Luisa Festa, Rosa Credendino, Valentina Manna, Anna ... · Presentazione 11 di Renato Pingue e...

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L’indagine sulle dimissioni volontarie nel primo anno di vita del bambino è stata effettuata dall’Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Napoli e la Direzione Provinciale del Lavoro di Napoli, in collaborazione con le Organizzazioni Sindacali e il Dottorato di Studi di Genere dell’Università Federico II.

Coordinamento editorialeValentina Manna

Gruppo di Lavoro Luisa Festa, Rosa Credendino, Valentina Manna, Anna Letizia, Isabella Bonfiglio, Paola Poggi, Rosalba Cenerelli, Ines Picardi, Carmen Costagliola, Giuseppina Esposito, Marianna Micillo

Segreteria organizzativaMaria Di Luca, Giuliana Esposito e Simona Pompeo.

Progetto grafico e editingA cura di Carmela Maisto - Esperta in Comunicazione dell’Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Napoli

In copertina: Mater Matutae. Museo Campano di Capua (Statue in tufo raffiguranti le madri risalenti al VI e II sec a.C. foto L. Festa)

La pubblicazione di questo volume è stata finanziata dall’Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Napoli

Diritti riservatiFinito di stampare nel mese di maggio 2011

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Sommario

Prefazione 9dell’On. Luigi Cesaro

Presentazione 11di Renato Pingue e Luisa Festa

Capitolo I

Il Tavolo Tecnico Nazionale 16di Mirella Guicciardi

Capitolo II

Risorse, strategie e percorsi istituzionali per il supporto della maternità. 23di Luisa Festa

1. La promozione delle Pari Opportunità: Organismi e normative 23

2. Contraddizioni e criticità nella tutela della maternità 27

3. Donne, maternità e lavoro: quale sostegno? Alcuni dati. 31

Capitolo III

Il fenomeno delle dimissioni volontarie nel primo anno di vita del bambino: i compiti delle Direzioni Provinciali del Lavoro e l’attività ispettiva connessa 41di Sergio Trinchella

Capitolo IV

La tutela della maternità nei contratti dilavoro e flessibilità di orario: le buone prassi 49di Isabella Bonfiglio, Rosalba Cenerelli, Anna Letizia, Paola Poggi

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Capitolo V

Work and family balancing e il dottorato di studi di genere della Università Federico II di Napoli 56di Caterina Arcidiacono e Valentina Manna

L’altro albero del giardino: il ruolo del partner 60

Riferimenti bibliografici 63

Capitolo VI

Mamme in fuga: uno studio sul fenomeno dellelavoratrici madri dimissionarie nella provincia di Napoli nel 2009 66di Luisa Festa, Rosa Credendino, Valentina Manna

1. Introduzione 66

2. Il disegno di ricerca 71

2.1 Gli obiettivi della ricerca 71

3. Metodologia dell’indagine 72

4. Analisi dei dati 74

5. Analisi dei risultati 74

5.1 Caratteristiche socio-economiche 74

5.2 Esperienza lavorativa 79

5.3 Motivi delle dimissioni 85

5.4 Pressioni al licenziamento 88

5.5 Progettualità futura 92

6. Identikit della lavoratrice madre dimissionaria 94

Capitolo VII

Conclusioni 1001. Azioni di sistema 103

2. Misure per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro 104

3. Modelli organizzativi concilianti. 104

4. Servizi di supporto alla famiglia. 104

Capitolo VIII

Appendice 1071. Il Protocollo d’Intesa tra l’Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Napoli e la Direzione Provinciale del Lavoro di Napoli 107

2. Il Questionario di rilevazione 111

3. Modulo ministeriale per la convalida delle dimissioni 114

4. Circolare convalida dimissioni lavoratrice madre/lavoratore padre 115

5. Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostengo della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della Legge 8 marzo 2000, n. 53 (Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151) 117

6. Linee guida dell’attività ispettiva in materia di pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni 120

7. La Carta per le Pari opportunità 123

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Prefazione

L’analisi delle problematiche connesse alla conciliazione e alla tutela della maternità è uno strumento indispensabile per comprendere le modificazioni e le difficoltà che l’affermazione effettiva dei principi di pari opportunità incontra nel nostro contesto locale. Nonostante il costante impegno delle istituzioni in quest’ambito, ancora molto deve essere fatto per giungere ad una partecipazione equilibrata degli uomini e delle donne all’attività professionale, alla vita familiare, alla vita politica. Per le donne, in particolare, gli ostacoli nel realizzare una riuscita conciliazione aggravano le difficoltà relative all’inserimento femminile nel mercato del lavoro, caratterizzato, per molte di esse, da una condizione ancora diffusa di precarietà lavorativa. Fenomeni come quello delle dimissioni per maternità in periodo protetto, dunque, vanno conosciuti e denunciati in quanto segnali di ostacoli e discriminazioni che vanno rimossi per promuovere l’occupazione femminile.Per questi motivi, la Provincia di Napoli non solo individua nelle politiche di conciliazione uno degli elementi cardine per l’affermazione dei principi di pari opportunità, ma promuove, insieme a questa, tante iniziative che vanno nella direzione del raggiungimento delle pari opportunità tra uomo e donna, e del sostegno alla famiglia nei compiti di cura che le sono demandati. In particolare, l’Amministrazione Provinciale da tempo segue con attenzione le iniziative della Consigliera di Parità della Provincia di Napoli, sostenendola nel positivo percorso da lei avviato nel nostro territorio.A tal riguardo, mi preme sottolineare l’importanza di questo volume come strumento informativo su di un fenomeno ancora scarsamente conosciuto e spesso sottaciuto, e il suo essere espressione di una sinergia tra le istituzioni territoriali. Difatti, il raccordo tra forze politiche e istituzionali è fondamentale

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Presentazione

L’indagine illustrata nel presente volume è il risultato dell’attuazione degli accordi istituiti tra l’Ufficio della Consigliera di Parità e la Direzione Provinciale del Lavoro della Provincia di Napoli nella persona del dott. Sergio Trinchella, ex-direttore della DPL, tramite un Protocollo d’intesa siglato il 6 novembre 2007. Esso è stato stipulato rispettando le linee guida del Protocollo d’intesa nazionale costituito tra la Direzione Generale per l’Attività ispettiva del Ministero del Lavoro e la Rete Nazionale delle Consigliere di Parità. Il Protocollo è nato per dare concreta attuazione alla collaborazione tra la Consigliera di Parità e la DPL, impegnati a realizzare un’azione sinergica contro le discriminazioni di genere nel rispetto dei reciproci compiti previsti per legge. Infatti, il Decreto Legislativo n.198 del 11 aprile 2006 affida alle Consigliere di Parità funzioni di collaborazione con le Direzioni Regionali e Provinciali del Lavoro al fine di individuare efficaci procedure di rilevazione delle violazioni alla normativa in materia di pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni, nonché compiti di diffusione della conoscenza, dello scambio di buone prassi e attività di informazione-formazione sulle pari opportunità. In particolare, la Circolare n.13/2006 del Ministero del Lavoro stabilisce che è compito della Direzione del Lavoro verificare i casi di discriminazione segnalati dalla Consigliera di Parità, la quale a sua volta può richiedere alla Direzione del Lavoro i dati sulla situazione occupazionale maschile e femminile (D.Lgs. n.198/2006).

Nell’ambito di tale collaborazione, la Consigliera di Parità e la DPL della Provincia di Napoli hanno organizzato un Ciclo di incontri seminariali su “Lavoro, salute, sicurezza e discriminazioni in un’ottica di genere”, tenutosi dal 12 aprile sino al 24 maggio 2010.

per migliorare la qualità della vita collettiva, e l’informazione è lo strumento centrale per creare reti nuove e sinergie efficaci. Pertanto auspico che questo prodotto sia il punto di partenza per promuovere la costituzione di nuovi nodi e strategie comuni d’azione, come lo è stato il seminario di presentazione dei primi dati raccolti in questo lungo lavoro di analisi, tenutosi nel novembre 2009. Il convegno, è stato un importante momento di riflessione tra la Provincia di Napoli, l’Assessore al Lavoro, la Consigliera di Parità e la Direzione Provinciale del lavoro, le OO.SS., le Associazioni e istituzioni. Un confronto tra punti di vista diversi e tra esperienze di qualificati professionisti con formazione differente, nonché un primo momento di coinvolgimento pubblico sul tema e l’occasione per instaurare contatti con i diversi operatori del settore. Esso ha messo in luce la necessità di creare una rete di servizi a supporto delle lavoratrici madri, nonché l’elaborazione e il rafforzamento di strategie di conciliazione e campagne di sensibilizzazione, ricevendo anche il supporto di sua Eminenza il Cardinale Crescenzio Sepe. L’augurio è che gli organismi a tutela delle Pari Opportunità, di concerto con le altre istituzioni territoriali, orientino sempre più la loro attività e i loro sforzi al consolidamento dei risultati raggiunti e si adoperino per colmare i vuoti ancora esistenti.

On. Luigi CesaroPresidente della Provincia di Napoli

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Attraverso il Protocollo d’intesa, la Consigliera di Parità e la DPL di Napoli puntano a realizzare una serie di obiettivi, tra cui l’istituzione di un Tavolo Tecnico sulle pari opportunità, nato nel dicembre 2007, cui hanno preso parte successivamente anche le Organizzazioni Sindacali, fornendo un contributo indispensabile per la realizzazione delle attività programmate. In particolare il Tavolo Tecnico, secondo quanto previsto dall’art.4 del Protocollo, si è dedicato alla problematica delle dimissioni volontarie per maternità in periodo protetto.Come verrà ulteriormente specificato nei capitoli successivi, tale fenomeno, diffuso sia nel Nord che nel Sud Italia, coinvolge tendenzialmente giovani donne alla loro prima esperienza di mamme e che muovono i primi passi nel mercato del lavoro.Risulta, pertanto, prioritario sostenerle e rafforzarne le potenzialità, onde evitare effetti di scoraggiamento.Le realtà aziendali investite dal fenomeno sono rappresentate essenzialmente dai settori del commercio e dei servizi, e coinvolgono piccole imprese in cui presumibilmente le possibilità di garantire un’adeguata tutela alle lavoratrici madri appare limitata. Infine, va anche considerato che le realtà territoriali in cui le dimissioni si concentrano presentano ancora servizi di supporto poco numerosi o inadeguati, evidenziando la necessità di insistere sulla creazione di un sistema di sostegno che possa venire incontro alle esigenze delle lavoratrici madri e delle loro famiglie.

In merito al procedimento della convalida, tramite il Protocollo d’intesa, la DPL di Napoli si è impegnata a fornire semestralmente alla Consigliera di Parità i dati relativi alle dimissioni presentate, mentre la Consigliera ha offerto il proprio supporto alle lavoratrici madri dimissionarie sia nelle azioni di conciliazione che in quelle in giudizio.Inoltre, per poter approfonditamente monitorare il fenomeno e approntare adeguate strategie di intervento, è stato predisposto un questionario anonimo da somministrare alle donne in sede di convalida delle dimissioni, in aggiunta al modello ministeriale, al fine di individuare le problematiche di conciliazione, l’effettiva volontarietà delle dimissioni e le eventuali forme di pressione da parte del datore di lavoro.

Si è trattato del secondo ciclo di incontri seminariali sul diritto antidiscriminatorio organizzato dall’Ufficio della Consigliera di Parità. Il ciclo, destinato agli Ispettori del Lavoro della DPL di Napoli, ha coinvolto esperti nel campo giuslavorista, magistrati, operatori del settore ed Organizzazioni sindacali. Nel corso dei seminari è stata approfondita la conoscenza del diritto antidiscriminatorio che, pur essendo uno dei campi più innovativi della regolazione giuridica, non ha ancora ricevuto da parte degli studiosi e dei pratici del diritto un’importanza pari alle innovazioni che si sono prodotte a livello normativo, e quindi richiede un aggiornamento costante del personale e degli operatori coinvolti.Nello specifico la Consigliera di parità e gli ispettori del lavoro hanno ritenuto opportuno approfondire la tematica dei rischi connessi alle differenze di genere cogliendo un aspetto importante dell’art 28 del TU 81/2008 che supera la concezione di tutela del lavoro femminile circoscritta alla gravidanza e introduce, per la prima volta, in materia di valutazione dei rischi, come materia da considerare, sia i rischi connessi al genere, con particolare riferimento allo stress lavoro correlato, che ai rischi sul lavoro rapportati alle differenze tra uomini e donne, per esempio rispetto all’esposizione a possibili danni fisici e chimici. Tra le tematiche trattate ricordiamo:

Legislazione femminile italiana ed europea e il D.lgs • recepimento della Direttiva 54/2006/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. Applicazioni della giurisprudenza nelle pratiche ispettive •  Azioni positive e tutela antidiscriminatoria•  Mobbing e molestie sessuali•  Studio di un caso e problematiche legate all’attività ispettiva•  Tutela della maternità nelle libere professioni, nel lavoro • subordinato e nel lavoro autonomo Discriminazione di genere, sindacale e nell’ambito delle • libere professioni Sicurezza sul luogo di lavoro•  Report dati statistici sulla convalida delle dimissioni delle • lavoratrici madri/lavoratori padri

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alla Direzione Nazionale del Lavoro, di cui la Consigliera Provinciale di Parità può fare richiesta.

Ci preme sottolineare che questa pubblicazione è dunque il risultato di un lavoro di rete, nato dagli intenti comuni della Consigliera di Parità della Provincia di Napoli e della Direzione Provinciale del Lavoro di Napoli, e successivamente arricchitosi della preziosa collaborazione delle Organizzazioni Sindacali, che hanno raccolto le buone prassi di cui sono stati testimoni e hanno messo al servizio dell’indagine le loro competenze sulle contrattualità e sulla tutela, e del Dottorato di Studi di Genere dell’Università Federico II di Napoli, che ha reso possibile l’attività di elaborazione e analisi dei dati raccolti. Tale lavoro sinergico si muove nell’interesse delle lavoratrici al fine di garantire un monitoraggio delle problematiche che le riguardano, quale punto di partenza per la costruzione di nuove strategie che le supportino.

I dati che presentiamo sono quelli ottenuti mediante la somministrazione del questionario nell’arco dell’annualità 2009 e costituiscono il primo monitoraggio in assoluto condotto sul fenomeno delle dimissioni delle lavoratrici madri nel primo anno di vita del bambino nella Provincia di Napoli.Il Tavolo Tecnico, infatti, ha lavorato per tutto il 2007 e il 2008 alla predisposizione del progetto, elaborando a fine dicembre la versione definitiva del questionario, la cui somministrazione è partita a gennaio 2009. Essa prosegue attualmente in un’attività di costante monitoraggio del fenomeno.L’elaborazione e l’analisi dei dati raccolti è stata realizzata dal Dottorato di Studi di Genere dell’Università Federico II che ha, pertanto, reso possibile un’interpretazione dei dati su base statistica. Siamo molto fieri di poter affermare che la Provincia di Napoli è stata una delle prime province che ha adottato ‘il modello unico per la convalida delle dimissioni volontarie, nonché l’istituzione di un Tavolo Tecnico per rilevare i dati a livello provinciale con la realizzazione di un report relativo in sintonia con le modalità nazionali.

Le linee guida nazionali confermano l’attività di collaborazione necessaria tra le Consigliere di Parità e le DPL; infatti, il 26 febbraio 2009 il Ministero del Lavoro ha trasmesso una circolare nella quale si annuncia l’adozione del modello unico per la convalida delle dimissioni volontarie, al fine di uniformare i vari format fino ad allora utilizzati dalla diverse DPL, evidenziando che:

Esso serve non solo per attestare la spontaneità delle dimissioni • della lavoratrice, al fine di combattere le discriminazioni di genere, ma anche per consentire un monitoraggio del fenomeno. Al termine della compilazione del modello ministeriale, • il funzionario informa la lavoratrice della possibilità di rivolgersi alla Consigliera provinciale di parità, e le chiede l’autorizzazione al trattamento dei suoi dati, acquisiti tramite il questionario anonimo realizzato dagli Uffici delle Consigliere di Parità.Ogni DPL entro il 15 gennaio deve inviare un report annuale • 

Renato Pingue Direttore della DirezioneProvinciale del Lavoro

Luisa FestaConsigliera di Parità

della Provincia di Napoli

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Direzione Generale per l’attività ispettiva-, ove la lavoratrice madre/il lavoratore padre viene informata/o nella prima parte che il Testo Unico sulla tutela della maternità e paternità (D.Lgs. n. 151/2001) prevede:

il divieto di licenziamento della lavoratrice madre dall’inizio • della gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino, nonché il licenziamento del lavoratore padre per la durata del congedo di paternità (art. 54); il diritto al congedo, anche anticipato, di maternità (artt. 16 e • 17), al congedo parentale (art. 32) ed alle relative indennità; il diritto a riposi e permessi, (artt. 39 ss) anche in caso di malattia • del figlio ed ancor più in caso di handicap; le dimissioni rassegnate nel periodo dall’inizio della gravidanza • al compimento del primo anno di vita del bambino, nonché nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, non determinano la risoluzione del rapporto di lavoro se non vengono convalidate dinanzi al servizio ispezione del lavoro (art. 55, co. 4); il diritto alle indennità previste per il licenziamento anche in • caso di convalida delle dimissioni (art. 55, co. 1).

La seconda parte del modello indaga sulle reali motivazioni che hanno spinto la lavoratrice/il lavoratore a presentare le dimissioni in un periodo in cui la normativa prevede una tutela importante. La lavoratrice dovrà indicare la mansione svolta e l’orario di lavoro (full time, part-time, turni di lavoro), il mese di gravidanza o il mese del parto già avvenuto, la composizione del proprio nucleo familiare in termini di numero di figli, precisando se ha la possibilità di far affidamento sull’aiuto di una rete familiare o istituzionale (asili nido, asili aziendali ecc.) per la cura del bambino. Si dovrà dar conto delle dimensioni dell’azienda in termini di occupati e il settore di appartenenza (agricoltura, industria, commercio, credito ed assicurazioni, altro). Alla lavoratrice viene chiesto di segnalare l’eventuale concessione da parte del datore di incentivi alle dimissioni o di aver ricevuto dinieghi a precedenti richieste di part-time o alla concessione di un orario più flessibile ovvero se la scelta di presentare le dimissioni è frutto del passaggio ad altra azienda.La parte finale della dichiarazione contiene la richiesta del consenso

Capitolo I

Il Tavolo Tecnico Nazionaledi Mirella Guicciardi

In data 13 gennaio 2009 si è insediato il Tavolo Tecnico Istituzionale presso il Ministero del lavoro alla presenza del Capo di gabinetto Cons. Caro Lucrezio Monticelli, del segretario e direttore generale del mercato del lavoro dott. Francesco Verbaro, del Direttore generale per l’attività ispettiva dott. Paolo Pennesi e della Consigliera nazionale di parità prof.ssa Alessandra Servidori, avente lo scopo di favorire la piena applicazione della normativa in materia di parità e di pari opportunità tra uomo e donna, di prevenire e di rimuovere ogni forma di discriminazione sul lavoro fondata sul sesso. Tale tavolo è costituito da un gruppo di esperte e di esperti in materia ispettiva e giuslavoristica con la composizione di tre Consigliere di parità: avv. Mirella Guicciardi, consigliera di parità della Provincia di Modena, avv. Marina Capponi consigliera regionale di parità della Toscana e dott.ssa Raffaela Gallini consigliera di parità della Provincia di Genova, e da ispettori del lavoro.

Il tavolo si è attivato immediatamente individuando alcune priorità anche legate alla delicata situazione economica e sociale che vive il mercato del lavoro femminile: problematiche delle dimissioni in periodo di maternità con report; valutazione dei rischi delle lavoratrici con particolare riguardo alle gestanti; individuazione di indicatori per la rilevazione delle discriminazioni indirette. Il primo documento approvato dal tavolo è stata la redazione della dichiarazione della lavoratrice madre/lavoratore padre dimissionari avanti la Direzione provinciale del lavoro competente entro l’anno di vita del bambino con nota prot. n. 25/II 2840 in data 26/02/2009 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali-

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in un momento di fragilità possono sembrare insormontabili, un’organizzazione del lavoro poco flessibile ed ancora distante dall’essere “family friendly”, lo scarso sostegno da parte della famiglia, il probabile reddito da “supporto” percepito e le spese relative alla custodia dei bambini. Tali fattori inducono alla fuoriuscita dal mercato del lavoro con conseguenze anche nelle maggiori difficoltà di reinserimento una volta raggiunta una migliore organizzazione famigliare od una maggiore autonomia dei figli.Sarebbe molto interessante acquisire anche il dato relativo alla qualifica esercitata al momento della richiesta di dimissioni, al fine di rilevare a quale livello la carriera venga bruscamente interrotta per valutarne poi le conseguenze e le necessità formative nell’eventuale riaffacciarsi delle lavoratrici nel mercato del lavoro. Infatti, la rilevazione di alcune DPL, tra cui Modena, evidenzia la qualifica come elemento idoneo a valutare e ad inquadrare la sussistenza di una discriminazione anche indiretta. Altro elemento che ci porta ad una riflessione è il dato relativo all’anzianità di servizio, in quanto nella maggior parte dei casi le dimissionarie lavorano da meno di tre anni. Al contrario, chi lavora da più tempo sembra avere strumenti che consentano una maggior conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, maggior esperienza forse nell’ottenimento dei diritti, maggiore capacità di gestire la maternità, fatto che avviene anche per coloro che hanno un numero più alto di figli.Maggiori difficoltà, infatti, sembrano riscontrare le primipare, le quali più facilmente lasciano il posto di lavoro dopo la nascita del primo figlio.L’ampiezza aziendale è un altro dato importante per la comprensione del fenomeno, le aziende più grandi ottimizzano meglio l’evento maternità, l’impatto globale è minore e politiche di conciliazione e flessibilità sono probabilmente più semplici da mettere in atto. Parlare di responsabilità sociale nelle imprese con meno di 15 dipendenti, considerato anche il difficile momento per la piccola impresa, sembra oltremodo complicato. Il sostegno, la sensibilizzazione delle Consigliere di parità nel loro lavoro sul territorio devono tener conto delle implicazioni emerse da queste considerazioni. Laddove l’organizzazione del lavoro è meno flessibile, mancano i

al trattamento dei dati personali raccolti ai fini statistici ed in forma anonima perché possano essere forniti alla Consigliera di parità per promuovere la parità tra uomini e donne sul posto di lavoro.La circolare ritorna ad affrontare una questione particolarmente delicata come quella del rapporto tra giovani madri e mondo del lavoro. La finalità è senza dubbio quella di verificare la spontaneità e la volontarietà della scelta della lavoratrice anche al fine di evitare ingiuste discriminazioni e, in quest’ottica, va letto il ruolo delle Consigliere di parità. La raccolta dei dati si propone invece un monitoraggio più attento del fenomeno per colpire quelle realtà all’interno delle quali si formano volontà molto poco spontanee di recedere dal rapporto di lavoro che coinvolgono in particolar modo le lavoratrici madri.

Dall’esame dei dati acquisiti dalle Direzioni Provinciali e Regionali nell’anno 2009, si può desumere una serie di informazioni utili per una più puntuale comprensione ed individuazione dei settori aziendali, dei territori, dell’ampiezza dell’organico aziendale, delle fasce d’età più soggette a possibili fenomeni di discriminazione e delle reali motivazioni delle dimissioni.In primo luogo, appare di rilievo il sesso dei/delle dimissionari/e, in quanto, in molti casi, non emerge alcuna presenza di dimissioni di lavoratori padri, con ciò confermando (se ce ne fosse ancora bisogno) che il soggetto più debole all’interno del mercato del lavoro -in seguito alla nascita di un figlio- è sempre e soltanto la lavoratrice madre. In secondo luogo, altro elemento rilevante è l’età anagrafica, che può variare nei vari territori, ma che si attesta principalmente nella fascia tra i 26 ed i 35 anni, conseguentemente, la riflessione porta a dedurre che in tale fascia questo è proprio il momento in cui si imposta la propria carriera e l’investimento sul lavoro assorbe la maggior parte delle energie. Inoltre, appare evidente che siffatta incidenza avviene al momento in cui si è avuto finalmente accesso al mercato del lavoro, conclusa l’eventuale carriera scolastica e/o universitaria ed a seguito di un periodo di precarietà, quindi, proprio nel momento in cui si raggiunge la stabilità lavorativa. Sorgono problemi già evidenziati in vari rapporti stilati anche dal Ministero del lavoro, dall’Isfol e da varie ricerche, quali la paura di “non farcela”, la percezione di avere davanti tanti ostacoli che

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modello perché hanno imposto alle DPL il compito di monitorare in maniera analitica il fenomeno e conseguentemente la possibilità di far accedere le Consigliere di parità alle rilevazioni del caso con possibilità, in alcune province, che la Consigliera venga chiamata all’atto della convalida delle dimissioni per un colloquio.Considero quanto finora fatto come una finestra formidabile da incrociare con altre evidenze quali l’abbandono od il rientro difficoltoso dopo il periodo di maternità, la presenza di servizi sul territorio, ma anche, considerando i settori economici in cui si riscontra il maggior numero di dimissioni, la presenza o meno di accordi territoriali sulla flessibilità, lo studio della contrattazione integrativa e dei contratti di settore.Azioni di prevenzione del fenomeno potranno essere messe in atto con la collaborazione delle Direzioni Provinciali e Regionali tramite cicli formativi/informativi comuni per avere una lettura sul territorio che consenta di intraprendere azioni integrate con la Consigliera di parità, per esaminare i dati territorio per territorio, per individuarne le peculiarità e gli interventi specifici, per effettuare un monitoraggio come pure per predisporre ispezioni in quelle aziende dove si verifichi un alto tasso di dimissioni volontarie tali da far pensare a comportamenti di induzione coattiva.Ad oggi, la maggioranza delle Consigliere di parità non ha ancora stipulato il protocollo con le DPL e conseguentemente l’intervento della Consigliera è stato meno incisivo al fine di accertare le eventuali discriminazioni. Invitiamo in ogni caso anche le DPL a farsi promotrici del protocollo. Al momento risultano 13 le regioni e 25 le province che lo hanno sottoscritto. La riflessione potrebbe allargarsi anche alle buone prassi già vigenti in alcune province ed all’elaborazione di un protocollo tipo.

I modelli in uso permettono di rilevare importanti informazioni circa le lavoratrici dimissionarie:

servizi a supporto della maternità, si riscontra una rigida cultura imprenditoriale che mette le lavoratrici davanti ad una scelta secca senza possibilità di mediazione e dove la fidelizzazione non è una finalità perseguita dall’azienda è più facile che ci sia un humus discriminatorio che rende maggiormente possibile il ricorso alle dimissioni come unica via d’uscita.Inoltre, il settore produttivo in cui si verificano più dimissioni è strettamente collegato allo sviluppo dei singoli territori ed all’andamento delle specifiche economie, un approfondimento ed un incrocio coi dati forniti dalle Province relativi anche ai settori di maggior occupazione e presenza femminile, potrebbe dare, se indagato, ulteriori informazioni preziose per la messa in atto di politiche attive. Il settore del Commercio sembra risultare ad un primo parziale esame uno dei più colpiti. Un’analisi dettagliata dei Contratti del comparto potrebbe fornirci strumenti utili di comprensione.È necessario quindi commentare i dati statistici raccolti sulla base delle singole realtà economiche, per esempio in territori ove è presente una maggioranza di imprese piccole e medie, con un tasso di occupazione oltre il 60 % rispetto ad altre regioni ove vi è la più completa disoccupazione risulterebbe una percentuale molto più alta di dimissioni.Per quanto riguarda le motivazioni, la dichiarazione delle lavoratrici riguarda in maniera maggiore l’incompatibilità tra occupazione lavorativa ed assistenza al neonato, è interessante capire quanto la presenza o carenza di nidi e strutture per l’infanzia incida a seconda dei territori dove le aziende sono ubicate, anche per fornire a chi di competenza informazioni importanti per i vari piani di zona.Sarà anche interessante monitorare il dato relativo al passaggio ad altra azienda ed andare a leggere nello specifico quanto dichiarato alla voce “altro” e descritto dalla lavoratrice sul modello e non statisticamente rilevato, in quanto in alcune regioni emerge una percentuale rilevante. Potrebbe essere utile come buona prassi utilizzare il modello della DPL di Modena, ad esempio, laddove vengono individuate alcune motivazioni rilevanti e significative, tra cui: motivi personali, chiusura/trasferimento azienda, cambio residenza lavoratrice/re, imposizione cambio mansioni, costrizione alle dimissioni. Abbiamo ancora molto lavoro da fare, apprezziamo la circolare ed il

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Capitolo II

Risorse, strategie e percorsi istituzionali per il supporto della maternità.

di Luisa Festa

Quando si guarda all’attuale relazione in Italia tra maternità e lavoro emergono evidenti criticità, connesse alla distanza spesso riscontrata tra la normativa vigente e la situazione effettiva delle lavoratrici madri che, pur protette da una delle migliori legislazioni europee, incontrano concrete difficoltà nel conciliare maternità e lavoro extradomestico. La disciplina giuridica sul tema appare tutt’oggi non ancora adeguata a soddisfare né le necessità delle donne né quelle dell’apparato produttivo che ancora individua nella maternità un peso piuttosto che una risorsa.

1. La promozione delle Pari Opportunità: Organismi e normative

Sul piano degli organismi istituzionali deputati a vigilare sull’attuazione delle norme riguardanti la tutela della maternità e a realizzare buone prassi per il supporto della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, un ruolo centrale spetta alle consigliere di parità.La Consigliera di Parità è la figura istituzionale individuata per intervenire in modo specifico sulle tematiche delle pari opportunità per donne e uomini nel mondo del lavoro ed è nominata dal Ministero del Lavoro di concerto con il Ministero per le Pari Opportunità. In particolare le sue attività riguardano:

la rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere nel mercato ▶del lavoro;

la promozione di progetti di azioni positive e sostegno delle ▶

Si evidenzia che la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione generale ispettiva- prot. n. 25/II 0004203 in data 04/03/2010 ha modificato ed integrato la modulistica a decorrere dall’anno 2010, in particolare la parte relativa al numero dei figli è stata implementata con la casella “ 0” riferita a tutte le lavoratrici che richiedono la convalida delle dimissioni durante la prima gravidanza.Si precisa, poi, che nel modello di convalida delle dimissioni e nel relativo report annuale, sono state meglio specificate le motivazioni delle dimissioni: in particolare la causale “a3”, relativa all’incompatibilità tra occupazione lavorativa e assistenza al neonato per altri motivi, è stata sostituita con la causale relativa all’elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato e che nella voce “ d” – altro –sono stati inseriti alcuni esempi (ricongiungimento al coniuge, desiderio di cura della prole in maniera esclusiva).A tal proposito, si fa presente che nella compilazione della casella “motivazione dimissioni” deve essere inserita la sola voce relativa alla causa principale che ha determinato la cessazione del rapporto di lavoro.Conseguentemente, il Ministero ha invitato i funzionari che raccolgono le dichiarazioni delle lavoratrice/lavoratori dimissionari ad effettuare un’attenta analisi delle motivazioni sottese alle dimissioni stesse, attenendosi con precisione alle causali riportate nei modelli.Per quanto concerne l’anzianità di servizio, si è specificato che non è correlata alla fascia d’età e che deve essere riferita all’attività lavorativa prestata presso l’azienda dalla quale la lavoratrice intende dimettersi.Infine, in calce al report statistico annuale è stata aggiunta una casella relativa alle eventuale mancata convalida della richiesta di dimissioni, al fine di consentire un corretto monitoraggio anche di tale dato.

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In Italia le direttive comunitarie in tema di parità e pari opportunità di genere sono state recepite dalla Legge 903/77 (Parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro) e dalla Legge 125/91, seguite dal Decreto legislativo 196/2000, dal Decreto legislativo 145/2005 (quest’ultimo ha,in particolare, modificato gli articoli 4 e 1 della Legge 125/91) e dal Decreto legislativo 196/2000. Tali norme sono attualmente confluite nel “Codice per le pari opportunità” Decreto Legislativo n. 198/2006.In tema di discriminazioni, esso definisce:

Discriminazione diretta: “qualsiasi atto, patto o comportamento • che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga” (art. 25) Discriminazione indiretta: “quando una disposizione, un • criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono e possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari” (art. 25 punto 2).

Inoltre all’art. 26 esso introduce tra le discriminazioni le: Molestie: “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per –ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”

Molestie sessuali: “quei comportamenti indesiderati a –connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

Le ultime novità in tema di discriminazioni sono state introdotte dal Decreto Legislativo 25 gennaio 2010 n. 5:

I datori di lavori, pubblici e/o privati, che non rispettano le –norme sulla parità tra donne e uomini sul lavoro rischiano

politiche attive del lavoro; la promozione dell’attuazione delle politiche di pari opportunità ▶da parte dei soggetti pubblici e privati;

attività di informazione/formazione sui problemi relativi alle ▶pari opportunità;

la promozione di azioni in giudizio ed l’intervento in giudizio ▶“ad adiuvandum” nel caso di condotte discriminatorie da parte del datore di lavoro.

In particolare, oltre alla Legge 125/91, che ne ha definito il ruolo e le funzioni, il Decreto legislativo 196/2000 ha effettivamente dotato la Consigliera di Parità degli strumenti necessari ad adempiere ai suoi compiti, valorizzandone, tra l’altro, il ruolo in quanto pubblico ufficiale, (art.1) insieme all’obbligo di segnalazione all’autorità giudiziaria dei reati di cui viene a conoscenza. Nello specifico, il Decreto 196/2000 definisce le possibilità di intervento della Consigliera di Parità in tema di discriminazioni (art.8); la Consigliera può:

Agire in giudizio;•  Intervenire direttamente nei confronti dell’organismo, • pubblico o privato, autore della discriminazione, richiedendo la predisposizione di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.

Una volta approvato e divenuto parte di un’azione di conciliazione, esso diventa vincolante: il verbale di conciliazione diviene esecutivo con decreto del tribunale. Il ruolo di pubblico ufficiale della Consigliera di Parità è stato ulteriormente rafforzato dal recente Decreto Legislativo 25 gennaio 2010 n. 5 (attuazione della Direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego) che ha esteso la legittimazione ad agire anche a soggetti collettivi quali organizzazioni, associazioni e sindacati che rappresentano il soggetto discriminato. Ciò premesso, appare evidente che il ruolo della Consigliera e della Rete delle Consigliere e dei Consiglieri di parità assume un’importanza significativa, con particolare riferimento alle funzioni di rilevazione delle discriminazioni, della loro denuncia, della promozione di interventi risolutori, fino all’azione in giudizio.

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alla garanzia di un ambiente di lavoro caratterizzato dal rispetto dei princìpi di pari opportunità, di benessere organizzativo e dal contrasto di qualsiasi forma di discriminazione e di violenza morale o psichica per i lavoratori.

Le attività dei Comitati Unici di garanzia possono essere finanziate dalla pubbliche amministrazioni, che hanno tra i propri compiti anche la predisposizione e il sostegno di programmi di azioni positive.

2. Contraddizioni e criticità nella tutela della maternità

Nel dar conto della disciplina positiva, ritengo sia necessario riflettere anche sulle contraddizioni che ancora affliggono la situazione italiana e la pregevole legislazione appena esposta, di cui essa pare dotata.In particolare, come nota F. Borgogelli1: «per quanto concerne la tutela della maternità, il legislatore, seguendo un percorso evolutivo sensibile agli indirizzi dell’Unione europea e ai più avanzati orientamenti giurisprudenziali, nonché attento alle istanze di chi attribuisce all’intervento legislativo un ruolo di promozione di mutamenti nel costume sociale, è giunto a elaborare un apparato normativo particolarmente ricco e funzionalmente differenziato; inoltre, armonizzando e coordinando in un Testo unico le molteplici disposizioni stratificate e di fonte eterogenea, ha semplificato l’accesso alla loro conoscenza da parte dei destinatari. Nell’ambito del lavoro subordinato viene tutelata la salute della madre e del bambino, è garantita la sicurezza economica e del posto di lavoro, si consente ad entrambi i genitori di assentarsi per la cura dei figli, si estendono le protezioni alle fattispecie di adozione e affidamento, ci si preoccupa della professionalità delle lavoratrici e delle esigenze organizzative di datori di lavoro; un sostegno, seppur parziale, è offerto anche al di fuori dei confini del lavoro subordinato. Eppure, i dati statistici segnalano che l’Italia, se confrontata con i paesi europei, si caratterizza per il basso tasso di fecondità e per la elevata età media delle madri alla prima nascita: peraltro in presenza di

1 Borgogelli F., Lavoratrice e madre: tutele e contraddizioni, in La tutela della salute della donna nel mondo del lavoro, a cura di O.n.da-Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna , Franco Angeli, 2007.

multe fino a 50 mila euro, e l’arresto fino a sei mesi; - Ritocchi al Codice delle Pari Opportunità ed al Testo Unico –sulla maternità e paternità: “Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti” (art. 25 comma 2bis);

- Il divieto di discriminazione, diretta e indiretta, nell’accesso al –lavoro viene allargato all’attività di orientamento, formazione e riqualificazione professionale e i tirocini formativi.

Va ricordato che la lotta alle discriminazioni di genere viene sostenuta dalla creazione di una vera e propria rete di organismi che forniscono il proprio contributo, con diversi compiti e funzioni, in caso di discriminazioni di genere rilevate sui luoghi di lavoro; oltre alla Consigliera di Parità, operano in tal senso:

Le organizzazioni sindacali, che, pur non essendo titolari –dirette di azioni antidiscriminatorie, esercitano tale funzione in modo consolidato, sulla base di una lunga tradizione di attenzione e sensibilità alle problematiche di genere, anche a livello di contrattazione nazionale (compiti di rappresentanza e intervento in casi di discriminazioni di genere);

Le Commissioni paritetiche nazionali e/o territoriali quasi –sempre con compiti di analisi dello stato dell’occupazione femminile, di predisposizione di progetti di azioni positive e di valutazione dei loro esiti;

I Comitati Pari Opportunità, confluiti, insieme con i Comitati –Paritetici sul fenomeno del Mobbing nel Comitato Unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (art. 21 Collegato Lavoro).

La legge 183 del 4.11.2010 all’art. 21 ha introdotto il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni. Esso:

ha compiti propositivi, consultivi e di verifica; – opera in collaborazione con la consigliera nazionale di parità, –contribuendo all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, migliorando l’efficienza delle prestazioni collegata

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Significativa anche la rappresentazione sociale: in un paese che attribuisce (o dichiara di attribuire) rilievo centrale alla famiglia, al rapporto madre-figlio, al bambino come oggetto di cura e protezione, negli ambienti lavorativi la maternità è prospettata come il principale “problema” posto dall’occupazione femminile e di conseguenza percepita dalle donne come un ostacolo alla propria realizzazione professionale».

A tal proposito, in una prospettiva di genere mi preme sottolineare come la maternità costituisca ancora una delle principali cause di discriminazioni nei confronti delle donne; nella mia personale esperienza in qualità di Consigliera di parità della Provincia di Napoli ho potuto rilevare , tra coloro che hanno chiesto l’intervento del nostro ufficio,un dato veramente preoccupante, ossia che i più frequenti casi di discriminazione avvengono per motivi legati alla flessibilità sul lavoro per lo più collegati ai congedi per maternità e le mansioni al rientro dalla maternità:

Tipologia di discriminazione Totale

Cessazione/sospensione rapporto di lavoro 5

Flessibilità sul lavoro e maternità 15

Progressione di carriera 2

Retribuzione/premi produttività 2

Molestie sessuali 1

Mobbing 8

Totale complessivo 33

A ciò va aggiunto che la maternità costituisce spesso l’esperienza intorno alla quale la donna articola le scelte relative ai suoi progetti di vita e di realizzazione professionale, influenzandone l’ingresso e l’uscita dal mercato del lavoro. Infatti in Italia le donne con figli piccoli presentano tassi di attività e di occupazione decisamente inferiori alle donne senza figli: il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni con figli che hanno meno di 12 anni si assesta nel 2008 sul 56,1% rispetto al 65,1% delle donne della stessa età ma senza figli. A determinare tale quota di inattività sembrano concorrere molteplici ordini di motivazioni di tipo economico, sociale e culturale, che richiamano l’attenzione sulle risorse e

tassi di occupazione femminile significativamente inferiori.Anche la disciplina giuridica antidiscriminatoria - nel cui ambito è espressamente ricondotta la discriminazione attuata con riferimento alla maternità2- ha progressivamente raffinato e rafforzato, in coerenza con il quadro disegnato dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitarie, i propri istituti: sul piano definitorio (precisando le nozioni di discriminazione diretta e indiretta); sul piano processuale (in relazione alla legittimazione in giudizio, all’onere della prova e agli strumenti sanzionatori); e sul piano degli organismi istituzionali (in particolare con la diffusione sul territorio delle/dei consiglieri di parità). Inoltre, ai comandi e ai divieti si sono da tempo affiancati - ora tutti compendiati nel Codice delle pari opportunità - gli interventi di sostegno e le azioni positive rivolte anche a favorire, mediante una diversa organizzazione delle condizioni e del tempo di lavoro, l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali. Ma l’effettività di tali normative risulta debole, dal momento che l’Italia continua a distinguersi in Europa per tassi di occupazione femminile bassi e per una ancora limitata presenza delle donne nelle posizioni professionali di vertice. Un dato da porre in relazione anche alla maternità, una condizione che non costituisce solo un ostacolo all’assunzione: se per le lavoratrici con un rapporto di lavoro stabile in imprese medio-grandi e nelle pubbliche amministrazioni può rappresentare un freno alle opportunità di carriera, per le occupate nelle piccole imprese e nell’artigianato, ma soprattutto per le titolari di contratti di lavoro c.d. atipici o non standard, comporta sovente la rinuncia all’attività lavorativa o la permanenza nella condizione di precarietà.

2 Per il divieto di discriminazione con riferimento alla maternità v. già l’art.1, legge n.903/1977, con riguardo all’accesso al lavoro, compresi i meccanismi di preselezione, orientamento e formazione, richiamato dall’art.3 T.U. che lo riferisce esplicitamente anche alla disciplina del rapporto; e da ultimo l’art.27, c.2, lett.a, d.lgs. 11 aprile 2006, n.198, “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna” (emanato a norma dell’art.6 della legge n.246 del 2005). Con specifico riferimento all’accesso al lavoro v. altresì l’art.10 del d.lgs. n.276 del 2003 (“Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla legge n.30 del 2003”). In questo senso anche le direttive europee, a partire dalla n.207/76/CE del 1976 (v.art.2); v. poi il 12° “Considerando” della direttiva n.2002/73/CE e ora la direttiva n.2006/54/CE del 5 luglio 2006 “riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego”, la quale ribadisce che “qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza e alla maternità costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso” (punto 23 dei “Considerando”) e che la discriminazione comprende “qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità” (art.2, c. 2, lett.c, menzionando altresì, tra gli esempi di discriminazione, l’interruzione del mantenimento o dell’acquisizione dei diritti durante i periodi di congedo di maternità prescritti in via legale o convenzionale (art.9, comma 1, lett.g.

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già a partire dal 2000 allarmava sulla quota significativa di donne che si dimettono durante questa fase: nel corso del 2009 i casi registrati in Italia sono stati più di 17.000 (Valentini, 2010) con una distribuzione territoriale che varia a seconda della situazione occupazionale delle donne, passando dalle quasi 2.000 lavoratrici in provincia di Milano alle 457 nella provincia di Napoli nella sola annualità del 2009. Le rilevazioni statistiche condotte dagli organi deputati al monitoraggio della situazione descrivono un fenomeno in continua crescita: il 19,4% delle donne escono dal mercato del lavoro dopo la nascita di un figlio (Istat 2008), e dati forniti dall’ISFOL e dall’Istat evidenziano la gravità del fenomeno soprattutto al Sud, dove il 30% delle lavoratrici a un anno e mezzo dalla nascita del figlio risulta non avere più un’occupazione. Il dato si fa ancor più allarmante se consideriamo che, nonostante la procedura della convalida delle dimissioni sia nata per porre fine alla deprecabile pratica delle dimissioni in bianco (con la quale il datore di lavoro fa firmare alla donna, al momento dell’assunzione, un foglio bianco da utilizzare come richiesta di dimissioni in caso di maternità), un dossier Acli del 2003 afferma che il 25% di queste dimissioni “volontarie” non sarebbero tali in realtà, ma frutto di costrizioni perpetrate dal datore di lavoro che obbliga la donna incinta o in maternità a lasciare l’azienda.

3. Donne, maternità e lavoro: quale sostegno? Alcuni dati.

Il fenomeno in esame contribuisce ad accrescere il bacino delle donne disoccupate e inattive che, illudendosi di uscire solo temporaneamente dal mercato del lavoro, rischiano di restarne escluse, in considerazione del gap che tutt’oggi persiste tra i tassi di occupazione maschile e femminile, specie al Sud Italia. Infatti, analizzando lo stato attuale dei tassi di attività, occupazione e disoccupazione differenziati per genere si evince quanto segue: Nel 2008 l’offerta di lavoro ha registrato un aumento su base annua dell’1,3% al Nord e dell’1,8% al Centro, mentre nel Mezzogiorno si riscontra, al contrario, una diminuzione dell’offerta pari al -1,2% per l’offerta di lavoro maschile e al -1,7% per quella femminile. Lo stesso vale per il tasso di attività 15-64 anni, che rispetto ai dati dell’anno precedente, registra un aumento al Nord e nel Centro ed invece una flessione nel Mezzogiorno, che coinvolge tanto gli

criticità delle politiche ideate per facilitare la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro.3 Nonostante la definizione di politiche di conciliazione sempre più aggiornate per facilitare l’organizzazione dei tempi delle lavoratrici madri, le loro difficoltà, insieme alle connotazioni discriminatorie delle loro esperienze, si palesano in fenomeni come quello delle dimissioni delle lavoratrici madri nel primo anno di vita del bambino, che ci accingiamo a descrivere. Al fine di salvaguardare l’equilibrio psicofisico della donna e della coppia madre-bambino nel delicato periodo del post-partum la legge italiana impedisce il licenziamento della lavoratrice madre da parte del datore di lavoro per tutta la gravidanza e fino al compito del primo anno di vita del bambino (art. 54 dgls n.151/2001). La lavoratrice madre che intenda dimettersi nel corso di questo periodo protetto, deve presentare alla Direzione Provinciale del Lavoro una richiesta di dimissioni volontarie, che deve essere convalidata dal servizio ispettivo, al fine di accertare la spontaneità delle dimissioni e di garantire l’assenza di discriminazioni connesse alla sua condizione di madre e lavoratrice (art. 55 dgls n. 151/2001).Le misure legislative concernenti il divieto di licenziamento durante il periodo di gravidanza e il primo anno di vita del bambino appaiono effettivamente degne di nota. La peculiare disciplina si applica anche al padre lavoratore che abbia fruito del congedo di paternità e ai genitori in caso di adozione o affidamento, durante il primo anno di vita del bambino o di accoglienza del minore. Così come sostenuto da F. Borgogelli, è importante sottolineare che il divieto di licenziamento che vige nei confronti della lavoratrice in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, dal momento dell’inizio della gestazione, e fino al compimento di un anno di età del bambino, assume caratteri peculiari per quanto concerne sia le condizioni di operatività sia le conseguenze della violazione; ad esso si collega, al fine di evitare prassi elusive, il controllo esercitato da organi pubblici sulle dimissioni della lavoratrice. Nonostante il diritto a conservare il proprio posto di lavoro, l’Istat

3 Uscite transitorie. Le dimissioni delle lavoratrici madri nel primo anno di vita del figlio (2010), indagine a cura della Consigliera di Parità della Provincia di Milano

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le spese della crisi economica sono ancora una volta, in misura maggiore, le donne: infatti, valutando il tasso di disoccupazione per sesso ed area geografica relativo all’anno 2008, si nota che sono le donne del Mezzogiorno i soggetti maggiormente interessanti dalla disoccupazione, con un tasso del 15%, il più alto di tutte le categorie.Inoltre, nel quarto trimestre 2009 il tasso di occupazione scende al 68,1% (-1,7 punti percentuali ), quello delle donne al 46,1% (-1,1 punto percentuali). Sebbene questo tasso registri una minima diminuzione rispetto allo stesso dell’anno precedente (-0,9%), il dato resta allarmante, soprattutto se consideriamo il fatto che la componente femminile risulta tendenzialmente non interessata dalla crescita della percentuale di persone in cerca di occupazione, che sono perlopiù rappresentate da maschi (le donne che sono in cerca di occupazione costituiscono appena lo 0,2%). In altre parole, le donne che perdono il posto di lavoro tendono ad abbandonare il mercato del lavoro o comunque a non compiere azioni esplicite di ricerca.

Tasso di occupazione per sesso e ripartizione geografica - Anno 2008

Totale Maschi Femmine

Italia 58,5 69,8 47,2

Mezzogiorno 45,6 60,2 31,3

Nord 66,8 75,0 56,8

Centro 62,7 73,3 52,3

Tasso di occupazione per sesso e ripartizione geografica - Anno 2009

Totale Maschi Femmine

Italia 57,1 68,1 46,1

Mezzogiorno 44,2 58 30,6

Nord 65,2 74,1 56,2

Centro 61,8 72,5 51,3

Elaborazione su dati ISTAT

Nel quarto trimestre 2009 il tasso di disoccupazione maschile sale dal 6,0% del quarto trimestre 2008 al 7,4%; quello femminile passa dall’8,6 al 10,2%. Nel Nord l’innalzamento dell’indicatore (dal 4,3

uomini quanto le donne.Nell’anno 2009 il tasso di attività passa dal 63,0 per cento del quarto trimestre 2008 al 62,5 per cento. Alla flessione del livello di attività della componente maschile (dal 74,4 per cento all’attuale 73,7 per cento) si associa quella della componente femminile (dal 51,6 per cento al 51,4 per cento).

Tasso di attività - Anno 2008

Totale Maschi Femmine

Italia 63,0 74,4 51,6

Mezzogiorno 52,0 67,5 36,9

Nord 69,8 78,5 61,0

Centro 67,0 77,0 36,9

Tasso di attività - Anno 2009

Totale Maschi Femmine

Italia 62,5 73,7 51,4

Mezzogiorno 51 65,9 36,3

Nord 69,5 78,1 60,7

Centro 67,3 77,4 57,4

Elaborazione su dati ISTAT

L’offerta di lavoro ha registrato, nel quarto trimestre 2009 un numero di occupati pari a 22.922.000 unità, con un calo rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente pari all’1,8%(-428.000). Il tasso di occupazione è pari al 57,1% (con una diminuzione di 1,4 punti percentuali rispetto al quarto trimestre 2008 (58,5%). Il numero delle persone in cerca di occupazione risulta pari a 2 milioni 145 mila unità, con un aumento del 20,8% rispetto al quarto trimestre 2008. Il tasso di disoccupazione si posiziona nella media del quarto trimestre all’8,6% (con una crescita di 1,3 punti percentuali rispetto a gennaio 2009). È soprattutto a partire dall’ultimo trimestre del 2008 che la situazione di crisi economica del nostro Paese comincia a farsi sentire: infatti si registra una sostanziale interruzione della crescita tendenziale dell’occupazione, che evidenzia una netta diminuzione soprattutto nel Mezzogiorno, con una discesa dell’1,9%. A fare

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ancora una volta a sfavore delle donne, il cui tasso di occupazione risulta sempre nettamente inferiore a quello maschile:

Tasso di occupazione – Anno 2008

Totale Maschi Femmine

Campania 42,5 58,0 27,3

Caserta 38,7 54,6 23,0

Benevento 48,8 60,3 37,4

Napoli 39,8 56,0 24,2

Avellino 51,9 67,9 35,7

Salerno 47,7 61,8 33,9

Elaborazione su dati ISTAT

Tasso di occupazione – Anno 2009

Totale Maschi Femmine

Campania 40,8 55,7 26,3

Caserta 37,4 51,6 23,4

Benevento 46,4 58,9 34

Napoli 38,1 54 22,7

Avellino 49,5 64,1 34,8

Salerno 46,4 59,6 33,5

Elaborazione su dati ISTAT

Tale evoluzione si riflette anche sulla dinamica dell’offerta, che sottende fenomeni di scoraggiamento che interessano in particolare le giovani generazioni e le donne; è quanto si evidenzia, ad esempio, in merito ai dati relativi al tasso di disoccupazione. Infatti, a livello regionale il tasso totale di disoccupazione risulta in contrazione, mentre in molte province, ad esempio nella provincia di Salerno, questo apparente miglioramento coesiste con un aumento del tasso di disoccupazione dei giovani e delle donne; queste ultime, in particolare, risultano danneggiate dalla negativa evoluzione del settore terziario, dato confermato anche dall’aumento degli inattivi

al 6,1%) riguarda sia gli uomini che le donne; nel Centro il tasso si porta all’8,1% (dal 6,3% dell’anno prima), con una crescita più sostenuta per le donne. Nel Mezzogiorno il tasso di disoccupazione risulta pari al 13,2%, un punto percentuale in più rispetto al trimestre 2008. La disoccupazione femminile al Sud aumenta, e continua a rappresentare il tasso di disoccupazione più elevato di tutte le categorie:

Tasso di disoccupazione per sesso e ripartizione geografica - Anno 2008

Totale Maschi Femmine

Italia 7,1 6,0 8,6

Mezzogiorno 12,3 10,8 15,0

Nord 4,3 3,4 5,6

Centro 6,3 4,9 8,3

Elaborazione su dati ISTAT

Tasso di disoccupazione per sesso e ripartizione geografica - Anno 2009

Totale Maschi Femmine

Italia 8,6 7,4 10,2

Mezzogiorno 13,2 11,9 15,6

Nord 6,1 5,1 7,4

Centro 8,1 6,3 10,6

Elaborazione su dati ISTAT

Per quanto riguarda più specificamente la situazione della regione Campania, il tasso di occupazione già nel 2007 manifestava una generale diminuzione: solo nella provincia di Avellino, infatti, l’occupazione cresceva decisamente (+4,7%), mentre nelle altre province risultava in calo: Caserta -1,8%, Benevento -0,4%, Napoli (-1,1%) e Salerno (-0,7%). Rispetto a tale annualità, oggi si riscontrano deboli segnali di miglioramento per la situazione occupazionale delle donne in alcune province: Salerno (+0,5%) e Benevento (+1,1%), ma anche di peggioramento in altre: Caserta (-3,7%), Napoli (-0,1%) e Avellino (-1,5%). Inoltre, considerando la ripartizione per sesso del dato, esso si rivela

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Inoltre, da un’attenta analisi di genere delle 10 Municipalità del Comune di Napoli, risulta che la superficie territoriale è prevalentemente al femminile, incentrata principalmente nella Municipalità 5 (54,76 %) , Municipalità 1 (53,51%), e Municipalità 10 (53,16%), nonché, Vomero-Arenella, Chiaia- Posillipo e Bagnoli-Fuorigrotta, ma che la forza lavoro sul totale delle popolazioni risulta ancora essere prevalentemente maschile. La popolazione

presente a Napoli è tra le più giovani ( dai 15 ai 35 anni) rispetto al resto dell’Italia. Questi valori di riferimento, relativi all’età della popolazione, dimostrano altresì la grande forza potenziale di crescita evolutiva e culturale della città.

A ciò va aggiunto che il territorio della Provincia di Napoli e della

donne del 5,3%.

Tasso di occupazione – Anno 2008

Totale Maschi Femmine

Campania 12,6 10,4 16,8

Caserta 10,5 7,5 16,8

Benevento 10,0 8,3 12,7

Napoli 14,0 12,0 18,2

Avellino 9,7 7,2 14,3

Salerno 12,3 10,3 15,8

Elaborazione su dati ISTAT

Tasso di occupazione – Anno 2009

Totale Maschi Femmine

Campania 12,9 11,4 16

Caserta 9 8 10,9

Benevento 11,1 9 14,3

Napoli 14,6 13 18,1

Avellino 8,1 7,6 9

Salerno 14 11,9 17,5

Elaborazione su dati ISTAT

Per quanto riguarda la variazione di questi dati rispetto all’annualità precedente, si riscontra ancora un aumento del tasso di disoccupazione delle donne in tutte le province: Caserta (+5,2%), Benevento (+1,4%), Napoli (+5%), Avellino (+3%) e Salerno (+4,2%).Le dinamiche rilevate si accentuano nel 2009, in conseguenza della crisi economica che ha investito il Paese a partire dall’ultimo trimestre del 2008; infatti, il tasso di occupazione nell’anno 2009 registra una diminuzione del 2,42%, passando dal 42,5% dell’anno 2008 al 40,08% del 2009, mentre il tasso di disoccupazione cresce dello 0,3%, salendo a 12,9% nel 2009 rispetto al 12,6% dell’annualità precedente. «La situazione campana riflette una tendenza alla crescita dell’inattività dei lavoratori che, mentre è stabile al Nord, aumenta soprattutto al Sud» (Repubblica, 25 marzo 2009).

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dell’intervento sono i Comuni, singoli o associati con l’eventuale partecipazione di soggetti del privato sociale. Stando a quanto emerso dai risultati a cura dell’Assessorato alle Pari Opportunità della Regione Campania, ai 60 asili nido già esistenti sul territorio , dovrebbero aggiungersi 34 nuovi asili nido, e 17 servizi integrativi o sperimentali. I progetti ammessi a finanziamento sono così distribuiti:

A seguito di questi nuovi interventi, dunque, la regione Campania dovrebbe poter contare su di un sistema di servizi articolato in 94 asili nido, di cui 48 (32 già esistenti + 16 nuovi) sarebbero collocati nella provincia di Napoli, insieme a 5 nuovi servizi integrativi e sperimentali.Con la realizzazione/riammodernamento di queste strutture e servizi, sarà possibile prendere in carico 1.870 nuovi utenti: saranno disponibili, infatti, 1.198 nuovi posti asilo e 672 nuovi posti presso i servizi integrativi e sperimentali.La maggioranza delle iniziative finanziate prevede l’affidamento della gestione a soggetti del privato sociale: per il 61,76% nel caso degli asili nido, e per il 64,71% per quanto riguarda i servizi integrativi e innovativi. I progetti sono stati presentati in prevalenza da Comuni con n. di abitanti compreso tra i 5.000 e i 50.000, ma risulta buona anche la presenza delle piccole realtà, mentre si è rivelata meno cospicua del previsto la partecipazione delle città medie, come pure quella delle amministrazioni in forma associata

Campania in generale appare contraddistinto da un sistema di servizi di supporto alla famiglia fortemente inadeguato a sostenere le esigenze di conciliazione: nella Regione Campania il numero degli asili nido attivati sul territorio appare nel 2008 ancora piuttosto scarso. Essi sfiorano appena la quota di circa 60 strutture nell’intera regione, così distribuiti: 24 a Napoli, 8 nella Provincia di Napoli (Castellammare di Stabia, Castello di Cisterna, Nola, Pomigliano d’Arco, San Sebastiano al Vesuvio, Sant’Antimo, Sorrento, Torre Annunziata), 8 ad Avellino, 2 a Benevento, 2 a Caserta e 11 a Salerno.

Sebbene la regione si trovi oggi ancora lontana dagli obiettivi indicati nella Strategia di Lisbona, nonché in quella di Barcellona, la campagna di sensibilizzazione realizzata dalla Consigliera di Parità della Provincia di Napoli sul suo territorio ha senz’altro contribuito a sollecitare l’attenzione delle istituzioni sul tema della conciliazione. Infatti, in aggiunta alle già esistenti leggi regionali n.48/74 e 30/84, nonché delle più recenti l.n. 448/2001 e della delibera di giunta regionale n. 2300 del 29/12/2007, che regolamentano la costruzione e gestione degli asili nido e dei micro-nidi, la Giunta della Regione Campania nel dicembre 2008 ha approvato, su proposta dell’Assessore alle Politiche giovanili e dell’Assessore alle Attività Produttive e all’Agricoltura, un Piano straordinario per lo sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Esso si propone di favorire la conciliazione dei tempi di cura e lavoro potenziando la rete dei servizi per la prima infanzia, non solo attraverso la creazione di nuovi asili nido e micro-nidi comunali presso aziende pubbliche e private, ma anche sostenendo servizi integrativi e sperimentali come il progetto “nidi di mamma”. Il piano, attraverso finanziamenti ad hoc, si prefigge di garantire una diffusione omogenea dei servizi sul territorio e di differenziarne l’offerta in base alle specifiche esigenze delle famiglie.

Il Piano si è concretizzato con l’emanazione, nel 2009 e 2010 di specifici bandi per il finanziamento di asili nido e micro-nidi comunali e di progetti per servizi integrativi, innovativi e sperimentali. Essi erogano risorse destinate alla costruzione di nuove strutture sperimentali, ma anche alla ristrutturazione, ampliamento e ammodernamento di quelle già esistenti. Beneficiari

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Capitolo III

Il fenomeno delle dimissioni volontarie nel primo anno di vita del bambino: i compiti

delle Direzioni Provinciali del Lavoro e l’attività ispettiva connessa

di Sergio Trinchella

La tutela della maternità è riconosciuta come principio fondamentale dalla Costituzione (art.37) e si è sviluppata attraverso l’emanazione di leggi il cui contenuto è stato ispirato ad una maggiore attenzione alla molteplicità di esigenze che ruotano intorno all’esercizio di questo delicatissimo ruolo, e alla sua compatibilità con l’attività professionale. La conciliazione tra vita familiare e vita professionale è riconosciuto come diritto fondamentale anche dalla Carta europea dei diritti fondamentali approvata a Nizza nel 2000. Accanto alla tutela della maternità e al riconoscimento di alcuni diritti di paternità, si è sviluppata la tutela del lavoro da conciliare con la cura nei confronti dei figli e di altri familiari. Proprio al fine di dare la massima attuazione al principio fondamentale sancito, all’art. 37 nella nostra Carta Costituzionale, nell’anno 2001, con l’emanazione del D. Lgs. 151 del 26 marzo 2001 (modificato dal D.Lgs.115/2003), è stato approvato in Italia un Testo Unico in materia che sostituisce la legislazione precedente. Tale Testo ha recepito le varie legge preesistenti adeguandole alle nuove esigenze dovute alla sempre più estesa possibilità alle donne di entrare in settori lavorativi nei quali solo pochi anni fa sembrava impossibile poterne far parte: penso alla carriera militare (Esercito, Marina Militare, Aeronautica Militare), alle Forze dell’Ordine ma anche a tanti altri settori di grande prestigio frutto della bravura e della forte determinazione di tutte quelle donne impegnate da tempo in una faticosa rincorsa di una reale uguaglianza nel mondo del lavoro che, da un punto di vista giuridico, esiste già da tempo.

o consorziata.Va inoltre segnalato il Piano regionale per il completamento degli asili nido già iniziati, i cui fondi sono stati distribuiti agli stessi comuni sulla base della percentuale della popolazione da 0 a 5 anni, e di quella femminile dai 15 ai 49 anni. I finanziamenti interessano 38 comuni: 5 in provincia di Avellino, 7 in provincia di Benevento, 13 in provincia di Caserta, 4 in provincia di Napoli e 9 in provincia di Salerno.Infine, la Regione Campania ha sostenuto anche la costruzione/ristrutturazione di asili nido e micro-nidi nei luoghi di lavoro, approvando 13 progetti per costruzione o ristrutturazione, di cui 8 nella provincia di Napoli (Napoli, Bacoli, Ischia, Pozzuoli, Sorrento, Vico Equense, Sant’Agnello) e 5 per gestione, di cui 4 nella provincia di Napoli (Pozzuoli, Sorrento, Massa Lubrense, Meta).

Alla luce di questi dati la Consigliera di Parità ha ritenuto fondamentale svolgere un’attività di sensibilizzazione sulle politiche di conciliazione in collaborazione con la Provincia di Napoli, con le aziende pubbliche e private e con le OO.SS, attraverso la promozione di progetti di azioni positive e la diffusione della conoscenza delle legislazione di riferimento, attività di informazione e formazione culturale attraverso l’organizzazione di seminari, convegni, momenti di riflessione, pubblicazioni e progetti. In particolare, il monitoraggio del fenomeno delle dimissioni delle lavoratrici madri nel primo anno di vita del bambino è diventato un elemento centrale del mandato delle Consigliera di Parità e delle Direzioni del Lavoro, i quali organismi operano in sinergia per la tutela delle lavoratrici madri e la lotta contro le discriminazioni.

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primo anno di vita del bambino.Tale fenomeno, da sempre esistente ancor prima dell’emanazione della L. 1204/71 sulla tutela della maternità, riguarda ancora oggi moltissime donne – mamme costrette, per vari motivi, a rassegnare le dimissioni dal lavoro spesse volte ottenuto faticosamente. I motivi possono essere diversi:

orari di lavoro inadeguati;• lavoro faticoso;• assenza di servizi;• lontananza dei servizi;• assenza di aiuti familiari;• mancanza di flessibilità dell’orario di lavoro;• difficoltà a conciliare lavoro e cura;• pressioni familiari;• pressioni aziendali.• 

Per cui, il legislatore, proprio in relazione al fenomeno delle dimissioni della lavoratrice madre, ha dedicato al fenomeno un apposito Capo del Testo Unico – il IX intitolato “Divieto di licenziamento, dimissioni, diritto al rientro”.In particolare, il legislatore, nel prevedere all’art. 54 il divieto di licenziamento della lavoratrice madre …dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III nonché fino al compimento di un anno di età del bambino… ha anche stabilito la nullità del licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione di tale disposizione.La ratio della predetta disposizione si rinviene in una presumibile non spontaneità delle dimissioni, solo in apparenza volontarie, presentate dalla lavoratrice in conseguenza dello stato di soggezione in cui costei viene inevitabilmente a trovarsi nei confronti del datore di lavoro. Esistono, però, anche delle deroghe. Nel caso di dimissioni, il divieto di licenziamento non si applica:

in caso di colpa grave costituente “giusta causa” ex art. 2119 c.c. • per la risoluzione del rapporto di lavoro; per cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;•  per ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice • è stata assunta o la risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; in caso di esito negativo della prova.• 

Il Testo Unico del 2001 è una legge abbastanza lunga ripartita in XVI CAPI e composta da 88 articoli e 4 allegati.In particolare:

CAPO I: Disposizioni generali;•  CAPO II: Tutela della salute della lavoratrice;•  CAPO III: Congedo di maternità;•  CAPO IV: Congedo di paternità;•  CAPO V: Congedo parentale;•  CAPO VI: Riposi e permessi;•  CAPO VII: Riposi per la malattia del figlio;•  CAPO VIII: Lavoro notturno;•  CAPO IX: Divieto di licenziamento, dimissioni, diritto al • rientro; CAPO X: Disposizioni speciali;•  CAPO XI: Lavoratrici autonome;•  CAPO XII: Libere professioniste;•  CAPO XIII: Sostegno alla maternità e alla paternità;•  CAPO XIV: Vigilanza;•  CAPO XV: Disposizioni in materia di oneri contributivi;•  CAPO XVI: Disposizioni finali•  ALL. A – Elenco dei lavori faticosi, pericolosi e insalubri di cui • all’art. 7; ALL. B – Elenco non esauriente di agenti e condizioni di lavoro • di cui all’art. 7; ALL. C – Elenco non esauriente di agenti processi e condizioni • di lavoro di cui all’art. 11; ALL. D – Elenco delle Casse di Provvidenza e Assistenza per i • liberi professionisti di cui all’art. 70.

L’indagine conoscitiva della Direzione Provinciale del Lavoro di Napoli riferita all’anno 2009 sulle dimissioni delle lavoratrici madri avvenute entro il primo anno di vita del bambino, trova origine in un protocollo di intesa tra Ministero del Lavoro e Rete Nazionale della Consigliera di Parità nel quale, oltre a essere sottolineata l’importanza della donna nel mondo del lavoro e del suo ruolo fondamentale in seno alla famiglia, sancisce anche l’impegno del Ministero ad una maggiore vigilanza sulle norme contenute nel Testo Unico ed, inoltre, anche quello di aprire uno squarcio sul quel mondo poco trasparente o chiaro delle dimissioni da parte delle lavoratrici madri durante il

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gravidanza. Secondo alcune pronunce, le dimissioni presentate dalla lavoratrice non consapevole del proprio stato di gravidanza e quindi non influenzate dalle preoccupazioni solitamente connesse alla maternità, determinerebbero la risoluzione del rapporto senza necessità di convalida del servizio ispettivo del Ministero del lavoro (Cass. n. 6595/2000; Trib. Modena20 dicembre 2005). Secondo altre e più recenti pronunce, invece, la tutela relativa all’estinzione del rapporto di lavoro per dimissioni della lavoratrice madre, al pari di quella relativa al licenziamento, opererebbe in modo oggettivo, indipendente dalla consapevolezza della donna riguardo al proprio stato di gravidanza (Trib. Lucca 2 ottobre 2007).Pertanto, secondo questa parte della giurisprudenza, il sistema protettivo previsto dall’art. 55 del D.lgs. n.151/2001 risulterebbe applicabile ogni qualvolta le dimissioni vengano rese nel periodo in cui effettivamente la lavoratrice sia in stato di gravidanza e non solamente se rassegnate in considerazione della prossima maternità.

Il Ministero del Lavoro, con nota n. 2840 del 26 febbraio 2009, per richiamare i propri Uffici Periferici sul delicato compito di convalida delle dimissioni e al fine di una maggiore efficacia dell’accertamento dell’autenticità della volontà della lavoratrice e del lavoratore dimissionario, ha diramato un modello di dichiarazione elaborato dal Tavolo Tecnico di studio composto da rappresentanti dello stesso Ministero, dell’Ufficio della Consigliera Nazionale di parità e della Rete nazionale delle Consigliere e dei Consiglieri di parità.Tale modello, che deve essere utilizzato dagli Uffici Periferici del Ministero, contiene una serie di domande alle quali la lavoratrice o il lavoratore interessato, all’atto delle dimissioni, deve rispondere.Ovviamente, il funzionario che colloquia con la lavoratrice, dovrà innanzitutto informare quest’ultima sui propri diritti previsti dal T.U. sulla tutela della maternità invitando la stessa ad inserire i dati richiesti nel modello ministeriale anche in forma anonima.Inoltre, il funzionario, dovrà informare la lavoratrice in merito alla possibilità di informare la Consigliera provinciale di parità e ad acquisire il proprio consenso al trattamento dei dati raccolti ai fini statistici al fine di promuovere la parità tra uomini e donne sul posto di lavoro.

Ma, se dimostrato che nei casi appena descritti si sia verificato un comportamento scorretto del datore di lavoro, resta valido il principio di divieto di licenziamento in capo alla lavoratrice madre.Da qui la necessità di creare qualcosa che richiamasse l’attenzione della lavoratrice su un atto che una volta compiuto rappresenta per la stessa la perdita definitiva del posto di lavoro.L’art. 55, comma 4 del D. Lgs. 151/2001, mutuando il contenuto dalla Legge 1204 del 30 12/1971 – art. 12 e della L. n. 53 dell’8/3/2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città), ha previsto che:

la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante • il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglimento del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal Servizio Ispettivo del Ministero del Lavoro, competente per territorio; a detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di • lavoro; nel caso di dimissioni, la lavoratrice o il lavoratore non sono • tenuti al preavviso.

Alla dipendente, pertanto, durante il periodo, comunque è riconosciuto il diritto alle indennità spettanti nei casi di fine rapporto di lavoro come il trattamento di fine rapporto e l’indennità di mancato preavviso sul presupposto che la sua scelta, sebbene volontaria, sia comunque influenzata dalla difficoltà di conciliare il lavoro con la maternità.Tali indennità, secondo consolidata giurisprudenza, rappresentano una sorta di remunerazione della ridotta facoltà di opzione della lavoratrice per il mantenimento del rapporto di lavoro posta a carico del datore in quanto esponente di un sistema di organizzazione produttiva che non sempre consente alla donna di conciliare adeguatamente le prestazioni lavorative con l’adempimento dei propri compiti di madre (Cass. civ., Sez. Lav. n.11164/1991). Mentre non sorgono perplessità nella ipotesi la lavoratrice si dimetta durante il suo stato di gravidanza, la giurisprudenza si divide nel caso in cui questa rassegni le dimissioni quando ignori il proprio stato di

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lavoro della DPL e dalla Consigliera di Parità con il compito di studio e analisi degli strumenti di parità in relazione alla realtà territoriale e di strategie da mettere in campo affinché, anche attraverso una azione sinergica, poter efficacemente contrastare qualsiasi forma di discriminazione diretta o indiretta di genere nei luoghi di lavoro; concepire e sviluppare una apposita modulistica e/o un apposito • software, nonché una raccolta di giurisprudenza (di legittimità e di merito) dedicata alla materia della parità e delle pari opportunità e/o altri strumenti da diffondere agli ispettori del lavoro su idoneo supporto informatico al fine di coadiuvarli nell’espletamento delle proprie mansioni istituzionali; l’impegno della Consigliera di Parità a supportare le lavoratrici • che si rivolgono alla DPL sia nelle azioni di conciliazione che nelle azioni di giudizio, anche con l’ausilio di avvocati che fanno parte dell’apposito elenco istituito presso l’Ufficio della Consigliera; l’impegno della DPL ad informare la Consigliera di Parità della • mancata presentazione del rapporto da parte delle aziende, con sede in provincia di Napoli, con più di 100 dipendenti; l’impegno della DPL di fornire semestralmente alla Consigliera • di Parità i dati relativi a licenziamenti e dimissioni di madri in periodo protetto; l’impegno della DPL a monitorare, tramite apposito questionario • da concordare con la Consigliera di Parità, la convalida delle dimissioni volontarie entro il primo anno di vita del bambino e l’effettiva volontarietà delle stesse e le eventuali forme di pressione da parte del datore di lavoro.

Nell’immediatezza della firma di tale protocollo di intesa a livello provinciale, è stato istituito presso la DPL di Napoli, in data 4.12.2007, il Tavolo Tecnico fra la Consigliera provinciale di parità e tre funzionari della Direzione dei quali due con qualifica ispettiva.Tale atto di costituzione prevede:

incontri, almeno trimestrali, ai quali possono essere invitate • anche le Organizzazioni Sindacali; la realizzazione di un’indagine conoscitiva sulle dimissioni • delle lavoratrici madri; l’impegno della Consigliera di parità alla realizzazione di un • 

Tale modulo, sebbene ridotto in un’unica pagina, contiene: nella prima parte le più importanti norme a tutela della maternità • ricavate dal D.Lgs. 151/2001; i dati anagrafici;•  i dati del datore di lavoro;•  numero di figli;•  settore di appartenenza dell’azienda;•  ampiezza aziendale;•  eventuali incentivi alle dimissioni;•  orario di lavoro;•  eventuali richieste di part-time o riduzione di orario di lavoro;•  eventuali modifiche delle mansioni;•  l’eventuale comunicazione al datore di lavoro di volersi • dimettere; i motivi che hanno determinato la scelta di dimettersi. • 

Pertanto, l’attività del funzionario della Direzione Provinciale del lavoro non dovrà limitarsi a raccogliere un modulo che la lavoratrice o lavoratore distrattamente o superficialmente redigono pur di lasciare al più presto l’ufficio, ma questi deve stabilire, nei limite del possibile, un vero e proprio dialogo con l’interlocutore al fine di poter ricevere notizie veritiere tali da accertare la volontà e, soprattutto, la spontaneità delle dimissioni.Tali dati, inoltre, saranno molto utili sia all’ufficio che al Ministero per un monitoraggio dei settori maggiormente interessati al fenomeno.Ovviamente, la DPL di Napoli nella persona dello scrivente e la Consigliera Provinciale di Parità di Napoli – Dott.ssa Luisa Festa, sulla scorta delle disposizioni ministeriali e del Protocollo di intesa Nazionale firmato il 25 giugno 2007 tra i Direttori Generali per l’Attività ispettiva e del Mercato del lavoro con la Rete Nazionale delle Consigliere e dei Consiglieri di parità hanno, da parte loro, firmato in data 6 novembre 2007, un Protocollo di intesa a livello provinciale della durata triennale con il quale hanno previsto di:

organizzare un’attività di informazione/sensibilizzazione/• formazione nei confronti del personale ispettivo della DPL sui temi della discriminazione di genere diretta ed indiretta; istituire, entro il 31.12.2007, un tavolo tecnico di studio composto • da tra funzionari/e di cui due almeno del Servizio Ispezione del

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Capitolo IV

La tutela della maternità nei contratti dilavoro e flessibilità di orario: le buone prassi

di Isabella Bonfiglio, Rosalba Cenerelli, Anna Letizia, Paola Poggi

Il Tavolo tecnico costituito dalla Consigliera di Parità della Provincia di Napoli, Luisa Festa, con la Direzione Provinciale del Lavoro e i Sindacati Provinciali, CGIL, CISL, UIL e UGL, affronta il tema della tutela dei diritti dei/le lavoratori/ci in merito al periodo di maternità, dalla data del concepimento fino al primo anno di vita del bambino. In particolare, ci si è soffermati ad analizzare il fenomeno delle dimissioni dei/le lavoratori/ci (padri o madri che siano), che secondo la normativa devono seguire un iter predeterminato volto ad accertare se le richieste di dimissioni corrispondano alla reale volontà del lavoratore/trice o se invece rappresentino un caso di dimissioni forzate (nota prot. 25/II/2840 del 26 febbraio 2009).La legislazione in vigore, prevede che la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre durante il congedo di paternità, art. 55 e art. 54 del Dlgs n. 151/2001, siano tenuti a confermare le dimissioni rese al proprio datore alla presenza di un pubblico funzionario. Le dimissioni non convalidate presso le Direzioni provinciali del lavoro sono nulle e quindi prive di effetti.La materia era già stata oggetto di ulteriori precisazioni da parte del Ministero:infatti la Circolare n. 31 del 26 marzo 2001 affermava che: “..pur essendo la lavoratrice libera di dimettersi durante il periodo di gravidanza e di puerperio ai sensi della previdente legislazione, la risoluzione del rapporto doveva intendersi condizionata da una convalida da parte del Servizio ispezione del lavoro del Ministero e ciò allo scopo di preservare la lavoratrice da eventuali pressioni del datore di lavoro e di accertare la volontarietà delle dimissioni nel periodo tutelato”.Successivamente la circolare n. 26 del 4 giugno 2007 forniva

percorso formativo del personale ispettivo della DPL di Napoli in materia di discriminazione da realizzarsi già dall’anno 2008.

Con la firma di tale protocollo è iniziato il monitoraggio voluto anche dal Ministero del Lavoro e i risultati emersi, che fanno parte di questa pubblicazione, evidenziano lo spaccato di una realtà già abbastanza nota agli organi ispettivi che, in una fase di recessione mondiale che purtroppo perdura, non contribuisce certamente al miglioramento della situazione, inevitabilmente, finisce col penalizzare soprattutto le donne e, fra queste, le lavoratrici madri.Quanto, infine, all’attività connessa al fenomeno delle dimissioni volontarie “indotte” da un illecito comportamento del datore di lavoro, è opportuno evidenziare che l’Ufficio, la dove si ravvisi la necessità di intervento, è tenuto ad attivare ogni forma di controllo a tutela della lavoratrice.In tal caso l’attività ispettiva dovrà tendere ad un esame approfondito della realtà aziendale che tenga conto di orari di lavoro inadeguati e defaticanti, dell’eventuale lavoro faticoso, della mancanza di flessibilità dell’orario di lavoro, di eventuali pressioni del datore di lavoro che inducono la presentazione delle dimissioni e di eventuali situazioni di mobbing nei confronti della lavoratrice: situazioni, queste, che determinano l’applicazioni di specifiche sanzioni previste dalla legge di natura amministrativa oltre che, la dove si ravvisino ipotesi di reato, l’inoltro di informativa all’Autorità Giudiziaria.

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Queste sono notizie che parlano, o dovrebbero farlo, in modo particolare proprio al Sindacato tutto. Se poi aggiungiamo che oltre il 73% delle donne interessate dichiara di avere difficoltà a conciliare lavoro e famiglia e, nello stesso tempo, il 78% denuncia l’elevato costo dei servizi ed il 72% pensa di tornare al lavoro in fase successiva, dovremmo forse concludere che tutti questi dati sono una vera e propria sfida al Sindacato, affinché si faccia carico del solco, oramai insanabile, che si è venuto a creare tra una legislazione ed una normativa spesso all’avanguardia ed una pratica che va in tutt’altra direzione. Anche se i contratti di lavoro contengono norme a difesa delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e nei primi anni di vita dei bambini, la pratica però dimostra che l’applicazione di queste norme è sempre più difficile e complessa, soprattutto nelle piccole aziende ed in quei settori, dove il Sindacato non è presente e quindi riesce difficile se non impossibile mettere in campo iniziative di conciliazione come le flessibilità dell’orario di lavoro.Va inoltre segnalato che non è la decurtazione reddituale, pur prevista nel periodo di congedo parentale, che disincentiva la lavoratrice e che la porta a rassegnare le dimissioni durante il periodo protetto. Il fenomeno, analizzato sul territorio, specchio di una realtà nazionale, ha come principale motivazione la “pressione” dei datori di lavoro che, vedono nella lavoratrice madre un peso aziendale e non più una risorsa utile.La stessa lavoratrice “si convince” di non essere più adeguata all’attività lavorativa in quanto “inconciliabile” con l’attuale ruolo di “madre” e quindi, diventa facile per il datore di lavoro “portare” la lavoratrice madre a rassegnare le dimissioni durante il periodo “protetto”. Sembra opportuno sottolineare l’aspetto socio-culturale alla base di questo fenomeno: sono le donne a farsi carico dei lavori di cura, soprattutto nel meridione d’Italia, ponendole in una posizione di svantaggio rispetto all’uomo, che sciolto da vincoli, si dedica a tempo pieno al lavoro perseguendo le sue aspirazioni di carriera. Difatti sono solo le donne a licenziarsi, mai gli uomini. Il modello di leadership maschile, basato sulla quantità di tempo offerto sul luogo di lavoro è l’unico modello preso in considerazione dalle aziende e offerto alle poche donne “disponibili” a dispetto di un modello di leadership qualitativo ci cui le donne sono portatrici.

precisazioni in merito alla corretta procedura da seguire per convalidare le dimissioni della lavoratrice madre presentate in gravidanza o entro un anno di vita del bambino (o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento).L’Atto di Convalida che si utilizza per confermare le dimissioni, prevede una modulistica unificata contenente una serie di domande che approfondiscono sulla volontà della lavoratrice/ore a dimettersi, entrando anche nel merito della condizione familiare personale della richiedente.Il lavoro di ricerca, monitorato dal Tavolo Tecnico, si è mosso secondo un ‘ottica di prevenzione ed elaborazione di interventi da mettere in campo riguardo al tema delle dimissioni di lavoratori/lavoratrici nel primo anno di vita del bambinoAnalizzare i dati contenuti nella ricerca non spetta certamente alle OO.SS., così come associarli a considerazioni di tipo sociologico o statistico. La sintesi riportata nella originale “carta di identità” rappresenta effettivamente, nel modo più succinto possibile, quanto emerso dal lavoro concluso.Come Organizzazioni Sindacali, oltre a ribadire la disponibilità a proseguire il lavoro del tavolo tecnico anche in altri ambiti, per meglio comprendere quanto stia accadendo nel mondo del lavoro, non ci si può esimere dal sottolineare qualche dato che colpisce particolarmente:

il numero complessivo delle pratiche chiuse all’Ispettorato: anno • 2007 n° 223; anno 2009 n°457; cioè un aumento del 105%! Un caso? Certo non sono “dimostrabili” le motivazioni ed è ragionevole ipotizzare una incidenza della fase di crisi economica, produttiva e sociale che ancora stiamo attraversando. Ma il destino della Legge 17 ottobre 2007, n. 188 “Disposizioni • in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie della lavoratrice, del lavoratore, nonché del prestatore d’opera e della prestatrice d’opera”, relativa alle cosiddette dimissioni in bianco, entrata in vigore a fine 2007 ed abrogata nell’estate del 2008 non ha avuto alcuna importanza? Nello scorrere i dati si evidenziano alcune “conferme”: la • stragrande maggioranza di chi abbandona il posto di lavoro nel periodo protetto, lavora da meno di tre anni ed è occupato in aziende con meno di 15 dipendenti dove si applica un CCNL del settore terziario e si lavora più di 37 ore settimanali.

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contrattazione collettiva chiamata a dare attuazione a disposizioni particolarmente significative fra le quali segnaliamo:

le modalità di astensione dal lavoro, le misure di sostegno della • flessibilità d’orario; le modalità relative alla fruizione dei congedi per gravi motivi • familiari e per formazione; la possibilità di integrare il trattamento economico a carico degli • istituti previdenziali per garantire alle lavoratrici e ai lavoratori di percepire il 100 della retribuzione, la possibilità di disporre condizioni di miglior favore rispetto alla normativa di legge.

Sul piano del trattamento economico, la quasi totalità dei contratti esaminati prevede l’integrazione al 100% dell’indennità prevista a carico dell’ente previdenziale (INPS) per il congedo per maternità. Di seguito si riporta una tabella riepilogativa contenente le quote a carico dell’INPS e le condizioni migliorative previste dai contratti esaminati. Purtroppo, molti contratti legano la possibilità dell’integrazione economica ad assenze più brevi di quelle contemplate per legge, impedendo nella realtà quotidiana una completa fruizione del periodo di congedo parentale.

Settore Contratto applicato

Congedo Maternità Paternità

Congedo Paren-tale

Agricoltura (1) Aziende private e florovi-vaiste. Coop. agricole. Consorzi agrari.

80% 80% 100%

30% 30% 50% per il 4° mese dopo il parto, 30% mesi residui

Alimentari Industria. Piccola industria. Coop. Industria. Aziende Artigiane.

100% 100% 100% 90%

30% 30% 30% 30%

Bancari e Assicurativi

Credito AbiBCCAssicurazioni AniaEsattorialiAutority

100% 100%

Il modello di leadership preferito dalle aziende, di certo non viola i CCNL, ma sicuramente viene meno alle pari opportunità sancite dall’art.3 della Costituzione.C’è da notare che la donna, subito dopo la gravidanza e per un periodo di circa un anno si trova normalmente in uno stato di disagio frutto dell’adattamento a questo suo nuovo ruolo e ciò la rendere soggetto ancora più debole rispetto alle altre donne e ancora di più rispetto agli uomini. Una condizione del genere va assolutamente tutelata e protetta dalle leggi che dovrebbero comunque sanzionare, magari penalizzando fiscalmente, i datori di lavoro che non riescono a “trattenere” in attività le lavoratrici madri così come premiare, con forme di incentivazione, gli imprenditori “virtuosi” capaci di adottare percorsi di accompagnamento alle lavoratrici madri, realizzando così azioni positive, non più dettate dalla mera iniziativa imprenditoriale, ma frutto di accordi sindacali aziendali, o in mancanza, territoriali. Infine sarebbe auspicabile una previsione legislativa che portasse il divieto di licenziamento della lavoratrice madre fino al compimento del 3° anno di vita del bambino e che le dimissioni durante i primi 3 anni di vita del bambino avvenissero solo dopo aver esperito tutte le possibili forme di flessibilità nel tentativo di rendere conciliabile il lavoro con il ruolo di madre. Parimenti vanno implementati, soprattutto sul nostro territorio, tutti quei servizi di sostegno e di supporto pubblico; un esempio per tutti, quello degli asili nido la cui realizzazione, sul nostro territorio, segna oramai ritardi non più tollerabili.Questa ricerca è frutto di un lungo percorso di confronto e collaborazione. Come OOSS non possiamo che augurarci che si prosegua in questa direzione: soggetti, culture, personalità e responsabilità diverse, ma accomunati dalla necessità di studiare e capire la realtà che ci circonda, approfondirne gli aspetti più reconditi e sviscerarne le problematiche e le contraddizioni più profonde proponendo interventi rivolti a ridurre se non ad eliminare il fenomeno.

Maternità: i congedi nei contratti collettivi. Settore privatoFra gli aspetti importanti da segnalare, in premessa, con riguardo alla vigente normativa di tutela della maternità e paternità, rientra il riconoscimento esplicito del ruolo fondamentale della

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Tessili Abbigl. Calzaturieri, Pelletterie, Lavand., Occhiali

Industria e piccola industria

Artigiani

Operaie 90%, impiegate e intermedie 100% 80% (INPS) più euro 7,5 mensili a carico dell’azienda

30%

30%

Trasporto merci

Dal 1° al 4° mese 100%; il 5° mese 80%

Il 6° mese 50%, dopo il 30%

(1) I contratti integrativi provinciali o aziendali possono prevedere integrazio-ni da parte dell’azienda. (2) Solo nel caso in cui l’assenza complessiva (congedo di maternità + parenta-le) non superi i 9 mesi. (3) Solo nel caso in cui l’assenza complessiva (congedo di maternità + parenta-le) non superi i 7 mesi. (4) Il CCNL prevede tre mesi di astensione obbligatoria prima del parto eleva-bili a 5 mesi per le tersicoree (danzatrici).

Chimici (2) (2) (2) (3)

Chimici/gomma plastica/vetro Industria. Chimici/gomma plastica/vetro Piccola Industria. Chimici/gomma plastica/vetro Artigiane. Ceramica Industria. Ceramica Artigiana

100% 100% 100% 100% 100%

30% 30% 30% 30% 30%

Edilizia Industria. Piccola Industria. Artigiani. Cooperazione. Legno.

100% 100% 100% 100% 100%

30% 30% 30% 30% 30%

Cartai Carta 100% 30%

Grafici Edit. Industria. Piccola Industria. Artigiani.

100% 100% 100%

30% 30% 30%

Metalmecca-nici

Industria. Piccola Industria. Artigiani.

100% 100% 100%

30% 30% 30%

Commercio e servizi

Aziende commerciali. Coop. (Iper, Coop. ecc.). Turismo. Agenzie di pulizia. Studi professionali.

100% 100% 80% 80% 80%

30% 30% 30% 30% 30%

Spettacolo (4) Teatri pubblici e privati. Enti lirici.

Esercizi cinematografici Emittenza privata Emittenza pubblica

Telecom Poste

100% 87,50% (ter-sicoree 100% per i primi due mesi, e 87,50% per residuo) 80% 100% 90%

100% 100%

30% 30%

30% 30% 90% per il 4° mese dopo il parto, poi 30% 30% 80% per i primi due mesi, poi 30%

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che affronta l’insieme delle tematiche qui presentate4. I dati più avanti riportati ci ricordano che persiste una sostanziale asimmetria nella gestione della vita famigliare e nella conciliazione tra politiche sociali, vita famigliare e organizzazione lavorativa. Queste ultime sono dovute a motivazioni a carattere culturale in merito ai compiti maschili e femminili, differenti prospettive legate all’impatto della religione e dell’uso delle tecnologie (Voicu 2009 et al ), circostanze economiche, politiche e culturali (Van der Lippe et al, 2011). In particolare in Paesi con livelli avanzati di sviluppo tecnologico le donne hanno maggiori opportunità di spendere il loro tempo nel mercato del lavoro e riescono a ridurre il loro coinvolgimento nel lavoro domestico grazie a tecnologie di supporto, mentre la religione incide nella misura in cui essa tende a sostenere una divisione tradizionale dei ruoli di genere, seppur con delle differenze secondo gli specifici orientamenti (la tradizione cristiana appare più conservativa circa i ruoli di genere, mentre il Protestantesimo si assesta su posizioni più liberali). Inoltre, l’influenza esercitata dal regime di welfare in cui uomini e donne vivono sulle loro scelte di

4 Il dottorato interpolo in Studi di Genere è unico in Italia per composizione e finalità di ricerca in quanto affronta la ricerca sul genere nella molteplicità delle sue articolazioni interdisciplinari aprendosi sia su tematiche a carattere speculativo, sia sullo sviluppo di politiche, trattamenti, formazione e valutazione d’interventi che ineriscono la vita del singolo e della collettività. Diretto da Adele Nunziante Cesàro, professore ordinario di psicologia clinica, ha come obiettivo la formazione di dottori di ricerca in grado di promuovere la ricerca ed azioni atte a rinforzare politiche di pari opportunità nella formazione, nelle famiglie, nella organizzazione del lavoro, nella consulenza, scolastica e aziendale, nella gestione delle attività di cura e assistenzaL’ iter didattico dell’intero percorso e gli ambiti di ricerca prioritari sono finalizzati pertanto ad approfondire le dimensioni del genere nelle diverse interrelazioni sociali, al fine di acquisire competenze per orientare e promuovere le culture di genere e le pari opportunità nell’ambito: a) della ricerca storica e sociale, dei beni culturali, dell’informazione, della produzione editoriale e multimediale; b) della formazione, della consulenza e dell’ orientamento per il personale di organizzazioni sociali, di servizi per le famiglie e di imprese e organismi lavorativi;c) dell’accesso al lavoro e attivazione d’impresa;d) dei processi decisionali e di assunzione di responsabilità nelle organizzazioni di lavoro e rappresentanza.La sua attività è documentata dal repertorio di ricerche, corsi, esperienze messe in essere in collaborazione con le istituzioni presenti sul territorio, trovando altresì riscontro nell’appartenenza a reti specifiche di studio in materia (AT GENDER) e in bandi di ricerca nazionali (FARO, 2008) e internazionali vinti (Daphne, EU 2010) .La collaborazione scientifica con l’Ufficio della Consigliera di Parità della provincia di Napoli che ha portato al volume sulla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, “Madri e padri tra famiglia e lavoro. Teoria e prassi delle politiche di conciliazione nella Provincia di Napoli” (Arcidiacono, Procentese, 2008) ed ora alla realizzazione della ricerca sulle dimissioni volontarie delle lavoratrici madri nel primo anno di vita del bambino s’inscrive nelle finalità e compiti istituzionali del dottorato di studi di genere della Università Federico II di Napoli .. L’interesse per tale tema è testimoniato inoltre, da tesi di dottorato –da quella di Procentese del 2004- al volume “Padri in divenire” sempre della stessa autrice (2006) e da presentazioni di contributi scientifici a convegni nazionali (Arcidiacono, Manna, Carbone, 2010), nonché pubblicazioni a carattere locale (Arcidiacono, Manna, 2011, in press) e su riviste internazionali che si occupano di genere e pari opportunità (Arcidiacono, Manna, Carbone, 2011, submitted). .

Capitolo V

Work and family balancing e il dottorato di studi di genere della Università Federico II

di Napolidi Caterina Arcidiacono e Valentina Manna

È evidente e noto che norme e misure sociali e organizzative cercano di offrire alle donne e agli uomini pari opportunità nel mercato del lavoro; tale encomiabile impegno sociale resta del tutto vano se ad esso non si aggiunge un più generale ripensamento delle politiche relazionali per la cura delle famiglie e dei figli.

Riandare al pensiero di Dorothy Dinnerstein (1976), ci ha portato a interrogarci sul perpetuarsi di discriminazioni tra madri e padri, uomini e donne nella gestione delle cure allevanti. “Lo studio del ruolo materno e delle implicazioni connesse allo svolgimento delle funzioni allevanti sullo sviluppo rispettivamente degli uomini e delle donne, con le reciproche attribuzioni di valori e funzioni, può portare dei contributi all’analisi degli stereotipi e dei pregiudizi sessuali, fornendo elementi di comprensione per lo sviluppo e la formazione dell’identità di genere di maschi e femmine. Ciò permette di uscire dal riduttivismo sociologico che vede nel determinismo sociale le uniche cause dell’oppressione femminile, e allo stesso tempo permette di integrare fattori individuali a carattere psichico con fattori legati al contesto sociale, quali aspettative e richieste di ruolo, pregiudizi e stereotipi” (Arcidiacono 1996, p.49).

Il dottorato di studi di genere dell’Università Federico II di Napoli è, in tal senso, per noi e per la più ampia comunità scientifica e culturale uno strumento a carattere interdisciplinare

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in attività lavorative extra-domestiche, più difficile è per loro la conciliazione tra vita familiare e lavorativa.

Fig.1. Conciliazione tra sfere di vita: una sfida per l’orientamento e la formazione, Laudadio et al., 2005

Questa considerazione porta a evidenziare la necessità di individuare e attivare misure positive e politiche di pari opportunità riconoscendo l’azione che gli uffici di parità e il Ministero al ramo possono promuovere e realizzare. Anche gli studi sulla presenza maschile sulla scena domestica portano nuovi fattori all’attenzione; per Sullivan (2010) il coinvolgimento dei padri nel lavoro domestico e nella cura dei figli risulta incrementato in Gran Bretagna e Stati Uniti tra gli anni ’70 e l’inizio del ventunesimo secolo. In particolare, evidenziando i processi coinvolti in tali cambiamenti, l’autore individua una variabile determinante nel livello d’istruzione, sia per gli uomini che per le donne: più alto è il livello di istruzione dell’uomo, maggiore risulta il contributo che egli fornisce al lavoro domestico. D’altro canto, le donne più istruite tendono a svolgere meno lavoro domestico rispetto alla donne di livello d’istruzione inferiore e, in una prospettiva cross-culturale, quando il livello di istruzione della donna è superiore rispetto a quello del partner, la divisione del lavoro domestico tendere ad essere più equa (Davis and Greenstein, 2004), grazie ad una sorta di “filosofia dell’uguaglianza” stabilita all’interno della coppia (Risman, 1998).Rispetto in particolare alla cura dei figli, è stato sostenuto che l’incremento nel tempo speso dai padri con i bambini è, sì legato ad una trasformazione del senso stesso della paternità in una direzione

vita e lavoro appare oggi indiscutibile, ed anzi incoraggia l’analisi della rilevanza di indicatori istituzionali (quali, ad es. le politiche conciliative predisposte o le circostanze economiche) attraverso studi cross-culturali. La divisione dei compiti domestici secondo una prospettiva di genere insieme al più basso riconoscimento attribuito al lavoro femminile è, infatti, una delle principali cause di oppressione delle donne (Kim 2009).Tuttavia Breen e Cooke (2005) ritengono che cambiamenti sociali nella gestione delle pratiche allevanti sono possibili senza che questo porti alla rottura delle relazioni maritali solo con un vasto impiego di donne nel mercato del lavoro e un’ampia e generalizzata presenza degli uomini sulla scena domestica. Se, infatti, appare evidente che in tutti i paesi le donne riportano mediamente attitudini meno tradizionali degli uomini, i meccanismi di cambiamento per questi ultimi sembrano apparire meno ovvi. Perché una vera rivoluzione nella divisione dei compiti per genere risulti compiuta, è necessario l’avvio di un processo esogeno che coinvolga crescenti proporzioni di donne autonome sulla scena lavorativa e di uomini partecipi alla cura familiare, affinché scelte singolari possano venire supportate da un contesto - maschile e femminile - meno rigidamente stereotipato, in cui risultare rafforzate anziché criticate perché in controtendenza o in violazione rispetto alle aspettative tradizionali di ruolo connesse al genere. Tale ipotesi è supportata da Ruppaner (2010) che ha analizzato le misure di uguaglianza di genere in 25 nazioni evidenziando la relazione tra conflitti nella gestione domestica e il tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro. Lo studio mette in risalto la presenza di tale relazione nei paesi in cui l’accesso femminile al lavoro è basso e suggerisce pertanto di tenere conto di una relazione dinamica tra il contesto del paese e le negoziazioni individuali nella gestione del lavoro domestico prendendo in considerazione la giustizia distributiva e le prospettive relazionali . Se guardiamo all’ Italia vediamo che l’incidenza delle donne inattive è quasi doppia rispetto a quella maschile e risulta uno dei valori più alti tra i 25 Paesi (ISTAT, 2005) (Cfr. fig.1). Questo dato sembra essere il fattore di maggior limite alla assunzione “pacifica” di politiche di conciliazione nella famiglia. Stando alla letteratura sembra un serpente che si morde la coda: meno donne sono attive

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sembra ricalcare la distinzione stereotipica tra il padre che apre all’esterno (al contatto con i giochi o con il mondo) e la madre che cura la dimensione interna (la nutrizione, l’igiene). In questo senso Giovannini (1998) aveva perciò proposto di distinguere tra 4 tipi di padri: il padre coinvolto, il padre coinvolto in teoria, il padre ospite, il padre delegante. Sulla scia di queste riflessioni, considerando il divario tra il piano ideale e quello delle effettive pratiche comportamentali, Arcidiacono (2005) mette in allerta sui rischi connessi alle aspettative disattese riguardo i ruoli di genere: una coppia che arriva alla genitorialità con un’aspettativa (e promessa) di condivisione dei compiti nella vita familiare e poi si scontra con un piano concreto diverso da quello prefigurato potrebbe sperimentare una grande quantità di tensioni emotive e conflitti.

Queste che appaiono quasi delle contraddizioni riflettono, in realtà, le grosse difficoltà che accompagnano gli attuali cambiamenti nel transitare da vecchi modelli di genere, rigidi ma rassicuranti, a nuovi modelli desiderati, ma contemporaneamente complessi da definire. La discrepanza tra piano ideale e reale, d’altronde, si concretizza non solo in una contraddittorietà di parte maschile, ma anche in un’ambiguità femminile verso il cambiamento dei ruoli di genere. Alcune ricerche (Bimbi e Castellano, 1990; Bimbi, 1992), infatti, evidenziano che le stesse donne da una parte chiedono ai partner una cooperazione più attiva per essere alleviate dal “doppio carico” della cura, dall’altra sembrano voler mantenere questa sfera di controllo esclusivo e tradizionale perché esso rimane una fonte primaria di riconoscimento e identità. Esiste, quindi, come notato da Molinari (1991, 1996) una forte ambivalenza che accompagna la ridefinizione dei ruoli sessuali e genitoriali, che rifletterebbe il bisogno evidenziato da Bimbi (1996) che in periodi di transizione uomini e donne vivono, ossia quello di mantenere una certa continuità con i ruoli tradizionali e le asimmetrie di genere che li contraddistinguono.

In questo senso, secondo Cavallari (2001) la ridefinizione di una nuova identità maschile, l’uomo post-patriarcale, dovrebbe, per potersi affermare, passare attraverso un modello maschile meno unilaterale, cui sia uomini che donne dovrebbe essere disposti a

più intimistica, ma soprattutto tra gli uomini maggiormente istruiti della classe media (Coltrane, 2004).

Persiste, ad ogni modo, come nota giustamente Dermott (2008), un consistente gap tra i discorsi relativi alla “nuova paternità” e le effettive pratiche maschili nel child-care; implicazioni contraddittorie, paradossi e incongruenze continuano ad essere registrati nelle ricerche relative ai ruoli di genere evidenziando uno scenario che mantiene in essere declinazioni tradizionali dei ruoli maschili e femminili, benchè percepite come ingiuste (Taylor, Bennett e Sung, 2010).

L’altro albero del giardino: il ruolo del partner

Che la gestione della conciliazione tra lavoro e famiglia sia ancora un problema considerato tipicamente femminile è piuttosto evidente dal ridotto numero di congedi di cui i padri usufruiscono, sebbene la normativa attuale conceda loro la possibilità di utilizzarli (Procentese, 2005). Tuttavia, diversi studi (Ventimiglia, 1994 e 1998; Giovannini, 1998; Procentese, 2005) sottolineano un desiderio sempre crescente da parte dei giovani padri di partecipare in misura maggiore alla condivisione delle responsabilità di cura, tanto da indurre alcuni esperti (Pietropolli Charmet, 1995) a parlare di maternalizzazione del ruolo del padre, cioè di un padre maggiormente coinvolto nella relazione primaria con il figlio. In proposito c’è chi ha coniato l’immagine del padre-mammo, che sarebbe più partecipe non solo nel periodo di gravidanza ma anche dopo la nascita del bambino, manifestando, anzi, ansie e preoccupazioni tendenzialmente tipiche delle mamme. Tuttavia questi cambiamenti che sembrano investire le rappresentazioni del maschile e del femminile, in cui uomini e donne auspicano di identificarsi, raramente si traducono in una concreta compartecipazione alla gestione dell’organizzazione domestica e familiare. Procentese (2005), ad esempio, confermando anche gli studi di Fine-Davis et al. (2007) sul medesimo tema, evidenzia come il ruolo dei padri si concretizzi in alcune specifiche attività e non in altre: i padri giocano con i bambini e li accompagnano a scuola, ma difficilmente gli danno la pappa o cambiano i pannolini. Anche il tipo di attività in cui essi risultano coinvolti, dunque,

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guardare senza temere la perdita di campi di dominio ben segnati dalla tradizionale divisione degli ambiti di azione. La differenza maggiore che sembra permanere tra madri e padri riguarda l’uso del tempo: il tempo della donna appare ancora moltiplicato, schiacciato tra richieste provenienti da più ambiti, e dedicato per gran parte alla cura (il carico della cura spetta ancora per più del 70% alla donna secondo Laudadio 2005), mentre il tempo per sé viene vissuto come tempo colpevole. Al contrario l’uomo, tornato dal lavoro, sembra meritare il “riposo del guerriero” (Arcidiacono, 2005) ed aver accesso al tempo per sé senza per questo sentirsi colpevolizzato.Sembra tuttavia condivisa da più parti (Cigoli, Scabini, 2000; Pietropolli Charmet, 1995; Ventimiglia 1996; Giovannini, 1998) l’idea che esista nei padri italiani una tendenza a dissociarsi dai vecchi modelli di pater familias per avvicinarsi alle componenti emozionali e relazionali nel rapporto con i figli: il “nuovo padre” forse è ugualmente poco presente a livello temporale e nella reale condivisione delle attività, ma si dimostra empatico e supportivo sul piano emozionale, accompagnando, a suo modo, figli e moglie nel labirinto della crescita come individui e come famiglia.

La ricerca sul fenomeno delle dimissioni dal lavoro delle neo-madri consente approfondimenti sull’individuazione dei fattori individuali, culturali e sociali che incidono nei processi decisionali e nelle scelte di vita delle donne e delle loro famiglie in quanto in esso sono visibili in forma potenziata le molteplici contraddizioni che interagiscono a livello organizzativo, relazionale e psicodinamico della vita della donna/madre lavoratrice nella nostra organizzazione socio-culturale ed economica. L’opportunità di collaborazione con l’Ufficio consigliera di parità della provincia di Napoli e con l’ispettorato al lavoro della Campania s’inscrive, così per il dottorato di studi di genere in un processo di ricerca-azione partecipata ove la collaborazione e l’interazione interistituzionale hanno fornito alla nostra esperienza un notevole valore aggiunto caratterizzandola quale best practice.

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di sacrificare una dimensione (quella lavorativa) per “mettere in salvo” un’altra (la cura dei legami familiari). La ricerca si colloca in un’ottica di prevenzione ed intervento sul tema. Essa nasce, infatti, dalla consapevolezza che l’analisi dei bisogni e delle difficoltà delle donne coinvolte costituisce il punto di partenza per elaborare possibili soluzioni e strategie di intervento, nonché per sperimentare nei servizi modalità di risposta il più possibile adeguate alle necessità riscontrate. Essa, si propone, inoltre, di rilevare se e come gli stereotipi e le discriminazioni di genere incidono sul fenomeno delle dimissioni volontarie per maternità, anche al fine di fornire validi spunti di riflessione all’individuazione di strumenti ed azioni utili al superamento dei fattori discriminanti, in relazione al genere, in ambito lavorativo. Infatti, la scelta delle dimissioni volontarie è spesso culturalmente influenzata dalla tendenza a delineare ruoli di genere che attribuiscono all’uomo il compito di “fare” e alla donna quello di “cura”. Ciò alimenta e/o giustifica la decisione delle dimissioni “volontarie” indotta, piuttosto che scelta, da una cultura che impone alla donna lavoratrice il dilemma e il peso della conciliazione, e la spinge a farsi carico del compito di cura della famiglia. Tale responsabilità non sembra ricadere, invece, sull’uomo che non è costretto allo sforzo di equilibrare gli impegni familiari con quelli lavorativi. Non bisogna dimenticare, inoltre, che la questione delle dimissioni volontarie per maternità in periodo protetto non di rado sconfina in un problema di discriminazione di genere: secondo un dossier Acli6 del 2003, infatti, il 25% delle dimissioni volontarie per maternità sarebbero in realtà dei licenziamenti forzati, indotti dal datore di lavoro che, consapevole del fatto che sulla donna ricade l’impegno di cura della famiglia, avverte la maternità come un rischio per l’azienda, una turbolenza organizzativa. Da qui l’assunzione di comportamenti ostili e di trattamenti sfavorevoli alla lavoratrice che possono spingere alle dimissioni. Anzi, per la donna i casi più frequenti di discriminazione sono spesso legati alla maternità e vanno dal rifiuto di assumere una donna incinta, al colloquio, al momento dell’assunzione, in cui viene chiesto alla donna se è sposata, se ha figli o se intende averne, fino a demansionamenti e clima aziendale ostile nei confronti della lavoratrice madre. La discriminazione, da questo punto di vista,

6 Dimissione per maternità. Storie e fatti, dossier Acli 2003

Capitolo VI

Mamme in fuga: uno studio sul fenomeno delle lavoratrici madri dimissionarie nella

provincia di Napoli nel 2009di Luisa Festa, Rosa Credendino, Valentina Manna

1. Introduzione

L’indagine che illustriamo riguarda il monitoraggio delle donne che nel corso del 2009 si sono presentate all’ispettorato del lavoro di Napoli per convalidare le proprie dimissioni in periodo protetto, quando cioè la normativa prevede:

il diritto a non essere licenziate (fino al compimento di un anno –di età del figlio)

la possibilità di utilizzare congedi e formule di conciliazione –come previsto da molti contratti di lavoro.

Si tratta del primo monitoraggio in assoluto condotto nella Provincia di Napoli sul fenomeno ed è l’esito di un intenso e sinergico lavoro condotto nel corso di due anni dall’Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Napoli, la Direzione Provinciale del Lavoro di Napoli, le Organizzazioni Sindacali e il Dottorato di Studi di Genere dell’Università Federico II di Napoli.Il considerevole numero di donne (fino al 2009 in media 308 l’anno)5 che si dimette in questo periodo fa riflettere sulle difficoltà di natura conciliativa che le donne incontrano quotidianamente nella gestione del loro “doppio carico” di lavoro familiare ed extrafamiliare, ma anche sulle possibili pressioni culturali, familiari e aziendali che possono indurre tale scelta.Scopo dell’indagine è, infatti, analizzare la realtà delle donne che nel loro percorso di realizzazione personale come madri e lavoratrici hanno incontrato concrete difficoltà, tali da indurle alla decisione

5 Dati forniti dalla DPL di Napoli

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Le rilevazioni statistiche condotte dagli organi deputati al monitoraggio descrivono un fenomeno di dimensioni abbastanza consistenti: il 19,4% delle donne esce dal mercato del lavoro dopo la nascita di un figlio8 e i dati forniti dall’ISFOL9 e dall’Istat10 evidenziano la gravità del fenomeno soprattutto al Sud, dove, sebbene la quota di dimissioni sia complessivamente minore, sia rispetto al centro che al Nord, a causa di un minor tasso di occupazione femminile, sul totale delle lavoratrici il 30% a un anno e mezzo dalla nascita del figlio risulta non avere più un’occupazione.

Per quanto riguarda il dato per la Provincia di Napoli, a partire dal 2005 si è registrato un tendenziale incremento del numero di dimissioni convalidate presso la Direzione Provinciale del Lavoro (fig. 2):

Fig. 2 Dimissioni volontarie in provincia di Napoli, annualità 2005 – 2009

Un secondo motivo di interesse sulle dimissioni volontarie in periodo protetto deriva dalla necessità di arricchire le informazioni registrate dalle Direzioni Provinciali del Lavoro mediante il modello ministeriale utilizzato in sede di convalida. Per la provincia di Napoli nel 2009 il monitoraggio ministeriale sulla convalida delle

8 Istat, Essere madri in Italia, Rilevazione 2005

9 ISFOL (a cura di Cardinali V.), Maternità, lavoro, discriminazioni, Roma 2006

10 Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 2007, Roma 2008

non è sempre esplicita ma può assumere forme più velate che non è facile riconoscere. Va inoltre considerato che l’elemento costrittivo difficilmente emerge in sede di convalida, rimanendo sepolto nel vissuto intimo della lavoratrice discriminata che raramente sceglie la strada della denuncia. Pertanto, in qualità di componenti del Tavolo Tecnico istituito per il monitoraggio del fenomeno ci siamo chieste se esista, a fare da retroscena alla decisione delle dimissioni, un atteggiamento discriminatorio non inteso in termini individuali ma come un più generica ostilità nei confronti delle lavoratrici madri. L’interesse per questo tema, divenuto un elemento cardine del mandato sociale della Consigliera di Parità, è dovuto a diverse motivazioni. Innanzitutto, si tratta di un fenomeno in crescita; nonostante il diritto a conservare il proprio posto di lavoro, l’Istat già a partire dal 2000 allarmava sulla quota significativa di donne che si dimettono durante questa fase. Nel corso del 2009 i casi registrati in Italia sono stati 17.6767 (fig. 1) con una distribuzione territoriale che varia a seconda della situazione occupazionale delle donne; esse si concentrano, infatti, in misura maggiore al Nord, dove il tasso di occupazione femminile è più elevato:

7 Dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale per l’attività ispettiva

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le ragioni che inducono le lavoratrici madri a lasciare il lavoro: si tratta effettivamente di una “scelta” o essa è piuttosto la conseguenza inevitabile di un conflitto valutato internamente come irrisolvibile? Che ruolo gioca in questa decisione il senso di responsabilità della donna nei confronti dei suoi compiti di cura, effetto dell’assunzione soggettiva degli stereotipi di ruolo connessi al genere? Quanto incidono, infine, forme, più o meno velate, di discriminazione operate dal datore di lavoro, e quanto l’inadeguatezza del sistema di servizi di supporto?

2. Il disegno di ricerca

L’indagine assume una finalità essenzialmente esplorativa e descrittiva per cui si è scelto di fare ricorso ad un disegno di ricerca di tipo quantitativo che facilita la raccolta e l’analisi dei dati quando si lavora su un campione piuttosto ampio, quale quello delle lavoratrici madri dimissionarie. Inoltre, l’elaborazione descrittiva dei dati raccolti, permettendone la trasformazione in percentuali, tabelle e grafici, consente di acquisire una conoscenza della distribuzione del fenomeno, scomposto e articolato nelle categorie di interesse. Tuttavia, a partire dall’analisi dei dati numerici, attraverso continui confronti e riflessioni sono state sviluppate considerazioni ed interpretazioni che possono essere da spunto per nuove ricerche sulle criticità emergenti.

2.1 Gli obiettivi della ricerca

L’indagine ha avuto come obiettivo quello di definire il profilo “tipo” della lavoratrice madre dimissionaria, soprattutto per quanto riguarda:

Le tipologie di imprese maggiormente coinvolte•  Gli ambiti territoriali in cui si registra una maggiore incidenza • nonché di approfondire il quadro motivazionale che sottende tale scelta, con particolare riferimento a:

La valutazione della rete familiare di supporto – La valutazione dei servizi per l’infanzia presenti nel –territorio La presenza di pressioni aziendali, dirette o indirette – La presenza di pressioni familiari, dirette o indirette – La prospettiva rispetto ad un lavoro futuro –

dimissioni ha prodotto i dati illustrati in figura 3.

Fig.3 Dimissioni volontarie in Provincia di Napoli – Modello ministeriale – anno 2009

Tale interesse risulta in linea con le principali ricerche condotte a livello territoriale ad opera delle Consigliere di Parità che, come sentinelle dislocate su tutto il territorio nazionale, hanno il compito di vigilare sull’attuazione della normativa delle pari opportunità e contro la messa in atto di comportamenti discriminatori nei confronti delle donne. Gli studi da loro realizzati, in territori come Torino, Milano, Forlì-Cesena, Venezia e Trentino Alto Adige, sono animati dal nostro stesso intento, ossia contribuire a delineare il profilo della lavoratrice madre dimissionaria, e ad esplorare le motivazioni riconosciute dalle donne come cause delle dimissioni. Alla luce di tali considerazioni abbiamo cercato di comprendere

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Motivi delle dimissioniAlle intervistate viene proposto un elenco di motivi possibili tra i quali scegliere quelli più vicini alla propria esperienza. In particolare vengono ipotizzate la non convenienza economica, lo svolgimento di un lavoro faticoso, l’inadeguatezza degli orari di lavoro per conciliare impegni professionali e di cura, la mancanza di flessibilità sul luogo di lavoro, l’assenza di aiuti familiari, l’inadeguatezza/lontananza/assenza/costo elevato dei servizi di supporto. Si richiede, inoltre, di indicare se è stata chiesta la concessione di un part-time, di un orario flessibile di lavoro o di una modifica dei turni ed, eventualmente, se essi sono stati concessi.

Pressioni al licenziamentoSebbene le lavoratrici che si presentano alla DPL di Napoli dichiarino ufficialmente la spontaneità delle loro dimissioni, ed anzi gli art.54-55 d.gls n.151/200111 nascano con l’obiettivo di eliminare il deprecabile fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco”12 , si ritiene che in buona parte esse siano, in realtà, “indotte”. Per tale motivo si è scelto di dedicare un’apposita sezione del questionario all’individuazione di forme, di pressione al licenziamento e si è chiesto alle lavoratrici di indicare se avessero ricevuto sollecitazioni in tal senso in famiglia e/o in azienda.In particolare, in riferimento alla condizione aziendale si è voluto approfondire la possibilità dell’intervento di pressioni “indirette” esercitate dall’azienda nei confronti delle lavoratrici indagando sul clima aziendale, sull’eventuale demansionamento subito, e sulla possibilità di possibili incentivi al licenziamento.

Progettualità futuraL’ultima sezione del questionario riguarda le prospettive future; in particolare è stato chiesto alle lavoratrici se hanno intenzione di

11 Art. 54 “Divieto di licenziamento”, punto 1: Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino; Art. 55 “Dimissioni”, punto 4: La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio. A detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro.

12 L’abolizione della legge n.188 del 2007, che obbligava i lavoratori ad utilizzare una procedura telematica per le dimissioni volontarie, è stata abrogata con il decreto 112 (art. 39, comma 10, lettera i).

3. Metodologia dell’indagine

L’indagine si è svolta attraverso un questionario “self report” a risposte chiuse e aperte rigorosamente anonimo. Esso è stato predisposto dal Tavolo Tecnico costituito dalla Consigliera di Parità, la Direzione Provinciale del Lavoro e le Organizzazioni Sindacali per affiancare ed arricchire i dati raccolti mediante il modello ministeriale di convalida. I funzionari della Direzione provinciale del Lavoro di Napoli hanno invitato le donne che nel corso del 2009 hanno presentato richiesta di convalida delle dimissioni volontarie a compilare il questionario, accompagnato da una premessa nella quale venivano illustrati gli scopi dell’indagine e il suo carattere esplorativo-conoscitivo.La percentuale di donne che ha deciso di collaborare all’indagine, è molto soddisfacente (81%). Infatti, su n° 457 lavoratrici tra Napoli e provincia che si sono presentate agli Uffici del Ministero del Lavoro per presentare le proprie dimissioni dal lavoro n° 380 ha compilato il questionario.

Il questionario è stato strutturato in 5 aree tematiche: Caratteristiche socio-economiche•  Esperienza lavorativa•  Motivi delle dimissioni•  Pressioni al licenziamento•  Progettualità futura• 

Caratteristiche socio-economicheVengono raccolte informazioni circa l’età, il comune di residenza, il titolo di studio, lo stato civile, la professione del partner, il numero e l’età dei figli al momento delle dimissioni.

Esperienza lavorativaSi cerca di delineare la posizione lavorativa dalla quale la donna si dimette (ampiezza aziendale, settore di attività, mansioni, tipologia di contratto, lontananza del luogo di lavoro dalla propria abitazione e tempo impiegato per raggiungerlo, quantitativo di ore settimanali impiegate a lavoro) e di ottenere una valutazione della soddisfazione connessa all’esperienza lavorativa abbandonata, dal punto di vista economico e professionale.

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Esse hanno prevalentemente un età (fig. 5) compresa tra i 25 e i 34 anni (66,1%), pertanto il fenomeno delle dimissioni volontarie riguarda soprattutto donne giovani e probabilmente da poco inserite nel mercato del lavoro:

Fig. 5

Età N %

20-24 32 8,4%

25-34 251 66,1%

35-44 93 24,5%

OLTRE I 45 0 0%

Non risponde 4 1%

Totale 380 100%

Il fenomeno delle lavoratrici madri, sembra concentrarsi, prevalentemente nella città di Napoli (fig. 6) da dove provengono il 23,2% delle lavoratrici, seguita dall’ambito vesuviano costiero (16,6%) e poi da quello sorrentino e flegreo per le quali si registra la stessa incidenza del fenomeno (10,3%):

ritornare a lavorare in futuro, e per quali motivi, anche al fine di comprendere l’importanza che l’esperienza lavorativa riveste nella vita della donna e se e in che misura la decisione di dimettersi sia influenzata dalla difficoltà di conciliare il ruolo di donna/lavoratrice e di madre.

4. Analisi dei dati

I dati ottenuti sono stati raccolti in un database, sottoposti ad analisi statistica descrittiva e quindi tradotti in formato di tabelle e grafici mediante il supporto del software informatico Excel. Prima dell’analisi statistica è stata necessaria un’operazione di pulizia dei dati e di costruzione di categorie per la codifica delle domande a risposta aperta. Per ciascun item è stata calcolata la distribuzione semplice e percentuale delle frequenze. I dati di natura quantitativa e continua (per esempio l’età della donna e del bambino, l’ampiezza aziendale, le ore settimanali di lavoro, ecc…) sono stati raggruppati in classi, per cui in questi casi sono stati creati degli intervalli in relazione alla distribuzione delle frequenze (per es. ore di lavoro settimanali: meno di 12, 12-16, 17-20, 21-24, ecc…).

5. Analisi dei risultati

L’analisi dei dati ha permesso di delineare il profilo della lavoratrice-madre dimissionaria e le motivazioni che hanno determinato la scelta di dimettersi.

5.1 Caratteristiche socio-economiche

Le 380 lavoratrici, protagoniste della ricerca, sono per la maggior parte coniugate (86,8% fig.4):

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Operaio-artigiano 69 18,2%

Professioni non qualificate 15 3,9%

Professioni nelle attivita' commerciali e nei servizi 74 19,5%

Disoccupato 32 8,4%

Libero professionista 16 4,2%

Non risponde 32 8,4%

Totale 380 100%

Gran parte delle lavoratrici madri che scelgono di dimettersi ha un solo figlio (60,6%):

Fig. 9

Numero di figli N %

0 37 9,7%

1 230 60,6%

2 99 26,1%

3 12 3,1%

4 2 0,5%

Totale 380 100%

Inoltre, al momento delle dimissioni (fig.10) il 16,6% delle lavoratrici era incinta, mentre l’83,4% si dimetteva dopo il parto.

Il fenomeno delle lavoratrici madri, sembra concentrarsi, prevalentemente nella città di Napoli (fig. 6) da dove provengono il 23,2% delle lavoratrici, seguita dall’ambito vesuviano costiero (16,6%) e poi da quello sorrentino e flegreo per le quali si registra la stessa incidenza del fenomeno (10,3%):

Il partner delle lavoratrici dimissionarie (fig.8), in genere, svolge un lavoro collocabile, in termini socio-economici, nella fascia media. Infatti, si tratta di: impiegati (20,3%); operai e artigiani (18,2%); oppure di chi svolge lavori nel settore del commercio o dei servizi (19,5%). Poco numerosi, invece, sono coloro che svolgono libere professioni o ricoprono posizioni dirigenziali, condizioni che, presumibilmente, prevedono una maggiore disponibilità economica e permettono il ricorso a servizi di supporto alla famiglia di tipo privato:

Fig. 8

Professione partner N %Forze dell'ordine 22 5,8%

Imprenditore-dirigente 15 3,9%

Impiegato-insegnante 77 20,3%

Professioni tecniche 28 7,4%

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si torna a lavorare e bisogna gestire il doppio ruolo di madre e di lavoratrice. Pertanto, la decisione di dimettersi non può essere spiegata riferendosi al “timore”, che pure hanno molte donne di non riuscire a conciliare il lavoro professionale con quello di cura della famiglia, ma costituisce, piuttosto, il risultato di una difficoltà concretamente sperimentata dopo la nascita del bambino.

5.2 Esperienza lavorativa

Per quanto riguarda l’esperienza lavorativa (fig.15) il nostro campione è costituito, prevalentemente, da donne che lavorano nel terziario (51,6%) cui vanno aggiunte le percentuali relative ai settori nei quali si erogano servizi:

Fig. 15

TIPOLOGIA DI CCNL N %

Artigianato (incluso domestici e ristorazione) 34 8,9%

Industriale 53 14%

Terizario 196 51,6%

Scuola 17 4,5%

Altro (sanitario, autoscuola, credito e servizi,cooperative sociali,studio prof., non specificato),

46 12,1%

Non risponde 34 8,9%

Totale 380 100%

Tale dato è confermato dalla presenza delle stesse nei settori commercio e servizi (fig.16), rispettivamente nella percentuale del 32,4% e del 23,6%:

Infine, come si evince dalla lettura delle tavole che seguono (fig.11-12-13-14), si tratta soprattutto di mamme con figli piccoli che si sono dimesse, nella maggior parte dei casi a partire dai 4 mesi di età del bambino.

Tale dato rileva che la scelta di licenziarsi viene presa, prevalentemente, dopo il parto, ma che soprattutto, essa avviene al termine del periodo obbligatorio di astensione dal lavoro quando

Fig. 12

Età figli N %

1° figlio

0-1 anno 210 55,3%

1-2 anni 17 4,5%

2-3 anni 33 8,7%

3-4 anni 19 5%

più di 4 anni 64 16,8%

non ha figli 37 9,7%

Totale 380 100%

Fig. 13

Età figli N %

2° figlio

0-1 anno 95 25%

più di 1 anno 18 4,7%

non ha un secondo figlio

267 70,3%

Totale 380 100%

Fig. 14

Età figli N %

3° figlio

non ha un terzo figlio

366 96,3%

0-1 anno 13 3,4%Più di 1 anno 1 0,3%Totale 380 100%

Fig. 11

Età del bambino N %

1-3 mesi 59 18,6%

4-6 mesi 83 26,2%

7-9 mesi 93 29,3%

10- 12 mesi 82 25,9%

Totale 317 100%

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più specificamente nel commercio e nei servizi dove le stesse svolgono mansioni generalmente impiegatizie. Ciò per un verso conferma indirettamente uno stereotipo di genere che vuole le donne collocate in settori lavorativi considerati “tipicamente femminili” e che caratterizza la cosiddetta segregazione “orizzontale”; per l’altro rileva che la presenza femminile sul mercato del lavoro si concentra prevalentemente in quei settori dove può esserci un facile e rapido ricambio del personale e che sono a più alto rischio di lavoro non tutelato. Inoltre essi, se per un verso confermano la segregazione delle donne in specifici settori nei quali sembra concentrarsi una scarsa attenzione alle problematiche della maternità ed alla sua tutela, per l’altro riflettono il persistere della “segregazione verticale” cui le donne continuano in grande misura ad essere costrette. Infatti, le lavoratrici madri dimissionarie che ricoprono ruoli dirigenziali costituiscono appena il 3% della totalità. Risultati piuttosto interessanti emergono anche dalla lettura delle tavole che seguono, che completano la sezione del questionario relativa all’esperienza lavorativa e ci consentono di individuare le tipologie contrattuali più utilizzate. La rilevazione di tale dato, anche se non è stata pensata per individuare le motivazioni delle dimissioni, orienta, però, alla comprensione delle stesse, in particolare indicandoci quelli che “non sono” fattori che motivano tale scelta.

Inoltre, come si evince dal grafico seguente (fig. 17), più della metà delle lavoratrici madri dimissionarie proviene da aziende di piccole dimensioni. Infatti il 60,5% lavorava in una azienda con un massimo di 15 dipendenti:

Dall’analisi dei dati è emerso, dunque, che per lo più le donne intervistate sono inserite in contesti aziendali di piccole dimensioni dove la maternità, di fatto, è scarsamente tutelata. Infatti, è difficile immaginare un piccolo negozio o anche una piccola realtà industriale che si attivi per predisporre servizi a sostegno della maternità, o anche che adotti misure a sostegno della flessibilità. È molto più facile ipotizzare, invece, che si tratta di contesti in cui la pressione del datore di lavoro al licenziamento, anche in forma indiretta, di fatto agisca sulla decisione delle lavoratrice.

Per quanto riguarda, invece, le mansioni svolte (fig. 18) dalle lavoratrici prima di dimettersi, prevale il lavoro di impiegata (37,6%); seguono le lavoratrici che svolgevano lavori legati al commercio ed ai servizi (26%) le quali perlopiù sono impegnate nelle attività di “addette alla vendita”. Tali dati ci consentono di localizzare il fenomeno delle lavoratrici madri dimissionarie nel settore terziario,

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Fig. 21

CONTRATTO APPLICATO N %

PART-TIME 116 30,5%

FULL.TIME 158 41,6%

NON RISPONDE 105 27,6%

CO-CO PRO 1 0,3%

Totale 380 100%

Dall’analisi dei risultati relativi alla tipologia contrattuale che caratterizza i rapporti di lavoro delle donne del nostro campione emergono interessanti riflessioni.

Innanzitutto, come abbiamo visto, la quasi totalità delle donne intervistate ha dichiarato di avere un contratto a tempo indeterminato, per cui lo svolgere un lavoro “duraturo e relativamente stabile”, non sembra incidere sulla scelta di licenziarsi, anche in un periodo, come l’attuale, di incertezza economica e di crisi del mercato del lavoro. Inoltre, la maggioranza delle lavoratrici (41,6%) ha un rapporto di lavoro full-time che, come è facile intuire, non facilita la donna nella conciliazione del suo doppio ruolo di lavoratrice e madre; tuttavia si registra anche un corposo 30,5% di partecipanti che, nonostante abbia un contratto di part-time, si dimette. Tale dato suggerisce probabilmente che la reale difficoltà risiede nella mancanza di flessibilità nell’articolazione del tempo di lavoro. La distanza dell’abitazione dal luogo di lavoro (fig.22) non sembra essere un fattore discriminante, mentre il tempo impiegato per raggiungere il posto di lavoro (fig.23) è generalmente breve (da 5 a 30 minuti per il 73,2% delle donne intervistate).

Considerando la situazione lavorativa delle partecipanti, emerge che la quasi totalità delle donne (83,5%) ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato (fig. 19), che le impegna (53,2%) per più di 37 ore settimanali (fig. 20). Il 41,6% delle lavoratrici ha dichiarato di lavorare full-time (fig.21).

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Ricapitolando, dall’analisi dei dati emerge che le donne, prevalentemente, si dimettono da un lavoro a tempo indeterminato, vicino casa e di cui sono sufficientemente soddisfatte sia dal punto di vista economico che professionale.Ma allora, perché si dimettono?L’unico dato risultato effettivamente discriminante nell’area lavorativa è quello relativo alle ore di lavoro. Infatti lavorano fino ad un massimo di 24 ore solo il 21,6% delle lavoratrici intervistate, per le altre (più del 50%) il carico di lavoro supera le 37 ore settimanali. L’impegno di lavoro in termini di ore può essere particolarmente gravoso se si considera che le donne devono conciliarlo con la gestione delle attività di cura familiare storicamente e culturalmente assegnatele. È presumibile, quindi, che le ore di lavoro svolte costituiscano una delle motivazioni che determinano la scelta delle dimissioni, motivazioni che vengono approfondite nella successiva sezione.

5.3 Motivi delle dimissioni

Al fine di rilevare le motivazioni che spingono la lavoratrice madre a dimettersi, nel questionario è stata previsto un elenco di possibili motivazioni alle quali la stessa doveva ricondurre la propria esperienza personale.Le risposte fornite dalle lavoratrici (era prevista la possibilità di scegliere più opzioni) riconducono la scelta di lasciare il lavoro ad un insieme di cause, spesso legate tra loro. Le motivazioni indicate dalle lavoratrici sono state successivamente raggruppate in due macrocategorie (fig. 26): la prima include tutte quelle che riguardano la sfera economica, la seconda quelle che rinviano a difficoltà di conciliazione. Il dato che emerge è piuttosto netto. Le difficoltà a conciliare lavoro e famiglia incidono in maniera preponderante sulla scelta delle dimissioni.

Alle lavoratrici madri dimissionarie è stato chiesto anche di indicare il grado di soddisfazione economica e professionale legato al lavoro che svolgevano per capire se e in che misura la scelta della dimissione fosse determinata dall’insoddisfazione lavorativa. I dati ottenuti escludono sia l’insoddisfazione economica che quella professionale come fattori determinanti la scelta, infatti, più della metà delle donne si dichiara, abbastanza soddisfatta sia economicamente (fig. 24) che professionalmente (fig. 25).

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induce a riflettere sulla reale efficienza del sistema italiano del welfare: se la risorsa primaria cui le lavoratrici ricorrono per gestire la conciliazione è rappresentata dalla famiglia, ciò indica indirettamente una crisi dello Stato assistenziale che appare carente nel fornire strumenti adeguati di sostegno.

L’altro motivo più scelto è quello dell’inadeguatezza dell’orario di lavoro a conciliare le esigenze di lavoro e di cura. Ciò conferma quanto e già emerso nell’analisi delle tipologie contrattuali (part-time/full-time) e sulle ore di lavoro settimanali.La grossa percentuale di donne che reputano inadeguato l’orario di lavoro dovrebbe incentivare politiche aziendali che favoriscano strategie di conciliazione e adottino forme di flessibilità, la cui mancanza è stata anche indicata tra le cause di dimissioni dal 14,5% delle intervistate. Tale dato, tra l’altro, consente un approfondimento della lettura di quello relativo al 30,5% di donne con contratto a lavoro part-time che hanno deciso di dimettersi. Infatti, un contratto di lavoro part-time non implica flessibilità, né l’istituzione di misure aziendali o di politiche sociali a sostegno della maternità per cui non necessariamente interviene a migliorare le problematiche conciliative.Marginale (5,7%) è la percentuale di lavoratrici dimissionarie che ha scelto di dimettersi perché svolgeva un lavoro troppo faticoso, mentre la restante parte fornisce motivazioni connesse ai servizi di supporto assenti nel 19,3% dei casi e lontani nel 13,9%. Se nell’analizzare il dato relativo all’assenza e lontananza dei servizi ci riportiamo al dato relativo alla denuncia dei loro costi molto elevati, emerge con chiarezza la necessità di attivare una rete a sostegno della famiglia.

Una delle ipotesi del presente lavoro di ricerca è di ritenere che il rifiuto da parte del datore di lavoro di concedere part-time, orari più flessibili o modifiche dei turni di lavoro (fig. 29) potesse essere causa delle dimissioni, ma l’analisi dei dati ha evidenziato che le lavoratrici non hanno provato, prima di decidere per il licenziamento, a farsi concedere un part-time o un orario di lavoro flessibile, né a modificare i propri turni di lavoro.

Tale dato rileva inequivocabilmente che le difficoltà espresse dalle lavoratrici madri dimissionarie riguardano, prevalentemente, la conciliazione tra tempo di lavoro e di cura. Ma prima di entrare nel dettaglio dell’analisi dei motivi legati alla conciliazione, è interessate sottolineare che tra le motivazioni economiche segnalate dalle lavoratrici emerge come fattore deterrente l’elevato costo dei servizi a supporto delle famiglie (78%, fig. 27):

Fig. 27

Motivo dimissioni (motivazioni economiche)N %

Non convenienza economica 81 22%

Costo dei servizi di supporto alla famiglia 288 78%

Totale 369 100%

Le motivazioni di tipo conciliativo (fig. 28) addotte dalle lavoratrici riguardano: l’assenza di aiuti familiari (23,4%); un orario di lavoro inadeguato (23,2%); l’assenza o la lontananza di servizi ( 19,3% e 13,9%).

Emerge, quindi, che la difficoltà maggiore dichiarata dalle giovani madri lavoratrici è l’assenza di aiuti familiari. La famiglia è infatti, soprattutto nel nostro contesto socio-culturale la prima risorsa di supporto a cui si fa riferimento. Ciò

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responsabilità e di cura nei confronti della famiglia come causa di pressione alla scelta di dimettersi.

In effetti, dall’analisi delle risposte emerge che non è una “reale” pressione familiare a spingere le donne al licenziamento, ma la difficoltà a conciliare tra la cura della famiglia e le esigenze lavorative. Infatti è il “senso di responsabilità” nei confronti della famiglia a creare tensione e a determinare la scelta delle dimissioni. Il dato è importante perché evidenzia come sia ancora diffuso, tra le stesse donne, la convinzione che il compito di cura appartenga “esclusivamente” a loro e come ciò favorisca: senso di colpa se la famiglia viene trascurata; disponibilità a sacrificare la propria realizzazione personale per il bene dei figli, e così via.

Pressioni aziendaliPiù delicato è, invece indagare sulle possibili pressioni aziendali al licenziamento (fig. 31 e 32), rispetto alle quali, infatti, la lettura dei risultati appare piuttosto controversa. Infatti alla domanda volta ad indagare la presenza di pressioni aziendali al licenziamento abbiamo: un 69,7% di lavoratrici che dichiara di non averne ricevute; un timido 3,2% che, invece, dichiara di averle subite; e un “sorprendente” 27,1% di donne che rimane in silenzio.

Fig. 28

RICHIESTA CONCESSIONI

Part-time flessibilità

Modifica turni

N % N %

Si 56 14,7% 44 11,6%

No 238 62,7% 244 64,2%

non risp 86 22,6% 92 24,2%

Tot. 380 100% 380 100%

Ottenuto 17 su 56 30% 12 su 44 27,2%

Tale risultato ha indotto a ipotizzare che le lavoratrici non conoscono a fondo i propri diritti, o reputano come “favori” quelle tutele che spetterebbero loro naturalmente, e che le aziende hanno la possibilità di adottare, con, tra l’altro, cospicui vantaggi economici (art.9 della legge 53/2000). Oppure, che le lavoratrici non provano a chiedere le suddette modifiche perché sanno che sarebbero comunque respinte. Così come potremmo ipotizzare che le mancate risposte (24,2%) a tale domanda siano riconducibili alla “difficoltà” di dover denunciare un comportamento discriminatorio da parte dei datori di lavoro.

5.4 Pressioni al licenziamento

Nel questionario è stata prevista una sezione per una prima analisi sulle pressioni al licenziamento.La lavoratrice che si rivolge agli Uffici della Direzione Provinciale del lavoro deve dichiarare di presentare le dimissioni in maniere spontanea e di non aver subito nessuna pressione licenziamento da parte del datore di lavoro. Tuttavia diverse forme di pressione possono influenzare in maniera più o meno diretta la sua decisione.

Pressioni familiariLa prima possibile fonte di pressione indagata è stata quella della famiglia (fig. 30), ma solo nel 11,3% dei casi le lavoratrici hanno dichiarano di essere stante spinte, direttamente o indirettamente, dalla famiglia ad abbandonare il lavoro.In particolare, la maggior parte delle donne ha indicato il senso di

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distinguendola tra “clima aziendale ostile”, “demansionamento” ed “incentivi a licenziarsi”. Si è ipotizzato, infatti, che la pressione al licenziamento non necessariamente operi in maniera diretta ma possa esprimersi attraverso forme indirette di discriminazione che collocano la donna sulla via delle dimissioni, come la già citata tendenza a rifiutare la concessione del part-time o modifiche ai turni di lavoro. Nel considerare queste diverse tipologie di pressioni, le donne che ritengono di averle subite aumentano: dalle 12 su 380 della domanda precedente, ora le riposte affermative lievitano in totale a 57 (ossia il 15% della totalità), così distribuite:

Fig. 33

TIPOLOGIE DI PRESSIONI AZIENDALI

N %

Clima aziendale ostile 30 7,9%

Demansionamento 17 4,5%

Incentivi a licenziarsi 10 2,6%

Tot. 57 15%

Dunque, leggendo il dato relativo alle pressioni aziendali denunciate, tra coloro che dichiarano di aver ricevuto pressioni aziendali, la maggior parte delle lavoratrici ha attribuito le ragioni delle sue dimissioni al clima aziendale ostile (7,9%) seguono coloro che hanno subito un demansionamento (4,5%) e coloro che hanno ricevuto “incentivi” a licenziarsi.

Pertanto, considerati i dati emersi, si evince che alcune donne, pur ritenendo di non aver ricevuto pressioni dirette al licenziamento (ragion per cui rispondono “no” al quesito precedente) riconoscono di aver subito forme di pressioni più velate.

Anche se il numero di donne che ci indica le pressioni ricevute resta limitato rispetto alla totalità del nostro campione si ritiene utile e necessario segnalarne la denuncia così come bisogna ancora una volta segnalare l’elevata percentuale di lavoratrici che preferiscono non rispondere (fig. 34), che in questo quesito raggiunge il picco più elevato dell’intera indagine (oltre il 30% per ciascuna tipologia di pressione aziendale):

Fig. 31

PRESSIONI AZIENDALI

N %

Si 12 3,2%

No 265 69,7%

non risp 103 27,1%

Tot. 380 100%

In che modo va letto questo dato? Come va interpreta la elevata percentuale di mancate risposte? Essa potrebbe nascondere un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle lavoratrici madri e quindi indicare l’esistenza di pressioni al licenziamento. Infatti, nonostante si sia garantito alle donne che si presentavano agli uffici della Direzione Provinciale del Lavoro di Napoli per dichiarare la spontaneità delle proprie dimissioni, che le loro dichiarazioni sarebbero rimaste riservate, si ritiene che le stesse di fronte a domande “imbarazzanti” o “scomode” abbiano preferito non esporsi chiaramente.

È stato, inoltre, chiesto di specificare la tipologia di pressione aziendale (fig. 33) cui la donna ritiene di essere andata incontro,

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tornare a lavoro ma appongono delle precise clausole a quest’ipotesi di rientro: il 6,9% dichiara di voler a lavorare quando i figli cresceranno, e l’1,8% quando saranno in grado di conciliare lavoro e famiglia. Ciò dimostra che il lavoro è un elemento centrale della vita e della definizione identitaria della donna che non è esclusivamente legato ad esigenze di natura economica.

Vale la pena sottolineare che alcune donne hanno precisato che il loro futuro, eventuale, reinserimento lavorativo è vincolato a precise condizioni: che i figli siano sufficientemente cresciuti (6,9%) che ci saranno condizioni migliori per la conciliazione (1,8%). Emerge, dalla lettura di questi dati, ancora una volta, il conflitto che la donna vive per il doppio ruolo di lavoratrice e madre. Non tutte le lavoratrici ci hanno spiegato perché pensano di tornare al lavoro (fig. 36), quelle che l’hanno fatto hanno indicato, nella maggior parte dei casi (60,3%) i motivi economici.

Sebbene prevalgano i motivi economici è importante sottolineare che numerose donne riconoscono la professione quale strumento per la realizzazione personale. Infatti, accanto al 15,7% che indica specificamente questa motivazione, vi è l’ 11,8% che dà pari peso ad essa e ai motivi economici, nonché un interessante 7,6% che dichiara

5.5 Progettualità futura

Un ultimo dato utile messo in luce dal questionario riguarda le prospettive lavorative future delle donne che hanno partecipato all’inchiesta (fig. 35). Nonostante la negativa esperienza conciliativa tra le esigenze di cura e di lavoro che le hanno spinte alle dimissioni, il 72,1% desidera, per il futuro, reimpiegarsi. A questa percentuale vanno aggiunte le donne che desiderano

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nelle quali ricoprono mansioni di livello medio-basso, come medio è anche il loro livello d’istruzione. Considerata la professione del partner, in genere anch’essa non dirigenziale, si ottiene il ritratto di una famiglia di ceto medio alle prese con le difficoltà, economiche e non, legate alla conciliazione. Esse, insieme agli stereotipi di genere che attribuiscono all’universo femminile le responsabilità di cura, inducono le donne alla scelta di rinunciare al proprio lavoro, benché a tempo indeterminato, anche nel caso in cui si articoli in una formula part-time, non sufficiente a garantire forme di conciliazione. Infine, il silenzio riscontrato nelle risposte fornite alla sezione relativa alle pressioni aziendali, suggerisce la necessità di esplorare in maniera più approfondita le dinamiche intervenienti nella cultura aziendale, che ancora fatica a esprimere una reale compartecipazione alla gestione del problema della conciliazione.

In conclusione alla dettagliata analisi dei dati raccolti, ci preme condividere alcuni spunti di riflessione ed interrogativi, che derivano dall’interpretazione del materiale analizzato e riguardano soprattutto il benessere psicologico della lavoratrice madre dimissionaria, in riferimento alle rappresentazioni di sé stessa

di voler tornare a lavorare per amore della propria professione.

Il questionario si conclude con una serie di domande volte a rilevare il lavoro che alle donne piacerebbe svolgere quando saranno nella condizione di potersi riproporre sul mercato del lavoro (fig. 37).

Fig. 37

Quale lavoro le piacerebbe fare?

N %

Lo stesso 152 40%

Qualsiasi attività 18 4,7%

Lavoro diverso dal precedente 74 19,5%

Una professione che mi permetta di conciliare lavoro e famiglia

20 5,3%

Non intende tornare al lavoro 27 7,1%

Non risponde 89 23,4%

Totale 380 100%

Il 40% delle lavoratrici ha affermato che desidera riprendere lo stesso lavoro (fig. 37), ciò a conferma del fatto che non lo hanno lasciato perché non era di loro gradimento la mansione svolta, ma per motivi altri, che abbiamo largamente messo in luce.

Il 23,4% delle donne che hanno partecipato all’inchiesta è, comunque, ancora incerta sul lavoro da ricercare, mentre emerge ancora il problema della difficoltà conciliativa, evidenziata anche dalle risposte a questo quesito: il 5,3% delle lavoratrici è orientato ad un lavoro che permetta di conciliare lavoro e famiglia.

6. Identikit della lavoratrice madre dimissionaria

La ricerca finora condotta permette di definire un identikit della lavoratrice madre dimissionaria (fig. 38), che ci accingiamo a presentare.L’indagine fotografa una categoria di giovani donne sposate, alle prese con la loro prima esperienza da mamme, che si dimettono dopo aver incontrato difficoltà nell’accudimento in seguito alla nascita del bambino. Provengono da contesti residenziali in cui scarseggiano i servizi di supporto e da aziende di piccole dimensioni

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come se in queste due fasi della vita del piccolo le difficoltà di conciliazione si rivelassero insostenibili. Probabilmente ciò accade perché, conclusosi il periodo di congedo di maternità, ed esaurita per la donna la possibilità di ricorrere a permessi di varia natura presumibilmente utilizzati nei primi mesi di vita del figlio, la possibilità di dedicarsi contemporaneamente al lavoro e ad un bambino che cresce richiedendo in misura sempre maggiore il coinvolgimento materno, appare sempre più complessa. Ciò soprattutto in assenza di aiuti familiari o di servizi, il cui costo si rivela spesso eccessivo per una famiglia di classe economica media. Evidentemente, invece, la conciliazione risulta meno problematica nei primi tre mesi di vita del bambino, perché coperti dal periodo di congedo, e nell’ultimo trimestre del primo anno di vita, probabilmente perché la madre a quel punto avrà sperimentato già varie soluzioni di compromesso con le quali stabilire un equilibrio di conciliazione, il che determina un calo delle dimissioni: chi si licenzia in quest’ultimo periodo forse è chi le ha già provate tutte e ci rinuncia!Per quanto concerne la posizione lavorativa della donna, come già evidenziato, i dati riflettono una segregazione sia orizzontale che verticale del lavoro femminile, che induce a domandarsi se sia ancora difficile oggi rompere il cosiddetto “soffitto di cristallo” di cui tanto si è parlato in riferimento alle pari opportunità tra uomini e donne sul luogo di lavoro; mentre la concentrazione del fenomeno delle dimissioni volontarie in contesti aziendali di piccole dimensioni evidenzia la necessità di una maggiore tutela del lavoro femminile in questi ambiti. In merito, invece, alle motivazioni che spingono le donne a lasciare il lavoro, accanto alle già evidenziate riflessioni sulla condizione dei servizi di sostegno alla famiglia, vale la pena sottolineare come la loro carenza alimenti la necessità di far ricorso alla famiglia d’origine come risorsa principale di supporto (infatti la difficoltà più grande è dovuta all’assenza di aiuti familiari, riscontrata dal 23,4% delle donne). Viene da pensare al ruolo insostituibile dei nonni e all’avvicinamento generazionale che la nascita dei figli comporta, determinando il passaggio dalla condizione di coppia coniugale a quella di coppia genitoriale, che avvicina nell’immaginario e nel concreto i neo-genitori ed i neo-nonni. Per quanto concerne la dimensione relativa all’influenza degli

come donna-lavoratrice e come donna-madre, e alla qualità della relazione con il proprio bambino.Innanzitutto il dato relativo alla giovane età delle dimissionarie (il 66,1% ha un’età compresa tra i 25 e i 34 anni) è allarmante nella misura in cui rivela l’incontro della giovane donna con un fenomeno quantomeno destabilizzante, che potrebbe avere per la stessa conseguenze negative su due fronti: da un lato, scoraggiare la donna nell’approccio al mondo del lavoro, dal quale viene effettivamente a trovarsi esclusa, dall’altro, influenzare negativamente la sua capacità di accudimento materno. Infatti, non solo vissuti depressivi connessi all’abbandono dell’attività lavorativa potrebbero ripercuotersi sulla relazione con il bambino, ma quest’ultimo potrebbe anche essere identificato con il “colpevole” della perdita del lavoro, in un gioco di proiezioni che deriva dalla spaccatura identitaria tra la donna-madre e la donna-lavoratrice che il fenomeno viene a determinare. Quanto, allora, la lavoratrice dimissionaria può sentirsi svilita nelle proprie capacità, lavorative e di cura, e quanto tutto ciò incide sulla sua autostima?Inoltre, considerata la delicatezza della fase che la madre si trova a vivere nei mesi immediatamente successivi alla nascita del bambino, ossia del suo primo anno di vita appunto, e la depressione post-partum in certa misura “fisiologica” per ogni mamma, ci sarebbe da domandarsi quanto la perdita del lavoro, che si collochi in concomitanza con questo delicato periodo, metta in pericolo il già precario equilibrio psicofisico della donna che è da poco diventata mamma. Questo potrebbe chiaramente non valere per quelle donne, ammesso che ce ne siano, che hanno invece vissuto l’abbandono del lavoro come un “sollievo” che ha avuto l’effetto di agevolare anziché ostacolare la relazione con il proprio bambino. Il punto in ogni caso è che una donna che desidera tanto lavorare quanto essere madre, non dovrebbe sentirsi rassegnata a vivere un’amputazione identitaria, ovvero a sacrificare una parte di sé per la realizzazione dell’altra (indipendentemente dal fatto che sul piatto della bilancia possa per lei pesare di più il lavoro o la famiglia), almeno in uno Stato che si prefigga di tutelare il valore della maternità e la risorsa della forza lavoro femminile. I dati emersi evidenziano una concentrazione di richieste di dimissioni volontarie nel periodo di età del bambino compreso tra i 4 e i 6 mesi e tra i 7 e i 9 mesi (per un totale del 55,5%),

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sta attraversando, appare pertanto doveroso arginare il fenomeno delle dimissioni volontarie che rischia di condannare le donne ad un’esclusione definitiva dal mercato del lavoro. La donna contemporanea è, ad ogni modo, una donna che intende investire su di sé non solo come madre ma anche come lavoratrice, specie in considerazione degli sforzi sempre maggiori dedicati al percorso formativo. Ella invoca il bisogno di sperimentare un’identità multipla, in cui ci sia spazio per una realizzazione di sé che passi sia attraverso la cura dei legami familiari che la professione lavorativa, e contemporaneamente chiede al mondo del lavoro di ospitarla “intera”, come lavoratrice e come madre.Ci piace, pertanto, concludere questo report lasciando la parola proprio a loro, le lavoratrici madri dimissionarie di cui abbiamo tanto parlato, citando alcune risposte alla domanda “perché vorrebbe tornare al lavoro?”, contemplata nel nostro questionario. Più di ogni altro item, questa domanda sollecita l’espressione, da parte delle intervistate, di ciò che essere madre e lavoratrice significhi per loro:

stereotipi di genere, sulla quale ci siamo interrogate ad inizio di questo capitolo, essa emerge indirettamente dall’analisi della sezione relativa alle pressioni familiari: come si evince dalle risposte, più che di vere e proprie pressioni, si tratta spesso di difficoltà a conciliare la cura della famiglia con le esigenze lavorative. Ad ogni modo la forma più frequente di pressione familiare avvertita dalle lavoratrici è costituita dal “senso di responsabilità” relativo alla cura della famiglia, indicato come principale causa dalle lavoratrici che dichiarano di aver avvertito pressioni familiari. Il dato è importante nella misura in cui evidenzia come persista nell’immaginario femminile l’idea che il compito della cura appartenga all’universo della donna, con tutte le sue possibili declinazioni, in termini, ad esempio, di senso di colpa se la famiglia viene trascurata, o dovere di sacrificare la propria realizzazione personale per il bene dei figli, e così via. Ma il dato ritrae anche donne fortemente ancorate al valore della famiglia e al desiderio di non escludere dalla propria definizione di sé la funzione di “madre nutrice”.

In merito alla cultura aziendale che pare diffusa nelle realtà lavorative da cui le donne si dimettono, al di là della controversa sezione relativa alle pressioni aziendali, essa appare caratterizzata da mancanza di flessibilità e da un monte orario di lavoro difficile da gestire per la lavoratrice madre. Essa sembra in qualche modo riflettere, dunque, ancora una cultura lavorativa per certi versi maschile, basata cioè sulla settimana lavorativa lunga e sul cosiddetto “tempo di facciata”, cioè sulla necessità di “far vedere” che si è presenti a lungo sul luogo di lavoro, indipendentemente dalla qualità del lavoro svolto, che le donne potrebbero essere in grado di ottimizzare anche in tempi minori, essendo costrette quotidianamente a destreggiarsi su più piani di richieste e di azione.Infine, ci preme condividere con i lettori un aspetto che è forse il più lampante dell’intera indagine: parliamo di donne che lasciano il lavoro, è vero, ma che desiderano fortemente lavorare! Più del 70% di esse dichiara di voler tornare a lavoro, per motivi che non sono solo di natura economica. Ma una volta abbandonato il mercato del lavoro dimettendosi, esiste davvero la possibilità di rientrarvi? I dati relativi ai tassi di occupazione e disoccupazione femminile sono, da questo punto di vista, scoraggianti. Considerato anche il delicato periodo di crisi economica che il nostro Paese

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Nonostante le differenze territoriali tra il Nord e il Sud Italia, se si confrontano le indagini condotte sul fenomeno delle dimissioni volontarie per maternità, appare tuttavia evidente che le donne italiane risultano scarsamente sostenute nella gestione dei carichi connessi alla conciliazione, a causa di un sistema del welfare che appare in crisi o perlomeno inadeguato a supportarle. In proposito Bettio e Villa14 sostengono che, considerati i tassi di occupazione e fecondità dei paese europei (rispettivamente 45,3 e 1,2 per l’Italia) si possa delineare un tipico modello mediterraneo della disoccupazione femminile, diverso da quello nordico. Il modello nordico si caratterizza sia per un alto tasso di natalità sia, contemporaneamente, per un’elevata partecipazione delle donne al mercato del lavoro: ciò è reso possibile dalla presenza di un welfare-state efficiente ed efficace, che predispone infrastrutture e servizi di sostegno che permettono alle donne di gestire ambedue i ruoli di madre e lavoratrice, senza che uno dei due sia sacrificato. In Italia, invece, e nel modello mediterraneo in genere, la natalità è in calo e tuttavia essa non si accompagna ad un aumento dell’occupazione femminile. Ciò sarebbe attribuibile sia ad una base produttiva che penalizza le donne nell’accesso al mercato del lavoro, sia ad uno stato sociale che è incapace di mettere in campo strumenti di conciliazione realmente fruibile dalle donne. Sebbene, infatti, in Italia le lavoratrici madri siano protette da una delle migliori legislazioni europee, essa spesso non si traduce in “buone pratiche” concretamente a sostegno dell’efficacia delle norme e quindi a tutela delle madri.A ciò va aggiunto che una delle caratteristiche dominanti delle nuove dinamiche occupazionali è l’aumento del precariato a carico delle donne lavoratrici, che, quasi mai per scelta, si ritrovano ad accettare contratti “flessibili” che solo apparentemente consentono di conciliare i tempi lavorativi con gli impegni di cura. Le forme contrattuali atipiche, infatti, in Italia riguardano per il 70% le donne, che in questi contesti vengono spesso adibite a mansioni non qualificanti e non corrispondenti al loro background formativo, risentendo alla fine di tipologie contrattuali penalizzanti, soprattutto in prospettiva di un’eventuale maternità. Questo fenomeno

14 Bettio F., Villa P., “A Mediterranean Perspective on the Break‐Down of the Relationship Between Participation and Fertility” Cambridge Journal of Economics, 22 (2) 1998.

Capitolo VII

Conclusioni

L’indagine presentata nel volume delinea un quadro del fenomeno delle dimissioni delle lavoratrici madri nel primo anno di vita del bambino che rispecchia quanto evidenziato anche da altre ricerche simili condotte in diversi ambiti territoriali. Riteniamo che il fenomeno meriti un’attenzione forte, in considerazione del già complesso panorama del mercato del lavoro, che rivela ancora per le donne criticità e chiusure. Tutt’oggi, infatti, le donne:

restano la forza lavoro più penalizzata, la fascia più debole e a • maggior rischio di esclusione sociale, e, di conseguenza, il target più difficilmente ricollocabile, soprattutto se over 45; costituiscono la percentuale più consistente dell’utenza di atipiche • (dei lavoratori atipici), con caratteristiche diverse, dalla bassa qualifica alle professioni intellettuali; vivono una situazione lavorativa che risente profondamente dei • grossi divari esistenti tra il Nord e il Sud del Paese, che influenzano pesantemente la fruizione dei servizi a sostegno della famiglia e, dunque, la possibilità di usufruire di strategie di conciliazione.

Nel mezzogiorno la situazione della lavoratrice madre si aggrava ancora di più, stando a quanto sostenuto da Sabbadini13 , secondo la quale la situazione delle lavoratrici madri del Sud sarebbe contraddistinta dalle seguenti caratteristiche:

Nel Sud

- occupazione - reti informali

- part-time - baby sitter

+ lavoro a tempo determinato - condivisione nella coppia

- servizi sociali + figli

13 ISTAT(2008) L. Sabbadini , Rete Nazionale delle Consigliere di Parità - Roma

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peso negativo di un inadeguato e insufficiente sistema di servizi all’infanzia, a partire dalla carenza e dalla eccessiva onerosità degli asili nido. Si pone, inoltre, la questione se l’evoluzione legislativa, riconducendo il “fondamento della protezione legale sempre più spesso e sempre più nitidamente alla maternità come tale e non più, come in passato, solo in quanto collegata allo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata”16, non abbia approfondito la separazione tra maternità e condizione lavorativa, finendo, in realtà, per distogliere l’attenzione dal problema della compatibilità senza averlo compiutamente risolto. Anche gli strumenti specifici introdotti per garantire la professionalità delle lavoratrici e offrire sostegno ai datori di lavoro possono risultare di ridotta efficacia perché offrono soluzioni parziali e separate, ovvero non adeguatamente coordinate con le regolamentazioni generali del mercato e del rapporto di lavoro. Ci si chiede altresì in che misura le difficoltà di conciliazione siano da ricondurre, piuttosto che ad ostacoli reali, ad un pregiudizio, ovvero ad una rappresentazione preconcetta ed arcaica che collega la cura dei figli all’assenza ‘totale’ dal lavoro e la qualità del lavoro ad una presenza rigida e prolungata sul posto di lavoro».

Alla luce di tali considerazioni, quali misure potrebbero essere adottate per sostenere e tutelare le lavoratrici madri? Intendiamo sottolineare che gli interventi finalizzati alla risoluzione delle problematiche connesse alla gestione della conciliazione devono riguardare non solo le lavoratrici, le quali vanno tutelate ed assistite, ascoltandone le difficoltà e denunciando le discriminazioni subite, ma anche le aziende, che necessitano di essere sostenute nell’individuazione di strategie e risorse utili a favorire la concreta realizzazione della conciliazione. Le tipologie di interventi che riteniamo centrali per la fattività della conciliazione possono essere distinte in quattro categorie:

1. Azioni di sistema

Sono misure di conciliazione che coinvolgono il territorio, sviluppando partenariati e coalizioni per il coordinamento di

16 Si legge nella motivazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 405 del 2001 (v. infra, § 2.4).

riguarda nella provincia di Napoli il 69% delle lavoratrici, che si ritrovano con contratti a brevissimo termine, validi anche per un solo giorno, con minori garanzie e basse remunerazioni. L’aiuto che dovrebbe essere fornito in questo senso dai Centri per l’Impiego e i Cof, purtroppo in Campania risulta ancora insufficiente, a causa di difficoltà nel sistema di gestione ed analisi dei dati: basti pensare che nella provincia di Napoli solo tre centri per l’impiego (Area Nord di Napoli, Capodichino e Pozzuoli) hanno una completa informatizzazione.

Il fenomeno delle dimissioni entro il primo anno di vita del bambino contribuisce, pertanto, ad accrescere il bacino delle donne disoccupate, all’interno di un mercato del lavoro che soffre delle criticità del welfare e rischia di perdere la risorsa lavoro femminile. I risultati della nostra indagine ci permettono infatti di sostenere che il fenomeno delle dimissioni è principalmente il risultato di una costruzione sociale-istituzionale che attribuisce ai compiti di cura la connotazione di una responsabilità individuale assegnata alle donne più che realmente co-gestita a livello sociale.Il perdurare degli stereotipi culturali che ancora sostengono la divisione sociale dei compiti di cura connessi al genere, la persistenza di una cultura aziendale ancora poco sensibile ala tematica della conciliazione e i deficit del sistema di welfare italiano, mancante di servizi adeguati, continuano perciò ad ostacolare la presenza femminile nel mercato del lavoro, soprattutto quando ad essa si associano i carichi familiari da gestire.

È evidente il danno sociale prodotto da una tale situazione, che mantiene il nostro Paese lontano dagli standard e dagli obiettivi indicati dall’Unione europea. Pertanto, come nota giustamente F. Borgogelli15 , «l’analisi di una normativa che tutela la maternità, ma non garantisce adeguatamente la sua effettiva compatibilità con lo svolgimento di una attività lavorativa, va condotta soprattutto al fine di verificare in che misura le difficoltà siano da imputare a limiti dell’apparato legislativo piuttosto che a pregiudizi che impediscono di utilizzare le opportunità da questo offerte; senza dimenticare il

15 Borgogelli F., Lavoratrice e madre: tutele e contraddizioni, in La tutela della salute della donna nel mondo del lavoro, a cura di O.n.da-Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna , Franco Angeli, 2007.

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part-time reversibile, il telelavoro, il lavoro a domicilio, l’orario flessibile in entrata e in uscita, la banca delle ore, la flessibilità sui turni, l’orario concentrato.

Un ulteriore ausilio per il datore di lavoro è offerto dall’art.4 T.U., il quale prevede la possibilità di assunzioni mediante contratto a tempo determinato, o l’utilizzo con contratto temporaneo, di personale sostitutivo in coincidenza con la maternità, naturale o adottiva delle lavoratrici, per un periodo massimo di dodici mesi fino al compimento di un anno di età del bambino o entro un anno dall’accoglienza del minore adottato o in affidamento, godendo delle medesime agevolazioni contributive (la disposizione si applica anche nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome).

In particolare riteniamo che, accanto alla necessità di insistere sull’introduzione della flessibilità nelle aziende e sulla costruzione di un’adeguata rete di servizi territoriali di supporto, a livello locale si renda indispensabile:

Realizzare azioni informative e di sensibilizzazione rivolte•  alle imprese per promuovere una cultura della conciliazione – ai/alle lavoratori/trici rispetto ai diritti e alle tutele esistenti – agli organi istituzionali per l’aggiornamento sulla normativa –da rispettare alla collettività in genere per favorire una comprensione dei –temi considerati e sviluppare una sensibilità verso di essi

Adottare certificazioni di genere e meccanismi di premialità • alle imprese e a livello istituzionale Sostenere l’adozione di strumenti che diano concreta attuazione • alle politiche per la parità di trattamento tra uomini e donne sul luogo di lavoro, quali ad esempio la Carta per le Pari Opportunità. Si tratta di un’iniziativa cui le aziende possono scegliere di aderire: l’impresa che adotta la Carta manifesta la propria intenzione a contribuire, al proprio interno, alla lotta contro tutte le forme di discriminazione sul luogo di lavoro - genere, età, disabilità, etnia, fede religiosa, orientamento sessuale - impegnandosi al contempo a valorizzare le diversità all’interno dell’organizzazione aziendale, con particolare riguardo alle pari opportunità tra uomo e donna. In virtù di questa Carta

misure ed interventi; ad esempio i congedi dei genitori, l’erogazione di contributi per azioni positive sulla flessibilità, il Piano dei tempi e degli orari.

2. Misure per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro

Si tratta di iniziative orientate all’acquisizione di tecniche e metodologie specifiche per programmi di aggiornamento e riqualificazione professionale; per esempio progetti di formazione e orientamento, stage, tirocini rivolti alle donne.

3. Modelli organizzativi concilianti.

Consistono nell’adottare progetti che permettano alle lavoratrici – e ai lavoratori – di ridurre il conflitto derivante dalla necessità di separare il mondo familiare da quello lavorativo; per esempio l’art.9 della legge 53/2000, part time, telelavoro, banca delle ore, rimodulazione degli orari di lavoro, congedi di maternità e paternità, permessi

4. Servizi di supporto alla famiglia.

Essi comprendono misure di sostegno economico e non alla famiglia; per esempio di tipo economico: voucher, prestiti agevolati, contributi alle vacanze, detrazioni fiscali; di tipo non economico: asili, nidi, convenzioni con centri sportivi.

All’interno della complessa normativa esistente, intendiamo sottolineare alcuni articoli di legge che possono costituire dei preziosi strumenti concilianti. Innanzitutto, una importante, seppur sottovalutata, opportunità è stata offerta dall’art.9 della legge n.53 del 2000: esso prevede l’erogazione di finanziamenti alle aziende (soprattutto quelle di ampiezza fino a cinquanta dipendenti) che:

prevedono azioni positive rivolte a programmi di formazione • per il reinserimento dei lavoratori dopo i congedi legati alla maternità e paternità (comma 1, lett.b). concordino progetti volti a consentire ai genitori-lavoratori – • con priorità per quelli che hanno bambini sino a otto anni di età o dodici in caso di adozione - di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e della organizzazione del lavoro, quali il

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Capitolo VIII

Appendice

1. Il Protocollo d’Intesa tra l’Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Napoli e la Direzione Provinciale del Lavoro di Napoli

l’azienda si propone soprattutto a concretizzare tali propositi mediante l’attuazione di azioni concrete, quali la definizione di politiche aziendali che prevedano il rispetto del principio di pari dignità e trattamento sul lavoro, l’individuazione di funzioni aziendali alle quali attribuire chiare responsabilità in materia di pari opportunità, il superamento di stereotipi di genere, azioni di monitoraggio e sensibilizzazione sulla tematica delle pari opportunità, l’offerta di strumenti concreti per favorire la conciliazione tra lavoro di cura e professionale, nonché la promozione di buone prassi dando testimonianza delle politiche adottate. Istituire a livello locale un Osservatorio permanente in linea con l’ • “Osservatorio sulla contrattazione decentrata e la Conciliazione dei tempi e accordi e prassi informali” e della “Banca dati sull’attività antidiscriminatoria giudiziale e stragiudiziale” previsto dal Piano Italia 2020 per l’occupazione femminile dei Ministri Sacconi-Carfagna ed assegnato in capo all’Ufficio della Consigliera Nazionale di Parità. Esso costituisce un nuovo strumento di impulso per lo sviluppo della contrattazione decentrata a favore della produttività, per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, per la formazione aziendale e per la diffusione di buone-nuove prassi legate all’organizzazione del lavoro.

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2. Il Questionario di rilevazione

LAVORATRICI MADRI DIMISSIONARIEAnalisi delle donne che decidono di lasciare il lavoro entro il primo anno di età del bambino/a in Provincia di Napoli

Il considerevole numero di donne (circa 500 all’anno) con un figlio in età inferiore ad 1 anno che confermano alla Direzione Provinciale del Lavoro la propria volontà a licenziarsi, ha indotto questa Direzione e la Consigliera Provinciale di Parità a realizzare un indagine conoscitiva, in collaborazione con le Organizzazioni Sindacali, circa le cause e le motivazioni delle donne dimissionarie allo scopo di individuare possibili tipologie di intervento utili ad offrire alle lavoratrici il necessario sostegno nella conciliazione tra tempi di vita e di lavoro.La preghiamo quindi di voler rispondere alle domande di questo questionario. I dati raccolti, trattati esclusivamente a fini statistici ed in forma assolutamente anonima, saranno utilizzati dalla Consigliera di Parità Provinciale e dall’Ispettorato del Lavoro al fine di contrastare il fenomeno delle discriminazioni sessuali nei luoghi di lavoro.

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4. Circolare convalida dimissioni lavoratrice madre/lavoratore padre

3. Modulo ministeriale per la convalida delle dimissioni

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5. Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostengo della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della Legge 8 marzo 2000, n. 53 (Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151)

(G. U. n. 96 del 26 aprile 2001 - Supplemento Ordinario n. 93) (Omissis)

Capo IX DIVIETO DI LICENZIAMENTO, DIMISSIONI,

DIRITTO AL RIENTRO Art. 54

(Divieto di licenziamento) (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 2, commi 1, 2, 3, 5, e art.

31, comma 2; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-bis, comma 4;

decreto legislativo 9 settembre 1994, n. 566, art. 2, comma 2; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 18, comma 1)

Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del 1. periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato 2. oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso: 3. a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta

causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta; c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice

è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;

d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all’articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.

Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, 4. la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che

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Art. 55(Dimissioni)

(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 12;legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 18, comma 2)

1. In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma dell’articolo 54, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità.

3. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.

4. La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio. A detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro.

5. Nel caso di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso.

sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni. Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle 5. disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, è nullo. È altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla 6. fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore. In caso di fruizione del congedo di paternità, di cui all’articolo 7. 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino. Si applicano le disposizioni del presente articolo, commi 3, 4 e 5. L’inosservanza delle disposizioni contenute nel presente 8. articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire cinque milioni. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in 9. caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino a un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare, in caso di fruizione del congedo di maternità e di paternità.

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mansionistico antecedente e successivo all’astensione dal lavoro; sull’eventuale sottrazione degli strumenti prima utilizzati per l’espletamento dell’attività lavorativa sugli eventuali mutamenti di orario (es trasformazione da full-time a part-time), nonché sull’esistenza di. altri comportamenti vessatori;

e) nei caso di. ispezioni scaturite da specifiche denunzie, acquisisce tutti gli elementi utili (formali ed informali) a verificare l’esistenza. della prospettata discriminazione.

Nei casi di cessazione da.! rapporto di lavoro di personale • femminile coincidenti con eventi critici, quali il matrimonio e la gravidanza, il personale ispettivo:

a) verifica che la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni, o per mutuo consenso, intervenuta nel periodo intercorrente tra la richiesta delle pubblicazioni di matrimonio e un anno dalla sua celebrazione, sia stata confermata entro un mese presso la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente;

b) verifica che le cessazioni intervenute in prossimità delle nozze o della gravidanza siano il frutto di effettiva volontà della lavoratrice e non di eventi coercitivi indotti, direttamente o indirettamente, dal datore di lavoro anche al fine di scoraggiare la deprecabile prassi della lettera di dimissioni “firmata in bianco”;

c) controlla che le dimissioni rassegnate durante il periodo dì gravidanza e puerperio siano state convalidate dal Servizio Ispezione del Lavoro, al pari di quelle rassegnate dalla lavoratrice durante il primo anno di vita del bambino, o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento;

d) verifica che, dai momento in cui viene accertato lo stato di gravidanza fino ad un anno di età del bambino, le lavoratrici non siano adibite allo svolgimento di attività lavorativa dalle ore 24,00 alle ore 6,00;

e) verifica che nell’orario sopraindicato i seguenti soggetti. abbiano acconsentito allo svolgimento di attività lavorativa: lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, alternativamente, padre convivente con la stessa; lavoratrice

6. Linee guida dell’attività ispettiva in materia di pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni

Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale

Direzione generale per l’Attività Ispettiva

LINEE GUIDA DELL’ATTIVITÀ ISPETTIVA IN MATERIA DI PARITÀ, PARI OPPORTUNITÀ E GARANZIA CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

Nell’ambito della fase preparatoria dell’indagine ispettiva • il personale ispettivo incaricato contatta la Consigliera/e di parità per la verifica dei casi di discriminazione eventualmente segnalati da quest’ultima e per ogni altra questione di comune interesse, In tale circostanza il personale ispettivo acquisisce dalla Consigliera/e regionale di parità il rapporto previsto dall’art. 46 Codice pari opportunità ove regolarmente presentato.

Nel corso dell’attività di vigilanza il personale ispettivo procede • in particolare attenendosi alle seguenti modalità:

a) esamina i contratti e gli accordi collettivi applicati in azienda, verificando l’esistenza di disposizioni limitative del trattamento giuridico ed economico a sfavore del personale femminile, che non trovino giustificazione nell’ambito della realtà lavorativa;

b) accerta la composizione per genere del personale dipendente, acquisendo dati statistici distinti per sesso in relazione all’accesso al lavoro, alle posizioni professionali e retributive, alle progressioni di carriera, alla cessazione dei rapporti di lavoro e alle condizioni generali dell’ambiente lavorativo;

c) esamina con particolare attenzione le situazioni di totale assenza di personale femminile all’interno dell’azienda, qualora la tipologia di lavoro non richieda l’apporto esclusivo di personale maschile;

d) dedica particolare attenzione alle posizioni professionali e alle condizioni ambientali delle lavoratrici rientrate da periodi di astensione obbligatoria e/o facoltativa per maternità, soffermandosi sulla corrispondenza tra inquadramento

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7. La Carta per le Pari opportunità

Valorizzare il pluralismo e le pratiche inclusive nel mondo del lavoro contribuisce al successo e alla competitività delle imprese, riflettendone la capacità di rispondere alle trasformazioni della società e dei mercati. Adottando questa Carta la nostra impresa intende contribuire alla lotta contro tutte le forme di discriminazione sul luogo di lavoro - genere, età, disabilità, etnia, fede religiosa, orientamento sessuale - impegnandosi al contempo a valorizzare le diversità all’interno dell’organizzazione aziendale, con particolare riguardo alle pari opportunità tra uomo e donna. In virtù di questa Carta ci impegniamo a contribuire al raggiungimento degli obiettivi sopra condivisi attraverso alcune azioni concrete:

definire e attuare politiche aziendali che, a partire dal vertice, • coinvolgano tutti i livelli dell’organizzazione nel rispetto del principio della pari dignità e trattamento sul lavoro; individuare funzioni aziendali alle quali attribuire chiare • responsabilità in materia di pari opportunità; superare gli stereotipi di genere, attraverso adeguate politiche • aziendali, formazione e sensibilizzazione, anche promuovendo i percorsi di carriera; integrare il principio di parità di trattamento nei processi che • regolano tutte le fasi della vita professionale e della valorizzazione delle risorse umane, affinché le decisioni relative ad assunzione,

o lavoratore unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni; lavoratrice o lavoratore che abbia a. proprio carico un soggetto disabile.

Il personale ispettivo verifica che le aziende ammesse al • rimborso totale o parziale degli oneri finanziari connessi all’attuazione di progetti di azioni positive (art. 44 Codice pari opportunità) abbiano dato loro effettiva attuazione assumendo, in difetto, ogni opportuna iniziativa per la comminatoria della decadenza dal beneficio ottenuto e per la restituzione delle somme eventualmente già riscosse,

In sede di accesso il personale ispettivo verifica che le • aziende con oltre 100 dipendenti abbiano redatto il rapporto sulla situazione del personale di cui all’art. 46 Codice pari opportunità in conformità alle indicazioni ministeriali e lo abbiano tempestivamente trasmesso alle r.s.a. e alla Consigliera/e regionale di parità. In caso contrario il personale ispettivo diffida l’azienda a provvedere entro il termine di 60 giorni.

Il personale ispettivo che, anche attraverso l’esame di • dichiarazioni da parte di lavoratrici straniere, accerti eventuali fenomeni di traffico a scopo di sfruttamento lavorativo, oltre alle necessaria informativa alla AO., ne dà comunicazione alla Consigliera/e di parità competente e all’autorità di pubblica sicurezza, per l’adozione delle misure previste dall’art. 18, D.Lgs. n. 286/1998.

Si invita tutto il personale ispettivo a volersi attenere alle presenti indicazioni operative.

IL DIRETTORE GENERALE (Dr. Mario Notaro)

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formazione e sviluppo di carriera vengano prese unicamente in base alle competenze, all’esperienza, al potenziale professionale delle persone; sensibilizzare e formare adeguatamente tutti i livelli • dell’organizzazione sul valore della diversità e sulle modalità di gestione delle stesse; monitorare periodicamente l’andamento delle pari opportunità • e valutarne l’impatto delle buone pratiche; individuare e fornire al personale strumenti interni a garanzia • della effettiva tutela della parità di trattamento; fornire strumenti concreti per favorire la conciliazione dei • tempi di vita e di lavoro favorendo l’incontro tra domanda e offerta di flessibilità aziendale e delle persone, anche con adeguate politiche aziendali e contrattuali, in collaborazione con il territorio e la convenzione con i servizi pubblici e privati integrati; assicurando una formazione adeguata al rientro dei congedi parentali; comunicare al personale, con le modalità più opportune, • l’impegno assunto a favore di una cultura aziendale della pari opportunità, informandolo sui progetti intrapresi in tali ambiti e sui risultati pratici conseguiti; promuovere la visibilità esterna dell’impegno aziendale, dando • testimonianza delle politiche adottate e dei progressi ottenuti in un’ottica di comunità realmente solidale e responsabile.

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RingraziamentiUn particolare ringraziamento è rivolto ai funzionari degli Uffici Provvedimenti Amministrativi – “Servizio Maternità” e l’Ufficio Relazioni con il Pubblico della Direzione Provinciale del Lavoro di Napoli che, con spirito di collaborazione ed impegno costante, hanno reso possibile la somministrazione del questionario e l’acquisizione dei dati, oggetto del presente lavoro.Si ringrazia la Direzione Amministrativa della Provincia di Napoli nelle persone di Lucia Mazza e Alessandra Palumbo.

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