuntabile così come la di-visa curata ed uniforme.Una novità è stato il momento di convivialità che si è svolto per tuttinel salone principale. In quell’occasione molti dei nostri hanno po-tuto salutare le massime Autorità ed in particolare il Signor Mini-stro della Difesa che si è dimostrato molto aperto e vicino alla forzaArmata in tutte le sue configurazioni.In ultimo le allocuzioni delle Autorità che sono state orientate alprofondo significato dell’atto del Giuramento e del prestigioso e im-portante futuro servizio in Marina dei Giurandi.

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