L’Osservatore Romano · tutti in testa nei sondaggi: Moon Jae-in del Partito Democratico della...

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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 4 maggio 2017 anno LXX, numero 18 (3.891) Viaggio di pace In allegato il mensile «donne chiesa mondo» Viaggio di pace

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 4 maggio 2017anno LXX, numero 18 (3.891)

Viaggio di paceIn allegato il mensile «donne chiesa mondo»

Viaggio di pace

L’Osservatore Romanogiovedì 4 maggio 2017il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

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UDi frontealla storia

na visita essenziale è stata quella del Ponteficeal Cairo, riassunta con speranza nel motto«Papa di pace nell’Egitto di pace». Solo po-che ore, ma che lasciano un’indicazione forte eunivoca in tre ambiti. In quello politico, percontrastare le guerre e il terrorismo che datroppo tempo devastano quest’area del mon-do. Nella ricerca ostinata del dialogo conl’islam, contro la strumentalizzazione della re-ligione ripetendo il no alla violenza. E infinenel cammino ecumenico, che avanza anchenella realtà tragica e dolorosa della persecuzio-ne e del martirio di tanti cristiani uccisi senzadistinzioni confessionali dal fanatismo dei fon-damentalisti.

Sullo sfondo sta il rinnovamento semprenecessario alla Chiesa e che negli ultimi de-cenni si è ispirato al Vaticano II. E non a casodue importanti testi conciliari sono stati citatiad Al-Azhar nel discorso di Francesco,interrotto per dieci volte dagli applausi. E

questi si sono moltiplicati scroscianti anchedurante l’incontro pubblico con il presidenteegiziano, mentre si avvicina il settantesimo an-niversario delle relazioni diplomatiche tra San-ta Sede ed Egitto, uno dei primi paesi arabi astabilirle.

Tra difficoltà e durezze quotidiane, la nazio-ne egiziana ha un ruolo insostituibile di frontealla crescita della violenza, causata «dal desi-derio ottuso di potere, dal commercio di armi,

dai gravi problemi sociali e dall’estremismo re-ligioso che utilizza il santo nome di Dio percompiere inauditi massacri e ingiustizie» hadenunciato il Pontefice, che aveva appena ri-cordato la presenza nel paese di milioni di ri-fugiati, soprattutto da Sudan, Eritrea, Siria eIraq. Rifugiati e profughi che sono alla ricercadisperata di salvezza e vengono invece sfrutta-ti, ignobilmente vilipesi e mandati a morire datrafficanti senza scrupoli.

Con severità il Papa ha ricordato che «lastoria non perdona quanti proclamano la giu-stizia e praticano l’ingiustizia». Per questo«abbiamo il dovere di smascherare i venditoridi illusioni circa l’aldilà, che predicano l’o dioper rubare ai semplici la loro vita presente e illoro diritto di vivere con dignità, trasforman-doli in legna da ardere», e l’obbligo «di smon-tare le idee omicide e le ideologie estremiste,affermando l’incompatibilità tra la vera fede ela violenza». Denuncia che Francesco avevaanticipato ad Al-Azhar, chiedendo ai musul-mani di schierarsi con i cristiani e gli altri cre-denti in un fronte comune che porti «alla lucei tentativi di giustificare ogni forma di odio innome della religione». Perché «solo la pace èsanta», non l’odio che profana Dio.

È questa una violenza blasfema e disumanache anche di recente si è abbattuta sui cristianiegiziani, martiri la cui memoria il Pontefice havenerato commosso insieme al Papa di Ales-sandria, il «carissimo fratello» Teodoro II, pro-prio nel luogo dell’attentato che prima di Na-tale ha colpito il patriarcato copto ortodossofacendo strage tra fedeli che pregavano. «Pel-legrino, ero certo di ricevere la benedizione diun fratello che mi aspettava» ha detto France-sco poco prima di firmare con lui una dichia-razione comune, sulla strada dell’unità apertada Paolo VI, e di pregare insieme a Bartolo-meo di Costantinopoli e ad altri vescovi. Insie-me ai cattolici dell’Egitto, a cui Bergoglio hadedicato con affetto la conclusione di un viag-gio che vuole costruire il futuro.

g. m .v.

L’i n c o n t rocon il Papa Teodoro II

#editoriale

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Si va concludendo la campagna elettorale per leelezioni presidenziali sudcoreane. Il 9 maggioi cittadini saranno chiamati a scegliere il suc-cessore della presidente deposta Park Geun-hye. Un totale di quindici candidati — n u m e rorecord — sono attualmente in corsa con due sututti in testa nei sondaggi: Moon Jae-in delPartito Democratico della Corea, che attual-mente controlla la maggior parte dei seggidell’assemblea nazionale, e Ahn Cheol-soo delPartito Popolare, il terzo del paese.

Ahn, ex medico di 55 anni e creatore di an-tivirus per software, appare l’unico probabileavversario del cattolico Moon Jae-in, anche senei sondaggi non riesce a sfondare il muro deldieci per cento. Moon Jae-in, che invece i son-daggi premiano con il trenta per cento dellepreferenze, la percentuale più alta tra i princi-pali candidati, è un ex avvocato di 64 anni chein passato ha lavorato a fianco dell’ex presi-dente Roh Moo-hyun. Se fosse eletto, non sa-rebbe il primo presidente cattolico sudcoreanoin quanto già Kim Dae-jung aveva servito co-me capo dello Stato tra il 1998 e il 2003.

Moon nasce nell’isola meridionale di Geojenel 1952 durante la guerra di Corea, dopo chei genitori erano fuggiti verso il sud. Suo padreera impiegato in un campo di prigionia men-tre sua madre vendeva uova nella vicina cittàportuale di Busan. Proprio a Busan, Moon,nel corso della sua carriera di avvocato ha avu-to modo di occuparsi di questioni relative aidiritti umani e civili dei lavoratori, un passatoche, soprattutto oggi, alla luce dei gravi scan-dali per corruzione che hanno spinto l’altacorte coreana a deporre l’ex presidente Park,lo fanno apparire come un vero rappresentantedel popolo. Tuttavia, più che le biografie deicandidati, a influenzare l’esito di queste elezio-ni saranno forse le questioni di ordine econo-mico: il rallentamento della crescita, la cre-scente disuguaglianza salariale e la disoccupa-zione giovanile. Se pure il paese, dopo laguerra, ovvero a partire dagli anni Cinquanta,ha conosciuto una crescita formidabile — ilreddito nazionale lordo pro capite è cresciutoa partire da 67 dollari proprio dopo la guerrafino a 27.561 dollari nel 2016 — oggi di quelperiodo resta solo un ricordo sbiadito e la dif-ficoltà di trovare buoni posti di lavoro creanon pochi problemi ai giovani neolaureati. Iltasso di disoccupazione giovanile si è attestatoal 9,8 per cento nel 2016, più del doppio divent’anni fa. Nello stesso periodo l’età mediadel primo matrimonio per gli uomini è salita a32,8 anni da 28,4 anni. Il tasso di natalità èpari a 1,26 per donna, tra i più bassi delle na-zioni dell’O cse.

Nonostante la scarsa fiducia nell’immediatofuturo, la partecipazione al voto tra i giovanipotrebbe essere il vero ago della bilancia dellacontesa elettorale: nelle elezioni precedenti,quelle del 2012, il 69 per cento dei ventenni siè recato al seggio, e addirittura l’81 dei tren-tenni. Secondo un recente sondaggio, infatti, il53 per cento degli intervistati tra i 19 e i 29 an-ni sosterrebbe il candidato Moon Jae-in, men-tre solo il 17 per cento degli over 60 sarebbeintenzionato a votarlo. Solo l’11 per cento deicoreani tra i 19 e i 29 anni ha affermato di so-stenere candidati presidenziali di partiti con-servatori; rispetto al 20 per cento dei coreanicon un’età al di sopra dei 60 anni. Gli analisticoreani ritengono che sia proprio la paura diun futuro senza lavoro la grande motivazioneche trascinerà milioni di giovani coreani alleurne il prossimo maggio. Pertanto la creazionedi posti di lavoro è diventata una priorità as-soluta nelle promesse della campagna elettora-le. Moon in un recente dibattito televisivo hapromesso di creare 810.000 nuovi posti di la-voro nel solo settore pubblico (tra questi175.000 posti di lavoro come funzionari pub-blici), una manovra che peserà sui conti dellostato per 21 trilioni di won (circa 20 miliardidi dollari) spalmati nei prossimi cinque anni.

Le imminenti elezioni sudcoreane non si po-tevano svolgere in un momento più critico dalpunto di vista degli equilibri geopoliticidell’area, viste le crescenti tensioni con il vici-no nordcoreano che continua a effettuare lancidi missili balistici e mostra tutti i segni di vo-ler condurre a termine quello che sarebbe ilsuo sesto test nucleare. Dopo la portaerei sta-tunitense Carl Vinson, il 26 aprile a Busan èarrivato anche il sommergibile nucleare UssMichigan (ma armato di missili convenziona-li), lo stesso giorno in cui si celebravano gli 85anni della fondazione della Korean People’sArmy, l’esercito nordcoreano, e a distanza dipochi giorni dal 105° anniversario della nascitadel padre della patria Kim Il-sung, occasioneper la quale la Corea del Nord ha mobilitatopiù di 100.000 persone, tra militari e civili.

P re s i d e n z i a l iin Corea del Sud

La disoccupazionegiovanilepesa sul voto

Una donna passa davantiai manifesti elettorali

per le strade della capitale (Afp)

#internazionale

da SeoulCRISTIANMARTINI GRIMALDI

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di ANTONIOZANARDI LANDI

Ad Aquileia, che fu la “madre di Venezia” e ditutte le città romane dei Balcani, una mostradedicata al museo tunisino del Bardo, pochimesi dopo i sanguinosi attentati in Tunisia, hafatto moltiplicare per dieci il numero dei visi-tatori invernali. Ma soprattutto ha trasmessoidee semplici, eppure molto importanti in que-sti tempi difficili: l’antica città come luogo ditolleranza e fruttuosa convivenza tra culture ereligioni, e il fatto che diciotto secoli fa il Me-diterraneo costituiva un’unità integrata non so-lo dal punto di vista dei commerci, ma anchedi quello della circolazione delle idee e dei ca-noni artistici e narrativi.

Dopo questo precedente, grazie ai generosiprestiti di diversi musei (Custodia di TerraSanta, Musei Vaticani, Tucci e Barracco) dalprossimo luglio al Museo archeologico nazio-nale di Aquileia si terrà una mostra dedicata aPalmira, teatro delle distruzioni forse più stra-zianti del comune patrimonio mediterraneo. Eanche in questo caso, come per il Bardo, sivorrebbe che le ferite di Palmira venissero sen-tite come nostre, che se ne capisse la gravità eil loro significato di guerra all’idea di un mon-do aperto e tollerante.

Queste iniziative stanno rivitalizzando e ca-ricando di nuovo significato Aquileia, ancoroggi più nota agli archeologi per i resti dellagrande città romana, e agli specialisti di storiareligiosa per il ricordo del patriarcato e di unavitalissima Chiesa, che non al pubblico e a chipratica un turismo, anche colto e che ricercaaspetti significativi della storia d’Europa. Ilmotivo è facile da intendere: alla lontananzadalle grandi vie di comunicazione, benché lalocalità sia vicina a Venezia e a Trieste, si ag-giunge ancor oggi una marcata difficoltà dilettura dei resti romani e dei tesori conservatinei due musei locali.

La Fondazione Aquileia, che sta per com-piere il suo decimo anno di vita ed è parteci-pata, tra gli altri enti, dal ministero italianodei Beni culturali e dall’arcidiocesi di Gorizia,ha appunto il compito di valorizzare il patri-monio culturale del luogo e di rendere leggibi-li e “parlanti” i resti della città romana. Per farquesto, si stanno seguendo due strade paralle-le: la prima è quella degli interventi sulle areearcheologiche, dei restauri e della costruzione

di strutture architettoniche, molto pregevoli,che consentono di apprezzare gli splendidimosaici romani; la seconda comprende eventi,conferenze, l’Aquileia Film Festival e soprat-tutto, come si è accennato, mostre.

Tutta l’Europa e specialmente l’Italia sonoricche di monumenti, di opere e di città d’arteinsigni e di prodigi realizzati dalla tensionedell’uomo verso il bello. E sempre più museid’importanza mondiale, dal Louvre ai Vatica-ni, e centri dalla grande storia attirano impo-nenti flussi di visitatori. Come Aquileia, vi so-no però altri luoghi e siti archeologici menoconosciuti e dunque meno visitati, ma non perquesto meno rilevanti.

Ricollegarli agli eventi drammatici in corsodiventa quindi un’occasione per riflettere sullanecessità di un approccio culturale, e che nonguardi solo alla sicurezza, a quello che sta ac-cadendo, e per capire che siamo dello stessoceppo di siriani, egiziani, tunisini e di altri se-gnati da una storia in larga parte comune. Ecerto molti lettori, per studi, interessi personalio conoscenza diretta, potrebbero trovarespunti per rendere più efficace questo messag-gio che si vorrebbe lanciare, come piccolocontributo a un’impresa che stati e diplomaziesi trovano, volenti o nolenti, a dover oggi af-f ro n t a re .

Le feritedi Palmira

L’antico teatro romanofotografato il 27 marzo 2016quando l’esercito sirianoha riconquistato la città (Epa)

#ilpunto

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di FRANCESCOSCOPPOLA

NComunidenominatori

el greco antico la presenza del duale, oltre alsingolare, fa sì che solo dal numero tre in poisi passi al plurale. Ciò che è trino è dunqueanche associabile, nei limiti di questo contestoculturale storico e geografico, all’idea di mol-teplice e alla continuità, alla fertilità. Essere treconsente di contemplare da fuori sia l’uno chel’altro, la gran copia è interamente inconosci-bile ma tuttavia riconoscibile. La compresenzadell’unità e della molteplicità è forse il nucleocentrale attorno a cui ruota la storia delle reli-gioni, della filosofia, del pensiero.

Un interessante, anzi prima ancora sorpren-dente, articolo di GianPaolo Dotto intitolatoLa morte di Dio e gli atei uscito sull’O sservato-re Romano del 18-19 aprile (p. 4), ha affronta-to in modo nuovo e sincero, inatteso, sgombroda pregiudizi e luoghi comuni, il tema dellamorte del divino, della fine dell’assolutonell’esperienza esistenziale di atei e agnostici.L’argomento è stato trattato richiamando laconsapevolezza, la volontaria sfida della cono-scenza, del discernimento, della divisione tra ildesiderato e il temuto, dell’uscita insommadell’umanità dal giardino naturale. L’e s s e refatti a immagine e somiglianza della totalitàdell’esistente ed essersi trovati a nutrire nonsolo il corpo ma anche la mente, alimentandola conoscenza, pone due problemi connessi: lasfida del riconoscimento del tutto in ogni par-te, trasfigurato in ciascuno, da un lato, e,dall’altro, il fatto che anche la totalità perisce,è impermanente, sperimenta la morte, la fine,il dissolvimento. Ritorna certo, ma ogni voltaappare, a tutta prima, irriconoscibile. E nonsolo come persona umana, ma anche comescintilla di vita. La creazione avviene medianteil tempo, tra l’essere che cresce e si espande eil nulla che si ritrae e pure corrispondentemen-te si dilata, mentre pare inghiottire ogni cosa.Tutte queste riflessioni sono state su questepagine già mirabilmente affrontate e propostee non è il caso dunque di proseguire nel tenta-tivo di ripeterle in epitome.

Attraverso ogni percorso di ricerca, non sipuò negare che la verità sia nell’interesse alla

Molte erano state le cause di abbandono delsito: nell’89 prima dell’era cristiana, dopo laguerra sociale, il Sannio entra a far parte dellostato romano e il principale complesso di san-tuari della nazione sannitica, che è questo, vie-ne dismesso. Nel terzo secolo dell’era cristiana,l’area del grande tempio in rovina è occupatada sepolture, dunque certamente da temponon è più officiata. Tuttavia già il primo divie-to politico proveniente da Roma, che per seco-

conoscenza dell’esperienza di ciascuno. Le tra-dizioni più antiche in modo immediato avver-tono di questa molteplicità di forme e conse-guente infinita possibilità di riconoscimento.La molteplicità delle esperienze diverse puòessere in particolare riconosciuta nei luoghi enei secoli di loro maggiore compresenza.

Quel che, attingendo all’esperienza del quo-tidiano nel presente, si può ora aggiungere aquell’insieme di argomentazioni viene dal sot-tosuolo del Sannio. Il 28 aprile presso l’Istitu-to nazionale di archeologia e storia dell’arte siè tenuto un incontro sui risultati dell’ultimacampagna di scavo condotta, nel 2016, a Pie-trabbondante, in provincia di Isernia, nel Mo-lise. Ne hanno parlato Adriano La Regina,con Nicola Marietti per la documentazione ae-rea e Palma D’Amico sull’erario del santuario,che ha restituito i resti di quella che è forse lapiù antica, vera e propria banca (munita dibanco) conosciuta.

Scopertia Pietrabbondante

resti dei cultipagani

dell’antico Sannio

Veduta dall’altodel sito molisano

#cultura

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li dispiega i suoi effetti, potrebbe aver in qual-che modo irrobustito la persistenza di formedi culto quasi criptiche, ridotte a un solo pic-colo sacello, che risulta infine sepolto nel cor-so di una azione partecipata dalla comunità,quasi un rito, dopo il 407-408 dell’era cristia-na: si tratta della più tarda sopravvivenza do-cumentata di paganesimo.

L’interesse di questi ritrovamenti, che a oggisono senza confronti, sta proprio nella loro

bandonati e desueti, ma con un sacello ancorain funzione fino all’inizio del quinto secolo.Bisogna considerare che dopo quello di Co-stantino è del 380 l’editto di Tessalonica chestabilisce il cristianesimo come religione di sta-to, con i successivi divieti che comminavanopene severissime non solo agli autori delle in-frazioni ma anche ai conniventi, a chi nonavesse vigilato: da venti libbre d’oro di am-menda alla morte. Questa ardita coda inattesae trasgressiva di paganesimo nell’Italia centraletardo antica può essere spiegata. Il protrarsidella violazione del divieto di perseverare neiriti definiti magici e intesi come superstizioni(letteralmente sopravvivenze superstiti) nonpuò essere troppo a lungo sfuggita alla capilla-re rete di controllo di Roma. La tumulazionedell’ultimo piccolo tempio ancora vivente puòforse essere stata accelerata dalla notizia diun’imminente ispezione di verifica. Si può direche qui a Pietrabbondante, per evitare unaprofanazione, una distruzione oltraggiosa, l’ul-tima scintilla di religione sia stata quasi sepol-ta viva. Pur di non vederla cadere violata, ab-battuta. Più semplicemente si tratta di un edi-ficio intenzionalmente chiuso nell’ambito diun rito, con la sepoltura di tributi, monete,parti ed elementi di altri santuari. Probabil-mente a iniziativa delle autorità del municipiodi Trivento, per evitare le sanzioni: nel seppel-limento del sacello l’obliterazione è attuatacon procedura pagana. Un rito funerario e disepoltura celebrato per l’edificio.

Una deposizione tanto accurata, con i restidei templi smontati e quasi imbalsamati, parlada sola e conferma la remota tradizione mito-logica in base alla quale Giove, unico soprav-vissuto di tanti fratelli, avrebbe infine un gior-no fatto vomitare a Saturno (il dio magmaticodegli inferi, della gravità e del tempo) tutti glialtri suoi figli che aveva divorato. Questo se-polcreto di santuari costituisce insomma unavera e propria attesa di rinascita, in una ordi-nata e paziente amorevole ricomposta attesa.

Quando si giungerà, nello studio della sto-ria delle religioni, all’esame comparativo e piùancora alla ricerca dei denominatori comuni?Il primo a tentarlo sistematicamente, ormaitanti anni fa, è stato forse Paolo Dall’O gliocon la sua accurata e attenta ricerca intitolataLa speranza nell’islam. Più indietro ancora neltempo, ma di tutt’altro tipo, quasi una senten-za, c’era stato un motto romano — ma ovvia-mente intrinsecamente greco — di Seferis, chevale la pena di ripetere con le parole del ricor-do che ne aveva serbato Enzo Crea: «Ho fattoun sogno bellissimo: il paganesimo veniva do-po il cristianesimo». Il tempo, dopo averlo fi-lato, si può riaggomitolare davvero: anche pro-cedendo a ritroso. Non è da tutti il saperscompartire mestieri con le Parche. Come lafelicità e la salute anche la conoscenza non sibaratta, non si compra col denaro, semmai sioffre, la consapevolezza si può solo costruirepazientemente, mentre tutto intorno è un di-sfare. Ma sia pure in questo assedio qualcunoogni tanto, in buona compagnia ci riesce lostesso.

A margine è ancora da notare che la cono-scenza dell’ultima fine dei santuari e della do-mus publica a essi associata, espressione con-creta della cura dell’interesse generale di tutti,funzione mutuata in età repubblicana da quel-la precedente della regia, sia adesso avvenuta econtinuerà nei prossimi anni con l’avvio dinuove forme di finanziamento dello scavo, cheper carenza di risorse pubbliche ha visto sulposto in qualche modo risorgere la tradizionedei templi antichi, dei donari, tramite una ri-presa di iniziativa partecipata, nelle recenti vo-lontarie forme telematiche delle donazioni.

originalità. Per comprendere il declinodell’area non bisogna però pensare solo a se-gnali di obbedienza, all’osservanza dei divieti.Nel 346 infatti vi è stato anche il grande terre-moto del Sannio. Molti interventi compresi trail primo e il quinto secolo più che ammoder-namenti possono essere stati dunque anche disp oliazione.

Le ultime scoperte, restituite dall’indaginedi un cumulo, poco più che una macera, han-no insomma consentito di conoscere la fine, lamodalità di abbandono dell’ultimo lacerto diquel grande complesso di santuari. Le radicidi quel luogo di devozione affondano nelletradizioni religiose italiche, prima ancora dellacolonizzazione della Magna Grecia, primaquindi che l’Olimpo venisse tradotto in latino,prima che quel mondo di pensieri, di timori edi idee divenisse italico e poi comune al Medi-terraneo e all’Europa. La fine di quella stessadevozione dalla radice tanto antica rappresen-ta uno degli ultimi baluardi di quanto noi de-finiamo paganesimo ma che all’epoca era re l i -gio per eccellenza, senza aggettivazione alcuna.Quando a soccombere e sparire sono interi si-stemi di pensiero largamente condivisi, con leconnesse rassicurazioni e speranze, dopo unaesistenza di secoli o millenni, l’agonia si pro-lunga, il rito funebre è ancora più solenne esentito. Anche se deve nascondersi. Nessunopuò escludere risvegli o lasciti inattesi: non c’èda stupirsi in questi casi dell’arrivo improvvisodi amici o parenti a tutti sconosciuti. La depo-sizione di una religione si fa insomma partico-larmente partecipata e accurata, più complessarispetto a quella di un individuo, per impor-tante che sia.

Insomma la scoperta inattesa, rarissima esorprendente è stata quella di imbattersi nel ci-mitero dei templi del posto. Deposizioni amo-revoli, accurate, pietose. Perfino minuziose.Templi nella quasi totalità già da tempo ab-

#cultura

Sacellodel santuario orientale

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di ROBERTORIGHETTO

Le frasi di due autori fra loro molto differentihanno sempre segnato l’itinerario intellettualedi Julia Kristeva. La prima è di sant’Agostino:«Il viaggio è la sola patria»; la seconda di LaFontaine: «Diversità, ecco il mio motto». Psi-coanalista, filosofa e scrittrice di origine bulga-ra, è stata definita da Catherine Clément, concui ha pubblicato un volume sul rapporto frasacro e femminilità, «atea cristiana». Ma leipreferisce chiamarsi «straniera e fiera di esser-lo», e così emerge nel suo ultimo libro appenauscito in Italia, La vita, altrove. Autobiografiacome un viaggio (Donzelli), una lunga conver-sazione con lo scrittore e psicologo SamuelD ock.

Il suo cruccio recente è il destino dell’E u ro -pa, la necessità di rifondare l’umanesimo chene costituisce l’humus mentre troppi anchenella sua Francia vogliono innalzare barriere.Quell’umanesimo che per lei è sempre statosimboleggiato dall’illuminismo ma che ora sitrova sotto scacco a causa delle sfide del nuo-vo millennio: la subordinazione della culturarispetto all’economia secondo il modello ame-ricano prevalente, l’incalzare di nuovi fanati-smi religiosi che sfociano nel terrorismo, lefrontiere delle neuroscienze e delle biotecnolo-gie che aprono la via a scenari meravigliosi mapure a possibili incubi.

Se l’illuminismo, cui assieme al marito Phi-lippe Sollers si richiama costantemente, ha«spezzato il filo» con la tradizione religiosa(per usare un’espressione di Tocqueville eArendt), Julia Kristeva oggi è disposta a rico-noscere che abbiamo bisogno del cattolicesi-mo, della sua filosofia, della sua morale e dellasua estetica. Basta lamentarsi — aggiunge conforza — che le civiltà sono mortali. La memo-ria viva dell’Europa nelle sue diverse compo-nenti (greco-romana, ebraica, cristiana, poiumanistica con i suoi accenti di ribellione, sen-za dimenticare la presenza musulmana), non èsolo un bel mantello di Arlecchino, ma un in-sieme linguistico e culturale ancora vivo, capa-ce di resistere all’appiattimento, ma anche allenuove schizofrenie che si manifestano.

E qui è la psicoanalista che parla davanti al-le patologie del XXI secolo, come le «malattiedi idealità che conducono alla radicalizzazionee al gangster-integralismo, ma pure l’evoluzio-ne dei costumi per l’uomo occidentale, la nuo-va composizione delle famiglie, la disoccupa-zione endemica, i nuovi mezzi di comunicazio-ne che provocano e aggravano le turbe psichi-che». I nuovi pazienti soffrono così «di feritenarcisistiche essenziali, di sintomi imbarazzantie alcuni rischiano di sprofondare nella psico-si». I rimedi possibili per Kristeva, oltre il let-tino, sono l’arte e il religioso, mai slegati dallarazionalità.

Che una barriera per sconfiggere i nuovi fa-natismi sia un’alleanza tra una fede pensata eun pensiero aperto lo testimonia il dialogo chela filosofa ha avuto nel 2011 con Benedetto

XVI, invitata alla giornata interreligiosa per lapace ad Assisi come rappresentante dei noncredenti, quando indicò dieci punti per una ri-fondazione dell’umanesimo. E che Kristevanon sia restia a riconoscere la funzione chepossono avere in questo progetto il «bisognodi credere» e un cristianesimo pensoso lo rive-

la anche il suo dialogo con Jean Vanier a pro-posito dell’handicap.

Un confronto nato a partire dalla disabilitàdel figlio David. La scrittrice non appartienealla schiera «di quei genitori di figli disabiliche proclamano di vivere la gioia e la grazia».Molto più semplicemente dice di aver compre-so il senso del «prendersi cura», valore prima-rio. E meditando sulle riflessioni umaniste, lai-che e cattoliche, sui deficit e sulle imperfezio-ni, giunge a recuperare il concetto di ecceitas diDuns Scoto: la verità non si manifesta in ideeastratte o nella materia opaca, ma «in questouomo qui, in questa donna qui», nella singola-rità di ogni persona unica e irripetibile.

Oltre il lettinoL’arte e il religiosocome rimedi

alle patologiedel nostro tempo

La psicoanalista, filosofae scrittrice di origine bulgaraJulia Kristeva

#catalogo

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OOggi desidero parlarvi del Viaggio apostolicoche, con l’aiuto di Dio, ho compiuto nei gior-ni scorsi in Egitto. Mi sono recato in quel Pae-se in seguito a un quadruplice invito: del Pre-sidente della Repubblica, di Sua Santità il Pa-triarca Copto ortodosso, del Grande Imam diAl-Azhar e del Patriarca Copto cattolico. Rin-grazio ciascuno di loro per l’accoglienza chemi hanno riservato, veramente calorosa. E rin-grazio l’intero popolo egiziano per la parteci-pazione e l’affetto con cui ha vissuto questa vi-sita del Successore di San Pietro.

Il Presidente e le Autorità civili hanno po-sto un impegno straordinario perché questoevento potesse svolgersi nel migliore dei modi;perché potesse essere un segno di pace, un se-gno di pace per l’Egitto e per tutta quella re-gione, che purtroppo soffre per i conflitti e ilterrorismo. Infatti il motto del Viaggio era “IlPapa della pace in un Egitto di pace”.

ne della sapienza, di un umanesimo che com-prende come parte integrante la dimensionereligiosa, il rapporto con Dio, come ha ricor-dato il Grande Imam nel suo discorso. La pa-ce si costruisce anche ripartendo dall’alleanzatra Dio e l’uomo, fondamento dell’alleanza tratutti gli uomini, basata sul Decalogo scrittosulle tavole di pietra del Sinai, ma molto piùprofondamente nel cuore di ogni uomo diogni tempo e luogo, legge che si riassume neidue comandamenti dell’amore di Dio e delp ro s s i m o .

Questo medesimo fondamento sta anche al-la base della costruzione dell’ordine sociale ecivile, in cui sono chiamati a collaborare tutti icittadini, di ogni origine, cultura e religione.Tale visione di sana laicità è emersa nelloscambio di discorsi con il Presidente della Re-pubblica dell’Egitto, alla presenza delle autori-tà del Paese e del Corpo diplomatico. Il gran-de patrimonio storico e religioso dell’Egitto eil suo ruolo nella regione mediorientale gliconferiscono un compito peculiare nel cammi-no verso una pace stabile e duratura, che pog-gi non sul diritto della forza, ma sulla forzadel diritto.

I cristiani, in Egitto come in ogni nazionedella terra, sono chiamati ad essere lievito difraternità. E questo è possibile se vivono in séstessi la comunione in Cristo. Un forte segnodi comunione, grazie a Dio, abbiamo potutodarlo insieme con il mio caro fratello Papa Ta-wadros II, Patriarca dei Copti ortodossi. Abbia-mo rinnovato l’impegno, anche firmando unaDichiarazione Comune, di camminare insieme edi impegnarci per non ripetere il Battesimo am-ministrato nelle rispettive Chiese. Insieme ab-biamo pregato per i martiri dei recenti attentatiche hanno colpito tragicamente quella venerabi-le Chiesa; e il loro sangue ha fecondatoquell’incontro ecumenico, a cui ha partecipatoanche il Patriarca di Costantinopoli Bartolo-meo: il Patriarca ecumenico, mio caro fratello.

Il secondo giorno del viaggio è stato dedica-to ai fedeli cattolici. La Santa Messa celebratanello Stadio messo a disposizione dalle autorità

La mia visita all’Università Al - Az h a r, la piùantica università islamica e massima istituzioneaccademica dell’Islam sunnita, ha avuto undoppio orizzonte: quello del dialogo tra i cri-stiani e i musulmani e, al tempo stesso, quellodella promozione della pace nel mondo. AdAl-Azhar è avvenuto l’incontro con il GrandeImam, incontro che si è poi allargato allaConferenza Internazionale per la Pace. In talecontesto ho offerto una riflessione che ha valo-rizzato la storia dell’Egitto come terra di civiltàe terra di alleanze. Per tutta l’umanità l’Egitto èsinonimo di antica civiltà, di tesori d’arte e diconoscenza; e questo ci ricorda che la pace sicostruisce mediante l’educazione, la formazio-

Diario di viaggio Al l ’udienzagenerale il Papaparla della visitaal Cairo

La messa celebrataper i cattolicinella capitale egiziana

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Da schiava dei miliziani dell’Is ad ambasciatricedelle Nazioni Unite per la dignità dei sopravvissutialla tratta di esseri umani. Un ruolo in cui è«alleata del Papa». E per questo ha volutofortemente incontrarlo. È impressionante la storiache Nadia Murad Basee Taha, ventiduenne yazida,ha raccontato a Francesco. Rapita nel suo villaggiodi Kocho, nel nord dell’Iraq, il 3 agosto 2014, havisto morire sei fratelli e la madre. Portata con duesorelle a Mosul, ha subito ogni sorta di soprusi finoa essere venduta più volte come schiava. Dopo tremesi è riuscita a fuggire e da allora denunciacoraggiosamente le atrocità perpetrate contro la suagente, portando avanti «la battaglia perché nessunapersona subisca simili violenze e venga trattatacome una bestia». Disabilità e migrazione, duemarginalità a confronto attraverso una prospettivadiretta, semplice: ecco il senso del documentario Im i g ra t i , andato in onda sulla Rai e su Tv2000 epresentato al Papa. Protagonisti sono quattrodisabili della comunità XXIV luglio, associazione divolontariato dell’Aquila. Benito, Barbara, Gianlucae Giovanni si sono improvvisati giornalisti, contanto di telecamera, e hanno girato su un pullminoper i paesi dell’Appennino che accolgono imigranti. «Disabili e migranti hanno abbattuto le

Da schiava ad ambasciatrice

egiziane è stata una festa di fede e di fraternità,in cui abbiamo sentito la presenza viva del Si-gnore Risorto. Commentando il Vangelo, hoesortato la piccola comunità cattolica in Egittoa rivivere l’esperienza dei discepoli di Emmaus:a trovare sempre in Cristo, Parola e Pane di vi-ta, la gioia della fede, l’ardore della speranza ela forza di testimoniare nell’amore che “abbia-mo incontrato il Signore!”.

E l’ultimo momento l’ho vissuto insiemecon i sacerdoti, i religiosi e le religiose e i se-minaristi, nel Seminario Maggiore. Ci sonotanti seminaristi: questa è una consolazione! Èstata una liturgia della Parola, in cui sono sta-te rinnovate le promesse di vita consacrata. Inquesta comunità di uomini e donne che hannoscelto di donare la vita a Cristo per il Regnodi Dio, ho visto la bellezza della Chiesa inEgitto, e ho pregato per tutti i cristiani nelMedio Oriente, perché, guidati dai loro pasto-ri e accompagnati dai consacrati, siano sale eluce in quelle terre, in mezzo a quei popoli.

L’Egitto, per noi, è stato segno di speranza, dirifugio, di aiuto. Quando quella parte delmondo era affamata, Giacobbe, con i suoi fi-gli, se n’è andato là; poi, quando Gesù è statoperseguitato, è andato là. Per questo, raccon-tarvi questo viaggio significa percorrere il cam-mino della speranza: per noi l’Egitto è quelsegno di speranza sia per la storia sia per l’og-gi, di questa fraternità che ho voluto raccon-tarvi.

Ringrazio nuovamente coloro che hanno re-so possibile questo Viaggio e quanti in diversimodi hanno dato il loro contributo, special-mente tante persone che hanno offerto le loropreghiere e le loro sofferenze. La Santa Fami-glia di Nazaret, che emigrò sulle rive del Niloper scampare alla violenza di Erode, benedicae protegga sempre il popolo egiziano e lo gui-di sulla via della prosperità, della fraternità edella pace.

barriere della comunicazione e si sono fidati» spiegail regista Francesco Paolucci. E Lucio Brunelli,direttore giornalistico di Tv2000, confida che losguardo puro e senza pregiudizi del documentario èil racconto di una Italia dove l’accoglienza puòdiventare reciproco arricchimento. E sulla stessalunghezza d’onda si muove la coraggiosa rete civicadei sindaci per l’accoglienza dei migranti inprovincia di Varese. Un progetto nato in risposta aun appello del Pontefice nel 2015 e che oggi hacome protagonisti quarantotto comuni. La firma diPapa Francesco in calce all’appello per la campagna«bambini d’Italia» è l’unica di un adulto: tutte lealtre sono di ragazzi che chiedono alle istituzioni diriconoscere come cittadini i loro coetanei sbarcatisulle nostre coste coi barconi. A presentare ilprogetto al Papa è stato Ernesto Olivero, fondatoredel Sermig: «È un’iniziativa scaturita nel nostroArsenale della pace a Torino, una ex fabbrica diarmi delle due guerre mondiali trasformata damigliaia di giovani in una casa sempre aperta perchi non ha riparo, fa fatica e cerca il senso dellavita». Un centro di cardiologia pediatrica a Rabat,in Marocco, è l’obiettivo che Laurianne Sallin,eletta miss Svizzera, sta cercando di realizzare ancheper ricordare sua sorella Gaëlle.

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QR i p u d i a rela violenza

uesta terra rappresenta molto per la storiadell’umanità e per la Tradizione della Chiesa,non solo per il suo prestigioso passato storico— dei faraoni, copto e musulmano —, maanche perché tanti Patriarchi vissero in Egittoo lo attraversarono. Infatti, esso è menzionatoun gran numero di volte nelle Sacre Scritture.In questa terra Dio si è fatto sentire, «harivelato il suo nome a Mosè»1 e sul monte Sinaiha affidato al suo popolo e all’umanità iComandamenti divini. Sul suolo egizianotrovò rifugio e ospitalità la Santa Famiglia:Gesù, Maria e Giuseppe. L’ospitalità data congenerosità più di duemila anni fa, rimane nellamemoria collettiva dell’umanità ed è fonte diabbondanti benedizioni che ancora siestendono. L’Egitto, quindi, è una terra che,in un certo senso, sentiamo tutti come nostra!E come dite voi: «Misrum al dugna / L’Egittoè la madre dell’universo». Anche oggi vitrovano accoglienza milioni di rifugiati prove-

nienti da diversi Paesi, tra cui Sudan, Eritrea,Siria e Iraq, rifugiati che con lodevole im-pegno si cerca di integrare nella societàegiziana...

L’Egitto ha un compito singolare: rafforzaree consolidare anche la pace regionale, pur es-sendo, sul proprio suolo, ferito da violenzecieche. Tali violenze fanno soffrire ingiusta-mente tante famiglie — alcune delle quali sono

qui presenti — che piangono i loro figli e fi-glie. Il mio pensiero va in particolare a tutte lepersone che, negli ultimi anni, hanno dato lavita per salvaguardare la loro Patria: i giovani,i membri delle forze armate e della polizia, icittadini copti e tutti gli ignoti caduti a causadi diverse azioni terroristiche. Penso anche alleuccisioni e alle minacce che hanno determina-to un esodo di cristiani dal Sinai settentriona-le. Esprimo riconoscenza alle Autorità civili ereligiose e a quanti hanno dato accoglienza eassistenza a queste persone tanto provate. Pen-so altresì a coloro che sono stati colpiti negliattentati alle chiese Copte, sia nel dicembrescorso sia più recentemente a Tanta e ad Ales-sandria. Ai loro familiari e a tutto l’Egitto van-no il mio più sentito cordoglio e la mia pre-ghiera al Signore affinché dia pronta guarigio-ne ai feriti...

Lo sviluppo, la prosperità e la pace sonobeni irrinunciabili che meritano ogni sacrificio.Sono anche obiettivi che richiedono lavoro se-rio, impegno convinto, metodologia adeguatae, soprattutto, rispetto incondizionato dei di-ritti inalienabili dell’uomo, quali l’uguaglianzatra tutti i cittadini, la libertà religiosa e diespressione, senza distinzione alcuna. Obiettiviche esigono una speciale attenzione al ruolodella donna, dei giovani, dei più poveri e deimalati. In realtà, lo sviluppo vero si misuradalla sollecitudine che si dedica all’uomo —cuore di ogni sviluppo —, alla sua educazione,alla sua salute e alla sua dignità; infatti lagrandezza di qualsiasi nazione si rivela nellacura che essa dedica realmente ai più debolidella società: le donne, i bambini, gli anziani, imalati, i disabili, le minoranze, affinché nessu-na persona e nessun gruppo sociale rimanganoesclusi o lasciati ai margini... Il peculiare ruolodell’Egitto è necessario per poter affermareche questa regione, culla delle tre grandi reli-gioni, può, anzi deve risvegliarsi dalla lunganotte di tribolazione per tornare a irradiare isupremi valori della giustizia e della fraternità,che sono il fondamento solido e la via obbli-gatoria per la pace. Dalle nazioni grandi nonsi può attendere poco.

Alle autoritàegiziane l’invitoa lavorareper la giustiziae il rispettodei diritti umani

Circa ottocento rappresentantidelle istituzioni, del corpodiplomatico e della società civileegiziana hanno incontratoil Papa nel pomeriggiodel 28 aprile all’hotel Al-Màsah

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«L ’unico estremismo ammesso per i credenti è

quello della carità!». Nell’unica celebrazionedel viaggio in terra egiziana Papa Francescoha incontrato la comunità cattolica nell’Air de-fense stadium del Cairo. Nella struttura, chepuò contenere fino a trentamila fedeli, si sonoritrovati egiziani di tutti i riti cattolici e duran-te la liturgia i canti in arabo si sono alternaticon quelli in italiano. Così come l’omelia pro-nunciata dal Pontefice nella lingua italianacon traduzione araba intercalare, letta da unodei due suoi segretari particolari, l’egizianoYoannis Lahzi Gaid, che ha fatto da interpretedurante tutto il viaggio.

Commentando il brano del Vangelo che rac-conta l’incontro di Gesù risorto con i discepolidi Emmaus, il Papa ha fatto notare l’uomospesso si auto-paralizzi «rifiutando di superarela propria idea di Dio, di un dio creato a im-magine e somiglianza dell’u o m o ! » . E p p u reproprio quando questi «tocca il fondo del fal-limento e dell’incapacità, quando si spogliadell’illusione di essere il migliore, di essere au-tosufficiente, di essere il centro del mondo, al-lora Dio gli tende la mano per trasformare lasua notte in alba, la sua afflizione in gioia, lasua morte in risurrezione». Per questo, ha ag-giunto, «Chi non passa attraverso l’esp erienzadella croce fino alla verità della risurrezione siautocondanna alla disperazione. Infatti, noinon possiamo incontrare Dio senza crocifigge-re prima le nostre idee limitate di un dio cherispecchia la nostra comprensione dell’onnip o-tenza e del potere».

In proposito il Pontefice ha avvertito che«non serve riempire i luoghi di culto se i no-stri cuori sono svuotati del timore di Dio edella sua presenza; non serve pregare se la no-stra preghiera rivolta a Dio non si trasforma inamore rivolto al fratello; non serve tanta reli-giosità se non è animata da tanta fede e datanta carità; non serve curare l’apparenza, per-ché Dio guarda l’anima e il cuore e detestal’ipocrisia. Per Dio, è meglio non credere cheessere un falso credente, un ipocrita!». Di con-seguenza la fede autentica «è quella che cirende più caritatevoli, più misericordiosi, piùonesti e più umani; anima i cuori per portarliad amare tutti gratuitamente, senza distinzionee senza preferenze» e «ci porta a vederenell’altro non un nemico da sconfiggere, maun fratello da amare, da servire e da aiutare; ciporta a diffondere, a difendere e a vivere lacultura dell’incontro, del dialogo, del rispettoe della fratellanza; ci porta al coraggio di per-donare chi ci offende, di dare una mano a chiè caduto». Ecco perché, ha concluso, Dio«gradisce solo la fede professata con la vita,

perché l’unico estremismo ammesso per i cre-denti è quello della carità! Qualsiasi altroestremismo non viene da Dio e non piace aLui».

Successivamente, dopo aver pranzato con ivescovi cattolici in nunziatura, il Papa ha in-contrato nel seminario maggiore patriarcalecopto cattolico di Maadi i sacerdoti e i religio-si del Paese, ai quali ha offerto una riflessionesulle tentazioni più frequenti a cui possonoandare incontro le persone consacrate. Fraqueste, ha indicato il “faraonismo”, cioè «in-durire il cuore» e «chiuderlo al Signore e aifratelli». È «la tentazione — ha spiegato — disentirsi al di sopra degli altri e quindi di sotto-metterli a sé per vanagloria; di avere la pre-sunzione di farsi servire invece di servire».Una tentazione «comune fin dall’inizio tra idiscepoli», alla quale bisogna sfuggire ricor-dando le parole del Vangelo di Marco (9, 35):«Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo ditutti e il servitore di tutti».

E s t re m i s m odella carità

La messacon la comunità

cattolicae il successivo

i n c o n t rocon il clero

Un momento della celebrazionenello stadio dell’a e ro n a u t i c aalla presenza di trentamila fedeli

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ÈResp onsabilitàcollettiva

« A p p re z z i a m oprofondamente la vostravisita in Egitto e ad Al-Azhar in risposta all’invitoad assumere la nostraresponsabilità storicacollettiva come leaderreligiosi e studiosi cheoperano per la pace» hadetto il Grande imamdell’istituzione accademicasunnita, lo sceicco AhmadAl-Tayyib, salutando ilPontefice all’iniziodell’incontro con ipartecipanti alla conferenzainternazionale di pace.Parlando, tra l’altro, delruolo delle fedi religiose nelpromuovere fraternità ecomprensione nel mondo, losceicco ha indicato comeprioritaria la necessità di«liberare l’immagine dellereligioni dai falsi concetti,dai fraintendimenti, dallecattive pratiche e dalla falsareligiosità a esse collegate.Questi mali sollevanoconflitti, diffondono odio eistigano la violenza. Nondobbiamo dare alla religionela responsabilità dei criminidi un piccolo gruppo diseguaci». Del resto nél’islam, né il cristianesimo,né l’ebraismo sono religioni“del terrorismo”. Il Grandeimam ha anche espressoapprezzamento per gliinterventi di Francesco «asostegno della verità e indifesa dell’islam contro leaccuse di violenza e diterrorismo. Sentiamo quantolei e tutti i pastori presentidelle Chiese d’Oriente ed’Occidente sono ansiosi dirispettare le credenze e isimboli religiosi e disalvaguardarli contro ognioffesa, mettendosi controcoloro che ricorrono aqueste offese per fomentareconflitti tra i credenti». E intale ottica, ha assicurato,«Al-Azhar è decisa alavorare e a cooperare nelcompito di stabilire lacoesistenza, rianimare ildialogo, rispettare tutte lecredenze umane ep ro t e g g e r l e »

un grande dono essere qui e iniziare in questoluogo la mia visita in Egitto, rivolgendomi avoi nell’ambito di questa Conferenza Interna-zionale per la Pace. Ringrazio il mio fratello, ilGrande Imam, per averla ideata e organizzatae per avermi cortesemente invitato. Vorrei of-frirvi alcuni pensieri, traendoli dalla gloriosastoria di questa terra, che nei secoli è apparsaal mondo come terra di civiltà e terra di al-leanze...

Terra di alleanze. In Egitto non è sorto soloil sole della sapienza; anche la luce policroma-tica delle religioni ha illuminato questa terra...Fedi diverse si sono incontrate e varie culturesi sono mescolate, senza confondersi mariconoscendo l’importanza di allearsi per il be-ne comune. Alleanze di questo tipo sonoquanto mai urgenti oggi. Nel parlarne, vorreiutilizzare come simbolo il “Monte dell’Allean-za” che si innalza in questa terra. Il Sinai ci ri-corda anzitutto che un’autentica alleanza sullaterra non può prescindere dal Cielo, chel’umanità non può proporsi di incontrarsi inpace escludendo Dio dall’orizzonte, e nemme-no può salire sul monte per impadronirsi diD io.

Si tratta di un messaggio attuale, di fronteall’odierno perdurare di un pericoloso para-dosso, per cui da una parte si tende a relegarela religione nella sfera privata, senza ricono-scerla come dimensione costitutiva dell’e s s e reumano e della società; dall’altra si confonde,senza opportunamente distinguere, la sfera re-ligiosa e quella politica. Esiste il rischio che lareligione venga assorbita dalla gestione di affa-ri temporali e tentata dalle lusinghe di poterimondani che in realtà la strumentalizzano. Inun mondo che ha globalizzato molti strumentitecnici utili, ma al contempo tanta indifferenzae negligenze, e che corre a una velocità frene-tica, difficilmente sostenibile, si avverte la no-stalgia delle grandi domande di senso, che lereligioni fanno affiorare e che suscitano la me-moria delle proprie origini: la vocazionedell’uomo, non fatto per esaurirsi nellaprecarietà degli affari terreni, ma per incammi-narsi verso l’Assoluto a cui tende. Per questeragioni, oggi specialmente, la religione non èun problema ma è parte della soluzione: con-tro la tentazione di adagiarci in una vita piat-ta, dove tutto nasce e finisce quaggiù, essa ciricorda che è necessario elevare l’animo versol’Alto per imparare a costruire la città degliuomini.

In questo senso, volgendo ancora idealmen-te lo sguardo al Monte Sinai, vorrei riferirmi aquei comandamenti, là promulgati, prima diessere scritti sulla pietra. Al centro delle “diecip a ro l e ” risuona, rivolto agli uomini e ai popolidi ogni tempo, il comando «non uccidere» (Es20, 13). Dio, amante della vita, non cessa diamare l’uomo e per questo lo esorta a contra-stare la via della violenza, quale presuppostofondamentale di ogni alleanza sulla terra. Adattuare questo imperativo sono chiamate, anzi-tutto e oggi in particolare, le religioni perché,mentre ci troviamo nell’urgente bisognodell’Assoluto, è imprescindibile escludere qual-siasi assolutizzazione che giustifichi forme di

uni per gli altri domandando a Dio il donodella pace, incontrarci, dialogare e promuoverela concordia in spirito di collaborazione e ami-cizia... Oggi c’è bisogno di costruttori di pace,non di armi; oggi c’è bisogno di costruttori dipace, non di provocatori di conflitti; di pom-pieri e non di incendiari; di predicatori di ri-conciliazione e non di banditori di distruzione.Si assiste con sconcerto al fatto che, mentre dauna parte ci si allontana dalla realtà dei popo-li, in nome di obiettivi che non guardano infaccia a nessuno, dall’altra, per reazione, insor-gono populismi demagogici, che certo nonaiutano a consolidare la pace e la stabilità:nessun incitamento violento garantirà la pace,ed ogni azione unilaterale che non avvii pro-cessi costruttivi e condivisi è in realtà un rega-lo ai fautori dei radicalismi e della violenza.

Per prevenire i conflitti ed edificare la paceè fondamentale adoperarsi per rimuovere le si-tuazioni di povertà e di sfruttamento, dove gliestremismi più facilmente attecchiscono, ebloccare i flussi di denaro e di armi verso chifomenta la violenza. Ancora più alla radice, ènecessario arrestare la proliferazione di armiche, se vengono prodotte e commerciate, pri-ma o poi verranno pure utilizzate. Solo ren-dendo trasparenti le torbide manovre che ali-mentano il cancro della guerra se ne possonoprevenire le cause reali...

Auspico che questa nobile e cara terrad’Egitto, con l’aiuto di Dio, possa rispondereancora alla sua vocazione di civiltà e di allean-za, contribuendo a sviluppare processi di paceper questo amato popolo e per l’intera regionemediorientale.

No all’odio in nome di DioNella sededi Al-Azhar

il primo discorsopubblico in Egitto

L’abbraccio con il Grande imam

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violenza. La violenza, infatti, è la negazione diogni autentica religiosità.

In quanto responsabili religiosi, siamo dun-que chiamati a smascherare la violenza che sitraveste di presunta sacralità, facendo levasull’assolutizzazione degli egoismi anzichésull’autentica apertura all’Assoluto. Siamo te-nuti a denunciare le violazioni contro la digni-tà umana e contro i diritti umani, a portare al-la luce i tentativi di giustificare ogni forma diodio in nome della religione e a condannarlicome falsificazione idolatrica di Dio: il suo no-me è Santo, Egli è Dio di pace, Dio salam.Perciò solo la pace è santa e nessuna violenzapuò essere perpetrata in nome di Dio, perchéprofanerebbe il suo Nome.

Insieme, da questa terra d’incontro tra Cieloe terra, di alleanze tra le genti e tra i credenti,ripetiamo un “no” forte e chiaro ad ogni for-ma di violenza, vendetta e odio commessi innome della religione o in nome di Dio. Insie-me affermiamo l’incompatibilità tra violenza efede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamola sacralità di ogni vita umana contro qualsiasiforma di violenza fisica, sociale, educativa opsicologica. La fede che non nasce da un cuo-re sincero e da un amore autentico verso DioMisericordioso è una forma di adesione con-venzionale o sociale che non libera l’uomo malo schiaccia. Diciamo insieme: più si crescenella fede in Dio più si cresce nell’amore alp ro s s i m o .

Ma la religione non è certo solo chiamata asmascherare il male; ha in sé la vocazione apromuovere la pace, oggi come probabilmentemai prima. Senza cedere a sincretismi conci-lianti, il nostro compito è quello di pregare gli

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ÈUniti dal sangueinno cente

da poco trascorsa la grande Solennità di Pa-squa, centro della vita cristiana, che quest’an-no abbiamo avuto la grazia di celebrare nellostesso giorno. Abbiamo così proclamatoall’unisono l’annuncio della Risurrezione, rivi-vendo, in un certo senso, l’esperienza dei pri-mi discepoli, che in quel giorno insieme «gioi-rono al vedere il Signore» (Gv 20, 20). Questagioia pasquale è oggi impreziosita dal dono diadorare insieme il Risorto nella preghiera e discambiarci nuovamente, nel suo nome, il baciosanto e l’abbraccio di pace. Sono tanto gratodi questo: giungendo qui come pellegrino, erocerto di ricevere la benedizione di un Fratelloche mi aspettava. Grande era l’attesa di ritro-varci: mantengo infatti ben vivo il ricordo del-la visita di Vostra Santità a Roma, poco dopola mia elezione, il 10 maggio 2013, una datache è felicemente diventata l’occasione per ce-

lebrare ogni anno la Giornata di amicizia copto-cattolica.

Nella gioia di proseguire fraternamente ilnostro cammino ecumenico, desidero ricordareanzitutto quella pietra miliare nelle relazionitra la sede di Pietro e quella di Marco che è laDichiarazione Comune firmata dai nostri Prede-cessori più di quarant’anni prima, il 10 maggio1973. In quel giorno, dopo «secoli di storia

difficili»... si è arrivati a riconoscere insiemeche Cristo è «Dio perfetto riguardo alla SuaDivinità e perfetto uomo riguardo alla Suaumanità»...

Vi è, in questo senso, non solo un ecumeni-smo fatto di gesti, parole e impegno, ma unacomunione già effettiva, che cresce ogni giornonel rapporto vivo con il Signore Gesù, si radi-ca nella fede professata e si fonda realmentesul nostro Battesimo... Da qui ripartiamo sem-pre, per affrettare il giorno tanto desiderato incui saremo in piena e visibile comunione all’al-tare del Signore.

In questo appassionante cammino che — co-me la vita — non è sempre facile e lineare, manel quale il Signore ci esorta ad andare avanti,non siamo soli. Ci accompagna un’enormeschiera di Santi e di Martiri... Tra costoro, cer-tamente oggi si rallegrano in modo particolaredel nostro incontro i Santi Pietro e Marco. Ègrande il legame che li unisce...

Insieme siamo dunque chiamati atestimoniarlo, a portare al mondo la nostrafede, prima di tutto nel modo che alla fede èproprio: vivendola, perché la presenza di Gesùsi trasmette con la vita e parla il linguaggiodell’amore gratuito e concreto. Copti ortodossie Cattolici, possiamo sempre più parlareinsieme questa lingua comune della carità:prima di intraprendere una iniziativa di bene,sarebbe bello chiederci se possiamo farla con inostri fratelli e sorelle che condividono la fedein Gesù. Così, edificando la comunione nellaconcretezza quotidiana della testimonianza vis-suta, lo Spirito non mancherà di aprire vieprovvidenziali e impensate di unità...

La maturazione del nostro cammino ecume-nico è sostenuta, in modo misterioso e quantomai attuale, anche da un vero e proprio ecume-nismo del sangue... Ben lo testimonia il venera-bile Martirologio della Chiesa Copta. Ancora re-centemente, purtroppo, il sangue innocente difedeli inermi è stato crudelmente versato. Ca-

Con il patriarcacopto ortodosso

Il Papa accende una candelain memoria delle vittimedell’attentato suicida chel’11 dicembre 2016 provocòuna trentina di morti nella chiesacopta ortodossa di San Pietro

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Pubblichiamo alcuni passaggi della dichiarazione comunefirmata da Francesco e Teodoro II al termine dell’i n c o n t ro .

Rendiamo grazie nello Spirito Santo a Dio peraverci concesso la felice opportunità di incontrarciancora, di scambiare l’abbraccio fraterno e di unircinuovamente in comune preghiera. Diamo gloriaall’Onnipotente per i vincoli di fraternità e diamicizia che sussistono tra la Sede di San Pietro ela Sede di San Marco. Il privilegio di trovarciinsieme qui in Egitto è un segno che la soliditàdella nostra relazione sta aumentando di anno inanno e che stiamo crescendo nella vicinanza, nellafede e nell’amore di Cristo nostro Signore.Rendiamo grazie a Dio per l’amato Egitto, «terranatale che vive in noi», come Sua Santità PapaShenouda III era solito dire, «popolo benedetto dalSignore» (cfr. Is 19, 25), con la sua antica civiltà deiFaraoni, l’eredità greca e romana, la tradizionecopta e la presenza islamica. L’Egitto è il luogodove trovò rifugio la Sacra Famiglia, è terra dimartiri e di santi...Ricordiamo con gratitudine lo storico incontro diquarantaquattro anni fa tra i nostri predecessoriPapa Paolo VI e Papa Shenouda III, quell’abbracciodi pace e di fraternità dopo molti secoli in cui inostri reciproci legami di affetto non avevano avutola possibilità di esprimersi a motivo della distanzache era sorta tra noi. La Dichiarazione Comune cheessi firmarono il 10 maggio 1973 rappresenta unapietra miliare nel cammino ecumenico ed è servitacome punto di partenza per l’istituzione dellaCommissione per il dialogo teologico tra le nostredue Chiese, che ha dato molto frutto e ha aperto lavia a un più ampio dialogo tra la Chiesa Cattolica el’intera famiglia delle Chiese Ortodosse Orientali.In quella Dichiarazione le nostre Chiese hannoriconosciuto che, in linea con la tradizioneapostolica, professano «un’unica fede in un soloDio Uno e Trino» e la «divinità dell’Unico FiglioIncarnato di Dio, [...] Dio perfetto riguardo allaSua Divinità, e perfetto uomo riguardo alla Suaumanità». È stato altresì riconosciuto che «la vitadivina ci viene data e alimentata attraverso i settesacramenti» e che «noi veneriamo la Vergine Maria,Madre della Vera Luce», la “Theotokos”...Quando i Cristiani pregano insieme, giungono acomprendere che ciò che li unisce è molto più

Dichiarazione comune

rissimo Fratello, come unica è la Gerusalemmeceleste, unico è il nostro martirologio, e le vo-stre sofferenze sono anche le nostre sofferenze,il loro sangue innocente ci unisce. Rinforzatidalla vostra testimonianza, adoperiamoci per

opporci alla violenza predicando e seminandoil bene, facendo crescere la concordia e mante-nendo l’unità, pregando perché tanti sacrificiaprano la via a un avvenire di comunione pie-na tra noi e di pace per tutti...

grande di ciò che li divide. Il nostro desiderioardente di unità trova ispirazione dalla preghiera diCristo «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17, 21).Perciò approfondiamo le nostre radici nell’unicafede apostolica pregando insieme, cercandotraduzioni comuni della preghiera del Signore e unadata comune per la celebrazione della Pasqua.Mentre camminiamo verso il giorno benedetto nelquale finalmente ci riuniremo insieme alla stessaMensa eucaristica, possiamo collaborare in moltiambiti e rendere tangibile la grande ricchezza chegià abbiamo in comune. Possiamo dare insiemetestimonianza a valori fondamentali quali la santitàe la dignità della vita umana, la sacralità delmatrimonio e della famiglia e il rispetto dell’interacreazione che Dio ci ha affidato. Nonostantemolteplici sfide contemporanee, come lasecolarizzazione e la globalizzazionedell’indifferenza, siamo chiamati a offrire unarisposta condivisa, basata sui valori del Vangelo esui tesori delle nostre rispettive tradizioni. A taleriguardo, siamo incoraggiati a intraprendere unostudio maggiormente approfondito dei PadriOrientali e Latini e a promuovere scambi proficuinella vita pastorale, specialmente nella catechesi e inun vicendevole arricchimento spirituale tra comunitàmonastiche e religiose.La nostra condivisa testimonianza cristiana è unprovvidenziale segno di riconciliazione e disperanza per la società egiziana e per le sueistituzioni, un seme piantato per portare frutti digiustizia e di pace. Dal momento che crediamo chetutti gli esseri umani sono creati a immagine di Dio,ci sforziamo di promuovere la serenità e laconcordia attraverso una coesistenza pacifica traCristiani e Musulmani, testimoniando in questomodo che Dio desidera l’unità e l’armoniadell’intera famiglia umana e la pari dignità di ogniessere umano. Abbiamo a cuore la prosperità e ilfuturo dell’Egitto. Tutti i membri della societàhanno il diritto e il dovere di parteciparepienamente alla vita del Paese, godendo di piena epari cittadinanza e collaborando a edificare la loronazione. La libertà religiosa, che comprende lalibertà di coscienza ed è radicata nella dignità dellapersona, è il fondamento di tutte le altre libertà. Èun diritto sacro e inalienabile.

#copertina

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Iproblemi e le questioni internazionali si risol-vono percorrendo «la strada della soluzionediplomatica» e non scatenando una guerra che«oggi l’umanità non sarebbe capace di sop-portare». È il monito lanciato da Papa France-sco a conclusione del viaggio in Egitto. Sulvolo di rientro dal Cairo, nella serata di sabato29 aprile, il Pontefice si è intrattenuto, comedi consueto, con i giornalisti al seguito rispon-dendo ad alcune domande che hanno toccatosoprattutto temi legati all’attualità mondiale.

Com’è naturale, l’attenzione si è concentratain modo particolare sulle situazioni che inte-ressano regioni geografiche “calde” come laCorea del nord, il Venezuela, il Medio orientee lo stesso Egitto, senza dimenticare paesi eu-ropei come la Francia attesi da appuntamentipolitici di grande significato per il futuro delcontinente.

Riguardo alle tensioni degli ultimi giorni traStati Uniti e Corea del nord, il Pontefice haribadito che la strada da percorrere è quelladel negoziato. «Questa vicenda dei missili del-la Corea — ha rilevato — è da un anno che vaavanti, ma adesso sembra che la cosa si sia ri-scaldata troppo. Io chiamo sempre a risolvere iproblemi sulla strada diplomatica, con il nego-ziato». Perché, ha spiegato, «è in gioco il fu-turo dell’umanità: oggi una guerra allargatadistruggerà non dico la metà dell’umanità, mauna buona parte dell’umanità e della cultura...tutto, tutto». Per il Papa «sarebbe terribile»,come dimostra la realtà di «quei Paesi chestanno soffrendo una guerra al loro interno, edove ci sono fuochi di guerra: il Medio Orien-te, per esempio, ma anche in Africa... lo Ye-men».

«Fermiamoci!» ha ripetuto Francesco invi-tando le parti in causa a cercare «una soluzio-ne diplomatica». E, ha aggiunto, «su questocredo che le Nazioni Unite abbiano il doveredi riprendere un po’ la loro leadership, perchési è annacquata: si è annacquata un po’».

Quanto al Venezuela, agitato da violenze eproteste di piazza, il Papa ha parlato di una si-tuazione «difficile» e ha confermato gli sforziper rilanciare una «mediazione» dopo un pri-mo tentativo da parte della Santa Sede nonandato a buon fine. «Qualcosa — ha detto — sista muovendo, me lo hanno riferito, però nonc’è ancora nulla di concreto. Ma tutto ciò chesi può fare per il Venezuela va fatto», ha riba-dito, sia pure con «le garanzie necessarie».

A una domanda riguardante la questionedei diritti umani in Egitto e, in particolare, ilcaso Regeni, il Pontefice ha risposto: «Io sonopreoccupato. Dalla Santa Sede mi sono mosso

su quel tema, perché anche i genitori mel’hanno chiesto; la Santa Sede si è mossa. Nondirò come né dove, ma ci siamo mossi». Rife-rendosi poi più in generale al viaggio, il Papanon ha mancato di fare il punto sui rapportiecumenici con gli ortodossi, soprattutto allaluce dell’incontro del Cairo e della dichiarazio-ne comune firmata insieme al patriarca Teodo-ro II. Col quale Francesco ha confermato diavere «un’amicizia speciale», definendolo «ungrande uomo di Dio» e «un Papa che porteràavanti la Chiesa, il nome di Gesù: ha uno zeloapostolico grande».

A proposito, invece, dei populismi e dell’im-minente voto di ballottaggio per l’elezione delpresidente della Repubblica in Francia, il Papaha affermato che «ogni Paese è libero di farele scelte che creda convenienti rispetto a que-sto; io non posso giudicare se quella scelta lafa per questo motivo o per quell’altro, perchénon conosco la politica interna». È vero che«l’Europa è in pericolo di sciogliersi» ha rico-nosciuto, invitando a «meditare» su questo.«C’è un problema — ha aggiunto — che spa-venta l’Europa e forse alimenta i populismi: ilproblema delle migrazioni». Tema, questo, sulquale Francesco è poi ritornato parlando dellestrutture di accoglienza e confermando che «cisono campi di rifugiati che sono veri campi diconcentramento: ce n’è qualcuno forse in Ita-lia, qualcuno altrove... in Germania no, di si-c u ro » .

In gioco il futurodell’umanità

L’appelloa fermarsie a puntaresulla diplomaziaper evitareuna guerradevastante

Con i giornalistisul volo di rientro dal Cairo

#copertina

Salutoai giovani egiziani

Dopo la cena di venerdì 28,il Papa si è affacciato dalbalcone della nunziatura persalutare un gruppo di circatrecento giovani: «Buonasera a tutti voi! Sonocontento di trovarvi! So chesiete venuti inpellegrinaggio: è vero? Se èvero, è perché voi sietecoraggiosi. Prima diritirarmi, vorrei pregare convoi». E dopo la recita inarabo del Padrenostro, li habenedetti: «Adesso vorreidarvi la benedizione, maprima ognuno di voi pensialle persone che ama di più;pensi anche alle persone acui non vuole bene e insilenzio ognuno di voipreghi per queste persone:per quelle a cui vuole benee per quelle a cui non vuolebene. E do la benedizione,a voi e a queste persone»

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UNon clericalizzareil laicato

na duplice esortazione a «popolarizzare di piùl’Azione cattolica» e a non clericalizzare il lai-cato è stata rivolta dal Papa ai partecipanti alcongresso del Forum internazionale dell’asso-ciazione, ricevuti in Vaticano. In un lungo earticolato discorso in spagnolo — prima di pro-nunciare il quale ha baciato un vangelo lascia-to su un barcone da un migrante annegato nelviaggio verso Lampedusa — il Pontefice ha in-coraggiato in particolare «ad apprezzare lamissione corpo a corpo casuale o a partiredall’azione missionaria della comunità».

Per la sua riflessione, ha preso spunto dalcarisma dell’Ac, quello di «formare laici» ca-paci di assumersi «responsabilità nel mondo»e ha espresso apprezzamento per la decisionedi rinnovamento presa nel centocinquantesimodi attività scegliendo come magna cartal’Evangelii gaudium. Quindi ha ricordato i«quattro pilastri o zampe» — preghiera, forma-zione, sacrificio e apostolato — che caratteriz-zano l’organismo. «A seconda del momentodella sua storia — ha detto — ha poggiato pri-ma una zampa e poi le altre». E nel momentoattuale ha indicato come «tratto distintivo, lazampa che si poggia per prima», l’ap ostolato.Ma, ha avvertito, «questo non va a detrimentodelle altre realtà». Infatti «l’apostolato missio-nario» necessita anche «di preghiera, forma-zione e sacrificio. Ciò appare chiaramente adAparecida» dove «c’è un dinamismo integrato-re nella missione». E poiché, ha proseguito ilPontefice, «la missione non è un compito tra itanti» ma «è il compito» appare «vitale ag-giornare l’impegno per l’evangelizzazione,giungendo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte leoccasioni, in tutte le periferie esistenziali, vera-mente, non come una semplice formulazionedi principi».

Ciò comporta un ripensamento dei piani diformazione, delle forme di apostolato epersino della preghiera. Insomma per il Papaoccorre «abbandonare il vecchio criterio:perché si è sempre fatto così». Fermo restandoche l’Ac «deve assumere la totalità dellamissione della Chiesa in generosa appartenen-

va che fa guardare gli altri dall’alto in basso, èuna responsabilità che implica fedeltà e coe-re n z a » .

In precedenza i congressisti avevano parteci-pato alla messa celebrata all’altare della Catte-dra della basilica vaticana dal cardinale PietroParolin, segretario di Stato. Che all’omelia hasottolineato come «insegnamento e azione»siano «strettamente connessi».

za alla Chiesa diocesana a partire dallaparro cchia».

Successivamente Francesco ha individuatogli agenti — «tutti senza eccezioni» — con idestinatari — «tutti gli uomini e tutte leperiferie» — e le modalità di azione — «inmezzo al popolo» — dell’asso ciazione,indicando come “p ro g e t t o ” da attuareun’«Azione cattolica in uscita». Il che, hachiarito, significa: «apertura, generosità, incon-tro con la realtà al di là delle quattro muradell’istituzione» e «rinunciare a controllaretroppo le cose e a programmare i risultati».Da qui il monito a non cadere «nella tentazio-ne dello strutturalismo». Al contrario bisogna«essere luogo di incontro per il resto dei cari-smi istituzionali e dei movimenti che ci sononella Chiesa senza paura di perdere identità».Anche perché, ha concluso, sebbene si dica«che l’Azione cattolica è il braccio lungo dellagerarchia» ciò «lungi dall’essere una prerogati-

Al foruminternazionale

dell’Az i o n ecattolica

Nell’Aula nuova del sinodol’udienza si è svolta giovedì 27

#francesco

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L

Per il mondoe la Chiesa

a nascita dell’Azione Cattolica Italiana fu unsogno, nato dal cuore di due giovani, MarioFani e Giovanni Acquaderni, che è diventatonel tempo cammino di fede per molte genera-zioni, vocazione alla santità per tantissime per-sone: ragazzi, giovani e adulti che sono diven-tati discepoli di Gesù e, per questo, hannoprovato a vivere come testimoni gioiosi del suoamore nel mondo. Anche per me è un po’ ariadi famiglia: mio papà, mia nonna, eranodell’Azione cattolica!

È una storia bella e importante, per la qualeavete tante ragioni di essere grati al Signore eper la quale la Chiesa vi è riconoscente. È lastoria di un popolo formato da uomini e don-ne di ogni età e condizione, che hanno scom-messo sul desiderio di vivere insieme l’i n c o n t rocon il Signore: piccoli e grandi, laici e pastori,insieme, indipendentemente dalla posizionesociale, dalla preparazione culturale, dal luogodi provenienza. Fedeli laici che in ogni tempohanno condiviso la ricerca delle strade attra-verso cui annunciare con la propria vita la bel-lezza dell’amore di Dio e contribuire, con ilproprio impegno e la propria competenza, allacostruzione di una società più giusta, più fra-terna, più solidale. È una storia di passioneper il mondo e per la Chiesa — r i c o rd a v oquando vi ho parlato di un libro scritto in Ar-gentina nel ’37 che diceva: “Azione cattolica epassione cattolica”! — e dentro di questa storiasono cresciute figure luminose di uomini edonne di fede esemplare, che hanno servito ilPaese con generosità e coraggio.

Avere una bella storia alle spalle non serveperò per camminare con gli occhi all’i n d i e t ro ,non serve per guardarsi allo specchio, non ser-ve per mettersi comodi in poltrona! Fare me-moria di un lungo itinerario di vita aiuta arendersi consapevoli di essere popolo che cam-mina prendendosi cura di tutti, aiutandoognuno a crescere umanamente e nella fede,condividendo la misericordia con cui il Signo-re ci accarezza. Vi incoraggio a continuare adessere un popolo di discepoli-missionari che

vivono e testimoniano la gioia di sapere che ilSignore ci ama di un amore infinito, e che in-sieme a Lui amano profondamente la storia incui abitiamo. Così ci hanno insegnato i granditestimoni di santità che hanno tracciato la stra-da della vostra associazione, tra i quali mi pia-ce ricordare Giuseppe Toniolo, Armida Barelli,Piergiorgio Frassati, Antonietta Meo, TeresioOlivelli, Vittorio Bachelet. Azione Cattolica,vivi all’altezza della tua storia! Vivi all’altezza

di queste donne e questi uomini che ti hannop re c e d u t o .

In questi centocinquanta anni l’Azione Cat-tolica è sempre stata caratterizzata da un amo-re grande per Gesù e per la Chiesa. Anche og-gi siete chiamati a proseguire la vostra peculia-re vocazione mettendovi a servizio delle dioce-si, attorno ai Vescovi — sempre —, e nelle par-rocchie — sempre —, là dove la Chiesa abita inmezzo alle persone — sempre. Non stancatevidi percorrere le strade attraverso le quali èpossibile far crescere lo stile di un’autentica si-nodalità, un modo di essere Popolo di Dio incui ciascuno può contribuire a una lettura at-tenta, meditata, orante dei segni dei tempi, percomprendere e vivere la volontà di Dio.

Vi invito a portare avanti la vostra esperien-za apostolica radicati in parrocchia, «che nonè una struttura caduca». La parrocchia è lospazio in cui le persone possono sentirsi accol-te così come sono, e possono essere accompa-gnate attraverso percorsi di maturazione uma-na e spirituale a crescere nella fede e nell’amo-re per il creato e per i fratelli. Questo è veroperò solo se la parrocchia non si chiude in séstessa, se anche l’Azione Cattolica che vive inparrocchia non si chiude in sé stessa.

Ogni vostra iniziativa, ogni proposta, ognicammino sia esperienza missionaria, destinataall’evangelizzazione, non all’auto conservazio-ne. Il vostro appartenere alla diocesi e allaparrocchia si incarni lungo le strade delle città,dei quartieri e dei paesi. Come è accaduto inquesti centocinquanta anni, sentite forte den-tro di voi la responsabilità di gettare il semebuono del Vangelo nella vita del mondo, attra-verso il servizio della carità, l’impegno politico— mettetevi in politica, ma per favore nellagrande politica, nella Politica con la maiusco-la! — attraverso anche la passione educativa ela partecipazione al confronto culturale. Allar-gate il vostro cuore per allargare il cuore dellevostre parrocchie. Siate viandanti della fede,per incontrare tutti, accogliere tutti, ascoltaretutti, abbracciare tutti.

I 150 annidell’associazione

In piazza San Pietronella mattina di domenica 30

#francesco

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di ANNAFOA

Il succedersi di sanguinosi attentati dei fonda-mentalisti islamici spingono sempre di più ilmondo a interrogarsi sul rapporto tra la reli-gione e la violenza, sul senso del sangue versa-to in nome di Dio. I rappresentanti delle reli-gioni, in particolare di quelle monoteiste, si af-fannano a proclamare l’estraneità delle religio-ni all’odio terroristico. Ma se da parte cristianaed ebraica questo messaggio è proclamato sen-za ambiguità, e a tutti i livelli, da parte musul-mana le difficoltà di radunare intorno allacondanna del terrorismo i fedeli sono ancoramolte. Eppure, sappiamo che il sedicente Sta-to islamico e i suoi simili attaccano in primoluogo gli stessi fedeli musulmani, prima di ri-volgersi contro cristiani ed ebrei. E sappiamoanche che solo facendo fronte con tutti quelli,e sono i più, che nel mondo islamico rifiutanola violenza, potremo avere la possibilità di vin-cere questa battaglia. Solo se tutti insieme, cri-stiani, ebrei e musulmani, rifiuteremo la possi-bilità che Dio esiga da noi l’uccisione di altriesseri umani, potremo sconfiggere il male.

Non sempre è stato così. Le crociate hannosparso sangue e vittime, le guerre di religionehanno insanguinato l’Europa, i pogrom inGermania e Polonia hanno massacrato gliebrei. Per secoli, coloro che hanno avuto laspada dalla parte del manico l’hanno usata persterminare eretici, infedeli, dissidenti. E se gliebrei non hanno fatto altrettanto, è stato soloperché, dopo la dispersione seguita alle guerrecontro i romani, non hanno più avuto la possi-bilità di esercitare la forza. In diaspora, di-spersi fra le genti, senza potere, senza spadaper sostenerlo. Ma i gentili hanno a lungo cre-duto, e ancora alcuni di loro amano sostenere,che gli ebrei facessero loro la guerra attraversoil denaro, che il denaro fosse la loro spada.

Perché uccidere in nome della religione era co-sa ovvia e accettata. Perché nel testo biblico silegge anche di guerre esercitate in nome diDio. E perché anche il messaggio di amoreportato da Cristo è stato non di rado sopraf-fatto all’interno stesso del mondo cristiano daviolenze e uccisioni.

Nella storia si è dunque ucciso molto in no-me di Dio. Ma a un certo momento si è co-

minciato a mettere in dubbio che Dio volessedagli uomini il sangue dei loro fratelli. È statoun processo lento, partito da una lettura alle-gorica e critica dei testi sacri e che è approda-to fra l’altro al rifiuto della violenza religiosa.Un processo contrastato, che ha suscitato altrevittime, e che fa tutt’uno con lo sviluppo dellacultura e della civiltà in cui siamo cresciuti.Ma perché si compisse, le religioni hanno do-vuto perdere la possibilità di usare la spadacon il processo di secolarizzazione. È stato uncambiamento epocale.

Questo processo però non si è realizzatonella stessa misura nel mondo musulmano.Quanti fra loro hanno cercato, quanti cercanodi farlo, divengono a loro volta oggetto dellaviolenza dei fanatici. Per questo, difenderli èuna priorità, non soltanto un gesto di umani-tà. La questione della violenza religiosa toccatutte le religioni, da tutte esige una rispostachiara. Sacerdoti, vescovi, papi, rabbini e imangridano che Dio non vuole e non chiede lamorte degli esseri umani. Che crederlo è idola-tria, non fede. Qualunque sia stato il passato,per quante vittime abbia fatto nella storia laviolenza esercitata in nome di Dio, non dob-biamo più lasciare che essa continui, e che gliuomini continuino a credere di servire Dio uc-cidendo.

Mai piùla spada

Maurycy Minkowski«After the Pogrom»(1910, particolare)

#dialoghi

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MERCOLEDÌ 26Nel tardo pomeriggio il Papa ha incontratol’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Se-greteria di Stato e suo delegato speciale per ilSovrano militare ordine di Malta, con i verticidell’istituzione melitense che il 29 aprile han-no poi eletto la loro nuova guida. Si tratta diGiacomo Dalla Torre del Tempio di Sangui-netto, nipote di Giuseppe, che fu direttoredell’«Osservatore Romano» dal 1920 al 1960.

GIOVEDÌ 27Poiché «il mondo odierno, spesso segnato dal-la violenza, dall’avidità e dall’indifferenza, hagrande bisogno della nostra testimonianza» il

Pontefice ha elogiato l’impegno della PapalFoundation nel sostenere «le necessità dei po-veri». L’annuale udienza pontificia ai membridell’organismo caritativo statunitense — che haconsegnato attraverso il cardinale presidenteWuerl una somma di dieci milioni di dollari —si è svolta nella Sala Clementina. Nel pome-riggio, come di consueto, il Papa si è recato aSanta Maria Maggiore per affidare il viaggioalla Salus populi Romani. Accompagnato dalcardinale arciprete Ryłko, il Pontefice ha de-posto ai piedi della Vergine un bouquet di fio-ri con i colori dell’Egitto, bianco, rosso e nero.

VENERDÌ 28La fraternità come «principio regolatore

dell’ordine economico» è stata indicata daFrancesco in un messaggio indirizzato a con-clusione della plenaria della Pontificia accade-mia delle scienze sociali, svoltasi fino al 2maggio sul tema «Verso una società partecipa-tiva: nuove strade per l’integrazione sociale eculturale».

San Giuseppe dia ai giovani la capacità di sognaredi rischiare per le cose grandi

le cose che Dio sogna su di noi

@Pontifex, 1 maggio

A sinistra: l’udienza alla PapalFo u n d a t i o nIn basso: il Pontefice dal balconedella nunziatura affacciatosul Nilo

”D iscorsoalla Papal Foundation

Messaggio all’accademiadelle scienze sociali

Preghiera marianadel Regina caeli

D OMENICA 30Pace e riconciliazione per il Venezuela: le ha

invocate Papa Francesco al Regina caeli recita-to in piazza San Pietro dopo aver incontratol’Azione cattolica italiana. Dal Paese, ha ricor-dato, «non cessano di giungere drammatichenotizie» con «l’aggravarsi degli scontri» cheprovocano «numerosi morti, feriti e detenuti».Unendosi al dolore dei familiari delle vittime,per le quali ha assicurato preghiere di suffra-gio, ha rivolto un accorato appello al Governoe a tutte le componenti della società «affinchévenga evitata ogni ulteriore forma di violenza,siano rispettati i diritti umani e si cerchino so-luzioni negoziate alla grave crisi umanitaria,sociale, politica ed economica che sta streman-do la popolazione». Infine il Papa ha esteso lapropria preghiera a «tutti i Paesi che attraver-sano gravi difficoltà», in particolare «alla Re-pubblica di Macedonia». Quindi ha parlatodella beatificazione, il giorno prima a Verona,di Leopoldina Naudet, fondatrice delle suoredella Sacra Famiglia. «Cresciuta alla corte de-gli Asburgo, prima a Firenze e poi a Vienna,ebbe — ha detto — fin da ragazza una forte vo-cazione alla preghiera, ma anche al servizioeducativo. Si consacrò a Dio e, attraverso di-verse esperienze, giunse a formare a Veronauna nuova comunità religiosa, sotto la prote-zione della Sacra Famiglia, che ancora oggi èviva nella Chiesa». Il Papa ha quindi fatto ri-ferimento alla Giornata per l’Università catto-lica del Sacro cuore, incoraggiando «a sostene-re questa importante istituzione, che continuaa investire sulla formazione dei giovani permigliorare il mondo». Nella circostanza ancheil cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin,ha inviato una lettera al cardinale arcivescovodi Milano Angelo Scola, presidente dell’Istitu-to Toniolo di studi superiori. Nonostante nu-merose criticità, ha scritto il porporato, l’ate-neo deve continuare a investire sui giovani che«restano portatori di una grande carica di spe-ranza e costituiscono un formidabile potenzia-le per la costruzione di un futuro migliore».

#7giorniconilpapa

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GIOVEDÌ 27 APRILETestimoni di obbedienza

«Sì, sono peccatore, sono mondano, tantemondanità ho nel mio cuore ma, Signore, tupuoi fare tutto: dammi la grazia di divenire untestimone di obbedienza come te, e anche lagrazia di non impaurirmi quando arrivano lepersecuzioni, le calunnie, perché tu ci hai det-to che quando ci portano dal giudice sarà loSpirito a dirci cosa dobbiamo rispondere». Ec-co la preghiera che Papa Francesco ha improv-visato, invitando a recitarla aprendo il cuore,durante la messa celebrata a Santa Marta.«Chiediamo questa grazia» ha insistito il Pon-tefice, perché «il cristiano non è testimone diun’idea, di una filosofia, di una ditta, di unabanca, di un potere» ma è unicamente «testi-mone di obbedienza, proprio come Gesù».

«Nella prima lettura — ha fatto notare Fran-cesco riferendosi al passo degli Atti degli apo-stoli (5, 27-33) — continua quel dialogo degliapostoli cominciato con Giovanni e con i capi,con i dottori della legge». Il fatto è che «dopoil miracolo della guarigione dello storpio, cheha scatenato la furia dei capi, la comunità con-tinua a crescere e gli apostoli facevano tantimiracoli, tanti segni». Così «la gente andavada loro, li cercava per sentirli e portava anchegli ammalati perché fossero guariti». Si leggeinfatti, nello stesso capitolo degli Atti degliapostoli, che i malati venivano accompagnati«perché, quando Pietro passava, almeno la suaombra coprisse qualcuno di loro». E «questaera la fede del popolo». Certo, ha fatto pre-sente il Papa, «c’erano problemi anche nellacomunità: in mezzo a questa consolazionec’erano dei furbetti che volevano fare carriera,come Anania e Saffira». E lo stesso, ha ag-giunto, accade anche oggi. «C’era gente — hainsistito Francesco — che quando vedeva que-sto popolo credente portare gli ammalati lì, inpellegrinaggio dagli apostoli, diceva “ma chegente ignorante, non sa, questo popolo nonsa”». È «il disprezzo al popolo fedele di Dioche mai sbaglia, mai». Lo stesso avviene oggi,ha riconosciuto il Papa.

Nella liturgia ecco allora emergere la figuradi Pietro — lo stesso che per paura aveva tradi-to il Signore nella notte del giovedì — che og-gi, coraggioso, risponde a chi lo accusa: «Bi-sogna obbedire a Dio invece che agli uomini».Proprio «la risposta di Pietro ci fa capire cosaè un apostolo, cosa è un cristiano: un cristianoè un testimone dell’ubbidienza, come Gesù».E infatti «Gesù obbedì, si è fatto uomo, si ab-bassò, si annientò». Così, allo stesso modo, «ilcristiano è testimone di obbedienza, come Ge-sù che ha detto al Padre: ecco un corpo, iovengo per fare la tua volontà; come Gesù chenell’orto degli ulivi chiese al Padre di allonta-nare da lui quel calice “ma si faccia la tua vo-lontà, non la mia: io ubbidirò”». «Il cristianoè un testimone di obbedienza — ha rilanciatoFrancesco — e se noi non siamo su questa stra-

za, come Gesù». Ecco perché il cristiano «nonè testimone di un’idea, di una filosofia, di unaditta, di una banca, di un potere» ma «è testi-mone di obbedienza, come Gesù».

MARTEDÌ 2 MAGGIOCome i due di Emmaus

Un «dialogo a tre» deve veder protagonistaciascuno di noi in un faccia a faccia con Gesùe l’adultera — peccatrice ma vittima per eccel-lenza dei «cuori di pietra» — per farci travol-gere dalla «tenerezza di Dio che, come è statoper i due discepoli di Emmaus, ci «riscalda ilcuore» e ci apre gli occhi. Un forte invito anon lasciarsi chiudere nella «rigidità» che ciporta persino a «turarci le orecchie e digrigna-re i denti» per non far passare lo Spirito San-to, è stato lanciato dal Papa nella messa cele-brata a Santa Marta.

«Oggi la prima lettura ci fa vedere un altrotestimone di obbedienza in Stefano», ha spie-gato il Papa facendo riferimento al passo degliAtti degli apostoli (7, 51 - 8, 1). Egli è «perse-guitato, accusato, anche con la stessa malvagi-tà con cui lo è stato Gesù, per dire la verità,per essere testimone dell’obbedienza». E que-sto, ha fatto presente Francesco, «mi fa pensa-re a diversi modi di non capire la parola diDio, perché questi che lapidarono Stefano noncapivano la parola di Dio». Così il Ponteficeha proposto l’esempio dei «discepoli di Em-maus», che «non capivano ed erano sulla stra-da». Ma «cosa dice loro Gesù? “Stolti, tardidi cuore per capire”», e poi «incomincia: sì,non erano chiusi, ma non capivano». Certo,ha riconosciuto il Papa, «non è una lode dire“stolto”; ma non è tanto forte come quello cheStefano dice a questa gente» che finisce perlapidarlo: a loro infatti egli «dice “t e s t a rd i ”,“incirconcisi nel cuore e nelle orecchie”, e dire“i n c i rc o n c i s o ” a uno è dire “pagano”». Ad ac-cusare e lapidare Stefano, infatti, «è gentechiusa alla verità».

Gli Atti degli apostoli, ha proseguito il Pon-tefice, raccontano inoltre che «quando Stefanodice di vedere Gesù nella gloria», i suoi perse-cutori «si turarono gli orecchi: non volevano —non volevano! — ascoltare». E «questo è ildramma della chiusura: la chiusura del cuore;il cuore duro, la durezza del cuore». Una real-tà — ha aggiunto — che «fa soffrire tanto, tan-to, la Chiesa: i cuori chiusi, i cuori di pietra, icuori che non vogliono aprirsi, che non vo-gliono sentire; i cuori che soltanto conosconoil linguaggio della condanna».

Francesco ha suggerito di puntare lo sguar-do sui «due di Emmaus», che «siamo noi, contanti dubbi, tanti peccati, tante volte che sia-mo codardi e vogliamo allontanarci dalla cro-ce, dalle prove. Ma facciamo spazio per sentireGesù che ci riscalda il cuore. E chiediamo lagrazia di essere come loro», domandando

Le omeliedel Pontefice

Sopra: Matthias Stomer«San Pietro»

In basso: Daniel Bonnell«Sulla strada per Emmaus»

( p a r t i c o l a re )

da di crescere nella testimonianzadell’obbedienza, non siamo cri-stiani». Bisogna dunque «cammi-nare su questa strada» per esseredavvero «testimone di obbedien-

#santamarta

«che il Signore intenerisca un po’il cuore di questi rigidi, di quellagente che è chiusa sempre nellalegge e condanna tutto quello cheè fuori da quella legge»

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di ENZOBIANCHI

NChi ha visto meha visto il Padre

14 maggioquinta domenica

di PasquaGiovanni 14, 1-12

As c e n d i n g a r t z«Freedom in Christ»

ell’ultimo pasto consumato con i suoi discepo-li prima della cattura che lo avrebbe consegna-to alla morte, Gesù ha lasciato le sue parolecome un testamento, come manifestazione del-le sue ultime volontà. Il quarto vangelo ci dàla testimonianza di come le parole di Gesù so-no state meditate e approfondite, in una cre-scita di sovraconoscenza (epígnosis) del misterodel suo esodo da questo mondo al Padre. Ec-co dunque, nella cena in cui Gesù lascia aisuoi «il comandamento nuovo», ultimo e defi-nitivo (cfr. Giovanni 13, 34; 15, 12), le domandedi tre suoi discepoli e le risposte di Gesù. Nelbrano liturgico odierno ci mettiamo in ascoltodi alcune parole di Gesù e delle obiezioni a luirivolte da Tommaso e Filippo.

Avendo Gesù annunciato il tradimento daparte di uno dei Dodici (cfr. 13, 21-30) e la suapartenza ormai prossima (cfr. 13, 33), i discepo-li sono invasi da paura. Gesù non sarà più inmezzo a loro e con loro: sono dunque nell’in-certezza e nell’aporia, sapendo che uno di loroè un traditore e che Pietro, «la roccia» (1, 42),verrà meno nella sua saldezza (cfr. 13, 38). Èdavvero notte, non solo esteriormente: è nottenei loro cuori, è l’ora della prova della fede, èla crisi della comunità, immersa in quella soli-tudine angosciata e tragica in cui sembra im-possibile nutrire fiducia.

Gesù allora fa un invito autorevole: «Crede-te in Dio e credete anche in me». Per quegliuomini avere fede in Dio era un’operazione incui erano esercitati: erano credenti, figli diAbramo, in attesa del suo «Giorno», dunquequeste parole di Gesù suonano per loro comeun invito a confermare il loro attaccamento, laloro adesione al Dio vivente, sapendo che solocosì non si sarebbe stati scossi nella prova (cfr.Isaia 7, 9). Ma Gesù chiede la stessa fede an-che in lui, nella sua persona. Solo nella fede sipuò accogliere questa richiesta «eccedente»,senza scandalizzarsi: davanti ai discepoli c’èGesù, totalmente uomo, anzi carne fragile(s á rx : Giovanni 1, 14), e chiede di mettere in luila stessa fede che si mette in Dio! Ecco la no-vità della fede cristiana rispetto alla fede deicredenti nel Dio dell’alleanza e delle benedi-zioni: credere in Gesù di Nazaret come si cre-de in Dio. Ma questa è la fede della chiesa delquarto vangelo, è la nostra fede.

Qui Gesù rivela che nella casa di suo Padre— immagine da lui stesso applicata al tempio,che cessava però di essere tale in seguito allasua venuta e alla sua purificazione (cfr. 2, 13-17) — ci sono molte dimore, c’è posto per mol-ti. La paternità di Dio non è solo paternitàverso il Figlio, Gesù, ma anche verso i suoi di-

scepoli, dunque la casa di Dio li può accoglie-re, può essere casa loro come lo è di Gesù: ac-coglienza che non richiede meriti, ma acco-glienza gratuita, paterna, che accoglie tutti i fi-gli con lo stesso amore. Gesù se ne va, lasciavisibilmente i suoi discepoli, ma, «passato daquesto mondo al Padre» (cfr. 13, 1), preparapresso di lui i posti, aprendo la via di accessoall’intimità filiale con Dio.

Queste parole devono risuonare come unapromessa per i discepoli che restano nel mon-do. Basta che credano in Gesù, e vedranno laloro attesa e la loro speranza fondate, perchéGesù verrà di nuovo, per prenderli con sé, inmodo che dov’è lui siano anche i suoi. Coluiche era chiamato Immanuel, Dio-con-noi(Isaia 7, 14; Ma t t e o 1, 23), nel quarto vangelo ècolui che viene a prenderci con sé, per vivereun’intimità, un’amicizia, un’inabitazione reci-proca senza fine. Questa coabitazione di Gesùe dei discepoli, proprio attraverso l’esaltazione,la glorificazione di Gesù nella sua Pasqua, nelsuo esodo, sarà più intensa di quella vissuta fi-no ad allora. Così Gesù chiede di non esserepreda della paura, ma di entrare in una nuovamodalità di comunione con lui. Sarà una coa-bitazione alla quale si accede attraverso uncammino che i discepoli conoscono: la via per-corsa da Gesù, quella dell’amore vissuto finoalla fine, fino all’estremo. Proprio l’esodo diGesù da questo mondo era stato descritto co-me amore fino alla fine (cfr. Giovanni 13, 1): vi-vere concretamente l’amore, spendendo la vitae deponendola per gli altri, è il cammino trac-ciato da Gesù per andare al Padre.

Ma ecco che Tommaso, il discepolo «gemel-lo» (dídymos: 11, 16; 20, 24; 21, 2) di ciascunodi noi, rivolge a Gesù un’obiezione: «Signore,

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L’Osservatore Romanogiovedì 4 maggio 2017il Settimanale

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non sappiamo dove vai; come possiamo cono-scere il cammino?». Proprio lui, che con entu-siasmo si era dichiarato disposto a morire conGesù (cfr. 11, 16), mostra in realtà di non sape-re ciò che aveva detto. Per Tommaso, comeper noi, non è certamente facile comprendereche la morte stessa, se è atto d’amore, azionedel non conservare egoisticamente la vita madi donarla per amore degli altri, è la strada, ilcammino per vivere con Gesù in Dio. Gesù al-lora non risponde direttamente alla sua do-

Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avetevisto». Che cos’è la vita eterna? È la conoscen-za del Padre, unico e vero Dio, e di colui cheegli ha inviato, Gesù Cristo (cfr. Giovanni 17,3), una conoscenza progressiva, amorosa, pe-netrativa, non una conoscenza intellettuale.Essa avviene attraverso la relazione, l’ascolto,l’intimità, la coabitazione, l’amore vissuto. Co-noscere Gesù significa entrare nella sua comu-nione attraverso l’amore vissuto, l’amore del«comandamento nuovo»: come Gesù ci ha

manda («Dove vai?»), ma dice: «Io sono ilcammino, la verità e la vita. Nessuno viene alPadre se non per mezzo di me».

Parole densissime e inaudite sulla bocca diun uomo! Gesù ricorre alla metafora del cam-mino per dire: «Io stesso sono la strada dapercorrere per andare verso il Padre; io stessosono la verità come conoscenza del Padre; iostesso sono la vita eterna, la vita per semprecome dono del Padre». E non ci sfuggano leparole: «Nessuno viene al Padre se non permezzo di me». Dopo la rivelazione di Gesù,che ci ha raccontato (exeghésato: 1, 18) il Dioinvisibile, che nessuno ha mai visto né può ve-dere, non si può credere, aderire a Dio se nonattraverso di lui, «immagine» unica e vera«del Dio invisibile» (Colossesi 1, 15).

E qui sorge una domanda: noi cristianiprendiamo sul serio queste parole? Oppure leripetiamo senza la consapevolezza necessaria?Ormai non si può avere una conoscenza diDio se non si conosce Gesù Cristo, non si puòcredere nel Dio vivente senza credere in GesùCristo, non si può avere comunione con Diose non si ha comunione con Gesù Cristo. Avolte mi chiedo se noi cristiani, eredi del mon-do greco, non finiamo per professare un tei-smo con una patina cristiana. Dobbiamo avereil coraggio di dire che per noi cristiani Dio èuna parola insufficiente. Scriveva significativa-mente già Giustino, un padre della chiesa delsecondo secolo: «La parola “D io” non è unnome, ma un’approssimazione naturale all’uo-mo per descrivere ciò che non è esprimibile»(II Apologia 6, 3). Ebbene, ciò che è decisivoper la fede cristiana non sta in Dio quale pre-messa, ma si rivela quale meta di un percorsocompiuto dietro a Gesù Cristo e con lui, nona caso definito dall’autore della Lettera agliEbrei «l’iniziatore della nostra fede» (12, 2).Non si può dunque andare a Dio e poi cono-scere Gesù Cristo, ma il cammino è esattamen-te l’inverso: si va al Padre attraverso Gesù chegli dà un volto, che ce lo spiega e ce lo rivela.

Comprendiamo allora le parole successive:«Se avete conosciuto me, conoscerete anche il

amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni glialtri.

Ma ecco la seconda obiezione, quella di Fi-lippo: «Signore, mostraci il Padre, e ci basta».Anche Filippo che, invitato a seguire Gesù, loaveva fatto confessandolo come colui che erastato preannunciato da Mosè e dai profeti (cfr.1, 43-45), non ha compreso la vera identità diGesù. Vede in Gesù «l’Inviato di Dio», «il Ve-niente nel Nome del Signore», ma ancora nonsa che Gesù è il racconto, la narrazione delPadre. Filippo è un uomo di grande fede: co-me Mosè, chiede di vedere il volto di Dio (cfr.Esodo 33, 18), e aggiunge che ciò sarebbe perlui sufficiente. Egli non cerca altro se non divedere quel volto che tutti i credenti dell’anti-ca alleanza avevano desiderato di scorgere ovedere. Vedere il volto di Dio è l’anelito delsalmista («Quando verrò a contemplare il vol-to di Dio?»: Salmi 42, 3), è il desiderio di ognicercatore di Dio e di tutti i credenti...

Filippo confessa questo desiderio, ma Gesùgli risponde: «Da tanto tempo sono con voi etu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha vi-sto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire:“Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nelPadre e il Padre è in me?». Ecco il culminedella rivelazione, che in verità è il compimentodella promessa fatta da Gesù a Natanaele, pre-sentato a Gesù proprio da Filippo: «Vedrete ilcielo aperto e gli angeli di Dio salire e scende-re sopra il Figlio dell’uomo» (Giovanni 1, 51).Ecco la rivelazione ultima: chi vede Gesù,l’uomo Gesù, in realtà vede il Padre, perchéGesù è l’immagine, il volto visibile di Dio, lagloria stessa di Dio. L’uomo Gesù è il Figliodi Dio; l’uomo Gesù glorificato nella re-surrezione è Dio stesso, come confessa Tom-maso: «Mio Signore e mio Dio» (20, 28). Diolo si incontra in Gesù uomo: nella sua umani-tà si può vedere Dio, guardando l’agire di Ge-sù e ascoltando le sue parole si può incontrareDio. Questo è lo specifico, la singolarità dellafede cristiana: scandalo per ogni via religiosa,follia per ogni saggezza umana (cfr. 1 Corinzi1, 22-23)!

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Gregor Herzog, «Jesus Christ»

Quando il lavoro non è più espressivodella persona... diventa schiavitù

Il lavoro giusto è quello che non solamente assicurauna remunerazione equa

ma corrisponde alla vocazione della persona

Alla Pontificia accademia delle Scienze sociali

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