Le imperdonabili antonia pozzi

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Progetto "Le imperdonabili o dell'eccentrica e talentuosa virtù", a cura de Il filo di Eloisa - Associazione Eloisa Manciati, Orvieto

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Antonia nasce a Milano, il 13 febbraio 1912. Era fragile e minuta, si riprese presto ma mantenne però sempre in sé qualcosa di delicato nel fisico e nell’indole, che fu dolce e inquieta fin dalla fanciullezza.

Nella Milano degli anni Trenta la famiglia Pozzi era di quelle che contavano, il padre di Antonia era avvocato di fama e divenne un podestà sicuramente apprezzato; la madre Carolina, detta Lina, era figlia di un conte. Donna alta, sottile, raffinata e piacevole.

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Le vicende dell’amicizia e dell’amore si intrecciarono negli anni del Liceo classico “Manzoni” che frequentò a Milano.

Qui conobbe Lucia Bozzi ed Elvira Gandini, che divennero per lei le “sorelle d’adozione”, e fece uno degli incontri più importanti della sua vita, quello con il professor Antonio Maria Cervi, che fu per un anno suo insegnante di latino e greco e di cui si innamorò appassionatamente.

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Dopo aver conseguito la maturità classica Antonia, nell’anno accademici 1930-31, si iscrisse all’indirizzo di Filologia Moderna della Facoltà di Lettere e Filosofia a Milano. Seguì le lezioni di Giuseppe Antonio Borgese e in seguito si accostò all’insegnamento filosofico di Antonio Banfi, e cominciò a stabilire rapporti intellettuali con i giovani studiosi che si raccoglievano intorno a lui.

Proprio con questo professore Antonia discuterà la sua tesi di laurea su Gustave Flaubert.

Scriverà : “ una tesi, in cui forse c’è tutto il meglio di me, la storia e il programma forse della mia vita…”

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La sua produzione poetica dopo la morte è stata censurata e manipolata dal padre e recuperata alla sua integrità, salvo i casi in cui la censura è stata pesante tanto che sono stati incollati fogli sull’originale, dall’opera di suor Onorina Dino. Non ha pubblicato niente in vita, per la sua modestia e il suo essere schiva. Alla sua morte vengono rinvenuti una miriade di fogli e alcuni quaderni, che vengono inizialmente definiti “ diario in poesia”, definizione oggi respinta dalla critica come limitativa. Direi che la si può accogliere solo per l’assiduità quotidiana e la regolarità con cui scrive tra il 1929 e il 1938. La sua opera ottiene inizialmente una fama di corto respiro sulle colonne della cronaca e poi una memoria durevole grazie all’ammirazione di grandi critici e poeti, come Eliot e Montale.

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Le prime liriche a noi note di Antonia Pozzi risalgono al 1929. Aveva 17 anni ed era adolescente fino in fondo, nel desiderio di tenerezza e d’amore, nell’ansia di vita e di emozioni e nelle crisi di malinconia.

Molte poesia sono dedicate a Antonio Maria Cervi e al loro infelice amore, altre alle amiche, altre ci riconducono a momenti precisi della sua vita. Parte spesso da un episodio, un fatto quotidiano, frequentemente da un paesaggio o un elemento naturale che sono stati oggetto del suo sguardo e del suo pensiero e ci restituisce una descrizione ricca di metafore e similitudini originali, con un linguaggio raffinato che coglie le cose e le fissa in splendide immagini

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E’ terribile essere una donna,

ed avere diciassette anni.( Antonia Pozzi )

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Montale pubblicherà un articolo nel 1945 in cui cercherà, con alcune buone intenzioni, ma anche con qualche riserva, di farla uscire dal campo della poesia spontanea , in cui l’aveva limitatamente collocata qualche incauto critico della prima ora, cercando invece di trovarle un posto nella lirica del Novecento, avvicinandola a certe esperienze, per esempio di Ungaretti. Montale poi la impose all’attenzione dei lettori italiani presentando l’edizione mondadoriana delle sue poesia nel 1948.

La raccolta completa delle sue 248 poesie è stata pubblicata con il titolo “Parole” da Garzanti nel 1989 e con l’aggiunta di altre 13 inedite nel 1998 e da Sossella nel 2010 con allegato il DVD di Marina Spada “Poesia che mi guardi”.

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La fotografiaè un’altra passione di Antonia,iniziata nel ‘29 e che diventa più sistematica nel ’36. Una poetica della fotografia, quando la fotografia, ormai distaccata dall’idea di istantanea finalizzata al ricordo di un monumento, la porta a cercare una solidità dell’esistente in un mondo semplice, contadino o montano che sia; esso diventa “un modo di prendersi cura dei propri ricordi”, “una sorta di relazione affettiva col mondo”, nella quale la Pozzi esprime insieme l’angoscia e il fascino della morte e l’amore per la vita.

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Oggetto di molte sue foto saranno le amate montagne, le mamme montagne, cui dedica 30 poesie, che sono considerate all’interno della sua opera un vero e proprio canzoniere di montagna. Scalate con la guida Oliviero Gasperi nel ’29 e nel ’32 e scuola di alpinismo e scalate impegnative con Emilio Comici nel ‘36e nel ’38. La sua è una poetica delle cose, le sorelle cose le chiama, le cose sorelle nel dolore, con un accenno di misticismo, cui approda la sua complessa ricerca religiosa. Parte quindi spesso da una descrizione per espandersi poi in una riflessione più ampia e generale.

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La ricerca della fede è un nodo esistenziale ricorrente cui la inducono l’ambiente familiare, dove l’adesione religiosa però più che rigida è formale, lo stesso Antonio Maria Cervi e forse, in modo più aperto, la induce il profondo rapporto affettivo e intellettuale con le amiche Elvira Gandini e Lucia Bozzi, che prenderà i voti. Ma nonostante i suoi sforzi e la sua ricerca, che nei momenti difficili diventa disperata ricerca di conforto, Antonia fin da giovane porta in sé i germi di un laicismo, di uno scetticismo e approderà definitivamente alla sua fede più profonda, quella nella poesia, proprio negli anni della grande delusione, del grande dolore per l’impossibilità di realizzare il suo amore e la rinuncia al rapporto con Cervi.

In una pagina del suo diario di quel periodo scrive:” Anche se io non riuscirò a vedere nel vostro Cristo più che l’uomo, pure saprò farmi buona, saprò camminare, saprò crearmi dentro sempre più il mio io… Sarà un camminare con una meta canora dentro…”

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La rinuncia all’amore con Cervi porta con sé un’altra tragica rinuncia, quella della maternità e ciò nella sua poesia si esprimerà nel tema del figlio mai nato, l’immagine ricorrente di un bambino che allude dapprima alla vicenda biografica, ma è anche simbolo della sua creatività e del complesso passaggio dalla maternità biologica alla maternità creativa, la generatività poetica, nodo irrisolto della personalità di Antonia.

La Pozzi deve ricercare la sua vera identità e autenticità nella condizione difficile in cui la pone la sua posizione sociale: proviene da una famiglia altolocata, molto in vista nella buona società milanese ed è fortemente condizionata dall’educazione, alla quale tuttavia si ribella coraggiosamente, e dalle convenzioni sociali rigide, da genitori oppressivi, soprattutto il padre, pur nella sua amorevolezza.

 

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Anche il momento storico e il contesto generale in cui vive non aiuta, le donne in particolare, ma in generale un’intera generazione di giovani oppressi dal regime fascista.L’amico fraterno Vittorio Sereni in una poesia del ’36 si riferirà alla sua generazione con l’espressione “la giovinezza che non trova scampo”, cioè che non trova sfogo. Non trova sbocco, non trova appigli, non sa a cosa applicarsi, a cosa tendere.”

Antonia e Vittorio vivono le stesse esperienze nello stesso ambiente universitario e “si fanno interpreti nella loro poesia di quello stato di diffusa minaccia, di angoscia esistenziale e di bisogno di fuga nell’incanto amoroso che costituiva la vita di un giovane intellettuale d’anteguerra”.

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All’Università statale c’è un folto gruppo di giovani abituati alla cultura umanistica, che comunque rivendica la libertà e la dignità della ricerca autonoma del pensiero, eppure non c’è un dissenso organizzato: lo scontento e la ribellione serpeggiano sotterranei, presto configurandosi in posizioni precise di pensiero guidate da maitre à penser.

In questo periodo si svolge la discussione intorno a Tonio Kruger, tema dell’opposizione tra arte e vita. Antonia e Vittorio, come altri intellettuali restano impigliati in queste elucubrazioni invece di gettarsi nella vita, ma la mediazione intellettuale e il neoplatonismo letterario impedisce di accettare il magma decantato della realtà confusa e volgare.

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La vita di Antonia si concluderà tragicamente proprio nel 1938, anno cruciale dei destini e del mondo, quando anche le ultime speranze di pace sono cadute. Il fascismo in Italia avvia le leggi razziali e stringe le maglie della censura. A molti giovani sembra di camminare sull’orlo di un precipizio e sentono che la catastrofe è solo rinviata.

Una generazione cresciuta secondo i principi liberali viene privata di ogni illusione o speranza e privata anche della libertà di parola e di espressione in nome della quale quei giovani intellettuali avrebbero voluto vivere. La stessa immagine della donna voluta dal regime non poteva corrispondere ai bisogni di libertà creativa di Antonia, che non poteva accettare compromessi e mezze misure nonostante gli sforzi.

Nella lettera di commiato alla famiglia, incenerita e riscritta a memoria dal padre ha scritto: “ Ho tanto sofferto…Fa parte di questa disperazione mortale anche la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite”.