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Manuale per i volontari formatori Iniziativa promossa da Dipartimento della Protezione Civile ANPAS Campagna nazionale sulla riduzione del rischio sismico In collaborazione con Ingv – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia Consorzio ReLUIS – Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica In accordo con Regioni e Comuni interessati Con la partecipazione di Associazioni nazionali ANA, ANAI, AVIS, FIR-CB, Legambiente, Misericordie d’Italia, PROCIV-ARCI, Psicologi per i Popoli, RNRE, UCIS e UNITALSI

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Manuale per i volontari formatoriIniziativa promossa da

Dipartimento della Protezione CivileANPAS

Campagna nazionale sulla riduzione del rischio sismico

In collaborazione con

Ingv – Istituto Nazionale di Geofisica e VulcanologiaConsorzio ReLUIS – Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica

In accordo con

Regioni e Comuni interessati

Con la partecipazione di

Associazioni nazionali ANA, ANAI, AVIS, FIR-CB, Legambiente, Misericordie d’Italia, PROCIV-ARCI,Psicologi per i Popoli, RNRE, UCIS e UNITALSI

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CAMPAGNA “TERREMOTO - IO NON RISCHIO”Moduli didattici per la formazione dei volontari

Maggio - Giugno 2012

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Parte Prima: La campagnaIl servizio nazionale della protezione civile . . . . . . . . . . . 5Il volontariato di protezione civile . . . . . . . . . . . . . . . . . 7“Terremoto io non rischio”Campagna nazionale per la riduzione del rischio sismico . . . 9

Parte Seconda: Cosa comunicareIntroduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13Memoria storica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14Pericolosità sismica Perché i terremoti causano danni e distruzione? . . . . . . . . 20Vulnerabilità sismica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25Rischio sismico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30Prevenzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32Parte Terza: Come comunicareTecniche di comunicazioneStorytelling . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46Una rete per non finire nella rete . . . . . . . . . . . . . . . . . 54Comunicare con un giocoTotem io non rischio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57Semplificazione del linguaggioObiettivo: farsi capire! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60Comunicazione interpersonaleFaccia a faccia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62Comunicare con il corpoLa comunicazione non verbale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63Nuovi strumenti di comunicazione per la formazioneLa formazione continua... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71

INDICE

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PARTE PRIMA: LA CAMPAGNA

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In Italia la protezione civile è un “Servizio Nazio-nale”, un sistema complesso e decentrato che ècostituito da componenti e strutture operative.Componenti: governi regionali, le autonomie lo-cali e le amministrazioni centrali – Ministeri, Re-gioni, Province, Comuni. Sono componenti anchetutti i soggetti coinvolti, a vario titolo, in eventi diprotezione civile: enti pubblici, istituti e gruppi diricerca scientifica, istituzioni e organizzazionianche private, cittadini e gruppi associati di volon-tariato civile, ordini e collegi professionali - art6, legge n. 225 del 1992.Strutture operative: corpi organizzati come iVigili del Fuoco, le Forze Armate e dell’Ordine, ilCorpo Forestale, il Soccorso Alpino, la Croce Rossae le strutture del Servizio sanitario nazionale. Traquesti, hanno assunto negli ultimi anni un ruolo diparticolare importanza le Organizzazioni di volon-tariato di protezione civile, che, in questi anni, sonocresciute in ogni area del Paese sia in numero siain termini di capacità operativa e di specializza-zione e rappresentano la risorsa più numerosa delsistema - art. 11 della legge n. 225 del 1992.

Attività del Servizio NazionaleLa legge n. 225 del 1992, che ha istituito il Ser-vizio Nazionale di Protezione Civile, ha codifi-cato le sue quattro attività fondamentali:previsione, prevenzione, emergenza e ripristino. Leattività sono basate sul concorso di diverse ammi-nistrazioni, pubbliche e private, che partecipanosulla base di una precisa classificazione deglieventi, di tipo “a”, “b” e “c”.In emergenza. In caso di eventi che colpisconoun territorio, il Sindaco ha il compito di provvedere

ad assicurare i primi soccorsi alla popolazione, co-ordinando le strutture operative locali, tra cui igruppi comunali di volontariato di protezione ci-vile. Se il Comune non riesce a fronteggiare l’emer-genza - evento di tipo “a” - su sua richiestaintervengono la Provincia, gli Uffici territoriali digoverno, cioè le Prefetture, e la Regione, che atti-vano le risorse di cui dispongono - evento di tipo“b”. Nelle situazioni più gravi, su richiesta del Go-verno regionale, subentra il livello nazionale, conla dichiarazione dello stato di emergenza - eventodi tipo “c”. In questo caso il coordinamento dell’in-tervento viene assunto direttamente dal Presidentedel Consiglio dei Ministri, che opera tramite il Di-partimento della Protezione Civile.In tempo ordinario. Le Amministrazioni sonoimpegnate, ad ogni livello, in attività di previsionee nella programmazione di azioni di prevenzione edi mitigazione dei rischi. In questo processo è cen-trale il coinvolgimento della comunità scientifica,che rappresenta una delle componenti del ServizioNazionale, e l’informazione ai cittadini, che è di re-sponsabilità del Sindaco, autorità di protezione ci-vile sul territorio.

Legislazione e decentramentoNel 1992 la legge 225 che istituisce il ServizioNazionale affida al Dipartimento della Prote-zione Civile della Presidenza del Consiglio dei Mi-nistri un ruolo di indirizzo e coordinamento. Dal1998 inizia un percorso verso il decentramentodallo Stato ai Governi regionali e alle Autonomie lo-cali, che coinvolge anche l’organizzazione del Ser-vizio Nazionale. Il decreto legislativo n. 112, meglioconosciuto come “Decreto Bassanini”, trasferisce al-cune competenze in materia di protezione civiledallo Stato centrale al territorio. Il Dipartimento

IL SERVIZIO NAZIONALE DELLA PROTEZIONE CIVILE

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mantiene funzioni di indirizzo e coordinamento,ma il coordinamento operativo in emergenza è ri-servato agli eventi di tipo c, per i quali viene dichia-rato lo stato di emergenza sentito il Presidentedella Regione interessata.Nel 2001, con la Legge Costituzionale n.3 chemodifica il titolo V della Costituzione si raf-

forza e si impone definitivamente nel nostro ordi-namento il principio di sussidiarietà, già affermatocon la legge Bassanini. Il decentramento ammini-strativo trova la sua completa realizzazione: la pro-tezione civile diventa materia di legislazioneconcorrente e quindi, nell’ambito di principi gene-rali stabiliti da leggi dello Stato, di competenza re-gionale. q

Per saperne di più:

La Protezione civile nella storiahttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/storia.wp

Le componentihttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/componenti.wp

Le strutture operativehttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/strutture_operative.wp

Gli organi centralihttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/organi_centrali.wp

Le attivitàhttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/attivita.wp

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Il volontariato rappresenta una delle componentipiù vitali del sistema italiano di protezione civile.Una risorsa straordinaria in termini di competenzee capacità operativa che conta oltre 4 mila organiz-zazioni in tutto il Paese. Il volontariato di prote-zione civile è costituito da uomini e donne chehanno deciso di mettere a disposizione gratuita-mente tempo ed energie per proteggere la vita el’ambiente. Per rendere più efficace la loro azione,i volontari di protezione civile sono associati in or-ganizzazioni, grazie alle quali condividono risorse,conoscenze ed esperienze. Le organizzazioni di volontariato di protezionecivile sono diverse per dimensioni, storia, approccie specializzazioni. Affiancano le autorità di prote-zione civile in un’ampia gamma di attività, inte-grandosi con le altre componenti del sistema diprotezione civile. Le organizzazioni che fanno partedel sistema sono iscritte in appositi registri.Cosa faIl volontariato di protezione civile opera quoti-dianamente nell’ambito della previsione e dellaprevenzione dei rischi. In caso di calamità, inter-viene per prestare soccorso e assistenza alle popo-lazioni. Il contributo di professionalità e competenze di-verse è indispensabile soprattutto nelle grandiemergenze. Il mondo del volontariato di protezionecivile presenta una vasta tipologia di specializza-zioni e abbraccia molti campi. Per citarne solo al-cuni: il soccorso e l’assistenza sanitaria,l’antincendio boschivo, le telecomunicazioni, l’alle-stimento dei campi d’accoglienza, la tutela dei beniculturali. Essere preparati a svolgere i diversi com-piti in situazioni di rischio è importante. Per questo

motivo, per diventare volontario di protezione ci-vile, è necessario rivolgersi a una organizzazionericonosciuta e seguire un percorso di formazione.Il Dipartimento della Protezione Civile e le regionipromuovono esercitazioni periodiche per miglio-rare la capacità di collaborazione tra il volontariatoe le altre strutture operative del sistema.Una realtà multiformeOrganizzazioni nazionali, associazioni locali,gruppi comunali. Il volontariato di protezionecivile è un mondo caratterizzato da una moltepli-cità di forme associative ben radicate sul territorio.Le grandi organizzazioni nazionali si caratterizzanoper la presenza di una struttura di coordinamentocentrale e una rete di sezioni distribuite su tutto ilterritorio nazionale. Il loro interlocutore principaleè rappresentato dal Dipartimento della ProtezioneCivile. Le associazioni locali e i gruppi comunali, dipiccole e medie dimensioni, sono espressione diuno specifico ambito territoriale. I gruppi comu-nali, in particolare, nascono con la partecipazioneo sotto la spinta dell’amministrazione comunale,che ne disciplina con propria delibera la costitu-zione, l’organizzazione e la regolamentazione. Gliinterlocutori principali di queste realtà associativesono i sistemi regionali di protezione civile.

Il sostegno delle istituzioniLe istituzioni valorizzano il volontariato comeespressione della cittadinanza attiva. Garan-tendone l’autonomia e promuovendone lo svi-luppo. Le organizzazioni di volontariato iscritte neiregistri possono beneficiare di agevolazioni edesenzioni fiscali, accedere a contributi e stipulare

IL VOLONTARIATO DI PROTEZIONE CIVILE

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convenzioni con enti pubblici.In particolare, il Dipartimento della ProtezioneCivile e le Regioni promuovono il volontariato or-ganizzato di protezione civile sostenendo progettifinalizzati a migliorare le capacità operative dei vo-lontari, accrescere la sinergia tra il volontariato ele altre componenti del sistema e formare i cittadinialla cultura di protezione civile.Il volontariato nel sistema

di protezione civileIn Italia la protezione civile è una funzione attri-buita a un sistema complesso, il “Servizio Nazio-nale”, che opera nel rispetto del principio disussidiarietà. Questo sistema è coordinato dal Di-partimento della Protezione Civile, dalle Regioni edagli Enti locali. Al volontariato la legge attribuisceil ruolo di “struttura operativa”, insieme ai Vigili delFuoco, le Forze Armate e di Polizia, il Corpo Fore-stale dello Stato, la comunità scientifica, la CroceRossa Italiana, il Servizio Sanitario Nazionale e ilCorpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico.Normativa di riferimentoLa legge 266/1991 definisce il volontariatocome attività personale, spontanea e gratuita e

ne disciplina le forme associative:http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_prov.wp?facetNode_1=f1_5&prevPage=provvedi-menti&catcode=&contentId=LEG21151

La legge 225/1992 istituisce il Servizio Nazio-nale della Protezione Civile e individua il volonta-riato come struttura operativa del Servizio,indicandone gli ambiti di attività:http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_prov.wp?contentId=LEG1602

La DPR 194/2001 disciplina la partecipazionedelle organizzazioni di volontariato alle attività diprotezione civile, dall’iscrizione ai registri ai bene-fici previsti per i volontari iscritti:http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_prov.wp?contentId=LEG20554

Il decreto del 13/04/2011 contiene disposizioniin attuazione del Dlgs 81/2011 a tutela della salutee della sicurezza dei volontari di protezione civile:http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_prov.wp?contentId=LEG26529 q

Per saperne di più

Volontariatohttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/volontariato.wp

Il ruolo del volontariato nel Servizio nazionale http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/il_ruolo_del_volontariato.wp

Il percorso della sicurezza per i volontari di protezione civilehttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_dossier.wp?contentId=DOS30059

La Consulta nazionale del volontariatohttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_dossier.wp?contentId=DOS22573

Stati generali del volontariatohttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/stati_generali.wp

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Terremoto - io non rischio” è un’iniziativa perla riduzione del rischio sismico promossa dallaProtezione Civile e dall’Anpas-Associazione Nazio-nale delle Pubbliche Assistenze, in collaborazionecon l’Ingv-Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcano-logia e con ReLuis-Consorzio della Rete dei Labo-ratori Universitari di Ingegneria Sismica. La campagna, giunta alla seconda edizione, sisvolge il 13 e 14 ottobre 2012 nelle piazze di più di100 comuni italiani a elevato rischio sismico in di-verse regioni d’Italia. Protagonisti di questa campagna sono i volontaridi protezione civile, formati sul tema del rischio si-smico, che istruiscono a loro volta altri volontari,diventando quindi attori di un processo di diffu-sione della conoscenza. Nelle due giornate nellepiazze i volontari saranno impegnati a distribuiremateriale informativo e a rispondere alle domandedei cittadini sulle possibili azioni da fare per ri-durre il rischio sismico. Obiettivo della campagna è promuovere una cul-tura della prevenzione, formare un volontario piùconsapevole e specializzato ed avviare un processoche porti il cittadino ad acquisire un ruolo attivonella riduzione del rischio sismico. Imparare a pre-venire e ridurre le conseguenze dei terremoti è uncompito che riguarda tutti: diffondere informazionisul rischio sismico è una responsabilità collettiva acui tutti i cittadini devono contribuire. Oltre all’Anpas, saranno coinvolte nell’iniziativaaltre organizzazioni di volontariato di protezionecivile: l’Ana - Associazione Nazionale Alpini, l’Anai- Associazione Nazionale Autieri d’Italia, l’Avis - As-sociazione Volontari Italiani del Sangue, la Fir-CB -Federazione Italia Ricetrasmissioni Citizen’s Band,Legambiente Onlus, la Confederazione Nazionaledelle Misericordie d’Italia, la Prociv Arci - Associa-

zione Nazionale Volontari per la Protezione Civile,la Federazione Psicologi per i Popoli, il Rnre - Rag-gruppamento nazionale RadiocomunicazioniEmergenza, le Ucis - Unità cinofile italiane da Soc-corso e l’Unitalsi - Unione Nazionale Italiana Tra-sporto Ammalati a Lourdes e SantuariInternazionali. Nel 2011, l’iniziativa si è svolta il 22 e 23 ottobrenelle piazze di nove comuni italiani a elevato ri-schio sismico della Basilicata, Calabria, Campania,Puglia, Sicilia e Toscana, in accordo con i Comuni ele Regioni coinvolte. I temi della formazioneLa formazione riguarda: la memoria storica deiterremoti, la pericolosità sismica del territorioe la vulnerabilità del patrimonio edilizio, la ridu-zione del rischio sismico, il ruolo dello Stato e delcittadino nell’azione di prevenzione e la comunica-zione del rischio sismico.In programma anche al-cuni approfondimenti sul Servizio Nazionaledella Protezione civile, sul ruolo del volontariatonel Servizio Nazionale e sulla normativa relativa alvolontariato.

Gli strumenti di comunicazione

Stand informativi. I volontari di protezione ci-vile formati sul rischio sismico danno informazioniai cittadini, nelle piazze dei comuni individuati,sulla pericolosità del territorio e sulle norme dicomportamento da adottare in caso di terremoto. Pieghevole. Spiega in termini semplici cosa devesapere il cittadino per imparare a prevenire e ri-durre i danni dei terremoti e cosa può fare nella

“TERREMOTO IO NON RISCHIO”CAMPAGNA NAZIONALE PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO SISMICO

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propria casa, con il consiglio di un tecnico, oppureda solo, fin da subito.Locandina. Informa i cittadini sulla data dell’ini-ziativa e sul luogo dell’appuntamento.Scheda. Contiene informazioni utili a tutta la fa-miglia sui comportamenti da adottare durante ilterremoto e subito dopo. La scheda può essere con-servata e anche appesa.

Questionario. Realizzato per comprenderequale sia il livello di consapevolezza e conoscenzadel rischio sismico da parte dei cittadini, da distri-buire anche nelle scuole prima della manifesta-zione.Totem. Il totem è una installazione compostada scatoloni sovrapposti, colorati e illustrati, checontiene piccole proposte di interazione per faci-litare la comunicazione tra volontari e cittadini. q

Per saperne di più:

La campagna “Terremoto io non rischio 2011”http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/terremoto_io_non_rischio.wp

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PARTE SECONDA: COSA COMUNICARE

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Iterremoti costituiscono una delle ipotesi di ri-schio più reale per l’Italia. Oltre ai terremoti del1997 in Umbria-Marche, del 2002 in Molise-Puglia,e a quello recente del 2009 in Abruzzo, ancora vivonelle menti degli italiani restano i ricordi dei deva-stanti terremoti del 1976 in Friuli e del 1980 inCampania-Basilicata. E’ opinione diffusa che l’Italiasia un paese ad alto rischio sismico. E’ opportunochiarire quale significato vada attribuito al terminerischio sismico, in modo da poter identificare i fat-tori sui quali é possibile e necessario incidere pergiungere ad una sua riduzione. Per rischio sismicosi intende la valutazione probabilistica dei dannimateriali, economici e funzionali che ci si attendein un dato luogo ed in un prefissato intervallo ditempo, a seguito del verificarsi di un dato terre-moto. Esso é frutto del prodotto concomitante ditre fattori: pericolosità sismica, vulnerabilità si-smica ed esposizione.La pericolosità sismica (spesso definita anche si-smicità) è costituita dalla probabilità che si ve-rifichino terremoti di una data entità, in un datazona ed in un prefissato intervallo di tempo; essadipende dalla intensità, frequenza e mutevolezzadei sismi che possono interessare quella zona. La vulnerabilità sismica misura la predisposi-zione di una costruzione, di una infrastrutturao di una parte del territorio a subire danni per ef-fetto di un sisma di prefissata entità; essa é, in so-stanza, una misura della incapacità, congenita e/odovuta ad obsolescenza, di resistere ad azioni simi-che.L’esposizione é costituita dal complesso dei benie delle attività che possono subire perdite pereffetto del sisma. A titolo di esempio si consideriuna zona desertica caratterizzata da una forte si-smicità; essa non può essere definita ad alto rischiosismico, in quanto alcun danno a persone o cose

può verificarsi anche a seguito di un forte terre-moto (vulnerabilità ed esposizione nulle).Anche al significato da attribuire al termine pre-visione é bene dedicare alcune considerazioni.Se si pensa che essa possa condurre alla individua-zione del momento preciso in cui si verificherà unterremoto, é bene chiarire che tale atteggiamento,oltre che inutilmente dispendioso, é anche dannosoin quanto, alimentando speranze infondate, devial’attenzione da quella che può e deve essere una re-sponsabile strategia di difesa dai terremoti. L’ana-lisi statistica della sismicità storica consente dirisalire alla frequenza (periodo di ritorno) con laquale un terremoto di una determinata intensitàpuò presentarsi in una data zona. Tale risultato, af-fiancato da considerazioni di carattere socio-poli-tico effettuate su scala nazionale e basate sullerisorse disponibili per fronteggiare tutti i diversiscenari di rischio (analisi costi-benefici), porta alladefinizione del livello di protezione da garantirealle diverse aree (rischio sismico accettabile). Siperviene, in definitiva, alla divisione del territorionazionale in zone ad uguale pericolosità sismica,realizzando la cosiddetta zonazione sismica. Vaperò rilevato come in Italia si siano avuti danni si-gnificativi anche a seguito di eventi sismici più de-boli rispetto a quelli verificatisi in altre parti delmondo. La causa di ciò va attribuita alla vulnerabi-lità del patrimonio edilizio esistente. Avendo messoin relazione il livello di rischio con i danni, apparea questo punto chiaramente come la concomitanzadi una pericolosità medio-alta e di una elevata vul-nerabilità producano livelli di rischio significativii.Nei capitoli che seguono i diversi temi, dalla sismi-cità storica, alle componenti del rischio sismico, aipossibili interventi per la riduzione del rischio, sa-ranno approfonditi con riferimento ai contenuti delpieghevole informativo utilizzato per la campagna“Terremoto. Io non rischio”. q

INTRODUZIONE

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Quello che sappiamo sui terremotiSui terremoti, oggi, sappiamo molte cose, equello che sappiamo deriva in gran parte sem-plicemente dall’osservazione, confortata da qual-che modello. I terremoti hanno origine dove lacrosta è più fragile: le rocce si fratturano esatta-mente come farebbe un mattone schiacciato da unamorsa o sottoposto a trazione e soggette a questisforzi le rocce tendono a rompersi sempre lungo lestesse fratture.Per questo, già da molto tempo siamo in grado didisegnare mappe della sismicità mondiale che mo-strano chiaramente che i terremoti più forti si con-centrano prevalentemente in fasce limitate delglobo, dove le tensioni sono più forti a causa dellecollisioni fra i margini delle placche; con energiaminore, tuttavia, possono avvenire praticamentedappertutto, dato che la litosfera è rigida e tutt’al-tro che a riposo. L’energia accumulata per decine,centinaia o migliaia di anni e rilasciata nel giro dipochi secondi si propaga velocemente e può scuo-tere, deformare e danneggiare tutti gli edifici co-struiti. Queste mappe ci dicono “dove” avvengono i ter-remoti, soprattutto quelli più forti; in qualche casorendono evidente “quanto spesso” accadono que-

sti terremoti; non ci dicono il “quando”, se non peril passato (bella forza, direte voi: ma vedremoquanto questo sia importante).“Dove” avvengono, “quanto forti” e, forse, “quantospesso” sono interrogativi importanti, molto im-portanti. Ma conosciamo le risposte?Sempre più indietro, nel tempoIterremoti, vale la pena ripeterlo, non capitano acaso: tendono a ricorrere sempre nelle stessezone. È quindi importamte studiare quelli già avve-nuti, tramite le informazioni registrate dagli stru-menti, gli effetti prodotti sugli edifici e le tracce chehanno lasciato nell’ambiente: in questo modo pos-siamo definire la “sismicità” del nostro territorio.Per i terremoti più recenti abbiamo i dati dei sismo-metri, ma solo da pochi decenni esiste una mo-derna ed efficiente rete di osservazione. Per glieventi più vecchi non resta che studiare i docu-menti storici o le tracce lasciate nelle opere del-l’uomo e nel paesaggio.

Dalle informazioni storiche e strumentali si ot-tengono i parametri essenziali (una sorta di cartadi identità) dei terremoti: data e ora, localizzazionedell’epicentro, intensità e (direttamente o indiret-tamente) magnitudo e profondità.

MEMORIA STORICAa cura di Romano Camassi

L’ITALIA È UN PAESE SISMICO. Negli ultimi mille anni, circa 3000 terremotihanno provocato danni più o meno gravi. Quasi 300 di questi hanno avuto ef-fetti distruttivi (cioè con una magnitudo superiore a 5.5) e addirittura uno ognidieci anni ha avuto effetti catastrofici, con un’energia paragonabile al terre-moto dell’Aquila del 2009. Tutti i comuni italiani possono subire danni da ter-remoti, ma i terremoti più forti si concentrano in alcune aree ben precise:nell’Italia Nord-Orientale (Friuli Venezia Giulia e Veneto), nella Liguria Occi-dentale, nell’Appennino Settentrionale (dalla Garfagnana al Riminese), e so-prattutto lungo l’Appennino Centrale e Meridionale, in Calabria e in SiciliaOrientale. Tu vivi in una zona ad alta pericolosità sismica, dove già in passatosi sono verificati forti terremoti.

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Di strumenti di ‘misura’ del terremoto ne esistonofin dall’antichità, ma possiamo parlare di osserva-zione strumentale dei terremoti solo da quandoesistono le moderne reti sismiche; a livello mon-diale una data spartiacque è il 1964, mentre perl’Italia solo dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980si sviluppa una vera rete sismica: disponiamoquindi di dati strumentali di buona qualità e conuna buona copertura territoriale solo per gli ultimi25-30 anni. Le mappe che rappresentano la sismicità stru-mentale del territorio italiano (in rete se ne trovanofacilmente dal 1981 ad oggi) sono interessanti, per-ché rendono evidente quanto sia frequente e dif-fusa la sismicità. Tuttavia i processi geologici cheproducono un terremoto hanno tempi molto lun-ghi: decenni, centinaia (per i terremoti più forti), inqualche caso migliaia di anni. Per questo per sapere“dove”, “quanto forti” ed eventualmente “quantospesso” occorre una finestra di osservazione molto,molto più grande.Per fare questo occorrono reti di osservazionemolto diverse da quelle strumentali: le principali(non uniche) sono quelle che ricostruiscono la si-smicità di un territorio attraverso lo studio degli ef-fetti che i terremoti del passato hanno prodotto; èil lavoro che fanno la macrosismologia e la sismo-

logia storica, soprattutto.La macrosismologia è la disciplina (la tecnica)che studia un terremoto (anche uno recente,incluso quello di l’Aquila del 6 aprile 2009, per fare

un esempio) attraverso la raccolta e interpreta-zione di informazioni sugli effetti prodotti dal ter-remoto sul maggior numero possibile di localitàpotenzialmente interessate; tali informazioni sonointerpretate, “classificate” in una “graduatoria” cre-scente di intensità previste da una scala macrosi-smica. Come la Scala Mercalli, ad esempio (ma laversione attuale, in italia, si chiama Mercalli-Can-cani-Sieberg “MCS”, e ne esiste una versione euro-pea più raffinata, la European macroseismic Scale,appunto “EMS”).Il singolo grado di intensità (dal II all’XI, per sem-plificare, anche se i gradi sono 12) classifica, “or-dina” l’insieme degli effetti (su persone, cose,edifici) osservati in una località, cioè su un insiemerappresentativo di persone e edifici. L’effetto su unao un piccolo numero di persone o edifici potrebbeessere influenzato in modo determinante da con-dizioni particolari.In qualche modo ogni singola località funziona,con questa tecnica, come una sorta di sismome-tro, di stazione sismica. La singola osservazione cidice ben poco sul terremoto; la distribuzione deglieffetti osservati su qualche decina o centinaia di lo-calità (più sono meglio è) ci consente di ricavare iparametri del terremoto (soprattutto localizza-zione e stima dell’energia), che a volte possono es-sere estremamente accurati, e comunque del tutto

confrontabili con quelli strumentali. Oltre a fornireinformazioni ulteriori, quali ad esempio le caratte-ristiche di propagazione dell’energia, eventuali ef-fetti di amplificazione e molto altro ancora. Ognigrado di intensità definisce un particolare scenario

Fig. 1 – Schema semplificato dell’arco cronologico studiato dalle diverse discipline

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di effetti dello scuotimento; la descrizione di ognisingolo grado della scala macrosismica è moltoestesa e ben più complessa delle sintesi super-sem-plificate comunemente note e la sua applicazioneobbedisce a regole molto rigorose. L’insieme di tutte le osservazioni macrosismi-che, di tutte le stime di intensità riferite a unsingolo terremoto, vengono poi elaborate in modoformalizzato, in modo da calcolare un epicentro delterremoto stesso e un valore di magnitudo, cheviene calibrato nel tempo con tutti i dati strumen-tali disponibili. Questa stessa procedura viene uti-lizzata per studiare terremoti di dieci, cinquanta ocinquecento anni fa. L’unica differenza è che inluogo dell’osservazione diretta degli effetti si uti-lizzano testimonianze storiche: descrizioni, diari,cronache, materiali giornalistici, documenti tecnicio amministrativi; tutti materiali raccolti e interpre-tati con le tecniche proprie della ricerca storicaquantitativa, la stessa che studia la storia econo-mica, ad esempio. Per questo la memoria storica,intesa nel senso più estensivo, è davvero impor-tante. Il nostro paese ha una tradizione gigantescadi produzione, conservazione e studio di documen-tazione storica. Paradossalmente è spesso più dif-ficile studiare un evento di cinquanta anni fa,piuttosto che quello di trecento anni fa. Ci sono ter-remoti di trecento anni fa per i quali disponiamo didocumentazione ricchissima, incluse perizie tecni-che (di muratori o architetti) casa per casa; per unodei terremoti più importanti della storia sismicaitaliana, quello che nel 1456 danneggia gravementeuna vasta area appenninica fra l’Abruzzo meridio-nale e la Basilicata, abbiamo informazioni su circaduecento località; e così per i terremoti calabri del1638, quello molisano-campano del 1688, quelloirpino del 1694, ecc.. Quando la documentazionesugli effetti di un terremoto è molto ricca, sia comedettaglio che per numero di località documentate,i parametri che ne ricaviamo sono molto accurati,al livello dei migliori dati strumentali.

La storia sismicaLa disciplina che più di tutte contribuisce a de-finire le caratteristiche della sismicità esten-dendo “all’indietro” la finestra di osservazione è,come detto, la sismologia storica. Indicativamentetale finestra oggi si estende, in Italia, a circa 1.000anni fa (e anche qualcosa di più), anche se per i se-coli più antichi è lontana dall’intercettare tutti i ter-remoti importanti. Altre discipline aggiungonoinformazioni su alcuni grandi terremoti, ancora piùantichi: come l’archeologia sismica o la paleosismo-logia, che cerca di riconoscere le dislocazioni digrandi terremoti di migliaia o decine di migliaia dianni fa direttamente sulle faglie. A tutt’oggi la si-smologia storica italiana conosce circa 3.000 terre-moti (costituiti normalmente sa sequenze, a voltemolto complesse) che negli ultimi mille anni circahanno prodotto danni; non sono tutti i terremoti“forti” che si sono verificati in Italia in questo mil-lennio, ma ci danno un’idea abbastanza rappresen-tativa di quella che è la sismicità reale. L’immaginecomplessiva, che abbiamo visto tutti quanti molte

Fig. 2 – Mille anni di forti terremoti in Italia [Mw 5.5] - www.emidius.mi.ingv.it/CPTI11)

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volte e facilmente rintracciabile in rete, è un terri-torio che ha una sismicità molto diffusa, ma dove iterremoti più forti avvengono solo in alcune zone. Quasi 300 terremoti hanno avuto una magni-tudo superiore a 5.5 (in grado cioè di produrredanni gravi) e quasi uno ogni 10 anni, di media(negli ultimi 600 anni), ha avuto una energia para-gonabile al terremoto dell’Aquila del 2009, uno ognitrent’anni (negli ultimi 400) di energia paragona-bile o superiore al terremoto dell’Irpinia del 1980.Quasi tutte le località italiane possono subire dannida terremoti, ma i terremoti più forti si concen-trano in alcune aree ben precise: nell’Italia Nord-Orientale (Friuli Venezia Giulia e Veneto), nellaLiguria Occidentale, nell’Appennino Settentrionale(dalla Garfagnana al Riminese), e soprattutto lungol’Appennino Centrale e Meridionale, in Calabria eSicilia Orientale.Un viaggio nel tempo, dal Sud al NordUno dei terremoti più forti della storia sismicaitaliana, se non il più forte in assoluto (Mw in-torno a 7.4) è quello della Sicilia sud-orientale delgennaio 1693. Le due scosse principali si ebbero il9 e 11 gennaio e produssero devastazioni in circa70 località della Sicilia sud-orientale. Catania, Au-gusta e molti paesi del Val di Noto furono total-mente distrutti; parecchie località furonoricostruite in un luogo diverso. Le vittime furonocirca 60.000. Ci furono vistosi sconvolgimenti delsuolo in un’area molto vasta. I danni si esteserodalla Calabria meridionale a Malta e da Palermo adAgrigento. Il terremoto fu fortemente avvertito intutta la Sicilia, in Calabria settentrionale e in Tuni-sia. Effetti di maremoto si ebbero lungo la costaorientale della Sicilia da Messina a Siracusa. Le re-pliche continuarono per circa 2 anni. Proprio Sira-cusa è uno dei punti di osservazione più importantidell’area e la sua storia simica è segnata dagli effettidistruttivi di terremoti: da quelli del 1125 e del1169, su cui poco sappiamo, a quello del 1542 (Mw6.7), che produsse danni gravi anche a Catania e

Augusta, a quello recentissimo del 13 dicembre1990 (Mw 5.7). La sismicità dell’area Etnea è moltointensa, seppure di energia non elevata, ed è spessocollegata a fasi eruttive del vulcano; significativaanche la sismicità dell’area montuosa dei Pelori-tani-Nebrodi-Madonie, mentre è stata molto im-portante la sequenza sismica che nel 1968 hacolpito la Valle del Belice, con effetti distruttivi.Alcune delle sequenze più drammatiche dellastoria sismica italiana colpiscono la Calabriacentro-meridionale (e la Sicilia nord-orientale): apartire da quella che nei primi mesi del 1783 (frail 5 febbraio e il 28 marzo in particolare, due eventidi Mw 7) ne sconvolge il paesaggio naturale e co-struito; su una scala temporale diversa una se-quenza altrettanto catastrofica si verifica all’iniziodel secolo scorso, con i grandi terremoti dell’8 set-tembre 1905 e del 28 dicembre 1908 (entrambi diMw intorno a 7), intercalati da un evento ‘minore’(23 ottobre 1907, Mw 5.9). Anche la Calabria cen-trale ha una storia sismica importante: la sequenzapiù importante è quella che la devasta nel 1638. Il27 marzo (Mw 7) molti centri lungo la fascia tirre-nica tra Nicotera e Cosenza subirono distruzioni ecrolli diffusi, una ventina furono totalmente di-strutti. Furono gravemente danneggiate anche lecittà di Catanzaro e, soprattutto, Cosenza, dove cen-tinaia di case crollarono o divennero inagibili. Levittime furono diverse migliaia. L’8 giugno dellostesso anno un nuovo fortissimo terremoto (Mw6.9) colpì il versante ionico della regione, in parti-colare il crotonese. Diverse località nell’area delMarchesato e sul versante orientale della Sila subi-rono crolli e gravi distruzioni. Catanzaro, già forte-mente danneggiata dal terremoto di marzo, fusemidistrutta e interi palazzi crollarono completa-mente. Danni molto gravi anche a Crotone. Il cosen-tino è colpito negli ultimi secoli da diversi terremotidi energia elevata (prossimi a Mw 6), seppure nondistruttivi, quali quelli del 1767, del 1835, del 1854e del 1870.

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La sismicità maggiore della Basilicata si con-centra lungo la catena appenninica al confinecon la Campania; i terremoti storici più distruttivi(Mw > 6.3) sono localizzati in Irpinia (8 settembre1694 e 23 novembre 1980); l’importante sequenzadel luglio-agosto 1561 è localizzata proprio al con-fine fra Campania e Basilicata, mentre il terremotodel 14 agosto 1851 è localizzato nel settore setten-trionale, al confine con la Puglia. Il terremoto del16 dicembre 1857, di gran lunga il più importanteper la Basilicata, è localizzato in territorio regio-nale; insieme a quello del 1694 e a quello, poconoto, del 1273, produce danni molto gravi a Po-tenza. La Campania è caratterizzata da una notevole at-tività sismica nelle aree appenniniche e da si-smicità moderata lungo la fascia costiera; iterremoti storici più distruttivi (MW > 6.5) interes-sano le due principali aree attive del territorio re-gionale: l’8 settembre 1694, il 29 novembre 1732,il 23 luglio 1930 e il 23 novembre 1980 in Irpinia,il 5 dicembre 1456 e il 5 giugno 1688 nel Sannio.La storia sismica di Avellino è segnata da effettimolto gravi; quelli più drammatici sono per il ter-remoto del 29 novembre 1732 e quello del 5 giugno1688; ma nel 1456 e in altri 3 casi almeno (1805,1930 e 1980) la città è danneggiata seriamente.Più a Est, in Puglia, la sismicità più importanteinteressa la Capitanata (20 marzo 1731, Mw6.5) e il Gargano (30 luglio 1627, Mw 6.7; 31 mag-gio 1646, Mw 6.6). Il terremoto che segna la storiadi Foggia è quello del 1731: verso le 4 del mattinodel 20 marzo una fortissima scossa causò il crollodi circa un terzo degli edifici e danni gravi agli altri;subirono danni gravi vari centri della pianura fog-giana e delle colline circostanti (Cerignola, Orta-nova, Ascoli Satriano ecc.). A Foggia si contaronocirca 500 vittime. Il Molise condivide con le regioni vicine gli effettidannosi dei forti terremoti appenninici, in parti-colare quelli del 5 dicembre 1456 (uno dei più forti

della storia sismica italiana, Mw 7.2) e del 5 giugno1688 nel Sannio; il terremoto di San Giuliano di Pu-glia del 2002, può essere considerato un evento dienergia moderata (Mw 5.9), mentre ben più signi-ficativo, in Regione, è il terremoto el 26 luglio 1805(Mw 6.6).Anche nel Lazio la sismicità maggiore è localiz-zata nelle aree appenniniche, in particolarenelle province di Frosinone e Rieti; nel frusinatel’evento più importante è quello del 24 luglio 1654(Mw 6.3), nel reatino il terremoto di Amatrice del10 ottobre 1639, di magnitudo poco inferiore a 6.Terremoti forti interessano anche il Viterbese,mentre decisamente più moderati, ma frequenti,sono i terremoti che si verificano nell’area dei ColliAlbani. La città di Roma avverte sensibilmente i ter-remoti di quest’ultima area, mentre gli effetti didanno sono storicamente prodotti da terremoti‘lontani’, dell’Aquilano in particolare.Una notevole attività sismica appenninica carat-terizza l’Abruzzo, in particolare nei settoridella Valle dell’Aterno (2 febbraio 1703, Mw 6.7),nella Conca del Fucino (13 gennaio 1915, Mw 7.0)e nei Monti della Maiella (3 novembre 1706, Mw6.8); altri terremoti importanti sono quelli localiz-zati a SE della città de L’Aquila (27 novembre 1461,Mw 6.4, e 6 ottobre 1762, Mw 6.0) e quello dellaMaiella del 26 settembre 1933 (Mw 5.9).Umbria e Marche condividono pienamentetutta la sismicità appenninica maggiore, moltofrequente e particolarmente ben documentata. Unodei terremoti più forti è quello “di Colfiorito” del 30aprile 1279 (Mw 6.3), che colpisce le stesse aree delterremoto del 26 settembre 1997 (Mw 6.0). Il ter-remoto più violento di tutto l’Appennino centro-settentrionale è quello del 14 gennaio 1703 (Mw6.7), che precede di un paio di settimane l’eventoaquilano, e ‘inaugura’ un secolo scandito da fortiterremoti (fra i più importanti quelli del 1741 nelFabrianese, 1781 nel Cagliese e 1799 nel Cameri-nese). Un terremoto importante per l’Umbria è

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quello della Valle del Topino del 13 gennaio 1832(Mw 6.3), mentre nella zona costiera marchigianae romagnola diversi terremoti, generalmente dimagnitudo di poco inferiore a 6, producono danninelle provincie di Ancona, Pesaro e Urbino e Rimini.L’Appennino settentrionale, fra Toscana edEmilia Romagna, manifesta una sismicità de-cisamente contenuta, seppur molto variabile: dallacosta riminese, all’Appennino Forlivese (22 marzo1661, Mw 6.1), al Mugello (29 giugno 1919, Mw6.3) e alla Garfagnana diversi settori manifestanouna sismicità importante che qualche volta superaMw 6. Il terremoto più forte è certamente quelloche colpisce la Garfagnana il 7 settembre 1920 (Mw6.5). Alcuni villaggi dell’alta Garfagnana furonoquasi completamente distrutti e una settantina dialtre paesi, fra Fivizzano e Piazza al Serchio, subi-rono danni gravissimi e crolli estesi. Danni minorisi ebbero in un’area molto ampia comprendente laToscana nord-occidentale dalla Versilia alle pro-vince di Pisa e di Pistoia, la Riviera ligure di levantee parte dell’Emilia. Iterremoti più importanti che interessano la Li-

guria (e il basso Piemonte) sono quelli che si ve-rificano nel settore occidentale, fra i quali spicca ilgrande terremoto del 23 febbraio 1887 (Mw 6.9),probabilmente localizzabile a mare. Forti terre-moti, ma di magnitudo inferiore a 6, sono localiz-zati sul versante francese (1564, 1618, 1644). Altriterremoti significativi, ma di energia non partico-larmente elevata, si verificano in Val Pellice e in Valdi Susa. Nella parte più settentrionale della Regione e inValle d’Aosta si risentono effetti di danno peri forti terremoti del Vallese, in qualche caso di ma-gnitudo superiore a 6.Il settore della pianura Lombardo-Veneta ha unasismicità generalmente moderata, con qualcheepisodio però significativo, quale ad esempio il ter-remoto del 25 dicembre 1222 (Mw 5.8), larga-

mente ricordato dalle fonti, che produce danni serinel Bresciano. In Veneto la sismicità più importante si manife-sta nel Veronese e lungo tutto il versante orien-tale. Il più forte terremoto di area padana è quellonotissimo del 3 gennaio 1117 (Veronese, Mw 6.7),la cui localizzazione è ancora incerta. Molto impor-tanti sono i terremoti dell’Asolano del 25 febbraio1695 (Mw 6.5) e del Bellunese del 29 giugno 1873(Mw 6.3). Decisamente più moderata, ma da nontrascurare, la sismicità delle Provincie autonome diTrento e Bolzano.Iterremoti più forti dell’Italia Settentrionale si ve-rificano però in Friuli Venezia Giulia. Insiemealla forte sequenza del 1976 (6 maggio, Mw 6.4; 15settembre Mw 6.0) sono da ricordare il grande ter-remoto del 26 marzo 1511 (Mw 7.0), che interessaun’area molto simile e produce danni seri in Slove-nia e Austria, e il terremoto del 25 gennaio 1348(Mw 7.0), localizzabile nell’area di confine fra ilFriuli e la Carinzia.Per concludere occorre ricordare due cose im-portanti. La prima è che pressoché nessun ter-remoto si manifesta come evento isolato: un forteterremoto è normalmente parte di una sequenzache può essere molto lunga e complessa, all’internodella quale possono manifestarsi eventi di energiamolto prossima all’evento che riconosciamo comeprincipale. La seconda è che quelli citati sono soloalcuni fra i più forti terremoti che hanno colpito ilnostro paese nei secoli scorsi, mentre sono moltofrequenti terremoti che, pur con energia minore,possono provocare danni a persone e cose. Affron-tare il problema solo quando si verifica il grandecatastrofico terremoto è troppo tardi. qN.B. Nell’Appendice a pagina 71 è possibile consul-tare una tabella che raccoglie tutti i terremoti conmagnitudo superiore a 6 gradi accaduti nell’ultimomillennio in Italia

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La pericolosità, ovvero facciamo “luce” sui terremotiImotivi per cui gli edifici crollano durante un ter-remoto dipendono dal come e dal dove un edifi-cio viene costruito. Del come si occupa l’ingegneriasismica (vedi capitoli seguenti). Il luogo di costru-zione può essere più o meno pericoloso per duemotivi:la distanza dalla sorgente delle onde sismiche;1 le caratteristiche dei suoli di fondazione.2 I terremoti non avvengono ovunque sulla super-ficie terrestre, ma solo in alcune zone che i sismo-logi hanno imparato a conoscere. L’ideale sarebbestare lontani da queste aree, che si chiamano zonesismogeniche. In un paese come l’Italia queste zonesono molto numerose e non è purtroppo possibileallontanarsene molto. Se guardiamo una lampadinada 100 watt da un metro dobbiamo chiudere gliocchi per il fastidio, ma ad un chilometro di di-stanza la stessa lampadina è un punto appena visi-bile. A parità di energia alla sorgente, i segnaliluminosi così come le onde sismiche diminuisconola loro ampiezza in maniera inversamente propor-zionale alla distanza. Quando immaginiamo che tutta l’energia di unterremoto provenga da un solo punto lo chia-miamo epicentro. A complicarci la vita con i terre-moti c’è però il fatto che né la sorgente delle onde

né la loro propagazione sono semplici e simmetri-che come quelle generate da un sasso in uno sta-gno. Spesso capita che da un lato dell’epicentro siosservino danni per decine di chilometri, mentredall’altro lato non si osservano danni: questo feno-meno si chiama direttività. Per tornare all’esempiodelle luci pensiamo ad un faro che ruota o ai lam-peggianti blu delle ambulanze. Nella direzione incui si proietta il fascio la luce è molto più intensa.La sorgente delle onde sismiche (la faglia) è comeun lampeggiante bloccato che proietta più luce inuna direzione. Purtroppo non possiamo saperequale sia questa direzione prima del terremoto. Peralcuni terremoti generati in California dalla stessafaglia a distanza di qualche decina di anni si è vistoche le due direzioni erano esattamente opposte. L’energia del terremoto alla sorgente viene mi-surata con la magnitudo, una grandezza chederiva dalla conoscenza dell’ampiezza misuratadelle onde sismiche una volta nota la distanza dal-l’epicentro. L’idea della magnitudo viene dalla clas-sificazione delle stelle, perché anche la loroluminosità è così diversa da non poter essere de-scritta da una relazione semplice come quella dellaluminosità di una lampadina (due lampadine da 50W fanno quasi la stessa luce di una da 100 W). Lamagnitudo infatti non è una scala lineare e ad ogniincremento di una unità corrisponde un aumentodell’energia di 30 volte. Quindi un terremoto di ma-gnitudo 8.0 rispetto ad uno di 5.0 è 30x30x30=

PERICOLOSITA’ SISMICA Perché i terremoti causano danni e distruzione?

a cura di Marco Mucciarelli

QUANDO AVVERRÀ IL PROSSIMO TERREMOTO? Nessuno può saperlo, perchépotrebbe verificarsi in qualsiasi momento. Sui terremoti sappiamo molte cose,ma non è ancora possibile prevedere con certezza quando e precisamentedove si verificheranno. Sappiamo bene, però, quali sono le zone più pericolosee cosa possiamo aspettarci da una scossa: essere preparati è il modo miglioreper prevenire e ridurre le conseguenze di un terremoto.

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27.000 volte più energetico. Questo non significache farà quasi 30.000 volte più danni. I danni sonouna proprietà locale del terremoto che dipendonodalla distanza dall’epicentro, da quanto è profondala sorgente (ipocentro) dalla direzione principaledell’energia, dalle caratteristiche dei terreni di fon-dazione e dalla qualità delle costruzioni. Così puòcapitare che nel 2010 un terremoto di magnitudo7 ad Haiti causi 250.000 vittime, mentre con lastessa magnitudo in Nuova Zelanda non si sonoavuti morti. L’anno dopo nella stessa Nuova Ze-landa ci sono state quasi 200 vittime per un terre-moto di magnitudo 6. Gli effetti dei terremoti sonomisurati dalle scale di intensità. In Italia si usa lascala Mercalli-Cancani-Sieberg. Fino al quintogrado non ci sono danni ma effetti sempre maggiorisulle persone (da non avvertito a spavento, terrore)e su oggetti (spostamenti, ribaltamenti, rottura).Dal sesto al settimo grado iniziano danni agli edi-fici, e dall’ottavo in poi ci sono crolli in percentualicrescenti. Se diciamo che due terremoti all’epicen-tro son stati di decimo grado intendiamo che hannocausato entrambi il crollo di oltre i ¾ degli edificiin muratura.Dobbiamo poi chiederci ogni quanto tempo si“accende” la sorgente di un terremoto. Sa-rebbe bello se il comportamento fosse quello dellevecchie luci ad intermittenza dell’albero di Natale,periodico e regolare. Guardando per pochi minutiuna lampadina potremmo imparare subito perquanto sta accesa e per quanto sta spenta, e tuttele altre sul filo seguirebbero la stessa regola. Pur-troppo il terremoto è come un filo di luci nataliziedi ultima generazione aggrovigliato su se stesso. Avolte lampeggiano regolari ma poco dopo sem-brano impazzire: non riusciamo a capire ogniquanto tempo si accende una singola lampadina enon capiamo neanche se quando se ne accende unapoi si accenderà quella più vicina oppure un’altra.Possiamo fissare una singola lampadina e contarequante volte si accende in 5 minuti. Avremo cosìuna idea del tempo medio che passa tra due accen-

sioni. Lo stesso avviene per i terremoti. Non pos-siamo dire se una sorgente si accenderà domani otra 20 anni, ma possiamo dire che rispetto a quellevicine si accende più o meno frequentemente, equindi abitare le città nei suoi paraggi sarà più omeno pericoloso che stare in altre. Avremo così unaclassifica relativa di pericolosità che serve agli in-generi per capire dove bisogna progettare edificipiù resistenti o rinforzare quelli esistenti. Perché isismologi non sono capaci di dirci niente di piùsulla pericolosità? Torniamo all’esempio delle lam-padine natalizie. Quello che a noi sembra caos è inrealtà una sequenza programmata. Se anziché 5 mi-nuti aspettiamo un tempo più lungo vedremo la se-quenza ripetersi più volte. Ma ogni singola sorgentedei terremoti si accende raramente, se paragonataalla vita umana. Alcune hanno un tempo medio tradue terremoti di centinaia di anni. Noi non abbiamovisto il ciclo sismico ripetersi più volte, e volendoessere onesti non possiamo dire se i 2000 anni distoria per cui abbiamo fonti attendibili che ci par-lano dei terremoti passati sono un ciclo completooppure no. Se vogliamo un’altra metafora, pronosticarequando accadrà un terremoto è come stare sedutisul treno guardando in senso contrario alla marcia.Non possiamo vedere e sapere dove stiamo an-dando a meno che non siamo già passati moltevolte sulla stessa linea. Allora riconosceremmoqualcosa nel paesaggio o nelle città che ci farebbecapire dove siamo e dove stiamo andando. Ma lastoria dei terremoti avviene su tempi così lunghiche nessun italiano (per fortuna) passa due volteper lo stesso terremoto ed i sismologi cercano dicapire dove sta andando il treno mettendo insiemememorie di tempi e testimoni diversi (dati stru-mentali, dati strorici, dati archeologici, dati geolo-gici). Come l’avaro Scrooge del “Racconto di Natale”di Dickens dobbiamo ricevere un insegnamento daitre spettri del Natale Passato, Presente e Futuro.Dobbiamo approfittare dell’attenzione creata dalterremoto presente perché quello che sappiamo

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dai terremoti del passato ci permetta di salvare vitedai terremoti del futuro. q

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L’influenza del terreno, ovvero quando il terremoto “suona” male. Iterreni di fondazione sono molto importanti perla tenuta di un edificio, ed è cosa nota da mil-lenni. Il Vangelo di Matteo riporta una paraboladove l’uomo saggio è colui che costruisce sulla roc-cia mentre lo stolto costruisce sulla sabbia e vedràla sua casa in rovina.Potrebbe sembrare strano che questo sia veroanche per i terremoti. Gli atleti del salto in lungo at-terrano senza danni nella morbida sabbia e si giocaa pallavolo sulla spiaggia, non su lastre di granito.Il senso comune ci farebbe pensare che una casasulla sabbia stia su di un materasso messo lì appo-sta per attutire l’urto del terremoto. Questo è inparte vero, i terreni sciolti attenuano le onde piùdella roccia, ma i terreni hanno una proprietà con-trastante che la roccia non ha: amplificano alcunefrequenze del terremoto. Come è possibile che unmateriale amplifichi più di quanto attenui? Quandopensiamo all’amplificazione abbiamo in mentel’impianto stereo: si gira una manopola ed il vo-lume aumenta. Per i terremoti però non c’è nessunamplificatore nel terreno che faccia il lavoro di al-zare il volume, consumando magari un bel po’ dienergia elettrica. Allora cosa succede? Pensiamo adun automobilista che guida a velocità costante coni finestrini aperti: sentirà un certo livello di rumoreche rimane uguale. Se però entra in una galleria ilrumore percepito diventa molto più forte. Cosa èsuccesso? Il rumore generato dal motore a regimedi giri costante non è aumentato, ma le onde sonorerimangono intrappolate nella galleria rimbalzando

sulle pareti, ed anziché disperdersi lontano tornanonell’abitacolo.Quello che amplifica le onde sismiche non è lamaggiore o minore “durezza” del terreno ma è ilfatto che un terreno soffice sia a contatto con ter-reni più rigidi o con roccia che come le pareti di untunnel imprigiona le onde nei suoli soffici e non lefa allontanare. E’ importante capire che se un ter-reno amplifica le onde sismiche lo farà per qualsiasiterremoto, facendo diventare terremoti deboli elontani potenzialmente distruttivi come se fosseroforti e vicini. A peggiorare la situazione contribui-sce poi il fatto che i terreni meno rigidi a seguito diun terremoto possono trasformarsi in sabbie mo-bili (liquefazione), o se sono in pendenza possonodare il via alle frane indotte.Per questo motivo è importante conoscere le ca-ratteristiche dei terreni per capire se e quanto è si-curo costruirci sopra. Per il singolo edificiol’ingegnere necessita di dati il più possibile precisied affidabili circa il terreno per ricostruire la rispo-sta sismica del punto dove si andrà a costruire.Agli architetti che pensano allo sviluppo urbani-stico di una città serve invece una visione meno raf-finata ma che permetta comunque di stabilire dovesarebbe più opportuno far sorgere nuovi quartierio infrastrutture importanti (scuole, ospedali, centricommerciali), considerando che costruire sui ter-reni peggiori non è né impossibile né vietato, macosta sicuramente di più. Questi studi che differen-ziano i terreni su tutta l’area urbana secondo il lorocomportamento in caso di terremoti vengono defi-niti microzonazione sismica. Tornando al para-

GLI EFFETTI DI UN TERREMOTO SONO GLI STESSI OVUNQUE? A parità di di-stanza dall’epicentro, l’intensità dello scuotimento provocato dal terremotodipende dalle condizioni del territorio, in particolare dal tipo di terreno e dallaforma del paesaggio. In genere, lo scuotimento è maggiore nelle zone in cuii terreni sono soffici, minore sui terreni rigidi come la roccia; anche la posi-zione ha effetti sull’intensità dello scuotimento, che è maggiore sulla cimadei rilievi e lungo i bordi delle scarpate.

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gone con il mondo dei suoni, nel primo caso serveun solista, al massimo delle capacità perché tutto èaffidato a lui. Nel secondo caso ci serve un coro, uncontributo di molte voci dove la qualità dei singolinon è importante quanto il risultato d’insieme.Ci sono delle situazioni particolari dove “l’eco”del terremoto può riverberare più a lungo chealtrove, causando più danni. Alcuni rilievi montuosie la gran parte delle valli possono dare problemi diamplificazione sismica. Geologi e sismologi hannoimparato a riconoscere i casi peggiori, e quindianche se non possiamo prevedere quando avverràun terremoto possiamo avere un idea in anticipo sudove il terremoto farà i maggiori danni. Dobbiamoquindi spostare l’attenzione dalla generica “previ-sione del terremoto” alla “previsione delle conse-guenze del terremoto”. Adesso esistono strumentinormativi ed anche finanziamenti statali che incen-tivano gli studi di microzonazione. E’ importantefar comprendere ai cittadini che fare le indagini cheservono sia per un singolo edificio che per una in-tera città è un piccolo costo materiale, se parago-nato agli enormi costi economici ed umani che sipotrebbero avere quando il prossimo terremotocolpirà.Se il gruppo rock del figlio del vicino che provain garage ci sembra troppo fracassone possiamoprovare a picchiare con la scopa sul pavimento, maquando il terremoto arriva, se siamo su di un ter-reno che amplifica non c’è modo di chiedergli di“abbassare il volume”. q

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Ènormale che un edificio oscilli durante un ter-remoto, non deve preoccuparci. Quello che bi-sogna evitare, o quantomeno limitare, è che questeoscillazioni possano provocare danni gravi, fino afar crollare l’edificio, in tutto o in parte. Se non èmai accettabile che un edificio possa crollare, ancorpiù lo è se il terremoto non è molto forte, come avolte accade nel mondo e, purtroppo, anche in Ita-lia. Questo accade quando l’edificio è troppo vulne-rabile, ossia debole rispetto al terremoto.Definiamo vulnerabilità sismica la predisposizionedi un edificio a subire danni (effetto) a fronte di unterremoto di una data intensità (causa). Osser-vando il comportamento degli edifici dopo un ter-remoto vediamo che alcuni si danneggiano più dialtri anche se molto vicini tra loro (Fig. X.1 A e B) equindi interessati dalla stessa intensità sismica. Insostanza, non definiamo vulnerabile un edificio sequesto si danneggia duranteun terremoto, come già dettoentro certi limiti il danno èun effetto fisiologico che puòessere accettato, ma defi-niamo vulnerabili quegli edi-fici che si danneggiano inmodo sproporzionato ri-spetto all’intensità del terre-moto. Come diremmo perun’automobile che, a causa diun impatto a bassa velocità,si danneggia gravementemettendo in pericolo la vita

degli occupanti.Quando si verifica un terremoto, mentre il ter-reno si muove orizzontalmente, un edificio su-bisce delle spinte in avanti ed indietro in modosimile a quelle che subisce un passeggero dentroun autobus che frena ed accelera alternativamente.A parità di sollecitazione sismica (domanda),quanto più l’edificio è capace di assorbire questesollecitazioni senza subire danni (capacità) tantomeno è vulnerabile. Gli studi sulla vulnerabilità sismica si occupano delconfronto tra domanda e capacità, controllando see quanto la domanda è maggiore della capacità (va-lutazione della vulnerabilità) e, qualora sia neces-sario, indicando come intervenire per diminuire ladomanda - ad es. alleggerendo l’edificio - o aumen-tare la capacità (riduzione della vulnerabilità).

VULNERABILITA’ SISMICAa cura di Angelo Masi, con la collaborazione di Leonardo Chiauzzi

COSA SUCCEDE A UN EDIFICIO? Una scossa sismica provoca oscillazioni, piùo meno forti, che scuotono gli edifici con spinte orizzontali. Gli edifici più an-tichi e quelli non progettati per resistere al terremoto possono non sopportaretali oscillazioni, e dunque rappresentare un pericolo per le persone. È il crollodelle case che uccide, non il terremoto. Oggi, tutti i nuovi edifici devono esserecostruiti rispettando le normative sismiche.

Fig. X.1 (A)

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Un edificio è costituito da trecomponenti principali: 1. lastruttura portante (es. muri por-tanti, pilastri, ecc.); 2. gli ele-menti non portanti ma cheassolvono funzioni proprie dellavivibilità dell’edificio (es. tampo-nature esterne, divisori interni,controsoffitti, ecc.); 3. gli im-pianti (elettrico, idrico, idro-sa-nitario e di riscaldamento). Per struttura portante di unedificio (Fig. X.2) si intende l’insieme degli ele-menti che garantiscono il sostegno del suo stessopeso (cosiddetto peso proprio), dei carichi che puòcontenere al suo interno (persone, suppellettili, at-trezzature, ecc.) e delle azioni che provengonodall’ambiente esterno (es. vento, neve, terremoto). La funzione della struttura portante è garantireche l’edificio possa essere utilizzato con le pre-stazioni attese e il livello di sicurezza previsto dallenorme. In Italia, in particolare per l’edilizia di tiporesidenziale, i materiali che si utilizzano per realiz-zare la struttura portante di un edifico sono prin-

cipalmente due: muratura e cemento armato (Fig.X.3, a) e b)). Molto pochi sono gli edifici costruiti inlegno o acciaio (Fig. X.3, c) e d)). Per come è fatta la struttura portante delle dif-ferenti tipologie edilizie il comportamento incaso di terremoto di un edificio in muratura è dif-ferente rispetto a quello di un edifico in cementoarmato. Infatti, nelle strutture in muratura la resi-stenza al terremoto dipende essenzialmente daimuri “maestri” esterni ed interni, dal collegamentotra loro e con i solai. Per una struttura in cementoarmato invece la resistenza è concentrate in ele-menti singoli quali i pilastri (elementi verticali), letravi (elementi sui quali poggiail solaio di ogni piano) ed i lorocollegamenti (nodi). Se i collega-menti tra i vari elementi sonostati progettati e realizzati pen-sando al terremoto alloral’azione sismica verrà distribuitain modo adeguato tra tutti glielementi della struttura assicu-rando una maggiore resistenzaall’azione sismica (meno vulne-rabile). In caso contrario,l’azione sismica verrà concen-trata su alcuni elementi provo-candone una richiesta diresistenza locale maggiore di

Fig. X.1 (B)

X.2. Esempio di struttura portante di un edificio

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quella con la quale essi sono stati progettati (si ve-dano gli esempi riportati nelle Figg. X.4-X.6 nellapagina successiva).In un edifico, durante un terremoto, anche gli ele-menti cosiddetti non strutturali (es. tampona-ture esterne, tramezzi interni, controsoffitti,camini, ecc.) possono subire seri danni causandosia gravi conseguenze alle persone che costi etempi elevati per la loro riparazione (Fig. X.7). Que-sto può accadere anche in assenza di danni allastruttura portante, potendo coinvolgere le personeche stanno cercando di uscire ed allontanarsi dal-l’edificio. Ecco perché, durante un terremoto, è pre-feribile non scappare fuori ma ripararsi ad es. sottoun tavolo, un letto (o un banco se si è in una scuola)ed attendere la fine della scossa e poi, con calma,individuare un percorso sicuro per poter evacuare

l’edifico. Anche gli impianti possono provocare danni,principalmente alla persone con cortocircuitielettrici, fughe di gas ed altri problemi simili. Infine,molto importante è tener conto di mobili e suppel-lettili interni all’abitazione, come gli armadi che,con la loro caduta, possono causare serie conse-guenze alle persone anche se l’edificio non fosseper niente danneggiato. Così come ciascun passeg-gero riesce a reggersi nell’autobus in modo più omeno efficace rispetto ad altri, così ciascun edificioha una propria vulnerabilità sismica in relazionealle differenti caratteristiche costruttive con cui èstato realizzato. Quindi, a parità di forza ed energiadell’evento sismico, la previsione della gravità deldanno che si può verificare, e quindi la vulnerabi-lità della struttura, dipende da una serie di fattori

A B

C D

Fig X.3. Esempi di struttura portante: a) muratura, b) cemento armato , c) acciaio, d) legno

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Fig. X.5 Esempi di crollo e danneggiamento in edifici in cemento armato (a destra: crollodi tamponature e danni locali a pilastri e nodi; a sinistra: crollo totale del piano terra)

Fig.X.6 Esempio di danno localizzato in una struttura in cemento armato (grave danno alla testa di un pilastro a causa della presenza delle tamponature di altezza limitata

delle per la realizzazione di finestre a nastro).

Fig X.4 Esempi di danneggiamento in edifici in muratura

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come il tipo di materiale utilizzato (muratura, ce-mento armato, ecc.), la qualità del materiale, l’etàdi costruzione, lo schema resistente della struttura(telai, pareti, ecc.), l’altezza della struttura, ecc.Dall’osservazione del danneggiamento di terremotipassati si è visto che edifici con caratteristiche si-mili, sotto l’azione della stessa intensità sismica, su-biscono danni simili. Sempre avendo comeriferimento l’esempio del passeggero nell’autobus,la capacità della classe “adulti”, pur avendo al suointerno qualche piccola differenza tra gli individuiche la compongono, è nettamente differente ri-spetto a quella della classe “anziani” mediamentemeno capaci di resistere alle sollecitazioni esterne.Riconoscere questo diverso comportamento ingruppi di persone (edifici) con caratteristiche simili

significa in sostanza classificarli in termini di capa-cità rispetto ad una causa che può provocare delleconseguenze (danni). Se l’osservazione dei dannidopo un terremoto ci consente di attribuire la vul-nerabilità “a posteriori”, la stima della vulnerabilitàsismica degli edifici prima che si verifichi un terre-moto (valutazione “a priori”, cosiddetta in tempo dipace) è certamente un tema più complesso. Infatti,se dopo un evento sismico è sufficiente rilevare idanni che sono stati provocati, associandoli all’in-tensità della scossa subita ed alle differenti tipolo-gie di edifici presenti, molto più difficile è laattribuzione della vulnerabilità “a priori”. A talescopo sono stati messi a punto numerosi metodiche si basano sia sull’esperienza tratta da terremotipassati (metodi empirici) che su calcoli e modellinumerici (metodi analitici) che cercano di rappre-sentare, nel modo fisicamente più prossimo alla re-altà, il comportamento delle strutture sotto l’effettodi differenti terremoti. Questi due approcci ven-gono spesso integrati dal cosiddetto giudizio“esperto” di specialisti nel campo dell’ingegneriasismica. Per poter stimare la vulnerabilità “a priori” sipuò operare considerando che strutture rea-lizzate con caratteristiche costruttive simili pos-sono essere raggruppate in classi omogenee sulpiano della loro vulnerabilità attesa. Ad es. allaclasse ad alta vulnerabilità corrispondono gli edificiin muratura più scadente (struttura portante inpietrame), una vulnerabilità più bassa è assegnataagli edifici con una muratura più resistente (strut-tura portante in mattoni) e alla classe con bassavulnerabilità gli edifici con struttura in cemento ar-mato. Differenti sviluppi sono stati effettuati nelcorso degli anni introducendo classificazioni piùdettagliate e anche classi aggiuntive considerandoanche eventuali rinforzi strutturali come cordolie/o catene o la tipologia di solai presente (legno,pignatte con travetti di cemento o di acciaio). qFig. X.7. Due esempi di danno agli elementinon strutturali: crollo parziale espulsionedella tamponatura esterna in un edificio in ce-mento armato (sopra); crollo rovinoso di tra-mezzi divisori all’interno (sotto).

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Ogni giorno, ciascuno di noi ha a che fare conpericoli e rischi di vario genere. L’errore chespesso si fa, tuttavia,è quello di considerare i duetermini equivalenti: pericolo e rischio vengono con-siderati la stessa cosa. In realtà, il pericolo è rap-presentato da un evento”pericoloso”, che può cioèprodurre conseguenze, ma che non è certo avvengao per lo meno non sappiamo quando avverrà, men-tre il rischio è rappresentato dalle conseguenze del-l’evento. Facciamo un esempio legato ai nostritrascorsi scolastici. L’interrogazione di matematicarappresentava certamente un pericolo per il bruttovoto che avremmo potuto prendere, ma non sape-vamo quando il professore ci avrebbe interrogato.Le possibili conseguenze dell’interrogazione dipen-devano da quanto eravamo vulnerabili, cioè prepa-rati a rispondere alle domande del professore.Ovviamente la probabilità di essere interrogati equindi di subirne le conseguenze dipendeva daquanto eravamo esposti alla possibile interroga-zione, cioè se eravamo presenti o assenti alla le-zione. Il rischio in questo caso era rappresentatodal brutto voto che avremmo potuto prendere.Quindi, esprimendoci in un modo più formale, pos-siamo dire che il rischio è il risultato di tre compo-nenti: pericolo, vulnerabilità ed esposizione.Consideriamo ora il problema sismico.Il terremoto è un fenomeno naturale e la sismicità(frequenza e forza con cui si manifestano i terre-moti) è una caratteristica fisica del territorio, alpari del clima, dell’orografia, dell’idrografia,… Così

come la penisola è caratterizzata da due catenemontuose principali, le Alpi e gli Appennini, allostesso modo possiamo dire che, ad esempio, la Ca-labria e la Sicilia orientale sono interessate da ter-remoti poco frequenti ma di elevata energia,mentre nell’Appennino settentrionale i terremotisono più frequenti ma l’energia associata è gene-ralmente minore. Conoscendo la frequenza el’energia (magnitudo) associata ai terremoti che ca-ratterizzano un territorio ed attribuendo un valoredi probabilità al verificarsi di un evento sismico diuna certa magnitudo, in un certo intervallo ditempo, possiamo definire la sua “pericolosità si-smica”. Un territorio avrà una pericolosità sismicatanto più elevata quanto più forte sarà, a parità diintervallo di tempo considerato, il terremoto piùprobabile. Ma in un territorio ad elevata pericolo-sità sismica non necessariamente le conseguenzedi un terremoto sono sempre gravi; basti pensarealle numerose scosse che ogni anno interessano na-zioni come il Giappone o gli Stati Uniti e che, nono-stante l’energia associata all’evento, provocanodanni limitati. Molto dipende infatti, dalle caratte-ristiche di resistenza delle costruzioni alle azioni diuna scossa sismica. Questa caratteristica, o megliola predisposizione di una costruzione ad esseredanneggiata da una scossa sismica, si definisce“vulnerabilità”. Quanto più un edificio è vulnerabile (per la sca-dente qualità dei materiali utilizzati o per le moda-lità di costruzione), tanto maggiori saranno leconseguenze che ci si devono aspettare in seguitoalle oscillazioni cui la struttura sarà sottoposta.

RISCHIO SISMICOa cura di Sergio Castenetto e Angelo Masi

ANCHE IL PROSSIMO TERREMOTO FARÀ DANNI? Dipende dalla forza del ter-remoto (se ne verificano migliaia ogni anno, la maggior parte di modesta ener-gia) e dalla vulnerabilità degli edifici, cioè dal livello di rischio. Nella zona incui vivi il rischio sismico è elevato e già in passato i terremoti hanno provocatodanni a cose e persone. È possibile quindi che il prossimo forte terremoto fac-cia danni: per questo è importante informarsi, fare prevenzione ed essere pre-parati a un’eventuale scossa di terremoto.

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Immaginiamo ora di considerare la funzione cuiè adibito un edificio; ad esempio una abitazioneo un ufficio in ore diverse della giornata (giorno,notte), oppure una scuola o un albergo in periodidiversi dell’anno (estate, inverno). Avremo unamaggiore o minore possibilità di danno alle per-sone secondo l’ora o il momento dell’anno in cui av-viene il terremoto. Una considerazione analoga sipuò fare considerando una città d’arte e una citta-dina moderna. Pensiamo ai danni inestimabili su-biti dai monumenti di Assisi a causa del periodosismico umbro-marchigiano del 1997. Anche inquesto caso le conseguenze non sono paragonabilia quelle che si avrebbero in un piccolo centro mon-tano, ad esempio. Questa maggiore possibilità disubire un danno (economico, in vite umane, ai beniculturali,…) viene definita “esposizione”. L’insiemedei fattori “pericolosità”, “vulnerabilità” ed “esposi-zione”, consentono di valutare il rischio sismico diun territorio, ossia la misura dei danni che, in base

al tipo di sismicità, di resistenza delle costruzioni edi antropizzazione (natura, qualità e quantità deibeni esposti), ci si può attendere in un dato inter-vallo di tempo. Ecco allora che, a partire da unaazione (lo scuotimento del terreno) che può provo-care un danno, è possibile anche individuare qualisiano gli elementi sui quali agire per ridurre gli ef-fetti: la resistenza delle costruzioni (vulnerabilità),le caratteristiche di utilizzo del territorio (esposi-zione). L’Italia ha una pericolosità sismica medio-alta (per frequenza e intensità dei fenomeni), unavulnerabilità molto elevata (per fragilità del patri-monio edilizio, infrastrutturale, industriale, produt-tivo e dei servizi) e un’esposizione altissima (perdensità abitativa e presenza di un patrimonio sto-rico, artistico e monumentale unico al mondo). Lanostra Penisola è dunque ad elevato rischio si-smico, in termini di vittime, danni alle costruzionie costi diretti e indiretti attesi a seguito di un ter-remoto. q

Per saperne di piùRischio sismicohttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/descrizione_sismico.wp

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Lo Stato, ma più in generale le istituzioni, agi-scono in vari modi per aumentare la sicurezzadella popolazione nei confronti del rischio sismico,attraverso:il miglioramento delle conoscenze sul feno-• meno, il monitoraggio del territorio e la valuta-zione del pericolo a cui è esposto il patrimonioabitativo, la popolazione e i sistemi infrastrut-turali (la viabilità, le reti elettriche, idriche, ga-sdotti, ferrovie, ecc.);

la riduzione della vulnerabilità ed esposizione• con azioni indirette (classificazione sismica,normativa per le costruzioni, micro zonazionesismica, pianificazione del territorio) e azionidirette (rafforzamento locale, miglioramento eadeguamento sismico delle costruzioni);intervenendo sulla popolazione con una co-• stante e incisiva azione di informazione e sen-sibilizzazione.

PREVENZIONEa cura di Sergio Castenetto e Angelo MasiPrevenire il possibile danno causato da unevento, qualunque esso sia, significa metterein atto una serie di azioni che consentano di evi-tarlo o almeno di ridurne le conseguenze. Tor-nando all’esempio dell’interrogazione scolastica,per ridurre le possibili conseguenze, ossia riuscirea prendere almeno una sufficienza, non posso certoagire sul pericolo, perché non posso influenzare ledecisioni del professore su chi interrogherà. Posso,però, studiare di più e quindi essere meno vulne-rabile o più furbescamente darmi malato nei giornidi interrogazione, riducendo la mia esposizione.Nel caso del terremoto, è possibile ridurre le sueconseguenze ma non annullare il rischio. L’evento(il terremoto), infatti, non è evitabile e la “perico-losità sismica” di un territorio è una caratteristica

fisica che non si può modificare. La prevenzione omeglio la riduzione degli effetti di un terremoto siottiene intervenendo sulle altre componenti del ri-schio: la predisposizione a subire un danno (vulne-rabilità) ed il valore di ciò che è esposto ad unpossibile danno (esposizione). Una efficace politica di prevenzione è fatta di re-gole e norme, ma soprattutto è basata su un mo-dello culturale nuovo nei confronti del terremoto.La prevenzione, infatti, essendo il rischio sismicoindissolubilmente legato alla presenza dell’uomo,richiede un rapporto consapevole e responsabiledell’uomo con il territorio in cui vive e in questa at-tività di prevenzione due sono gli attori principali:le istituzioni ed il cittadino, ciascuno dei qualisvolge un ruolo importante e interagisce con l’altro. COSA FA LO STATO PER AIUTARTI? Nel 2009, dopo il terremoto dell’Aquila, loStato ha avviato un piano nazionale per la prevenzione sismica, che prevedelo stanziamento alle Regioni di circa un miliardo di euro in sette anni con di-verse finalità:

indagini di microzonazione sismica, per individuare le aree che possono•amplificare lo scuotimento del terremoto;interventi di miglioramento sismico di edifici pubblici strategici e rile-•vanti;incentivi per interventi di miglioramento sismico di edifici privati.•

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Un ruolo molto importante hanno le attività distudio e ricerca. In particolare, per quanto ri-guarda l’ingegneria sismica, negli ultimi anni sononati in Italia centri di competenza come ReLUIS(Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Si-smica, www.reluis.it) ed EUCENTRE (www.eucen-tre.it), che svolgono studi e ricerche per conto delDipartimento della Protezione Civile (DPC) su te-matiche relative alla valutazione e riduzione dellavulnerabilità delle strutture esistenti (edifici in mu-ratura e in calcestruzzo armato e ponti), allo svi-luppo di criteri di progetto e verifica innovativiconcernenti le opere geotecniche (come dighe egallerie), alle nuove metodologie per la mitigazionedel rischio che utilizzano dispositivi e materiali in-novativi, alla gestione e pianificazione dell’emer-genza, al monitoraggio di strutture e infrastrutture,ecc.. Le ricerche sono basate su studi teorici e suestese campagne sperimentali effettuate presso iprincipali laboratori italiani di ingegneria sismicae sono finalizzate allo sviluppo di manuali applica-tivi, proposte di normativa e messa a punto di pro-cedure operative a supporto dell’azione del DPC.Gli studi sono un elemento di base importante perapplicare il concetto di prevenzione sismica, ma,perché ciò accada in modo concreto e diffuso, sononecessari tecnici competenti, politici lungimirantie, soprattutto, cittadini informati e consapevoli.Il Piano nazionale per la prevenzione

del rischio sismicoDopo il terremoto aquilano del 6 aprile 2009, loStato ha avviato un piano di interventi per lariduzione del rischio sismico, a livello nazionale,che prevede lo stanziamento di circa 965 milioni dieuro distribuiti su 7 anni. Per la prima volta, attra-verso un programma organico pluriennale, l’interoterritorio nazionale viene interessato da studi perla caratterizzazione sismica delle aree e da inter-venti per rendere più sicuri gli edifici pubblici e pri-vati. Novità assoluta del piano è la possibilità per icittadini di richiedere contributi economici per rea-lizzare interventi su edifici privati e non solo di be-

neficiare di detrazioni fiscali.La cifra di 963,5 milioni di euro, anche se cospicuarispetto al passato, rappresenta una minima per-centuale del fabbisogno necessario per il completoadeguamento sismico degli edifici pubblici e privatie delle infrastrutture strategiche. Tuttavia, il pianopuò avviare un processo virtuoso che porterà a undeciso passo avanti nella crescita di una culturadella prevenzione sismica da parte della popola-zione e degli amministratori pubblici.L’attuazione del piano è regolata attraverso or-dinanze del Presidente del Consiglio dei Mini-stri, che disciplinano l’uso dei contributi impiegatiper: studi di microzonazione sismica; • interventi di rafforzamento locale o migliora-• mento sismico o demolizione e ricostruzione diedifici ed opere pubbliche di interesse strate-gico per finalità di protezione civile. Sonoesclusi dai contributi gli edifici scolastici, og-getto di altri finanziamenti, ad eccezione diquelli che ospitano funzioni strategiche e sonoindividuati nei piani di emergenza di prote-zione civile; interventi strutturali di rafforzamento locale o• miglioramento sismico o di demolizione e rico-struzione di edifici privati; altri interventi urgenti e indifferibili per la mi-• tigazione del rischio sismico, con particolare ri-ferimento a situazioni di elevata vulnerabilitàed esposizione.I finanziamenti riguardano interventi di preven-zione del rischio sismico nei Comuni ad elevata pe-ricolosità sismica in cui la classificazione sismicaprevede una accelerazione al suolo ag non inferiorea 0,125g: in sostanza tutti i comuni che ricadono inZona 1 e 2, più una parte di comuni in zona 3, perun totale di oltre 3000 comuni.

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L’OPCM 3907 del 1 dicembre 2010 ha regolato l’uti-lizzo del contributi della prima annualità. L’OPCM4077 del 29 febbraio 2012 disciplina l’utilizzo deifondi dell’annualità 2011.Gli interventi previsti per l’annualità 2011, comeper l’annualità precedente, vengono attuati attra-verso programmi predisposti dalle Regioni e dalleProvince autonome, in base a strategie e prioritàche tengono conto delle caratteristiche territoriali.Tra gli strumenti di prevenzione sismica chemaggiormente possono incidere sulla salva-guardia delle persone e delle cose e che ha visto unsignificativo sviluppo e diffusione negli ultimitrent’anni, c’è sicuramente la microzonazione si-smica (MS).L’osservazione dei danni alle costruzioni e alleinfrastrutture spesso evidenzia differenze sostan-ziali anche a piccole distanze, oppure crolli e danninotevoli anche a grandi distanze dall’epicentro.Esempi di questo tipo si sono riscontrati in quasitutti i terremoti accaduti negli ultimi 100 anni. Si-curamente la qualità delle costruzioni può influiresulle differenze del danno, ma spesso le causevanno ricercate in una differente pericolosità si-smica locale, determinata da effetti di amplifica-zione del moto sismico o da instabilità del suolo.Tutto ciò è oggetto degli studi di MS, attraverso iquali è possibile individuare e caratterizzare le

zone stabili, le zone stabili suscettibili di amplifica-zione locale e le zone soggette a instabilità, qualifrane, rotture della superficie per faglie e liquefa-zioni dinamiche del terreno.Gli studi di MS forniscono dunque informazioniutili per il governo del territorio, per la progetta-zione, per la pianificazione per l’emergenza e perla ricostruzione post sisma.Altro elemento innovativo è la destinazione diparte dei contributi a interventi sull’ediliziaprivata, non utilizzati nella prima annualità, previ-sti obbligatoriamente per l’annualità 2011 in mi-sura minima del 20% e massima del 40% delfinanziamento assegnato alle Regioni, purché que-sto sia pari o superiore a 2 milioni di euro. Nell’an-nualità precedente (2010) solo la Regione Marcheha destinato parte dei fondi, circa 400.000 euro, ainterventi sull’edilizia privata.I cittadini possono richiedere contributi per gliinterventi di rafforzamento locale, miglioramentosismico, demolizione e ricostruzione sugli edificiprivati consultando i bandi dei propri comuni suglialbi pretori e sui siti web istituzionali. E’ compitodei comuni registrare le richieste di contributi deicittadini per poi trasmetterle alle regioni, che le in-seriscono in una graduatoria di priorità. Le richie-ste sono ammesse fino a esaurimento delle risorseripartite. q

Per saperne di più

Prevenzionehttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_ris.wp?contentId=RIS116

Piano nazionale per la prevenzione del rischio sismicohttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/piano_nazionale_prevenzione.wp

Microzonazione sismicahttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/microzonazione.wp

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Sulla base della frequenza ed intensità dei terre-moti del passato, tutto il territorio italiano èstato classificato in quattro zone sismiche che pre-vedono, nei comuni inseriti in elenco, l’applicazionedi livelli crescenti di protezione per le costruzioni(massima per la Zona 1). Zona 1. E’ la zona più pericolosa, dove in pas-sato si sono avuti danni gravissimi a causa diforti terremoti.Zona 2. Nei comuni inseriti in questa zona inpassato si sono avuti danni rilevanti a causa diterremoti abbastanza forti.Zona 3. I comuni inseriti in questa zona hannoavuto in passato pochi danni. Si possono averescuotimenti modesti.Zona 4. E’ la meno pericolosa. Nei comuni in-seriti in questa zona le possibilità di danni si-smici sono basse.Aciascuna zona è attribuito un valore di perico-losità sismica espressa in termini di accelera-zione al suolo ag che ha la maggior probabilità diessere superata in un dato intervallo di tempo, ingenere 50 anni. La classificazione del territorio èiniziata nel 1909, dopo il disastroso terremoto diReggio Calabria e Messina del 28 dicembre 1908,ed è stata aggiornata numerose volte fino all’at-tuale, disposta nel 2003 con Ordinanza del Presi-dente del Consiglio dei Ministri (n. 3274). In futuro,potrà subire nuove modifiche se il miglioramentodelle conoscenze renderà necessario un suo aggior-

namento.L’adozione della classificazione sismica del ter-ritorio spetta per legge alle Regioni. Ciascuna Re-gione, pertanto, ha pubblicato con un propriodecreto l’elenco dei comuni con l’attribuzione aduna delle quattro zone sismiche previste dall’Ordi-nanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n.3274/03. Per conoscere la zona sismica in cui èclassificato il territorio in cui si vive, ci si può quindirivolgere alla Regione o al Comune. Nei comuniclassificati sismici, chiunque costruisca una nuovaabitazione o intervenga su una abitazione esistente,modificando le parti strutturali (mura portanti,solai, travi, pilastri, tetto) è obbligato a farlo rispet-tando la normativa antisismica, cioè criteri parti-colari di progettazione e realizzazione degli edifici.Ciò è avvenuto già a partire dal 1909, quando fu-rono pubblicati i primi elenchi di comuni nei qualiper le nuove costruzioni era necessario applicarespecifiche norme.Apartire dal Testo Unico delle leggi emanate aseguito del terremoto calabro-messinese del1908 (T.U. 1399 del 1917) la normativa tecnica perle costruzioni da applicarsi in zona sismica si è evo-luta, per giungere alle più recenti disposizioni.Il principio sul quale si fonda la normativa vigente,è quello di prescrivere norme per le costruzioni taliche un edificio sopporti senza gravi danni i terremotimeno forti e senza crollare i terremoti più forti, sal-vaguardando prima di tutto le vite umane. Il che si-gnifica, in altri termini, garantire che un edificiocostruito con criteri antisismici non subisca dannisignificativi per i terremoti che con più frequenza

COSA DEVI SAPERE? In quale zona vivi. L’Italia è un Paese interamente sismico,ma il suo territorio è classificato in zone a diversa pericolosità. Chi costruisceo modifica la struttura di un’abitazione è tenuto a rispettare le norme sismichedella propria zona, per proteggere la vita di chi ci abita. Per conoscere la zonasismica in cui vivi e quali sono le norme da rispettare, rivolgiti agli uffici com-petenti della tua Regione o del tuo Comune.

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interessano l’area in cui ricade, mentre potrà subiredanni, anche gravi, solo per i terremoti di forte in-tensità (quelli più rari), senza però crollare. Pur danneggiandosi, un edificio antisismico saràin grado, quindi, di proteggere la vita di chi lo oc-cupa.Per garantire che l’edificio sopporti lo scuoti-mento del terremoto, le attuali Norme Tecni-che per le Costruzioni (DM 14 gennaio 2008;NTC08), entrate in vigore il 1 luglio 2009, preve-dono che per ogni costruzione ci si debba riferireper la definizione dell’azione sismica di cui tenereconto nei calcoli di progetto, ad una accelerazionedi “sito” individuata sulla base delle coordinategeografiche dell’area dove si deve realizzare l’operae in funzione della “ vita nominale” dell’opera, cioèdel numero di anni durante i quali una strutturadeve poter essere usata per lo scopo per cui è stataprogettata, generalmente pari o superiore a 50anni. Questo valore di pericolosità di base è statodefinito e reso disponibile per ogni punto del ter-

ritorio nazionale, su una maglia quadrata di 5 kmdi lato, indipendentemente dai confini amministra-tivi comunali (http://esse1-gis.mi.ingv.it/). La classificazione sismica (zona sismica di ap-partenenza del comune) e il relativo valore dipericolosità attribuito alle zone, dunque, non serveper la progettazione delle opere, ma è utile per lapianificazione e per il controllo del territorio daparte degli enti preposti (Regione, Genio Civile,ecc.).Per il cittadino sapere la zona sismica in cui ri-cade il comune dove abita è un’informazioneutile a comprendere livello di pericolosità sismicadell’area, ossia la possibilità che possa essere inte-ressata da terremoti e sulla loro forza. Spetta ai tec-nici esperti (ingegneri, architetti, geometri), nelrispetto delle norme tecniche per le costruzioni, oc-cuparsi della progettazione corretta di nuovi edificio della realizzazione di interventi sulle strutture diun edificio esistente per renderlo più sicuro in casodi terremoto. q

Per saperne di più

Classificazione sismicahttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/classificazione.wp

Normativa antisismicahttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/leg_rischio_sismico.wp

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La classificazione sismica del territorio e l’appli-cazione di norme e regole per le costruzioni,non ha ridotto ancora in modo significativo l’entitàdel rischio sismico in Italia. Il limite fondamentaledella prevenzione affidata alla sola applicazione delbinomio classificazione sismica - normativa è datodalla presenza in Italia di un consistente patrimo-nio edilizio storico, che caratterizza gran parte deicentri abitati e che spesso si presenta degradato epiù vulnerabile, senza contare il patrimonio edilizioabusivo, spesso concentrato proprio dove maggioreè il livello di rischio, che non offre certamente ga-ranzie di resistenza alle azioni sismiche. Il pro-blema è, dunque, avviare il recupero di questaedilizia in chiave antisismica, recupero che richiedela partecipazione diretta del cittadino, consapevoledelle caratteristiche di sismicità e del livello di ri-schio del territorio in cui vive. Questo modello cul-turale nuovo nei confronti del terremoto si devetradurre in una crescita della responsabilità indivi-duale, condizione indispensabile per una efficaceazione di prevenzione.E’ importante saperne di più sulla propria abi-tazione, ad esempio: conoscere l’età della co-struzione, il tipo di struttura (muri portanti ostruttura in cemento armato), i materiali di costru-zione impiegati, il tipo di interventi di ristruttura-zione realizzati, ecc. In sintesi le cose utili da sapere sono:I muri sono fatti:di cemento armato, di mattoni o di grandi• pietre regolari ed ordinate

di mattoni o di pietre regolari e ordinate,• con catenedi pietre piccole, irregolari e disordinate•Tetto e solai sono:di cemento armato• in legno, a volta o in travi di ferro•la casa è:nuova o costruita di recente e progettata da• un tecnicoabbastanza vecchia, costruita tra i primi• anni del ‘900 e gli anni cinquanta molto vecchia o antica, costruita prima del• ‘900solaio, tetto e muri sono:nuovi, oppure sono stati rifatti o riparati• vecchi, ma parzialmente rifatti e tenuti• sotto controllovecchi e nessuno si è mai preoccupato di• verificare in che stato sianoQualora il cittadino non sappia rispondere oabbia dei dubbi è importante che si rivolga adun tecnico specializzato per saperne di più. Solotecnici esperti possono dare un giudizio sulla qua-lità delle costruzioni e sulle caratteristiche di resi-stenza di un edificio alle azioni sismiche. q

LA SICUREZZA DELLA TUA CASA. È importante sapere quando e come èstata costruita la tua casa, su quale tipo di terreno, con quali materiali. E so-prattutto se è stata successivamente modificata rispettando le norme sismi-che. Se hai qualche dubbio o se vuoi saperne di più, puoi rivolgerti all’ufficiotecnico del tuo Comune oppure a un tecnico di fiducia.

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Iproblemi descritti sugli edifici esistenti possonoessere affrontati adeguatamente, per quellinuovi, già in fase di progettazione. Realizzare edificinuovi “poco” vulnerabili (anche se l’invulnerabilitàè un mito) è abbastanza semplice e non comportacosti elevati: basta rispettare poche regole conte-nute nelle norme tecniche per le costruzioni inzona sismica. Tuttavia, tenuto conto delle caratte-ristiche del patrimonio edilizio italiano, in cui sonopresenti molti edifici antichi ma soprattutto vecchi,molti edifici costruiti senza regole antisismichenegli anni ’50, ’60 e ’70 e, dunque, anche piuttosto“stanchi”, possiamo dire che la vera sfida che ab-biamo davanti per la riduzione del rischio sismicoè la messa in sicurezza degli edifici esistenti, pub-blici e privati. Costruzioni realizzate dopo l’entrata in vigoredella classificazione sismica e quindi soggetteal rispetto delle norme è molto probabile che sianosismicamente protette, che siano state costruite,cioè, nel rispetto delle norme, in vigore già dal 1909per alcune zone d’Italia. Ciò non toglie che, in as-senza di controlli o a seguito di ristrutturazioni ir-regolari, le caratteristiche di resistenza dellacostruzione possono essere venute meno. Quindi,in tutti i casi, per fare la scelta giusta è importanteaffidarsi ad un tecnico di fiducia, sia per una valu-tazione delle caratteristiche dell’edificio sia perfarsi consigliare su eventuali interventi, che inmolto casi possono essere anche semplici e pococostosi. Molto importante è rivolgersi a professio-nisti che siano esperti di ingegneria sismica. Nelcampo delle costruzioni ciò spesso non accade,contrariamente a quanto accade in ambito sanita-rio: si cerca sempre un bravo medico ma nessunapersona di buon senso si sognerebbe, avendo pro-

blemi ad un ginocchio, di andare da un dermato-logo invece che da un ortopedico.Operare su edifici esistenti significa anzituttovalutarne la vulnerabilità sismica attuale. Taleoperazione di diagnosi è spesso sottovalutata o,anche in questo caso, affidata a mani poco esperte.Mentre nessuno di noi si sognerebbe di fare ancheuna banale otturazione ad un dente senza essersiprima sottoposti a radiografie ed altre analisi, nelvalutare la sicurezza della propria casa questo ingenere non accade: le indagini vengono viste comeun fastidio che si cerca di evitare o limitare al mas-simo. Al contrario, le indagini e la conseguente va-lutazione della vulnerabilità sono fondamentali percapire quali siano le cause che determinano la de-bolezza dell’edificio e, di conseguenza, cosa si puòfare per ridurla individuando quello che è real-mente necessario. Ciò eviterà sia di fare meno diquanto è necessario per salvaguardare la nostravita e quella della nostra famiglia, sia più del neces-sario per salvaguardare ….il nostro “portafoglio”. Ad esempio, per gli edifici in muratura, molto dif-fusi nei centri storici e nelle zone rurali, se il mate-riale delle pareti è di cattiva qualità bisognaintervenire per migliorare tale qualità ma, qualoraanche i solai non siano idonei (ad es. solai con volteo in legno), senza intervenire anche su di essi nonsi riuscirebbe a ridurre significativamente la vulne-rabilità. Per gli edifici con struttura in cemento ar-mato, ossia i grandi fabbricati molto diffusi nellezone urbane più recenti, è importante guardare allaqualità dei materiali (calcestruzzo e acciaio), ai par-ticolari costruttivi (ad es. come sono disposte lebarre di acciaio all’interno di pilastri e travi), e allecaratteristiche generali della struttura (forma re-golare o irregolare, presenza e posizione delle tam-

COSA DEVI FARE PER LA TUA SICUREZZA? Con il consiglio di un tecnico. Avolte basta rinforzare i muri portanti o migliorare i collegamenti fra pareti esolai: per fare la scelta giusta, fatti consigliare da un tecnico di fiducia.

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ponature esterne, ecc.). Gli interventi che si pos-sono fare per ridurre la vulnerabilità sono tanti edi tipo diverso in termini di obiettivo, tecnica e tec-nologia. Per quanto riguarda l’obiettivo, la ridu-zione della vulnerabilità può essere “totale” oparziale: interventi di adeguamento sismico finaliz-• zato a dare all’edificio lo stesso livello di si-curezza previsto per gli edifici nuovi dallenorme tecniche vigenti;interventi di miglioramento sismico finaliz-• zati ad aumentare la sicurezza strutturaleesistente, pur senza necessariamente rag-giungere i livelli richiesti dalle norme vi-genti;riparazioni o interventi locali di rafforza-•mento che interessino elementi isolati, e checomunque comportino un miglioramento

delle condizioni di sicurezza preesistenti.Per quanto riguarda il tipo di intervento, le pos-sibilità sono numerose. Ecco alcune indicazionitratte dalle attuali norme tecniche italiane:rinforzo di alcune parti della struttura (pila-• stri, travi, ecc.);aggiunta di nuovi elementi resistenti come, ad• esempio, pareti in c.a. o controventi in acciaio;saldatura o ampliamento di giunti inadeguati• tra edifici adiacenti o inserimento di materialiatti ad attenuare gli urti;eliminazione di eventuali piani “deboli” come• il piano terra aperto attraverso la modifica ol’inserimento di nuovi elementi strutturali;trasformazione di elementi non strutturali,• come la tamponature in laterizio, in elementistrutturali, ad esempio inserendo una incami-

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ciatura in c.a.;riduzione delle masse, ad esempio eliminando• una copertura pesante e sostituendola conmateriali leggeri come il legno;limitazione o cambiamento della destinazione• d’uso dell’edificio;demolizione parziale.• introduzione di una protezione passiva me-• diante strutture di controvento dissipative e/oisolamento alla base.Gli interventi devono ottenere il risultato di farcrescere il rapporto tra la resistenza sismicadell’edificio (capacità) e l’azione del terremoto (do-manda): gli interventi da 1. a 5. mirano essenzial-mente a far crescere la capacità, quelli da 6. a 8. afar diminuire la domanda, l’intervento tipo 9. operasu entrambi i fattori. Come si vede si tratta di solu-zioni tecniche diverse, da affidare a professionistiesperti che possano garantirne una applicazione“intelligente” in modo da ottenere il migliore risul-tato possibile in termini di efficacia tecnica e di ef-ficienza economica. q

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Non tutti gli interventi che aumentano la sicu-rezza all’interno della casa in cui abitiamo ri-chiedono il coinvolgimento di un tecnico o hannobisogno di tempi lunghi di realizzazione e costi eco-nomici. Il primo passo è guardarsi intorno e iden-tificare nella nostra abitazione tutto ciò che in casodi terremoto può trasformarsi in un pericolo. Lamaggioranza delle persone pensa che le vittime diun terremoto siano provocate dal crollo degli edi-fici. In realtà, molte delle vittime sono ferite da og-getti che si rompono o cadono su di loro, cometelevisori, quadri, specchi, controsoffitti. Alcuni ac-corgimenti poco costosi e semplici possono ren-dere più sicura la nostra casa. Ad esempio:Allontanare mobili pesanti, come le librerie, da• letti o divani o posti dove normalmente ci si ri-posa o ci si siede;

Fissare alle pareti scaffali, librerie e altri mobili• alti; appendere quadri e specchi con gancichiusi, che impediscano loro di staccarsi dallaparete.Porre gli oggetti pesanti sui ripiani bassi delle• scaffalature e fissare gli oggetti sui ripiani alticon del nastro biadesivoIn cucina, utilizzare un fermo per l’apertura• degli sportelli del mobile dove sono contenutipiatti e bicchieri, in modo che non si aprano du-rante la scossaImparare dove sono e come si chiudono i rubi-• netti di gas, acqua e l’interruttore generale dellaluce.Individuare i punti sicuri dell’abitazione, dove• ripararsi in caso di terremoto: i vani delle porte,gli angoli delle pareti, sotto il tavolo o il letto.

DA SOLO, FIN DA SUBITO

Allontana mobili pesanti da letti o divani.•Fissa alle pareti scaffali, librerie e altri mobili alti; appendi quadri e specchi•con ganci chiusi, che impediscano loro di staccarsi dalla parete.Metti gli oggetti pesanti sui ripiani bassi delle scaffalature; su quelli alti,•puoi fissare gli oggetti con del nastro biadesivo.In cucina, utilizza un fermo per l’apertura degli sportelli dei mobili dove•sono contenuti piatti e bicchieri, in modo che non si aprano durante lascossa.Impara dove sono e come si chiudono i rubinetti di gas, acqua e l’interrut-•tore generale della luce.Individua i punti sicuri dell’abitazione, dove ripararti in caso di terremoto:•i vani delle porte, gli angoli delle pareti, sotto il tavolo o il letto.Tieni in casa una cassetta di pronto soccorso, una torcia elettrica, una radio•a pile, e assicurati che ognuno sappia dove sono.Informati se esiste e cosa prevede il Piano di protezione civile del tuo Co-•mune: se non c’è, pretendi che sia predisposto, così da sapere come com-portarti in caso di emergenza.Elimina infine tutte le situazioni che, in caso di terremoto, possono rappre-•sentare un pericolo per te o i tuoi familiari.

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Tenere in casa una cassetta di pronto soccorso,• una torcia elettrica, una radio a pile, e assicurasiche ognuno sappia dove sono.Informarsi se esiste e cosa prevede il Piano di• protezione civile comunale: se non c’è, preten-dere che sia predisposto, così da sapere comecomportarsi in caso di emergenza.Il piano di protezione civile comunaleUn piano di protezione civile non è altro che ilprogetto di tutte le attività coordinate e ditutte le procedure che dovranno essere adottateper fronteggiare un evento calamitoso atteso in undeterminato territorio, in modo da garantire l’effet-tivo ed immediato impiego delle risorse necessarieal superamento dell’emergenza ed il ritorno allenormali condizioni di vita. Il Piano di protezione ci-vile o piano di emergenza è il supporto operativoal quale il Sindaco si riferisce per gestire l’emer-genza col massimo livello di efficacia.Il Piano deve rispondere alle domande:a) quale eventi calamitosi possono ragionevol-mente interessare il territorio comunale?b) quali persone, strutture e servizi ne sarannocoinvolti o danneggiati?c) quale organizzazione operativa è necessariaper ridurre al minimo gli effetti dell’evento conparticolare attenzione alla salvaguardia dellavita umana?d) a chi vengono assegnate le diverse responsa-bilità nei vari livelli di comando e controllo perla gestione delle emergenze? Il Piano di emergenza è dunque uno strumento dilavoro tarato su una situazione verosimile sullabase delle conoscenze scientifiche dello stato di ri-schio del territorio, utile a dimensionare preventi-vamente la risposta operativa necessaria alsuperamento della calamità con particolare atten-

zione alla salvaguardia della vita umana: quanti uo-mini, quali strutture di comando e controllo, qualistrade o itinerari di fuga, quali strutture di ricovero,aree sanitarie, etc.Le aree di emergenzaAree destinate, in caso di emergenza, ad uso diprotezione civile. Esse devono essere preven-tivamente individuate nella pianificazione di pro-tezione civile e possono essere di tre tipi:

Aree di ammassamento soccorritori e ri-1sorse. Luoghi, in zone sicure rispetto alle di-verse tipologie di rischio, dove dovrannotrovare sistemazione idonea i soccorritori e lerisorse necessarie a garantire un razionale in-tervento nelle zone di emergenza. Tali aree do-vranno essere facilmente raggiungibiliattraverso percorsi sicuri, anche con mezzi digrandi dimensioni, e ubicate nelle vicinanze dirisorse idriche, elettriche e con possibilità dismaltimento delle acque reflue. Il periodo dipermanenza in emergenza di tali aree è com-preso tra poche settimane e qualche mese.Aree di attesa della popolazione. Sono i luo-2 ghi di prima accoglienza per la popolazione;possono essere utilizzate piazze, slarghi, par-cheggi, spazi pubblici o privati non soggetti a ri-schio (frane, alluvioni, crollo di struttureattigue, etc.), raggiungibili attraverso un per-corso sicuro. Il numero delle aree da scegliereè funzione della capacità ricettiva degli spazi di-sponibili e del numero degli abitanti. In tali areela popolazione riceve le prime informazioni sul-l’evento e i primi generi di conforto. Le Aree diAttesa della popolazione saranno utilizzate perun periodo di tempo compreso tra poche ore equalche giorno.Aree di accoglienza o di ricovero della popo-3lazione. Sono luoghi, individuati in aree sicurerispetto alle diverse tipologie di rischio e postenelle vicinanze di risorse idriche, elettriche e fo-

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gnarie, in cui vengono installati i primi insedia-menti abitativi per alloggiare la popolazionecolpita. Dovranno essere facilmente raggiungi-bili anche da mezzi di grandi dimensioni perconsentirne l’allestimento e la gestione. Rien-trano nella definizione di aree di accoglienza odi ricovero anche le strutture ricettive (hotel,residence, camping, etc.). q

Per saperne di più

Cosa farehttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/cosa_fare_sismico.wp

Piani di emergenzahttp://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/piano_emergenza.wp

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PARTE TERZA: COME COMUNICARE

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TECNICHE DI COMUNICAZIONE: STORyTELLINGa cura di Riccardo Rita

“Ho imparato”, disse il filosofo, “che la testa nonsente niente che il cuore non abbia già ascoltato, eche quel che il cuore sa oggi, la testa lo compren-derà domani”.(James Stephens, La pentola dell’oro, Adelphi)

IntroduzioneQualche tempo fa mi trovavo a un convegno or-ganizzato dal Ministero dei Beni culturali. Sidiscuteva delle strategie di comunicazione da adot-tare per far conoscere meglio ai cittadini la ric-chezza del nostro patrimonio storico e culturale.Dopo una serie di interventi molto tecnici (e altret-tanto noiosi) basati su statistiche, percentuali eslide che riportavano una serie di dati e numeri im-pilati gli uni sugli altri, prese la parola un dirigentedi un certo progetto per la valorizzazione dei polimuseali d’eccellenza. “Eravamo andati in missione a Palermo per unsopralluogo al Museo Antonio Salinas”, at-taccò il dirigente. “Il Salinas – continuò – è tra i piùimportanti poli archeologici del nostro Paese e pos-siede, oltre a numerose testimonianze della storiasiciliana, una delle più ricche collezioni d’arte pu-nica e greca d’Italia. Viaggiavamo in automobile ecercavamo di destreggiarci tra le vie del centro cer-cando di intuire le indicazioni di un navigatore sa-tellitare che perdeva continuamente laconnessione. Arrivati a uno spiazzo, dopo aver fattotre o quattro giri dello stesso isolato senza riuscirea raccapezzarci, ci siamo accostati per chiedere in-formazioni a un parcheggiatore abusivo che si ri-parava dal sole in un angolo ombreggiato della via.Gli chiedemmo se cortesemente poteva indicarci lastrada per il Museo Salinas. L’uomo alzò le spalle eci rispose che non l’aveva mai sentito nemmeno no-minare. Alla nostra insistenza cominciò a scuotere

la testa. Disse che sicuramente da quelle parti nonc’era nessun museo, perché lui a Palermo c’era natoe in quella via ci lavorava ogni giorno da vent’anni.È inutile che vi dica che, come si scoprì solo in se-guito, mentre noi discutevamo, l’entrata del museosi trovava esattamente dove si era sempre trovata,anche negli ultimi vent’anni: ovvero alle spalle delparcheggiatore”.Questa storia non solo aveva catturato l’atten-zione di tutti, facendoci fare anche qualche ri-sata, ma conteneva più sostanza di tutti quegliinterminabili grafici pieni di numeri. Con una nar-razione basata sulla propria esperienza personale,quel dirigente aveva messo a nudo il problema:buona parte del patrimonio culturale e artistico delnostro paese è pressoché sconosciuto alle persone,perfino quelle che ci lavorano davanti da vent’anni.E questa informazione, a differenza dei precedentiinterventi, c’era giunta attraverso un’emozione,non attraverso un’analisi. Avevamo appena assi-stito a un brillante esempio dell’uso delle tecnichedi storytelling. La cui peculiarità è proprio quella difar passare le informazioni attraverso un processoemozionale.Da dove vieneIl termine storytelling non è così facile da tra-durre dall’inglese come potrebbe sembrare aprima vista. Generalmente viene tradotto con nar-

razione; altre, più liberamente, con l’arte di raccon-tare. Ciascuna di queste traduzioni, seppure

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funzionale, rinuncia alla ricchezza di sfumature checaratterizza il verbo to tell. Che non significa solonarrare, ma anche distinguere, dedurre, spiegare.Tre sfumature di significato che possono aiutarci acomprendere perché questa disciplina sia divenutauna tecnica di comunicazione sempre più fonda-mentale in quei campi che prevedano un’intera-zione diretta con le persone. Infatti distinguere,dedurre e spiegare sono le fasi basilari di ogni atti-vità analitica, pedagogica, educativa e comunica-tiva. Lo storytelling applicato al mondo dellacomunicazione, sviluppato soprattutto negli StatiUniti, è arrivato in Europa principalmente attra-verso le tecniche adoperate nella politica e nelmondo del business. Il motivo è semplice: ci si è ac-corti che è un potente mezzo per influenzare le per-sone. Anche qui l’italiano non ci aiuta. Nella nostralingua, influenzare qualcuno di solito significa con-dizionarlo, pertanto tendiamo ad associare questotermine a un’accezione negativa. In inglese inveceil verbo to influence non ha niente di negativo e si-gnifica, piuttosto, influire, lasciare il segno. E in unmondo in cui è sempre più difficile catturare l’at-tenzione delle persone e coinvolgerle in un realeprocesso di condivisione, riuscire a lasciare il segnodiventa essenziale.

Che cos’èPossiamo definire lo storytelling come un parti-colare insieme di modalità comunicative ba-sate sull’utilizzo di forme narratologiche.Semplificando, lo storytelling definisce alcune re-gole base per comunicare in un modo che, oltre aessere chiaro, sia anche coinvolgente – e queste re-gole non le inventa, ma le va a pescare pari pari dal-l’antica arte di raccontare storie. La narrazione haorigini ancestrali, ci ha accompagnato per decinedi millenni nel corso di tutta la nostra evoluzione.Raccontare storie serve a condividere esperienze,in modo che non sia necessario vivere in prima per-sona, per fare un esempio pertinente, una situa-zione pericolosa per conoscere il modo corretto di

agire per cavarsela. In questo senso, la narrazioneha rappresentato – e continua a rappresentare – unpotente vantaggio evolutivo.La differenza tra storytelling e informazioneSe raccontare storie serve a condividere espe-rienze e avvenimenti utili, che differenza passatra fare informazione e fare storytelling? Risposta:la stessa differenza che, nell’introduzione, passavatra le presentazioni di interminabili elenchi nume-rici e la storia raccontata dal dirigente. Ma atten-zione: tra le due esiste una connessione: sia i datisia la storia raccontano la stessa cosa e, strana-mente, ciascuna può essere vista come approfon-dimento e complemento dell’altra. Quando si parladi informazione, in Italia le prime due cose che civengono in mente sono ancora i quotidiani e i tele-giornali. Tra questi ultimi, il TG5 di Enrico Mentananei primissimi anni ’90 fu il primo a introdurre ele-menti narratologici che contribuirono a renderlouno dei telegiornali più seguiti e apprezzati del-l’epoca. Invece di proporre ai telespettatori unaserie di notizie selezionate ed elencate solo in baseall’importanza, come accadeva negli altri TG, si co-minciò a preparare una scaletta che fosse coerenteanche da un punto di vista narrativo, di modo che,per quanto possibile, ogni notizia fosse conse-

guenza della precedente o perlomeno stabilisse conessa un legame per affinità o associazione di idee.Questo legame narrativo era enfatizzato – e talvoltacreato di sana pianta – dal conduttore, che venivacosì ad acquisire elementi da storyteller, abbando-nando la postura istituzionale e un po’ ingessatache aveva caratterizzato la conduzione dei telegior-nali fino a quel momento.Quando usarloOgni volta che desideriamo stabilire un canaledi comunicazione con una o più persone. Lostorytelling, più che essere un insieme di tecniche,è una modalità attraverso cui stabilire una rela-zione con gli individui cui ci rivolgiamo. Questa re-

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lazione si crea grazie a una specifica comunanza:ogni essere umano possiede nel proprio bagaglioculturale (e probabilmente anche genetico) il re-taggio dei millenni passati ad ascoltare storie at-torno al fuoco. Ognuno di noi racconta storie,costantemente, da quando è nato. Il giorno ai col-leghi, la sera agli amici o alla famiglia, raccontandocom’è andata la giornata. Raccontare e ascoltare faparte di noi, e quando qualcuno si pone nei nostriconfronti in modalità narrativa ci predisponiamoquasi sempre con un grande e istintivo interesse. Edopo che la persona in questione ci ha raccontatola sua storia, avvertiamo con lei un legame, comese averla ascoltata, in qualche modo, ci rendesse co-protagonisti di quella particolare vicenda (feno-meno spiegato scientificamente con la scoperta deineuroni-specchio). Avere una modalità narrativaconsente di utilizzare questa naturale predisposi-zione delle persone (predisposizione non altret-tanto diffusa se la modalità è semplicementeinformativa).

Come utilizzare la modalità narrativadelle tecniche di storytellingCome abbiamo visto, tutti raccontiamo costan-temente episodi, aneddoti, storie, esperienze.Quindi ciascuno di noi possiede, senza magari es-serne consapevole, delle doti da storyteller. Un po’come succede con la musica: non serve conoscerel’armonia musicale per fischiettare sotto la doccia,come non ci occorre conoscere il nome di una notao la tonalità di una composizione per accorgersi diuna stonatura. Allo stesso modo ciascuno di noi sariconoscere una storia raccontata bene o un mes-saggio comunicato efficacemente, senza dover es-sere per forza narratologi o copywriterpubblicitari. In modo ancora più preciso riusciamoa capire quando il nostro interlocutore non è sin-cero, non è egli stesso interessato o non crede nelmessaggio che vuole trasmetterci. Questa informa-zione passa attraverso una serie di indicatori che,presi a uno a uno, hanno a che fare con la postura,col tono di voce, con lo sguardo, con i gesti e i mi-

cromovimenti dei muscoli facciali; ma se li pren-diamo nel loro insieme, qui ci basta sottolineareche hanno a che fare con la mancanza di autenticità. AutenticitàLa prima regola da rispettare è essere sempreautentici. Questo accade quando siamo con-vinti e sicuri di quello che stiamo comunicando equando le motivazioni che ci spingono a farlo risie-dono nel desiderio sincero di essere utili nel ri-spetto della libertà dell’interlocutore (che hasempre il diritto di non ascoltarci). Ciò si traducein un desiderio di stabilire un canale comunicativobiunivoco che consente, all’interlocutore, di intera-gire con chi comunica. Inoltre, la narrazione nondeve mai tentare di nascondere eventuali zoned’ombra dell’informazione: sarebbe percepitocome manipolatorio. ReciprocitàCome abbiamo visto, l’approccio narrativo allacomunicazione mira a stabilire una relazionetra chi parla e chi ascolta. Questa relazione deve es-sere basata sull’etica della reciprocità: se il nostrointerlocutore decide di donarci parte del suotempo, noi dobbiamo fare altrettanto, restando pie-namente concentrati su di lui per il tempo necessa-rio. Basta distogliere lo sguardo un attimo persalutare un collega per spezzare questo implicitopatto di reciprocità. Se il comunicatore si appas-siona alla costruzione della relazione comunicativacon l’interlocutore, quest’ultimo tenderà a lasciarsicoinvolgere e ingaggiare nel processo, massimiz-zando la possibilità che diventi in seguito eglistesso parte attiva nella diffusione del messaggio.

Mai spingere, ma sempre attirareTutte le modalità che tendono a esercitare unaforma di pressione sulle persone vengono per-cepite come sgradevoli. Al contrario, le modalità

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che tendono ad attirare gradualmente l’attenzionedelle persone sono percepite come oneste e rispet-tose. Le scuole di business management e comuni-cazione d’impresa distinguono tra push-strategy epull-strategy. Le prime tendono a obbligare le per-sone all’interno di un processo prestabilito; le se-conde mirano a farle aderire spontaneamente a unprocesso che sia il più possibile condiviso. In unprocesso comunicativo queste strategie si incar-nano in un mero trasferimento delle informazioni(push-strategy) e nell’instaurazione di una rela-zione, anche umana, capace di invogliare l’interlo-cutore a saperne di più o perfino a impegnarsi inprima persona (pull-strategy).

FiduciaQuando ci si pone nei confronti di qualcuno inmodo autentico, dedicandogli la nostra più at-tiva e presente attenzione attraverso un processobasato su una pull-strategy, di fatto si crea con luiun rapporto di fiducia. Ciò che va assolutamentenotato è che la fiducia non viene emanata dal co-municatore, ma dal che cosa e (soprattutto) dalcome egli lo comunica. La modalità narrativa con-sente di illuminare le persone che ci ascoltano conla luce della fiducia. I più influenti esperti statuni-tensi di storytelling si spingono addirittura a defi-nirla faith, fede. È la luce emanata dalla storia (o piùgeneralmente dal processo di comunicazione nar-rativo) che si riverbera sull’oratore conferendogliun’aura di affidabilità. (Di nuovo, gli americaniusano un termine più forte: dicono che la modalitànarrativa è capace di rendere trustworthy l’oratoreagli occhi dell’ascoltatore. Trustworthy significa, sì,affidabile, ma anche leale, attendibile, degno di fidu-cia). È importante comprendere questo punto. Sipotrebbe obiettare che, indipendentemente daquello che dicono, alcune persone vengono istinti-vamente percepite come più o meno affidabili dellealtre. Non mi soffermerò a cavillare sul fatto chequalsiasi percezione, anche quella che talvolta de-finiamo “a pelle”, si fonda su dei precisi, per quanto

sottili, processi comunicativi. Mi limiterò a sottoli-neare che la comune disposizione ad accordare fi-ducia può dipendere da molti differenti fattori,alcuni dei quali attinenti a eventuali pregiudizi.Ascoltate questa:“Nell’ottobre del 1992, circondata da altre quat-

trocento persone, sedevo in un freddo tendone neipressi di Jonesborough, nel Tennessee, aspettando diascoltare il prossimo storyteller. Le persone presentiandavano dal ricco al povero, dal cittadino al cam-pagnolo, dal professore universitario al lavoratorecon appena la licenza elementare. Accanto a me se-deva un agricoltore dalla lunga barba grigia cheostentava una spilletta della NRA [National Rifle As-sociation, L’associazione dell’ultradestra americanapro armi da fuoco] infilata sul cappello. Quando sulpalco un uomo afroamericano prese la parola, l’agri-coltore si voltò verso la moglie sussurrandole qual-cosa con un tono irritato, qualcosa che includeva laparola “negro”. Mentalmente, lo sfidai immediata-mente a ripeterlo. Ma lui si limitò a incrociare lebraccia cominciando a esaminare la struttura deltetto del tendone. Lo storyteller afroamericano iniziòa raccontare la storia di una notte trascorsa nelcuore più profondo dello stato del Mississippi. Eranogli anni sessanta. Lui e altri sei attivisti si erano ac-campati nel buio della campagna e non riuscivano anon pensare ai rischi che avrebbero corso l’indo-mani, durante una dimostrazione contro la segrega-zione razziale. Raccontò di come fissavano il fuocoin silenzio e di come uno di loro a un tratto incomin-ciò a cantare e con quel canto riuscì ad alleggerire ilcuore di tutti. La sua storia era talmente reale cheriuscivamo a percepire la stessa paura e a vedere lastessa luce scoppiettante di quel fuoco da campo.D’un tratto ci chiese di cantare insieme a lui. Lo fa-cemmo. Quattrocento gole umane che vibravanoall’unisono sulle note di Swing Low, Sweet Chariotcome un immenso organo a canne. Accanto a me,anche l’agricoltore cantava. E vidi una lacrima chegli scendeva giù, lungo la guancia. Ero appena statatestimone della potenza di una storia. Se un attivista

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afroamericano poteva riuscire a toccare il cuore diun agricoltore ultraconservatore e razzista, beh, vo-levo imparare a riuscirci anch’io”.Araccontare questa sua esperienza, che dimo-stra da dove provenga la fiducia, è stata An-nette Simmons, che da quel giorno cominciò astudiare assiduamente lo storytelling fino a diven-tare uno dei massimi esperti mondiali della mate-ria. Qualsiasi altra modalità comunicativa moltoprobabilmente non sarebbe riuscita ad attiraredapprima l’attenzione e infine stabilire un realecontatto tra due realtà umane tanto diverse. L’agri-coltore, a causa del suo retaggio culturale e sociale,sulle prime non ha ritenuto degno di fiducia l’ora-tore afroamericano, cominciando perfino a fissareil soffitto mentre quello parlava. Ma la modalitànarrativa è uno strumento potente: riesce a com-piere il miracolo dell’immedesimazione. Nessunodi solito si immedesima in un grafico o in una ta-bella. Ma tutti ci possiamo identificare con i prota-gonisti di una storia.

Di cosa parliamo quando parliamo di storieOvviamente quando parliamo di storie lo fac-ciamo in senso lato. Uno spot pubblicitario èuna storia. Una canzone è una storia. Una brochure,un sito web, un volantino – se sono ben fatti – rac-contano, talvolta letteralmente, una storia. La mo-dalità narrativa può essere utilizzata con profittoin ogni attività comunicativa. Il modo in cui un vo-lontario si pone nei confronti di un cittadino che siavvicina, racconta una storia; le parole che sceglie,il tono di voce, le azioni che compie e perfino la po-stura che assume – raccontano una storia. Se par-lando con i miei interlocutori tengo la punta delledita nelle tasche dei jeans, quest’ultimi vedranno lastoria di una persona che non ha voglia di farequello che sta facendo e che, probabilmente, vor-rebbe essere in qualunque altro posto trannequello. Se invece sposta continuamente lo sguardoaltrove, l’interlocutore immaginerà una storia in cui

l’oratore sta pensando ad altro, oppure una storiain cui, mentre parla con la gente, l’oratore non puòfare a meno di lanciare occhiate alla ragazza che glipiace mentre flirta proprio con il tizio che gli sta piùantipatico. Insomma, indipendentemente da quelloche diciamo, il nostro interlocutore si costruirà unasua storia basata su ciò che stiamo realmente co-municando con tutto il nostro essere. E solo sequello che stiamo comunicando è una narrazione –qualcosa che raccontiamo con autenticità, presenza(reciprocità) e rispetto (pull- strategy) – la storiache si costruisce l’ascoltatore sarà identica a quellache noi gli stiamo raccontando.I sei tipi di storieLe storie (sempre in senso molto ampio) cheraccontiamo quando agiamo in un processo co-municativo possono essere, sostanzialmente, di seitipi diversi:

Le storie che dicono “Chi sono”1 (Who I am stories)Le storie che dicono “Perché2 sono qui” (Why I am here sto-ries)Le storie che raccontano una “Vi-3 sione” (The vision stories)Le storie pedagogiche (Teaching4 stories)Le storie che mostrano i “Valori5 in azione” (Values-in-action sto-ries)Le storie che leggono nella6 mente (I know what are you thin-king stories)

Naturalmente si tratta di una semplificazione, equel che accade nella realtà è che molto spesso que-ste tipologie si intrecciano creando narrazionimolto articolate e complesse. Si può dire chequanto più le tipologie sono intrecciate, tanto più

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il processo comunicativo risulta completo. Invecedi elencare una descrizione analitica per ciascunadelle sei tipologie, preferisco utilizzare un processomaieutico capace di farci comprenderne l’essenzae le infinite sfaccettature. Cominciamo analizzandola prima delle due storie raccontate: quella sulMuseo Salinas di Palermo, e proviamo a ricostruirela tipologia “Chi sono” intrecciata nella narrazione.Il dirigente non lo ha detto, ma noi possiamo conbuona approssimazione inferire che si tratta di unapersona scrupolosa, che crede nel suo lavoro, pro-babilmente dotata di intuizione, senso dell’umori-smo e di una buona capacità di osservazione e disintesi. Per quanto riguarda il “Perché sono qui”possiamo immaginare a buon diritto che si trovasselà perché credeva che lo stato di ignoranza (insenso tecnico) di gran parte dei cittadini nei con-fronti delle ricchezze storiche e culturali del pro-prio territorio fosse intollerabile e bisognasse porvirimedio. Non è nemmeno difficile individuare la ti-pologia pedagogica (la morale potrebbe essere: senon vivi più a fondo la tua città e il tuo quartiere ri-schi di non sapere nemmeno quel che ti sta allespalle… oppure: un Paese che non sa guardarsi at-torno, finisce per non saper nemmeno più guardareavanti… etc.), mentre è più difficile individuare lavisione (nella realtà, la visione arrivò dopo, versola fine dell’intervento, che io naturalmente ho tra-lasciato), i valori-in-azione e la lettura della mente.(Su quest’ultima vale la pena specificare che sitratta di un modo originale per indicare quelle sto-rie in cui l’ascoltatore ha la sensazione che l’inter-locutore gli abbia letto nel pensiero; quelle storieche ti fanno esclamare: “ecco, lo vedi, lo dico sem-pre!”, oppure: “accidenti quanto è vero!”, etc.)Combinazione vuole che le tipologie mancantinella prima storia siano invece fondanti dellaseconda. Non è difficile, infatti, individuare nellastoria dell’agricoltore razzista i valori in azione:sono quelli della condivisione, della concordia e co-munanza pur tra persone diversissime tra loro. Allostesso modo, l’aspetto pedagogico si evince dall’in-

sieme della narrazione: i pregiudizi sono false so-vrastrutture che una modalità comunicativa basatasull’autenticità, la reciprocità e il rispetto può farcrollare in pochi minuti. La visione, infine, è incar-nata dalla stessa pratica dello storytelling, cheviene presentata come un mezzo capace di realiz-zare quel che altrove viene considerata un’utopia:la vera comunione tra tutti gli esseri umani.Qualche riflessione e un paio di suggerimentiL’uso dello storytelling, alla fine di questa brevepresentazione, dovrebbe risultare abbastanzachiaro in tutte quelle occasioni in cui ci capiterà disalire su un palco, ma probabilmente assai più fu-moso in tutte le altre situazioni. Questo accade per-ché non siamo abituati a pensare a noi stessi comeanimali narranti. Ma soprattutto non siamo abituatia pensare alla nostra stessa vita come a una narra-zione. Eppure, a ben vedere, è proprio quello che è.Già Sant’Agostino aveva intuito che è solo nella me-moria che un essere umano può trovare se stesso:quando ci riferiamo a noi stessi, in realtà ci rife-riamo a ciò che di noi ricordiamo, e da quei ricordistratificati nel tempo ricaviamo una narrazionecoerente della nostra identità. Lo stesso, natural-mente, facciamo con gli altri. Dire che qualcuno“non è più lo stesso” implica che stiamo raffron-tando l’attuale percezione (che subito diventa ri-cordo) con la tipologia “chi sono” (in questo caso,“chi è”) applicata a quel qualcuno sotto forma diuna narrazione antecedente che conserviamo nellamemoria. Ne consegue che i nostri pensieri, le no-stre considerazioni, le nostre scelte si basano sulprocesso narrativo con cui concepiamo noi stessi,gli altri e il mondo.

Perciò:Ogni nostra azione, l’azione di chiunque• altro e qualsiasi avvenimento, si manife-stano all’interno di un processo narrativo;Non esiste la non-comunicazione. Non co-•

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municare è un modo di comunicare (pen-sate a quando evitiamo qualcuno dopo unlitigio). Ugualmente, non esiste la non-nar-razione: se non raccontiamo una storia, ilnostro interlocutore se ne racconterà unaautonomamente;Quando interagiamo con il prossimo assu-• miamo istintivamente una differente moda-lità espressiva: lo storytelling è l’arte direndere consapevole questo processo e diaffinarlo, massimizzandone l’efficacia;Prepariamoci al gesto di comunicare, riflet-• tiamoci sopra. Se dobbiamo comunicarequalcosa inerente a un argomento specifico,non basta documentarsi e imparare a me-moria la lezione. Soffermiamoci a ragionaresul cuore dell’argomento. Cerchiamo di ri-cordare se abbiamo mai avuto, nel corsodella vita, una qualche esperienza diretta alriguardo, qualcosa che possa essere tra-smesso, all’occorrenza;Se abbiamo il compito di fornire informa-• zioni utili su un determinato argomento,confrontiamoci dapprima, in modo diretto,con il maggior numero di persone possibili.Discutiamone con calma e attenzione, cer-cando di individuare i punti di forza e di de-bolezza di quello stesso confronto. Citorneranno utili sul campo;Interroghiamoci sempre così: “Riguardo a• questo, io cosa vorrei sapere?”. Di solito allepersone serve sapere quello che occorreanche a noi. Oppure: “Detta così, se non nesapessi nulla, io la capirei?”;Quando l’interlocutore ci interrompe, non• interrompiamolo a nostra volta. Ascoltiamocon interesse a cosa vuole arrivare anchequando dovesse sembrarci inutile o preve-dibile. Se vogliamo avere tempo, dobbiamodare tempo;Proviamo sempre a individuare quello che• definisco il lato poetico dell’informazione.Basta poco, quando si tratta di “storie pure”:

in quella dell’agricoltore il lato poetico è in-carnato dalla sua conversione alla fratel-lanza anche con un uomo di colore. In unacomunicazione tecnica è più difficile, ma bi-sogna sforzarsi comunque di estrarre il latoumano (spesso rappresentato proprio dachi sta comunicando);Mai nascondere i propri punti deboli, come• la timidezza o l’insicurezza su alcuni argo-menti (nessuno può sapere tutto): sono unpotente strumento d’immedesimazione perchi ascolta;Non proviamo mai a nascondere parte del-• l’informazione. La gente capisce al voloquando qualcuno tenta di manipolarlo. Se cisono zone d’ombra, insicurezze implicite nelmessaggio o episodi del passato che con-traddicono il messaggio stesso, affrontia-moli. Spieghiamo perché, nonostante quelleombre, noi proponiamo quel messaggio. Ese non lo sappiamo spiegare, facciamoci aiu-tare da chi sa farlo. Le persone si sentirannorispettate nella propria autonoma capacitàdi giudizio.ConclusioniSe non esistesse un sostanziale equivoco allabase di ciò che di solito consideriamo comuni-cazione, forse non avremmo nemmeno bisognodella parola storytelling. Gli uffici di comunicazionedi imprese e istituzioni troppo spesso si limitano aemettere comunicati stampa, manifesti o pagineweb informative, come se la comunicazione fosseun processo unidirezionale che va dall’alto verso ilbasso (top-down process) invece di un gesto di co-munione bidirezionale. Siamo abituati a dire, piut-tosto che a comunicare. Chiunque abbia un figlio,un alunno, una moglie o un marito sa benissimoche ci si può svociare senza per questo entrare incomunicazione. Non è un caso che il motto di ungrande narratore come Ernest Hemingway fosse:“Show, don’t tell”, Mostralo, non dirlo. La modalità

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narrativa serve appunto a mostrare invece di dire,e contribuisce a instaurare un vero canale di comu-nicazione. Comunicare significa letteralmente met-tere in comune, rendere partecipi, e nessuno èpartecipe se non partecipa, né può essere obbligatoa sentirsi tale quando non lo è (push-strategy).L’uso delle modalità narrative dello storytelling

(pull-strategies) mettono in moto un meccanismonaturale di condivisione e partecipazione. Siamostati geneticamente e culturalmente selezionati perfornire e acquisire informazioni attraverso raccontie narrazioni. E scegliere di non tenerne conto significa, sem-plicemente, scegliere di non comunicare. q

Per saperne di più: libri e link

Annette Simmons, The Story Factor (Perseus Books group, 2006). Un testo fondamentaleper chi vuole capire le potenzialità di questa disciplina, ricco di esempi, suggerimenti espunti. Disponibile solo in inglese.

Doug Lipman, Improving Your Storytelling: Beyond the Basics for All Who Tell Stories inWork and Play (August House, 2005). Si tratta di un testo dedicato a chi ha già sentitoparlare di storytelling che, con uno stile semplice e intuitivo, approfondisce l’argomentoattraverso tecniche, esercizi ed esperienze vissute. Pensato sia per chi utilizza lo story-telling nella comunicazione sia per chi lo pratica nell’intrattenimento. Disponibile solo ininglese.

Stephen Denning, The Leader’s Guide to Storytelling: Mastering the Art and Disciplineof Business Narrative (John Wiley and sons, 2008). Un saggio più tecnico rispetto aglialtri, dedicato soprattutto a chi usa lo storytelling per motivare, ispirare e influenzare lepersone. Disponibile solo in inglese.

Andrea Fontana, Manuale di storytelling. Raccontare con efficacia prodotti, marchi eidentità d’impresa (Etas, 2009). Testo utilizzato nel corso “Storytelling e narrazione d`Im-presa” presso l’Università degli Studi di Pavia. Declinato soprattutto sugli aspetti di mar-keting interno ed esterno, ma comunque utile. In italiano.

Christian Salmon, Storytelling, la fabbrica delle storie (Fazi Editore, 2008). Un libro pertutti, che affronta con uno stile avvincente il tema partendo (apparentemente) da lontanoper arrivare alla vera essenza della narrazione. In italiano.

www.storytellinglab.org – Un portale italiano che propone agli iscritti informazioni, lezionie seminari dedicati alle tecniche di storytelling. L’iscrizione è piuttosto costosa ed è perciòdedicato prevalentemente ai professionisti.

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UNA RETE PER NON FINIRE NELLA RETE a cura di Andrea Cardoni

“Quando un’opinione viene rappresentatada un’associazione,assume una forma piùchiara e più precisa. Consente ai suoisostenitori di contarsi e li coinvolge nellapropria causa; li induce a conoscersi traloro e il numero aumenta lo zelo. Un’asso-ciazione mette insieme energie di ispi-razione divergente e le dirige vigorosa-mente verso un unico fine indicato conchiarezza”

(A. De Toqueville).

Introduzione. La rete spiegata con i sei gradidi separazione: è un mondo piccoloStanley Milgram era un sociologo di Harvard chesi interessò, tra i suoi vari studi, anche allastruttura della rete sociale. L’obiettivo di Milgramera capire quale fosse la “distanza” tra due cittadiniqualsiasi negli Stati Uniti. Alla base dell’esperi-mento c’era la seguente domanda: quanti contattisono necessari per connettere fra loro due indivi-dui scelti a caso nella società? Milgram cominciò se-lezionando due destinatari finali, la moglie di unostudente di teologia nella città di Sharon, nel Mas-sachussetts, e un agente di cambio, a Boston. Scelsepoi i centri di Wichita, nel Kansas, e Omaha, nel Ne-braska, come punti di partenza per la ricerca. Perl’esperimento era stata recapitata una lettera ad al-cuni abitanti di Wichita e Omaha selezionati casual-mente, cui veniva proposto di partecipare a unostudio sul contatto sociale negli Stati Uniti. Ognibusta conteneva una breve spiegazione sugli obiet-tivi dell’esperimento e una fotografia con il nome,l’indirizzo e poche altre informazioni sui destina-tari finali. In calce le seguenti istruzioni:

COME PRENDERE PARTEA QUESTO STUDIOAGGIUNGETE IL VOSTRO NOME ALLA LISTA1 CHE TROVATE IN FONDO A QUESTO FOGLIO,

affinché chi riceve per primo la lettera possasapere da chi proviene.STACCATE UNA CARTOLINA POSTALE, COM-2 PILATELA E RISPEDITELA ALL’UNIVERSITA’DI HARVARD. L’affrancatura non è necessaria.La cartolina è molto importante: ci permetteràdi seguire le tracce del documento nel suoviaggio verso il destinatario finale.SE CONOSCETE DI PERSONA IL DESTINATA-3 RIO FINALE, SPEDITEGLI/LE DIRETTAMENTEIL DOCUMENTO. Fatelo soltanto se lo avete giàincontrato in precedenza e se vi date del tu.SE NON CONOSCETE DI PERSONA IL DESTI-4 NATARIO FINALE NON CERCATE DI CONTAT-TARLO DIRETTAMENTE. SPEDITE INVECEQUESTO DOCUMENTO (COMPLETO DI CAR-TOLINA POSTALE) A UN VOSTRO CONO-SCENTE CHE RITENETE ABBIA MAGGIORIPROBABILITA’ DI CONOSCERE IL DESTINATA-RIO FINALE. Potete spedirlo ad un amico, a unparente, a un conoscente, ma deve esserequalcuno cui date del tu.Milgram temeva il fallimento dell’esperimentoper mancanza di collaborazione delle per-sone coinvolte. Invece, dopo pochi giorni, attra-verso due soli passaggi arrivò la prima lettera. Sitrattava, come risultò in seguito, del percorso più

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breve fra quelli registrati. Alla fine dell’esperimentotornarono indietro quarantadue lettere su cento-sessanta, alcune attraverso non più di una decinadi intermediari. Queste catene che avevano com-pletato il loro percorso permisero a Milgram di de-terminare il numero di persone che occorrevanoper far giungere la lettera al destinatario finale. Ilrisultato fu che, in media, il numero minimo di in-termediari necessari è 5,5.Nel tentativo di trovare conferma alle proprieconclusioni, nel 1970 Stanley Milgram ideò un altroesperimento. Considerato che negli Stati Uniti, acausa della segregazione razziale, bianchi e nerierano socialmente assai distanti, mandò le letterea dei losangelini bianchi scelti a caso, pregandoli diinoltrarle a dei newyorkesi neri scelti anch’essi acaso. In teoria, l’esperimento avrebbe dovuto indi-care più fedelmente la distanza massima all’internodi una rete sociale. Ma quando le lettere arrivaronoa destinazione, i risultati non furono diversi daquelli precedenti. Ancora una volta la maggiorparte delle lettere giunse ai destinatari in circa seipassaggi. Nel 2001, Duncan Watts, professore del Diparti-mento di Sociologia della Columbia University diNew York, ripeté, insieme ad alcuni collaboratori,l’esperimento utilizzando internet e la posta elet-tronica come strumento di comunicazione. Scel-sero diciotto destinatari di tredici nazioni diversee seguirono le catene di e-mail inviate. Più di60mila messaggi (61.168) generarono 24.163 ca-tene. Di esse 384 si conclusero con il raggiungi-mento del destinatario. Non sorprendentemente, ladistanza media misurata varia tra 5 e 7 a secondache il mittente e il destinatario appartengano allostesso Paese o a Paesi diversi.L’idea dei sei gradi di separazione suggerisce cheall’interno della società, per quanto grande, pos-siamo muoverci velocemente seguendo i contattisociali fra una persona e l’altra: la società è una rete

di sei miliardi di nodi dove la distanza media fra unnodo e l’altro non è superiore a sei link. Stanley Mil-gram ha provato che non solo siamo tutti connessi,ma che viviamo in un mondo dove per connettersibastano poche strette di mano. Viviamo, cioè, in unmondo piccolo.La rete del volontariato:

dieci consigli pratici e qualche “non”.Il volontariato in Italia è composto da 40mila as-sociazioni. Ne fanno parte circa sei milioni dipersone (dati Istat 2011). Far comunicare una re-altà così eterogenea nel mondo della comunica-zione è un compito arduo: per questo esistonocoordinamenti, enti, associazioni di associazioniche tentano di far emergere messaggi, immagini estrumenti che, come per questa campagna di comu-nicazione di pubblica utilità, siano capaci di gene-rare comportamenti pro-attivi per comunità epersone che vivono in zone sismiche. Se il volontariato è una delle forme del capitale so-ciale, e la comunicazione è il motore del capitale so-ciale, il volontariato deve fare comunicazione.Quanto affermato non è un sillogismo: in quantounica possibile voce delle aree più deboli della so-cietà, il volontariato ha il «dovere di comunicare»(M.E. Martini); l’associazionismo ha un ruolo fon-damentale non solo perché è un mezzo per diffon-dere le nuove tecnologie della comunicazione,considerandole veri e propri «vettori di diffusione»(P. Zocchi). I sei gradi di separazione illustrati precedente-mente dimostrano che la società è una rete e il vo-lontariato, a sua volta, è una rete di reti. Per farequesto, pur rispettando le specificità dei singoli ter-ritori, è necessario che le informazioni e la catenadi informazioni che costituisce tutto il percorso diquesta campagna di comunicazione siano ben co-ordinate e siano coerenti con i messaggi della cam-pagna. Di seguito vengono illustrati dieci consigli pratici

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(più uno) per strutturare un piccolo ufficio stampacomune a tutte le associazioni, che dovrà lavorarein rete al fine di rendere più efficace la campagna:Il responsabile di ogni piazza, meglio se un re-1 ferente specifico per la comunicazione, deve co-municare i dati (indirizzo, e-mail e telefono) aireferenti della comunicazione della campagnapresso il Dipartimento della Protezione Civile edi Anpas.Mappare le testate e le redazioni locali e quelle2 di settore: può essere utile creare un elenco ditestate cartacee e web della piazza corrispon-dente, completo di nomi, telefoni (quando èpossibile) e e-mail. A questo scopo occorre pro-curarsi sempre almeno un numero della testatao leggere qualche articolo sul web per capirequale giornalista si occupa di volontariato,quale di rischio sismico o di protezione civile.Mappare blogger, profili facebook, twitter, flickr,3 etc. di singole persone o altre organizzazioni,comitati o movimenti che potrebbero veicolarei contenuti e gli eventi legati alla campagna“Terremoto io non rischio”.Condividere questi contatti con i referenti na-4 zionali della campagna. Creare un archivio di immagini adatte a essere5 inviate insieme ad articoli e comunicati: foto-grafie dei volontari e immagini della campagna.Creare una cartella stampa, ovvero raccogliere6 in associazione tutte le informazioni che pos-sono essere utili per un giornalista e riorganiz-zarle in modo efficace per essere passate allastampa. Nella cartella stampa si possono inse-rire anche 4/5 foto (un totale, piani americanie mezza figura), con un formato 2400x1600pixel, risoluzione 240 DPI.Fissare un calendario (con le scadenze per7 invii) delle attività che la persona incaricata diavere i rapporti con la stampa deve fare in pa-

rallelo con la comunicazione che il Diparti-mento di Protezione Civile e Anpas metterannoin atto a livello nazionale.Stringere rapporti amichevoli con gli uffici8 stampa di altre associazioni e istituzioni localiche sono in contatto con la nostra associazione(anche in questo caso creare un elenco è la so-luzione più pratica per non dimenticarsi di nes-suno).Realizzare un file standard per l’impaginazione9 della rassegna stampa. Fermandosi un po’ a ra-gionare, una volta stabilite le caratteristichedell’impaginato, ogni mese (o ogni bimestre, tri-mestre, etc) sarà necessario fare solo un copiaincolla e non fermarsi ogni volta a fare valuta-zioni di carattere estetico su tutta la rassegnastampa.Aggiornare periodicamente ogni elenco e ogni10 contatto: i siti e i giornali chiudono ma soprat-tutto ne nascono di nuovi ogni giorno.10+1 Per ogni dubbio, idea, proposte riguardantila comunicazione della campagna, chiedere sempremaggiori informazioni ai referenti, a livello nazio-nale, della campagna.Cinque cose da non fare

Non modificare loghi di nessuno degli enti• Non modificare il logo della campagna• Non modificare l’immagine e i font della cam-• pagnaNon modificare i colori della campagna• Non modificare i contenuti della campagna. q•

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Il totem si compone di quattro facce, ognunadedicata a un’interazione su un aspetto del ri-schio.Interazione 1: la linea del tempoCome si presenta: la prima interazione consi-ste in una linea temporale: un filo teso cheparte da uno spigolo del gazebo lo segue per duelati e infine si aggancia al totem.Lungo il filo, appesi con mollette, ci sono imma-gini e documenti riferibili a eventi sismici locali,collocati in ordine cronologico dal più lontano alpiù vicino. Si tratta di segnali della presenza del ter-remoto nella storia del luogo.

Come si usa: il volontario invita il visitatore apercorrere la linea del tempo dal passato ad oggi ea guardare le tracce che il terremoto ha lasciato sulterritorio.Finito il percorso il volontario può porre alcunedomande per discutere: cosa si capisce dai docu-menti? Cosa è successo in questo territorio? Checonseguenze ci sono state nella città, sugli edifici,alle persone? Le cose viste potrebbero suscitare ricordi, stimo-lare le conoscenze dei visitatori e provocare emo-zioni (di stupore, preoccupazione, etc): in questocaso il volontario li inviterà a lasciare le loro tracce,appuntandole su un foglietto e collocandolo in-sieme agli altri sulla linea del tempo.Il volontario, mostrando al visitatore la mappa

Il totem è una installazione composta da scatoloni sovrapposti, colorati e il-lustrati, che contiene piccole proposte di interazione per facilitare la comuni-cazione tra volontari e cittadini.

COMUNICARE CON UN GIOCO Totem Io Non Rischio

a cura di Delia Modonesi e Flaminia Brasini

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delle massime intensità osservate in Italia, fa quindila domanda: vivendo in questa zona che tipo dievento sismico possiamo aspettarci? Ora che haivisto la storia sismica del tuo territorio, e gli effettiche ha avuto in passato, pensi che abbia un qualchesignificato per il futuro?

Interazione 2: rischio e responsabilitàTema/contenuto: scoperta la storia e la si-smicità del territorio, indaghiamo i diversiatteggiamenti che le persone possono avere difronte al rischio sismico: dal fatalismo alle piùestreme ipotesi di controllo. La domanda di fondoè: “cosa ci posso fare io?”. Come si presenta: al centro della facciata è pre-sente una illustrazione con una coppia di personee dei palazzi in una zona sismica.Le figure “pensano”: cosa posso fare io?Intorno ci sono alcune piccole scene che rappre-sentano diversi atteggiamenti che si possono averedi fronte alla situazione di rischio. Ogni scena è in-collata su una “finestrella” che si può sollevare: aldi sotto c’è una immagine che rappresenta la con-seguenza dell’atteggiamento scelto sulla incolumitàdelle persone e delle strutture.Come si usa: il volontario chiede ai visitatori dileggere l’immagine: cosa rappresenta? Si parla e sicondivide la comprensione della situazione di par-tenza. Il volontario mostra quindi le immagini che rap-presentano le diverse possibilità di scelta.Ogni visitatore indicherà la scena che megliorappresenta il suo atteggiamento. Potrà decidere diinformarsi, di riparare la sua casa, di fidarsi delleprevisioni, di affidarsi alla fortuna, di non fare nulla,di scappare… Sollevando la finestrella della soluzione scelta sitroverà un’immagine che faccia riflettere sulle con-

seguenze della scelta fatta. Il gioco è uno stimolo alla riflessione e non ungiudizio sui modi di sentire e comportarsi.Il visitatore si confronterà quindi da solo con leconseguenze delle sue scelte. Il volontario, se ri-chiesto, potrà esplicitare meglio il significato diogni figura.L’idea su cui si basa questa proposta è che alcunescelte ci mettono in sicurezza (informarsi, ristrut-turare casa, etc), altre non ci danno garanzie. Obiet-tivo dell’interazione non è dare un giudizio allepersone, ma renderle consapevoli del loro sponta-neo atteggiamento verso il rischio. Interazione 3: da solo – fin da subito

Tema/contenuto: la terza faccia del totem parladi cosa ognuno può fare fin da subito.Come si presenta: l’exhibit si presenta come unquadernone ad anelli agganciato ad una faccia deltotem. Sollevando la copertina il visitatore trova ungioco illustrato, una immagine in cui individuareelementi di arredamento su cui è possibile interve-nire per aumentare la sicurezza della propria casa.Come si usa: il visitatore può tranquillamentegiocare da solo e rendersi conto, aguzzando vista eingegno, di quali sono le modifiche possibili perrendere sicuro l’arredamento della propria casa. Lapresenza del volontario è di verifica e stimolo dellescoperte. Analizzando i diversi elementi il volonta-rio spingerà i visitatori a riflettere sulla situazionereale delle loro diverse case. Questa facciata del totem è la resa ludica e tridi-mensionale delle indicazioni del pieghevole.

Interazione 4: se arriva un terremoto...Tema/contenuto: la quarta faccia del totem ri-guarda i comportamenti corretti durante edopo un terremoto.

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Come si presenta: sulla faccia del totem sonorappresentati un ambiente casalingo e un ambienteesterno. Sulle figure sono poste diverse finestrelleda sollevare per trovare indicazioni di luoghi eazioni corrette e segnali di pericolo. Si tratta di ungioco per indovinare quali sono i posti sicuri equelli pericolosi durante un terremoto. A secondadella scelta fatta c’è una risposta.Come si usa: viene chiesto al visitatore di sce-gliere in caso di terremoto dove andrebbe a ripa-rarsi e cosa crede che possa succederenell’ambiente in cui si trova.Il gioco è molto autoesplicativo e non ha bisognodi grosso intervento da parte del volontario. Questodeve essere presente a commentare eventualmentele varie scelte fatte, ma il visitatore deve essere la-sciato libero di esplorare il più possibile gli ambentie scoprire cosa ci può far stare sicuri e cosa ci mettein pericolo.

Interazione 5: futuro e comunitàTema/contenuto: il quarto lato del totem parladi cura del proprio territorio, collaborazionee futuro.Come si presenta: la quarta faccia del cubo pre-senta una frattura che la attraversa da cima a fondo.Come si usa: il volontario chiede ad ogni visita-tore di disegnare il profilo di una sua mano su unfoglietto colorato e di lasciare una sua traccia: unmessaggio, un consiglio, un desiderio… Ognunopuò poi incollare la sua mano lungo la frattura,come a chiuderla: alla fine della manifestazione alposto di un territorio ‘spaccato’ avremo un territo-rio tenuto insieme dal contributo di tutti. q

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SEMPLIFICAZIONE DEL LINGUAGGIO Obiettivo: farsi capire!

a cura di Valeria BernabeiLe amministrazioni pubbliche utilizzano spessoun linguaggio molto tecnico e specialistico lon-tano dalla lingua parlata dai cittadini. Alcune ricer-che statistiche sull’argomento indicano che circa il60% della popolazione italiana non è in grado dicapire i testi prodotti dalle pubbliche amministra-zioni. Parlare e scrivere con chiarezza, semplicità eprecisione, con parole concrete e di uso comune fa-vorisce la comprensione del messaggio da parte dichi ascolta.I testi dei materiali informativi della campagnadi sensibilizzazione “Terremoto io non rischio”sono stati scritti rispettando alcune regole dellasemplificazione del linguaggio.

SintassiUtilizza frasi semplici, lineari e brevi: es. “È il• crollo delle case che uccide, non il terremoto”;Preferisci i verbi ai nomi, cioè evita nominaliz-• zazioni, es. “applicare modifiche” → “modifi-care”“provvedere allo stanziamento” → “stanziare”;• Esplicita il soggetto e evita le forme imperso-• nali, es. “in caso di dubbi” → “se hai qualchedubbio”;Preferisci frasi di forma affermativa, evita le• doppie negazioni, es. non ignorare→ conosci,informati.LessicoScrivi in modo breve e conciso, evita le espres-• sioni prolisse e le parole ridondanti:Evita gli stereotipi e le frasi fatte;• Preferisci le parole italiane a quelle inglesi, se• sono ugualmente sostituibili “know-how” →“competenze”;Limita i termini tecnici - specialistici e defini-•

scili la prima volta che li usi “classificazione si-smica” → “il territorio italiano è classificato inzone a diversa pericolosità”, “microzonazionesismica” →”indagini per individuare le aree chepossono amplificare lo scuotimento del terre-moto”.RidondanzeUsa espressioni della lingua comune e evita ilburocratese.Ecco alcuni esempi:

entro (e non oltre)•legge (vigente) •commissione (apposita)•requisiti (richiesti)•un (particolare) tipo di•

Parole comuniEvita le espressioni di tono inutilmente elevato: ingiunzione → ordine•erogare → pagare•istanza → richiesta, domanda•nonché → inoltre, anche, e•

Parole concrete e diretteUsa parole concrete e dirette, che aiutano il lettorea visualizzare il concetto:segnaletica → segnali•nominativo → nome•

Preposizioni sempliciUsa preposizioni semplici, invece di quelle com-plesse:al fine di, a scopo di, con l’obiettivo di → per•in caso di → se•

Organizzazione delle informazioniUna volta scelte le informazioni utili, vanno di-sposte secondo una sequenza logica, che age-voli la lettura da parte del destinatario. Se ilmateriale informativo è diretto a un pubblico indif-ferenziato, le informazioni più generali devono pre-

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cedere quelle particolari. La campagna “Terremotoio non rischio” si rivolge a tutti i cittadini che pos-siedono un’abitazione e, quindi, ad un pubblico in-differenziato. Di conseguenza, nelle prime facciatedel pieghevole sono contenute informazioni di ca-rattere generale sulla sismicità del territorio ita-liano e sul fatto che, allo stato attuale delleconoscenze, non sia possibile prevedere con cer-tezza quando e precisamente dove si verifiche-ranno i prossimi terremoti. Nelle facciatesuccessive del pieghevole sono contenute, invece,informazioni più specifiche su cosa deve sapere ilcittadino e cosa deve fare per la sua sicurezza. Per facilitare ulteriormente il lettore, può essereutile segnalare l’architettura del testo con titoletti.Se un testo è lungo va frammentato in paragrafibrevi, preceduti da titoli significativi, che servanocome punti di ancoraggio per la “scansione visiva”della pagina alla ricerca di informazioni. I testi deimateriali della campagna sono stati organizzati conquesta logica, suddividendo il testo in piccoli para-grafi preceduti da un titoletto o da una domandache ne riassumono il contenuto. I titoletti devonoessere precisi, chiari e sintetici. Un titolo come «In-formazioni importanti» non serve a nulla, perchénon dà nessuna informazione sul contenuto e ob-bliga il cittadino a iniziare la lettura del testo. Titoli

efficaci sono, invece, ad esempio: «Cosa fa lo Statoper aiutarti?», “Gli effetti di un terremoto sono glistessi ovunque?”. Questi titoli individuano imme-diatamente l’argomento del testo e possono essereletti dando un’occhiata veloce al pieghevole.GraficaUna buona scelta grafica può influire sulla qua-lità comunicativa del testo.Nello scrivere un testo, è buona regola fare atten-zione a:l’interlinea e i margini, la lunghezza delle righe• e l’impaginazione a pacchetto, che possono in-fluenzare la velocità di lettura;la scelta del carattere, evitando quelli fantasiosi• ed eclettici, usando un solo tipo di carattere eutilizzando il grassetto ed il corsivo con parsi-monia.

Nei materiali della campagna sono stati utiliz-zati: margini e interlinee adeguati, in modo da ri-spettare l’equilibrio tra i pieni e i vuoti, caratteritipografici grandi e font leggibili. La scelta del ca-rattere tipografico (o font), infatti, è la spina dor-sale della realizzazione grafica di un testo, perchéne influenza l’aspetto e la leggibilità più di ognialtra decisione tipografica. qPer saperne di più:

www.ec.europa.eu/dgs/translation/rei/ REI - Rete per l’eccellenza dell’italiano istituzionale

www.ec.europa.eu/translation/writing/clear_writing/how_to_write_clearly_it.pdf Scrivere chiaro: una guida per il per-sonale della Commissione europea

www.blog.mestierediscrivere.com/Blog di Luisa Carrada con indicazioni utili per la scrittura sul web

www.urp.it/ Urp degli Urp – Comunicazione pubblica in rete

www.maldura.unipd.it/buro/ Linguaggio amministrativo chiaro e semplice, Università di Padova30 regole per scrivere testi amministrativi chiari

www.provincia.perugia.it./web/guest/rubriche/sopravvivereallapa/guidalinguaggio Provincia di Perugia – Guida alla sem-plificazione del linguaggio, “Sopravvivere alla pubblica amministrazione”, ovvero “sfida al burocratese”

www.palestradellascrittura.it/ Un laboratorio di ricerca sul linguaggio, che si avvale dell’esperienza di un network di pro-fessionisti: giornalisti, copywriter, scrittori professionali, esperti del web, ricercatori, divulgatori scientifici, formatoriwww.unifg.it/dwn/urp/direttiva.pdf Direttiva sulla semplificazione del linguaggio delle pubbli-che amministrazioniDipartimento della Funzione Pubblica A. Fioritto (a cura di ) “Manuale di stile. Strumenti per semplificare il linguaggiodelle amministrazioni pubbliche”, Il Mulino, 1997.

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COMUNICAZIONE INTERPERSONALEFaccia a Faccia

a cura di Valeria Bernabei

Interattività e ascoltoLa comunicazione interpersonale che coinvolgedue interlocutori o pochi interlocutori si distin-gue dalla comunicazione che ne coinvolge molti peralcuni tratti particolari: mentre nella comunica-zione uno a molti – come, ad esempio, quella tele-visiva o radiofonica – non c’è possibilità diinterazione o l’interazione è molto limitata, la co-municazione uno a uno/uno a pochi avviene in si-multanea, in compresenza ed è interattiva (ovvero,è aperta a interventi, obiezioni e correzioni daparte degli altri). Di conseguenza, nella comunica-zione faccia a faccia è molto importante il temadell’ascolto, ovvero la capacità di tirare fuori il con-tributo che viene fornito dall’interlocutore“esterno”, volontariamente o involontariamente. Inquesto senso, ascoltare è già comunicare.Apertura e chiusura del discorsoNella comunicazione uno a uno/uno a pochi, al-cune fasi dell’evento comunicativo assumonoun significato speciale. In particolare, sono moltoimportanti:L’apertura di un discorso (nel nostro caso, le• frasi iniziali per “agganciare” i cittadini nellepiazze, attraverso le diverse facciate del totem),perché è il momento in cui si stabilisce un pattodi fiducia tra le persone coinvolte e si dichiarala propria disponibilità a parlare e ad ascoltare;La chiusura del discorso, perché ci si deve ac-• certare che l’altra persona sia soddisfatta (nelnostro caso, si deve verificare che il cittadinonon abbia dubbi, indicare dove approfondire gliargomenti di maggiore interesse e ribadire ilmessaggio della campagna).

Meccanismi di ripetizioneLa ripetizione è un aspetto tipico della comuni-cazione interpersonale faccia a faccia, e in par-ticolare di quella uno a uno. Applicare meccanismidi ripetizione può risultare utile per chiarire i temiche stiamo trattando o le finalità della campagna.Nell’interazione faccia a faccia è meglio non dareper scontato nulla, per evitare fraintendimenti.Verbale e non verbaleNella comunicazione uno a uno/pochi hannopari rilevanza la comunicazione verbale equella non verbale. Spesso usiamo questi linguaggiinconsciamente e altrettanto spesso questi ven-gono percepiti inconsciamente dall’interlocutore.Tuttavia, sono estremamente importanti e un usopiù mirato e consapevole di queste risorse può mi-gliorare notevolmente la qualità della comunica-zione. q

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Gran parte di ciò che comunichiamo agli altri siesprime attraverso il linguaggio non verbale,ovvero attraverso i segnali visivi e vocali emessi dalcorpo. Dobbiamo quindi verificare che il messaggioverbale, cioè quello comunicato dalle parole effet-tivamente pronunciate, sia coerente con il messag-gio del corpo. Se vogliamo comunicare unmessaggio in modo credibile, infatti, è importanteche ci sia coerenza fra ciò che diciamo a parole e ciòche esprimiamo attraverso il corpo.Oltre che con le parole, la comunicazione avvieneanche attraverso:il modo di vestire• la postura• l’espressione del volto• il contatto oculare• i movimenti delle mani, delle braccia e delle• gambela tensione del corpo• la distanza spaziale• il contatto diretto• la voce (tono, ritmo, inflessione)•Elementi alla base degli atti comunicativiGli elementi alla base di qualunque atto comu-nicativo sono: il linguaggio del corpo, la vocee le parole. Il significato di qualsiasi messaggioviene dedotto da:il linguaggio visivo del corpo (gesti, posture,• mimica facciale);gli elementi vocali (dunque, non verbali) del• parlato (tono, timbro e ritmo);

le parole effettivamente pronunciate (conte-• nuto verbale).Naturalmente le parole che pronunciamo sonoimportanti, ma il comportamento non verbale con-diziona in modo molto forte l’impressione che ri-ceviamo dagli altri e quella che gli altri ricevono danoi. In particolare, nel caso ci sia una contraddi-zione fra ciò che si afferma e ciò che si manifestacon il linguaggio del corpo, si tende in genere a darepiù credibilità al linguaggio non verbale. Si ritiene,infatti, che i segnali del corpo siano più difficili dacontrollare e che mentano di meno. La gestualità è un mezzo di comunicazione vi-siva capace di trasmettere ciò che il linguaggioverbale non sa comunicare. Ne consegue che laforma di comunicazione più efficace è quella in cuialle parole si accompagnano i gesti. Per interpre-tare un messaggio non verbale dobbiamo sempreconsiderare tutti i gesti nel loro insieme: i gestipresi singolarmente non significano niente, ma sesi presentano tutti insieme nel corso di una intera-zione, allora ci sono buone probabilità che la nostrainterpretazione sia corretta.Nel comunicare con gli altri, dobbiamo capire sele persone a cui ci rivolgiamo manifestano:segnali di serenità/disagio e ansia;• segnali di apertura/chiusura.•Linguaggio non verbale che indica aperturaIl linguaggio non verbale che indica apertura euno stato interiore positivo è composto da unaserie di gesti, tra cui: mani in vista, palmi aperti,gambe e postura sciolta, priva di tensione ner-vosa, buon contatto oculare. Il corpo si espone almondo senza barriere e, così facendo, è vulnera-

COMUNICARE CON IL CORPO: LA COMUNICAZIONE NON VERBALEa cura di Valeria Bernabei

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bile agli altri, ma ciò non provoca alcun disagioalla persona. La postura che esprime vicinanza ecalore si traduce in genere in un’impressione mi-gliore (e, dunque, simpatia) dell’altro su di noi. È composta da questi tratti:inclinazione in avanti del busto, che dimostra• interesse per l’altro;tendenza ad avvicinarsi col corpo e orientarlo• direttamente verso l’altro;rilassatezza delle braccia e mani;• sguardo che mantiene il contatto con gli occhi• dell’altro senza però fissarlo in modo eccessivo,cosa che può esprimere aggressività.Linguaggio non verbale che indica chiusuraIl linguaggio non verbale che indica chiusura sifonda su un complesso di gesti, movimenti e po-sture con cui il corpo si richiude in se stesso. Chi sisente minacciato, tende a far apparire il corpo piùpiccolo di quanto lo sia realmente e a proteggersierigendo barriere difensive. L’emozione negativatrova tipica espressione nello scarso contatto congli occhi dell’altro, nella tensione delle spalle e nellaposizione incrociata di braccia e gambe. In questocaso può essere utile cambiare strategia e/o cer-care di scoprire il motivo della sua insoddisfazione.La postura che trasmette lontananza (e dunque di-stacco) è composta in genere da questi tratti:posizione rigida delle braccia e gambe;• inclinazione del busto laterale e tesa all’indietro• (in piedi);sguardo che mantiene poco il contatto con gli• occhi dell’altro/a.

NELLE PIAZZE: assumete una postura sciolta, guar-date negli occhi la persona con cui parlate, cercatedi non incrociare le braccia e parlate senza metterele mani in tasca.

Guardarsi negli occhiIl contatto oculare è uno strumento di grandeimportanza per stabilire intesa e senso di fidu-cia nei confronti dei nostri interlocutori. Nel corsodi una normale conversazione, il contatto ocularecon chi ci sta di fronte è tendenzialmente inter-mittente, c’è un continuo movimento di sguardivolto a verificare le reazioni dell’ascoltatore neiconfronti di chi parla: entrambi osservano il lin-guaggio corporeo dell’altro. Il maggior contributoalla buona intesa che si può instaurare nel corsodi una conversazione proviene dal giusto contattooculare.NELLE PIAZZE: per una comunicazione efficace,mettetevi di fronte all’interlocutore per poterloguardare direttamente e non al suo fianco o in po-sizione laterale.

SorridereIl sorriso denota un’emozione positiva e manife-sta gioia, anche se è un’espressione che ci tro-viamo spesso ad adottare per convenienza sociale.Sincero o di convenienza che sia, il sorriso suscitacomunque una sensazione gradevole in chi lo ri-ceve in quanto comunica la mancanza di ostilità ela disposizione alla benevolenza. Di conseguenza,il sorriso è capace di suscitare un atteggiamentobenevolo negli altri e di favorire le interazioni po-sitive. Fate in modo che il sorriso corrisponda sem-pre al contenuto del messaggio verbale e non entriin conflitto con ciò che state dicendo.

NELLE PIAZZE: accogliete i cittadini con un sor-riso!

Ascoltare col corpoLa maggior parte delle persone preferisce par-lare anziché ascoltare. Quando una persona viparla dimostrate con il corpo di ascoltare, di esserepresenti e di comprendere ciò che viene detto? Pra-ticare un “ascolto attivo” significa non soltanto

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ascoltare, ma anche dimostrare di ascoltare.Ascoltare il linguaggio del corpo significa:mantenere un buon contatto con gli occhi del-• l’altro (il contatto oculare aiuta chi parla a sa-pere di essere ascoltato con interesse);usare i movimenti della testa (annuire lenta-• mente è un segno d’incoraggiamento, annuire avelocità media è un gesto di conferma con ilquale comunichiamo di capire, annuire rapida-mente è un gesto con cui comunichiamo di es-sere in totale accordo o di voler interromperechi parla per intervenire);rispecchiare in modo naturale il linguaggio cor-• poreo dell’interlocutore attraverso l’eco postu-rale (il linguaggio non verbale è contagioso).Le braccia rivestono grande rilevanza dal punto

di vista del linguaggio corporeo, perché possonoformare una barriera che ostacola lo scambio co-municativo fra noi e gli altri. Se vi trovate in una si-tuazione di questo genere, è importante cercare dioffrire all’interlocutore qualcosa da fare o da guar-dare: così, lo si obbliga indirettamente a slegare lebraccia e ad assumere una postura più distesa.NELLE PIAZZE: ascoltate attivamente i cittadini!Non assumete un atteggiamento di chiusura con ilcorpo, ma, al contrario, adottate uno stile aperto,perché così è più probabile che l’interazione abbiaesito favorevole e l’altra persona eviti di chiudersi insé stessa. Se la persona che avete davanti persistenell’atteggiamento di chiusura, porgetele qualcosada guardare (il pieghevole, la scheda), per costrin-gerla ad aprirsi e a sciogliere le braccia conserte. Du-rante la conversazione, variate e modulate il ritmo,il timbro, il tono e l’inflessione della voce. q

Per saperne di più:

www.giovannacosenza.it/Dis.amb.ig.uando, blog di Giovanna Cosenza, professore associato di semioticapresso il Dipartimento di Discipline della Comunicazione dell’Università di Bo-logna

www.gandalf.it/Pensieri sulla rete e sulla comunicazione, blog

www.nuovoeutile.it/Teorie e pratiche della creatività, blog coordinato da Annamaria Testa, pub-blicitaria e docente di teoria della comunicazione all’Università Bocconi di Mi-lano

James Borg, Il linguaggio del corpo, Ed. Tecniche nuove, 2009

David Cohen, Capire il linguaggio del corpo, Editori Riuniti, Roma, 2002

Ricci Bitti, Enrico Pio; Santa Cortesi, 1977 Comportamento non verbale e co-municazione, Il Mulino, Bologna.

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NUOVI STRUMENTI DI COMUNICAZIONE PER LA FORMAZIONE …La formazione continua!

a cura di Valeria Bernabei

Social “Terremoto io non rischio”La piattaforma social “Terremoto io non rischio”,è uno strumento che mette in connessione lepersone in un contesto operativo, attraverso la con-divisione di conoscenze, approfondimenti, discus-sioni e sviluppo delle informazioni. Il social prendeil meglio della tecnologia dei social network tradi-zionali e lo integra con le esigenze di partecipa-zione e maggior coinvolgimento dei collaboratori.Ma soprattutto, permette di scambiarsi informa-zioni in tempi rapidissimi e in modo maggiormentevisuale e interattivo rispetto, per esempio, alle e-mail. La comunicazione social, per le sue caratteri-stiche di interattività, consente un concretoscambio di idee, opinioni, suggerimenti, contributie documenti in tempo reale, favorendo un processodi creazione di una vera e propria intelligenza col-lettiva. Alla piattaforma social si accede attraverso unlink, con delle credenziali di accesso, che sarannoinviate a ognuno dei volontari che ha partecipatoalla formazione. Alla piattaforma è iscritto tutto il gruppo di la-voro che ha collaborato alla realizzazione dellacampagna e che metterà in condivisione i materialidella formazione, monitorerà le aree di discussionedi propria competenza, chiarirà gli eventuali dubbidei volontari e risponderà alle loro domande. Inquesto modo si riuscirà a dare continuità all’attivitàdi formazione e a supportare i volontari “forma-tori” nel trasferimento delle informazioni agli altrivolontari che saranno presenti nelle piazze.Nella home page del social si trovano i Feed, ovverotutti gli aggiornamenti pubblicati sui siti Dpc,Anpas, Ingv e ReLuis, i contenuti pubblicati sulla

pagina Facebook del Dipartimento e i contributi piùrecenti pubblicati su Twitter da Ingv e da Anpas.Dopo l’accesso si può modificare e personalizzarefacilmente il proprio account. Nella sezione “Forum”, sono state aperte dellearee di discussione su:Servizio Nazionale della Protezione civile;• Volontariato;• “Cosa comunicare” - memoria storica, perico-• losità sismica, vulnerabilità sismica, rischio si-smico, prevenzione;“Come comunicare” - tecniche di comunica-• zione , motivazione a comunicare l’evento,come coordinarci per comunicare bene, comu-nicare con un gioco, semplificazione del lin-guaggio, comunicazione interpersonale;“Logistica” - organizzazione della piazza, orga-• nizzazione dello stand e sistemazione dei ma-teriali.Nella sezione “Domande”, sono state inserite• domande e risposte sul rischio sismico. Nell’area “Download” è possibile scaricare le di-• spense del corso, le presentazioni e gli appro-fondimenti. Nella stessa sezione è stato inseritoun piccolo manuale di utilizzo del social. q

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AG - accelerazione orizzontale massima susuolo rigido e pianeggiante: è il principale para-metro descrittivo della pericolosità di base utiliz-zato per la definizione dell’azione sismica diriferimento per opere ordinarie (Classe II delleNorme Tecniche per le Costruzioni). Convenzional-mente, è l’accelerazione orizzontale massima susuolo rigido e pianeggiante, che ha una probabilitàdel 10% di essere superata in un intervallo ditempo di 50 anni. Amplificazione locale: modificazione in ampiezza,frequenza e durata dello scuotimento sismico do-vuta alle specifiche condizioni litostratigrafiche emorfologiche di un sito. Si può quantificare me-diante il rapporto tra il moto sismico in superficieal sito e quello che si osserverebbe per lo stessoevento sismico su un ipotetico affioramento di roc-cia rigida con morfologia orizzontale. Se questorapporto è maggiore di 1, si parla di amplificazionelocale.Classificazione sismica: suddivisione del territo-rio in zone a diversa pericolosità sismica. Attual-mente il territorio italiano è suddiviso in quattrozone, nelle quali devono essere applicate delle spe-ciali norme tecniche con livelli di protezione cre-scenti per le costruzioni (norme antisismiche),massima in Zona 1, la zona più pericolosa, dove inpassato si sono avuti danni gravissimi a causa diforti terremoti. Tutti i Comuni italiani ricadono inuna delle quattro zone sismiche.Effetti locali (o di sito): effetti dovuti al compor-tamento del terreno in caso di evento sismico perla presenza di particolari condizioni lito-stratigra-fiche e morfologiche che determinano amplifica-zioni locali e fenomeni di instabilità del terreno(instabilità di versante, liquefazioni, faglie attive ecapaci, cedimenti differenziali, ecc.).

Epicentro: il luogo sulla superficie terrestre dovegli effetti del terremoto si manifestano con mag-giore intensità. L’epicentro si trova sulla verticaledell’ipocentro, la zona in profondità dove si verificala rottura delle rocce e dalla quale le onde sismichesi propagano in tutte le direzioni.Esposizione : è il numero di unità (o “valore”) diognuno degli elementi a rischio presenti in unadata area, come le vite umane o gli insediamenti.Faglia: superficie di rottura della crosta lungo laquale avviene lo scorrimento delle rocce a contattoche, per attrito, genera le onde sismiche. In fun-zione del movimento che si osserva lungo la super-ficie si parla di faglie normali, inverse etrascorrenti.Intensità: misura gli effetti di un terremoto sullecostruzioni, sull’uomo e sull’ambiente, classifican-doli in dodici gradi attraverso la scala Mercalli. L’in-tensità non è quindi una misura della “forza” delterremoto, perché le conseguenze dipendono dallaviolenza dello scuotimento ma anche da come sonostate costruite le case e da quante persone vivononell’area colpita.Ipocentro: la zona in profondità dove, in seguito aimovimenti delle placche litosferiche, le rocce dellacrosta terrestre si rompono dando origine al terre-moto. In Italia i terremoti avvengono generalmenteentro i 30 km di profondità, tranne che nel Tirrenomeridionale dove si possono registrare terremoticon ipocentro profondo fino a 300 km.Magnitudo: misura l’energia di un terremoto e sicalcola attraverso l’ampiezza delle oscillazioni delterreno provocate dal passaggio delle onde sismi-che, registrate su di un rullo di carta dai pennini deisismografi (sismogrammi). Il valore di magnitudo si

GLOSSARIO

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attribuisce utilizzando la scala Richter.Microzonazione sismica: suddivisione di un ter-ritorio a scala comunale in aree a comportamentoomogeneo sotto il profilo della risposta sismica lo-cale, prendendo in considerazione le condizionigeologiche, geomorfologiche, idrogeologiche ingrado di produrre fenomeni di amplificazione delsegnale sismico e/o deformazioni permanenti delsuolo (frane, liquefazioni, cedimenti e assesta-menti).Normativa antisismica: norme tecniche “obbliga-torie” che devono essere applicate nei territori clas-sificati sismici quando si voglia realizzare unanuova costruzione o quando si voglia migliorareuna costruzione già esistente. Costruire rispet-tando le norme antisismiche significa garantire laprotezione dell’edificio dagli effetti del terremoto:in caso di terremoto, infatti, un edificio antisismicopotrà subire danni ma non crollerà, salvaguar-dando la vita dei suoi abitanti.Onde sismiche: le onde che si generano dalla zonain profondità dove avviene la rottura delle roccedella crosta terrestre (ipocentro). Le onde si propa-gano dall’ipocentro in tutte le direzioni fino in su-perficie, come quando si getta un sasso in unostagno. Esistono vari tipi di onde che viaggiano avelocità diversa; le onde che si propagano per ul-time (onde superficiali) sono quelle che causano leoscillazioni più forti.Pericolosità sismica di base: componente dellapericolosità sismica dovuta alle caratteristiche si-smologiche dell’area (tipo, dimensioni e profonditàdelle sorgenti sismiche, energia e frequenza dei ter-remoti). La pericolosità sismica di base calcola (ge-neralmente in maniera probabilistica), per unacerta regione e in un determinato periodo ditempo, i valori di parametri corrispondenti a pre-fissate probabilità di eccedenza. Tali parametri (ve-locità, accelerazione, intensità, ordinate spettrali)descrivono lo scuotimento prodotto dal terremoto

in condizioni di suolo rigido e senza irregolaritàmorfologiche (terremoto di riferimento). La scaladi studio è solitamente regionale. Una delle finalitàdi questi studi è la classificazione sismica a vastascala del territorio, finalizzata alla programma-zione delle attività di prevenzione e alla pianifica-zione dell’emergenza. Costituisce una base per ladefinizione del terremoto di riferimento per studidi microzonazione sismica.Pericolosità sismica locale: componente della pe-ricolosità sismica dovuta alle caratteristiche locali(litostratigrafiche e morfologiche, vedi anche effettilocali). Lo studio della pericolosità sismica locale ècondotto a scala di dettaglio partendo dai risultatidegli studi di pericolosità sismica di base (terre-moto di riferimento) e analizzando i caratteri geo-logici, geomorfologici, geotecnici e geofisici del sito;permette di definire le amplificazioni locali e lapossibilità di accadimento di fenomeni di instabi-lità del terreno. Il prodotto più importante di que-sto genere di studi è la carta di microzonazionesismica.Piano comunale di protezione civile: piano diemergenza redatto dai Comuni per gestire adegua-tamente un’emergenza ipotizzata nel proprio ter-ritorio, sulla base degli indirizzi regionali, comeindicato dal DLgs. 112/1998. Tiene conto dei variscenari di rischio considerati nei programmi di pre-visione e prevenzione stabiliti dai programmi epiani regionali.Placche litosferiche: porzioni della crosta terre-stre nelle quali è suddiviso l’involucro più esternodella Terra. Le placche si muovono le une rispettoalle altre, avvicinandosi, allontanandosi o scor-rendo lateralmente ed i movimenti relativi deter-minano spinte ed accumulo di sforzi in profondità.Quando gli sforzi superano la resistenza dellerocce, queste si rompono generando il terremoto.Rete sismica nazionale: rete di monitoraggio si-smometrico distribuita sull’intero territorio nazio-

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nale, e gestita dall’Ingv - Istituto Nazionale di Geo-fisica e Vulcanologia. Costituita da un centinaio distazioni sismiche, svolge funzioni di studio e di sor-veglianza sismica, fornendo i parametri epicentralial Dipartimento della Protezione Civile per l’orga-nizzazione degli interventi di emergenza.Rischio sismico: stima del danno che ci si può at-tendere in una certa area ed in un certo intervallodi tempo a causa del terremoto. Il livello di rischiodipende quindi dalla frequenza con cui avvengonoi terremoti in una certa area e da quanto sono forti;ma dipende anche dalla qualità delle costruzioni,dalla densità degli abitanti, dal valore di ciò che puòsubire un danno (monumenti, beni artistici, attivitàeconomiche,ecc.).Sciame sismico: sequenza sismica caratterizzatada una serie di terremoti localizzati nella stessaarea, in un certo intervallo temporale, di magnitudoparagonabile e non elevata. In uno sciame sismicogeneralmente non si distingue una scossa princi-pale.Sismografo: strumento che consente di registrarele oscillazioni del terreno provocate dal passaggiodelle onde sismiche. Un sismografo è costituito dauna massa, con un pennino all’estremità, sospesaattraverso una molla ad un supporto fissato al ter-reno, sul quale è posto un rullo di carta che ruotain continuazione. Quando il terreno oscilla, si muo-vono anche il supporto ed il rullo di carta, mentrela massa sospesa, per il principio di funzionamentodel pendolo, resta ferma ed il pennino registra ilterremoto tracciando le oscillazioni su carta (si-smogramma).Sismogramma: registrazione su carta delle oscillazionidel terreno provocate dal passaggio delle onde sismi-che. Nel corso degli anni sono cambiati i modi con iquali si ottengono tali registrazioni: dai primi sismo-grammi tracciati su carta affumicata, si è passati a re-gistrazioni su carta fotografica e poi su cartatermosensibile. Oggi le oscillazioni rilevate dai sensori

(sismometri) vengono registrate da strumenti digitalied i dati possono, così, essere elaborati dai computer,riducendo i tempi necessari per calcolare la magni-tudo e l’epicentro dei terremoti.

Sussidiarietà: è un principio giuridico-amministrativoche stabilisce come l’attività amministrativa volta asoddisfare i bisogni delle persone debba essere assi-curata dai soggetti più vicini ai cittadini. Per “soggetti”s’intendono gli Enti pubblici territoriali (in tal caso siparla di sussidiarietà verticale) o i cittadini stessi, siacome singoli, sia in forma associata o volontaristica(sussidiarietà orizzontale). Queste funzioni possonoessere esercitate dai livelli amministrativi territorialisuperiori solo se questi possono rendere il servizio inmaniera più efficace ed efficiente. L’azione del sog-getto di livello superiore dovrà comunque essere tem-poranea, svolta come sussidio (da cui sussidiarietà) equindi finalizzata a restituire l’autonomia d’azione al-l’entità di livello inferiore nel più breve tempo possi-bile. Il principio di sussidiarietà è recepito nell’ordinamentoitaliano con l’art. 118 della Costituzione, come indi-cato dalla L.Cost. n. 3/2001.

Tsunami: letteralmente “onda di porto”, è un terminegiapponese che indica un tipo di onda anomala chenon viene fermata dai normali sbarramenti posti a di-fesa dei porti. Il fenomeno dello tsunami consiste inuna serie di onde che si propagano attraversol’oceano. Le onde sono generate dai movimenti delfondo del mare, generalmente provocati da forti ter-remoti sottomarini, ma anche da eruzioni vulcanichee da grosse frane sottomarine.

Vita nominale di una costruzione: indica il numero dianni durante i quali una struttura deve poter essereusata per lo scopo per cui è stata progettata. Questoparametro, previsto dalle Norme Tecniche per le Co-struzioni, condiziona l’entità delle azioni sismiche diprogetto. Per le costruzioni ordinarie, la vita nominaleconsiderata è ≥ 50 anni.

Vulnerabilità: attitudine di una determinata compo-

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nente ambientale – popolazione umana, edifici, ser-vizi, infrastrutture, ecc. – a sopportare gli effetti di unevento, in funzione dell’intensità dello stesso. La vulnerabilità esprime il grado di perdite di un datoelemento o di una serie di elementi causato da un fe-nomeno di una data forza. È espressa in una scala dazero a uno, dove zero indica che non ci sono stati. q

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Anno Me Gi Or Mi Area epicentrale Studio Om I_max Lat Lon Mw

1117 1 3 15 15 Veronese GUAL07 55 9 45.30911.0236.6

1169 2 4 7 Sicilia orientale GUAL07 10 10 37.21514.9496.4

1184 5 24 Valle del Crati GUAL07 6 9 39.39516.1936.7

1279 4 30 18 CAMERINO MONA8717 10 43.09312.8726.3

1295 9 3 Churwalden SCAL04 17 8 46.9479.505 6.0

1298 12 1 Reatino GUAL07 5 10 42.57512.9026.21328 12 1 NORCIA MONA8713 10 42.85613.0186.31348 1 25 15 30 Carinzia GUAL07 58 9-Oct 46.57813.5417.0

1349 9 9 8 15 Lazio meridionale-Molise GUAL07 20 10 41.56013.9016.5

1352 12 25 MONTERCHI CAAL96 7 9 43.46912.1276.4

1456 12 5 MOLISE MEAL88 199 11 41.30214.7117.21461 11 27 21 5 Aquilano GUAL07 10 10 42.31313.5446.41466 1 15 2 25 Irpinia GUAL07 31 8-Sep 40.76515.3346.0

1511 3 26 14 40 Friuli-Slovenia GUAL07 66 10 46.19813.4316.9

1542 12 10 15 15 Siracusano GUAL07 32 10 37.21514.9446.7

1561 8 19 15 50 Vallo di Diano CAAL08 32 10-Nov40.56315.5056.8

1626 4 4 12 45 Girifalco GUAL07 7 10 38.85116.4566.01627 7 30 10 50 Gargano GUAL07 65 10 41.73715.3426.61638 3 27 15 5 Calabria GUAL07 213 11 39.04816.2897.01638 6 8 9 45 Crotonese GUAL07 42 10 39.27916.8126.81646 5 31 Gargano CAAL08 35 10 41.72715.7646.6

1654 7 24 0 25 Sorano-Marsica GUAL07 44 10 41.63513.6836.2

1657 1 29 Lesina CAAL08 9 9-Oct 41.72615.3936.3

1659 11 5 22 15 Calabria centrale GUAL07 126 10 38.69416.2496.5

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Principali terremoti con magnitudo uguale o superioreal sesto grado accaduti in Italia nell’ultimo millennio

estratta dal catalogo CPTI11: www.emidius.mi.ingv.it/CPTI11

APPENDICE

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Anno Me Gi Or Mi Area epicentrale Studio Om I_max Lat Lon Mw

1661 3 22 12 50 Appennino romagnolo GUAL07 79 10 44.02111.8986.0

1685 3 8 19 Mittel-Wallis ECOS02 46.2807.630 6.1

1688 6 5 15 30 Sannio GUAL07 216 11 41.28314.5616.91690 12 4 14 Carinzia GUAL07 60 8-Sep 46.63413.8826.51693 1 9 21 Val di Noto GUAL07 30 8-Sep 37.14115.0356.2

1693 1 11 13 30 Sicilia orientale GUAL07 185 11 37.14015.0137.4

1694 9 8 11 40 Irpinia-Basilicata GUAL07 251 10 40.86215.4066.7

1695 2 25 5 30 Asolano GUAL07 82 10 45.80111.9496.4

1702 3 14 5 Beneventano-Irpinia GUAL07 37 10 41.12014.9896.5

1703 1 14 18 Appennino umbro-reatinoGUAL07 199 11 42.70813.0716.7

1703 2 2 11 5 Aquilano GUAL07 71 10 42.43413.2926.71706 11 3 13 Maiella GUAL07 99 10-Nov42.07614.0806.81731 3 20 3 Foggiano GUAL07 50 9 41.27415.7576.51732 11 29 7 40 Irpinia GUAL07 183 10-Nov41.06415.0596.6

1741 4 24 9 FABRIANESE SGAM02 145 9 43.42513.0056.2

1743 2 20 16 30 Basso Ionio BOAL00 77 9 39.85218.7777.1

1751 7 27 1 Appennino umbro-marc. GUAL07 68 10 43.22512.7396.2

1755 12 9 13 30 Brig. Naters/VS ECOS02 46.3207.980 6.1

1781 6 3 CAGLIESE MONA87157 10 43.59712.5126.41783 2 5 12 Calabria GUAL07 356 11 38.29715.9707.01783 2 7 13 10 Calabria GUAL07 191 10-Nov38.58016.2016.61783 3 28 18 55 Calabria GUAL07 323 11 38.78516.4646.9

1786 3 10 14 10 Sicilia nord-orientale GUAL07 10 9 38.10215.0216.1

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Anno Me Gi Or Mi Area epicentrale Studio Om I_max Lat Lon Mw

1791 10 13 1 20 Calabria centrale GUAL07 76 9 38.63616.2686.0

1794 6 7 0 45 Prealpi carniche GUAL07 19 9 46.30612.8216.0

1799 7 28 22 5 Appennino marchigiano GUAL07 71 9-Oct 43.19313.1516.1

1805 7 26 21 Molise GUAL07 223 10 41.50014.4746.61818 2 20 18 15 Catanese GUAL07 128 9-Oct 37.60315.1406.2

1823 3 5 16 37 Sicilia settentrionale GUAL07 107 8-Sep 38.12714.4186.4

1832 1 13 13 Valle del Topino GUAL07 102 10 42.98012.6056.3

1832 3 8 18 30 Crotonese GUAL07 101 10 39.07916.9196.5

1836 4 25 0 20 Calabria settentrionale GUAL07 46 10 39.56716.7376.2

1836 11 20 7 30 Basilicata meridionale GUAL07 17 9 40.14215.7766.0

1851 8 14 13 20 Basilicata GUAL07 103 10 40.95215.6676.31854 2 12 17 50 Cosentino GUAL07 89 10 39.25616.2956.2

1854 12 29 1 45 Liguria occ.-Francia GUAL07 86 7-Aug 43.3507.648 6.7

1855 7 25 11 50 Törbel VS ECOS02 46.2307.850 6.41857 12 16 21 15 Basilicata GUAL07 340 11 40.35215.8427.01870 10 4 16 55 Cosentino GUAL07 56 10 39.22016.3316.11873 6 29 3 58 Bellunese GUAL07 199 9-Oct 46.15912.3836.3

1887 2 23 5 21 Liguria occidentale GUAL07 1516 10 43.7158.161 6.9

1894 11 16 17 52 Calabria meridionale GUAL07 303 9 38.28815.8706.0

1895 4 14 22 17 Slovenia GUAL07 296 8 46.13114.5336.2

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Anno Me Gi Or Mi Area epicentrale Studio Om I_max Lat Lon Mw

1905 9 8 1 43 Calabria meridionale GAMO07895 10-Nov38.81915.9437.0

1908 12 28 4 20 Calabria merid.-Messina GUAL07 800 11 38.14615.6877.1

1915 1 13 6 52 Avezzano MOAL99 1041 11 42.01413.5307.0

1916 8 16 7 6 Alto Adriatico GUAL07 257 8 44.03412.7796.1

1919 6 29 15 6 Mugello GUAL07 566 10 43.95711.4826.21920 9 7 5 55 Garfagnana GUAL07 756 10 44.18510.2786.41930 7 23 0 8 Irpinia GAAL02 547 10 41.06815.3186.6

1936 10 18 3 10 BOSCO CANSIGLIO BAAL86 267 9 46.08912.3806.1

1962 8 21 18 19 Irpinia GUAL07 262 9 41.23014.9536.11963 7 19 5 45 Mar Ligure GUAL07 463 6 43.1508.083 6.0

1968 1 15 2 1 Valle del Belice GUAL07 163 10 37.75612.9816.3

1976 5 6 20 0 Friuli GNDT95 770 9-Oct 46.24113.1196.4

1978 4 15 23 33 Golfo di Patti GUAL07 332 8 38.26815.1126.0

1980 11 23 18 34 Irpinia-Basilicata GUAL07 1394 10 40.84215.2836.8

1997 9 26 9 40 Appennino umbro-marc. BOAL00 869 9 43.01412.8536.0

2009 4 6 1 32 Aquilano QUES09 316 9-Oct 42.34213.3806.3

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