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Luigi Sturzo

Fede, società, politica, economia

Storie interrotte Classe V A

Prof. Maria Laura Inzirillo

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La formazione

L’Opera dei Congressi

L’Opera dei Congressi in Sicilia

Il movimento cattolico si riorganizza

Una progressiva maturazione

Il programma del PPI

L’ostracismo

Indice

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La formazione

Una lettura fondamentale

La svolta

Il soggiorno romano

L’insegnamento al seminario

La formazione del prete

La guida del movimento cattolico-sociale

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L’Opera dei Congressi

Le iniziative sociali

Contro il paternalismo

La Democrazia cristiana

La Diffusione della Democrazia cristiana

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L’Opera dei Congressi in Sicilia L’alternativa al socialismo L’Attività assistenziale Le Unioni professionali L’artigianato in Sicilia Una difficile esperienza Il settore primario Dai comitati operai alla cooperazione bancaria Lezioni di Politica sociale La politica meridionalista Lo scioglimento dell’Opera

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Il movimento cattolico si riorganizza

La teoria giolittiana delle due parallele

L’unione fa la forza

Le lotte municipali

Sturzo politico

Il caso per caso

Page 8: Luigi Sturzo Fede, società, politica, economia Storie interrotte Classe V A Prof. Maria Laura Inzirillo.

Una progressiva maturazione L’antefatto Il pericolo della scristianizzazione L’attenzione al sociale Verso l’autonomia della politica Oltre l’intransigentismo Il discorso di Caltagirone In attesa di tempi migliori L’organizzazione politico-elettorale Il Congresso di Modena La bufera antimodernista

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Il progetto si realizza

Il programma del PPI

Il governo Nitti

L’ultimo Giolitti

Giolitti e Sturzo a confronto

Sulla politica economica del primo dopoguerra

L’azionariato operaio

La fine dello stato liberale

Il Congresso di Torino

La concezione dello Stato

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L’ostracismo

Le dimissioni e l’esilio

Oltreoceano

In Florida

Un dialogo tra sordi

L’attività giornalistica

La pace giusta

Contrattempi

Il tramonto dell’era sturziana

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Toniolo Gerbino Murri Fasci siciliani Rerum Novarum Indagine Scotton Blandini Sillabo Gabellotto Murri Modernismo

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Formazione Le ragioni che fanno maturare in Luigi Sturzo (1871-1959) la scelta di indossare l’abito talare (1894) sono dettate dall’ambiente familiare dove diversi erano i religiosi e le religiose. Decisiva poi l’ordinazione sacerdotale del fratello maggiore Mario.

… ecco il gridodi plebe oppressa, miserasonar di lido in lido.

Anche il giovane Sturzo scrive poesie e alcune di ispirazione rapisardiana. Sempre a Noto stringe un rapporto di sincera e duratura amicizia con il vescovo Giovanni Blandini.Nel 1888 si trasferisce al seminario di Caltagirone, cui ha dato una nuova impronta il vescovo Gerbino, dove consegue la licenza liceale e studia poi teologia.

In quegli anni a Noto è forte l’influsso della poetica di Mario Rapisardi incentrata sul tema del riscatto delle plebi rurali a cui attingono per la letteratura Verga, Capuana, De Roberto e per la politica De Felice Giuffrida.

Frequenta il ginnasio prima al seminario di Acireale (1883 -1886), poi in quello di Noto (1886 -1888), dove il clima più mite meglio si adatta alla sua cagionevole salute.

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Una lettura fondamentale

Costretto in casa per tre giorni da un lutto in famiglia, scopre per caso nella biblioteca dello zio Taranto un vecchio manuale dell’Opera dei Congressi.

La lettura gli apre nuovi orizzonti sulle problematiche sociali e metodologie che il movimento cattolico propone di adottare e, quindi, sulla possibilità di rendere attivi come nel Nord i pochi e inoperosi comitati diocesani e parrocchiali istituiti in Sicilia per iniziativa dell’Opera, nonché le società operaie e le casse rurali.

La posizione “intransigente” assunta dall’Opera viene accolta da Sturzo positivamente come unica condizione per organizzare le plebi rurali e contadine. Tuttavia non sposa appieno le tesi del neoguelfismo sul tema dei diritti politici del Papa, fermamente convinto del valore del Risorgimento, anche se era stato realizzato un sistema politico unitario ancora da migliorare.

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Gli interessi del giovane seminarista sono essenzialmente rivolti alla poesia e alla filosofia. Ma di lì a pochi anni la passione per la Sociologia, senz’altro sollecitata dall’enciclica Rerum Novarum, e l’adesione all’Azione Cattolica, danno una svolta significativa e durevole alla vita di Sturzo nel frattempo ordinato sacerdote e trasferitosi a Roma per specializzarsi in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana (1898).

La svolta…

“Fu a Roma che in mezzo ai miei studi fui realmente attirato verso le attività sociali cattoliche […]. Ciò che mi impressionò di più fu la scoperta di miserie ignote nel quartiere operaio (dove si trovava l’antico ghetto), che io percorsi tutto, il sabato santo del 1895 per benedire le case. Per più giorni mi sentii ammalato e incapace di prendere cibo. Tosto mi procurai della letteratura sociale, cercai di sapere quel che facevano socialisti e umanitari, di bene informarmi di leghe e cooperative. […] La commemorazione del quarto anniversario della Rerum Novarum fatta dall’Artistico-operaia di Roma mi trovò presente fra i più entusiasti”.

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Il soggiorno a Roma contribuisce a far maturare in Sturzo una concezione nuova della missione sacerdotale del tutto inedita nel Sud. Sogna un prete attivo, inserito nell’ambiente, ma intransigente.

Il soggiorno romano

Allo studio della Teologia egli unisce quello dei problemi sociali che lo avvicinano alla vita concreta e alla storia. La Teologia e la Sociologia sono fondamentali per un prete che non deve svolgere la sua attività solo tra la sacrestia e l’altare, né ridursi a politicante “maneggione” o intellettuale da salotto, come apprendiamo da una lettera che indirizza all’amico Luigi Caruso nel 1895: “Caro, io sono qui, felice, per studiare teologia e sociologia: quella per elevarmi a Dio e alle cose divine, questa per prepararmi a svolgere proficua missione a pro del popolo […]”.È a Roma, inoltre, che incontra i maggiori esponenti del movimento cattolico nazionale in particolare il prof. Giuseppe Toniolo e don Romolo Murri.

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Una delle preoccupazioni principali di Sturzo è la formazione culturale e morale del clero. Essere insegnante nel seminario di Caltagirone gli offre importanti opportunità per influire sulla preparazione dei nuovi sacerdoti. La cultura che intende trasmettere ai suoi alunni non è libresca e astratta, ma aderente all’ambiente in cui essi devono svolgere il loro ministero, orientata all’azione sociale e ispirata alla dottrina cattolica.

L’insegnamento al seminario

Un clero per la maggior parte di umili origini, legato ai circoli borghesi, ai notabili del paese, ai municipi (in mano ai liberali e ai massoni) dai quali spera, in cambio dell’appoggio elettorale, protezione per ottenere benefici ecclesiastici.

Per evitare che gli studenti e i lavoratori si allontanino dalla chiesa attirati dal laicismo massonico e dai miraggi socialisti, Sturzo sostiene che il prete deve scendere dal pulpito e andare per le strade e per i circoli. Ma è un ideale che cozza con la situazione reale del clero meridionale reso servile verso il potere dal regalismo borbonico e spinto alla “lotta per la sopravvivenza” fatta di mille espedienti, dalla politica ecclesiastica dei governi liberali post-unitari.    

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Per operare una profonda riforma di costume e di mentalità bisogna cominciare, dunque, dai preti che tra l’altro hanno il maggiore ascendente sulle masse. L’importanza della cultura moderna e dello studio dei problemi sociali nella formazione dei nuovi sacerdoti è messa in rilievo, e in questo sente l’influenza delle Lettere sulla cultura del clero pubblicate da Romolo Murri, in alcuni articoli e discorsi del 1902 dove tra l’altro afferma che i seminaristi devono mettersi in contatto con la vita concreta della gente anche con la lettura dei giornali.

La formazione del prete

Sotto i Borbone il clero siciliano sedeva in Parlamento e costituiva una forza politica autonoma, per cui non meraviglia se alcuni preti partecipano alla politica per il gusto della lotta al potere.

La novità portata da Sturzo in Sicilia non è tanto di far impegnare il prete in politica o nelle lotte amministrative, cosa abbastanza comune ai suoi tempi, ma di liberare il clero dal servilismo nei confronti dei partiti paesani retti dai notabili locali e, quindi, farlo impegnare in una lotta politica di moralizzazione della vita pubblica.

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La guida del movimento cattolico-sociale

Ritiene che il ruolo del leader del movimento cattolico-sociale non può essere affidato ai laici, ancora pochi e non all’altezza (anche per la politica repressiva di Crispi e di Rudinì).

Pur consapevole delle conseguenze che possono derivare in campo religioso dal socialismo, si distanzia dall’antisocialismo conservatore e reazionario dei cattolici che vogliono conservare i loro privilegi sociali mantenendo intatta una struttura economica di tipo feudale. Il suo intento è di inserire il prete in un contesto sociale con una struttura economica moderna il cui perno devono essere le piccole classi medie di contadini e artigiani. Questi con le tradizioni religiose tipiche del mondo rurale impediscono gli effetti dirompenti della proletarizzazione. Egli, insomma, vuole un prete aggiornato culturalmente, ubbidiente al Papa, di stampo intransigente, ma impegnato socialmente.

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Nel 1866 ad opera di Giovanni Acquaderni e di Mario Fari sorge la Società della Gioventù Cattolica che tra gli altri scopi si ripromette: la raccolta dell’obolo del papa, la diffusione della buona stampa e la formazione di giovani cattolici assolutamente devoti alla Santa Sede.Nel 1874 la Società d’accordo con il veneziano G. B. Paganuzzi, promuove un primo congresso cattolico a Venezia.L’anno successivo nasce l’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici.I cattolici riuniti nell’Opera, che fanno proprio il dettato del Sillabo, prendono il nome di “intransigenti”, perché appunto rifiutano ogni accordo con lo stato liberale e la sua classe dirigente, colpevole ai loro occhi di avere usurpato i beni e il dominio della Chiesa.

L’Opera dei Congressi

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In un primo momento i cattolici in seno all’Opera si preoccupano di organizzare comitati parrocchiali per la difesa dell’istruzione religiosa, per la promozione di pellegrinaggi alla sede del papato, per la diffusione di congregazioni mariane, ecc.Fondamentale a proposito l’opera dei prelati Giovanni Bosco, Antonio Farina e Giacomo Cusmano che adottando lo strumento delle costituzioni salesiane, realizzano istituzioni e scuole educative popolari non solo di arti e mestieri ma anche umanistiche che rendono possibile, in epoca di gravi crisi sociale, una formazione culturale cristianamente ispirata.

Le iniziative sociali

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Dinanzi alle numerose problematiche sociali ed economiche sorte all’indomani dell’unificazione i cattolici intransigenti iniziano a sostenere iniziative di carattere popolare contro la politica conservatrice delle classi dirigenti liberali.Avversi al principio delle lotta di classe e al socialismo scientifico preferiscono agire concretamente nel campo dell’organizzazione sociale, delle società di mutuo soccorso, delle cooperative e casse rurali. Sostenitori di un movimento sociale che parta dalla parrocchia vogliono proteggere moralmente e materialmente il mondo contadino che la legge del liberismo ha abbandonato a se stesso. Ma queste formule appaiono ben presto inefficaci e senza presa presso gli operai delle fabbriche dove la diffusione del socialismo sta dando una diversa e più dinamica coscienza dei propri diritti.

Contro il paternalismo

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All’interno del movimento cattolico negli ultimi anni dell’Ottocento si sviluppa e afferma un movimento che assume il nome di Democrazia Cristiana.È un movimento guidato da giovani cattolici che non hanno vissuto il travaglio della questione romana, che sentono l’esigenza di operare nelle società civile portandovi il proprio contributo di idee, che mirano ad un rinnovamento sociale ed organico delle strutture dello stato liberale.Il programma del 15 maggio 1899 prevede:la libertà sindacale, l’introduzione del proporzionale nelle elezioni, il referendum e il diritto di iniziativa popolare, un largo decentramento amministrativo, una efficace legislazione sociale, la riforma tributaria basata sulla giustizia, la lotta contro le speculazioni capitalistiche, la tutela del diritto di stampa, di associazione, di riunione, l’allargamento del suffragio elettorale, il disarmo generale.Alla testa del movimento vi è un giovane prete marchigiano, Romolo Murri, che per lungo tempo ne rappresenta l’anima.

Democrazia Cristiana

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Il movimento dilaga in tutta Italia: circoli democratici cristiani sorgono ovunque, molto più al Nord che al Sud. In Sicilia è attivo ad opera di Luigi Sturzo.Tuttavia incontra l’opposizione dei vecchi esponenti dell’Opera dei Congressi, legati ancora a una mentalità conservatrice e al ricordo della vecchia battaglia dell’intransigentismo post-unitario.La crisi si acuisce con l’avvento al soglio pontificio di Pio X. Mentre il suo predecessore Leone XIII aveva invitato i cattolici ad uscire “fuori di sacrestia”, a portare in seno alla società civile il contributo delle loro opere e delle loro idee e aveva loro aperto la strada all’impegno sociale, Pio X, invece, vuole un laicato obbediente e sottomesso all’autorità diocesana.

Diffusione della Democrazia Cristiana

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L’Opera dei Congressi in Sicilia

Nell’aprile del 1891, sotto l’impulso di papa Leone XIII, si tiene la prima conferenza episcopale della Sicilia dove si raccomanda di istituire associazioni cattoliche.

Il presidente dell’Opera, il veneziano G.B. Paganuzzi, conscio della diffidenza dell’episcopato siciliano verso le iniziative laicali incarica mons. Gottardo Scotton di promuovere la diffusione dell’Opera e dei comitati parrocchiali visitando uno per uno vescovi e diocesi dell’isola.

Il resoconto di Scotton è scoraggiante.

Soltanto a Noto e ad Agrigento trova un ambiente favorevole e fertile all’iniziativa. Non a caso qui operano i due vescovi più dinamici e leoniani dell’isola: i fratelli Blandini.

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L’alternativa al socialismo

Il moto dei Fasci siciliani (1891-94) scuote la coscienza di molti membri dell’intorpidita Chiesa siciliana, spinge i componenti più sensibili all’impegno sociale e accelera il processo di trasformazione della mentalità del clero e della funzione della parrocchia in Sicilia.Una evoluzione che a livello di coscienza inizia con la Rerum Novarum di Leone XIII ma che si concretizza con l’intervento della Chiesa nella società dopo l’esplosione dei Fasci.Le pie unioni e le confraternite, risultate inefficaci, sono sostituite dalle associazioni cattoliche laicali, dalle società operaie e dalle casse rurali.

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L’attività assistenziale

Negli anni tra il 1894 e il 1896, dopo l’esperienza dei Fasci siciliani e dopo la parentesi romana, Sturzo mette in moto la macchina dell’assistenza sociale promossa dall’enciclica di Leone XIII. La trasformazione è da condurre all’interno della stessa Opera dei Congressi rispettando tutte le gerarchie ecclesiastiche e non con la costituzione di movimenti esterni come aveva proposto Murri.ll primo passo viene fatto proprio a Caltagirone.Sturzo qui istituisce una rete di comitati di giovani e operai all’interno delle parrocchie.Nel 1896 in un discorso per l’anniversario della fondazione della Sezione Operai di S. Giuseppe, dimostrando di avere già chiari gli obiettivi e gli strumenti da adottare, così si pronuncia : “[…] solo l’onestà dei cattolici, che chiamano il popolo in associazioni di mutuo soccorso, in cooperative di consumo, in monti frumentari, può risolvere la crisi sociale”.

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Le unioni professionali

Sturzo fa tesoro dell’esperienza delle unioni professionali del settentrione, ma lo sforzo di adattamento alla fisionomia dell’economia isolana è notevole. Le unioni dell’Italia settentrionale operano in una società dove la realtà predominante è rappresentata dalle grandi industrie e dal bracciantato della campagne della Val Padana. Tutto il contrario del meridione caratterizzato dalla quasi totale assenza di grandi fabbriche e dove le industrie principali, spesso realtà isolate, sono: pastifici, mulini a vapore, fabbriche di turaccioli, ecc. Ritratto che contrasta nettamente con il panorama del Nord e con il suo capitalismo industriale in pieno sviluppo.

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Al Sud la figura predominante del datore di lavoro è costituita dall’artigiano: il capo-bottega o capo-mastro che “dispone di qualche piccolo capitale e assolda a giornata o a cottimo tre, quattro o più lavoranti (in certi mestieri si fa aiutare dalla moglie o dai figli)”. L’artigiano lavora “o a ordinazione o ad appalto o per fornire un piccolo magazzino di manifatturati, che vende a richiesta o per le borgate vicine, nei giorni di festa o mercato, nelle fiere”. Per lo più si tratta di lavoro a mano: poche le macchine in uso e queste molto primitive. Quasi ovunque le condizioni sono precarie a causa della forte concorrenza delle grandi fabbriche estere o nazionali, della scarsa disponibilità di capitali, della spietata concorrenza che si fanno fra loro gli artigiani, pur di non perdere la clientela, e dell’indebitamento. I giovani costretti a cambiare spesso occupazione non apprendono alcuna conoscenza di carattere professionale.

L’artigianato in Sicilia

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L’unica soluzione è la creazione di cooperative di credito e di lavoro.Ma l’artigiano ha una mentalità restia a riunirsi in corporazioni ed in più è diffidente verso un clero fino ad allora indifferente ai suoi stenti.Anche coloro che sono disposti a riunirsi in cooperative esitano perché temono di perdere la clientela a favore dei refrattari. Compreso che la chiave del problema non è da ricercare solo nella naturale diffidenza dell’artigiano locale ma che bisogna prendere atto della morsa mortale esercitata dall’industrialismo settentrionale, Sturzo propone intanto di creare magazzini sociali per l’acquisto delle materie prime.

Una difficile esperienza

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Il settore primario Il divario nord-sud è presente anche nella fisionomia del settore

primario.Nel meridione non esiste, infatti, un vero e proprio proletariato agricolo.Diffusissima è invece la figura del contadino, che svolge lavoro salariato, ma conserva la povera casa e mantiene l’orto.Inesistente è il fittavolo capitalista, al suo posto il gabellotto fa da intermediario tra la proprietà e il contadino.L’azione che Sturzo decide di mettere in moto si articola su più punti e prevede innanzitutto:- L’istituzione di un’Unione degli agricoltori per impedire la concorrenza spietata.- L’istituzione di cooperative di lavoro fra agricoltori per eliminare la figura dello speculatore. - Una riforma dei patti colonici. - La razionalizzazione delle colture.

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Alla Sezione Operai fondata nel 1896 si affianca l’anno successivo la Sezione Agricola con la Cassa di mutuo soccorso e la Cassa rurale. Sturzo vuole uno statuto rigido in modo da impedire eventuali operazioni finanziarie estranee alle finalità della cassa. Condizione essenziale per i soci è l’iscrizione al comitato parrocchiale. La ragione è da ricercare nella volontà di esercitare un rigido controllo dell’operato dei soci per evitare speculazioni. Nel 1898 Sturzo istituisce la Federazione delle casse rurali della diocesi di Caltagirone e progetta una banca centrale, sempre di carattere confessionale. In dieci anni lo sviluppo delle casse rurali cattoliche è prodigioso: nel 1905 la Sicilia è al quinto posto in Italia.

Dai comitati operai alla cooperazione bancaria

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Lezioni di economica socialeIl fondamento ideologico alla base dell’opera economica di Sturzo è sintetizzabile nelle lezioni tenute nel 1899 a Milano e un anno dopo a Caltagirone. Inquadra da un punto di vista storico ed economico-sociale realtà quali:- la piccola proprietà contadina autonoma, elemento fondamentale di ordine, produttività, tradizione attorno a cui ruota tutta la vita domestica; - la media proprietà, cellula primaria dello sviluppo che, basandosi su un rapporto diretto tra il proprietario e il bracciante, non risente dell’assenteismo che affligge il latifondo.Assume posizione contro il mercato capitalistico e concorrenziale e l’industrialismo operaio del Nord che disgrega la società.Il sistema salariale deve essere sostituito da un sistema retributivo misto. La partecipazione dell’operaio ai mezzi di produzione, trasforma così la figura del proletario in quella di operaio-proprietario. Un gran numero di “operai-proprietari” è l’elemento che dà meno “spostati” e meno “anarchici” alla società e ponendo progressivamente sullo stesso piano operaio e imprenditore risolve il conflitto di classe.

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Piccola proprietà, famiglia, autonomia economica, comune, stato: sono la base della sua politica municipale o della sua municipalizzazione sociale. Opera una rivoluzione della finanza locale: comune, profitti, spese.

Non è sensibile alla rivoluzione industriale, al contrario di Toniolo e pone la sua prospettiva nel mondo meridonale e rurale auspicando un collegamento tra piccola proprietà agricola e artigianato. Gli elementi concreti del meridionalismo sturziano che ha il suo punto di forza nel programma regionalista sono: Autonomie locali, casse rurali, cooperative, leghe contadine per la lotta contro i gabellotti e la riforma dei patti agrari.

La politica meridionalista

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Quando le giovani forze democratiche sembrano avere il sopravvento sugli intransigenti in seno all’Opera dei Congressi e trovano, al congresso di Bologna del 1903, un alleato nello stesso presidente Giovanni Grosoli, il papa ritiene opportuno sciogliere quello che per trenta anni è stato l’organismo guida di cattolici militanti.L’organizzazione cattolica viene ristrutturata in Unioni.Gli esponenti del movimento democratico cristiano prendono diverse vie.

Sturzo attende tempi migliori…

Scioglimento dell’Opera

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Il movimento cattolico si riorganizza

Nel 1905 con l’enciclica Fermo proposito Pio X procede alla riorganizzazione del movimento cattolico.Vengono costituiti tre diversi raggruppamenti organizzativi: - l’unione popolare tra i cattolici d’Italia, con compiti di indirizzo culturale;- l’unione economico-sociale, che proseguendo il precedente impegno svolto nell’opera dei congressi, funge da coordinamento delle attività sociali;- l’unione elettorale cattolica, per organizzare l’intervento dei cattolici nelle elezioni.Si dà così vita, con il coordinamento delle diverse direzioni diocesane, direttamente sotto la guida del vescovo locale, ad una più incisiva e controllabile, da parte della gerarchia e del Papa, azione cattolica, come appunto sempre più comunemente venne definita.

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Contemporaneamente alla crisi dell’Opera dei Congressi si modificano anche i rapporti fra Chiesa e Stato.

Pio X è preoccupato per gli eventi francesi: dopo le elezioni del 1902 la maggioranza al governo con l’appoggio dei socialisti dà vita ad un’offensiva anticattolica e teme che la stessa cosa possa verificarsi anche in Italia. Pertanto quando il Presidente del Consiglio francese Luobet viene in visita in Italia il pontefice lo condanna pesantemente, facendo il primo passo verso la rottura delle relazioni diplomatiche fra la Santa Sede e la Francia.

La teoria giolittiana delle due parallele

Giolitti considera la protesta del Papa una intromissione negli affari dello Stato e formula la nota teoria delle due parallele. Chiesa e Stato sono come due parallele che non si devono incontrare mai: “Libertà per tutti entro i limiti della legge: questo è il programma”. Ma dichiara anche che lo Stato non avrebbe mai interferito con le questioni religiose, lasciando al popolo la più completa libertà sul piano dei culti.

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I cattolici ricorrono per la prima volta all’arma dello sciopero nel triennio 1901-1903 in occasione della revisione dei patti agrari che riguarda rispettivamente Palazzo Adriano, il feudo Stato di Palagonia e Caltagirone. Ma solo per quest’ultima l’esito è positivo. Dopo due settimane di sciopero nel 1903 si giunge alla firma del nuovo contratto che prevede condizioni più vantaggiose per i contadini, i quali per la prima volta fanno fronte comune mettendo da parte l’atavica diffidenza nei confronti di forme organizzate di lotta.

L’unione “fa la forza”.

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Lotte municipali

Le lotte contadine sono legate con quelle per l’autonomia e la gestione democratica dei comuni.A Caltagirone due sono i partiti più in vista: uno di orientamento moderato detto liberal-costituzionale che porta avanti le istanze dei grandi proprietari terrieri; l’altro di orientamento radical-popolare.In realtà le differenze sostanziali tra i due schieramenti sono esigue ed entrambi adottano sistemi clientelari.

Nel 1899 i comitati parrocchiali e le opere cattoliche propongono Sturzo come loro candidato a sindaco.Sturzo però non si presenta con una lista propria poiché i comitati parrocchiali da soli non avrebbero la forza di sostenerlo. Così con una certa abilità inserisce suoi candidati nelle liste già esistenti in modo da garantirsi in ogni caso la rappresentanza nel Consiglio comunale.

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I risultati elettorali sono: 7 seggi al centro cattolico, 19 al partito moderato, 12 ai radical-popolari.Nel 1904 Sturzo è nominato prefettizio e nel 1905 ottiene la maggioranza dei seggi (32 su 40).Dal 1905 al 1920 tiene insieme la carica di pro-sindaco e di consigliere provinciale.Per la prima volta nella storia un comune dell’isola viene amministrato non come una bottega dove poche famiglie di notabili fanno e disfanno, arbitrariamente, diritti demaniali, regolamenti, cariche e si rende conto alla popolazione del bilancio pubblico.

Sturzo politico

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È la prassi politica adottata a partire dal 1904 con il benestare di Pio X. Lo scopo è quello di consentire ai cattolici di votare candidati liberali.

Pur rappresentando un passo decisivo per il superamento del non expedit, trova in Sturzo un critico severo poiché la considera la “prostituzione di un voto che nulla significa per sé, perché non ha programmi, non ha persone che sostengono questi programmi, non ha vita”.

Da qui l’idea del progetto del partito dei cattolici…

Il “caso per caso”

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Una progressiva maturazione…

Sturzo va maturando gradualmente l’intenzione di fondare un partito che funga da strumento di trasmissione di valori, morali e civili e al tempo stesso di organizzazione delle forze sociali, delle amministrazioni comunali e di risoluzione dei problemi della gente. L’ esperienza amministrativa in qualità di consigliere comunale e provinciale di pro-sindaco, di vicepresidente dell’Associazione dei Comuni Italiani, nonché l’impegno nell’azione cattolica lo convincono della necessità di superare la logica dei partiti “personali” e dunque senza programmi di ampio respiro capaci di incidere sulla vita delle persone e sull’organizzazione politica della comunità e dell’intera nazione.

Favorito dal non expedit, che imponeva ai cattolici il disimpegno politico, elabora la sua idea di partito al fine di educare un elettorato ancora amorfo e per rispondere ai bisogni del popolo

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L’idea di un partito programmatico, in verità, la sostiene per la prima volta nel giornale “La voce di Costantino” di cui è direttore, dopo i risultati positivi della campagna astensionista del movimento cattolico calatino, per le politiche del marzo 1897, che era stata promossa per sollecitare le istituzioni liberali ad adeguarsi alle esigenze dei cattolici. “Accettiamo la costituzione e come esercizio del nostro diritto ci asteniamo dal voto, per protestare, non contro le libere istituzioni, ma contro l’attuale lotta dello Stato alla Chiesa. Non ci sarà mai uno che accuserà i cattolici di volere… che cosa? Il governo assoluto? Oibò; quel tempo è passato e noi crediamo al progresso storico. Perciò, vogliamo che la base democratica della costituzione si allarghi, che la rappresentanza politica sia effettiva di classe e di interessi e non mai nominale, che vi sia il referendum popolare… Altro che retrogradi, signori patriottardi!”. 

L’antefatto

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In un articolo del 1900, poi, denuncia la separazione tra religione e vita politica operata da molti battezzati, denunciandola come causa di scristianizzazione e continua dicendo: “poiché la società terrena e la vita terrena sono ordinate a una società e a una vita migliore, la celeste, la religione vuole e deve volere che diritto, leggi, educazione, costumi, amministrazione siano fondati sulla moralità e sulla giustizia […] Questa è la politica che fa la religione”. Il partito cattolico diviene mezzo attraverso il quale la Chiesa può concretamente operare “oggi che la vita politica non scende più dall’alto ma dal basso”.

Il pericolo della scristianizzazione

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All’inizio del secolo Sturzo pensa alla costruzione di un organizzazione che doveva operare intorno alla Democrazia cristiana e all’Opera dei Congressi, legata alle unioni professionali dei lavoratori, con attenzione anche alla piccola borghesia, al clero, agli studenti e ai professionisti, ma già nel 1901 scrive della necessità di un partito cattolico con un programma sociale, anche sulla base delle esperienze europee. Nel 1902 sottolinea l’importanza dell’ispirazione religiosa del partito come elemento di distinzione, in chiave intransigente, rispetto alle altre forze politiche ed esorta ad evitare alleanze con queste nelle elezioni amministrative.

…L’attenzione al sociale

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Nella relazione al primo convegno dei cattolici siciliani, tenutosi a Caltanissetta nel novembre del 1902 comincia a comprendere il rischio che l’elemento religioso degeneri in conservatorismo cattolico ostacolando la nascita di un partito democratico nuovo. Le lotte elettorali possono essere vinte solo proponendo un programma di azione sociale che sia condiviso dagli elettori, piuttosto che le sole idee religiose se pur approvate dall’autorità ecclesiastica. Sturzo pensa che il programma e l’organizzazione nazionale del partito municipale cristiano debba nascere dalla sintesi dei “programmi” che ciascuna regione avrebbe dovuto elaborare, con riferimento alle esigenze locali.

…Verso l’autonomia della politica

Supera, così l’idea di un partito cattolico guidato dalla Chiesa affermando l’autonomia della sfera politica da quella ecclesiastica. Tuttavia Sturzo continua a pensare che il partito dei cattolici deve organizzarsi nell’ambito dell’Opera dei Congressi.

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Dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi, Sturzo si allontana gradualmente dall’intransigentismo sottolineando la necessità di un partito, democratico, popolare e ispirato ai principi morali del cristianesimo, che nasca dall’analisi storica della società italiana e non da una meccanica riaffermazione dei principi della fede o di opposizione agli altri schieramenti politici. I cattolici pertanto si presentano non come rappresentanti della gerarchia ecclesiastica, ma come promotori di un impegno nella vita civile per informarla ai valori cristiani. Questa impostazione esclude che la Chiesa eserciti un controllo diretto e indiretto sul partito anche se ammette che il magistero della Chiesa debba guidare le coscienze dei cristiani impegnati in politica. Il partito deve presentarsi, se pur religiosamente ispirato, con un programma specifico di carattere politico ed è necessaria una distinzione tra i valori religiosi e quelli affermati dal programma stesso in modo da garantire il pluralismo delle opzioni politiche per i cattolici.  

…Oltre l’intransigentismo

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Il discorso di Caltagirone

Il 29 dicembre del 1905 presenta la Magna Charta del partito dei cattolici: pienamente autonomo dall’autorità ecclesiastica e i cui appartenenti sono “rappresentanti di una tendenza popolare nazionale, nello sviluppo del vivere civile impegnato e animato da principi morali e sociali che derivano dalla civiltà cristiana”. Un partito, dunque, aconfessionale, nel quale, né la monarchia, né il conservatorismo, né il socialismo riformista avrebbero trovato spazio. La rivisitazione politica dei principi cristiani doveva avvenire attraverso le due parole d’ordine: Democrazia e Repubblica.

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In attesa di tempi migliori

Un progetto per il momento irrealizzabile, date le posizioni della Chiesa, ma che può trovare un buon numero di aderenti nel ceto medio urbano e rurale (soprattutto meridionale), rimasto fedele al non expedit e gravemente penalizzato dalla politica trasformista e protezionista di Giolitti.

Per sensibilizzare il pontefice Sturzo lo porta a conoscenza delle condizioni del meridione: sopraffazione laica sulla religione, dipendenza del clero meridionale dai patroni locali, prete dedito più ad amministrare il patrimonio familiare che a svolgere attività pastorale… Una battaglia mossa, dunque, per la purificazione del costume religioso e civile del clero locale, che avrebbe potuto adoperare come strumento proprio il partito laico di cattolici.

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Nel 1908, divenuto segretario dell’Unione elettorale siciliana, Sturzo costitusce associazioni comunali di elettori cattolici autonome nelle loro decisioni dall’autorità ecclesiastica: nelle sedi si discutono liste e comportamenti elettorali secondo le sue direttive. Una prassi che anticipa quella che avrebbe adottato per il PPI: i programmi prima delle tattiche, niente alleanze, niente metodi di lotta.

 

L’organizzazione politico-elettorale

Di fronte alla proposta della presidenza regionale dell’Unione che i cattolici (secondo la politica del “caso per caso”) votino gli amici dell’ordine Sturzo non prende posizione; preferisce lavorare collegio per collegio acquisendo una buona abilità politica ed elettorale.Il suo scopo é quello di abituare i cattolici alla politica in previsione della nascita del suo partito. Con questa esperienza (piena, comunque, di sconfitte anche per lui) egli dimostra che è possibile collegare le varie situazioni locali ad una direttiva centrale.

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Nel novembre 1909 si tiene a Modena la riunione dei cattolici militanti dopo lo scioglimento dell’Opera. Poiché è in atto un netto incremento delle adesioni ai sindacati di matrice socialista, emerge la necessità di convincere l’opinione pubblica che anche i cattolici possono agire nel contesto sindacale dando vita ad associazioni che però non mettano le classi sociali le une contro le altre. Nel contempo però si esclude che possa nascere un partito cattolico autonomo dalla Chiesa. Lo stesso Sturzo in una intervista rilasciata subito dopo il congresso riconosce che è ancora prematuro parlare di partito.

Il congresso di Modena

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Il decennio seguente è operoso per Sturzo, ma anche pieno di insidie: la paura del modernismo impazza nel Vaticano, si abusa della parola, che assume svariati significati. Modernisti vengono chiamati anche quei preti che, sentendo la vocazione religiosa anche come spinta nell’impegno nelle lotte sociali per restituire al proletariato la sua dignità civile e urbana, (e per sottrarlo alla propaganda scristianizzatrice dei socialisti), si danno da fare per fondare leghe contadine, sostenere le cause dei lavoratori, appoggiare l’attività delle Camere del Lavoro.

I due fratelli Luigi e Mario Sturzo sono anonimamente denunciati alla Santa Sede a causa dell’alone di rivoluzione che avevano creato nella zona di Caltagirone e Piazza Armerina. Vengono etichettati come giovani modernisti murristi, avversi ai soci anziani e all’antica pietà. Un’udienza che Sturzo ottiene con Pio X nel 1914 evita il pericolo di una condanna.

La bufera antimodernista

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  “A tutti gli uomini liberi e forti che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della Patria, senza pregiudizi, né preconcetti facciamo appello perché uniti insieme propugnino insieme nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà. […]”. Questo l’appello diffuso da Sturzo la sera del 18 Gennaio 1919 da Roma che segna la nascita del Partito Popolare Italiano: d’ispirazione cristiana, aconfessionale, democratico, sociale, interclassista. L’autorizzazione del Papa Benedetto XV nasce dalla necessità di contrapporre all’egemonia del Partito socialista sulle masse popolari, un partito cattolico moderato. Per Sturzo, invece, ostile all’oligarchia liberale, è uno strumento per attuare un programma di riforme progressiste.  

Il progetto si realizza

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Il programma del PPI

Sistema elettorale proporzionale (ottenuto nello stesso 1919 con l’appoggio dei socialisti).

Decentramento politico e autonomia amministrativa locale.

Sostegno alla piccola proprietà attraverso una radicale riforma agraria: distribuzione latifondi.

Tutela della famiglia e delle libere associazioni.

Sistema corporativo.

Legislazione sociale in funzione delle classi più deboli.

Riforma fiscale: imposta progressiva sul reddito.

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La collaborazione del PPI con i governi del primo dopoguerra non è facile. Con Nitti è caratterizzata dalla reciproca diffidenza.

La riforma agraria, che prevede lo spezzettamento dei latifondi da distribuire ai contadini, caldeggiata dai popolari, è disattesa perché Nitti, interessato allo sviluppo industriale, sottovaluta la pressione che proviene dalle campagne.

Relativamente al rapporto governo-sindacati, inoltre, preferisce trattare con i sindacati rossi piuttosto che accettare la collaborazione offerta dai sindacati bianchi.

Al congresso di Napoli Sturzo si dichiara contrario al blocco protezionistico tra industriali del Nord e proprietari terrieri del Sud che è storicamente alla base dell’accorto trasformismo della sinistra liberale. Da questo nasce la “questione meridionale” con uno sviluppo dicotomico irreversibile tra Nord e Sud.

Il governo Nitti

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L’ultimo Giolitti

Concluso il conflitto mondiale l’Italia deve affrontare insieme il disastro economico e la protesta sociale che può degenerare da un momento all’altro. È richiamato Giolitti che chiude la questione fiumana firmando il trattato di Rapallo e accettando così le condizioni della pace.

La politica interna, tuttavia, si dimostra sorpassata. Il programma agrario si limita a rendere obbligatoria la razionalizzazione delle culture e non tiene fede alle promesse di divisione del latifondo fatto a coloro che erano partiti per il fronte. Il primo scontro con Sturzo definito da Giolitti “prete intrigante” scoppia sulla vicenda dell’occupazione delle fabbriche nel settembre del 1920. Giolitti secondo prassi consolidata non interviene. L’aver sottovalutato la dimostrazione operaia ritenendola l’ennesimo sciopero per l’aumento dei salari e il non aver accettato di discutere la proposta di legge del PPI è il segnale della inadeguatezza della politica di Giolitti rispetto alla mutata situazione.

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Giolitti e Sturzo a confronto

Giolitti

- Accentramento del potere

- Politica clientelare (trasformismo)

- Sviluppo industriale

- Collaborazione preferenziale con i socialisti

- Mantenimento del latifondo

Sturzo

- Lotta per l’autonomia e l’autarchia regionale

- Coerenza programmatica dei rappresentanti parlamentari

-Sviluppo armonico e non dualistico nord-sud

- Riforma agraria

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Sulla politica economica (del primo

dopoguerra)Sturzo è contrario a tutti i provvedimenti economici caratterizzati, secondo lui, da profonda irrazionalità e sordità politica nei confronti di una popolazione che, vessata dalla guerra, non ha la forza necessaria per ripartire. Abbandonare la popolazione per Sturzo è il crimine peggiore che uno Stato possa commettere perché significa farne un’entità superiore al volere dei cittadini. È un abominio, anticamera di una rivolta popolare che teme possa seguire le orme della recente rivoluzione russa. Accanirsi nell’investire tutte le risorse economiche nella riconversione di un industria che mancherà sempre delle materie prime necessarie è fallimentare.

Il suo ideale è un’Italia agricola con un’industria legata all’utilizzazione delle risorse della terra e capace di reggersi sulle sue forze, senza protezione. Come tutti i liberisti meridionali sostiene che il peso fiscale non può andare oltre l’aumento della produttività economica.

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L’azionariato operaio

Il consiglio nazionale del PPI si riunisce nei giorni culminanti dell’occupazione delle fabbriche (15,16,17 Settembre 1920) per discutere una proposta di legge per rendere esecutivo il progetto dell’azionariato operaio, cioè la trasformazione industriale e agricola dalla forma capitalistica individuale o anonima alla forma cooperativa. Una soluzione che poteva consentire, secondo il PPI, di sconfiggere il rapporto antagonistico tra capitale e lavoro, di aumentare l’efficienza produttiva che non svantaggiava i datori di lavoro e avvantaggiava gli operai valorizzandone il lavoro e svincolandoli dalla forma deprimente del salariato. L’inizio di quell’economia del benessere che ha come teorizzatore anche il grande economista e sociologo Pareto.

Giolitti tuttavia tenendo fede al modello liberale decide di non prendere in considerazione il progetto di legge ritenendolo irrealizzabile e compromettente.

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La fine dello Stato liberale

All’inizio degli anni venti, l’autorità dello Stato è compromessa. Da una parte la minaccia socialista sembra aver ritrovato nuovo vigore e compattezza in seguito alla Rivoluzione di Ottobre e preme per il miglioramento delle condizioni vessatorie del proletariato che ha visto dissolversi il suo salario di sussistenza sotto il peso dell’inflazione e del prelievo fiscale che deve rendere conto dei debiti contratti.

Dall’altra il malcontento dei reduci, che hanno creduto nell’impresa fiumana e nella spartizione delle terre, è accolto da una nuovo soggetto politico il fascismo che con un manifesto programmatico molto eterogeneo inneggia alla giustizia sociale, ma non disdegna l’uso della forza per soffocare le manifestazioni popolari. Attira così non solo il favore dei poteri forti di cui protegge gli interessi ma infonde fiducia ad una sbandata classe media che in seguito al conflitto ha perso il proprio benessere economico e guarda con timore la regressione allo stato del proletariato o al trionfo socialista.

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Congresso di Torino (12-14 Aprile 1923)Al congresso di Torino (dal 12 al 14 aprile 1923) Sturzo delinea le ragioni della sua opposizione al fascismo e decide di non collaborare col governo Mussolini. Difende l’aconfessionalità del partito, critica i fascisti che ritengono non necessario un partito cattolico che anzi può intralciare i rapporti tra Chiesa e Stato, ribadisce l’indipendenza del partito popolare da quello fascista in contrasto con i clericofascisti che credono che la funzione del PPI possa essere assorbita dal fascismo.Afferma con forza che il ruolo di nessun partito può essere assorbito dagli altri e spiega e illustra le differenze con il partito socialista e fascista nel campo sociale: no alla concezione materialistica della vita, alla lotta di classe e alla dittatura economica e politica di una sola classe (PSI); strumentalizzazione dello Stato corporativo in funzione della mistica della “nazione proletaria” (PNF).

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“Altra differenza sostanziale tra noi e tutti i partiti politici operanti in Italia, e quindi col fascismo, è nella concezione dello Stato. Siamo sorti a combattere lo Stato laico e lo Stato panteista del liberalismo e della democrazia, combattiamo anche lo Stato quale primo etico e il concetto assoluto della nazione panteista o deificata, che è lo stesso. Per noi lo Stato è la società organizzata politicamente per raggiungere fini specifici; esso non sopprime, non annulla, non crea i diritti naturali dell’uomo, della famiglia, della classe, della religione; solo li riconosce, li tutela, li coordina, nei limiti della propria funzione politica. […] Per noi la nazione non è un ente spirituale assorbente la vita dei singoli; è il complesso storico di un popolo uno, che agisce nella solidarietà della sua attività, e che sviluppa le sue energie negli organismi, nei quali ogni nazione civile è ordinata”.

La concezione dello Stato

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L’ostracismo

Il progressivo allontanamento di Sturzo dalla politica nazionale prende le mosse dalle stesse fila cattoliche.Viene pubblicato nel 1923 un articolo su “Il giornale d’Italia” che accusa Sturzo di creare una situazione rivoluzionaria, accompagnato da un invito al Vaticano ad intervenire. A questo segue il 25 giugno un articolo di mons. Pucci sul “Corriere d’Italia” dove si ammonisce Sturzo a non creare intralcio alla Santa Sede. Il 30 giugno a Roma viene affisso un manifesto dei cattolici nazionali che proclamano il loro consenso al fascismo, esprimendo il loro distacco da Sturzo.

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Le dimissioni e l’esilio

Avvengono nel luglio del 1923. Ciononostante l’ex segretario del partito popolare continua, attraverso l’attività della casa editrice libraria italiana e di un circolo di cultura, a intervenire nella politica del partito. Questo non sfugge ai fascisti: Mussolini, infatti, soprattutto dopo il delitto Matteotti (1924), rinforza la stretta attorno a Sturzo minacciando nuovamente il Vaticano se non invita l’odiato prete ad allontanarsi dal paese. Paga dunque il suo atteggiamento antifascista in difesa della libertà dei cittadini.Tradito dai suoi stessi compagni, non ha altra scelta che abbandonare l’Italia e cercare di dirigere la propria attività politica dalle grandi città straniere che frequenta in questo periodo (Parigi, Londra e New York) e delle quali subisce l’influenza. 

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Oltreoceano

Nell’autunno del 1940 Sturzo lascia Londra e parte per gli Stati Uniti, obbligato da una salute cagionevole che non gli permette di sopportare i continui spostamenti per trovare riparo dai bombardamenti tedeschi che con frequenza giornaliera devastano la capitale. È da sottolineare inoltre che dal 10 giugno 1940 (l’ingresso dell’Italia in guerra) gli Inglesi avevano messo in atto una vera e propria persecuzione nei confronti degli Italiani all’estero.Solo grazie alla fama di convinto antifascista Sturzo si toglie da ogni impiccio.Il 22 settembre si imbarca da Liverpool per il nuovo continente lasciando dietro di sé una florida attività propagandistica e insieme intellettuale.

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Vi arriva il 3 ottobre ma viene immediatamente ricoverato in ospedale, la sua dimora per i successivi tre anni.Se in un primo periodo l’ingresso in guerra dell’Italia gli sembra segnare il totale fallimento del suo impegno oltremanica a sostegno di una Italia non fascista e, più in generale, di una società nuova dove trionfino il diritto e la libertà dei popoli, nel giro di poco tempo riprende la sua attività con fiducia e speranza.Il suo temperamento al di là del fisico si dimostra dalle infinite risorse.Come a Londra, fonda un’associazione di cattolici democratici la “American People and Freedom Group” la quale non ha alcun legame con la Chiesa né velleità di partito.L’aconfessionalità è una scelta necessaria specie dopo la firma dei Patti Lateranensi.

In Florida

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Sturzo è invitato dall’amico Sforza a partecipare al Comitato nazionale antifascista all’estero, tuttavia rifiuta. La scelta è motivata sia dalla coscienza di non poter rappresentare alcuna bandiera popolare né democratica cristiana sia dal fatto che la sua posizione di fervente cattolico, fedele nonostante tutto alla Santa Sede, non può in alcun modo conciliarsi con l’ideologia di movimenti che ricorrono spesso e volentieri all’arma dell’anticlericalismo: lui sostiene che la Chiesa cattolica aveva mantenuto le distanze dal fascismo e che le sue dottrine erano conciliabili con la democrazia, gli anticlericali e tra questi Salvemini tutto il contrario. Da qui le forti accuse di quest’ultimo che pur condivideva con Sturzo le idee politiche di fondo (interventismo, liberismo e antigiolittismo).

Un dialogo tra sordi

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Negli anni dell’esilio Sturzo intrattiene ottimi rapporti con le maggiori testate e questo gli permette di far sentire la sua voce. Nel Maggio 1941 prevede l'attacco di Hitler all’Unione Sovietica. Ne analizza cause, strategie e conseguenze e dissente da chi lo considera l’occasione di uno scontro letale tra le due diverse facce del totalitarismo. “[…] Io non vedo la possibilità che Germania e Russia si distruggano l’un l’altra; né trovo che questa sia la via perché il nazismo e il comunismo vadano a finire, e sento tutta la ripugnanza spirituale per questo olocausto di milioni di giovani di qua e di là a questo fine […]”. Non è la forza lo strumento per demolire i regimi totalitari ma il trionfo del diritto legittimato dalla morale. Tutti sono responsabili della guerra e tutti ne pagheranno le conseguenze: i capitalisti “guerrafondai”, le classi medie ed operaie perché non si sono ribellati ai “guerrafondai”.

L’attività giornalistica“Sarà necessario un sistema economico, nel quale senza sopprimere la libera iniziativa privata, sia impedito il prepotere della finanza internazionale e il capitalismo di sfruttamento. La produzione deve essere per il comune interesse e non per i benefici dei monopoli privati[…]”. Questo a patto di conciliare libertà e democrazia.

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Sturzo vuole sfatare la tendenza diffusa nella mentalità anglosassone ad identificare il popolo italiano con il fascismo. Gli italiani non ne possono più di un regime che nonostante l’evidente inferiorità si ostina a combattere una guerra al di sopra della sua portata. Agli alleati chiede un gesto di liberalità conforme ai principi della Carta Atlantica e di evitare gli errori di Versailles contro i vinti causa dello spirito nazionalistico di rivincita.Dinanzi ai possibili scenari nel 1941 esclude come risolutivo un sbarco in Sicilia convinto che il popolo per “dignità” e “fierezza” sarebbe rimasto a combattere a fianco dei tedeschi. Lo sbarco alleato in Sicilia, la caduta di Mussolini, l'intesa con la monarchia e il Vaticano, poi, lo vedono impegnato in una battaglia instancabile per evitare “umiliazioni e mutilazioni” ad un popolo che il fascismo non lo aveva scelto ma subito per imposizione “dei borghesi reazionari”.Sturzo non è ascoltato e la sua ira si scaglia contro gli Alleati ma anche contro quei politici italiani quali Sforza e De Gasperi incapaci di fare valere le proprie ragioni.

La pace giusta

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Finita la guerra, Sturzo rimanda il suo ritorno in Italia.Questa scelta è maturata alla luce di diverse constatazioni:- le sue precarie condizioni di salute non gli permettono di affrontare il viaggio;- crede che la sua presenza possa essere di reale aiuto solo

ristabilita la sovranità sul suolo italiano per cui attende la fine dell’occupazione alleata; - è consapevole che del soggetto politico da lui creato nel 1919 è rimasto ben poco e anche questo ha cambiato la sua fisionomia sotto la giuda di De Gasperi.La sua voce si fa sentire alla vigilia del referendum istituzionale.Egli vede l’Italia nella morsa di due spettri: l’uno è quello del colpo di stato alla Franco, appoggiato dalla monarchia, l’altro il pericolo di uno stato totalitario social-comunista. Da sempre portavoce dell’ideale di repubblica polemizza col partito che abbandonata la sua tradizione centrista ora patteggia per i Savoia.

Contrattempi

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Il tanto atteso ritorno giunge nel giugno del ’46.Si stabilisce a Roma centro del dibattito politico nazionale.Molte cose sono cambiate. La Democrazia cristiana, partito dei cattolici, fondato nel 1942 a partire dalla storia e dall'esperienza del PPI, sembra aver smarrito la natura popolare che lui gli aveva impresso e al vecchio statalismo fascista si è sostituito una nuova forma di statalismo non sempre conciliabile con i diritti delle persone e con il bene comune. Ma ha fiducia che lo spirito popolare almeno sia rimasto nella mente e nel cuore degli italiani. Incrollabile nella fedeltà ai principi sui quali aveva fondato il PPI, ben presto è messo in disparte in nome di una certa modernità nella quale il suo progetto di una borghesia media antistatalista e antiprotezionistica appare superato. Progetto che si è rivelato tanto profetico da avere ispirato i principi dell'unione europea ed è ancora oggi attuale.

Il tramonto dell’era sturziana

I

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IIUltimo e premonitore segnale della sua attività, sempre ad alto livello, è il tentativo di ridurre le distanze ideologiche tra alcuni partiti al fine di creare un accordo politico che si opponga al malgoverno e alla corruzione incipiente. Iniziativa che, però, non ha successo. Ancora una volta aveva visto bene, chiaro e forte tanto da individuare le “tre male bestie” nemiche della democrazia che ancora si “aggirano come spettri” nel sistema politico italiano: - lo statalismo, in quanto nega la libertà;- la partitocrazia, in quanto si oppone all’uguglianza;- l'abuso di denaro pubblico, in quanto impedisce la giustizia.Nominato senatore a vita nel 1952 rimane per qualche altro anno al centro del dibattito politico. Costantemente accompagnato dall’affetto di coloro i quali vedono in lui oltre il politico, l’uomo che per tutta la vita è rimasto saldamente ancorato ai principi professati senza mostrare il minimo segno di incoerenza, si spegne a Roma l’8 agosto 1959.

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Sociologo ed economista è una figura di rilievo all’interno dell’Opera. Nel 1889 fonda a Padova l’Unione Cattolica per gli Studi Sociali in Italia. Nel 1894 elabora il Programma dei Cattolici di fronte al Socialismo presentando proposte dai toni decisamente rivoluzionari:“[…] ricomporre possibilmente i patrimoni collettivi degli enti morali, delle corporazioni religiose, della Chiesa che furono ritenuti sempre quasi un tesoro riservato al popolo, cui possano aggiungersi i beni e le proprietà collettive dei comuni, delle province dello stato che debbano conservarsi e fruttare a beneficio pubblico o cedersi per la coltivazione ai proletari”.“[…] restringere la classe precaria e misera del semplice salariato; é perciò, ammesso primamente il salario giusto, cioè corrispondente al prodotto del lavoro, concedere all’operaio una parte di codesta remunerazione, piuttosto che in forma fissa, sotto forma di partecipazione agli utili”.“[…] riprodurre nelle forme ammodernate la repressione legale delle usure – sottoporre le borse ad una legge severa sopra le operazioni”.

Giuseppe Toniolo

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Nel 1864 Pio IX pubblica l’enciclica Quanta cura che contiene un‘articolata denuncia degli errori più comuni del tempo; errori poi evidenziati in un secondo documento il Sillabo (parola di origine greca che significa elenco, raccolta, catalogo) formato da 80 proposizioni ritenute errate.Il Sillabo risulta per molti aspetti un documento, anche per la formula scelta, disorganico, in cui la condanna si abbatte indistintamente su numerosi e tra loro molto diversi argomenti.Vengono così condannati: il panteismo, il naturalismo, il razionalismo, la morale laica, il liberalismo, il socialismo e il comunismo, la separazione tra Stato e Chiesa, il non ritenere più la religione cattolica come religione di stato, il sostenere che l’abolizione del potere temporale potesse giovare “alla libertà e alla prosperità della chiesa”, la libertà di culto, la piena libertà di pensiero e di stampa. Come sintesi conclusiva di tutte le proposizioni ritenute errate, con l’ultima proposizione si condanna la convinzione secondo cui il papa può e deve riconciliarsi col progresso, col liberalismo e con la modernità.

Il Sillabo

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Giovanni BlandiniRiceve la consacrazione episcopale da mons. Dusmet a

Catania ed inviato a Noto vi resta per 38 anni. È tra i principali iniziatori e animatori del Movimento Cattolico Sociale e dell’Opera dei Congressi nell’isola.La sua azione si svolge su due fronti: 1) Migliorare la “struttura chiesa” con la sua modernizzazione. A tal fine rifonda il seminario di Noto e si adopera perché aumenti il numero delle vocazioni. Ha speciali attenzioni per la formazione di un clero religiosamente e culturalmente preparato e pronto alle battaglie sociali. 2) Ricollegare la Chiesa alla società. Cosciente della condizione di estrema povertà in cui versa la società siciliana di fine Ottocento e della situazione esplosiva che sfocerà nei Fasci siciliani, chiede alla Chiesa di aprirsi ai nuovi tempi e ad un maggiore coinvolgimento nella questione sociale.

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Offre uno spaccato del clero e della società siciliana.Con l’unificazione, ai mali che da sempre affliggono il clero meridionale(ordinazioni numerose ma poco sincere, ignoranza diffusa tra i preti, ingerenza dell’autorità politica nell’esercizio del potere ecclesiastico, organizzazione della proprietà ecclesiastica che trasforma il prete in un proprietario terriero), si aggiunge un profondo mutamento degli atteggiamenti del tessuto sociale in materia di religiosità.La povera gente del contado conserva inalterati i buoni costumi e la pietà. Nelle città è crescente il clima di diffidenza verso il clero che in seguito all’introduzione dell’istruzione pubblica perde il controllo sui giovani. In molti comuni ai parroci, al contrario di quanto avveniva prima dell’unità, non vengono comunicate né le nascite, né i decessi e ciò avviene perché il popolo teme che le notizie date al parroco possano servire al governo per le tasse e per la leva ormai obbligatoria per legge.

L’indagine di Scotton

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Fasci 2

Movimento politico di artigiani, operai, intellettuali e soprattutto contadini, sviluppatosi in Sicilia tra il 1891 e il 1894. Sorge sulla base delle antiche corporazioni di mestiere, vivificate dal successo delle idee socialiste e anarchiche, e si estende rivendicando il diritto dei contadini alla terra, la revisione dei patti agrari e migliori condizioni di lavoro nelle miniere. Il movimento si collega al nascente Partito socialista siciliano, dotandosi di strutture politiche che allarmano la classe dirigente e le autorità dello stato.Viene represso da Francesco Crispi, presidente del Consiglio, che nel 1893 ordina l'intervento dell'esercito e proclama lo stato d'assedio, soffocando nel sangue i tumulti agrari scoppiati nell'isola.

Fasci siciliani

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La Rerum novarum (1891)

L’enciclica di Leone XIII è uno strumento formidabile per i cattolici impegnati a superare i limiti del vecchio linguaggio canonico, per coloro che non vogliono uno stato assenteista e per quanti chiedono che i cattolici si impegnino di più nell’organizzazione dei mezzi di difesa degli operai dalla legge inesorabile del profitto.

[…] dei capitalisti questi sono i doveri: non tenere gli operai come schiavi; rispettare in essi la dignità umana […], quello che veramente è indegno è abusare d’un uomo, come di cosa a scopo di guadagno […], non imporgli lavori sproporzionati alle forze, o mal confacenti all’età e al sesso.

- Denuncia gli effetti del capitalismo. - Rifiuta le teorie socialiste e collettivistiche che propugnano l’abolizione della proprietà privata. - Invita lo Stato ad intervenire per promuovere la pubblica utilità e rimuovere le cause del conflitto tra operai e padroni.- Richiama l’operaio ad ottemperare ai suoi doveri derivanti dal patto di lavoro stabilito di comune accordo con il padrone.- Ammonisce il padrone a ricordare che la legge della domanda e dell’offerta soggiace anch’essa ai limiti imposti dalla norma morale. - Condanna la lotta di classe ed esorta alla collaborazione. - Riconosce la legittimità delle organizzazioni sindacali di soli operai.

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Figlio di un fabbroferraio di Caltagirone, finiti gli studi di diritto a Napoli diviene parroco nella città natale per diversi anni, poi vescovo di Piazza Armerina e infine di Caltagirone (1887). Nel 1895 convoca il primo sinodo diocesano.

GerbinoSi distingue per varie visite pastorali, per la riorganizzazione del seminario e della congregazione sacerdotale diocesana “S. S. Apostoli Pietro e Paolo”, per l’impulso dato all’azione cattolica e alla diffusione della “buona stampa”, per la sensibilità verso iniziative a carattere sociale dovuta anche alle sue modeste origini. Quando alla fine degli anni ’80, anche a causa della politica

economica protezionista del governo centrale del 1887 che fa crollare i prezzi dei prodotti agricoli isolani, nasce il malcontento popolare che sfocia nei moti dei fasci siciliani, il vescovo spinge alla carità cristiana e al ricorso al credito attraverso il Consiglio di Amministrazione della Pia Opera di Gravina. Tale iniziativa, pur movendosi in una prospettiva che Luigi Sturzo un decennio dopo definirà “conservatrice” è ben lontana dal conservatorismo ecclesiastico tradizionale. Prende inoltre numerosi provvedimenti contro l’usura, male a quel tempo molto frequente.

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L’onere del gabellotto consiste in una rendita annua fissa prevista dal contratto col proprietario. Il suo margine di speculazione è dunque elevatissimo.In questa situazione il potere contrattuale del contadino è pressoché nullo dato l’elevato tasso di disoccupazione che genera una sfrenata corsa al ribasso pur di avere garantito un reddito.Su questa figura infuria la polemica di Sturzo che la giudica quanto mai deleteria:“[...] gran male è l’assenteismo dei padroni, che crea necessariamente il tipo del gabellotto sfruttatore”, “il gabellotto [...] ha il margine di una larga speculazione, perché anche fra i contadini, vi è una sfrenata concorrenza, scegliendo sempre tra la disoccupazione e il lavoro, quest’ultimo anche a condizioni angariche”.

Gabellotto

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Murri: il prete ribellePunto di riferimento della corrente democratico-cristiana durante il pontificato di Leone XIII, fonda le riviste Vita Nova e Cultura sociale.

Nello stesso anno viene la sospeso a divinis e scomunicato nel 1909, in seguito alla sua elezione in Parlamento sostenuto dai radicali e dai socialisti da cui il soprannome datogli da Giolitti di “cappellano dell’estrema”. Si riconcilia con la Chiesa poco prima della morte avvenuta nel 1944.

Decide, quindi, di continuare per la sua strada e fonda la Lega Democratica Nazionale, movimento politico autonomo dalla gerarchia ecclesiastica. Sostiene la necessità di superare il paternalismo del tradizionale cattolicesimo sociale convinto della conciliabilità dei principi della democrazia con il cattolicesimo. Solidarizza pubblicamente con il modernismo condannato con l’enciclica Pascendi del 1907.

Entra in contrasto con i cattolici intransigenti e poi con il Papa Pio X che diventa insanabile in seguito allo scioglimento dell’Opera (1903).

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Il ModernismoÈ un movimento che sorge all’interno del cattolicesimo europeo tra Ottocento e Novecento. Si propone una riforma della Chiesa e della sua dottrina per aprirsi alla cultura del mondo moderno. Questa esigenza nasce dal disagio di fronte all’affermarsi di una cultura anticristiana e dall’inadeguatezza con cui la cultura cattolica e le associazioni ufficiali del movimento cattolico fronteggiano il processo di secolarizzazione in atto. L’avvicinamento degli esponenti ai metodi delle scienze sociali e naturali ai recenti sviluppi della critica biblica, l’affermazione di dottrine lontane dal pensiero di San Tommaso, il riferimento più o meno esplicito all’esperienza democratica durante la rivoluzione francese, così come i toni accesi e radicali, uniti ad una certa insofferenza nei confronti della gerarchia, spinge il Papa a ritenere il modernsimo “sintesi di tutte le eresie”. Da qui la condanna e la prescrizione a tutti i sacerdoti del giuramento antimodernista.

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Gabriele De Rosa, Sturzo: La vita sociale della nuova Italia”, UTET, Torino 1977.

Alfio Spampinato, L’economia senza etica è diseconomia: l’etica dell’economia nel pensiero di Don Luigi Sturzo, CISS, Roma 2005.

Michele Pennisi, Fede e impegno politico in Luigi Sturzo, Città nuova editrice, Roma 1982.

Enciclopedia storica, a cura di M. Salvadori, Zanichelli, Bologna 2000.

Alfio Carrà, Fondamenti sociali ed azione politica in Luigi Sturzo, Bonanno, Catania 1972.

Manuali di storia

Bibliografia