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19 sitari, sotto il magistero di Banfi: mostran- do con evidenza la crisi del mondo con- temporaneo, rischia di provocare uno smarrimento di fronte alla caduta di ogni tradizionale certezza metafisica, morale o religiosa. Ben lo evidenzierà la Pozzi in un passo della sua tesi: «Oggi tutto vuol essere mobile, convertibile, aperto: siamo come una matassa di fili sciolti e interse- catisi che vanno, certamente, verso una meta compatta, un gomitolo sodo, ma nes- suno può e vuole vedere dove esso sia». 7 Le amicizie degli anni universitari han- no un’importanza fondamentale sia sul piano intellettuale che affettivo. Lei, che avrebbe avuto, per l’importanza della sua famiglia, facile accesso ai salotti e ai cena- coli più altolocati di Milano, trova in uni- versità un ambiente ben più adatto alla sua sensibilità. Conosce così Enzo Paci, Remo Cantoni, Alberto Mondadori, Mario Moni- celli e, soprattutto Dino Formaggio e Vit- torio Sereni, la cui amicizia fraterna eser- citerà un indubbio influsso su di lei. Gli anni successivi segnano l’approfon- dirsi del disagio esistenziale e, congiunta- mente, di un desiderio vitale di rinascita. Anche l’attività poetica conosce una sta- gione più complessa e originale. Segue un corso di perfezionamento in lingua e lette- ratura tedesca in Austria e, nella primavera del 1937, compie un lungo viaggio a Ber- lino e in altre capitali europee. Intanto i presentimenti di guerra si fanno più cupi. Gli editori Treves, di origine ebraica, ami- ci carissimi di famiglia, sono costretti ad abbandonare l’Italia. Antonia si dibatte tra momenti di crisi (si moltiplicano gli ac- cenni alla morte, già rintracciabili negli anni precedenti) e di una serenità che sem- bra riconquistata. Nell’autunno 1937 ottie- ne un incarico di insegnamento all’Istituto tecnico “Schiapparelli” di Milano. Ma, infine giunge la resa psicologica: il mattino del 2 dicembre 1938 muore suici- da. 8 Segno e, al tempo stesso, catalizzatore della parte più matura della sua persona- lità è – a mio avviso – anche il rapporto «La poesia di Antonia Pozzi rimane, più che mai oggi, una delle voci liriche più sofferte e più pure, più luminosamente illimpidite, della poesia lirica italiana di questo secolo». 1 Così scriveva qualche an- no fa Dino Formaggio, che frequentò in- tensamente Antonia Pozzi negli anni uni- versitari. Un commento audace, ma ormai sempre più condiviso. Del resto, già molti anni prima, Eugenio Montale annotava nell’edizione mondadoriana di Parole: «Tecnicamente la sua lirica deriva dal verslibrisme del principio del secolo e da certe esperienze di Ungaretti: voce legge- ra, pochissimo bisognosa di appoggi, essa tende a bruciare le sillabe nello spazio bianco della pagina […] . Un’aerea uniformità era il suo limite più evidente: la purezza del suono e la nettezza dell’im- magine il suo dono nativo». 2 Il tempo, che spesso è un buon giudice, sembra dare ragione: dalla fine degli anni Ottanta un interesse sempre più vivo si è acceso attorno alla figura e all’opera della poetessa. 3 Nata a Milano nel 1912 in una famiglia agiata, 4 frequenta gli studi superiori al li- ceo “Manzoni” e successivamente si lau- rea in Lettere con Antonio Banfi, stilando una splendida tesi su Flaubert. 5 La sua collocazione sociale le offre molte possibilità: la sua famiglia ha un palco riservato alla Scala; dipinge e suona il pianoforte; si appassiona alla fotografia, in cui giungerà a risultati artistici; gioca molto bene a tennis, nuota, fa equitazione, scia nelle migliori stazioni alpine; viaggia molto… Al tempo stesso coltiva una inte- riorità profonda e ricca, temprata dalla vi- cenda forte e dolorosa dell’amore – matu- ro, a dispetto della giovane età – per Anto- nio Maria Cervi, che era stato suo giovane docente al “Manzoni”. Amore corrisposto ma recisamente rifiutato dalla famiglia di lei. Una sofferenza più tenace anche se più sotterranea le viene dalla forte tensione re- ligiosa che fatica a trovare appigli. 6 Tale contrasto si fa più forte negli anni univer- L’URLO DELLE PREGHIERE DI PIETRA: ANTONIA POZZI E LA MONTAGNA

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sitari, sotto il magistero di Banfi: mostran-do con evidenza la crisi del mondo con-temporaneo, rischia di provocare unosmarrimento di fronte alla caduta di ognitradizionale certezza metafisica, morale oreligiosa. Ben lo evidenzierà la Pozzi inun passo della sua tesi: «Oggi tutto vuolessere mobile, convertibile, aperto: siamocome una matassa di fili sciolti e interse-catisi che vanno, certamente, verso unameta compatta, un gomitolo sodo, ma nes-suno può e vuole vedere dove esso sia».7

Le amicizie degli anni universitari han-no un’importanza fondamentale sia sulpiano intellettuale che affettivo. Lei, cheavrebbe avuto, per l’importanza della suafamiglia, facile accesso ai salotti e ai cena-coli più altolocati di Milano, trova in uni-versità un ambiente ben più adatto alla suasensibilità. Conosce così Enzo Paci, RemoCantoni, Alberto Mondadori, Mario Moni-celli e, soprattutto Dino Formaggio e Vit-torio Sereni, la cui amicizia fraterna eser-citerà un indubbio influsso su di lei.

Gli anni successivi segnano l’approfon-dirsi del disagio esistenziale e, congiunta-mente, di un desiderio vitale di rinascita.Anche l’attività poetica conosce una sta-gione più complessa e originale. Segue uncorso di perfezionamento in lingua e lette-ratura tedesca in Austria e, nella primaveradel 1937, compie un lungo viaggio a Ber-lino e in altre capitali europee. Intanto ipresentimenti di guerra si fanno più cupi.Gli editori Treves, di origine ebraica, ami-ci carissimi di famiglia, sono costretti adabbandonare l’Italia. Antonia si dibatte tramomenti di crisi (si moltiplicano gli ac-cenni alla morte, già rintracciabili neglianni precedenti) e di una serenità che sem-bra riconquistata. Nell’autunno 1937 ottie-ne un incarico di insegnamento all’Istitutotecnico “Schiapparelli” di Milano.

Ma, infine giunge la resa psicologica: ilmattino del 2 dicembre 1938 muore suici-da.8

Segno e, al tempo stesso, catalizzatoredella parte più matura della sua persona-lità è – a mio avviso – anche il rapporto

«La poesia di Antonia Pozzi rimane,più che mai oggi, una delle voci lirichepiù sofferte e più pure, più luminosamenteillimpidite, della poesia lirica italiana diquesto secolo».1 Così scriveva qualche an-no fa Dino Formaggio, che frequentò in-tensamente Antonia Pozzi negli anni uni-versitari. Un commento audace, ma ormaisempre più condiviso. Del resto, già moltianni prima, Eugenio Montale annotavanell’edizione mondadoriana di Parole:«Tecnicamente la sua lirica deriva dalverslibrisme del principio del secolo e dacerte esperienze di Ungaretti: voce legge-ra, pochissimo bisognosa di appoggi, essatende a bruciare le sillabe nello spaziobianco della pagina […]. Un’aereauniformità era il suo limite più evidente:la purezza del suono e la nettezza dell’im-magine il suo dono nativo».2

Il tempo, che spesso è un buon giudice,sembra dare ragione: dalla fine degli anniOttanta un interesse sempre più vivo si èacceso attorno alla figura e all’opera dellapoetessa.3

Nata a Milano nel 1912 in una famigliaagiata,4 frequenta gli studi superiori al li-ceo “Manzoni” e successivamente si lau-rea in Lettere con Antonio Banfi, stilandouna splendida tesi su Flaubert.5

La sua collocazione sociale le offremolte possibilità: la sua famiglia ha unpalco riservato alla Scala; dipinge e suonail pianoforte; si appassiona alla fotografia,in cui giungerà a risultati artistici; giocamolto bene a tennis, nuota, fa equitazione,scia nelle migliori stazioni alpine; viaggiamolto… Al tempo stesso coltiva una inte-riorità profonda e ricca, temprata dalla vi-cenda forte e dolorosa dell’amore – matu-ro, a dispetto della giovane età – per Anto-nio Maria Cervi, che era stato suo giovanedocente al “Manzoni”. Amore corrispostoma recisamente rifiutato dalla famiglia dilei.

Una sofferenza più tenace anche se piùsotterranea le viene dalla forte tensione re-ligiosa che fatica a trovare appigli.6 Talecontrasto si fa più forte negli anni univer-

L’URLO DELLE PREGHIERE DI PIETRA:ANTONIA POZZI E LA MONTAGNA

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con la montagna. Una visione dell’alpini-smo molto classica, lontana dalla conce-zione sportiva o anche solo competitiva,che si andava affermando in quegli anniTrenta, in cui si combatteva la celebre“battaglia del sesto grado”. Un indizione è che nei suoi scritti manca qualsiasitraccia non dico di relazione tecnica,ma anche di semplici particolari delleascensioni.

Eppure l’amore alla montagna le iniziaa scorrere nel sangue fin da giovanissima,quando trascorre le vacanze a Pasturo, unpiccolo paese della Valsassina, alle pendicidella Grigna settentrionale, dove RobertoPozzi aveva acquistato una villa patriziadel settecento.

Ogni estate, per altro, ricorre un sog-giorno alpino, spesso nelle località più ri-nomate, con la famiglia o con amici. Unasolida amicizia lega i suoi alla famigliaGiussani e l’avvocato esercitò certamente,con il suo prestigio e la sua passione alpi-nistica, una grande influenza sulla giova-nissima Antonia.9

Già nel 1923, a 11 anni, Antonia siiscrive al CAI , sezione di Milano, come sidesume dalla tessera custodita nell’“archi-vio Pozzi” di Pasturo.

Non è qui possibile dar conto nel detta-glio delle notizie sull’attività alpinistica escialpinistica che si ricavano dalle lettere edalle fotografie. Basti, per ora ricordarel’intensa attività nelle Orobie, in Engadi-na, sulle dolomiti del Brenta, sul Cervino,sul Monte Rosa e alle Tre Cime di Lavare-do. Proprio qui, nel gennaio del 1936 e del1938 prende parte alla scuola d’alpinismodi Emilio Comici a Misurina. Diverse fototestimoniano i due legati alla stessa corda,in passaggi piuttosto impegnativi. Con luiarrampica anche in quella sua ultima esta-te.

Questo mondo interiore, pacificato e vi-vificato dalla pratica alpinistica, ha gene-rato un “canzoniere di montagna” tra i piùinteressanti – a mio parere – del Novecen-to italiano. Sono almeno una trentina i te-sti di evidente richiamo all’esperienza al-pinistica; ma riferimenti più tangenziali osotterranei si ritrovano in moltissime liri-che.

Antonia non pubblicò nessuna poesia invita. I suoi testi vennero pubblicati daMondadori l’anno dopo la morte, a curadal padre di lei. Non ci è dato di sapere,quindi, se la poetessa avesse in animo di

collocare i testi secondo un preciso ordinepoematico. Vero è che, nell’universo poe-tico della Pozzi, la montagna rappresentauna linea fortemente caratterizzata. Conuna certa frequenza ricorre il procedimen-to di antropoformizzazione delle cime, cheindica – mi pare – quel colloquio interioreche l’esperienza alpinistica facilita. Me-taforizzazione carica di forza ed energiache favorisce anche un forte senso del pro-prio “io” e, insieme, la coscienza di am-pliare la propria capacità percettiva.

L’esperienza di montagna genera, dun-que, nella Pozzi una linea poetica forte-mente energetica e originale; alcune liri-che sono sicuramente tra i più riusciti testipoetici di montagna del nostroNovecento.10

Antonia Pozzifotografata il 18agosto 1932 con laguida OlivieroGasperi sulleDolomiti di Brenta.

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Il testo è ancora giovanile (Antonia hadiciassette anni), come testimonia anchel’assetto metrico (un’unica lassa di ende-casillabi, privi di rima ma puntellati dafrequenti richiami fonici in punta di ver-so). Successivamente verrà abbandonatal’uniformità strofica e metrica e il lavorostrutturale diventerà più sotterraneo e piùsicuro.

Di quattro anni posteriore è la poesiaLa roccia:

La rocciaTrine di betullanella vallei pensieri –ma ieriquando soli erravamosulla nuda montagna –il tagliodelle rupi più eccelseera il disegnodella mia forza – in cielo.E non parlare di rovinatu cuore –fin che uno spigolo nero a strapiombospacchi l’azzurroe una corda s’annodi all’animabiancacome le ossa del falcoche sul torrione più altoregalmente ha volutomorire.12

Di questo testo risulta immediato sotto-lineare il forte colorismo del contrasto“spigolo nero” (v. 13), “azzurro” (v. 14) e“una corda […] / bianca / come le ossadel falco” (vv. 15-17), dove balza evidentela forte valenza simbolica di quest’ultimocolore.

Annota la Bernabò: «La poesia si puòdividere in due parti, caratterizzate dauna consapevole opposizione concettualetra idillio e dramma: d’altronde, fin dal-l’inizio della sua produzione poetica, An-tonia Pozzi era tutt’altro che aliena daconsiderazioni strutturali e stilistiche.L’immagine lieve e delicata dei pensierivisti come “trine di betulla” si contrappo-ne a quella sobria della corda alpinisticabianca, assimilata a un’immagine di mor-te (“le ossa del falco”), ma di una morteeroica, con un tono che parrebbe, in quel“regalmente”, dickinsoniano. Non risultaperaltro che l’autrice conoscesse EmilyDickinson, per cui quell’espressione di

Non è qui possibile condurre un’analisicritica dettagliata. Desidero semplicemen-te soffermarmi su tre testi, che copronol’intera stagione alpinistica della sua breveesistenza.

La presenza della montagna irrompecon forza nell’universo poetico di AntoniaPozzi con la poesia Dolomiti. È il 13 ago-sto 1929; in quei giorni Antonia compie lasua prima ascensione in roccia, sul Castel-letto Inferiore, con Oliviero Gasperi.

DolomitiNon monti, anime di monti sonoqueste pallide guglie, irrigiditein volontà d’ascesa. E noi strisciamosull’ignota fermezza: a palmo a palmo,con l’arcuata tensione delle dita,con la piatta aderenza delle membra,guadagnamo la roccia; con la famedei predatori, issiamo sulla pietrail nostro corpo molle; ebbri d’immenso,inalberiamo sopra l’irta vettala nostra fragilezza ardente. In basso,la roccia dura piange. Dalle nere,profonde crepe, cola un freddo piantodi gocce chiare: e subito spariscesotto i massi franati. Ma, lì intorno,un azzurro fiorire di miosotiditradisce l’umidore ed un remotolamento s’ode, ch’è come il singhiozzorattenuto, incessante, della terra.11

Antonia Pozziripresa in unapausa dimontagna.

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fiera energia, che viene dopo un’invoca-zione al proprio cuore, potrebbe avere co-me antecedente poetico piuttosto il Leo-pardi di A se stesso, che alla precedentevocazione idillica contrappone una più vi-gorosa ispirazione “eroica”. Anche in An-tonia Pozzi, in questo caso, all’idillio cre-puscolare viene sostituita l’intensità inso-spettata di una metafora forte, nella qualela presenza dell’io, per la fermezza concui è posta, appare orgogliosa esolenne».13

La rupe viene connotata dal sostantivo“taglio” (v. 7) e dal verbo “spacchi” (v.14), a riprova che la poetessa l’intendenon come elemento statico, ma fortementedinamico: «Naturalmente i picchi a stra-piombo sono metafore del desiderio diascesa e superamento dei limiti che tengo-no imprigionata l’energia, la quale dall’a-nimo vorrebbe esplodere con la stessa for-za di rottura che imprimono le montagneal loro balzo».14

Da ultimo desidero soffermarmi sullalirica Salita:

SalitaQuesta tua mano sulla rocciafiorisce:non abbiamo paura del silenzio.

Immenso gremboLa valle spegne l’ansiadi lontane valanghe,fumo lievesulle pareti nere.

Si accendon le tue dita sulla pietraalte afferrandoorli di cielo bianco:non abbiamo paura del deserto.

Andiamo verso il Sorapis:così soliverso l’apertoaltare di cristallo.15

La poesia è datata Misurina, 11 gennaio1936.

Dal primo dell’anno la Pozzi sta parte-cipando alla Scuola di alpinismo di EmilioComici. Il fascino e la sintonia con “l’An-gelo delle Dolomiti” sono tali che a lui –ed è un unicum nella sua poesia – dedicadue liriche nominatim.16 In questo testol’interlocutore è ancora lui sebbene noncitato direttamente.

Il magistero di Comici permette ad An-tonia una crescita tecnica che va di paripasso con una più sicura maturità interioree poetica; è indicativo, a chi conosca an-che poco la biografia di Antonia, il fortevalore di quella ripetizione “non abbiamopaura del silenzio” (v. 3) e “non abbiamopaura del deserto” (v. 12) …

Del resto ci rimane un memorabile bra-no di una lettera in cui racconta di aver as-sistito (e questa volta siamo nell’estate del1938, pochi mesi prima della sua tragicafine) all’ascensione della parete nord dellaCima Piccola di Lavaredo:

«[…] Lassù nei turbini bianco-azzurrodel sogno, col corpo mi si è rinforzata l’a-nima.

Mi erano compagni due spiriti rari eforti: Comici e una ragazza di Padova ari-stocratica e montanara. Non dimenticheròmai l’ultima giornata passata con lei fra ilrifugio Principe e il rifugio Locatelli, sottole immani pareti Nord delle Cime.

Comici arrampicava solo su per laNord della Piccola, un’ascensione estre-mamente difficile. Noi sotto, sul ghiaione,nell’ombra fredda, a seguire spasmodica-mente con gli occhi quel punto minuscolocrocefisso al lastrone nero. Poi, quandolui fu in cima, noi giù a salti per usciredall’ombra e là, per terra, al sole, a 2500metri, fino al tramonto. C’era un silenzioinfinito e pur denso di suoni. Dalla valleprofonda di Sesto, salivano rotti palpiti dicampani, giù dalle gole, dai camini, ri-

È indubbio ilmagisteroalpinisticoesercitato da EmilioComici su AntoniaPozzi. Una crescitatecnicaaccompagnatasiad una più sicuramaturità interiore epoetica.

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spondevano rarissime pietruzze rimbal-zanti sul ghiaione. E a me, così supina,pareva che l’enorme conca deserta fossepur piena di un’altra musica, una speciedi ronzio gonfio e continuo, che sembravapartire da un gigantesco organo sospesofra cielo e terra. Ed ecco: guardando inalto, pensai che avverrebbe delle nostreanime se quelle nuvole bianche che passa-no incessantemente lassù avessero ciascu-na un suono, una nota, un canto; più bas-so le nuvole lente e scure, chiaro argenti-no le nuvole candide. Forse in quell’oraera il passo delle nuvole, era la voce dellenuvole che mi sonava dentro come unasinfonia orchestrale. O forse erano le TreCime, là erette come una cattedrale goti-ca, sventrata dal fulmine e spalancata aDio, che lasciava prorompere l’urlo delleloro preghiere di pietra. E forse in tuttoquel canto la nota più alta era tenuta dal-l’anima dell’uomo solo lassù, con la suavittoria e il suo sonno sotto il sole […]Forse anche erano i morti, di cui sotto leCime e la Forcella di Lavaredo si trovanole ossa bianche sparse, benedette e purifi-cate dalla neve e dal sole; i morti dellanostra guerra, forse, che cantavano nelsole di mezzogiorno, per la mia stanchez-za ebbra, per il mio corpo di ragazza sul-l’erba breve e puntuta, per il mio cuorestretto contro un masso di granito e le miemani posate amorosamente sull’appiglio[…] Se potessi sempre ricordarmi di quel-l’ora, la vita sarebbe una vittoriacontinua».17

Marco Dalla Torre

1 DINO FORMAGGIO, Una vita più che vita in An-tonia Pozzi, in GABRIELE SCARAMUZZA (a cura di), Lavita irrimediabile (un itinerario tra esteticità, vita earte), Alinea editrice, Firenze 1997, p. 158.

2 EUGENIO MONTALE, Prefazione, in ANTONIA

POZZI, Parole, collana “Lo Specchio”, Mondadori,Milano 1948, pp. 10-11.

3 Dalla fine degli anni Ottanta sono via via ap-parsi tutti gli scritti, a cura di Onorina Dino e Ales-sandra Cenni; diamo i riferimenti bibliografici più re-centi.

ANTONIA POZZI, Parole, Garzanti, Milano 2001ANTONIA POZZI, Poesia mi confesso con te. Ulti-

me poesie inedite, Viennepierre, Milano 2004ANTONIA POZZI - VITTORIO SERENI, La giovinezza

che non trova scampo, Scheiwiller, Milano 1995 ANTONIA POZZI, L’età delle parole è finita. Lettere

(1923-1938), Archinto, Milano 2002ANTONIA POZZI, Diari, Scheiwiller, Milano 1988.4 Il padre Roberto, di modeste origini, si era af-

fermato come uno dei più valenti avvocati milanesi,specialista di diritto finanziario internazionale. Lamadre Lina apparteneva al nobile casato dei Cavagna

Sangiuliani di Gualdana. Tutti i dati biografici – quinecessariamente sintetizzati allo stremo – sono de-sunti dall’accuratissima e criticamente ineccepibilebiografia di GRAZIELLA BERNABÒ, Per troppa vitache ho nel sangue, Viennepierre, Milano 2004.

5 La tesi le ottenne il massimo dei voti e la meda-glia d’oro della Fondazione Donati per la filologiastraniera, assegnatale dal Consiglio della Facoltà diLettere, nel giugno 1938. Banfi la invitò a rivederlaper la pubblicazione, che avvenne postuma, con Pre-fazione dello stesso Banfi: ANTONIA POZZI, Flaubert.La formazione letteraria (1830-1856), Garzanti, Mi-lano 1940.

6 I genitori, a quel tempo non particolarmenteferventi, non furono in grado di trasmetterle il sensoprofondo del cristianesimo, da cui a malincuore pro-gressivamente si allontanò.

7 ANTONIA POZZI, Flaubert, cit., p. 223.8 Le cause di tale gesto estremo (in ultima istan-

za riconducibili a un abissale necessità di amore chenon riesce a colmare), per i dati che possediamo, so-no diverse e complesse; crediamo non sia opportunoamplificare l’importanza di una sola di esse. In ognicaso non è questa la sede per trattarne.

9 Giussani (1879-1960) fu un noto avvocato mi-lanese; subentrò nel 1911 all’avvocato Luigi Rossi,suo maestro, nel ruolo di principale consulente legaledella Banca Commerciale Italiana, di cui poi diverràPresidente dal 1945 al 1960. In quegli anni è statoPresidente anche delle Assicurazioni Generali e, tra il1946 e il 1951 fece parte del Consiglio Comunale diMilano. Fu anche figura eminente del mondo cultura-le, membro dell’Ente Autonomo del Teatro alla Scalae valente traduttore di classici latini. Ottimo alpini-sta, fu tra i membri fondatori, nel 1929, del GISM(Gruppo Italiano Scrittori di Montagna). Nel 1931pubblico per Mondadori il volume Chiacchiere di unalpinista, una nuova versione ampliata del quale ap-parirà per l’editore Ceschina vent’anni più tardi.

10 Indicativo che nell’antologia Monti di versi(raccolta di poesie sulla montagna, a cura di SilvanaMilantoni e Riccardo Doria, Ed. Associazione “Ami-ci del Museo di Taibon”, Venezia 2004) i testi dellaPozzi siano numericamente preponderanti.

11 ANTONIA POZZI, Parole, cit., p 22.12 Ibidem, p. 133.13 GRAZIELLA BERNABÒ, Per troppa vita che ho

nel sangue, cit., pp. 151-152.14 CATERINA D’ALONZO, La poesia di Antonia

Pozzi. Un’antologia tematica, tesi di laurea in lette-ratura italiana moderna e contemporanea, Universitàdegli Studi di Bari, 2003, p. 160.

15 ANTONIA POZZI, Parole, cit., p. 267.16 Si tratta di A Emilio Comici (Misurina, 16 gen-

naio 1936) e Per Emilio Comici (Misurina, 7 agosto1938), in ANTONIA POZZI, Parole, cit., pp. 273-274 ep. 311.

17 ANTONIA POZZI, L’età delle parole è finita, cit.,pp. 260-261.